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- Confronto asintotico: se an, bn sono tali che, per ogni n, 0 < an e 0 < bn (serie a
∞
termini positivi), e tali per cui an ~ bn, per n che tende a +∞, allora ∑ an ha lo
n =1
∞
stesso carattere di ∑ bn. Questo criterio funziona benissimo! Portando n a +∞ si
n =1
possono usare tutti gli escamotage riguardanti l’ordine di potenza, gli infinitesimi
(es. log(1+x)~x per xÆ0) o le serie di Taylor (v. promemoria), semplificare di molto
il termine generale e facilitarsi i calcoli in maniera evidente.
- Promemoria: serie di Taylor
∞
disuguaglianza triangolare il fatto che se ∑ a n converge (convergenza assoluta),
n =1
∞
allora anche ∑ an converge (convergenza semplice), ma non vale il viceversa!
n =1
- Vi sono serie a segno non costante molto particolari, o comunque con un minimo di
regolarità: sono le serie a sego alterno (+, -, +, -, +…riconoscibili per la presenza di
un termine come -1n). In questo caso è applicabile il criterio di Leibniz: queste
serie, infatti, possono essere strutturate come prodotto fra il termine -1n e una
serie an > 0 (e quindi a termini positivi). Se an è decrescente e convergente a zero,
∞
allora anche la serie ∑ (-1)n+1 an converge ad un reale positivo l, che può essere
n =1
n
approssimato dalla somma parziale ∑ (-1)k+1 ak, per eccesso se n è pari, per
k =1
difetto se n è dispari.
- Se si opera coi numeri complessi (ciò è plausibile: ma le differenze con i reali sono
davvero pochissime: valgono infatti tutti i criteri fin’ora esposti) è di ovvia utilità
ricordarsi le formule del reciproco ( = coniugato ⋅ modulo-2) e del modulo
( ℜ 2 + ℑ 2 ).
- È definita serie di potenze (di punto iniziale x0 e coefficienti an) la così definita
∞
sommatoria: ∑ a n ( x − x0 )n . Che cos’è il suo dominio? È l’insieme dei punti x in cui
n =0
la serie converge. Per esempio, il dominio (di convergenza) della serie geometrica è
(-1,+1). Occorre quindi definire quando una serie di potenze converge: a tale scopo
∞
si può utilizzare il teorema che afferma: se la serie di potenze ∑ a n ( x − x 0 )n
n =0
converge semplicemente in x ( x ≠ x0) allora essa converge assolutamente e
semplicemente per ogni x tale che |x – x0|< | x - x0|; x0 è dunque il punto centrale
(in cui la serie converge semplicemente) di un intervallo (in cui la serie converge
sia assolutamente che semplicemente).
- Definiamo il raggio di convergenza: R = sup {| x - x0|: la serie converge in x }.
Esso può variare da 0 a + ∞ (compresi). Si possono quindi distinguere tre casi:
1. R = 0; caso degenere: l’insieme contiene solo il numero zero e la serie
converge solo nel centro;
2. R = +∞; possiamo prendere punti di convergenza arbitrariamente lontani.
La serie converge su tutto l’asse reale.
3. 0 < R < +∞; la serie converge assolutamente per x ∈ (x0 – R, x0 + R). Nei
punti fuori dall’intervallo non converge. E negli estremi? Boh! Il
comportamento è dei più svariati.
∞
- Come trovare il raggio di convergenza: data la serie di potenze ∑ an x n con an ≠
n=0
a n+1
0, se esiste il limite lim = l , allora la serie ha raggio di convergenza R = l-1.
n→∞ an
Nota che ci sono i valori assoluti, che si mangiano qualsiasi problema riguardante
Luca Pagani – Riassunto Analisi B
termini come (-1)n. Per capire dunque il carattere di una serie si guarda il termine
affianco all’xn, che non è automaticamente detto che sia un Reale in quanto
potrebbe anche trattarsi di un Complesso zn.
- Quando si è trovato il raggio di convergenza e si vuole dunque esaminare il
comportamento di una serie agli estremi, questi vanno sostituiti alla x, non alla n.
Infine, se ci viene chiesto il dominio di convergenza di una serie in cui i termini in
x sono tutti racchiusi dentro una parentesi “elevata” alla n, allora il raggio di
convergenza (trovato col criterio del rapporto) va messo in disequazione con tutto
ciò che sta dentro la parentesi. Attenzione al dominio di quest’ultima funzione
dentro la parentesi! Certi valori del dominio di convergenza non sono con esso
compatibili.
- Se si deriva una serie di potenze, termine a termine, allora si ottiene una derivata
espressa attraverso una serie di potenze che ha lo stesso raggio di convergenza di
quella assegnata. Stesso discorso per l’integrazione termine a termine.
- Che si può dire negli estremi di una funzione definita attraverso una serie di
potenze? Certamente essa non può avere discontinuità, neppure agli estremi:
ovunque è definita, essa e continua (Lemma di Abel). Se R è il raggio di
convergenza e R + x0, R – x0 sono i suoi estremi, allora f (x0 ± R ) = lim f ( x) . Se
x→ x ± R
ci chiedono dunque di trovare la continuità di una funzione espressa tramite una
serie, dobbiamo cercare il dominio di convergenza e poi includere gli estremi in cui
la funzione converge (se uno degli estremi diverge non fa parte del dominio!). In
tutti questi punti la funzione sarà continua.
- Risultato interessante: ogni serie di potenze è una serie di Taylor. Se infatti
deriviamo una qualsiasi serie (partendo da quella con termine noto a0),
cambieremo, ad ogni derivazione, il termine non moltiplicato per x [passaggio dopo
passaggio: a1, 2a2, 6a3, …, n!an = f(n)(x0)]. Dividendo n!an = f(n)(x0) per n! troviamo
proprio un’espressione familiare che, se sostituiamo alla definizione di serie di
potenze…
- Mica tutte le serie di potenze si possono però scrivere come serie di Taylor: si
necessita che R > 0 e che |x-x0|< R (x0 è detto punto iniziale).
Luca Pagani – Riassunto Analisi B
mostra anche che derivabilità non assicura la continuità, nelle funzioni a più
variabili! Anzi, una funzione può non essere continua e avere tutte le derivate
direzionali: per provarlo, basta calcolare il rapporto incrementale rispetto un
generico versore (v1, v2) e mostrare che la derivata parziale rispetto a questo
versore esiste sempre.
- Nell’Analisi I si diceva che una funzione a una sola variabile reale era ben
approssimabile, al prim’ordine, dalla retta y = f ( x ) + f ' ( x )( x − x ) . Nelle funzioni a
più variabili si può fare un ragionamento analogo, ma questa volta non sarà una
retta bensì un piano ad approssimare la funzione: più precisamente il piano è
z = f ( x , y ) + f x ( x , y )( x − x ) + f y ( x , y )( y − y ) . Se la variazione è di (h,k), allora si dice
differenziale l’incremento f x ( x , y ) h + f y ( x , y )k . Se il differenziale esiste ed ha
senso, la funzione si dice differenziabile. La differenziabilità è una condizione
forte: assicura infatti la continuità e la parziale derivabilità (mentre il contrario
non funziona, che sfiga). Una funzione, per essere differenziabile, deve
ovviamente avere le derivate parziali! Se ci viene chiesta l’esistenza del
differenziabile in un determinato punto, controlliamo innanzitutto se queste
derivate esistono; a questo proposito, il passaggio a coordinate polari abbinato
⎛ f ( x + h, y + k ) − f ( x , y ) − f x ( x , y ) h − f y ( x , y ) k ⎞
all’uso della definizione ⎜ lim = 0⎟ è
⎜ ( h , k ) →( 0 , 0 ) ⎟
⎝ h2 + k 2 ⎠
un valido strumento.
- Si definisce vettore gradiente di una funzione (∇f) il vettore che ha per componenti
le derivate parziali della funzione stessa. Ha la grande utilità di facilitare la
scrittura del differenziale per le funzioni a n variabili reali (quante se ne vuole).
Se h è il vettore-incremento (h1, h2, …, hn), lo sviluppo al prim’ordine di f
differenziabile in x si scrive: f( x + h) = f( x ) + 〈∇f( x ),h〉 + o ( h ) .
- Se una funzione è differenziabile (in un punto), allora esistono tutte le derivate
∂
direzionali e per ogni direzione v si ha che f ( x ) = ∇f ( x ), v . Di conseguenza la
∂v
funzione è derivabile in ogni direzione e il gradiente non nullo – oltre a essere
sempre perpendicolare alla linea di livello - indica la direzione di massima
pendenza del grafico rispetto al punto.
- Teorema del differenziale totale: se le derivate parziali di f(x) sono definite per
tutti gli x in un intorno di x (in un “dominio”) e sono funzioni continue della
variabile x nel punto (si dice che f di classe C 1, perché tutte le sue derivate 1me
sono continue), allora f è differenziabile in x (nel dominio). Non vale il viceversa.
- La continuità delle derivate di una funzione e la validità della
∂
regola f ( x ) = ∇f ( x ), v (per ogni v e non solo per alcuni) sono due ottime
∂v
condizioni da utilizzare in eventuali esercizi. Il teorema del differenziale totale,
appena visto, è poi il metodo più veloce alternativo all’arida applicazione della
definizione.
- In Analisi I una funzione era costante se la derivata prima era zero. Nelle funzioni
a più variabili se una funzione ha gradiente nullo in ogni punto dell’insieme D
(aperto e connesso), allora è costante al suo interno.
- E se ci troviamo di fronte a una funzione a più variabili composta? Esiste la
regola della catena: se x è derivabile nel punto t ed f è differenziabile nel punto
corrispondente x(t), allora la funzione composta è derivabile in t con
Luca Pagani – Riassunto Analisi B
d
f ( x(t )) = ∇f ( x(t )), x' (t ) . Se vogliamo applicare la regola della catena per
dt
scoprire se, in una determinata funzione, una certa parametrizzazione individua
una linea di livello, il prodotto scalare sarà fra le derivate parziali e le equazioni
della traiettoria parametrizzata. Se il risultato è 0, la traiettoria è linea di livello.
- Rendiamo le cose più complicate: prendiamo una funzione a valori vettoriali.
Ecco le analogie con quelle studiate fin’ora:
1. L’approssimazione al prim’ordine: f ( x + h) = f ( x ) + Ah + o( h ), h → 0 , dove A
è una matrice che rappresenta un’applicazione lineare e qui fa da
differenziale.
2. Il gradiente diventa la matrice Jacobiana, così strutturata:
⎛ f1x1 ( x) f1x2 ( x) f1x3 ( x) .... f1xn ( x) ⎞
⎜ ⎟
⎜ f 2 x1 ( x) f 2 x2 ( x) f 2 x3 ( x) .... f 2 xn ( x) ⎟
⎜ M M M M ⎟ = J f (x )
⎜ ⎟
⎜ f mx ( x)
⎝ 1 f mx2 ( x) f mx3 ( x) .... f mxn ( x) ⎟⎠
Ogni riga corrisponde al gradiente di ogni singola componente.
3. Per le funzioni composte il gradiente diventa una moltiplicazione fra
matrici Jacobiane. J f o g ( x ) = J g ( y ) ⋅ J f ( x ) .
4. Se il determinante Jacobiano di una matrice è diverso da zero, allora si può
localmente invertire la funzione e J f −1 ( f ( x)) = ( J f ( x)) −1 .
- Problema: quante sono le derivate seconde di una funzione da Rn Æ R? Sono n2,
perché posso derivare per prima volta rispetto a una delle n variabili, e una
seconda volta per un’altra variabile a scelta (che sia la stessa o un’altra non
importa). Le derivate terze – poi - sono n3, insomma, il meccanismo è quello. Sarà
mai possibile che una funzione con un minimo di regolarità abbia le derivate del
tipo f xy , f yx diverse fra loro? Effettivamente non è così e ce l’assicura il teorema
di Schwarz: le derivate di questo tipo, se definite in un intorno di x in cui sono
continue, sono uguali. Possiamo estendere il caso fino alle derivate di ordine n: in
questo caso, se f ∈ C k (D) , l’ordine con cui sono considerate le eventuali k variabili
di derivazione è ininfluente. Tornando al caso di k = 2, se mettiamo tutte le
derivate (seconde) possibili in una matrice n x n, in cui n è il numero delle
variabili che abbiamo in esame, otteniamo la matrice Hessiana così definita
⎛ f x1x1 ( x) f x1x2 ( x) f x1x3 ( x) K f x1xn ( x) ⎞
⎜ ⎟
⎜ f x2 x1 ( x) f x2 x2 ( x) f x2 x3 ( x) K f x2 xn ( x) ⎟
⎜ M M M M ⎟ = H f (x )
⎜ ⎟
⎜ f x x ( x)
⎝ n1 f xn x2 ( x) f xn x3 ( x) K f xn xn ( x) ⎟⎠
Per quanto abbiamo detto fin’ora e all’interno del caso che stiamo esaminando,
non è difficile capire perché la matrice Hessiana sia una matrice simmetrica.
- Il teorema di Schwarz si rivela utile in alcuni esercizi: per esempio, può essere un
utile strumento per la verifica dell’esistenza di una non conosciuta funzione f di
cui si conoscono le derivate parziali. Se sono soddisfatte le ipotesi del teorema e si
deriva ancora una volta - in modo da ottenere f xy , f yx - e si scopre che queste
Luca Pagani – Riassunto Analisi B
ultime sono fra loro diverse, allora la funzione di partenza non può esistere.
Perché se la matematica fosse un’opinione, Cicognani allenerebbe il Cesena.
- La matrice Hessiana ci torna utile se vogliamo fare lo sviluppo al
1 2
second’ordine: f ( x + h) = f ( x ) + ∇f ( x ), h + H f ( x )h, h + ο ( h ), h → 0 .
2
- Come in ogni studio di funzione che si rispetti, è necessario porsi un problema di
massimi e minimi. In Analisi I si cercavano i valori in cui la derivata prima si
annullava: qui bisognerà cercare i punti nei quali si annulla il gradiente. Tali
punti sono detti critici e i relativi estremanti vengono detti liberi perché interni
al dominio D. I punti critici possono essere di massimo, di minimo o di sella
(metodo: se si vuole scoprire se l’origine è un punto di sella in una determinata
equazione, controlliamo che succede in intorni circolari che attraversano i vari
quadranti: se la funzione assume valori di segno diverso, allora per forza l’origine
è un punto di sella). Esaminiamo un po’ di condizioni:
o NECESSARIA. Se f ∈ C 2 ( D) , se f ha valori scalari e x è un punto critico
interno al dominio, se x è un punto di minimo (risp. di massimo) relativo,
allora la matrice hessiana Hf( x ) è semidefinita positiva (risp. semidefinita
negativa). In particolare, se la matrice hessiana Hf( x ) è indefinita, allora x
è un punto di sella. Reminescenze di Geometria: quando una matrice
simmetrica è semidefinita positiva o negativa? Teorema di Sylvester: sia
A ∈ S n (R) una matrice simmetrica reale e, per ogni k ∈ N n , sia Mk il minore
di A formato dalle prime k righe e dalle prime k colonne. Allora A è definita
positiva se e solo se ∀k ∈ N n il detMk > 0; A è definita negativa se ∀k ∈ N n il
detMk è > 0 per i k pari e < 0 per i k dispari.
o SUFFICIENTE. Sia f ∈ C 2 ( D) , f a valori scalari e x un punto critico interno al
dominio; allora se Hf( x ) è definita positiva (risp. definita negativa)
allora x è un punto di minimo (risp. di massimo) relativo. Reminescenze di
Analisi I: è l’equivalente (in più variabili) della positività o negatività della
derivata seconda! Nel caso della matrice hessiana indefinita, abbiamo
sempre il punto di sella.
- Fin’ora abbiamo esaminato punti critici interni al dominio D. E sulla frontiera?
Tenendo conto del fatto che, spesso, nelle applicazioni, tratti di frontiera sono
descritti da una o più equazioni, possiamo parlare di massimi e minimi di
funzioni vincolati a queste equazioni. Definiamo innanzitutto cos’è una varietà -
in R2 – di una certa funzione g: è una funzione di classe C1 in A tale che
∇g ( x, y ) ≠ 0 in tutti i punti tali che g(x,y)=0 (Å Vincolo!). Si parla in tal caso di
varietà di dimensione 1 (le dimensioni sarebbero 2, ma vengono ridotte a 1 a
causa del vincolo): il grado di libertà pari ad 1 dovrebbe renderci in grado di
esplicitare la relazione g(x,y) = 0 o così y = y(x), o così x = x(y) – insomma, con una
variabile espressa in funzione dell’altra. Su tutto il dominio non si può fare, ma
localmente sì, e ce lo permette il teorema del Dini. Se g ( x , y ) = 0 ,
g y ( x , y ) ≠ 0, g ∈ C 1 allora esistono sicuramente I e J intervalli reali dove
− g x ( x, y )
x ∈ I , y ∈ J e una funzione y: I Æ J tale che y( x ) = y , y’(x)= e risultano
g y ( x, y )
equivalenti le relazioni g(x,y) = 0 e y = y (x). In pratica, in un piccolo rettangolino
Luca Pagani – Riassunto Analisi B
del piano che racchiude un piccolo tratto di frontiera, è possibile ricavare una
variabile in funzione dell’altra.
- A questo punto vogliamo determinare quali siano questi massimi e minimi
vincolati. C’è un metodo sistematico: quello dei moltiplicatori di Lagrange. Se
( x , y ) è un punto di massimo o minimo vincolato sulla varietà V = {(x,y) ∈ A:
g(x,y)=0}, per la funzione f: AÆR, differenziabile, allora basta risolvere il
⎧ f x ( x, y ) =λg x ( x, y )
⎪ f ( x , y ) = λ g ( x, y )
⎪ y y
sistemone: ⎨ . Facile, no?
⎪ g ( x, y ) = 0
⎪( x, y ) ∈ A
⎩
- Estendiamo il caso alle verità di dimensioni 2 (nello spazio). L’analisi locale
riguarda, questa volta, un cubettino che racchiude la frontiera. Se ( x , y , z ) è un
punto di massimo o minimo vincolato sulla varietà V = {(x,y,z) ∈ A: g(x,y,z)=0}, per
⎧ f x ( x, y, z ) =λg x ( x, y, z )
⎪ f ( x , y , z ) = λ g ( x, y , z )
⎪ y y
⎪
la funzione f: AÆR, differenziabile, allora il sistemone è: ⎨ f z ( x, y, z ) = λg z ( x, y, z ) .
⎪ g ( x, y , z ) = 0
⎪
⎪⎩( x, y, z ) ∈ A
Il sistemone assicura che ∇f ( x , y , z ) = λ∇g ( x , y , z ) e che quindi il vettore gradiente
appartiene allo spazio ortogonale.
- Se le condizioni del vincolo sono più d’una, allora non sarà sufficiente una sola
costante λ, ma dovremo introdurne un’altra; il sistema diventa allora così.
⎧ f x ( x, y, z ) =λg1x ( x, y, z ) + μg 2 x ( x, y, z )
⎪
⎪ f y ( x, y, z ) = λg1 y ( x, y, z ) + μg 2 y ( x, y, z )
⎪⎪ f ( x, y, z ) = λg ( x, y, z ) + μg ( x, y, z )
⎨
z 1z 2z
.
⎪ g1 ( x , y , z ) = 0
⎪ g ( x, y , z ) = 0
⎪ 2
⎪⎩( x, y, z ) ∈ A
- I sistemoni di Lagrange sono utilissimi in problemi di massimo e minimo
come, ad esempio, trovare la distanza minima (o massima) di un punto da un
piano o dall’intersezione di più piani, oppure trovare superficie e volume massimi
di oggetti di cui si conoscono certe caratteristiche che fungono da “vincoli”.
Problemi da scuola superiore? Niente affatto. Questo metodo ha potenzialità
enormi, che si estendono oltre il campo dell’analisi di funzione: può essere infatti
applicato a problemi geometrici o fisici, insomma, ovunque ci sia un problema in
cui bisogna rispettare delle condizioni (vincoli) e in cui si cercano i valori “limite”,
beh, Lagrange è quel che fa per te. La funzione di cui si dovranno cercare i punti
critici sarà: la distanza espressa con un sistema di coordinate a scelta, nei
problemi di distanza (es. cartesiana nelle tre dimensioni x 2 + y 2 + z 2 ); la
funzione f(x1, x2, …, xn) nell’analisi più astratta; la funzione di volume di un solido
nei problemi di volume, etc…
- Se, poi, si conoscono i massimi e i minimi di una funzione essendo
contemporaneamente soddisfatte le ipotesi dei teoremi di Bolzano e di
Luca Pagani – Riassunto Analisi B
⎧γ 1 ' y1 + γ 2 ' y2 = 0
prima, ottenendo: ⎨ . Cercando infine le primitive di γ1 e γ2 – risolto
⎩γ 1 ' y1 '+γ 2 ' y2 ' = f
il sistema - possiamo esprimere così la soluzione particolare dell’equazione
completa: u ( x) = γ 1 y1 + γ 2 y2 (non dimentichiamoci di moltiplicare i risultati per le
relative y!). Questa andrà aggiunta alle soluzioni della relativa equazione
omogenea. Questo, che abbiamo esposto, è il metodo della variazione delle
variabili.
- Soluzioni particolari per similitudine: funziona su equazioni lineari complete
solo quando abbiamo coefficienti costanti a1 e a2 e un termine noto f(x) del tipo
f ( x) = p( x)eαx cos(βx) + q( x)eαx sin(βx) , dove p(x) e q(x) sono polinomi (e quindi
anche costanti).
o Casi particolari: β=0 Æ f(x) = p( x)eαx ; α=0 Æ f ( x ) = p ( x) cos( β x ) + q ( x ) sin( β x ) .
La soluzione particolare u, che dobbiamo ora trovare, ha la stessa struttura di
f: u = P( x)eαx cos(βx) + Q( x)eαx sin( βx) . P(x) e Q(x) da determinarsi, sostituendo in
u ' '+ a1u '+ a2u = f ( x) e uguagliando i coefficienti dello stesso membro.
o α + iβ non risolve l’equazione caratteristica. Si cerca u del tipo
u = A( x)eαx cos(βx) + B( x)eαx sin( βx) , con A(x) e B(x) polinomi di grado m. Si
impone quindi che u sia soluzione e, uguagliando i coefficienti di tutti i termini
simili, si ottiene un sistema lineare che ha un’unica soluzione.
o α + iβ risolve l’equazione caratteristica. Sia r la molteplicità di questa
soluzione. Nel caso di equazioni del second’ordine abbiamo due casi possibili:
r=1 (soluzione semplice) e r=2 (soluzione doppia). Questa volta si cerca u del
tipo u = x r A( x)eαx cos(βx) + x r B( x)eαx sin(βx) con A(x) e B(x) polinomi di grado m.
Si agisce come nel caso precedente, trovando il sistema e risolvendolo.
o SCHEMINO RIASSUNTIVO (f(x) = termine noto, u = sol. particolare)
f ( x) = e ax // a radice di molteplicità r // u = Ax r eax
f ( x ) = cos β x // β radice di molteplicità r // u = x r ( A cos βx + Bsenβx)
f ( x) = e ax cos βx // a+iβ radice di molteplicità r // u = x r e ax ( A cos βx + Bsenβx)
f (x ) = polinomio grado m // 0 radice di molteplicità r // u = xr (pol. grado m)
La soluzione particolare va sostituita qui u ' '+ a1u '+ a2u = f ( x) e quindi si possono
trovare i coefficienti!
- Principio di sovrapposizione: per linearità tutte le equazioni del tipo
y ' '+ a1 y '+ a2 y = f1 + f 2 sono nella forma u = u1 + u2 , con u1 soluzione di
y' '+ a1 y '+ a2 y = f1 e u2 soluzione di y ' '+ a1 y '+ a2 y = f 2 . Ci sono tanti calcoli da fare,
ahimé.
- Attenzione ai Parametri! In alcuni esercizi, particolarmente bastardi, può
esserci un parametro a moltiplicare dei termini con la y. Può fare la differenza fra
la presenza di due radici reali e distinte, una radice unica e doppia, due radici
complesse e coniugate. Toccherà - ahimé - distinguere ogni caso al variare del
parametro. Se poi sono equazioni omogenee non è tutto ‘sto problema… Se c’è
invece da trovare pure la soluzione particolare, non ne parliamo…
Luca Pagani – Riassunto Analisi B
IV – Integrali curvilinei
- Arco continuo in Rn: parametrizzato da t Æ r(t) ∈ Rn, t ∈ [a,b], con r(t) funzione
continua della variabile reale t nell’intervallo [a, b], di componenti r(t) = (x1(t), …,
⎧ x1 = x1 ( t )
⎪
xn(t)). Le equazioni parametriche dell’arco sono ⎨M . Si dicono r(a) ed r(b)
⎪ x = x (t )
⎩ n n
gli estremi dell’arco: se r(a) = r(b) l’arco si dice aperto, altrimenti si dice chiuso.
- Un arco è regolare quando la funzione vettoriale r(t) è derivabile con derivata r’(t)
continua e tale che r’(t)≠0 (che permette l’invertibilità) per ogni t ∈ [a,b]. Questo
r ' (t )
consente di definire in ogni punto dell’arco il versore tangente T ( r ( t )) = .
r (t )
Anche il versore tangente è una funzione continua e, in ogni punto, ha verso
coerente col verso di percorrenza.
- Possiamo anche operare cambi di parametro: se r(t) ∈ Rn, t ∈ [a,b] parametrizza
un arco continuo, possiamo trovare:
o una funzione continua ed invertibile (derivata prima sempre diversa da
zero) e quindi biezione dall’intervallo [α,β] ad [a,b] - ovvero t = t (τ ) ,
τ ∈ [α , β ] ;
o la funzione composta ρ(τ) = r(t(τ)), τ ∈ [α , β ] .
- La funzione r(t) e la funzione ρ(τ) assumono gli stessi valori: in termini cinematici,
il punto mobile descrive la stessa traiettoria. Tuttavia, la velocità può essere
diversa. Nella fisica, la derivata prima è la velocità: cerchiamola e otteniamo
ρ ' (t ) = r ' (t (τ )) ⋅ t ' (τ ) . Il termine t’(τ) individua l’orientazione: se è positivo i due
archi sono equiorientati.
- Facciamo un esempio: vogliamo parametrizzare un’ellisse. Essa si parametrizza
⎧ x = a cos t
così r: ⎨ con 0 ≤ t ≤ 2π (verso di percorrenza antiorario). Come si esprime,
⎩ y = bsent
a b π
attraverso la parametrizzazione, il punto ( , )? P = r( ). Come posso, ora,
2 2 4
⎛π ⎞
esprimere l’equazione della retta passante per P con direzione r’ ⎜ ⎟ ? Calcoliamo
⎝4⎠
⎧ 2 ⎛ a 2⎞
⎪x = a + s⎜⎜ − ⎟
⎧ x' = −asent ⎪ 2 ⎝ 2 ⎟⎠
il vettore derivato ⎨ e otteniamo un nuovo sistema ⎨ ,
⎩ y ' = b cos t ⎪ 2 ⎛ 2⎞
⎜ ⎟
⎪ y = b 2 + s⎜ b 2 ⎟
⎩ ⎝ ⎠
dove i primi termini indicano che tale retta passa per il punto, e tutti i secondi
⎛π ⎞
termini sono tutti i possibili vettori proporzionali a r’ ⎜ ⎟ . Se necessitiamo
⎝4⎠
dell’equazione cartesiana ricaviamo s nella prima equazione e sostituiamo nella
seconda. Un altro esempio è quello dell’elica cilindrica: una parametrizzazione
Luca Pagani – Riassunto Analisi B
⎧
⎪ x = R cos t
⎪
può essere la seguente: ⎨ y = Rsent , 0 ≤ t ≤ 2π , dove le prime due equazioni sono
⎪ h
⎪z = t
⎩ 2π
quelle della circonferenza, mentre l’ultima indica la quota. Volendo trovare
l’equazione della retta tangente in P (-R, 0, h/2π), si deriva il sistema appena
scritto, poi si sostituiscono a t i valori di P, e otteniamo che r’(π) = (0, -R, h/2π). Il
⎧
⎪ x=− R + s (0)
⎪⎪
sistema della retta tangente in quel punto sarà ⎨ y = 0 + s (− R) . Come prima, i
⎪
⎪z =
h ⎛ h ⎞
+ s⎜ ⎟
⎪⎩ 2π ⎝ 2π ⎠
primi termini sono le coordinate del punto, i secondi sono tutti i proporzionali
vettori tangenti. Trovando s e sostituendo possiamo trovare un’equazione
cartesiana.
- Ora vogliamo esaminare la lunghezza di un arco continuo e regolare r(t): in
maniera euclidea è la sommatoria di tanti tratti piccoli di traiettoria che, se presi
infinitesimi, va sostituita con un integrale. La lunghezza d’arco è infatti
b
b
formula precedente (dove al posto di ds c’è dt): ∫ f (r (t )) r ' (t ) dt . Ovviamente al
a
Luca Pagani – Riassunto Analisi B
∫ F (r (t )), r ' (t ) dt : il primo termine del prodotto scalare rappresenta una forza, il
a
secondo una velocità.
- Piccolo trucchetto squisitamente pratico: spesso, una volta che si è trovata una
parametrizzazione e si è impostato l’integrale, capita che al suo interno siano
presenti una funzione f(x) e la sua derivata. Ciò rende di grande facilità
l’integrazione: buttiamoci un occhio.
- POTENZIALI: dato un campo continuo F: A ⊂ Rn Æ Rn, diremo che F è ESATTO in A
se esiste una funzione scalare U: A Æ R, di classe C1, tale che ∇U = F . U si dice
potenziale di F. Se F è esatto su A ed A è connesso, tutti i potenziali differiscono
per una costante. A risulta comodo sapere se un campo è esatto perché, in tal caso,
si può calcolare il lavoro come differenza di potenziale (L =ΔU = Ufin – Uiniz).
- Se F è un campo esatto in A con potenziale U e se γ è una curva orientata regolare
in A, di punto iniziale P e punto finale Q, allora ∫ F ⋅ dr = U (Q) − U ( P) .
γ
- CAMPI CONSERVATIVI: l’integrale di un campo F non dipende dal percorso ma solo
dagli estremi (campo conservativo) quando F (continuo) è definito su un aperto
connesso A e, per ogni x,y ∈ A ed ogni γ1 e γ2 curve orientate e regolari in A di
punto iniziale x e punto finale y, si ha ∫ F ⋅ dr = ∫ F ⋅ dr . Dire insomma che
γ1 γ2
l’integrale di F non dipende dal percorso e che, per ogni curva chiusa, si ha che
Luca Pagani – Riassunto Analisi B
- CAMPI CHIUSI: diremo che un campo F = (f1, …, fn) di classe C1 è un campo chiuso
in A se per ogni x = (x1, …, xn) vale che ∂ xi f x j ( x) = ∂ x j f xi ( x) . Fisicamente, dire che
il campo è chiuso è equivalente a dire che ha rotore pari a 0. Se A è un aperto di
Rn e se F è un campo di forze in A, di classe C1, allora quando F è esatto è pure
chiuso.
- Se il campo piano F è chiuso sul dominio A di R2, semplicemente connesso, allora
F è esatto in A.
- In qualunque dimensione n diremo che l’aperto connesso A di Rn è stellato se
esiste x0 ∈ A tale che per ogni x ∈ A il segmento di estremi x0 ed x è contenuto in
A. Vale dunque il seguente teorema: se il campo piano F è chiuso sul dominio
stellato A, allora F è esatto in A. Per n = 2, il fatto che A sia stellato porta a dire
che è anche semplicemente connesso.
- RICERCA DI UN POTENZIALE: dato un campo chiuso in A ,esistono potenziali
locali. È importante saperli determinare: dopo averli trovi esplicitamente si può
controllare se si possono estendere o meno all’intero dominio A verificando così se
il campo è globalmente esatto o no. Nel caso che A sia semplicemente connesso nel
piano o stellato in un qualunque Rn, sappiamo fin dall’inizio che esistono
potenziali globali. Nella determinazione di potenziali possiamo usare le formule
standard:
x y
U ( x, y ) = ∫ f1 (t , y0 )dt + ∫ f 2 ( x, t )dt
x0 y0
x y z
U(x,y,z) = ∫ f1 (t , y0 , z 0 )dt + ∫ f 2 ( x, t , z 0 )dt + ∫ f 3 ( x, y, t )dt
x0 y0 z0
[f1, f2, f3 sono le componenti del campo di forze]
⎛ 1 1 3 y ⎞⎟
- Caso interessante: F ( x, y ) = ⎜ + 2 x, + 2 . Il dominio naturale è
⎜x+ y x + y y + 1 ⎟⎠
⎝
x + y ≠ 0 : R2 con questo dominio non è stellato, ma le due parti in cui viene diviso
sì: ciascuna delle due componenti in cui è diviso R2 è connessa ed esiste un
potenziale globale in ciascun semipiano. Dobbiamo differenziare i due casi: il
punto critico è il log x + y , che viene fuori durante i calcoli, all’ultimo passaggio,
quello di definire il potenziale. Si facciano entrambi i casi x+y>0 e x+y>0.
- Se la CIRCUITAZIONE (calcolo di lavoro su percorso chiuso) è diversa da zero, il
campo non è conservativo e non esiste potenziale.
- SCALETTA per controllare se il potenziale è LOCALE o GLOBALE:
o Controllo della chiusura (non chiuso Æ non c’è potenziale)
o Si guarda se ci sono “buchi”
o Si cercano i potenziali locali
o Questi ultimi si estendono globalmente? Se sì esiste un potenziale globale,
altrimenti rimane soltanto locale.
SCHEMINO DI RIEPILOGO
- F esatto su A Æ F conservativo su A
- F conservativo su A aperto connesso Æ F esatto su A
→
- F esatto in A F chiuso in A
←
/
- F non chiuso in A Æ F non esatto in A
→
- F chiuso in A, semplicemente connesso F esatto in A
←
/
- A stellato Æ ∃ Potenziale globale
- F chiuso in A, stellato Æ F esatto
- A stellato Æ A semplicemente connesso
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V - Integrali Multipli
b ⎛ β ( x) ⎞
Un integrale doppio! Eccolo qua: ∫ f ( x, y )dydx = ∫ ∫ f ( x, y )dy ⎟dx . Le parentesi si
⎜
⎜ ⎟
A a ⎝ α ( x) ⎠
possono omettere, perché si sottintende che prima si farà l’integrale più interno:
l’integrale interno forma la lamina, quello esterno la fa scorrere.
- CAMBIO DI VARIABILE: la questione è piuttosto delicata. Sia B un insieme aperto e
misurabile di Rn e sia ϕ: B Æ ϕ(B); sia x = ϕ(u) una funzione di classe C1
invertibile e tale che det Jϕ(u) ≠ 0 per ogni u∈B. Allora anche l’insieme ϕ(B) è
misurabile con misura μn(ϕ(B)) = ∫ det J ϕ (u )du ; sia poi f(x) una funzione
B
sommabile su ϕ(B). Allora, la funzione f(ϕ(u)) [cambio di variabile!] è sommabile
su B con ∫ f ( x)dx = ∫ f (ϕ (u )) det J ϕ (u ) du . Quando operiamo un cambio di
ϕ ( B) B
variabile, dunque, RICORDIAMOCI SEMPRE DI MOLTIPLICARE PER LO JACOBIANO!
Questo può essere calcolato una volta sola nella vita, poi basta ricordarselo. Per le
coordinate polari è r (sia nel piano che nello spazio); per le coordinate sferiche è
invece –r2sinϕ.
- Teorema di Guldino: sia A il solido di rotazione generato dalla figura piana C. Il
volume di A vale il prodotto tra l’area di C e la lunghezza della circonferenza
descritta dal baricentro di C durante la rotazione. In formule: μ 3 ( S ) = μ 2 ( A) ⋅ 2π ⋅ xG
- RIDUZIONE DI INTEGRALI TRIPLI: partiamo subito con un esempio. ∫z dxdydz , con
A
{ }
A= ( x, y , z ) : 0 ≤ z ≤ 1; x ≥ 0; y ≥ 0; x + y ≤ z . Vogliamo trovare il baricentro
geometrico G=(xG, yG, zG). Considerazioni: siamo nel primo quadrante (x e y
positivi), il solido di cui cerchiamo il volume lo pigliamo da 0 a 1 lungo le x, z varia
secondo una legge parabolica (ovvero quadratica), dato che z = ( x + y ) 2 ; la sezione
piana di quota z è un triangolo rettangolo isoscele con cateto di lunghezza z . Per
1
quanto abbiamo detto fin’ora, il volume di A vale μ 3 ( A) = ∫ μ 2 ( Az )dz . Si integra
0
dunque in dz l’area del triangolo (che esprimiamo in z: è infatti pari a z/2):
1
1
xdxdydz = 4∫ ∫ xdxdydz (il primo
μ 3 ( A) ∫A
l’integrale vale 1/4. Calcoliamo ora xG: xG =
0A z
{ }
A = ( x, y, z ) : 0 ≤ z ≤ x 2 + y 2 , z ≤ 2 − x 2 − y 2
Certamente è d’uopo passare alle
coordinate cilindriche e facilmente si
ottiene che il nuovo insieme C è così
Luca Pagani – Riassunto Analisi B
{ }
descritto. (r , z ) : 0 ≤ z ≤ r , z ≤ 2 − r 2 . Nel disegnino esplicativo (“Pagani-Tagliatelle”)
sono state utilizzate le condizioni per capire come ottenere gli estremi.
- A volte può risultare conveniente scomporre il nostro integrale in modo da avere
estremi più comodi: se si deve integrare una piccola parte di grafico, magari facente
parte di una parte più grande “ristretta” da una condizione, allora si faccia la
sottrazione fra la parte più grande e la parte piccola “esclusa”. Semplifica moltissimo
i calcoli.
- Non è per forza detto che, applicando un sistema di coordinate, dobbiamo trasformare
tutto in r, ϑ e ϕ . Una z, spesso, può rimanere: in tal caso, se andiamo a integrare,
integriamo anche la z!