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Prima di esaminare i principali contenuti dell’etica di Aristotele, occorre collocare questi all’interno

di alcuni fondamentali aspetti del suo sistema di pensiero.


In particolare è importante ricordare che Aristotele ha una visione “finalistica” della realtà.
Secondo la sua filosofia, per comprendere pienamente l’essenza delle cose del nostro mondo (e ciò
vale soprattutto per gli esseri viventi), occorre riconoscere la loro “causa finale”: lo scopo delle
trasformazioni a cui sono soggette.
In tutte le cose viventi, che sono “per natura” – infatti – agiscono degli scopi interni alla loro
essenza. Ogni cosa ha delle potenzialità da realizzare, che guidano il suo divenire, ossia che
determinano ciò che questa cosa diventa.

È vero che molti mutamenti avvengono per cause esterne alla cosa mutata: se uno ti da uno spintone
può farti cadere, se prendi freddo ti viene il raffreddore ecc. Tutte cose determinate da fatti esterni,
ossia da cause efficienti. Ma le cause efficienti agiscono in modo accidentale e discontinuo.

È diverso il discorso sulle cause finali.


Esempi tipici dell’azione di queste cause sono il processo di crescita di un animale, il germogliare
di un seme e la formazione di una pianta, che cresce e diventa adulta.
Sono processi che si ripetono sempre nello steso modo. È vero che cause accidentali possono
interromperli o condizionarli, ma quando il loro sviluppo è possibile producono sempre oggetti che
hanno le stesse caratteristiche essenziali. Una ghianda diverrà una quercia, un bambino si
trasformerà in un uomo adulto.
Ogni specie vivente riproduce, negli individui che la compongono, le proprie caratteristiche
essenziali.
Nel fare questo, per Aristotele, raggiunge uno scopo, un compimento, una perfezione.
Ogni specie ha quindi in sé stessa il proprio scopo. Lo scopo della quercia non è null’altro che
essere una quercia, quello di un leone, di essere un leone.
Quello dell’uomo è di essere un uomo. Né più né meno. Ma di esserlo nel maggiore sviluppo
possibile di tutte le potenzialità, che vuol dire giungere a vivere bene, con sé e con gli altri.
L’etica di Aristotele è perciò una teoria dello sviluppo umano. In altri termini: della maturazione e
del compimento. Il suo tema fondamentale è: come si ottiene la realizzazione delle qualità umane,
che tutti possediamo potenzialmente? In che cosa consiste tale realizzazione?
Aristotele chiama tale realizzazione “virtù” (ciò che rende un uomo “buono”, ossia un uomo che ha
realizzato in misura soddisfacente le sue potenzialità). Il raggiungimento di tale scopo coincide con
la felicità. Perciò la virtù è intesa da Aristotele coincidente con la felicità, e quello di felicità è il
concetto centrale della sua etica.
Tale risultato si può raggiungere, ma non infallibilmente. C’è anche chi fallisce il bersaglio, ossia
chi vive male. Per questo l’etica è importante. Aristotele ritiene che esista la libertà umana e perciò
la nostra felicità sia il risultato delle nostre scelte. L’etica, secondo Aristotele, è una scienza
“pratica”, e vale per aiutarci a comprendere meglio qual è la felicità a cui aspiriamo e a renderci più
capaci di raggiungerla.

In apertura dell’Etica nicomachea, Aristotele parte proprio dalla questione dei fini, e fa esempi di
diverse attività umane, tratte dal campo delle tecniche e delle arti. Molte di esse sono subordinate ad
altre, o ad altri scopi: per es. la costruzione di navi ha come scopo la navigazione, il costruire briglie
e finimenti all’ippica, le case si costruiscono per abitarle. Ci sono molte cose che facciamo allo
scopo di ottenere dei risultati che coincidono con un’altra attività: nelle nostre azioni moltissimo è
finalizzato ad altro ossia non ha il suo fine in sé stesso.
Sarebbe assurdo (implicherebbe un regresso all’infinito) se non ci fossero attività e condizioni
umane che sono un fine in sé: tutto il nostro affaccendamento non avrebbe alcuno scopo e alcun
senso.
Occorre, perciò, se si vuole evitare il “regresso all’infinito” indicare un fine ultimo dell’azione
umana, un fine che sia voluto di per sé stesso, e non per altro. Tale fine, risponde Aristotele, consiste
nella felicità. Nessuno si chiede “perché vuole essere felice”. Oltre la felicità non c’è altro scopo.

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