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Arte come imitazione della natura

Platone definisce tre piani di realtà e critica la disciplina


dell'arte poiché egli riteneva che l'arte non facesse altro che
copiare ciò che era già presente in natura.
Tre piani di realtà

Se il poeta, anziché avere la visione ispirata del bello in sé, si limita a riprodurne
l'apparenza con mezzi sensibili, come fa il pittore (che dipinge, per esempio, un letto,
utilizzando artifici prospettici, che danno l'illusione della realtà), egli si allontana dal vero,
anziché avvicinarvisi. Per rendere evidente questo limite della mimesi artistica, nella
Repubblica Platone distingue appunto tre piani di realtà: l'idea (il letto in sé), creata dal
dio in un unico esemplare; il manufatto tecnico (il letto prodotto dall'artigiano), di cui
esistono molteplici esemplari; l'immagine pittorica (il letto disegnato dall'artista), che è
copia del secondo letto, anziché del primo, e dunque si trova tre gradi lontano dal vero.
L'arte come imitazione della natura è «copia di una copia». La realtà vera, cui il dio si è
ispirato nel modellare il cosmo sensibile, è quella delle idee: il cosmo intelligibile.

La critica dell'arte imitativa

L'imitatore non possiede né scienza, né retta opinione di ciò che rappresenta. Si pensi per
esempio al pittore Zeusi, che dipinse un grappolo d'uva talmente realistico da ingannare
gli uccelli che cercavano di beccarla. Analogamente, il poeta tragico, quando indulge
nell'imitazione dei tratti irrazionali, emotivi, dell'animo umano, crea un'illusione, anziché
elevarsi alla verità razionale. E poiché bellezza e verità, nel cosmo intelligibile, sono unite e
armonizzate dal bene, la sua opera è diseducativa. L'arte imitativa è respinta da Platone in
funzione di quella forma superiore di mimesi della verità, di cui è modello la filosofia. Il
vero educatore è per Platone il re-filosofo che ha la responsabilità di giudicare delle forme
di arte ammesse nella città, escludendo quelle che hanno una cattiva influenza sui
costumi. Platone non si limita a criticare gran parte della poesia del suo tempo, ma
esprime giudizi di valore su certe forme di arte figurativa: auspica un ritorno della scultura
allo stile severo, o condanna le tecniche illusionistiche e impressionistiche (skiagraphfa),
invalse nella pittura e nell'arte scenica. È questo l'aspetto inesorabilmente datato del suo
discorso: l'arte figurativa del mondo antico (a partire dall'arte ellenistica) prenderà proprio
la via condannata da Platone.

La concezione finalistica della natura - Platone

Per finalismo intendiamo quella concezione filosofica secondo la quale tutto ciò che accade, accade in
vista di un fine. Possiamo capire meglio questa concezione se la rapportiamo alla concezione opposta,
il meccanicismo .
Per meccanicismo intendiamo quella concezione secondo la quale il mondo è paragonato a una grande
macchina. Nella concezione finalistica la domanda che ci si pone è perché? Qual è lo scopo, il fine?
Secondo Platone questa natura tende al bene. Egli introduce la nozione di anima del mondo, la quale è
stata forgiata dal Demiurgo che ha dato a questo mondo una sorta di guida immanente (dentro la
natura)che ne determina il suo progressivo miglioramento, Platone definisce il tempo come immagine
mobile dell'eternità, nel momento in cui il Demiurgo crea anche il tempo (immagine mobile dell'eternità
perché il divenire della natura sensibile è un falso divenire.
Il tempo riproduce sempre le stesse fasi, è uno scorrere ciclico, in cui non ci sarà mai un inizio e una fine.
Lo stile di scrittura
Platone non vive in una società in cui l'oralità era considerata la via privilegiata per l'insegnamento. Egli
scrisse dei dialoghi.
Delle sue 36 opere, 34 hanno forma di dialogo e sono divise in tre gruppi in base al periodo in cui sono
stata scritte,
Primo periodo: scritti giovanili o socratici (il protagonista è Socrate)
Secondo periodo: scritti della maturità (Socrate è protagonista ma diventa la maschera di Platone, che
non figura mai nei suoi dialoghi)
Terzo periodo: scritti della vecchiaia (Socrate è coprotagonista, altri personaggi assumono la maschera
di Platone)
Accanto alla forma dialogica, una delle caratteristiche più importanti dell'opera platonica è l'uso del
mito, ovvero racconti fantastici attraverso cui vengono esposti concetti e dottrine filosofiche.
Si può dire che in Platone il "mito"riveste due funzioni fondamentali: didattica (semplificazione) e
allegorica (simbolica, ricorre al mito nel momento in cui si trova a dover esprimere concetti che non
possono essere spiegati.

ARISTOTELE
Inizialmente Aristotele distingue due grandi categorie di enti:
1. Enti artificiali
2. Enti naturali
Gli enti naturali hanno la particolare caratteristica di possedere il concetto di movimento, a sua volta
suddiviso nei significati di spostamento in loco e di divenire (sia per determinate cause, sia
accidentalmente, come vedremo in seguito).
A differenza degli enti naturali, gli enti artificiali non possiedono capacità di movimento proprie, anche
se come gli enti naturali sono caratterizzati da una denominazione e da una definizione specifica (secondo
Aristotele era importante che un oggetto avesse una definizione ontologica, al fine dell’esistenza
dell’oggetto stesso).
Ragioniando su questo possiamo dire che: sappiamo che gli enti naturali godono del principio di
movimento e quiete, a differenza degli enti artificiali. Ciò ci fa chiaramente capire che nessun ente
artificiale sarà portato a attuare un movimento, se non per l’intervento di altri enti (soprattutto naturali),
oppure per accidentalità (la quale non coincide assolutamente con la “casualità”).
Gli enti artificiali, non godono quindi delle quattro cause fondamentali del divenire degli enti, le quali sono
suddivise in quattro grandi filoni:
1. sostrato (sostanza immanente) materiale
2. causa agente, ossia ciò che agisce sul determinato ente
3. causa formale (detta anche essenza dell’ente stesso)
4. causa finale, ossia ciò, che essendo sito all’interno della natura dell’ente, muove l’ente stesso verso un
fine prefissato e predestinato.
Talora, i punti (3) e (4) possono coincidere a livello concettuale.
Sappiamo dunque che un ente artificiale non godrà di questi quattro principi, al contrario, tutti gli enti
naturali godranno dei suddetti principi. In questo caso, concentriamoci sul punto (4): esso ci spiega che
un qualsiasi ente naturale è spinto da una causa finale verso un fine. Il raggiungimento di questo fine
sarà possibile solo attraverso un movimento.
Quindi, ogni ente naturale, per il punto (4), è sempre proteso verso un fine, in quanto l’ente stesso è
caratterizzato da un principio di privazione. Il movimento, quindi, porterà sempre l’ente naturale a
compiere il proprio fine. Quando il fine è raggiunto, si dice che l’ente interessato è in atto, oppure che
l’ente ha raggiunto la propria forma.
Se la forma è compiuta, allora, il movimento giunge al suo limite: la quiete.
Con il termine potenza, intendiamo la potenzialità di un ente a protendersi verso il compimento della
forma.
Introduciamo quindi altri concetti che caratterizzano la natura.
La natura, innanzitutto è sempre contenuta in un sostrato materiale. Con sostrato intendiamo un
qualcosa che contiene dei principi specifici. Nel nostro caso, il sostrato materiale della natura conterrà il
principio di quiete e di movimento.
La natura quindi, è costituita da un sinolo (letteralmente “intero”), ossia un sostrato di forma
permanente. Ciò ci induce alla conclusione che la natura stessa contiene in sé un significato di forma
(essenza, specie).

Natura
Ci concentriamo ora su questa accezione nell’uso del termine “natura”. Possiamo spiegare il significato
dell’espressione “per natura” dicendo che essa caratterizza ciò che in un ente accade per via dell’essenza
dell’ente stesso. Ciò non è immediatamente comprensibile, ma possiamo aiutarci con un esempio
(utilizzando il famoso principio di induzione Platonica).
Prendiamo come esempio il fuoco. Il fuoco, secondo la filosofia aristotelica è un corpo semplice, che, per
proprietà generali dei corpi semplici (quindi non per essenza), ha la proprietà di dirigersi verso l’alto.
Ciò ci fa capire che il movimento del fuoco che si spinge verso l’alto avviene per natura, ossia secondo un
movimento tipico delle proprietà del fuoco.
Quando la continuità di un movimento naturale (o per natura) viene rotta da una causa estranea alla
natura dell’ente, si parla di movimenti violenti, che una volta cessati, saranno sostituiti nuovamente dal
movimento per natura tipico dell’ente. Lanciamo per esempio un sasso: compiamo un movimento
violento che rompe il movimento naturale del sasso che è quello di rimanere a terra. Cessato il
movimento violento impresso, il sasso ricadrà, riprendendo il proprio movimento naturale.

Critiche di Aristotele ad altre idee sul concetto di natura


Secondo Aristotele, è inutile tentare di dimostrare che la natura è. Poiché il fatto che la natura esiste è
evidente, sia perché il termine natura ha un rapporto perfettamente ontologico, sia perché, secondo la
Dottrina dell’Anima, la natura è conosciuta da chiunque in quanto frutto dell’esperienza quotidiana che a
lungo andare comporta una intuizione intellettuale. Tale intuizione intellettuale porta ad una conoscenza
dei principi primi, quali il concetto di natura.
Critica ad Antifonte: secondo Aristotele, Antifonte compie una confusione tra le cose naturali e le cose
artificiali, in quanto tale filosofo segue una corrente di pensiero puramente materialista.
Critica ai Platonici: i platonici ammettono che la natura è tutto ciò che è attinente ad essa, quindi il
concetto di natura è contenuto nell’essenza stessa di natura. Visto che i Platonici ammettono una
separazione tra le idee e le cose, anche in questo caso, il concetto di natura è separato dalla visione reale
della natura.
Ciò non è assolutamente ammesso nella dottrina aristotelica; secondo lo stesso Aristotele, il discorso dei
platonici sarebbe possibile e sensato solo se si operasse in un campo astratto.
Questa caratteristica della dottrina aristotelica è detta definizione, che individua un sinolo moltiplicato
(una classe di enti completi di sostrato materiale).

/ Arte: creazione o imitazione?


»Appunto di filosofia sulla discussione sulla questione della disciplina artistica; essa è creazione oppure
semplice e mera imitazione della natura preesistente?

Inviato da: gaiabox, il: 27 luglio 2015. Nel modo comune di pensare l'arte si è soliti contrapporre due
concezioni principali: l'arte come creazione e l'arte come imitazione. Chi dice creazione sottolinea
l'assoluta libertà dell'artista, che non ha modelli e regole fisse da seguire o sa subordinarli alla propria
volontà e inventiva, al proprio genio e ispirazione. Chi dice imitazione sottolinea la dipendenza dell'arte
dalla natura o dalla realtà in generale.

1. Tra antico e moderno L'idea dell'arte come creazione è relativamente recente, risale infatti al
Romanticismo. L'opposta visione, che vincola la produzione artistica alla mimesi, ossia all'imitazione di un
modello, ha una storia assai più lunga, avendo dominato nell'anti. chità e per buona parte dell'epoca
moderna. Una delle metafore che meglio esemplificano questo modo di concepire l'arte è

quella dello specchio. La troviamo in Platone, che paragona la capacità mimetica dell'artista a quella di un
uomo che faccia girare uno specchio da ogni lato, ottenendo in tal modo l'esatta visione della natura
circostante e di se stesso (Repubblica, X, 596). L'arte come rispecchiamento della realtà è la definizione
prediletta dai teorici del realismo estetico ed è stata ripresa anche in età contemporanea.

2. L'arte dei primitivi Quando si osservano i primi esempi di mimesi artistica di Homo sapiens, le pitture
rupestri che decorano le pareti delle caverne della preistoria europea (come quelle di Lascaux in Francia o
di Altamira in Spagna), si è colpiti dal realismo delle immagini. Mandrie di animali o singoli particolari di
figure zoomorfe (buoi, bisonti, cavalli, cervi) popolano l'immaginario di questa umanità nomade, dedita
alla caccia e alla raccolta, che ancora ignora l'agricoltura. Verrebbe da pensare che l'uomo delle origini,
come il bambino, si limiti a copiare gli oggetti che gli stanno intorno, per dare sfogo a un istinto ludico
innato. In realtà, il bisogno artistico dell'uomo primitivo è già frutto di una lunga elaborazione culturale,
che affonda le radici nel senso del sacro. La pittura primitiva si collega a credenze magiche, all'immediata
identificazione dell'immagine dipinta con l'oggetto rappresentato l'animale selvaggio viene effigiato sulla
parete della caverna, per favorirne la caccia o la cattura. Possedere l'immagine di una cosa, in questa
mentalità, equivale a esercitare un potere sulla cosa stessa. Queste antichissime raffigurazioni sono la
commovente testimonianza del profondo radicamento antropologico dell'arte.

3. Dalla magia alla poesia


Un residuo di tale mentalità religiosa sopravvive in età storica: nella Grecia arcaica è comune l'idea del
poeta come indovino e interprete del sacro. L'aedo omerico, il poeta itinerante che frequenta le case dei
nobili, allietandone le feste e i conviti con il canto, incarna quest'idea. Protetto e ispirato dalla Musa, il
cantore è la voce del dio che si manifesta agli uomini. Egli dà forma e figura concreta a un mondo eroico,
in cui si conserva la memoria collettiva della stirpe. Il suo compito è duplice: tramandare il ricordo dei
tempi passati, incitando all'emulazione delle imprese degli eroi, e insieme allietare, con la dolcezza del
canto, il pubblico. I suoi strumenti sono la parola e il canto: la prima nasce dall'ispirazione e traduce i
contenuti del suo ammaestramento, il secondo rafforza il saggio, agendo sul sentimento, sul valore
emotivo della narrazione. Il poeta commuove e ammaestra: senza uno di questi due elementi la sua
mimesi risulterebbe imperfetta. Lo sviluppo e la trasformazione di queste idee, fino al costituirsi, a opera
dei filosofi, di una problematica estetica, relativa al bello e all'arte, si svolge nella Grecia Classica.
.

/ Platone - Arte
»Appunto di Filosofia riguardante il rapporto tra Platone e l'Arte, a cui dà un giudizio negativo e impone
nella sua teoria politica restrizioni severe.

Inviato da: ZiedSarrat, il: 28 novembre 2016.

Platone

L'arte

Può meravigliare che Platone, mentre assegna alla bellezza una così alta funzione, di mediare l'ascesa al
bene, dia poi un giudizio negativo dell'arte e della poesia in genere, a cui la sua teoria politica impone
restrizioni severe. La Repubblica condanna l'arte "imitativa", affermando che essa non ci offre i modelli
delle cose, cioè le idee, ma piuttosto una copia della loro copia, cioè delle cose.
La verità è che Platone condanna un'arte che abbia per solo scopo il diletto, e non sente il problema di
quella che noi chiamiamo "autonomia dell'arte", appunto perché la bellezza è per lui il modo di
presentarsi, naturale e spontaneo, di tutto ciò che ha valore: non solo dei begli oggetti, ma anche e
soprattutto dei bei pensieri, delle belle azioni, ecc. Il bello e il buono, nella concezione greca, sono
strettamente connessi; e ne è quasi un emblema la crasi, anche linguistica, della kalokagathìa. Parimenti
il "turpe" è, insieme, il brutto e il cattivo.
E poiché il bello è un manifestarsi del Bene trascendente, non meraviglia trovare paragonata, in Platone,
l'ispirazione artistica a una sorta di "divina follia", non troppo dissimile dalla follia dell'amore.
L'ispirazione artistica è una follia grazie a cui (aveva detto il Jone) il poeta, più che per scienza propria,
parla come invasato dal dio che lo ispira.
L'insegnamento di Platone, e di Socrate, fu raccolto da alcune scuole minori, tra cui le principali sono la
cinica, che pone il bene dell'uomo in un distacco dai bisogni e dalle relazioni sociali, e la cirenaica, che
pone il bene nel piacere sensibile ("edonismo").

/ Aristotele - Arte
»Trattazione sintetica della concezione dell'arte nella filosofia di Aristotele, in contrasto con la concezione
platonica
Inviato da: BlueSarah, il: 26 settembre 2016. Aristotele, a differenza di Platone, attribuisce una
funzione positiva all'arte, una scienza produttiva.
Il filosofo ne parla nella Politica, in cui affronta varie argomentazioni: la naturale tendenza degli uomini
alla rappresentazione, l'arte come imitazione, l'arte come forma di conoscenza superiore alla storia e la
funzione catartica della tragedia.
Secondo Aristotele gli uomini hanno una tendenza naturale a rappresentare la realtà e di produrre
l'esperienza attraverso le parole, i suoni e le immagini. L'arte è inoltre un'attività libera e disinteressata
che è fonte di diletto e gratificazione.
Platone, invece, definiva l'arte come imitazione di imitazione. Per Aristotele, l'arte è solo imitazione
perchè il mondo sensibile non è una copia di quello ideale. Tuttavia, nella concezione aristotelica l'arte
non ha un'accezione negativa: essa imita le azioni del mondo reale in un mondo particolare che li pone in
una dimensione prossima alla filosofia e superiore alla storiografia.
Particolare funzione ha la poesia, la quale, deve rispettare un ordine ben preciso proprio perchè per i
greci la perfezione risiedeva nel finito, in ciò che è misurabile, piuttosto che nell'infinito.
L'arte ha anche la capacità di trasferire gli eventi al di là del contingente, dandogli un significato
universale e morale.

MIMESI (μίμησις). - È il termine filosofico dei Greci per definire l'origine


e l'essenza dell'arte nelle sue molteplici estrinsecazioni (suoni, parole,
figure). L'arte è, nel loro concetto, imitazione della natura circostante agli
uomini. In sede puramente filosofica Platone svalutò l'arte-mimesi in
quanto imita le cose, gli oggetti, che a loro volta sono imitazioni dell'"idea"
assoluta di ciascun gruppo di cose e di oggetti; onde Aristotele cercò di
presentare la m. come imitazione non delle cose particolari, ma
direttamente dell'idea universale.

In un piano più pratico, e più vicino all'attività artistica, Socrate aveva


indicato una soluzione nel senso di poter raggiungere la perfetta m.
prendendo dai vanî oggetti gli elementi più belli e riunendoli in un oggetto
ideale, creato intellettualmente, il quale possedesse cosi, tanto
esteriormente che eticamente, un alto grado di umanità. "Poiché non è
facile trovare un solo uomo che abbia tutte le parti incensurabili, riunendo
da molti le cose più belle di ciascuno, voi artisti fate apparire bello tutto
quanto il corpo" (Xenoph., Mem., iii, 10, 2; cfr. Aristot., Polit., 1281; Cic., De
invent., ii, 1, 3). Il passo di Cicerone è anche più chiaro in quanto egli
chiama veritas questa somma di singole parti desunte dalla massa degli
uomini. Si può pertanto dire che, almeno in epoca ellenistica, vi è
doppia mimesis e doppia veritas: quella dei singoli, parziale, realistica; e quella
dell'arte, totale, intellettuale; frazione di verità e verità intera.

La m. pertanto può assumere tre gradi di intensità, secondo Aristotele


(Poet., 1460 b): o si imitano le cose come sono (1° grado); o si imitano come
sembra che siano (2° grado); o si imitano come debbono essere (3° grado).
Al 1° grado noi diremmo che si sono fermati Policleto, Polignoto e in
genere gli artisti del V sec.; il 2° grado è quello di Lisippo (quales viderentur
esse, Plin., xxxiv, 6°); al 3°, secondo Aristotele, è giunto soltanto Sofocle.

(S. Ferri)

Diverse prospettive nel modo di intendere


l’arte: Platone e Aristotele
Entrambi partono dal concetto di mimesis, che ridotto al significato base significa imitare, ma si ammanta di
una connotazione e di valore diverso in base al periodo storico, alla scuola, al filosofo, al critico, all’artista
ecc. che la utilizza. Partiamo da qui per vedere quanto diverse siano le posizioni a cui approdano i due
filosofi, e appunto quale valenza assuma il termine che informa il fare arte. Mimesis come nodo esenziale e
valutativo non solo dal punto di vista tecnico, ma anche ideologico.

Platone. È bene partire da una premessa, necessaria per capire: nel secondo periodo della sua attività di
filosofo, Platone elabora la teoria delle idee. Egli inizialmente aveva appuntato la sua attenzione
sull’insegnamento del maestro Socrate, e sul metodo delle definizioni (maieutica), come primo passo per
andare oltre il relativismo sofistico e giungere ad un sapere assoluto. Inoltre bisogna tenere a mente, per
capire la genesi della teoria delle idee, l’approfondimento platonico del concetto di scienza, che per il filosofo
ha i caratteri di stabilità ed immutabilità, quindi della perfezione. Quale sarà la realtà fotografata dal sapere?
Non possono costituire oggetto della scienza le cose del mondo apprese dai sensi, che sono mutevoli ed
imperfette, corrispondenti a quella forma di conoscenza mutevole ed imperfetta detta opinione
(doxa). Oggetto della scienza non possono essere che le idee, esse rappresentano un’entità perfetta ed
immutabile che esiste per suo conto, costituendo una zona d’essere diversa dalla nostra chiamata iperuranio
(al di là del cielo). Ciò non esclude uno stretto rapporto tra le cose e le idee, infatti le prime costituiscono una
sorta di copia imperfetta delle seconde. Ad esempio, nel nostro mondo possiamo trovare cose più o meno
belle, ma nel mondo delle idee esiste la bellezza.
Passiamo all’arte. Platone ne parla nella Repubblica, illustra una posizione che si conclude con la sua
messa al bando dall’educazione dei filosofi per due motivi: uno metafisico-gnoseologico, l’arte è imitazione di
qualcosa (gli oggetti, la natura) che è di per sé imitazione delle idee, per questo l’arte è di “tre gradi lontano
dal vero”. Anziché spingere l’anima verso le idee, l’arte tende a renderla prigioniera di questo mondo.L’altro
di natura pedagogica: l’arte è negativa in quanto corrompe l’anima, i futuri re filosofi devono essere distaccati
dalle emozioni, e l’arte è tramite privilegiato delle passioni. Esclude però dalla condanna i miti, in quanto non
riproducono il mondo sensibile, ma cercano di dar forma intelleggibile alle cose che sono ultraterrene. L’arte
può esistere solo se assoggettata alla filosofia, come momento di integrazione per esprimere e far capire la
verità. Limitata a sé l’arte è falsa. L’arte per Platone non ha una propria autonomia, viene recuperata solo
come “strumento”, come compendio assoggettata alla filosofia, alla necessità di educare.

Più nel dettaglio Platone distingue due tipi di mimesis: quando si riproducono esattamente le proporzioni
dell’oggetto considerato; quando tiene conto dell’osservatore ed attua una serie di accorgimenti illusionistici
che sembrano alterare la realtà, come in architettura. Nella dialettica realtà-apparenza il compromesso è
impossibile, ogni apparenza è un tradimento della verità, dato che reali sono solo le idee, illusioni le cose di
questo mondo. Una seppur limitata rivalutazione dell’arte è ravvisabile nell’ultimo Platone, quello delle Leggi,
indica però come positiva un’arte “simbolica” come quella egiziana, libera dalle illusioni e rivolta alle verità
eterne, in tal modo può avere funzione di educazione per i cittadini.

Aristotele. Anche per lo Stagirita l’arte è imitazione, e in quanto imitazione ha un proprio fondamento
naturale “l’imitare è connaturato agli uomini […] tutti traggono piacere dalle imitazioni”. Il termine mimesis
viene usato da Aristotele con un ampio spettro semantico, oscillando da mimesis come simulazione, a
mimesis come rappresentazione. Nella simulazione è implicito l’inganno, accettato ed anche apprezzato;
nella rappresentazione invece è implicita la connotazione della riproduzione, della
fabbricazione: una tecnica che crei qualcosa di vicino al modello, ma che non pretende di sostituirlo (la
connotazione prevalente è quella di manufatto che riproduce senza pretendere di sostituirsi all’originale).
Riconoscere che alla base del fare arte ci sia una tecnica è un passaggio importante, non è assente in
Paltone, ma qui è usata come elemento di riconoscimento della piena autonomia dell’arte rispetto all’altro,
con cui si vuole alludere alla tensione tra le leggi costitutive dell’attività formale, e l’emergenza di impulsi
sociali ed ideologici con cui l’arte viene a contatto o si scontra nella realtà (Bernabei). Per Aristotele ogni
forma d’arte è imitazione della natura, e questo ha ricadute positive. Ma c’è di più: le produzioni artistiche si
distinguono da quelle della natura perché sono: quelle cose che si trovano nell’animo dell’artista, altro
passaggio importante, perciò la produzione artistica non si identifica con la mera attività pratica. L’artistapuò
rappresentare le cose in tre modi “come furono o sono, come si crede o si dice siano, o come dovrebbero
essere”.

Nella Poetica Aristotele afferma che oggetto della tragedia più che il vero è il versimile (ciò che può
verificarsi secondo verosimiglianza e necessità). La poesia è più filosofica della storia, in quanto la poesia
esprime l’universale, la storia il particolare. In virtù di tale universalità l’arte non è mero gioco formale, ma
tende a configurarsi come mezzo per rappresentare l’essenza delle cose, come qualsiasi attività l’arte è
dotata di una eminente funzione conoscitiva. Ciò che l’arte rappresenta non è inganno, ma realtà che può
essere oggetto di sapere. Inoltre se per Platone l’arte incoraggia le passioni, per Aristotele esercita una
funzione purificatrice, liberando l’anima dalle passioni che essa rappresenta, perciò può avere un ruolo
educativo per l’uomo. Certo, vengono presentati anche dei personaggi negativi, in cui ci si può riconoscere,
ma se da un lato la fallibilità del personaggio ce lo fa sentire vicino, dall’altro la responsabilità del fallo ricade
intermente su di lui. L’errore segna il limite dell’identificazione.L’immagine può sortire inoltre un effetto
contrario all’originale. Certe immagini che nella realtà possono metterci a disagio o disgustarci, riprodotte
provocano piacere. Aristotele considera l’arte come un contenitore che comprende le cose “che possono
essere diversamente da ci che sono”, quindi non risultano soggette alla necessità che è propria della
scienza. L’arte vive in uno spazio di possibilità e libertà.

Se Platone subordina l’arte ad altre esigenze, Aristotele le riconosce un campo autonomo nell’agire che ha
un’alta funzione e utilità, sia per chi fa “imitando si impara”, sia per chi poi guarda. Se per Platone l’arte è
una copia fuorviante di ciò che esiste, per Aristotele è costruzione. Quindi per Platone è registrazione
passiva di qualcosa che già c’è (e che a sua volta è una copia), per Aristotele fare arte è un’operazione
attiva che coinvolge la sensibilità, è un’operazione intellettuale che prevede la scelta, una selezione della
realtà che permette che questa sia capita, e permette di fornire un messaggio universale. Per Platone l’arte
è subordinata all’idea di verità; Aristotele riconosce l’autonomia dell’esperienza arte, le sue peculiarità, le sue
possibilità.

Infine, alla base delle differenze tra i due filosofi c’è una diversa concezione di mimesis, che oscilla tra
l’interpretazione passiva di Platone, a mimesis come operazione attiva di Aristotele.

Robert Spaemann, Che cosa significa “L’arte imita la natura?”


Si possono distinguere tre significati di «imitazione della natura»: 1) la “simulazione tecnica”, in cui si
combinano e assemblano elementi naturali in modo da soddisfare degli scopi umani in modo non meno
perfetto di come vengono conseguiti gli scopi della natura. 2) La “simulazione estetica”, in cui l’arte
produce un’apparenza, non per ingannare ma per il godimento che procurano i suoi effetti ingannevoli.
3) la “simbolizzazione della natura”. L’arte in questo caso tende a rappresentare il suo prodotto in modo
tale da rendere manifesto un certo essere-in-sé delle cose, al di là della semplice utilità e
dell’apparenza. In questo terzo senso l’arte imita la natura non in quanto ne imita gli oggetti naturali, ma
in quanto rende manifesta la natura naturans, il cui fine non consiste semplicemente nell’affermare e
conseguire il proprio impetus, ma anche nell’autotrascendimento del proprio inizio. Nell’imitazione della
natura naturans l’arte rappresenta uno sforzo da parte dell’uomo di trascendere sé e il proprio mondo
fenomenico.

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