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VINIFICAZIONE IN BIANCO

Estrarre il potenziale qualitativo dell’uva

Le decisioni importanti si prendono prima della fermentazione alcolica.

Al momento del conferimento dell'uva alla cantina ormai le scelte vendemmiali sono state fatte e
non ci resta che prendere atto delle caratteristiche qualitative dell'uva da lavorare. I principali fattori
da considerare sono lo stato sanitario, la maturità e il tipo di vino che si vuole ottenere, in base ai
quali dovranno essere formulate le scelte tecnologiche. L'assenza di macerazione in fase di
fermentazione alcolica è l'elemento distintivo della vinificazione in bianco. Ma sarebbe esagerato
affermare che la vinificazione in bianco non comporta nessun tipo di macerazione, ossia
solubilizzazione di componenti delle parti solide. Questa avviene infatti in fase prefermentativa
durante le operazioni di estrazione e chiarifica del succo: Vinificare in bianco non vuol solo dire far
fermentare i mosti, ma soprattutto estrarre dall'acino in modo ottimale i composti utili, determinanti
per la qualità del vino, evitando l'estrazione dei costituenti in grado di generare difetti gustativi o
olfattivi. In altri termini l'arte di vinificare in bianco risiede nell'abilità di estrarre tutto il potenziale
qualitativo dell'uva, senza eccedere, e nel mantenerlo nelle fasi successive. La qualità dei vini
bianchi dipende in larga misura dalle condizioni in cui si svolgono le operazioni prefermentative.
Le scelte importanti si fanno quindi prima della fermentazione alcolica nel momento in cui si decide
se fare o non fare la macerazione pellicolare, si definiscono la durata e i programmi delle pressature,
il grado di defecazione dei succhi, si sceglie il ceppo di lievito. Certamente un principio guida da
tener presente durante tutta la vinificazione è che ogni operazione deve essere concepita in modo da
agevolare l'operazione successiva. Ad esempio l'estrazione del succo deve essere concepita in modo
da agevolare la successiva operazione di defecazione dei mosti, quindi cercando di produrre poche
fecce; la defecazione deve essere fatta considerando che può avere risvolti anche importanti sulla
fermentazione ecc.

Macerazione pellicolare
Nel caso di alcuni vitigni (Chardonnay, Moscato, Sauvignon ecc.), ma soprattutto in condizioni di
maturità e stato sanitario ottimali, una seppur breve macerazione pellicolare può risultare
interessante per ottenere una certa estrazione di composti della buccia che partecipano all'aroma e
conferiscono corpo e attitudine al l'invecchiamento ai vini.
La macerazione pellicolare propriamente detta consiste nell'attuare, in condizioni controllate, una
fase di contatto tra succo e bucce. In situazioni ideali l'uva diraspata viene posta in vasca di
macerazione, sotto atmosfera di CO2, per evitare ossidazioni, e in assenza di SO2, per limitare
l'estrazione di composti fenolici. II controllo della temperatura, che deve rimanere sotto i 15°C, è di
capitale importanza. Per l'abbassamento iniziale della temperatura si può ricorrere all'impiego di
uno scambiatore tubo in tubo o all'uso di ghiaccio secco (CO2 in bombole), ottenendo il doppio
risultato.di controllo termico e protezione dalle ossidazioni. La macerazione pellicolare può essere
fatta direttamente in pressa con ovvi vantaggi enologici ma con l'immobilizzo della macchina per
alcune ore, o in apposite vasche, attrezzate per favorire la percolazione del succo ed il trasferimento
del materiale solido in pressa. La durata della macerazione, in funzione della temperatura e del tipo
d'uva, può variare da 4-5 fino a 20 ore. La macerazione pellicolare, oltre all'estrazione di composti
utili dalle bucce, induce un abbassamento dell'acidità e aumento del pH in virtù del maggiore
arricchimento in potassio. Inoltre fa registrare un aumento della densità ottica a 280 nm, indice di
una maggiore presenza ci sostanze fenoliche,'the poi si attenua nel prosieguo della vinificazione. I
mosti risultano più fermentescibili data la cessione da parte delle bucce anche di maggiori quantità
di nutrienti per i lieviti. Due tecniche particolari sono la "crioselezione" e la "superestrazione". La
prima consiste nel pigiare uve che sono state mantenute per una ventina di ore a temperature di 2°-
3° C sotto lo zero, solo gli acini a maggiore concentrazione zuccherina non congelati liberano il

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succo, gli altri no. A seconda della temperatura e del tempo di congelamento si possono selezionare
succhi più o meno concentrati. La seconda consiste nella pressatura di uva intera congelata e
scongelata. Questo procedimento induce una certa disorganizzazione del tessuto vegetale, che
permette una maggiore liberazione di aromi o loro precursori dalle bucce. È dunque una tecnica che
favorisce l'espressione dei grandi vitigni.

Estrazione del succo


La prima qualità di un processo di estrazione del mosto risiede nella sua attitudine a fornire succhi
limpidi, con torbidità non molto distante da quella che si desidera avere in fase di fermentazione. La
chiarifica dei mosti sarà tanto più semplice da realizzare e da ottenere quanto più il mosto fiore o il
mosto di sgrondo dalla pressa è limpido. Mosti molto carichi di fecce, oltre a porre maggiori
problemi di chiarifica, sono chiaro indice di trattamenti violenti all'uva, con probabile estrazione di
costituenti a carattere erbaceo o di composti fenolici facilmente ossidabili in grado di coprire gli
aromi varietali. Regole generali da seguire durante la pressatura delle uve sono:
• esercitare le pressioni più basse possibili;
• evitare il più possibile azioni meccaniche energiche;
• programmare aumenti di pressione lenti e progressivi;
• ottenere grossi volumi di estrazione alle pressioni più basse;
• lavorare a temperature basse, non oltre i 20°C;
• lasciare i mosti esposti all'aria il meno possibile.
L’ operazione,di estrazione può essere fatta in continuo, in una linea di lavorazione che , mette in
successione: pigiatura - sgrondo dinamico in continuo - pressa continua. Questo sistema permette di
lavorare rapidamente grosse quantità di uva, ha però l'inconveniente di fornire mosti fecciosi a
torbidità elevata. Ciò nonostante, dato il breve contatto tra succo e parti solide, il mosto risulta
povero in composti aromatici dell'uva e in composti utili allo sviluppo dei lieviti, per cui le
fermentazioni possono risultare stentate. Nel caso dell'estrazione discontinua senza pigiatura l'uva è
versata intatta nella pressa e l'estrazione del succo avviene in maniera discontinua secondo i cicli di
pressatura.
Le presse possono essere di tipo verticale od orizzontali a vite o pneumatiche. La qualità dei succhi
ottenuti dalle presse verticali, che operano senza sgretolare le bucce è senza dubbio elevata, il succo
che si ottiene è assolutamente poco feccioso, inoltre occorrendo un certo tempo perché si abbia la
percolazione del succo, questo si arricchisce di composti della buccia. Per contro con queste presse
si devono esercitare pressioni molto elevate che possono raggiungere anche i 14 bar negli ultimi
cicli e si lavorano piccoli volumi. Oggi le presse verticali si trovano ancora in piccole realtà che
fanno prodotti particolari di qualità elevata. Le presse orizzontali a piatti possono dare risultati
qualitativi anche molto diversi a seconda dei tipo di gestione dei cicli di pressatura. Pressature con
rapidi aumenti di pressione, frequenti e veloci movimentazioni della massa con energiche rotture
del panello di pressatura inducono la produzione di succhi fecciosi, ricchi di sostanze a sentore
vegetale e ossidati o facilmente ossidabili. Pressature lente e movimentazioni lente della gabbia
conducono a risultati certamente interessanti. Le presse pneumatiche possono lavorare a pressioni
molto basse (0,5-2 bar) e possono avere dimensioni più grandi delle precedenti. Le norme generali
per il loro impiego sono le stesse, favorire l'estrazione dei volumi massimi a basse pressioni e
limitare il più possibile i rimescolamenti meccanici della massa. Con queste macchine si ottengono
succhi ancora più limpidi che nei caso precedente.
Possiamo dire che l'avvento delle presse pneumatiche ha cambiato radicalmente le condizioni di
pressatura delle uve bianche, permettendo di ottenere succhi chiari, con tempi di pressione molto
più corti e con una porzione limitata di succhi di pressa da scartare. È opportuno comunque
controllare che i tempi di contatto tra succo e parti solide siano sufficienti a consentire un adeguato
passaggio di composti aromatici nel mosto. L'operazione di pressatura può essere preceduta dalla
pigiatura e diraspatura. In questo caso sarebbe buona norma disporre la pigiatrice sopra la pressa in
modo da evitare la movimentazione dei pigiato con l'uso di pompe. L'interesse di pigiare prima di

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pressare è legato all'ottenimento di un volume di mosto di sgrondo più importante già al momento
del riempimento della pressa. Ciò comporta un aumento di capacità di lavoro della pressa e una
riduzione dei tempi di pressatura. Per contro i mosti cosi ottenuti sono più torbidi ma meno ricchi di
sostanze utili provenienti dalle bucce. La diraspatura delle uve bianche, prima della pressatura, può
portare degli inconvenienti. I raspi nel corso della pressatura svolgono il ruolo di dreni, in loro
assenza lo sgrondo diviene più lento.
Inoltre la presenza di raspi permette di ottenere mosti più poveri in proteine termoinstabili.

Protezione dei mosti dall'ossidazione


È convinzione abbastanza diffusa che l'ossigeno è nemico dei vini bianchi. Alcuni enologi per
contro sostengono che i . mosti troppo protetti dalle ossidazioni danno vini che in seguito risultano
molto sensibili alle ossidazioni. Una tecnica che ha trovato una certa diffusione, la
iperossigenazione, consiste nell'ossigenare in fase precoce i mosti, in modo da ossidare i polifenoli
e favorirne la precipitazione prima della fermentazione. La stabilizzazione del colore del vino è così
normalmente raggiunta, pareri discordi si hanno invece sui caratteri aromatici dei vini che ne
derivano. Non sembra influire negativamente sull'aroma di certi Chardonnay alsaziani o tedeschi, è
però dimostrato che questa tecnica riduce notevolmente i precursori di aroma, 4-metil4-
mercaptopentan-2-one (4MMP), del Sauvignon bianco, che dà i migliori risultati dal punto di vista
aromatico nelle vinificazioni in completa riduzione.
II consumo di ossigeno nei mosti è essenzialmente dovuto a una ossidazione enzimatica dei
composti fenolici. Intervengono due ossidasi: la tirosinasi presente nelle uve sane e la laccasi
prodotta dalla Botrytis cinerea nelle uve ammuffite. II dosaggio specifico della laccasi permette di
apprezzare lo stato sanitario delle uve. La tirosinasi ha per substrato quasi esclusivo gli acidi
cinnamici e i loro esteri con l'acido tartarico presenti nei mosti. Queste reazioni di ossidazione sono
estremamente rapide: la velocità di consumo dell'ossigeno in un mosto può superare i 2 mg/l al
minuto, mentre in un vino essa è nell'ordine di 2 mg/l al giorno. Le principali strategie attuabili per
proteggere il mosto dall'ossidazione sono: -
• il solfitaggo; si consiglia a questo scopo di addizionare in un unico intervento almeno 5 g/hl di
SO2;
• l’addizione di acido ascorbico;
• il raffreddamento dell'uva che agisce sulla velocità delle reazioni, la velocità di consumo
dell'ossigeno, è tre volte più alta rispetto a 30 °C rispetto che 12°C; ,
• il riscaldamento a 60 °C per qualche minuto permette la disattivazione delle ossidasi;
• la manipolazione dell'uva al riparo dall'aria;
• la defecazione dei mosto che elimina una parte dell'attività tirosinasica associata alle particelle
solide in sospensione.

La defecazione
La defecazione propriamente detta consiste nel separare il succo chiaro dalle sue fecce, prima della
fermentazione alcolica.
L'azione delle pectinasi sulla trama colloidale dei mosti facilita questa operazione. Se l'uva è
attaccata da Botrytis i polisaccaridi da essa prodotti, β-D-glucani, possono provocare grossi
problemi di chiarifica. È da tempo noto che i vini ottenuti dalle
fermentazioni di mosti ricchi di fecce in sospensione presentano aromi pesanti, erbacei e sapori
amari; inoltre essi risultano più colorati, più ricchi di composti fenolici, e il loro colore è meno
stabile all'ossidazione. A fine fermentazione possono presentare sentori di ridotto non sempre
eliminabili con i travasi.
Al contrario, partendo da mosti illimpiditi in modo appropriato si ha un sostanziale miglioramento
delle caratteristiche organolettiche dei vini bianchi, ottenendo caratteri fruttati assai più netti e
stabili. La chiarifica dei mosti induce un abbassamento del tenore in alcoli a 6 atomi di carbonio,
che si formano a partire da aldeidi a 6 atomi di carbonio, poco solubili, associate alle particelle

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solide. È stato osservato e confermato che la pulizia dei mosti risulta tanto più utile quanto più la
pressatura è poco delicata e le uve non troppo mature. Alcuni composti solforati sgradevoli prodotti
dai lieviti, aumentano con la torbidità dei mosti. II metionolo che ha un odore assai sgradevole di
cavolfiore cotto, interviene significativamente nell'aroma difettoso dei vini, quando la torbidità dei
mosti supera i 250 NTU (tabella 1).

TABELLA 1
Composto Torbidità dei mosti Soglia di percezione
120 NTU 250 NTU 500 NTU µg/l
2-mercapto-etanolo 113 140 179 130
acido-3-metiltioptopionico 85 178 310 50
metil-2-tetraidro-tiofenone 102 131 191 70
metionolo 1097 1958 3752 1200

Anche il solfitaggio influisce sulla formazione di composti solforati indesiderati. Sia il metionolo
che l'acido solfidrico aumentano fortemente all'aumentare della dose di SO2. Questa deve essere
fornita in un unico intervento iniziate, Taggiustamento dei tenore in SO2 libera durante o dopo la
defecazione non migliora la protezione dall'ossidazione, ma favorisce sistematicamente la
produzione di composti solforati da parte dei lieviti. La formazione di composti solforati potrebbe
essere anche legata alla presenza di residui di pesticidi nelle fecce. Se i mosti sono illimpiditi in
modo eccessivo si può avere un rallentamento della fermentazione alcolica e il suo arresto prima del
completo esaurimento degli zuccheri, oltre a un impoverimento dell'aroma fruttato. Una certa
presenza di fecce può infatti:
• facilitare la moltiplicazione dei lieviti fornendogli un supporto fisico;
• favorire la fuoriuscita dell'anidride carbonica dal mezzo;
• fornire ai lieviti elementi nutritivi, principalmente sembra acidi grassi insaturi a lunga catena,
costituenti delle membrane fosfolipidiche che ne migliorano la permeabilità;
• assorbire alcuni metaboliti inibitori, come gli acidi grassi (C8, C10, C12), liberati dai lieviti
durante la fermentazione. È impossibile indicare una torbidità ottimale per tutti i mosti, tuttavia
possiamo ritenere che 100 250 NTU sia un intervallo che rappresenti un giusto compromesso tra
esigenze contrastanti.
L’intervallo da 100 a 250 NTU corrisponde all'incirca a una presenza di 0,3 - 0,5% di particelle in
volume dopo la centrifugazione del campione. La lettura nefelometrica è comunque più precisa e
immediata. I mosti delle ultime pressate devono essere chiarificati in modo spinto, fino a 10 - 15
NTU. Per ottenere questo si deve ricorrere all'ausilio di enzimi esogeni. È molto importante che gli
enzimi siano purificati nei confronti dell'attività cinnamil esterasica. In seguito la torbidità può
essere riportata a livelli più alti reincorporando fecce fini provenienti dai mosti fiore. Oltre che in
maniera statica la chiarifica può essere fatta ricorrendo a centrifugazione, filtrazione,
microfiltrazione tangenziale o flottazione.
II deposito feccioso ottenuto dalla defecazione statica contiene ancora un grosso volume di succo
che può essere estratto ricorrendo all'impiego di un filtro sottovuoto a tamburo rotante o ad un filtro
pressa. I mosti ottenuti da queste operazioni possono essere addizionati ai mosti fiore. In passato a
questo punto era raccomandato trattare i mosti con la bentonite allo scopo di eliminare le proteine
che potevano dare problemi di instabilità. Un impiego della bentonite sul mosto piuttosto che sul
vino offre dei vantaggi ma anche degli svantaggi, soprattutto se il vino è in seguito destinato a un
certo periodo di maturazione sulla fecce. Si possono avere alterazioni dei caratteri organolettici,
inoltre il vino maturato sulle fecce assume già di per sé una certa stabilità proteica. È stato osservato
che dopo l'affinamento sulle fecce è sufficiente una dose minima di bentonite per assicurare la
stabilità proteica del prodotto.

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Fermentazione
II mosto così ottenuto deve essere avviato alla fermentazione. (inoculo con un lievito selezionato
secco è ormai pratica consolidata. Un lievito destinato alla fermentazione di un vino bianco deve
essere in grado di assicurare, senza eccedere nella produzione di acidità volatile, il consumo
completo di , zuccheri in un mosto con torbidità compresa tra 100 e 200 NTU, contenente 220 g/l di
zucchero e oltre. Un buon ceppo di lievito deve inoltre permettere di esprimere la finezza e la
complessità dei caratteri aromatici delle uve. Su uve ricche di aromi varietali (Chardonnay, Moscato
ecc.) è importante l'impiego di ceppi selezionati per la bassa produzione di vinil-fenoli, composti
che al di sopra di una certa soglia esprimono sentori farmaceutici che mascherano gli aromi
varietali. Questi ceppi sono privi o scarsamente dotati di attività cinnamato decarbossilasi che a
partire da acido ferulico e p-cumarico conduce alla formazione di vinil-fenolo e vinil-guaiacolo. Su
uve ricche di precursori di aromi, tipo Sauvignon, Gewürztraminer ecc., che sviluppano la loro
potenzialità aromatica durante la fermentazione, è altamente qualificante l'impiego di ceppi
particolarmente selezionati per esaltare questi aromi varietali. Su uve neutre può essere utile
inoculare ceppi di lieviti in grado di fornire buoni aromi fermentativi. I lieviti reidratati per 20
minuti in acqua e mosto a 40°C sono addizionati al mosto alla dose di 15 - 20 g/hl. È stato osservato
che al di sotto della soglia di 160 mg/l di azoto assimilabile un mosto deve essere addizionato di sali
di ammonio, tenendo presente che la dose di 30 g/hl di solfato d'ammonio è la massima consentita
in ambito Cee.
L’addizione di sali ammoniacali può essere fatta con un unico intervento al momento dell'inoculo o
in due interventi, uno al inoculo e uno dopo due giorni, durante la fase di crescita esponenziale in
concomitanza di un rimontaggio all'aria. In questa fase non c'è nulla da temere in quanto
un'aerazione praticata nella prima fase della fermentazione non ha nessun effetto negativo
sull'aroma fruttato che è protetto dal potere riducente dei lieviti. Un'ossigenazione pari a 2-4 mg/l,
durante la fase di crescita esponenziale dei lieviti, favorisce la sintesi degli steroli, costituenti
essenziali delle membrane cellulari. L'aerazione risulta ancora più importante nel caso di mosti
molto illimpiditi e con basso tenore d'azoto.

Temperatura
Temperature troppo elevate possono indurre arresti di fermentazione. La ferentazione a temperature
superiori a 20°C fa diminuire la quantità di esteri formati dai lieviti e aumentare la produzione di
alcoli superiori. Partendo da temperature intorno ai 18 °C si può lasciare salire la temperatura fino a
22 - 23 °C a metà fermentazione per poi riportarla a valori intorno a 16 - 18 °C. Importante è di non
indurre mai abbassamenti repentini. La fermentazione alcolica dei vini bianchi se condotta
correttamente non deve superare i 10 giorni. Si può considerare terminata quando si raggiungono i 2
g/l di zuccheri. Se non si desidera fare FML la temperatura deve essere abbassata fino a 12 °C e per
8 10 giorni, prima che venga fatto il solfitaggio, si devono periodicamente mettere in sospensione i
lieviti. Si consiglia di ritardare il solfitaggio in quanto a termine fermentazione l'attività sulfito
riduttasi dei lieviti è ancora attiva, e la trasformazione dell'SO2 in H2S sarebbe importante. La
risospensione delle fecce si fa con il duplice scopo di evitare la formazione di sentori di ridotto e
favorire la protezione dei vini dalle ossidazioni, grazie al potere riducente dei lieviti. Trascorsi 8-10
giorni il vino può essere solfitato in ragione di 4-5 g/hl di SO2.

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