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È vero che molti mutamenti avvengono per cause esterne alla cosa mutata: se uno ti da uno spintone
può farti cadere, se prendi freddo ti viene il raffreddore ecc. Tutte cose determinate da fatti esterni,
ossia da cause efficienti. Ma le cause efficienti agiscono in modo accidentale e discontinuo.
In apertura dell’Etica nicomachea, Aristotele parte proprio dalla questione dei fini, e fa esempi di
diverse attività umane, tratte dal campo delle tecniche e delle arti. Molte di esse sono subordinate ad
altre, o ad altri scopi: per es. la costruzione di navi ha come scopo la navigazione, il costruire briglie
e finimenti all’ippica, le case si costruiscono per abitarle. Ci sono molte cose che facciamo allo
scopo di ottenere dei risultati che coincidono con un’altra attività: nelle nostre azioni moltissimo è
finalizzato ad altro ossia non ha il suo fine in sé stesso.
Sarebbe assurdo (implicherebbe un regresso all’infinito) se non ci fossero attività e condizioni
umane che sono un fine in sé: tutto il nostro affaccendamento non avrebbe alcuno scopo e alcun
senso.
Occorre, perciò, se si vuole evitare il “regresso all’infinito” indicare un fine ultimo dell’azione
umana, un fine che sia voluto di per sé stesso, e non per altro. Tale fine, risponde Aristotele, consiste
nella felicità. Nessuno si chiede “perché vuole essere felice”. Oltre la felicità non c’è altro scopo.