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GABRIELE MANDEL

I NOVANTANOVE NOMI DI DIO NEL CORANO

-SAN PAOLO EDIZIONI-


Introduzione

Secondo la teologia musulmana i Nomi di Dio -


rappresentazione vocalizzata dei Suoi attributi -
sono quattromila. Mille di questi sono conosciuti
solo da Dio; mille da Dio e dagli angeli; mille da
Dio, dagli angeli e dai profeti; e mille da Dio, dagli
angeli, dai profeti e dai credenti. Di questi ultimi
mille, trecento sono menzionati nella Thorà,
trecento nei Salmi, trecento nei Vangeli e cento
nel Corano. Di questi cento, novantanove sono
noti ai fedeli comuni, mentre uno è nascosto,
segreto e accessibile solo ai mistici più illuminati
(si veda all'ultimo capitolo).

Dei novantanove Nomi (nome: ism; plurale àsmà'


o àsàmy) parla il Corano stesso:

"A Dio appartengono i Nomi più belli [alAsmà


alHusnà]. Invocatelo con questi, e distoglietevi da
coloro che bestemmiano i Suoi Nomi" (VIII, 180).

"Dio, non altro dio che Lui. A Lui i Nomi più belli"
(XX,8),

"Sia che Lo invochiate "Dio", o che Lo invochiate


"Clemente", con qualsiasi Nome Lo invochiate,
Suoi sono i nomi più belli" (XVII, 110).

Il profeta Maometto disse: "Vi sono novantanove


Nomi che appartengono solo a Dio. Colui che li
impara, li capisce e li enumera entra in paradiso e
raggiunge la salvezza eterna". E il mistico Tosun
Bayrak, shaikh della Jerrahiyya: "I bei Nomi di Dio
sono la prova dell'esistenza e dell'unicità di Dio. O
voi che siete arsi e turbati per il peso e la
sofferenza del mondo materiale, possa Dio far sì
che i Suoi bei Nomi siano un balsamo lenitivo per i
vostri cuori feriti. Imparate, capite e recitate i bei
Nomi di Dio. Cercate le tracce di questi attributi di
Dio nei cieli, in terra e in ciò che vi è di bello in voi
stessi. Così troverete beneficio, a seconda della
grandezza della vostra sincerità. Col permesso di
Dio, chi dubita troverà sicurezza, l'ignorante
troverà conoscenza, chi nega affermerà. L'avaro
diventerà generoso, i tiranni chineranno il capo, il
fuoco nel cuore degli invidiosi si spegnerà".

In effetti capire "l'essenza" di questi attributi


rende quieto l'animo, infonde fiducia e arricchisce
spiritualmente. Ecco perché, sul piano
strettamente pratico, è consuetudine ripetere i
Nomi facendo scorrere tra le dita un rosario
composto di novantanove grani (o di trentatré,
ripetuti tre volte). Questo rosario si chiama subha
in arabo e tashbì (o anche komboloy) in turco. È
possibile che esso derivi da quello buddhista, di
centootto grani, in uso nell'Asia centrale e
orientale fin dal IV secolo; a sua volta quello
musulmano può aver dato origine, per imitazione,
al rosario cattolico, adottato sul finire del XII
secolo e più tardi definito nella forma attuale.

Anche a livello psicologico è dimostrato che far


scorrere i grani di un rosario fra le dita calma,
blandisce e aiuta a superare l'ansia e la tensione.
Per l'Islàm l'essenza divina è indefinibile.
Comporta realtà che sfuggono ai limiti della mente
umana, quali Eternità, Unicità, Infinito...; tuttavia,
pur essendo "Assoluto invisibile" anche se è
"Realtà onnipresente", l'Essenza divina è
manifesta nei Suoi fenomeni grazie all'attribuzione
di un Nome a ciascuno di essi. Quindi ogni Nome è
simbolo di un attributo dell'Essenza divina nella
Sua quiddità, che è riflesso della realtà di Dio;
mentre in effetti Dio è ancora di sopra e oltre a
tutto ciò. Il Nome ha sempre rivestito un valore di
considerevole importanza presso gli antichi popoli
semitici. Nell'Antico Testamento Mosè parla con
Dio e dice: "Mi chiederanno: Qual è il Suo nome?
Che cosa risponderò loro?". Nella lettura privata
della Thorà il nome di Dio, Jhwh, non veniva
pronunciato; era detto in sua vece: Ha shem (il
nome). E Gesù: "Ho manifestato il Tuo Nome agli
uomini che mi hai dato dal mondo" (Gv 17,6); e
poi, nel Pater noster: "Sia santificato il Tuo Nome".
Nell'Antico e nel Nuovo Testamento è Dio stesso
che impone il nome ai profeti maggiori.

Nell'Islàm "i più bei Nomi" (alAsmà alHusnà, detti


anche alAsmà alIlàhiyyah: i Nomi divini) hanno
dato luogo a uno studio specifico, a un capitolo
della teologia, alla discussione fra teologi e settari
sul loro valore e sui problemi che pongono; ma ne
parleremo nell'ultimo capitolo, dopo l'elencazione
commentata e ragionata dei novantanove Nomi
coranici.

Va considerato infine che per l'Islàm ogni


raffigurazione di Dio è assolutamente vietata. Dio
non è raffigurabile; anzi: la Sua essenza, causa
prima di ogni esistenza, è talmente superiore a
ogni concetto umano, che perfino il tentativo di
spiegarLo a parole produce soltanto un balbettio
informale e inadeguato. Oltre a ciò, nei luoghi di
preghiera sono vietate le immagini di esseri umani
e di animali, affinché le anime semplici non si
lascino indurre alla tentazione di adorarle. Nessun
Corano, perciò, contiene immagini o illustrazioni:
solo decorazioni geometriche, vegetali e
calligrafiche. È però errato il concetto occidentale
secondo il quale le immagini sono del tutto
vietate. Numerose miniature persiane, turche e
indiane - per citare solo le scuole principali ricche
di capolavori raffinati e sensibili - dimostrano che il
mondo islamico è ricchissimo di raffigurazioni.

È comunque vero che la civiltà, l'arte e la cultura


dell'Islàm sono opera di popolazioni nomadiche
(quelle turche, essenzialmente) e il nomade, per la
natura della vita che conduce, è tendenzialmente
aniconico. Quando, dopo i primi duecento anni di
dominio arabo in cui l'arte islamica fu solo
un'appendice del Tardoantico (alla stregua delle
arti bizantina, armena e paleocristiana), le
popolazioni turche invasero l'Occidente asiatico,
africano ed europeo, sintetizzarono la loro "arte
delle steppe" nell'unione con quella bizantino-
armena e diedero finalmente all'Islàm arte, civiltà
e cultura autonome. Ecco quindi giustificata la
preponderanza aniconica, dovuta al gusto del
nomade e non a un divieto coranico, che appunto
nel Corano non si trova.
Un ulteriore contributo alla civiltà dell'Islàm venne
dato dai popoli dell'Asia centrale nell'ambito della
speculazione mistica, con la costituzione di varie
correnti e confraternite, ricche di apporti filosofici,
letterari e poetici. Sono queste le scuole dei sufi (i
mistici dell'Islàm), ai quali si farà spesso
riferimento nelle pagine seguenti.

Per le ragioni suddette, in luogo d'una impossibile


"raffigurazione" di Dio si usò scrivere "Dio" (in
arabo: Allàh) e come parte della tipica decorazione
islamica la calligrafia acquistò importanza
considerevole. Persiani e turchi tracciarono pagine
calligrafate in cui è presente tutto il valore
dell'arte figurativa; da persiani e da turchi trassero
insegnamento altri popoli, con elaborati che mai
raggiunsero l'importanza dei maestri. Ecco dunque
che anche "i più bei Nomi" vennero devotamente
calligrafati, unendo fervore d'arte a fervore
religioso. Nei tempi bui della decadenza dovuta al
dominio colonialista, i popoli che si trovarono
distaccati dall'impero ottomano (arabi o arabofoni,
e in modo minore alcuni popoli dell'Asia centrale)
mutarono la religione in fanatismo e la scienza in
magia; usarono allora "i più bei Nomi" come
semplici amuleti, come portafortuna correnti,
deprivandoli quasi dei loro profondi significati e
della venerazione che meritano.

Tuttavia i "Nomi di Dio" - e l'esegesi musulmana


non cessò mai di rammentarcelo - non sono Dio;
sono una semplice identificazione della realtà
divina adattata ai limiti umani, che simbolizza in
modo insufficiente la Sua essenza, a noi invisibile
pur nella Sua realtà. Jalal alDìn Davànì (o
Dawwànì), filosofo ishràq' (1427-1502), nel celebre
commento a Shihàboddin Sohravardì (Arz-Namèh)
definiva appunto "il Nome" come uno strumento
per la comprensione umana, e null'altro: "Il Suo
Nome: ossia quello con cui è conosciuta la Sua
essenza, il Nome come è inteso nell'uso che ne
fanno i filosofi, non è la semplice parola che Lo
designa! Il Suo Nome domina il cerchio delle
Intelligenze". Qui Davànì usò il termine "cerchio"
intendendo che le "Intelligenze accerchiano tutto
ciò che è di sopra da esse".

Ogni singolo essere umano può raggiungere una


conoscenza di Dio, ma si tratterà sempre e solo di
una conoscenza a dimensione umana, non a
dimensione di Dio. Ecco quindi i Nomi, che non
sono a misura di Dio, superiore a tutto ciò che è
pensato da chiunque non sia Dio. Questi Nomi
sono di aiuto all'essere umano e solo all'essere
umano, per il quale svolgono una duplice funzione:

a) indicano la via per avvicinarsi a Dio e lo aiutano


a percepire per quanto possibile l'identità
trascendente di Dio, creatore della creazione e
perciò dei Nomi stessi, che pertanto non Lo
possono contenere;

b) indicano la via da percorrere per migliorarsi: nel


desiderio di capire Dio, all'uomo rimane solo la
sperimentazione delle qualità divine su di sé; per
cui la meditazione dei Nomi (o la
"rammemorazione", il dhikr dei sufi) è una via per
la realizzazione del sé (alInsàn alKàmil: l'uomo
universale).
Così, ad esempio, contemplando una delle qualità
di Dio simbolizzata nel Nome alRahmanu (il
Misericordioso), giungiamo a percepirne la
misericordia e ad essere noi stessi misericordi. Si
può passare da simile considerazione a una più
dilatata: prerogativa, essenza della Sua "identità"
divina è l'essere Creatore; e noi viviamo questa
vita materiale per sperimentare una delle qualità,
uno degli aspetti di Dio ("Capirlo significa
avvicinarsi a Lui", scrisse il maestro sufi Nùr alDìn
Isfaràyinì, 1242-1317 c.). Ovvero: "vivendo" nella
Sua creazione, conosciamo la Sua qualità creativa
grazie alla sperimentazione diretta.

Il fatto stesso che il Corano insista sull'Unicità di


Dio, a null'altro simile, porta ai seguenti cinque
attributi:

Qidam (Egli è prima del prima. È il "non venuto", il


"sempre stato");

Baqa (Egli è dopo il dopo, Egli sarà sempre);

Wahdaniyyah (Egli è unico, senza compagni che


Gli somiglino, è la causa di tutto. Tutto ha
necessità di Lui, Egli non ha necessità di nulla);

Mukhalafatun lilHawadith (Egli è il Creatore, e non


è simile al Suo creato. È il Creatore [alKhàliqu] di
tutte le cose, l'Iniziatore assoluto [alBadì'u]);

Qiyam biNafsihi (Egli è l'Autosussistente, che non


necessita di nulla. L'Apparente [alZàhiru] e il
Nascosto [alBàtinu]).
Ciò ha dato origine a una serie di disquisizioni
dotte e di dispute fra dottori in teologia delle varie
scuole e fra teologi e mistici (i sufi). È necessaria
allora una digressione per chiarire il concetto di
Dio nella teologia nell'Islàm.

La scienza tradizionale concernente Dio è la 'ilm


alKalàm, o 'ilm al Tawhìd. Le varie scuole principali
furono (con gli Omayyadi) i murji'iti, i qadariti, i
jabbàriti; poi, soprattutto, i mu'taziliti; infine, a
partire dal X secolo, gli ash'ariti e gli
hanafiti/màturìditi. La teologia si avvalse quindi
della "scienza degli hadìth" (i "detti" del profeta
Maometto) e della "scienza del tufsìr"
(interpretazione esegetica).
Il Tawhìd si basò essenzialmente sull'esistenza di
Dio (Wujùd Allàh); sugli attributi di Dio (sifàtAllàh)
- basati sui rapporti dell'essenza e degli attributi,
sulla lista degli attributi e sugli attributi
controversi - e sui versetti ambigui, ossia quelli
che davano un'immagine antropomorfa
(mutashàbih) di Dio.

L'esistenza di Dio è, naturalmente, alla base di


tutto e si esplicita nel dogma unico: La allàh ila
Allàh (Non c'è altro dio che Dio). La lista degli
attributi è universalmente accettata; solo la natura
degli attributi sarà variamente discussa, e avremo:

1) attributi dell'essenza (sifat alDhàt), concernenti


l'esistenza non distinta dall'essenza;

2) attributi essenziali (dhàtì, o nafsì), spesso


distinti in attributi detti "escludenti", che
sottolineano la trascendenza divina (ad esempio
eternità, permanenza, autosufficienza), e attributi
ma'ànì (di qualità), che aggiungono un concetto
all'essenza (come onnipotenza, volontà, scienza,
vita, parola, udito, vista, percezione);

3) attributi di qualificazione (ma 'nawiyya), ossia


attributi ma'anì presi verbalmente (Onnipotente,
Volente, Conoscente);

4) attributi d'azione (sifàt alAf'àl), che designano


una "possibilità" di Dio, attivabile ma non sempre
attiva (come creazione, comando e ogni tipo di
decisionalità) Oltre a ciò, dal momento che alcuni
attributi possono affermando una qualità (per cui
hanno azione di attributo affermante), negarne il
contrario (azione di attributo escludente), alcuni
Nomi di Dio che testimoniano Sue qualità possono
avere interpretazioni dalle sfumature varie, come
vedremo ai singoli casi.

Per ciò che riguarda i versetti ambigui


(mutashàbih) - in particolare quelli che citano il
volto di Dio, l'occhio di Dio, Dio si siede sul trono -
alcune scuole, soprattutto all'origine,
consideravano reale l'antropomorfizzazione di Dio,
addirittura negando la possibilità di
interpretazione. È il momento in cui la teologia è
ancora in mano agli arabi (gli abitatori della
penisola arabica, gli altri popoli essendo
"arabofoni", ma non etnicamente "arabi". Si pensi,
ad esempio, che il sangue degli algerini è mauro e
vandalo, con scarsa presenza greca e romana,
mentre in loro il sangue arabo è pressoché
irrilevante).
L'avvento dei turchi e dei persiani, più acculturati
e con civiltà millenarie alle spalle, determinò un
considerevole balzo in avanti della teologia e si
ebbero interpretazioni illuminate - spesso in
chiave esoterica - della parola coranica (gli sciiti,
poi, negarono del tutto l'attendibilità degli hadìth).

Secondo grande argomento della teologia


musulmana fu lo studio degli "atti di Dio" (af'àluhu
ta'àlà), la cui conseguenza furono le diatribe
riguardo il libero arbitrio, predicato dai mu'taziliti,
e la "decisione totale di Dio", predicata dagli
ash'ariti; il che diede naturalmente luogo a
numerose opere pro e contro, facendo nascere
scuole e ramificazioni varie.

Tutto ciò condusse l'insieme della teologia


islamica a speculazioni, a scuole differenti e a
concetti talora in contrasto. Principali correnti
furono l'indirizzo teologico sunnita, l'indirizzo
teologico ismà'ilita, la falsafa, il kalàm e il
tasawwuf.

La teologia ismà'ilita - la corrente che forse più


d'ogni altra si diversificò dalla tradizione -
comprende la via Khàrijita e quella Shì'ita, in cui si
mescolano teologia tradizionale, neoplatonismo e
filosofie precipue dell'Iràn. L'accento è posto, qui,
sul mistero inconoscibile di Dio, fino al sistema
emanatista di Nasafì (per cui sussiste
l'intermediazione dell'Intelletto universale),
fissandosi su un insieme di ipostasi gnostiche, con
abbondante interpretazione allegorica dei passi
coranici.
La falsafa (filosofia) studia in senso positivistico le
questioni riguardanti il concetto di Dio, con una
derivazione aristotelica e neoplatonica abbastanza
evidente (Dio è il Pensiero che si pensa; è il Bene
supremo che necessariamente si ama). Abbiamo
così un Islàm che giunge a Dio con il ragionamento
da un lato e con l'intuizione dall'altro, secondo la
dimostrazione del turco Avicenna (noto in
Occidente soprattutto come medico).
Naturalmente i falàsifa furono avversati dai teologi
tradizionalisti.

Il kalàm fu in un certo senso la reazione ragionata


dei teologi sunniti ai filosofi. Se ne conoscono due
scuole principali: quella mu'tazilita e quella
ash'arita, che - con disquisizioni, arguzie sottili e
bizantinismi eccessivi - tendono soprattutto a
discostarsi dall'accettazione "alla lettera" del
Corano caratteristica dei cosiddetti "pii antichi"
(salaf), per quanto rimangano formalmente legate
alla tradizione.

Il tasawwuf, ovvero il sufismo, è la punta di


diamante, il concetto supremo del misticismo
islamico. Furono sufi i maggiori pensatori,
scienziati e poeti dell'Islàm, esprimendo ciascuno,
con assoluta libertà, i valori principali della propria
personalità, pur nel totale abbandono al Dio unico.
Ciò avvenne non senza opposizioni, anche
violente, da parte dei teologi, come insegna il
martirio di alHallaj (ucciso dai tradizionalisti a
Baghdad nel 922). I sufi si organizzarono in
confraternite ed ebbero peso e importanza anche
negli affari politici delle varie nazioni musulmane.
Essenzialmente le linee principali della ricerca
mistica si basarono su due concetti: l'unicità della
Testimonianza (wahdat alShuhùd), espressa dal
sufi in unione d'amore con Dio; e l'unicità
dell'Esistenza (wahdat alWujùd), per cui nulla
esiste se non Dio. A Dio solo quindi i mistici
tendono, fino all'integrazione finale.
Vediamo ora i novantanove Nomi e i loro
significati. Seguiremo l'elencazione più diffusa e
ortodossa; ne vedremo in seguito le varianti in
altre elencazioni.
I Nomi dal 2 al 14 seguono l'ordine con il quale
sono menzionati nel Corano (LIX, 22-24):

"È un Dio tale che non v'è altro dio che Lui, il
Conoscitore dell'invisibile e del visibile. È Lui il
Misericordioso, il Misericorde. È un Dio tale che
non v'è altro dio che Lui, il Sovrano, il Santo, la
Pace, il Pacifico, il Protettore, il Potente, il
Costringente, il Consapevole della Sua grandezza.
La Sua purezza è di là da ogni associato che
certuni Gli danno. È Dio Creatore, Protettore,
Formatore. A Lui i più bei Nomi. Tutto ciò che è nei
cieli e sulla terra canta la Sua purezza. È Lui il
Potente, il Saggio".

I nomi successivi, invece, sono stati raggruppati


per l'assonanza e l'eufonia, al fine di ricordarli
meglio.

I nomi da 21 (alQàbidu) a 26 (alMudhillu) non si


trovano nel Corano nella loro forma letterale, ma
vengono desunti tradizionalmente da radici
presenti nel Corano. Sono in coppia per
opposizione o per correlazione.
V'è poi una distinzione fra i "Nomi dell'Essenza"
(Asmà Dhàtiyah), quali Uno, Santo, Indipendente,
che esprimono la trascendenza divina e sono in
relazione diretta con l'Essenza di Dio; e i "Nomi
della Qualità" (Asmà syfàtiya), quali
Misericordioso, Generoso, Pace, che esprimono
immanenza e trascendenza divine. A questi ultimi
si aggiungono i "Nomi delle attività divine" (Asmà
af'àliya), quali Colui che dà la vita, Colui che dà la
morte.

È importante tener presente che a volte la


traduzione diretta di un Nome in italiano presenta
difficoltà; per la ricchezza espressiva e lessicale
della lingua araba, i termini che derivano dalle
radici possono avere sfumature difficili da
restituire in altre lingue e significati (per non
parlare delle significanze) perfino apparentemente
in contrasto.

Un ultimo richiamo: alla fine del commento d'ogni


singolo Nome ho posto il nome che se ne ricava
anteponendovi il termine 'abd (servo, schiavo,
devoto. Esempio: 'Abd alAllah = Abdullah, ovvero
"Servo di Dio"). Si ha così una serie di
novantanove nomi che sono tra i più imposti ai
neonati, nella speranza che il nome influisca sul
comportamento e rammemori negli atti terreni
una qualità essenziale di Dio.
Infine: secondo la consuetudine, dopo
l'enumerazione dei Nomi va pronunciata la frase
"Jalla Jallàluhu wa taqaddasat 'Asmà'uhu" (Che la
Sua maestà sia proclamata e i Suoi Nomi
santificati).
Bismi lLahi alRahmani alRahìmi

Con questa formula, detta basmala, e che


significa: "Nel nome di Dio, Misericordioso,
Misericorde", inizia ogni sura del Corano (eccetto
la nona) e ogni azione di ogni buon musulmano.
"Nel nome di Dio" ritorna spesso anche nelle
liturgie ebraica e cristiana (Sal 20,8; 118,10-12;
124,8; Mt 23,39; ecc.). Per gli antichi popoli semiti
il "nome" è il nominato stesso; così Dio ha scelto
un luogo "per farvi dimorare il Suo Nome" (Dt
12,11; 16,2 e 6); "glorioso e terribile" (Dt 28,58),
ecc.
Il "nome di ogni cosa" ha un particolare valore per
i musulmani, secondo il passo coranico (II,31-33):
"[Dio] insegnò ad Adamo i nomi, tutti; poi li
presentò agli angeli e disse: "Informatemi dei
nomi loro, se siete veridici". Dissero: "Purezza a te.
Noi sappiamo solo ciò che Tu ci hai insegnato. Sei
Tu il Sapiente, il Saggio [al'Alìmu, alHakìmu]".
Disse: "Adamo, informali dei loro nomi". Poi,
quando li ebbe informati dei nomi, Dio disse: "Non
vi avevo detto che Io conosco l'invisibile dei cieli e
della terra, e che Io so quel che voi divulgate e
quel che voi nascondete?".
Bismi (in arabo: bsm) è detto significare: bahà,
bellezza; sanà, grandezza; mamlaka, regno.
La basmala è dunque la più ripetuta in tutto il
mondo islamico; calligrafata in miniatura e ogni
altro genere di pittura e soprattutto in ceramica;
eseguita con tutte le tecniche della scultura, sia
scultura d'arte sia d'artigianato. Un'intera esegesi
ha elaborato teorie essoteriche ed esoteriche
partendo dal punto che in arabo caratterizza la
lettera b. Ma non essendo il caso di dilungarci qui
in modo specifico sulla basmala, torno
all'argomento principale del testo.

Nota per la corretta lettura dei Nomi.

I Nomi vengono dati con l'articolo (al) che,


precedendo le cosiddette lettere lunari (a, b, j, h,
kh, ', f, q, k), si pronuncia immutato; ma
precedendo le lettere solari (t, th, d, dh, r, z, s, sh,
s, t, th, l, n) modifica la elle nella lettera solare
stessa (esempio: alShamsu: il sole, si legge
ashShamsu). Sono inoltre dati con la desinenza
vocalica del nominativo (u). Nella lingua parlata le
desinenze vocaliche delle declinazioni
(nominativo: u; accusativo: a; casi fratti: i) non si
leggono; nella recitazione dei Nomi di Dio la u del
nominativo va invece pronunciata; tuttavia questa
regola non è sempre seguita.
1
ALLÀHU: Dio

Da al, articolo, e Ilahu: Dio. Per contrazione


conforme alla regola della "frequenza d'uso"
alIlahu è diventato Allàhu. Al plurale (àliha: le
divinità), come nome divino del tutto impersonale,
è già presente nella poesia araba preislamica.

A molti studiosi occidentali non è sfuggita la


somiglianza con l'ebraico El (esempio: El-okim, Dio
di giustizia), mentre per altri potrebbe derivare
dall'aramaico Alàhà. Per indicare una divinità, il
termine Il, El (rare volte Elim) è presente in tutte
le lingue semitiche (Israel: combattente di Dio;
Immanu-el: con noi è Dio; Bàb-El: la porta di Dio;
ecc.) a partire da: "Ivi (Giacobbe) eresse un altare
e lo chiamò El, Dio d'Israele" (Gn 33,20), fino
all'invocazione di Gesù sulla croce: Elì, Elì, lemà
sabachthanì? (Mt 27,46), che in aramaico significa:
"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?".
Il Dio degli ebrei è detto anche Elohim: El al
plurale. In particolare Il è la desinenza del nome
delle divinità sudarabiche preislamiche; comunque
una divinità detta Allàh era già conosciuta alla
Mecca prima della nascita del profeta Maometto.

L'esegesi musulmana s'è abbondantemente


espressa nei secoli a proposito di questo Nome e
vari studiosi hanno proposto altre derivazioni, una
decina, tra cui: la radice 'Ih (adorare); Iyh, da cui
làha (essere elevato, nascosto), opinione preferita
dai Basriani; Iwh, da cui làha (creare); 'wl e 'yl, che
rappresentano un concetto di "preminenza". Abù
alBaqà' alKaffawì riteneva che Allàh si fosse
formato da hà' (nome indicante "maggiorità", e
pronome della terza persona), e làm, suffisso di
possesso.
Del tutto errato, comunque, il concetto espresso
da alcuni studiosi occidentali secondo il quale
Allàhu è il nome specifico del Dio dei musulmani;
per cui la traduzione appropriata darà in italiano al
termine Allàh il suo significato precipuo: Dio.
Il concetto di Dio che ne può avere l'essere umano
è per forza costantemente limitato, a causa
dell'imprescindibile limitatezza dell'essere umano
stesso. Esso comprende il tawhìd e il sifàt-Allàhf.
Tawhìd è "l'unicità divina", che si basa
sull'esistenza di Dio (wujùd Allàh); il sifàt-Allàhf è
l'elencazione degli attributi di Dio, senza per
questo diventare un "corporeista" (mujassima,
detti per disprezzo hashwiyya). Occorre cioè non
cadere mai nell'errore gravissimo di comparare
Dio con le Sue creature (errore detto tashbìh), ma
procedere al tanzìh: l'affermazione che Dio "non è
corpo, né sostanza (jawhar), né accidente, né è
localizzabile..." e così via. In effetti Dio è bilà kayf
wa là tashbìh: senza commento né comparazione.
In definitiva Dio è "mistero" (ghayb), Dio è
"indefinibile".
I sufi, che nell'Islàm espressero i pensieri più alti
nel difficile cammino verso "l'unione con Dio",
consideravano le Enneadi di Plotino "documento
d'un sufi prima del verbo muhammadico"
("Bevemmo di quel vinoprima che la vigna fosse
piantata", scrisse 'Omar bn Fàridh [1118-1235] in
AlKhamriya). Di Dio Plotino scrisse: Poos onv
èmeis lègomen perì autoù..., ovvero "Ma perché
allora parliamo di Lui? In verità noi diciamo solo
qualcosa di Lui, ma non affermiamo nulla di Lui e
di Lui non possediamo né conoscenza né pensiero.
E come dunque possiamo parlare di Lui se non Lo
possediamo? È vero: non Lo possediamo con il
raziocinio, non Lo possediamo in modo completo;
ma Lo possediamo in modo tale da poter parlare
di Lui anche se in modo inadeguato" (Enneadi
V,3;14).
È tuttavia possibile intuirne l'eternità, l'unicità e
l'universalità. Egli non appare ai nostri occhi e,
nella Sua ipseità totale, nemmeno alla mente
umana più illuminata; tuttavia è assolutamente "il
Presente" in ogni particella dell'infinito. I fenomeni
che noi percepiamo e dei quali abbiamo
cognizione precisa, in effetti sono nulla, mentre
Dio, anche se non siamo in grado di considerarLo
evidente, è l'Evidenza, la Realtà unica. Forse il
modo migliore per capirLo reale è considerare le
leggi che regolano, innumerevoli, la complessa e
interdipendente vita dell'universo; leggi perfette
che mai la materia di cui l'universo è fatto avrebbe
potuto concepire. Il Corano - e tutto il Corano è, in
definitiva, dedicato a Dio - tenta di darne
un'immagine, ad esempio, con i versetti 22-24
della LIX sura, più sopra citati.
'ABD-ALLAH (Abdullah). Nome che tende a far
rammentare a chi lo porta l'unicità e l'unità di Dio.
Grazie ad esso il "servo di Dio" dovrebbe
rammentarsi dei benefici che Dio costantemente
gli elargisce manifestandosi in lui con tutti i Suoi
attributi.

2
alRAHMANU: il Misericordioso

(dalla radice r-h-m: essere compassionevole,


buono, clemente, misericordioso) Nel Corano
compare centootto volte, oltre alla formula "Nel
nome di Dio Misericordioso, Misericorde", che (a
esclusione della nona) appare in testé a tutte le
sure senza tuttavia farne parte; eccetto la prima,
della quale invece fa parte come primo versetto.
Ad esempio:
I,2-3; II,163; XX,90; XLI,2; LVII,29; LIX,2.

Anche il Nome successivo, alRahymu, viene dalla


stessa radice, per cui indicherà "il Misericorde",
nel senso della "qualità essenziale precipua di
Dio", mentre alRahmanu indicherà "il
Misericordioso" nel senso dell'Azione" di
misericordia che Egli compie. Da confrontare la
formula ebraica rahom vé hanùn: Dio di pietà e
misericordia (Es 34,6-7; ecc.). In iscrizioni
giudaico-sabee Rahman (il Misericordioso) designa
il Dio del monoteismo assoluto; mentre per
alGhazzàlì è quasi un nome proprio esclusivo di
Dio, essendo solo Sua la volontà del bene totale
(iradat alKhair), come appunto dice il Corano (VII,
156): "La Mia misericordia ricopre ogni cosa".
Per l'essere umano la misericordia non si può
limitare alla compassione, alla pietas, essendo tale
solo se è in grado di eliminare le pene di coloro
che soffrono. La misericordia di Dio è
imperscrutabile; infatti il Profeta ha detto: "Se
colui che non si trova nel bisogno invoca la
misericordia di Dio rischia di attirarsi invece la Sua
collera". Per questo Ibn 'Arabi ha scritto: "La
misericordia che Dio prodiga alle Sue creature è
l'essenza stessa dei Suoi Nomi: è misericordia
pura, come sono puri un cibo lecito e un
godimento naturale non macchiati dal biasimo. È
una misericordia derivata dai Suoi Nomi e non allo
stato sublime; come una medicina, che è forse
sgradevole quando la si prende, ma che poi
guarisce [...]. Così Dio gratifica il Suo servo
attraverso il Nome alRahmanu, allora il dono è
libero da ogni sorta di contaminazione pur se è
contaminato colui che lo riceve o la sua
intenzione".
'ABD-ALRAHMAN. Colui che porta questo nome è
incentivato a esprimere la misericordia creatrice di
Dio e ad essere buono secondo le proprie
possibilità. Nome che illustra il detto del Profeta:
"Dio ha creato l'essere umano nella forma della
Sua misericordia".

3
alRAHYMU: il Misericorde
(Nel Corano compare ottantadue volte, oltre alle
osservazioni date per il Nome precedente. Tra
queste: I,2-3; II,163; XX,90; XLI,2; LVII,29; LXIX,2)

Dio, essendo tale, possiede la qualità "il Creatore",


ma la Sua creazione partecipa in se stessa della
sua Qualità "il Misericorde", per cui alcuni teologi
hanno detto: "La Sua misericordia (rahmaniyya)
ha fatto sì che tutto il creato sia stato creato per il
genere umano". Questa è naturalmente una
riduzione dell'identità di Dio, ma può rendere
l'aspetto di "generosità" insito in questo Nome.
Altri teologi hanno optato per una presenza
Rahmanu nel mondo fenomenico e Rahymu nel
mondo dello spirito (Mujahid), sino a giungere a
pregare Dio chiamandoLo: "Oh Rahmanu di questo
mondo e Rahymu dell'aldilà!".
Comunque la presenza della rahmaniyya divina
sulla terra conduce l'essere umano alla generosità,
alla capacità d'essere compassionevole,
soffocando l'orgoglio ed esprimendosi con le
buone azioni, prima di tutte l'astensione assoluta
dal nuocere agli altri e l'uccidere.

Ciò comporta anche la sopportazione


dell'ingratitudine e l'abbandono di qualsiasi forma
d'arroganza, di vanagloria, di vanteria per il bene
compiuto, poiché l'essere umano è soltanto
strumento di Dio. Del pari i gratificati
ringrazieranno in definitiva Dio per l'aiuto ricevuto
dai loro simili.
'ABD-ALRAHYMU. La persona che porta questo
nome è incentivata a perfezionarsi di continuo
nella ricerca di Dio, con devozione e religiosità. Il
suo nome rammenta così al prossimo la
compassione e la bontà di Dio.

4
alMALIKU: il Sovrano, il Re

Allotropi: Màliku, Malyku (Corano: III,26; LIV,55;


ecc.). (Corano: I,3; II,258; III,26; III,II4; XV,23
XCII,13) Dall'antica radice semitica m-l-k; ebraico
melekh, aramaico malkà; accadico malku; assiro
malku, maliku. Plurale: mulùk

Ha un senso assoluto, poiché solo a Dio compete


in effetti tale titolo. AlMaliku ha valore di attributo
escludente (Dio è indipendente da ogni cosa) e di
attributo attivo (ogni cosa dipende da Dio). È
attributo di potenza da intendersi come
indicazione di potere assoluto e nello stesso
tempo ha carattere sociale di rilevante
importanza: solo Dio è sovrano, solo Dio è
"proprietario" dell'essere umano; l'essere umano
non deve riconoscere sovrano o padrone di fuori
da Dio. Il Corano (III,26) afferma: "Di': Dio, Sovrano
della regalità, Tu dai la regalità a chi vuoi e strappi
la regalità a chi vuoi; e dai il potere a chi vuoi, e
umilii chi vuoi. Il bene è nella Tua mano. Sì, Tu sei
Onnipotente".
D'altro canto molte correnti teologiche,
considerando il versetto coranico XLII,38 ("per
quelli che rispondono al loro Signore, compiono la
preghiera rituale, "si consultano fra di loro per
deliberare", ed elargiscono ciò di cui li
gratifichiamo"), lo interpretano come l'invito a
organizzare i governi terreni in repubbliche. A
questo proposito si stabilisce una differenza fra il
"califfo" (capo religioso e politico di tutta la
comunità islamica, tenuto alla pietà e alla dirittura
morale), il "sultano" (organizzatore dell'impero e
capo della sua organizzazione, ma non "padrone"
dell'impero) e gli altri tipi di governanti non
soggetti a un parlamento eletto. Risulterebbe
quindi non coranico - e per conseguenza non
islamico - un regno assolutistico; vi è comunque
differenza fra lo strapotere dei re dell'Arabia
Saudita (lo sharìf della Mecca si autoproclamò "re
dei paesi arabi" nel 1916 e venne accettato come
re del Hijàz da Gran Bretagna e Francia) e il potere
del re di Giordania, equo perché regolato dalle
necessità del popolo.
Comunque nessuno all'infuori di Dio riuscirà mai
ad essere re in senso totale, e cioè dei cieli e dei
mondi, del visibile e dell'invisibile. Dio è un Re in
assoluto anche per il fatto che è il Creatore del
regno, e l'unico conoscitore dell'estensione, della
realtà e del senso escatologico del regno. D'altro
canto il regno è del tutto dipendente dal suo
Monarca, ed è sotto questo punto di vista che va
intesa la realtà del giorno ultimo, o giudizio finale:
come alta corte di giustizia relativa al regno. Da
qui, due necessità: l'obbligo di far buon uso dei
beni terreni, dati in usufrutto a noi in qualità di
"incaricati del Re" (ossia "califfi" di Dio), precipua
di ogni essere umano; e il giudizio finale per poter
rendere conto al Monarca di questa fideiussione
terrena.
Importante è anche la considerazione che Dio, e
solo Dio, è il Re della vita e della morte (Corano:
II,258; XV,23; XCII,13; ecc.). Nel Corano si legge:
"Purezza a Colui che tiene nella mano la Sovranità
[malakùt] su ogni cosa (XXXVI,83)". Il malakùt è
inteso dai sufi come "il regno angelico e mondo
spirituale", in parallelo con la "natura essenziale di
Dio": alHàhùt.
'ABD-ALMALIK. Chi porta questo nome è
incentivato a considerare che qualsiasi tipo di
potere possegga, esso va esercitato entro i limiti
del regno di Dio. Pertanto il suo compito è arduo,
poiché uno dei doveri più difficili sulla terra è
quello di saper governare con equità e giustizia,
senza lasciarsi corrompere da un potere che
troppe volte tenta l'essere umano trascinandolo
nella negatività e arrecando lutti e dolori.

5
alQUDDUSU: il Santo

(Sacro, Puro, Perfetto, Senza limiti) (Corano


XLIX,23; LXII,I)

In diretta analogia con taqaddus, taqdys: lo stato


di santità, di carattere sacro, trascendente; Mu-
qaddas: la cosa sacra. Da ciò si evince che
tradurre jihad (lo sforzo) con "guerra santa" è un
errore gravissimo.
Nel Corano è in analogia con Qayyumu: il
Sussistente, e Qàlmu biDhàtihu: Colui che sussiste
per sua propria essenza (XX, 111; LXIV,72). Indica
al contempo sia che Dio è esente da ogni
imperfezione (concetto umano), sia che il Suo
mistero è di là da ogni possibile interpretazione o
sguardo umani (realtà unicamente di Dio).
È l'equivalente dell'affermazione-attributo
mukkalafatun lilHawadit ("Che non reca in Se
alcuna rassomiglianza con il creato"): una delle
cinque essenze di non somiglianza di Dio con cosa
alcuna. Disse alGhazzàlì: "La perfezione del
carattere sacro e della trascendenza è possibile
unicamente per l'Uno Vero" (Ihya, IV,162) e: "Per
esistere, l'universo ha necessità di un Creatore, e
per questa sua propria necessità proclama la
trascendenza del suo Creatore" (Ihya, I,92). Infatti
le qualità di Dio alQuddùsu non sono comparabili a
qualità analoghe che si possono attribuire a esseri
umani anche nella loro elevazione massima,
perché sfuggono alla comprensione umana per il
fatto stesso che sono qualità "eterne". La
comprensione di questa verità porta l'essere
umano al desiderio di lodare Dio per la perfezione
che non ammette antropomorfismi o raffigurazioni
di alcun genere. Per lo stesso fatto la preghiera a
Dio è solo e puro atto di adorazione, e non
richiesta di beni materiali, altrimenti diventa shirk:
politeismo; poiché si associa Dio al concetto di un
reale "protettore", anche se di grande potenza e
qualità. Essendo il Protettore in assoluto, non Gli
va chiesta l'azione del proteggere, essendo in se
immanente, totale, eterna. Ciò indica anche il
grado di fede che il credente è chiamato a
raggiungere: pura comunicazione con il Creatore,
comunicazione esente da desideri materiali, da
condizionamenti, da devianze psichiche quali il
complesso edipico, il tartufismo o il pietismo.
Essendo quindi l'attributo "Santo" qualità
esclusivamente di Dio, l'Islàm strettamente
coranico riconosce a uomini eminenti (a molti
maestri sufi, ad esempio) il valore di una vita
esemplare, ma mai il titolo di "santo", usato
invece correntemente dalla massa semplice, non
evoluta, che il più delle volte ha solo una
superficiale infarinatura teologica.
'ABD-ALQUDDUS. Chi porta questo nome è
incentivato ad accogliere nel proprio cuore solo
Dio, e pertanto a condurre una vita il più possibile
esente da macchia e da desideri mondani,
secondo il detto tradizionale: "Non Mi troverai nei
cieli e sulla terra, ma nel cuore dei Miei servi
fedeli".

6
alSALAMU: la Pace

(Corano: XXXIII,44; LIX,23)

Come attributo escludente indica che Dio è il


possessore di una Pace assoluta; come attributo
attivo è "Colui che dà la pace e la salute" pre e
post-creazione; come attributo della Parola Egli
darà la pace salutando la Sua creatura.
Questo Nome indica forse più di ogni altro che i
Nomi di Dio sono essenze desiderate e per quanto
possibile perseguite dagli esseri umani, che
tuttavia non sono in grado di raggiungerle in
questa vita; la pace è uno stato che si potrà
raggiungere solo nella vita futura. La pace è
comunque possibile non come qualità sorta
d'improvviso nel cuore del fedele, ma attraverso
una via di evoluzione costante, con la ricerca non
del perfezionamento in assoluto (errore di
presunzione), ma dell'equilibrio; attraverso la
ricerca non della felicità (sentimento solo
episodico) ma della serenità: uno stato
raggiungibile e perfino continuo, a condizione di
essere sempre preparati a riaggiustare il proprio
equilibrio interiore tra i costanti squilibri del
mondo esterno.
Tosun Bayrak cita a questo proposito un vecchio
proverbio turco: "Non appoggiarti a un albero,
perché può inaridire e putrefarsi; non dipendere
dagli uomini, che possono solo invecchiare e
morire... Colui che dipende da Dio alSalàmu non
avrà mai timore. La forza di Dio si manifesterà in
lui e gli darà la forza della fede. Questa è la
manifestazione del Nome alSalàmu". Mi viene da
citare un altro proverbio turco: "La pazienza è la
chiave della serenità", poiché in effetti la pace e la
salute dello spirito si raggiungono perseguendo
con pazienza la via della comprensione dei valori
del mondo.
'ABD-ALSALÀM. Questo nome viene conferito nel
desiderio che chi lo porta sia protetto dal dolore,
dalla necessità e viva una vita equilibrata e
pacifica.

7
alMU'MINU: il Fedele,

nel senso di "avente la Fede", cioè di Colui che è


detentore della Fede e la dona a chi Egli vuole
(altro senso: il Rassicurante)

(Corano: LIX,23; titolo della XXIII sura)

Come principio di forma (muf'il) il termine può


avere due sensi, insiti entrambi nella radice à-m-n
("essere in sicurezza" e "credere"), per cui può
significare sia "protettore" sia "credente". Certi
autori musulmani che non conoscono bene le
finezze della lingua araba hanno considerato
assurdo il senso di "credente, fedele" come Nome
di Dio. Prendendo il termine in senso assoluto il
significato più diretto è quello che corrisponde
all'idea di quiete e di sicurezza accordata da Dio
alle Sue creature, come ha dimostrato Si Hamza
Boubakeur. La radice à-m-n evoca l'idea di fiducia
e di sicurezza, per cui mu'min è, nel mondo
fenomenico, il credente sincero, mentre dalla
radice s-l-m abbiamo muslim: "Colui che si
sottomette [a Dio]", il musulmano (e al masdar
della IV forma: Islàm). Sinonimi sono: dalla radice
kh-l-s (essere puro, non mescolato) mukhlis, "Colui
che pratica con sincerità il culto puro"; e ikhlàs,
"Colui che è lontano da ogni politeismo"; hanìf: il
fedele che credeva in un solo Dio già prima
dell'Islàm coranico; mentre yaqìn (certezza) evoca
la fermezza nella fede. Da mu'minu il plurale
mu'minùna: i fedeli, i credenti, quindi la comunità
dei musulmani; considerando però, come dice Si
Hamza Boubakeur (Le Coran, Paris 1979, p. 1012)
che: "Il messianismo di Gesù e di Maometto è, in
effetti, universale nel tempo e nello spazio. Si
rivolge a tutti gli uomini: agli idolatri (mushrikùn),
ai miscredenti (kàfirùn), agli erranti (dàllùn), così
come ai credenti (mu'minùn)". Il contrario di
mu'min è dunque kàfir.
Circa il doppio significato "Rassicurante, Fedele", i
più importanti e illuminati commentatori hanno
considerato solo il primo valore; alcuni invece
hanno affermato che è assurdo attribuire il
secondo significato di questo termine a Dio. Altri
invece preferiscono il secondo significato,
seguendo il commento di alYjì [nota], per il quale
"Dio è il Credente in quanto aggiunge fede a se
stesso e al Suo inviato, grazie alla Sua suprema
veracità. Ciò sia testimonialmente, perché,
essendo, afferma Se stesso e i Suoi inviati
(attributo della parola); sia operativamente,
creando la prova miracolosa (attributo attivo)"
(Kitàb alMawàqif).
Si può ancora considerare Dio come il Credente in
relazione al fedele, essendo per questi fonte di
sicurezza e di protezione (amàn). È necessario
distinguere comunque "fede" da "religione".
Fede è pulsione connaturata, la spinta dell'essere
umano verso il suo Creatore, qualsiasi sia la sua
posizione, il suo tempo e la sua cultura; mentre
religione è la burocratizzazione della fede, e
comporta una cultura, uno spazio temporale e
geografico, e una ritualistica specifica. Secondo il
Corano Dio accoglie "tutti" gli uomini nella fede, e
li suddivide nelle religioni; e chiederà a ciascuno
conto della fede e del comportamento, non della
specificità comportamentale in relazione a una
specificità religiosa. In questo senso il Nome
alMù'minu acquista il suo significato completo:
Dio, essendo il possessore della fede, ed essendo
la fede il dono più grande che l'essere umano
possa ricevere da Dio - più della salute,
dell'intelligenza, della ricchezza e della serenità
familiare - è il solo in grado di dare la fede a chi
vuole, come appunto afferma più volte il Corano.
Egli è per contro Colui che protegge e conforta
quanti si rifugiano in Lui. Chi veramente ha fede
non teme la morte, né nutre tutte le paure che
derivano dall'inadeguatezza della condizione
umana; e del pari chi ha fede non cade nel
pericolo del fanatismo, che è un modo errato di
sentire la religione avvertendone in modo rigido
solo i dogmi, incondizionatamente fissati a un
momento passato, generalizzando ciò che va
invece inteso secondo costanti distinzioni. La fede
è come un grande fiume che scorre mutando le
proprie onde pur rimanendo se stesso; l'impeto
delle acque trascina le scorie e purifica i pensieri,
mentre il fanatismo è come un fiume, in cui i pesci
sono morti assiderati.
Gli esseri umani e la loro fede hanno nemici
multipli che nuociono: l'egoismo, l'interesse, gli
orpelli del mondo che seducono i deboli. Il male ha
aspetti suadenti e la parte negativa dell'essere
umano facilmente cade preda di questo aspetto
diabolico del mondo fenomenico. Sorgono allora le
tirannie, gli egoismi, le malvagità e le guerre con il
loro amaro seguito di sventure. La civiltà del
benessere allarga i suoi confini e la fede viene
meno. Quando, per fuggire tutto ciò, uno dice: "Mi
rifugio in Dio", si rifugia in questo Nome di Dio:
alMù'minu; si rifugia nella fede, il dono che lo pone
al riparo da ogni tentazione diabolica.
Sarà allora opportuno completare questa
conoscenza sapendo quali sono i tre gradi della
fede secondo l'Islàm.
Primo grado: conferma della propria fede con le
parole (che sono: la shariha, la preghiera, la
lettura del Corano), affinché anche gli altri
sappiano che chi le pronuncia "crede in Dio" ed è
musulmano.
Secondo grado: conferma della propria fede con
gli atti, secondo il precetto coranico (II, 177): "La
religiosità non consiste nel volgere il vostro volto
verso oriente o verso occidente [ossia nel pregare
secondo il rito di questa o di quella religione]. La
religiosità consiste [...] nel dare dei propri beni ai
parenti, agli orfani, agli indigenti, ai pellegrini, ai
mendicanti, e per la liberazione degli schiavi,
nell'osservare la preghiera, nel versare l'elemosina
legale. Sono caritatevoli coloro che restano fedeli
agli impegni assunti, che sono perseveranti pur
nelle avversità, nel dolore e nel momento del
pericolo. Ecco le genti sincere".
Terzo grado: conferma della propria fede nel
cuore.
Ciò che è essenziale è la fede nel cuore. Colui che
mostra fede con le parole ma non la possiede nel
cuore è un mentitore; colui che la conferma con le
azioni ma non la possiede nel cuore è un ipocrita;
colui che la possiede nel cuore senza dichiararlo a
parole quando non può esprimerle per un motivo
qualsiasi (ad esempio per l'incolumità della propria
persona in circostanze particolari, altrimenti
diverrebbe partecipe e complice dei danni che altri
gli possono procurare), o senza dichiararlo con gli
atti quando ne è impossibilitato, ad esempio non
potendo fare la carità per circostanze particolari
(rammento: è carità anche dare un sorriso o una
parola buona), è e rimane comunque un fedele
gradito a Dio.
"Colui che ha fede sa di trovare un sicuro rifugio in
Dio alMù'minu: e per questa ragione tutti possono
trovare rifugio presso colui che ha fede, poiché
colui che ha veramente fede è amico di tutti,
sollecita il bene, aiuta coloro che fuggono dal
male, è una persona fidata" (Tosun Bayrak).
'ABD-ALMU'MIN. Chi porta questo nome si
comporti dunque come un sicuro rifugio per quanti
affidano a lui onore, beni, vita e sia di esempio agli
altri con la propria serenità e la propria sicura
fiducia nella bontà del Signore.

8
alMUHAYMINU: il Vigilante

(Corano: XLIX,23)

Termine d'origine siriaca. Secondo l'attributo della


scienza va inteso come il Testimone onnipresente,
la Cui conoscenza veglia su ogni cosa; secondo
l'attributo della parola va inteso come l'assoluto
Sincero, il Veridico nella Sua parola, in
accostamento col termine amen.
Colui che vigila su tutto ha in Se la qualità
suprema di Guardiano e di protettore di tutto.
Poiché tutto è perché Egli è, essendo Egli il
principio dell'energia con cui si fa il mondo
fenomenico che solo in Lui trova creazione e
sostanza, implicitamente nulla sfugge alla Sua
realtà, nemmeno per un istante. In senso assoluto
dunque tutto è coordinato da regole (e vi sono
leggi fisiche di sopravvivenza - come il circolo di
Krebbs in medicina - che superano ogni possibilità
d'essere state organizzate dalla materia che esse
stesse regolano), per cui la vigilanza costante di
Dio si identifica con l'attuazione stessa delle
infinite complicatissime leggi fisiche grazie alle
quali il mondo fenomenico, da un qualsiasi atomo
infinitesimo ai composti di galassie, deve la sua
sussistenza. Trascendendo il piano fisico, del pari
è presente a Dio ogni minuscola azione delle Sue
creature, compreso il corollario di ragioni fisiche,
psichiche e ambientali che hanno condotto a tale
azione. Tuttavia la "vigilanza" non implica
"ingerenza": la creatura di Dio è libera nelle sue
decisioni e nelle sue azioni, sapendo che solo alla
fine del tutto ne renderà ragione.
La "vigilanza" di Dio è necessaria anche ad altri
Suoi attributi-Nomi, in particolare alla
"retribuzione", alla "giustizia", alla "equanimità", in
un tutt'uno che - inglobandosi - ci fa capire come
Dio sia Uno nel più alto dei modi e solo noi siamo
costretti a suddividerne l'essenza in Nomi per
poterci avvicinare alla grandezza del Suo mistero.
Si può giungere a cogliere un riflesso della qualità
del Nome alMuhayminu cercando in noi stessi la
consapevolezza vigilante dei nostri pensieri,
azioni, parole e sentimenti.
'ABD-ALMUHAYMIN. Nome che tende a conferire a
chi lo porta l'incarico di ben vigilare su se stesso e
sugli altri, difendendoli dalle ingiustizie e
aiutandoli nella ricerca del retto sentiero.

9
al'AZÌZU: il Prezioso
(valore recente del termine: Caro, nel senso di
amico amato)

(Nel Corano è frequente. Ad esempio in: III,62;


VI,96; XI,66; XXXV,23; LVIII,22; LXII,1; LXXXV,8)

Come attributo d'azione indica che la potenza di


Dio può punire con forza chi Egli vuole e per
sottinteso ch'Egli è il Signore della retribuzione.
Secondo alGhazzàlì, come attributo escludente ha
il senso di Raro, Preziosissimo, Difficile da
ottenere, e pertanto - essendo Dio "il Raro per
eccellenza" - l'Unico in senso assoluto. Egli è
necessario al punto che senza di Lui nulla sussiste
ed è così inaccessibile che solo Lui può conoscere
Se stesso. Per alYjì indica che Dio non ha padre né
madre, che nessun luogo Lo può contenere e che
nulla Gli è simile.
Il termine appare spesso nel Corano in versetti che
parlano della punizione divina. La potenza di Dio è
legata allora alle Sue qualità di giustizia e di
misericordia; inoltre Egli è in grado di frenare la
propria potenza con equilibrio. È quindi il
Vittorioso che nessuna forza può sopraffare ma
che non viene sopraffatto dal desiderio della
propria forza.
Come nome grammaticalmente attributivo, ha
senso di "sufficiente qualitativamente a se
stesso", ciò che ha dato origine a particolari
dissertazioni filosofico-grammaticali, in particolare
quella di alJìlì: " Si distinguono comunemente
nell'uomo due categorie di qualità: quelle che gli
sono inerenti (come la vita) e quelle che emanano
da lui (come ad esempio la generosità). Un gruppo
di sufi, detti "Coloro che realizzano la verità"
(alMuhaqqiqùn), suddivide i Nomi di Dio in due
gruppi. Il primo gruppo è costituito dai Nomi che
sono qualitativamente sufficienti a se stessi (detti
in grammatica nomi attributivi): sono i Nomi
dell'Essenza, come Uno (alAhad), l'Unico
(alWàhid), il Singolare (alFard), l'Impenetrabile
(alSamad), il Sub lime (al'Adhìmu) e il Vivente
(alHayy), il Glorioso (al'Azìz). Il secondo gruppo è
costituito dai nomi qualitativi, come quelli che si
riferiscono alla Scienza (al'Ilm) e alla Potenza
(alQudrah); oppure qualità dette della Persona
(alSifàt alNafsiyah); o anche alle attività divine
(alSifàt alFaàliyah)".
'ABD-AL'AZIZ. Colui che porta questo nome è
incentivato ad affidarsi a Dio perché lo ponga al
sicuro da ogni attacco e da ogni prevaricazione del
potere terreno. Chi dà questo nome a un figlio
desidera che sia forte ma che non eserciti
negativamente la sua forza né si abbandoni alla
vendetta.

10
alJABBÀRU: l'imperioso, l'inaccessibile (il
Fortissimo, l'oppressore)

(Corano: LIX,23)

Dalla radice j-b-r: riordinare, restaurare; quindi il


Nome può essere inteso come: Colui che secondo
il proprio volere coordina tutto ciò che è
necessario per l'umanità, lasciando a questa la
libertà di scoordinare quest'ordine. Secondo il caso
è un attributo o d'azione oppure escludente e
affermativo insieme. Sinonimo il Nome 'Adhimu (n.
34), inteso nel senso "Esente da ogni mancanza".
Inteso correntemente come "Colui che può unire
ciò che è spezzato", indica quindi la qualità di
ristabilire l'ordine. Per Ibn al'Arabì con questo
nome Dio offre un grande dono alle Sue creature,
fornendo loro l'ambiente in cui sussiste tutto ciò
che è necessario loro, secondo il coordinamento
delle leggi cosmiche che trascendono la stessa
comprensione umana. Le leggi dell'ordine cosmico
sono quindi, per Ibn al'Arabì, un grande dono dato
da Dio all'umanità. Quando l'essere umano in
cerca di una definizione escatologica della propria
vita giunge a chiedersi: "È tutto qui?",
implicitamente afferma: "Qui c'è tutto". Se qui c'è
tutto, c'è tutto ciò di cui abbiamo bisogno e ci
sono le risposte a ogni nostro interrogativo: basta
saper capire. Allora si capirà anche l'apparente
disinteresse di Dio nelle imprese degli esseri
umani, dal momento che essi hanno tutto ciò che
è loro necessario per fare e per disfare, e dal
momento che Dio ha offerto loro tutto il
necessario. Si consideri, ad esempio, che secondo
la legge divina cosmica la terra è obbligata a
ruotare su se stessa e intorno al sole, che quindi
non può "non sorgere di nuovo" al prossimo
giorno; e il vento soffia, né può sottrarsi alla
pienezza della forza del coordinamento divino.
L'essere umano invece può scegliere di seguire la
legge naturale o di sottrarvisi. Dipende da lui.
AlGhazzàlì considerava alJabbàru il "qualificativo
per partecipazione" (la ragione per la quale era
stato incaricato della sua missione da Dio) del
profeta Maometto; e alGhaffàru (l'indulgente, n.
15) il "qualificativo per partecipazione" del profeta
Gesù.
'ABD-ALJABBÀR. Colui che porta questo nome
dovrebbe riflettere sulla forza di Dio, dominarsi e
accettare di buon grado il volere di Dio in ogni
accadimento della vita.

11
alMUTAKABBIRU: il Superbo
(il "Consapevole della propria grandezza")

(Corano: LIX,23)

Secondo alGhazzalì: "Tutto è vile a fronte della


Sua essenza", con la connotazione di
"consapevolezza" divina della grandezza della
propria realtà. Per Yjì alJurjànì il senso del Nome è
comparabile a quello di 'Adhìmu (n. 34), come il
precedente.
Il Nome è, nel Corano, in un passo fra i più
importanti per la comunità dei musulmani e in
particolare dei sufi (LIX,22-24): "Egli, Dio, di fuori
dal quale non v'è divinità, Conoscitore
dell'invisibile e del visibile. Egli, Misericordioso
[Nome n. 2], Misericorde [n. 3]. Egli, Dio, di fuori
dal quale non v'è divinità, il Sovrano [n. 4], il Santo
[n. 5], la Salute [n. 6], il Fedele [n. 7], il Protettore
[n. 8], il Potente [n. 9], il Consapevole della propria
grandezza [n. 10]. Purezza a Lui, cui nulla è
associabile. Egli, Dio, il Creatore [n. 12],
l'innovatore [n. 13], il Formatore [n. 14]. A Lui i
Nomi più belli. Tutto ciò che è nei cieli e in terra
canta la Sua gloria. Egli è il Potente [n. 9], il
Saggio [n. 20]".
Secondo Sayf alDìn alAmidì Dio crea l'universo per
il fatto stesso che ciò è manifestazione del Suo
Nome alMutakabbiru; considerazione giustamente
criticata da altri studiosi. Accettata invece
l'opinione che Satana (rammento che per l'Islàm
non è un angelo - creato di luce - caduto, ma un
aspetto del mondo fenomenico, creato di fuoco)
tende a considerarsi alMutakabbiru e riesce a
deviare molti allettandoli con l'idea della potenza
(peccato di superbia abbondantemente descritto
anche in altre religioni) nel campo politico,
intellettuale e finanziario: "La pioggia non rimane
sulle alte cime ma scende nelle valli profonde; i
doni di Dio non gratificano chi s'erge superbo ma
chi si prostra umile" (G.M.kh).
'ABD-ALMUTAKABBIR. Nome che dovrebbe
indicare a colui che lo porta la vanità delle glorie
terrene, l'effimero degli sforzi umani volti al
benessere materiale, fuggendo l'egotismo e
l'orgoglio e comprendendo d'essere, noi tutti, un
semplice e momentaneo riflesso dell'Unico
veramente Supremo.

12
alKHÀLIQU: il Creatore

(Corano: VI,102; XXV,2; XXXV,3; XL,62; et passim;


XXIV,54 nel Corano di Kùfa)

È il Nome forse più intimamente collegato - dal


punto di vista della comprensione umana - alla
realtà di Dio, poiché essendo tale, la qualità
specifica che dimostra la Sua essenza divina è la
creatività. Quindi l'universo - che il Corano
definisce "non creato per caso" ma con una
finalità nota solo al Creatore - è emanazione
"costante" dell'essere Egli Dio; e del pari costante
è la testimonianza che l'universo reca della Sua
divinità. In effetti tutto ciò che è parte di questo
mondo fenomenico ha un principio e una fine; e
tutto ciò ha bisogno di un Creatore. Tutto ciò che
viene creato vive il momento della sua creazione:
prima di quel momento non esisteva, e si trova
così ad avere un principio. Il Creatore, se avesse
un inizio, avrebbe a sua volta un creatore; per cui
è logica la frase di alHallaj: "Il Creatore sussiste
dalla preeternità alla posteternità".
Da Dio procede il perpetuo divenire (maser, che
per i sufi diventa il divenire del mistico che tende
a Dio grado dopo grado) della creazione, che ha
uno scopo, una finalità ed è differenziata solo in
apparenza, composta com'è da quanta energetici
primari, chiamati da Fakhr alDìn Ràzi, teologo
morto nel 1210 (XVII,9): àjzà là tatajjà (parti
indivisibili).
Sulla teoria della creazione (Corano X,3) sono in
opposizione l'esegesi sunnita, la scuola mu'tazilita
e la setta ismailita. Una dettagliata spiegazione
delle differenti opinioni si legge in Si Hamza
Boubakeur.
Per i sufi la creatività di Dio (e il suo potere di
risuscitare) si è manifestata con il profeta Gesù
figlio di Maria Vergine, giusto quanto dice Gesù
stesso in un versetto del Corano (III,49): "In verità
vi porto un segno da parte del Signore: formerò
per voi con il fango un uccello, vi soffierò sopra, e
con il permesso di Dio sarà un uccello [vivo]".
Per il collegamento di questo Nome con i due
susseguenti si veda la citazione di alGhazzalì a
proposito del Nome alMusawwiru (n. 14).
'ABD-ALKHÀLIQ. Chi porta questo nome dovrebbe
sentirsi incentivato a compiere tutto ciò che è
necessario al suo prossimo in accordo con quanto
Dio gli ispira.

13
alBÀRI'U: il Promotore, il Plasmatore
(eguale senso del precedente)
(Corano: II,54)

L'essere umano è nulla: la sua identità risiede in


Dio e Dio non ha bisogno di confermare la propria
ipseità né di affermare la propria esistenza. Il
mistico che per evoluzione propria trascende alla
fine l'immanente, giunge a capire che il mondo
fenomenico - e lui compreso - è un riflesso
transitorio d'una qualità precipua di Dio: la
creatività (alKhàliq alBàri').
"Tutto è nulla" (Corano, LV,26), solo Dio esiste; noi
siamo forma transitoria creata, e il divino che è in
noi è parte (e quindi valore nei due sensi di
marcia) "esclusivamente" di Dio. Questo concetto
può venir simbolizzato dal Nome alBàri'u. Indica la
qualità divina di disporre ogni cosa in armonia con
tutte le altre, in una continua corrispondenza-
dipendenza, per cui anche l'umanità è legata da
un continuo movimento di scambi reciproci; colui
che danneggia un suo simile per il proprio
tornaconto prima o poi vedrà ricadergli addosso (a
lui o ai suoi figli e seguaci) la conseguenza delle
sue male azioni. Anche nell'ambito della psiche
d'ogni singolo individuo le azioni sono conseguenti
fra di loro e dipendenti l'una dall'altra: non si può
degradare un aspetto della vita umana senza
inquinarne altri, poiché gli Ambiti del lavoro, della
salute e degli affetti sono in definitiva "vasi
comunicanti". In ultima analisi, chi distrugge ciò
che è fuori di se, o una parte anche minima e a lui
lontana della terra, finisce col distruggere se
stesso; e chi si disinteressa delle sofferenze del
prossimo dovute alla mancanza di libertà d'azione
positiva si troverà coinvolto nelle conseguenze di
queste sofferenze stesse.
'ABD-ALBÀRI'. Colui che porta questo nome è
incentivato a sfuggire l'incoerenza dell'errore,
dell'ingiustizia e della confusione. È incentivato ad
agire e a produrre in armonia con tutto ciò che lo
circonda.

14
alMUSAWWIRU: il Foggiatore delle forme, il
Coordinatore delle forme

(Corano: VII, 11; LIX,24; LXIV,3)

Questi tre ultimi Nomi (ai numeri 12, 13 e 14) si


riferiscono ad attributi d'azione.
Per alGhazzàlì connotano il passaggio dalla non
esistenza all'esistenza di ogni incidente
fenomenico; il Nome alKhaàliqu indica la
determinazione e la misura del decreto divino
(qadar); il Nome alBàri'u indica come
assolutamente reale l'esistenza di Dio (wujùd) e il
Nome alMusawwiru indica che Dio è il coordinatore
armonico delle forme. Da qui prende forma il
concetto di predestinazione, di destino (qadar),
argomento facile da capire se affrontato con
intelligenza e cultura, ma spinoso se accolto alla
lettera (Qadar è il titolo della novantasettesima
sura, in cui si celebra la notte della prima
rivelazione).
Si Hamza Boubakeur spiega: "Dio, essendo
onnipotente, onnisciente e creatore, esistente di
fuori dallo spazio e dal tempo, non può ignorare -
altrimenti sarebbe imperfetto - le azioni umane
che hanno come base tempo e spazio, né fare una
eccezione, in tutto il Suo creato, in favore
dell'uomo accordandogli la facoltà d'essere
completamente indeterminato, e quindi del tutto
libero nei suoi atti... L'uomo non può scegliere
l'etnia, l'epoca in cui vivere, il sesso, le condizioni
fondamentali che pesano sulla sua nascita
(condizione sociale, ambiente in cui nasce, lingua
materna, ecc.) come nemmeno il colore della
pelle, l'intelligenza, le capacità, il fisico, ecc. È
libero però di scegliere la sua strada. Posto ad un
bivio, è apparentemente libero di scegliere -
tenuto conto dei conflitti dei motivi - il cammino
che vuole seguire" '.
Il problema è stato esposto più direttamente in un
hadìth del profeta Maometto: "Un uomo che
voleva lasciare la sua cammella senza pastoie
disse al Profeta: "Se è destino che se ne vada e si
perda, la pastoia è del tutto inutile. Se è destino
che rimanga e non si perda, perché
impastoiarla?". Al che il profeta rispose: "La
cammella, tu impastoiala; e la tua fiducia, riponila
in Dio" ".
Per ritornare al valore specifico di questo Nome è
indubbio che la qualità di Dio si riconosce per il
fatto che Egli foggia senza partire da un modello,
e non foggia due cose del tutto eguali. Ognuno di
noi è una creazione individuale (basta guardarsi le
impronte digitali per capirlo), mentre ogni
creazione umana dipende da strumenti o da
processi precedentemente ideati.
'ABD-ALMUSAWWIR. Colui che ha questo nome è
incentivato a compiere le proprie opere
sforzandosi d'essere in accordo con la qualità
divina della bellezza e dell'armonia, consapevole
del fatto che nulla può sussistere che sia in
contrasto o di fuori dalla bellezza divina.

15
alGHAFFÀRU: l'indulgente
Allotropi: Ghafùru; Ghàfiru.

(Nel Corano compare centoventidue volte, tra cui:


II,173, II,182, II,192 II,199; II,218; II,225; II,235;
II,284; III,31, X,107; XX,82; XXXVIII,66)
I Nomi precedenti sono elencati secondo la
sequenza in cui appaiono nei versetti del Corano
LIX,22-24, sopra citati. Questo Nome, e i cinque
che lo seguono, vennero raggruppati secondo
l'eufonia, al fine di una più facile
rammemorazione.
Masdar del verbo ghafara: perdonare. AlGhafùru (il
Clemente, n. 35) intende "il Perdonatore", mentre
alGhaffàru è "Colui che non cessa di perdonare", il
Tawwàbu (dalla radice t-w-b: tornare) "Colui che
ritorna continuamente verso il peccatore che si
pente" e al'Afwu (n. 82) è "Dio che perdona in
quanto cancella l'atto negativo ".
Dio cancella i peccati (ìafà), cioè li assolve, ed Egli
solo può farlo, poiché Egli solo conosce l'insieme
dei meccanismi circostanziali che hanno
determinato la devianza ed è quindi in grado di
stabilire la giusta punizione. A Lui soltanto quindi
ci si può rivolgere per ottenere il perdono.
Secondo Ibn al'Arabì, se la creatura di Dio si trova
nello stato di meritare il castigo e si pente, Egli la
protegge dal castigo; e se si trova nello stato di
non meritare il castigo, Egli la preserva dal subirlo.
Il Nome è molto simile a alGhafùru: il Clemente (n.
35).
Va comunque considerato che in effetti uno solo è
il peccato reale per l'Islàm, l'ishràk: associare a
Dio altri che Lui, cioè il politeismo e il totemismo.
Tutto il resto può definirsi una devianza volontaria
dalla retta via, dal comportamento etico; in effetti
il Corano insiste più sul comportamento etico che
sulla pratica d'una ritualistica religiosa: "La
religiosità non consiste nel volgere il vostro volto
verso oriente o verso occidente [compiere cioè i
riti secondo i precetti ebraici, o cristiani, o
musulmani]: la religiosità consiste nel credere in
Dio...; nel dare dei propri beni ai prossimi, agli
orfani, agli indigenti, ai pellegrini, ai mendicanti, e
per l'affrancamento degli schiavi; nell'osservare la
preghiera, nel versare la zakàt. Sono religiosi
quelli che rimangono fedeli agli impegni assunti,
perseverano nelle avversità, nel dolore e nel
momento del pericolo. Ecco le genti sincere".
L'etica dei sufi Jerrahy considera poi peccato più
grande distruggere l'armonia in se e attorno a se,
e Tosun Bayrak afferma: "Un peccatore è come un
poveraccio caduto in una fogna. Qual è la prima
cosa che deve fare? Non può presentarsi agli altri
in quello stato, né può resistervi egli stesso: deve
lavarsi, ripulirsi, a meno che per causa di pazzia
sia inconsapevole del suo stato sgradevole. Il
sapone e l'acqua con cui lavare il nostro intimo è il
pentimento".
Comunque la teologia tradizionalista ha elencato,
per ordine di importanza, i "peccati" - e nel Tawba
le condizioni e modalità del perdono divino - anche
se varie divergenze sono sempre sorte. Per Ibn
'Abbàs (?-688) i peccati erano settecento, divisi in
peccati d'anima (capitali) e peccati di senso o di
lingua (veniali). Per Ibn Mas'ùd (?-650), Ibn 'Umar
(?-693) e seguaci i peccati capitali sono quelli
esplicitamente indicati da un versetto del Corano,
cioè: ishràk (politeismo o idolatria); ghayba
(calunnia); qadf alMuhsanàt (delazione calunniosa
delle donne oneste); ridda (apostasia); isràr
(persistenza nel male); qunùt (negare la
misericordia di Dio); ribà (usura); zùr (falsa
testimonianza); 'amò min makri alLàh (disprezzo
dei castighi divini); sihr (stregoneria, magia); qatl
(assassinio); 'akl mali alyatìm (dilapidazione dei
beni dell'orfano); 'uqùq alwàlidìn (ingratitudine
verso gli ascendenti); zinà bi mar'ati alJàr
(fornicazione con la moglie d'altri). Sono violazioni
delle leggi eterne per motivi di godimento
effimero.
'ABD-ALGHAFFÀR. Chi porta questo nome è
incentivato ad essere indulgente verso gli errori
altrui, indicando la via del pentimento e non
colpevolizzando ma comprendendo, aiutando,
insegnando.

16
alQAHHÀRU: il Soggiogatore
(il Costringente; il Dominatore, l'Invincibile)

(Corano: VI,18; XII,39; XIII,16; XIV,48 XXXVIII,65;


XXXIX,4; XL, 16)

Da qahr: la costrizione. Attributo d'azione


escludente: Colui che soggioga qualsiasi forma di
potere universale, sia esso impero terreno o astro
sfavillante nel cielo, non potrà mai essere
soggiogato da alcunché. AlQahhàru viene
contrapposto al Nome alLatìfu (n. 31) per dare
l'idea di Dio, vigoroso nel soggiogare ma delicato
nel Suo amore. Di ciò testimonia l'intera creazione
che, per essere materia, necessita di positivo e di
negativo, della luce e del buio, del bene e del
male.
Pertanto la parte materiale dell'essere umano
capisce più chiaramente l'infinito incomprensibile
di Dio attraverso questi contrasti alQahhàru-
alLatìfu, perché - essendo egli stesso soggetto a
contrasti - considerando questi Nomi ritrova se
stesso, e ritrovando se stesso trova la
sovradimensione di ciò che lo sovrasta. Occorre
capire contrasti simili per comprendere che le
cause ascendenti e discendenti sono limiti da
superare, identificando Dio - secondo la nostra
ben limitata possibilità di comprensione - di là da
tutto ciò.
'ABD-ALQAHHÀR. Chi porta questo nome dovrebbe
impegnarsi per contrastare la tirannia e porsi al
riparo da imposizioni negative, riuscendo a
individuare e a seguire la via della giustizia.

17
alWAHHÀBU: il Donatore
(per senso acquisito: il Dispensatore d'ogni grazia)

(Corano: III,8; XXXVIII,9)

Senso attivo, come ha compiutamente


commentato Ibn al'Arabì: "Egli è Colui che dona di
continuo e gratuitamente, poiché colui che riceve
non Lo deve compensare con azioni di grazia o di
merito, dato che Dio non ha bisogno di
ricompensa alcuna, e tutto è in Lui". In effetti così
andrebbe intesa la preghiera: atto di adorazione
della creatura verso il Creatore, non una richiesta
di aiuto poiché Egli è in assoluto e per sempre
Colui che aiuta. D'altro canto, essendo Egli
l'Onnisciente, sa chi merita il dono, e come, e
quale tipo di dono è il più appropriato, e quando
elargirlo. Intendendo bene il valore di questo
Nome, ogni buon musulmano dovrebbe essere
incentivato a diventare egli stesso, secondo i
propri mezzi, un donatore; e in effetti nei secoli
sono state numerosissime le personalità sia
politiche sia della finanza o della cultura che
hanno fondato istituzioni caritatevoli e di utilità
pubblica, quali i grandi waqf ottomani, persiani e
uzbeki.
'ABD-ALWAHHÀB. Colui che ha questo nome
dovrebbe predisporsi per essere veicolo di Dio,
elargendo quanto è nelle sue possibilità agli altri
esseri umani, senza aspettarsi in cambio
ricompensa o gratificazione, e in giusto equilibrio
senza mai esagerare neanche nel bene.

18
alRAZZÀQU: il Dispensatore
(il Nutritore)

(Corano: XXII,58; XXXV,3; XXXIX,17; LI,58; LXII,9;


LXII, 11)

Attributo d'azione. Anche se rizq designa i viveri,


le provvigioni, e in aramaico specificatamente il
pane (si confronti il Pater Poster: "Dacci oggi il
nostro pane quotidiano", MI 6,11; e Pro 30,8-9), il
verbo razaqa con Dio per soggetto significa
"dotare gli esseri viventi di tutto ciò che è
necessario loro per vivere". Per alJurjànì, rizq è
tutto ciò che necessita ad ogni essere vivente per i
bisogni fisici (infatti il cibo sulla terra basterebbe
per tutti, se alcune nazioni non se ne
accaparrassero oltre le necessità lasciando di
proposito altre a morire di fame); mentre per
alGhazzàlì comprende anche il nutrimento
necessario alla psiche e all'anima. Egli pose
l'accento più su questa necessità spirituale che su
quella materiale. In effetti occorrerebbe
considerare che Dio fornisce tutto ciò che è
necessario al sostentamento dell'intera creazione
con le leggi che regolano l'esistenza della materia,
ma l'essere umano, con il libero arbitrio, a volte
altera anche in modo fortemente negativo
l'ambiente naturale, sovvertendone l'equilibrio.
In definitiva il cibo necessario alla materia è la
presenza di Dio e il miglior cibo dell'anima è la
consapevolezza della Sua esistenza. Il
sostentamento che viene da Dio è puro, ma
l'essere umano sa a volte contaminarlo, non
riconoscendo da dove viene o alterandolo di
proposito. Per il sufismo, Maria Vergine manifesta
la qualità alRazzàqu di Dio, giusto il versetto
coranico XIX,24-26: "Non affliggerti. Il Signore ha
messo ai tuoi piedi una sorgente. Scuoti verso di
te la palma: cadranno su di te datteri freschi e
maturi. Mangia, bevi e rallegrati".
'ABD-ALRAZZÀQ. Dando questo nome, si auspica
che Dio renda ricco chi lo porta, perché a sua volta
elargisca parte dei propri beni per le varie forme di
carità, non solo materialmente ma anche con la
cultura, l'arte e le buone parole.

19
alFATTAHU: Colui che apre, disserra e risolve; il
Separatore
(l'Arbitro, il Vittorioso, il Rivelatore)

Nel Corano è ricorrente. (Ad esempio: VII, 40;


XXXIV, 26; XXV, 2)

La radice f-t-h (aprire, conquistare) significò


dapprima "arbitrare un conflitto" e con questa
accezione è usualmente presente nel Corano
(VII,40 ecc.). A seconda delle variazioni
connotative della radice e della sua posizione, nel
contesto il termine ha tre sfumature, e pertanto
come attributo attivo ha valore di Vittorioso; come
attributo della parola è il Giudice che pronuncia la
sentenza; come attributo di volontà è il Giudice
che decide; e secondo alGhazzàlì è il Rivelante che
porta a conoscenza degli esseri umani quel che
era nascosto loro.
In Corano XXXIV,26 è Colui che separa i buoni dai
cattivi", in collegamento con il Nome alJàmi'u (il
Radunatore, n. 87); in Corano XXXV,2 il senso è
piuttosto di "Elargitore": "Nessuno trattiene ciò
che Dio dischiude della Sua misericordia agli
uomini, e nessuno dopo di Lui può donare ciò che
Egli trattiene".
In Corano VII,40: "No, le porte del cielo non
verranno aperte a coloro che dichiarano
menzogneri i nostri segni e si gonfiano d'orgoglio,
e non entreranno nel paradiso fintanto che un
canapo non sarà entrato nella cruna dell'ago. Così
retribuiamo i criminali".
Va quindi inteso nel senso di "Colui che apre il
dono della generosità e dischiude ciò che è legato,
indurito". Si potrebbe anche dire allora "Colui che
scioglie i nodi e gli ostacoli", sia materiali
(indigenza, mancanza di lavoro) sia psichici
(disperazione, dubbi e paure). Dio risolutore di
profondi blocchi psicologici e di conflitti indica la
via della pace nei problemi della famiglia,
incentivandoci ad aprire, per imitazione, le porte
della misericordia e della generosità. L'eminente
donna sufi Rabi'a udì un giorno un predicatore
enunciare agli allievi: "Battete, e vi sarà aperto",
ed essa di rimando: "No! La porta di Dio è sempre
aperta. Egli è alFattàhu".
'ABD-ALFATTÀH. Chi porta questo nome dovrebbe
aiutare il prossimo sforzandosi di sciogliere i nodi
e aprire i cuori induriti; dovrebbe inoltre
manifestare generosità e incentivare tali doti negli
altri.

20
al'ALÌMU: l'onnisciente
(il Conoscitore [di tutte le cose]). Allotropo.
'Allàmu

(Nel Corano è ricorrente. Ad esempio: II,115,


II,181, II,221, II,255 III,69; III,73; III,119; III,154;
IX,28; XV,86; XXXIII,51, XXXVI,79, LXXVI,30)

Il nome-aggettivo 'alìm significa "conoscitore,


sapiente"; applicato a Dio prende la connotazione
sostanziale di Onnisciente, Colui che conosce
perfettamente tutto, Colui al quale la sapienza
appartiene in assoluto. Il Corano indica che la
scienza si estende a tutto con il verbo 'ahàta
seguito dalla particella bi (participio attivo: muhìt),
che significa "abbracciare", avvolgere,
accerchiare, comprendere. La formula "Certo Dio è
Colui che avvolge tutto" (con la Sua scienza),
viene per solito resa con: "La scienza di Dio si
estende a tutto". Riferito a un essere umano
"sapientissimo" si trova nella forma 'allàma,
termine che non può riferirsi a Dio dal momento
che indica un sapere acquisito gradualmente,
vasto ma non illimitato; mentre la scienza di Dio è
innata e assoluta.
Un hadìth del profeta Maometto dice: "A colui che
percorre una via cercandovi una scienza, Dio
spianerà una via verso il paradiso". Egli disse
anche: "Andate a cercare la scienza, doveste per
questo andare sino in Cina"; e ciò è in
collegamento diretto con i versetti 3-5 della sura
XCVI: "Leggi, perché il tuo Signore è il
Generosissimo. Egli ha insegnato con il calamo, ha
insegnato all'umanità quel che l'umanità non
sapeva".
Par giusto citare qui il detto latino: "Nam sine
doctrina vita est quasi mortis imago" (La vita
senza il sapere è quasi l'immagine della morte).
La dipendenza da Dio in relazione al sapere è
ovvia. Ogni esistenza è creata da Dio, per cui - per
la nota legge in base alla quale ogni cosa creata è
inferiore al suo creatore - noi possiamo conoscere
della sapienza (e di Dio) solo una minima parte.
Pur essendo su questa terra da millenni, l'umanità
ne conosce ben poco. Per capire meglio il divino, i
sufi fuggono anzitutto il limite d'una descrizione
antropomorfizzata di Dio, riconoscendone gli
attributi e i Nomi come indicazioni in relazione alla
possibilità di comprensione degli esseri umani e
non in relazione a Dio. D'altra parte, di questo
immenso bagaglio di cose che si possono
conoscere, abbiamo la parte essenziale: secondo
l'assunto "nascere è conoscere", sin da quando
nasciamo abbiamo l'intuizione della presenza
divina. L'istinto ci porta alla fede, pulsione
terziaria naturale da non confondere con la
religione, che ne è la codificazione burocratica,
anche se necessaria. Spesso però l'intellettualismo
e la presunzione di conoscere molti fenomeni
dell'universo fisico conducono scienziati
materialistici ad allontanarsi dal proprio istinto di
fede e a deridere le religioni che lo coordinano. È il
suadente "materialismo" insito nella materia, per
semplicità emblematica chiamato satana, che il
Corano dichiara creato di fuoco, a differenza degli
angeli che sono creati di luce (l'ansia del sapere e
delle passioni brucianti in contrapposizione alla
luminosità del bene e della conoscenza spirituale,
come disse Rùmì III, XXIV,16). "E Satana ne devia
molti", si legge nel Corano.
Il grande valore dell'onniscienza divina è espresso
nel Corano dalla quantità di versetti che vi si
riferiscono: Dio è Colui che sa tutto (159 versetti);
Egli conosce il mistero e ciò che è nascosto (32
versetti); Egli solo conosce l'ora del giudizio (7
versetti); conosce i giusti e i credenti (8 versetti);
conosce quelli che sono ben diretti (8 versetti);
conosce gli ingiusti e le loro male azioni (23
versetti); conosce i pensieri e il contenuto dei
cuori (27 versetti); le azioni degli uomini (14
versetti); "il bene che fate" (5 versetti); quel che
gli uomini nascondono e quello che divulgano (21
versetti); è informato perfettamente (44 versetti).
Il Nome al'Alimu, direttamente legato all'attributo
di scienza ('ilm), è un attributo dell'essenza
(dhàtì); mentre per Jurjànì si tratta di un attributo
di natura (haqìqì).
'ABD-ALALÌM. Chi porta questo nome è incentivato
ad acquisire il sapere dello spirito, il sapere detto
irfan; e a conoscere la verità grazie alla sensibilità
del cuore e non attraverso gli studi razionali della
mente.

21
alQÀBIDU: il Limitante
(testualmente è Colui che trattiene, per cui, per
estensione: il Parsimonioso, Colui che afferra,
Colui che costringe)

(Corano: XLII,27)

Questo Nome va recitato assieme al successivo.


Con le due alternanze (egli dà, egli toglie), in
questo Nome v'è anche un senso di punizione e di
castigo, e nel successivo di perdono e di grazia.
Inteso in senso negativo per l'essere umano, Egli è
Colui che pone la sua creatura alla prova (tenuto
conto comunque che non sono prove insostenibili:
"All'impossibile nessuna anima è tenuta", Corano
II,233; "Dio obbliga ognuno secondo le sue
capacità", Corano VII,42; XX,286; XXIII,62); ma
intendendo questo Nome in senso positivo, Egli è
Colui che impedisce l'eccesso di tentazioni e di
contrarietà.
Questo Nome e i cinque che lo seguono non si
trovano letteralmente nel Corano, ma si
riferiscono a radici presenti, per cui sono stati
introdotti nella lista dei novantanove Nomi in
qualità di "nomi tradizionali", e in particolare
perché sottolineano l'assoluta "gratuità" dei doni
di Dio.
'ABD-ALQÀBIDU. Colui che non si abbandona a
intemperanze, che si sa controllare con misura e a
volte anche con severità, opponendosi -
soprattutto con l'esempio della propria vita
parsimoniosa - agli eccessi e agli sprechi.

22
alBÀSITU: il Prodigo
(anche: Colui che dilata [i cuori o le vite dei Suoi
servi])

(Corano: II,254; XLII,27)

Il Corano (XLII,27) dice: "Se Dio fosse stato del


tutto prodigo con i Suoi servi, questi si sarebbero
ribellati sulla terra; ma Egli elargisce secondo una
Sua misura; e dei Suoi servi è del tutto informato,
e li osserva".
Il Nome precedente e questo, equilibrandosi a
vicenda, ci indicano che Dio è l'equilibrio
dell'infinito, mentre nel mondo fenomenico
sussiste il limite. A fronte di Dio senza limiti, noi
alterniamo il giorno alla notte, il bene al male, il
tempo della carestia (qabd) al tempo del
benessere (basi). Abbiamo ricevuto da Dio il dono
di disporre a nostra scelta del bene e del male,
poiché con il Nome alBàsitu egli elargisce con
abbondanza ciò che con il Nome alQàbidu
equilibra e coordina. Così abbiamo tutto: il silenzio
di una notte stellata, il fascino di un deserto, la
prorompente suggestione di una foresta
tropicale... e abbiamo anche le qualità dello spirito
per poter gustare profondamente tali bellezze.
L'umanità possiede però anche la capacità e i
mezzi per distruggerle e per impedire, a causa
della propria rapacità, che altri esseri umani ne
godano serenamente, in pace.
Tuttavia, con l'equilibrio e con il giusto
comportamento (adab) affronteremo i periodi di
benessere e di tranquillità senza dimenticare Dio e
senza abbandonarci ai piaceri, all'arroganza, alla
precaria sicurezza del denaro; e nei tempi di
costrizione ne trarremo la forza per rinforzare la
fede, riconoscendo ancor più in questo equilibrarsi
di prodigalità e parsimonia il valore di Dio, nostro
rifugio sicuro.
'ABD-ALBÀSIT. Nome che induce alla prodigalità in
consigli, esempi, buone parole e sorrisi: la vera
elemosina che allieta i cuori e non pretende
riconoscenza o plauso. Chi porta questo nome
dovrebbe manifestare con serenità i propri valori
interiori e offrirli senza avarizia ai suoi simili.

23
alKHÀFIDU: l'Abbassante

(Corano: II,253; III,55; VI,83; LVIII,11; LXIII,II)

Da recitare assieme al Nome seguente.


È indubbio che ogni dominio, ogni potere in questo
mondo terreno nascono, crescono, diventano
considerevoli... poi decadono e si spengono.
Pensiamo ai grandi imperi sorti sulla terra: quello
dei mongoli gengiskhanidi (il più vasto), quello di
Alessandro Magno, di Roma o di Napoleone;
consideriamo gli Stati Uniti d'America o l'Unione
delle Repubbliche Sovietiche. L'incapacità del
potere di equilibrarsi nell'utilità umana anziché
abbandonarsi alla prevaricazione sistematica
conduce ineluttabilmente alla caduta di tutti i
colossi. La tirannia ha su questa terra stessa il suo
castigo, se solo vi poniamo caso.
Ogni potenza terrena dovrebbe nascere per
aiutare gli esseri umani, e con il loro consenso;
l'arroganza di chi non riconosce con umiltà il
proprio compito di coordinatore dell'umanità è pari
a quella di colui che non è riconoscente a Dio per i
Suoi benefici, e si rammenterà di Lui solo quando
Ne sentirà il bisogno. Dio è anche il Misericorde e
ritarda il Suo castigo affinché colui che lo merita
possa ravvedersi e riparare; ma è anche, e
necessariamente, alKhàfidu: l'umiliante. L'umanità
tutta vivrebbe in maggiore armonia se i capi di
governo - non potenti di per se stessi né padroni,
ma rappresentanti della potenza di Dio e Suoi
servi - lo rammentassero di continuo senza
ipocrisia né pietismo.
'ABD-ALKHÀFID. Lo "schiavo dell'umiliante"
rammenterà "che ogni beneficio viene da Dio e
che ogni male viene da lui stesso", come ebbe a
dire 'Alì, genero del profeta Maometto.

24
alRÀFI'U: l'innalzante, Colui che eleva in dignità e
potere
(Corano: II,253; III,55; VI,83; LVIII,11; LXIII,11)

Da recitarsi assieme al Nome precedente.


Ogni potere sulla terra è transitorio, e solo il
potere concesso da Dio (in ragione del bene e del
trionfo dello spirito, in definitiva, per cui si tratta di
una grandezza spirituale e non materiale) ha
conseguenza anche dopo la morte. L'innalzamento
ha luogo secondo valori che toccano l'individuo, il
suo intimo. Gli esseri realizzati non sono dominati
dall'egoismo, dall'egocentrismo e si elevano quindi
lungo il corso dei valori reali, lontani dalle lotte
politiche e dalle guerre, le cui conquiste sono solo
innalzamenti fittizi e altamente deleteri. Quale
vero innalzamento sussiste per quanti, ascesa la
scala sociale, nuocciono all'umanità e alle bellezze
del creato?
'ABD-ALRÀFI'. L'innalzato innalza. "Chi ha superato
le montagne di questo mondo incostante" giunge
a vedere nelle bellezze del mondo la bellezza del
Creatore e tende a mostrarle anche al suo
prossimo. Ne ricava a volte una notorietà, che è
valore autentico perché diventa simbolo e aiuto
per quanti cercano al par di lui la verità.

25
alMU'IZZU: l'onorante, Colui che attribuisce il
potere; Colui che dà onore e forza

(Nel Corano il Nome viene desunto dalla radice,


che è presente più volte, ad esempio in III,26)

Da recitare assieme al Nome seguente.


In Corano (III,26): "Di': Dio, Signore della regalità,
Tu dai la regalità a chi Tu vuoi, e strappi la regalità
a chi Tu vuoi; Tu dai il potere a chi Tu vuoi, e umilii
chi Tu vuoi. Il bene è nella Tua mano. Sì, Tu sei
onnipotente ".
Questa piena accettazione della potenza di Dio è
espressa venti volte nel Corano, nei versetti che
indicano come a Dio solo sia di competenza
guidare chi Egli vuole guidare, e smarrire chi Egli
vuole smarrire.
Più che di un potere terreno si dovrebbe forse
parlare di onorabilità, d'una elevazione in fatto di
dignità: una piena manifestazione dell'onore della
persona che capisce il valore della propria fede,
della propria intelligenza, e la gioia d'avere quanto
è necessario per il godimento delle proprie
capacità, il compiacimento per la comprensione
della retta via. In questi valori è implicita una
salvaguardia contro le sventure, determinata dalla
misura in cui "l'onorato da Dio" sa valutare la
propria posizione nel mondo, non si gonfia
d'orgoglio e non vive di ostentazioni presuntuose:
"Dio non ama in verità l'incorreggibile
presuntuoso, pieno di vanagloria [...] e quelli che
spendono dei loro beni con ostentazione" (Corano
IV,36-38).
Colui che ha ottenuto rispetto e onorabilità sa che
l'assoluto dei valori è in Dio, e che solo Dio è in
verità degno di lode, per cui non si lascerà
corrompere dall'orgoglio né svilire dalla
presunzione.
'ABD-ALMU'IZZ. Colui che porta questo nome è
chiamato a considerare che il più grande onore è
la dirittura, cui tiene seguito un comportamento
adeguato ai doni ricevuti da Dio.
26
alMUDHILLU: l'umiliante
(Corano: valgono le osservazioni per il Nome
precedente)

Da recitare assieme al Nome precedente.


Nel Corano si legge: "Dio non esita a coniare un
qualsiasi esempio: da un moscerino o ancor meno.
Coloro che credono sanno qual è la verità divina, e
coloro che non credono dicono: "Che cosa ha
voluto dire, Dio, con un esempio come questo?".
Egli ne fa smarrire molti, e molti ne guida; ma in
effetti Egli fa smarrire solo i perversi" (II,26).
Sul piano psicosociale, la distinzione espressa per
il Nome precedente ha qui riscontro in relazione a
quanti onorano e venerano personaggi potenti nel
mondo della politica e della finanza, di fronte ai
quali in definitiva si sviliscono e dai quali sono
tiranneggiati e umiliati: verranno degradati con
loro. Si può intendere con questo Nome anche un
particolare "castigo" che Dio impone a un essere
umano sulla terra: lo stato patologico di
masochismo psichico, che conduce l'essere umano
allo svilimento più insano, allo stato continuo di
perdente, alla timidezza ostentata quale
conseguenza forse di un inconscio arrogante, che
disprezza o misconosce Dio e la Sua bontà.
In relazione a questo Nome vi fu una categoria di
sufi, i malamatiyi (quelli del biasimo) che,
rifuggendo gli orpelli terreni e considerando vana
ogni gloria, assumevano lavori umilissimi, perfino
degradanti e, vestiti di stracci, incorrevano nel
disprezzo del prossimo.
'ABD-ALMUDHILL. Nome abbastanza raro. Nel
padre che dà questo nome va riconosciuto il
desiderio che il proprio figlio sia del tutto umile di
fronte all'Incommensurabile. Lo si può considerare
nome esclusivo di alcuni sufi malamatiyi.

27
alSAMY'U: Colui che ode [tutto]

(o Colui che ascolta, nel senso di: Colui che,


ascoltando, esaudisce ciò che Gli viene richiesto)

(Corano: II,127; II,137; II,181; II,224; II,256; III,34;


III,35; III,121; IV,148; V,76; VI,13; VII,200; VIII,17;
VIII,42; VIII,53; VIII,61; IX,98; IX,103; X,65; XII,34;
XXI,4; XXIV,21; XXIV,60; XXVI,220; XXIX,5;
XXIX,60; XLI,36; XLII,II; XLIV,6; XLIX,1)

Nel Corano appare quasi sempre assieme al Nome


al'Alymu (n. 20). Sami' era nome proprio di una
divinità dell'Arabia preislamica.
Da recitarsi assieme al Nome seguente (il
Vedente), entrambi "attributi d'essenza", cioè da
identificare come superiori alla comprensione
umana immediatamente razionale, dal momento
che Dio non possiede né orecchie né occhi, ed è di
là da qualsiasi tipo di identificazione
antropomorfica.
Ascoltare non significa semplicemente "udire".
Saremmo paranoici se già credessimo di udire
tutto: v'è il suono dei pianeti, delle fronde degli
alberi, dei fiori che crescono, dei quanta di energia
che ruotano in ogni atomo. Fruscii e passi di
formiche che non sono meno importanti nel
mondo dell'esistenza dei nostri stessi pensieri.
Ascoltare significa coordinare, regolare, capire,
vigilare, esaudire... A livello dell'essere umano,
significa possedere un grado di comprensione e di
adattamento al volgere universale della vita che è
intorno a noi, ma intenderne anche le ragioni, il
mistero. Sentire le tracce del divino per capirle,
quindi per ammirare e amare il Creatore di tutti i
suoni "esprimenti" e delle nostre "orecchie
dell'anima".
Pensiamo solo alla bellezza della musica, a tutte le
implicazioni che comporta l'ispirazione di chi
compone e di chi interpreta, al valore suggestivo
dei suoni che creano un momento magico
impalpabile e ci portano a considerare ciò che ha
detto Jalal alDìn Rùmì: "Lo strumento è il corpo
materiale, e il suono che se ne ricava è l'anima. La
musica è fatta per farci capire l'esistenza di Dio".
O l'inizio del suo Mathnavì: "Ascolta ciò che dice il
flauto di canna. Si lamenta per la separazione
subita: / "Da quando m'han tagliato via dal
canneto, con i miei gemiti induco al pianto uomini
e donne. Cerco un cuore lacerato dalla
separazione per raccontargli il dolore della mia
nostalgia / perché chi viene staccato dalla sua
radice ritorna col pensiero al tempo in cui le era
unito"...". Impareremo allora a essere grati a Colui
che ci ha dato una parte infinitesima del Suo
Nome l'udente, se è grazie a questa parte
infinitesima che noi possiamo godere del miracolo
d'arte che è la musica.
Un celebre hadìth cita queste parole come ispirate
da Dio stesso: "Il Mio servo si avvicina a Me con la
sua devozione continua, sicché lo amo; e quando
Io lo investo di questo amore divento le orecchie
con le quali egli ode, e divento gli occhi con i quali
egli vede, e divengo la lingua con la quale egli
parla, e divengo la mano con la quale egli tiene".
'ABD-ALSAMÌ'. Il "sentire" che si augura al
bambino cui viene posto questo nome è il sentire
le cose divine, il raggiungere un ascolto
dell'infinita bontà di Dio che si esprime in tutti i
rumori dell'universo.

28
alBASÌRU: Colui che vede [tutto]
(l'Onnivedente).

(Nel Corano ricorre quarantaquattro volte, tra cui:


II,23; II,96; II,110; V,71; XVII,1; XXXI,28; XLII,11)

Da recitarsi assieme al Nome precedente.


D'altronde valgono per questo Nome le stesse
considerazioni sull'attributo dell'essenza esposte
per il Nome precedente.
Noi sappiamo che, oltre alle azioni, parte
importante del nostro essere sono i pensieri;
nessuno all'infuori del singolo individuo può
penetrare in lui e "vedere" i suoi pensieri. Si tratta
di una percezione che sfugge all'immanentismo
della vista materiale, dell'occhio che vede. Di là
ancora da questa capacità e da questa valenza del
termine, in tutte le sue significante, sta quella
capacità divina che possiamo simbolizzare con la
Vista. Una vista dunque che non è quella degli
occhi.
Dice Tosun Bayrak alJerrahy: "Egli vede tutto ciò
che è stato, tutto ciò che è, tutto ciò che sarà; sino
alla fine del tempo, dal tempo in cui mise in moto
il mare del nulla in alam al-lahut sino al giorno
successivo al giorno del giudizio ultimo. Inoltre Egli
ha dato alle Sue creature la capacità di guardare
la Sua creazione. Alcune Sue creature vedono
forme, colori e movimenti meglio di quanto non lo
possano fare gli uomini [si pensi all'aquila e alla
lince], ma ha dato all'uomo un occhio del cuore
per vedere più profondo di quel che incontra
l'occhio: un occhio profondo per vedere l'interno di
se stessi. Quell'occhio è detto basirah. Anche se
non possiamo vedere Dio - solo Lui può vedere Se
stesso - col basirah possiamo vedere noi stessi.
Facendo così sapremo che, pur se non Lo
possiamo vedere, Egli guarda noi, vedendo non
solo ciò che è al nostro esterno, ma anche quel
che è nelle nostre menti e nei nostri cuori. Colui
che vede se stesso e conosce se stesso sa che Dio
lo vede" (op. cit.).
Allora perché dar seguito a pensieri negativi con
atti che nuociono al prossimo? Perché compiere
nell'intimità dell'essere misfatti che a conoscenza
dell'umanità sono dall'umanità stessa condannati?
Nel buio d'una stanza profonda l'assassino, il
ladro, lo stupratore credono di non incorrere in
condanne perché nessuno li vede, ma il loro
"occhio interno" della consapevolezza del se - che
alcuni chiamano coscienza - ineluttabilmente li
vede; e quando la consapevolezza del se è offesa
si innesca un processo di degrado psichico che
porta alla distruzione in terra delle qualità
spirituali, purtroppo trasmettendo tale degrado
psichico all'intera famiglia e ai figli, spesso
chiamati a pagare le colpe dei padri. Nelle sedute
di psicoterapia ciò appare evidente quasi per ogni
paziente.
'ABD-ALBASÌR. Nome che incentiva la
consapevolezza d'una vista di là dalle cose
materiali, penetrando con devozione continua
nelle cose dell'universo che cantano la gloria di
Dio, come dice l'hadìth citato nel Nome
precedente.

29
alHAKAMU: il Giudice [nel Suo atto di decisione
sovrana] L'Arbitro.
Allotropo: Hàkimu

(Nel Corano ricorre cinquantasei volte, tra cui


II,32; II,129, II,260, III,6 III,18; III,62)

Significato accostabile a quello del Nome


alFattàhu (n. 19). Unisce in se il concetto di
saggezza e di provvidenza (non è sempre possibile
rendere in italiano le sfumature e la molteplicità di
valenze significali dei termini arabi quali si sono
evoluti dopo che la lingua entrò a contatto con il
pensiero e le filosofie dei turchi e dei persiani, e da
questi venne coordinata in modo da rispondere
alle elaborazioni mistico-trascendenti dei sufi). Per
alGhazzàlì il concetto espresso dal termine va
legato agli attributi della scienza, della parola e
dell'atto di Dio.
HaLam (l'arbitro che dirime un litigio) viene dal
verbo haLama (giudicare), che ha dato hakim: il
detentore d'una qualsiasi autorità generale, dal
magistrato giudiziario al governatore di provincia.
Sinonimo tecnico correntemente usato è
mahakkam (da hakkama: compromettere), da cui
tahkìm: l'arbitraggio, il compromesso legale.
Questi valori derivano dal fatto che nell'Arabia
preislamica la legge era affidata ad arbitri scelti
dalle parti di comune accordo quando le parti non
potevano o non intendevano esercitare il diritto di
giustizia privata o comunque non giungevano a un
accordo privato diretto. Il Corano intervenne
stabilendo leggi e procedure etiche, e quindi
istituendo un corpo di dottori della legge che
erano anzitutto dottori in teologia.
Solo Dio è in grado di conoscere l'infinita serie di
circostanze e di causalità concomitanti che hanno
portato l'essere a un atto di ingiustizia (reale o
apparente), per cui è ben difficile poter giudicare
in terra con assoluta equità. Dio è il solo giudice
portatore di giustizia e di verità, quindi i Suoi
decreti non vanno criticati, dal momento che
nessuno di noi è in grado di capirli. Tuttavia gli
esseri umani sono incentivati ad essere buoni
giudici; anzitutto di se stessi, amando se stessi
anziché odiandosi, comportandosi secondo l'etica
e non secondo egoismo, consapevoli del valore
delle proprie azioni e responsabili di ciò che si
compie, senza cercare capri espiatori. Il giudizio
equilibrato su se stessi è forse il giudizio più
difficile da esprimere.
Si evidenziano così vari campi di "giudizio":
giudicare sulla fede e sulla religione compete solo
a Dio, e nessun essere umano può arrogarsi il
diritto di definire qualcuno "un buono o un cattivo
fedele", nessuno possedendo tutti gli elementi
necessari per farlo. Giudicare atti umani relativi
alla comunità è un dovere sociale, ammesso che
venga tenuto conto del valore etico e del valore
religioso del giudizio, con serena umiltà e del tutto
liberi da preconcetti e da devianze psichiche, ciò
che naturalmente non è sempre facile. Infatti per il
Corano e quindi per l'Islàm uno degli esseri più
abbietti fra quanti seguono le orme di Satana è il
giudice corrotto, il giudice interessato e
malversatore.
'ABD-ALHAKAM. Colui che porta questo nome è
incentivato a compenetrarsi nell'equilibrio di
un'avveduta giustizia terrena, per quanto limitata
essa possa essere.

30
al'ADLU: l'Equo

(Corano: VI, 115)

Nell'uso comune del termine, al'Adlu indica un


giudice assolutamente equo nell'atto della sua
decisione inappellabile. Per Ibn al'Arabì, Dio
al'Adlu distribuisce ogni cosa esattamente
secondo il merito, la collocazione precipua e i
valori raggiunti; soprattutto collegando a questo
Nome quello di alMuqsitu (il Giusto, n. 86). Come
attributo escludente intende che da Dio nulla di
cattivo può venire; allo stesso modo che la vera
giustizia in terra è l'opposto assoluto della
tirannia. Pertanto la giustizia assicura pace, ordine
e armonia. Per questo motivo la tirannia, sotto
qualsiasi aspetto, è considerata nell'Islàm illegale
anche dal punto di vista religioso.
Etimologicamente il termine si presenta come
sostantivo e come aggettivo, senza che per questo
i due valori corrispondano: come sostantivo
significa "giustizia"; come aggettivo significa
"rettilineo, giusto, equilibrato". L'aggettivo usato
sostantivamente indica la persona di buona
moralità (plurale 'udùt). Si applica così agli esseri
e alle cose.
Nelle due forme si trova in testi religiosi, teologici,
filosofici e giurisprudenziali. Nella dottrina
muta'zalita l'adlu di Dio costituisce uno dei cinque
"dogmi fondamentali" (usùl) del sistema. La
qualità di 'aditi, cioè l'adàla, è uno stato di
perfezione morale e religiosa cui giungono solo
persone eccezionali. Nei tempi recenti ha perso il
significato assoluto, per designare una persona di
buona moralità. In questo caso ha per antonimo
fàsiq.
Il problema della giustizia contrapposta alla
tirannia implica nell'Islam una serie di
considerazioni etico-filosofiche basate sulla
distribuzione dei compiti e dei doveri (un buon
padrone con operai responsabili; un buon maestro
con allievi studiosi; un buon coordinatore con
coordinati che l'aiutano...), tutto secondo
"gratitudine, lealtà e fiducia" (shukr, rida,
towakkul), e naturalmente l'accettazione dello
stato in cui ciascuno si trova, considerando che
migliorare la propria situazione è auspicabile e
lecito, a condizione di non danneggiare il
prossimo. Quindi la giustizia divina non è
un'irrealizzabile eguaglianza demagogica ma equa
suddivisione armonica, secondo 'adàla.
L'equità è indubbiamente una delle aspirazioni più
alte e imperiose dell'essere umano, che
nell'infanzia (all'incirca attorno agli otto anni)
attraversa un periodo di amore intenso per la
giustizia e un acuto desiderio di viverla. Una serie
di compromessi con la realtà terrena e le
persuasioni diaboliche della materia corrompono
questa sete di giustizia, che tuttavia rimarrà
sempre una ben tenue parvenza di quella divina
anche nei momenti più elevati.
'ABD-AL'ADL. Con questo nome si incentiva il figlio
a comportarsi come un delegato di Dio nella difesa
della giustizia, agendo sempre in modo equo, pur
accettando anche quanto di negativo incontra
lungo il cammino della vita.

31
alLATÌFU: il Benevolo; il Pieno di Grazia; il
Delicato;
l'inafferrabile; l'imponderabile

(Corano: VI,103; XII,100; XXXI,16; XLII,19;


XLVII,14)

Latyf può avere due significati distinti: a) fine,


tenue, sottile (tale è per alGhazzàlì lo spirito
psichico: "Un corpo sottile la cui sorgente è la
cavità del cuore carnale", Ihya III,3) e per esteso i
sottili artifici del diavolo; b) gentile, delicato,
benevolo (secondo il senso coranico: "Dio è
assolutore misericordioso", Corano VI,54, ecc.;
"Benevolo verso i Suoi servi", Corano XLII, 19). Al
femminile, latyfa (plurale latà'if) è: finezza,
sottigliezza; sinonimo di daqyqa; realtà sottile,
fine, tenue.
Come attributo d'azione indica che Dio crea per le
Sue creature una grazia benevola (lutf) per venire
loro in aiuto; secondo Fakhr alDìn Ràzi (morto nel
1210), come attributo della scienza indica che Dio,
il Sottile, conosce le cose più nascoste; secondo
Zamakhshari (morto nel 1134) indica "Colui che
non viene colto dagli sguardi". Secondo l'Ordine
sufi dei Jerrahy il termine indica piuttosto che Dio
possiede una qualità suprema di Bellezza al
medesimo tempo conoscitrice e dispensatrice di
bellezza. Da questa Bellezza assoluta procedono le
bellezze degli spiriti, la bellezza stessa di cui è
fatta l'armonia del creato e le categorie
dell'estetica intesa come godimento intellettuale e
spirituale.
'ABD-ALLATÌF. Colui che porta questo nome è
incentivato a cogliere la sottile struggente realtà
che tende a Dio e che si manifesta soprattutto
nella bellezza del creato, poiché Dio ha di Se
abbellito l'universo intero.

32
alKHABÌRU: il Sagace, il Beninformato

(Corano: VI,103; XI,1)

Per tradizione è preferito il primo significato (il


Sagace), per questo il Nome è posto in
correlazione con al'Alìmu (l'onnisciente, n. 20). È
attributo di scienza e sta a indicare che Dio
conosce tutti i segreti più intimi d'ogni Sua
creatura. Come attributo della parola indica Colui
che sceglie liberamente.
La realtà di Dio è quella creatività dalla quale tutto
dipende, pertanto Egli penetra tutto e giunge sino
ai più reconditi angoli dell'universo, tutto
conoscendolo nei minimi dettagli. Così tutte le
cose sono collegate l'una all'altra, interdipendenti
e perfettamente coordinate in un legame di causa-
effetto costantemente mutabile. Ciò non solo in
relazione all'attimo presente, ma nel
coordinamento globale di tutto ciò che è stato e di
tutto ciò che sarà, in una conoscenza la cui sola
immagine già supera incommensurabilmente le
capacità di pensiero dell'essere umano.
Così Dio alKhabìru è anche Colui che sa tutto,
quindi è inutile operare il male in segreto, perché
lo conosce chi lo compie e Dio ne è sempre a
perfetta conoscenza.
'ABD-ALKABIR. Nome adatto a chi si vuole agile di
mente per afferrare il corso degli eventi e i suoi
significati. Colui che lo porta è incentivato a un
grado superiore di consapevolezza sia per le azioni
presenti sia per le loro conseguenze a venire.

33
alHALÌMU: Longanime, Magnanimo

(Corano: XVII,44; XXII,59)

Come attributo escludente può avere il senso di


"Colui che è lento nel punire", da qui dunque il
senso di "Indulgente". V'è tuttavia in questa
lettura da parte degli esseri umani il loro desiderio
d'avere più tempo a disposizione per evolvere,
pentirsi e modificare se stessi. In effetti, se Dio
fosse pronto nella Sua punizione il peccatore non
sempre avrebbe tempo per riflettere e per
ravvedersi, dovesse per questo occorrere tutta la
vita, dal momento che ravvedendosi ottiene una
conseguenza enormemente superiore a quel che
può dare una punizione.
Hilm (longanimità) era una delle qualità, o grandi
virtù, che gli arabi preislamici consideravano quasi
con venerazione, vantandola ('irch nelle loro
competizioni poetiche dette maiàkhyr.
'ABD-ALHALÌM. Ci si aspetta che chi porta questo
nome si comporti con dolcezza e buon carattere,
preferendo il perdono alla punizione, agendo con
indulgenza anche verso gli errori degli altri che
possano offenderlo o nuocergli. Così, grazie alla
naturale bontà d'animo, sarà sempre sereno,
quindi un vincente.

34
al'ADHÌMU: Sublime
(Splendido, Immenso, Incommensurabile)
Trascrizione italiana usuale: Azìm

(Nel Corano è frequente. Ad esempio: II,255;


XLII,4)

Applicato a Dio, il termine si tradurrà con


"Inaccessibile"; relativo al Nome, si renderà con
"Sublime"; relativo alla Grazia di Dio, sarà reso
meglio con "Incommensurabile"; applicato a Dio
quale Elargitore della ricompensa e della serenità
della vita futura, verrà reso con "Illimitato";
relativo al castigo infernale, potrà tradursi con
"Terribile".
Molti inseguono un ideale di grandezza terrena. Il
regno più vasto è stato quello dei mongoli
gengiskhanidi, ma anche la gloria di Gengis Khàn,
oppure quella di Alessandro Magno o di Napoleone
sono poca cosa davanti al tripudio di un tramonto
infuocato. Qualsiasi grandezza umana è relativa e
sicuramente non fondata sul benessere di tutti.
Ogni essere umano può fare grandi cose, ma solo
Dio può dare la vita a una persona, che in
definitiva non è una delle cose più grandi del
creato. Persino un umile filo d'erba canta la gloria
di Dio, perché ogni singolo filo d'erba è un
laboratorio chimico che supera le possibilità
umane.
Quando il Buddha, prossimo a morire, per
scegliere il suo successore chiese agli allievi di
spiegargli il senso del buddhismo, tutti si
sforzarono di formulare le frasi più sostanziose ed
elaborate. Ananda in silenzio colse un fiore e lo
mostrò al Buddha, che gli disse: "Tu sì, sei un
illuminato! ". Colui che capisce quel gesto capisce
il senso della Gloria di Dio.
'ABD-AL'AZÌM. Colui che porta questo nome è
incentivato a capire la gloria di Dio e, pur
chiamato a imprese importanti, non se ne glorierà,
riuscendo invece a scorgere la bellezza del
Creatore nelle Sue opere e nelle opere belle di
tutti gli esseri umani.

35
alGHAFURU: il Clemente

(Nel Corano è frequente. Ad esempio: II 173,


IV,110, IX,90
XLVI,8; LVIII,12; LXII,i2)
Secondo albi alJurjànì (op. cit.), questo Nome è
collegabile a alGhaffàru (n. 15: il Longanime), allo
stesso modo in cui sono collegati fra di loro
alRahmànu e alRahìmu. Per alGhazzàlì, alGhaffàru
ci indica la bontà di Dio che perdona anche i
peccati in cui si incorre di continuo, mentre
alGhaiùru indica in modo incontrovertibile l'infinita
qualità di Dio perdonatore.
Il primo atto della clemenza di Dio consiste nel
nascondere le colpe di colui che, avendo peccato,
è però in grado di capire la mala azione e di
pentirsene, affinché questo pentimento possa
procedere. Per iniziare la via del pentimento è in
effetti più utile giungere a vergognarsi nel
profondo del proprio intimo, che essere esposti al
disprezzo del prossimo. La vergogna che
finalmente prova il deviato potrebbe, se troppo
forte, porlo in uno stato di prostrazione estrema,
impedendogli ogni forza per uscirne. Tutti questi
valori psicologici vanno misurati, valutati,
equilibrati, e questo compito impossibile ad ogni
singolo è possibilità divina di Dio alGhalùru.
'ABD-ALGHAFUR. Anche Dante Alighieri ha
dedicato un passo della Divina commedia alla
"clemenza di Tito", come espressione di grande
valore. È chiaro il valore morale e sociale di colui
che si dimostra clemente, come questo nome
invita ad essere.
36
alSHAKURU: il Riconoscente

(senso vicino: il Ricompensatore)


Allotropo: alShàkiru

(Corano: III,145)

Dal termine shukr (riconoscenza). Il Nome va


inteso in senso metaforico: come attributo
d'azione è "Colui che dà una ricompensa grande in
cambio di un poco di bene"; come attributo di
parola è "Colui che proclama la lode di chi Gli
obbedisce".
Così come è detto nei Vangeli a proposito del
piccolo seme di sesamo, un bene può produrre un
bene molto più grande. Di conseguenza, un
iniziale sorriso può dare origine a un periodo
generale di serenità, così come una cattiva azione,
per quanto minima, che si lascia correre, può
causare una guerra devastante e vasta. L'aspetto
di Dio alShakùru indica agli esseri umani il
sentiero della gratitudine, la via del bene dato
anche in piccole dosi, secondo le possibilità
personali, senza grandiosità ipocrite. Di contro,
colui che prova gratitudine è felice anche del poco
e correttamente impiega i doni che ha ricevuto,
non solo materiali ma anche psichici e spirituali.
Così si fuggiranno i pericoli dell'avarizia e
dell'egoismo, dell'aridità e dell'accidia. Sapersi
accontentare equilibratamente è un dono infatti
che, liberando dall'ansia del possesso e delle
perdite, conduce alla serenità e rende quieti,
liberandoci dalle frustrazioni.
'ABD-ALSHAKfJR. Chi porta questo nome è
incentivato ad accorgersi di tutto il bene del
mondo e a capire che il bene viene da Dio. Può
allora essere serenamente in un reale stato di
gratitudine e di conseguenza godere il favore di
Dio.

37
al'ALIYYU: il Supremo, il Sommo

(allotropo superlativo al'A'là: il Più elevato;


sinonimo di alMutakabbiru: il Superbo, n. 11)
Trascrizione italiana usuale: Alì

(Corano: II,255; IV,34; XXII,62; XXXI,30; XXXIV,23,


XL,12, XLII,4, XLII,51. al'A'là: XXXVII,I; LXXXVII,I;
XCII,20).

Per alGhazzàlì è il Nome che più indica la qualità


superiore di Dio, Causa prima di tutte le cose, dal
momento che tutto dipende da Lui. Corrisponde al
concetto di Dio espresso da alHallaj:
"Se tu dici "quando?", il Suo essere ha preceduto
l'istante.
Se tu dici "prima", il prima è dopo di Lui.
Se tu dici "Lui", la elle, la u e la i sono Sua
creazione.
Se tu dici "come?", la Sua essenza sfugge alla
descrizione per il Suo modo d'essere.
Se tu dici "dove?", la Sua esistenza ha superato
quel luogo.
Se tu chiedi "Chi è?", la Sua ipseità ne è del tutto
distinta ".
Egli è il Supremo: è superiore in assoluto a tutto
ciò che gli esseri umani possono immaginare di
superiore, di grandioso, di incommensurabile;
superiore ad ogni attributo, superiore in tutto ad
ogni azione che gli possa venire attribuita dagli
esseri umani. Muhyi alDìn Ibn al'Arabì (in Fusus
alHikam) ha una disquisizione filosofico-mistica a
questo proposito: "Uno dei Nomi di perfezione di
Dio è l'Altissimo. Ma in rapporto a che cosa è
Altissimo, dal momento che non c'è altri che Lui? È
Altissimo in senso essenziale o in rapporto a
qualcosa? Tutto è Lui; per cui è l'Altissimo in Se
stesso. D'altronde, poiché è l'Essere di tutto ciò
che esiste, anche le esistenze effimere sono
elevate nelle loro essenze, dal momento che sono
essenzialmente identiche a Lui. Dio è l'Altissimo
senza relatività, poiché le essenze, in se non
essenti e nelle quali questa condizione è
immutabile, non hanno di per se stesse nemmeno
la parvenza dell'esistenza; rimangono come sono
nonostante la molteplicità delle loro forme nelle
realtà manifestate, mentre la determinazione
essenziale dell'Essere è unica in tutto e per tutto.
La molteplicità esiste solo nei Nomi che sono
relazioni e realtà non esistenti. La sola
determinazione unica è l'Essente, che è Altissimo
in Se stesso, senza relazione di sorta".
'ABD-AL'ALIYY. Nome conferito a colui che si
desidera stimato per le virtù, l'intelletto, la
generosità, il sostegno e l'aiuto incondizionato
elargiti al prossimo.
38
alKABÌRU: il Grande

(Corano: XXXI,30)

Kabìr (grande, plurale kibàr) ha come superlativo


akbar (grandissimo), che fu ad esempio nome del
più grande imperatore moghul dell'India. Tuttavia
kabìr applicato a Dio supera ogni forma di
superlativo, pur se grammaticalmente non lo è:
ogni Nome di Dio va sempre inteso in modo
assoluto, non solo insuperabile ma anche
imparagonabile, così come va implicitamente
inteso ogni termine che gli esseri umani possono
applicare a Dio.
Per aliti è sinonimo dei Nomi alMutakabbiru (n. 11)
e al'Alìyyu (n. 37); per alGhazzàlì è invece
sinonimo di al'Adhìmu (n. 34) e sottolinea la
perfezione assoluta dell'essere di Dio, da Cui
dipendono tutte le creature. L'intero creato è
prova della grandezza incommensurabile di Dio.
Anche l'applicazione umana del termine "infinito"
all'universo, o al tempo, è una concezione errata,
poiché nulla può essere in effetti l'infinito" quanto
Dio; e la Sua grandezza supera ogni possibile
concezione di misura raggiungibile dall'umanità.
Un semplice pensiero del sufi Muhammad bn Sìrìn
(morto nel 728) può darcene un'idea: "Pensate a
un cubo di roccia grande come tutta la terra. Ogni
mille anni vi si posa sopra un passero, che si
pulisce il becco sfregandolo per un istante sulla
roccia. Quando questo sfregamento avrà
consumato tutto il cubo di roccia, per l'infinito
universo in cui siamo immersi sarà passato solo un
istante; e quell'istante sarà nulla, in confronto
all'infinità dell'essenza di un solo gesto di Dio, che
crea e ricrea ad ogni istante. Fortunatamente per
noi Dio alKabìru è anche il Misericordioso, il
Misericorde, il Generoso, l'Amorevole, altrimenti
noi tutti saremmo annientati contemplando
unicamente la sua grandezza".
Ciò indica anche che quando qualcuno impiega i
suoi sforzi per impetrare l'aiuto di un grande di
questa terra, in definitiva si prostra davanti a un
semplice servo dell'Altissimo.
'ABD-ALKABIR. Chi ha questo nome dovrebbe
considerarsi soggetto alla grandezza di Dio,
vivendo umilmente anche se Dio, al Quale solo è
debitore, gli ha concesso potere e ricchezza.

39
alHAFÌDHU: il Preservatore; il Vigilante

Trascrizione italiana usuale: Hafìz

(Corano: XI,57; XV,9; XXXIV,21; XLII,6; LIX,23)

Come attributo esclusore indica che la vigilanza di


Dio sull'universo - pur essendo continua e senza
soste - è totalmente globale e non comporta la
vigilanza di "ogni" cosa un momento dopo l'altro.
Come attributo d'azione indica che la Sua
vigilanza totale e continua assicura a ogni
creatura la sua forma e la sua sostanza senza
pericolo di dissoluzione. Secondo aliti questo
Nome è complemento di al'Alìmu (n. 20), dato che
la vigilanza (hafz) è l'opposto della negligenza, per
cui ha la sua sorgente nella conoscenza ('ilm:
conoscenza delle cose divine. Plurale 'ulùm).
Se si trattasse di un essere umano, diremmo che è
"colui che si ricorda di tutti i suoi atti, dal più
importante all'infinitesimamente piccolo"; ma non
si può diminuire Dio attribuendoGli qualità umane
per cui, formulato questo concetto, occorre
superarlo per giungere a capire il senso della
vigilanza di Dio. Dio alHafìdhu fornisce quindi a
tutte le Sue creature l'istinto di sopravvivenza e
l'istinto di conservazione della specie, che si
manifestano sul piano materiale (lavoro, cibo,
repulsione per i veleni), in quello psichico e in
quello spirituale (reazione agli stress, fuga
razionale da preconcetti e coercizioni, repulsione
per il comportamento antisociale che va dalla
droga all'adulterio, dal gioco d'azzardo alla
calunnia, dall'arroganza all'ipocrisia, dal
tradimento alla coercizione, all'imbroglio); e in
tutto ciò che è contro le leggi divine. Oltre a
queste naturali tendenze, cui la parte negativa
della materia attenta di continuo, vi sono poi,
grazie ai Nomi alGhaffàru e alRazzàqu (n. 15 e
18), gli aiuti costituiti dalle parole dei profeti e dei
maestri.
'ABD-ALHAFÌZ. Nome dato per invocare la
protezione di Dio su chi lo porta; protezione dalle
avversità materiali ma anche da pensieri malvagi
e soprattutto da amicizie pericolosamente
fuorvianti. La pietà popolare, narrando la vita del
sufi 'Abdalhafìz Abu Sulayman Daranì, racconta
che i suoi allievi dimorarono trent'anni con lui
senza soffrire mai di avversità e di sentimenti
negativi grazie al "nome protettivo" del loro
maestro.
40
alMUQÌTU: Il Sostentatore; il Determinatore; il
Presente

(Corano: IV,85)

Le quattro sfumature del termine arabo si


prestano a considerazioni varie: il Nutritore, nella
sua qualità di Creatore d'ogni tipo di nutrimento
materiale e spirituale, e in questo caso è per
alGhazzàlì sinonimo di alRazzàqu (il Dispensatore
d'ogni bene, n. 18); il Determinatore, perché
decreta e fissa il destino, e in tal caso è attributo
della potenza (Kudra) di Dio; il Testimone
(allotropo: Shahìd), perché conosce il mistero
(alGhayb), e in tal caso è attributo della scienza di
Dio; il Presente, perché immanenza eterna senza
la quale nessuna creatura sussiste.
Il nutrimento divino è argomento essenziale d'ogni
religione. Naturalmente l'essere umano ha tutte le
possibilità di nutrirsi, ma deve "ottenere" il
nutrimento, altrimenti si abbandonerebbe
facilmente all'ignavia e alla neghittosità, come i
figli viziati da madri eccessivamente protettrici
dimostrano ampiamente. Ciò comporta che ancor
più grave del furto e della malvagità è il peccato di
quanti - esseri umani, nazioni, governi - per
arricchire accumulano il cibo degli altri impedendo
loro di accedervi.
'ABD-ALMUQÌT. Questo nome incentiva chi lo porta
a considerare le necessità del suo prossimo, cui dà
soddisfazione con oculato equilibrio, nel tempo
giusto e nella misura corretta.
41
alHASÌBU: il Sufficiente; Colui che non manca ad
alcuno (Altro senso ammesso: Colui che regola i
conti)

(Corano: III,173; VIII,62)

Come attributo attivo indica che Dio crea per le


Sue creature quanto ad esse necessita. Come
attributo della parola indica che Dio chiede conto
di quello che ciascuno ha fatto. In entrambi i casi
ci evidenzia la capacità di Dio di tenere in
considerazione ogni minima parte del creato e di
conoscere la somma d'ogni calcolo relativo a tutte
le vicende che nel creato hanno luogo.
Il giorno ultimo - il "giorno del giudizio finale",
quando Gesù sarà il giudice incaricato da Dio (e
rammento che per noi musulmani Gesù è un
profeta) - viene anche chiamato "il giorno del
rendiconto" ed è a questo rendiconto che si
riferisce il concetto di "Colui che regola i conti".
Nel medesimo istante compariranno davanti al
giudizio un numero infinito d'anime e il numero dei
rendiconti completi sarà infinito. Tutti dovranno
rendere conto dei talenti, dei capitali, di quanto è
stato sciupato o acquisito.
"Temete il giorno in cui nessuna anima potrà
essere utile a un'altra; in cui non verrà accettata
intercessione alcuna; e nessuno potrà presentare
giustificazioni. Non avranno aiuto" (Corano II,48).
Ciò induce ciascuno di noi a rendersi conto del
valore d'ogni istante della propria vita e a non
sciuparlo.
Alcune scuole sufiche considerano "il giorno del
rendiconto" solo un simbolo, di particolare valore,
come il simbolo del paradiso che è descritto
particolareggiatamente nel Corano (II,25), ma che
è seguito dal versetto: "Dio in verità non esita a
coniare una parabola: da un moscerino o ancor
meno. Coloro che credono, sanno qual è la verità
da parte del Signore; e coloro che non credono
dicono: "Che ha voluto mai dire Dio con questa
parabola?". Così molti ne smarrisce e molti ne
guida. Ma solo i malvagi si smarriscono" (Corano
II,26).
'ABD-ALHASIB. Nome che dovrebbe indurre chi lo
porta a far buon uso della vita, dei pensieri, dei
mezzi materiali e spirituali e ad essere grato a Dio
per quanto Egli dona con misurato equilibrio.

42
alJALÌLU: il Maestoso; il Degno di venerazione

Non compare nel Corano come termine specifico,


ma come concetto nella sua radice in forma
nominale o verbale. È inserito nell'elenco dei
novantanove Nomi per accordo unanime della
'Ijmà' (il consesso della comunità islamica
rappresentata dai teologi).

Come senso è prossimo ai Nomi alMutakabbiru (n.


11) e al'Adhìmu (n. 34) ma, secondo alGhazzàlì,
con l'accento posto sulla bellezza dell'Essere
divino. Per Yjì è sinonimo stesso di alMutakabbir, e
per Jurjànì qualifica gli attributi della maestà (jalàl)
e della bellezza (jamàt). Per Tosun Bayrak "la Sua
Maestà è relativa a una grandezza che non attiene
né assomiglia a energia, materia o tempo di sorta:
è la trascendenza stessa".
La Maestosità di Dio è dovuta alla completezza
delle Sue qualità, simbolizzate da tutti i Suoi Nomi;
e ogni Maestosità sulla terra è solo un riflesso
della Maestosità divina.
I turchi e i persiani, e con essi tutti i popoli che
hanno dipeso dalla loro cultura e dalla loro arte
(essendo queste sole le arti e le culture
specificatamente islamiche) hanno portato la
calligrafia a livelli d'arte; arte maggiore che ha
soddisfatto il gusto aniconico del turco e del
mongolo, gusto aniconico per l'appunto precipuo
di tutte le popolazioni nomadiche, ivi comprese le
popolazioni barbariche che invasero l'Europa alla
fine degli imperi romani. Allorché in queste
composizioni viene artisticamente calligrafato uno
dei Nomi di Dio, vi viene solitamente aggiunta la
frase "Jalla Jalàluhu", congegnata in modo da non
disturbare la parte principale costituita appunto
dal Nome. E così anche, terminata la recitazione
dei novantanove Nomi, è d'uso pronunciare la
frase: "Jalla Jalàluhu wa taqadasat 'Asmà'uhu"
("Che la Sua Maestosità sia proclamata e i Suoi
Nomi santificati").
Si Hamza Boubakeur, citando questo Nome, si
scaglia contro i contemporanei reucci della
penisola arabica che, "nella loro ipocrisia
manifesta, corrotti dai godimenti terreni, non si
peritano di farsi chiamare jalàlatu l-màlik l-
mu'adhdham (sua maestà il re sublime)".
'ABD-ALJALÌL. Nome dato per infondere nella
persona che lo porta e in chi la frequenta il
naturale timore reverenziale per la gloriosa
Maestà di Dio, affinché una minuscola scintilla di
questo splendore li sfiori.

43
alKARIMU: il Generoso

Allotropo superlativo: al'Akramu, XCVI,3 (Corano:


XLIV,49; LXXXII,6)

Questo Nome ha quattro sfumature che si


prestano a varie considerazioni: a) come attributo
dell'azione indica che Dio "ha in Se la dote della
liberalità"; b) come attributo della potenza indica
che Dio "fissa la misura della liberalità"; c) come
attributo della relazione indica che procede da Dio
ogni tipo di nobiltà; d) e per conseguenza spettano
solo a Dio la qualità e il potere di perdonare ogni
mancanza.
Karam, la generosità (Così come la nobiltà), era
una qualità molto apprezzata dagli arabi
preislamici e tema fra i più ricorrenti nelle loro
tenzoni poetiche. Il nobile (sharìf, plurale shurafà)
doveva questo attributo al censo - come si
conviene a un popolo di mercanti sedentari - e non
alla stirpe, concetto, quest'ultimo, precipuo delle
popolazioni nomadiche delle steppe dell'Asia
centrale. È chiaro quindi che il mercante,
tendenzialmente egoista e parsimonioso, se non
avaro, raramente elargiva con generosità. Da qui
l'apprezzamento per i generosi.
Dio, nella Sua sconfinata bontà (anche in Dante
troviamo: "Ma la bontà divina ha sì gran braccia...
") è lento nella punizione e lascia generosamente
il tempo necessario per il ravvedimento. Per
questo, nonostante la preghiera debba essere in
effetti solo un atto di adorazione (dal momento
che Dio sa perfettamente quel che occorre e che
compete a ogni singolo essere), Egli accetta anche
che il fedele sprovveduto Gli si rivolga invece
chiedendo e postulando quasi ad ogni momento
della preghiera. Può essere considerata
irriguardosa la petizione, ma Dio il Generoso passa
oltre e accoglie.
D'altronde colui che ha ricevuto con generosità
dovrebbe dimostrarsi grato e non insuperbirsi,
come spesso avviene. È comune che l'essere
umano gratificato da doni divini o da aiuti terreni
si dimostri del tutto ingrato; chi è stato generoso
con lui se ne adombra e gli toglie l'aiuto; Dio
invece è e permane generoso nonostante tutto.
Ecco quindi che non bisogna mai dubitare della
generosità di Dio.
Nel Corano (LXXXII,6-8) si legge: "O uomo! Chi mai
potrà ingannarti a proposito del tuo Signore, il
Generoso? Egli è Colui che ti ha creato, costituito,
equilibrato; composto nella forma stessa ch'Egli ha
voluto".
Si dice che 'Omar (califfo dal 634 al 644), udendo
questi versetti, abbia esclamato: "È la Tua
generosità stessa che mi ha creato!".
'ABD-ALKARÌM. Chi porta questo nome, generoso
egli stesso, dovrebbe recare al prossimo
testimonianza della generosità di Dio, accettando
le colpe e le inadeguatezze della gente comune.

44
alRAQÌBU: Colui che veglia; Colui che osserva
(il Guardiano)

(Corano: IV,1; V,117; XXXIII,52)

Ha un significato prossimo al Nome alHafìdhu


(Preservatore, Vigilante, n. 39), ed è del pari in
collegamento con la qualità di al'Alìmu
(l'onnisciente, n. 20). Per alGhazzàlì ha piuttosto il
significato di Guardiano scrupoloso, vigile,
attento".
La protezione onnisciente di Dio comporta
l'attenta vigilanza e al contempo la perfetta
conoscenza di tutto lo svolgimento universale
delle azioni anche minime, a causa delle
ripercussioni e delle conseguenze. Noi stessi, sulla
terra, sappiamo che il male è un potenziale
bisognoso di risoluzione e che ogni risoluzione
conduce ad altri problemi. Naturalmente
dobbiamo agire sulla base di dati insufficienti ed
entro un perimetro considerevolmente ristretto;
tuttavia "abbiamo comunque l'obbligo di fare del
nostro meglio", come scrisse Sheldon Koop.
L'azione di Dio è di ben più vasta e complessa
portata, al punto che non ne possiamo nemme no
concepire lo svolgimento, ma ci resta la possibilità
di avvicinarcisi tramite il Nome alRaqìbu.
'ABD-ALRAQlB. Più di ogni altro colui che porta
questo nome deve abbandonarsi con fiducia a Dio,
consapevole del fatto che nessuno meglio di Dio
potrà aver cura di lui; e, sapendo questo, avrà la
sicurezza assoluta che nulla di quanto egli compie
verrà perduto.

45
alMUJÌBU: Colui che accoglie [le preghiere]; Colui
che esaudisce

(Corano: XI,61)

Il senso è espresso anche in Corano II,186: "E


quando i Miei servi ti interrogheranno su di Me: in
verità io sono Colui che è vicino; rispondo al
richiamo di colui che chiama, quando, credendo in
Me, Mi chiama. Rispondano dunque al Mio
richiamo. Credano in Me. Saranno ben diretti".
Partendo da questo versetto alGhazzàlì interpreta
il Nome come "Colui che s'affretta ad esaudire le
necessità delle Sue creature, addirittura
prevenendole".
È indubbio che Dio conosce tutte le necessità
dell'Infinito universo, Sua creatura, mentre per gli
esseri umani ciò è limitato alla loro comprensione.
Teologi ed esegeti coranici si sono sforzati di
comunicarci che Dio è vicino tanto al mistico più
elevato quanto al minimo pulviscolo di sabbia nel
deserto; già ne conosce e provvede a tutte le
necessità nell'ambito del coordinamento generale
sapendo quali saranno le conseguenze d'ogni più
piccola azione; ma l'essere umano ha bisogno di
sentirselo ripetere, per tener presenti i valori dello
spirito. Il Nome è quindi in rapporto ideale con
alKarìmu (il Generoso, n. 43), alMuqìtu (il
Nutritore, n. 40) e alHafìdhu (il Preservatore, li.
39).
'ABD-ALMuJIB. Chi porta questo nome sappia in
modo particolare che Dio il Generoso, il Nutritore,
dà con larghezza a chi si rivolge a Lui con cuore
puro. Esaudisca allora con la stessa benevolenza
quanti si rivolgono a lui. Un hadìth dice: "Il giorno
della risurrezione Dio allevierà una pena a colui
che in questo mondo ha alleviato la pena di un
fedele; e in questo mondo e nell'altro Dio verrà in
aiuto a colui che è venuto in aiuto a chi si trova
nell'indigenza" (alNawàwì, 36). Ognuno può dare
aiuto al suo prossimo, secondo i suoi mezzi, fosse
solo con un sorriso, come dice un hadìth: "Anche
una buona parola è un'elemosina" (alNawàwì, 26).

46
alWÀSI'U: il Vasto
(l'Esteso, l'onnipresente) (Colui che tutto
abbraccia e comprende)

(Corano: II,255; VI,80; VII,156)

Nel Corano il versetto II,255 è uno dei più


importanti in relazione all'argomento di questo
libro: "Dio! Nessun dio se non Lui, il Vivente, il
Qayyùmu (termine di difficile traduzione, che si
può rendere con "l'Assoluto, Colui che sussiste in
se e nel Quale tutto sussiste", vedi n. 64). Non Lo
colgono né sonnolenza né sonno. È Suo tutto ciò
che è nei cieli e tutto ciò che è nella terra. Chi può
intercedere presso di Lui senza il Suo permesso?
Egli conosce ciò che è davanti a loro e ciò che
hanno dietro di loro. Della Sua scienza essi
colgono solo quanto Egli vuole. Il Suo seggio è più
vasto (Wàsi'u) dei cieli e della terra, la cui
conservazione non gli costa fatica alcuna. Ed Egli è
l'Altissimo, l'immenso".
Il Nome alWàsi'u indica quell'immensità senza
limiti che mai mente umana potrà concepire e
contemporaneamente è il senso dell'infinità d'ogni
qualità di Dio, simbolizzata da tutti i Suoi Nomi,
quelli che conosciamo e gli altri che ancora non
conosciamo.
Nelle esegesi di Ibn al'Arabì questo Nome indica
l'onnipresenza di Dio, Che tutto comprende e Che
estende la Sua generosità a tutto ciò che esiste, la
Sua scienza a tutto ciò che è conoscibile, la Sua
potenza a tutto ciò che possiede determinazione.
Tutto questo, secondo Jurjànì, senza che Gli pesi in
modo alcuno, o senza che ciò costituisca per Lui
un lavoro.
Più limitatamente alcuni teologi hanno applicato
questo Nome all'infinita tolleranza di Dio, in
confronto alla quale le colpe degli uomini sono un
atomo nell'infinito e nulla più. Segno di questa
vastità è, per Tosun Bayrak, l'infinita varietà delle
creature: " Non un volto, un carattere, una vicenda
in tutta la vita della terra sono mai stati eguali:
semmai solo simili".
'ABD-ALWÀSI'. Chi ha questo nome è incentivato
ad allargare sempre più i confini della conoscenza,
aspirando a raggiungere una grande cultura, allo
stesso tempo modulata dalla saggezza e dalla
spiritualità.

47
alHAKÌMU: il Saggio
(Nel Corano è frequente. Ad esempio: III,62; IX,28;
XI,1; LXXVI,30)

Come indica Yjì, è un aggiuntivo di al'Alìmu


(l'Onnisciente, n. 20), poiché Dio, dotato di
saggezza, ha la comprensione totale delle cose e
delle azioni.
Questo Nome si presta tuttavia ad altri significati:
a) il Prudente nelle Sue decisioni, visto che non
può essere altrimenti la perfezione della Sua
provvidenza nella conduzione dell'universo e i
benefici conseguenti all'applicazione dei Suoi
decreti; b) l'Arbitro, che arbitrerà in materia di
fede per distinguere le vere dottrine dalle false
(secondo Ràzi, XVII,4); c) Colui che giudicherà in
modo perfetto, in corrispondenza coi Nomi
alKhabìru (il Bene informato, n. 32) e al'Adlu
(l'Equo, n. 30). Ancora secondo Ràzi questo Nome
indica che "non può essere distrutto dall'acqua o
dal fuoco, modificato dal tempo; è immutabile".
Tabarì (XI,80) opta per una lettura come muhkam,
termine che indica solidamente stabilito, perfetto
nella sua realizzazione (come anche
frequentemente indicato nel Corano LXXVI,30
ecc.) e potrebbe significare aDio nella Sua qualità
di giudice supremo per eccellenza".
Hikma, la Saggezza, è per la Bibbia e per il Corano
una conoscenza precipua di Dio, oltre che una
rettitudine morale e un dono divino elargito ai
profeti, nel qual caso indica anche una luce
interiore e una regola di condotta. Per Baidawì
(Commento II, 129) è anche la conoscenza
corretta degli obblighi religiosi. Secondo Ibn
al'Arabì, infine, il termine designa tutto ciò che è
salutare nel momento specifico. Per la maggior
parte dei commentatori la saggezza divina è un
concetto complesso che comprende in assoluto i
valori di ragione, intelligenza e sapienza. Ciò
rammenta il passo di Dionigi l'Areopagita (IV-V
secolo) ne I Nomi divini (VII,4, 872C): "Le Sacre
Scritture celebrano Dio come Ragione, non solo
perché distribuisce la ragione, l'intelligenza e la
sapienza, ma anche perché comprende in
antecedenza e in maniera uniforme in Sé tutte le
cause di tutte le cose e perché procede attraverso
tutte le cose in quanto penetra, come dice la
Sacra Scrittura, sino al fine di tutte le cose, e più
ancora, perché la saggezza divina si semplifica di
sopra da ogni semplicità ed è sciolta da tutte le
cose stando di sopra da esse in modo
sovrastrutturale ".
La saggezza di Dio è incommensurabile, ma è
altra cosa dalla saggezza così come viene intesa
dall'umanità. Comporta il concetto che Dio ha
elargito all'essere umano la possibilità di agire nel
bene e nel male, tenuto conto alla fine della Sua
misericordia. La scelta del bene o del male non è
relativa a Dio, ma alla persona umana, in cui
sussiste la capacità di riconoscere la validità di
quelle leggi proposte sia dall'Islàm sia da tutte le
religioni rivelate: leggi che indicano i buoni
comportamenti e proibiscono ciò che è dannoso, in
stretto rapporto con l'ordine e l'armonia materiale
e spirituale del singolo individuo. La saggezza -
intesa in senso globale - di ogni singolo individuo
comprende anche conoscenze che sono inconsce
e inconsciamente operano in lui, e conoscenze
acquisite la cui evoluzione tende comunque al
bene. Non è saggio, in verità, derogare dalle
regole di vita che ogni religione rivelata indica.
'ABD-ALHAKÌM. Il nome pone l'accento su un tipo
di comportamento umano raggiungibile solo
attraverso una serie ponderata di esperienze e di
meditazioni, nella continua ricerca d'un equilibrio
interno tra i costanti squilibri del mondo esterno.
La saggezza è un bene valido per l'individuo nella
sua integrità ma diventa anche esempio per tutti
coloro che al comportamento equilibrato tendono
e per quanti, perplessi, dubbiosi o malguidati,
hanno bisogno d'una bussola che indichi loro il
cammino corretto.

48
alWADUDU: l'Amorevole; l'Affettuoso; altro senso
ammesso: il Beneamato

(Corano: LXXXV,14)

Va inteso nel senso di "Colui che ama le Sue


creature" e pertanto organizza le leggi in modo
che possano avere il massimo del bene e il Bene
finale. È anche un attributo elogiativo che si dà a
un "fedele perfetto" e, presso i mistici, indica il
tipo di ricompensa che Dio dà a questo fedele: "Il
ritorno dell'emanato (del creato) a Lui". Questo
Nome è posto in parallelo con alGhafùru (il
Clemente, n. 35).
È chiaro che sulla terra il "vero amore" è: 1)
incondizionato (ovvero non è amore quando si
dice: "Ti amo se sei bravo; ti amo se mi
accontenti"); 2) continuo (non si può amare solo a
momenti, o in particolari occasioni); 3)
unidirezionale (per cui dice: "Ti amo", ma non
chiede: "Mi ami?"); 4) non può essere
patologicamente possessivo. Invece "l'amore di
Dio" è, naturalmente, un amore particolarissimo:
non per l'oggetto, non inquinato dal possesso, non
condizionato, come lo sono gli amori umani: un
amore che si effonde in pari tempo donando
all'amato l'amore per l'Amorevole; ed è amore del
tutto libero da affievolimenti e da gelosie.
L'effusione divina (faid, plurale fuyùd, fuyùdàt) è
percepita da colui che ha nel cuore la fede; ma
l'essenza del Nome è chiara anche in un versetto
della religione indù: "Dall'Amore procede ogni
creazione, con l'Amore si mantiene, all'Amore
tende e all'Amore ritorna". La comprensione di
Dio-Amore non è esclusiva delle religioni rivelate.
Il concetto è anche espresso nel hadìth riferito da
Muslim (in alNawawì: Riyàd alSàlihìn): "L'inviato di
Dio disse: "Nessuno di voi dica: mio Dio
perdonami, se vuoi"; mio Dio usami misericordia,
se vuoi. Sia determinato nel dare rilievo alla sua
richiesta, poiché nulla di ciò che Egli concede Gli è
di peso".
Dell'amore divino come di un amore assoluto parlò
il grande mistico alHallaj (857-922): "Gente!
Quando la Verità si è impadronita di un cuore / lo
vuota di tutto ciò che non è Lei. / Quando Dio
sceglie un uomo / uccide in lui tutto ciò che non è
Lui. / Quando ama uno dei Suoi fedeli / incita gli
altri ad odiarlo / affinché il Suo servo si avvicini
solo a Lui / per essere tutto in Lui".
Naturalmente dell'amore divino, dell'estasi che si
raggiunge attraverso l'amore per Dio e della
completezza dell'essere umano quando è toccato
dall'amore di Dio sono testimonianza un gran
numero di poesie emblematiche e misteriche dei
sufi, da alHallaj a Rùmì, da Omar Khayyam ai
giorni d'oggi. Basti, per tutti, una quartina di Rùmì:
"Ciascuna delle mie fibre porta la traccia del
Beneamato. / Con ogni particella del mio corpo
parla il Beneamato. / Sono come un'arpa
appoggiata al Suo petto / e il mio lamento è
prodotto dalle dita del Beneamato".
Lo shaikh Muzaffer Ozak alJerrahi' scrisse questo
significativo racconto: "Un giorno Gesù incontrò un
giovane che gli chiese: "O Messaggero di Dio!
Prega per me l'Altissimo affinché mi conceda un
atomo del suo amore". Gesù rispose: "Ti dico che
non potresti sostenere un atomo dell'amore di Dio
che tanto desideri". Ma il giovane insistette:
"Allora chiedigli di concedermi appena la metà di
un atomo del Suo amore". Gesù giunse le mani
supplicando la Divina Unità: "O Signore, esaudisci
e concedi a questo giovane la metà di un atomo
del Tuo amore". Poi partì. Qualche tempo dopo
Gesù passò di nuovo da quel posto in cui aveva
incontrato il giovane e, non vedendolo, chiese
dove fosse. Gli risposero: "O Profeta di Dio, quel
giovane è andato sulle montagne, o forse vaga nei
deserti: non abbiamo notizia di lui, né dove si
trova, né che fa". Gesù pregò l'Altissimo di fargli
trovare quel giovane ed ecco che venne ispirato,
seppe dove si trovava e vi andò. Vedendolo
seduto su un masso, in contemplazione, lo
chiamò, ma quegli non gli rispose affatto. Lo
chiamò di nuovo gridando il proprio nome, ma
ancora non ottenne risposta. Allora Dio gli ispirò:
"Come ci si può aspettare che un uomo con mezzo
atomo del mio amore nel cuore oda le voci degli
uomini? Anche se tentassero di tagliarlo a metà
con una sega, o di bruciarlo col fuoco, nulla
potrebbero, e nulla egli sentirebbe" ".
'ABD-ALWADUD. Chi porta questo nome è
incentivato a una compassione globale per tutte le
creature, tutte accettando e tutte capendo, nella
consapevolezza che l'amore di Dio si diffonde a
tutte le creature, per cui ogni creatura è tenuta ad
amare ciò che Dio ama. Così facendo, si sentirà
prossimo a Dio in una delle Sue qualità più
ineffabili.

49
alMAJÌDU: il Glorioso

(Corano: XI,73; LXXXV,15)

"La lode spetta a Lui solo". "Solo i Suoi atti sono


degni di gloria". Queste due frasi vennero
ripetutamente calligrafate sulle pareti di molte
regge, per rammentare ai monarchi la caducità
delle glorie terrene. Certo è che nulla Lo tocca, né
gli sguardi, né i pensieri, come più volte dice il
Corano. Tuttavia, "nella Sua gloria", di cui parlano
anche i Vangeli riferendosi al giorno del giudizio,
Egli è vicino ad ogni Sua creatura, perfino la più
umile: la gloria non è contaminata dalla
vanagloria, che tanto inquina le azioni terrene.
D'altronde ogni creazione canta la Sua gloria, non
solo con la bellezza ma anche con le leggi
complicate che la reggono (pensiamo al silenzio
profondo d'una splendida notte stellata). Dove
vanno allora a finire l'arroganza, la spocchieria e
l'intolleranza degli esseri umani?
'ABD-ALMAJÌD. Nome che incentiva chi lo porta a
perfezionare sempre più il comportamento e il
carattere, non esercitando una sorta di falsa
modestia, ma nella comprensione dei limiti umani,
con un senso di donazione del se per recare bene
e pace, per diffondere serenità e sicurezza.

50
alBÀ'ITHU: il Risuscitatore

(altro senso ammesso: l'Inviatore)

(Corano: XVIll,12)

In Corano XVIII, 12, in cui si narra la vicenda dei


sette dormienti nella caverna, è detto: "Poi li
abbiamo risuscitati... ". In effetti il Nome non è
presente in assoluto nel Corano, ma si desume
dall'azione e dai contesti relativi al giorno del
giudizio finale, cioè alla risuscitazione ultima,
"risuscitazione" che ha dato luogo, presso i sufi, a
un gran numero di interpretazioni mistiche e
misteriche.
La risurrezione dopo la morte è una delle sette
affermazioni di fede del musulmano. Si può dire
che sia uno dei motivi essenziali del Corano: "Sì,
Dio! La verità è Lui. Sì: è Lui che dà la vita ai
morti. Egli è l'Onnipotente, si; e l'ora volge -
nessun dubbio su questo - né ch'egli risusciterà
coloro che sono nelle tombe" (XXII,6-7). "Dalla
terra vi abbiamo creati, ad essa vi riporteremo, e
da quella ancora vi faremo uscire"
(XX,55). "Dio! È Lui che vi ha creati, poi vi ha
nutriti, poi vi darà la morte, e poi vi darà la vita... "
(XXX,40).
Indubbiamente il concetto della risurrezione è uno
dei più difficili da capire, se preso nel senso
strettamente letterale. Alle critiche che i Meccani
rivolgevano a Maometto in proposito risposero i
versetti: "Coniando per Noi un esempio, e
dimenticando la propria creazione, l'uomo dice:
"Chi ridarà la vita alle ossa quando sono cariate?"
Di': "Ridarà loro la vita Colui che le ha create una
prima volta, poiché Egli conosce tutta la
creazione"" (XXXVI,78-79).
Per un'altra interpretazione (quella dei sufi
Chishtiyy) si veda il Nome alMuhyi (n. 61).
Non va comunque dimenticato che nel Corano la
vita (hayàt) è paragonata alla conoscenza ('ilm,
plurale 'ulùm) e la morte (mawat) all'ignoranza
(iaht). Colui che risuscita è anche Colui che ha
dato il "calamo" all'umanità, fornendola degli
strumenti necessari per uscire dalla tomba
dell'ignoranza.
'ABD-ALBÀ'ITH. La risurrezione cui questo nome
invita è quella che si ottiene purificando il cuore e
la mente grazie all'amore per la conoscenza e il
distacco dalle cose mondane, e chi porta questo
nome è incentivato a rinascere nella luce della
conoscenza ancor prima di morire a questo
mondo.

51
alSHAHÌDU: il Testimone

Colui che dà testimonianza [di Sé]


(Corano: III, 18; III,98, IV 33, IV,79, IV,85 V, 117
VI,19; X,46; XXII,17, XXXIII,55; XXXIV,41; XLI,53;
LVIII,6; LIX,II; [LXIII,1]; LXXXV,9).

AlShahàdà indica ciò che è presente, apparente; in


opposizione a alGhayb: ciò che è nascosto. Ha
quindi valore assoluto di testimonianza per la sua
stessa tangibilità, quindi di Testimone, ma anche
di Colui che conosce il mistero (confrontare il terzo
significato del Nome alMuqìtu, n. 40). AlGhazzàlì
afferma: "Mia madre e l'imàm sono due testimoni
che dicono sempre la verità" (alQiatàs
alMustaqym, 71). Ha quindi anche valore di
"prova", come ancora alGhazzàlì dice: "Le prove
(shawàhid) della Legge rivelata e
dell'insegnamento trasmesso" (Ihya, I,4); ma si
può anche intendere con valore di: Presente,
Constatabile. Lo shahìd è anche il profeta, in
quanto testimone per il popolo cui è stato inviato.
Come termine riferito a Dio, indica la Sua
onnipresenza in ogni cosa e in ogni accadimento
nel medesimo tempo in tutti i tempi, in accordo
con il detto precipuo a tutte le religioni rivelate:
"Anche se nessuno ti vede, Dio ti vede". Sarà
quindi il "Testimone in assoluto", il giorno del
giudizio finale.
A questo proposito, in relazione al grado spirituale
della "perfezione nell'agire" (ahsàn), Ibn al'Arabì
disse: "Quando Gabriele chiese a Maometto in che
consiste la perfezione nell'agire, il Profeta rispose:
"Adora Dio come se Lui ti vedesse; se tu non Lo
vedi, Egli ti vede". La prima parte di questa frase
si riferisce al grado spirituale della contemplazione
(mushàhada) in senso assoluto, perché colui che
vi si trova non è condizionato dall'operato, dato
che in quel momento vede che le opere
provengono da Lui nell'attualizzazione della loro
sussistenza. La seconda parte della frase si
riferisce alla stazione spirituale dei puri, di coloro
che dedicano le loro opere a Dio con sincerità
totale".
AlHallaj, uno dei più grandi mistici dell'umanità
(858-922), scrisse: "Tu sei il Solo nella solitudine
dell'Eternità. / Tu sei l'Unico a testimoniarTi
dall'alto del seggio della veracità; / e la Tua
testimonianza è Giustizia, senza che Tu debba
dimostrare che è giusta".
'ABD-ALSHAHÌD. Colui che porta questo nome è
incentivato a testimoniare la verità, e a ricercarla
in ogni cosa, poiché ogni cosa può testimoniare
l'esistenza di Dio, se solo si sa indagarla
consapevolmente.

52
alHAQQU: la Verità
(il Reale; il Vero assoluto)
Antonimo: alBàtilu

(Nel Corano è frequente. Ad esempio: X,32;


XX,114; XXII,6, XXXI,30.
Nel senso di Colui che è vero: XX,114. In LI,19
indica "un diritto")
Il valore d'origine della radice h-q-q è andato
sfumando, in arabo, ma si può ricorrere alla
corrispondente radice ebraica che significava: a)
intagliare, incidere; b) iscrivere, scrivere,
descrivere; c) prescrivere o emettere un decreto,
una prescrizione, una legge; d) il dovere verso Dio
e verso gli uomini.
Nella poesia preislamica haqq ha valore di giusto,
reale (nelle iscrizioni sudarabiche: hqt, hq).
Significò poi "fatto stabilito", "corrispondente al
reale", con antonimo bàtil (vano, irreale), cui è
opposto con senso di verità nel Corano. Indica
anche ogni cosa vera, reale come il castigo finale
e ogni altro articolo di lede. Inteso a volte,
erratamente, anche come "il Creatore" per
l'allitterazione con khalq (creazione). In effetti ciò
che è essenzialmente vero è anche
essenzialmente reale, per cui significa (soprattutto
nei molti trattati dei sufi sulla verità) tanto la
Verità quanto "il Reale", cioè sempre Dio.
Il termine alHaqqu può essere usato come
sostantivo e come aggettivo. Riferito a Dio, è
rinforzato dal Nome al'Adlu (l'Equo, n. 30); come
verità ontologica indica che Dio è essenza
necessaria; in relazione alla Verità assoluta Egli è
totalmente veridico nella Sua parola (le
rivelazioni), mentre con la Sua essenza rende
manifesta la Verità. Secondo alGhazzàlì il termine,
nella qualità sostantiva, ha valore di "diritto
giurisprudenziale", di "cosa dovuta": "La saggezza
ha il suo diritto e i suoi uomini; dà dunque il
dovuto a tutti coloro che ne hanno diritto" (Ihyà,
I,33, ecc.).
La Verità, intesa in senso assoluto, è spesso
invece, per i sufi, sinonimo di "Dio", e meta ultima
della ricerca mistica. Nulla è simile alla Verità
trascendente, l'unica reale, l'unica sussistente e
quindi superiore a tutto il creato stesso. Per il fatto
stesso che Dio è Verità, tutto l'universo ha un
ordine perfetto e impeccabile, e una ragione
coordinata. La verità non ha bisogno di prove e
per essere tale in modo assoluto deve essere
eterna e immutabile, altrimenti è solo una verità
parziale che dà una conoscenza limitata. Gli esseri
umani sono costretti a prendere grandi decisioni
sulla base di verità parziali e di conoscenze
parziali; tuttavia hanno il dovere di fare del loro
meglio.
Il Vero, l'Essere costitutivo, il Reale, rende il
concetto di "ben fondato, legittimo, consistente".
Ancora alGhazzàlì (Ihyà' 'ulùm alDìn, I,32; II,257;
II,347) rifiuta il concetto di alHallaj (857-922): "Io
sono la Verità", che intendeva un contatto diretto
con l'oggetto conosciuto e l'immedesimazione
naturale in Dio, dal momento che invece ognuno
di noi è parte di Dio, quindi siamo tutti Dio in
minima parte. Per alGhazzàlì la "Verità" è tale in
quanto essa è la manifestazione della "Presenza
divina" (hadra) della Maestà di Dio.
Quando il termine haqq è usato in diretta
contrapposizione a la'ib acquisisce valore di jidd,
indicando tutto ciò che è serio (Corano XXI,55:
letteralmente "Sei venuto con la verità o sei nel
novero di coloro che scherzano", per intendere:
"Parli seriamente o scherzi?").
'ABD-ALHAQQ. Colui che porta questo nome è
chiamato a ricercare sempre il fine ultimo delle
cose secondo la loro qualità obbiettiva e la loro
collocazione nel contesto di tutte le cause e di tutti
gli effetti.

53
alWAKILU: il Gerente
(il Curatore; la Garanzia)

(Nel Corano è frequente. Ad esempio: III,173;


IV,81; LXXIII,9; Colui che si incarica di tutto:
VI,102; Dio è la Garanzia: XI,12)

Il termine in se significa garante, procuratore;


riferito a Dio indica Colui al quale tutto è affidato,
Colui che si prende carico di tutte le necessità
delle creature. Egli veglia su ogni cosa e in Corano
XII,66 e XXVIII,28 è il "Garante" d'una parola data.
Nel senso di "Colui cui si può dare fiducia
incondizionata" è Colui che non lascia nulla di
incompiuto, che fa tutto senza che nessuno debba
fare qualcosa per Lui. D'altro canto è ovvio
pensare ch'Egli possa sostituire ogni parte
dell'universo mentre nulla nell'universo può
sostituire Lui. Nessun potere può forzarLo a fare
altro da ciò che ha stabilito, anche se il fatto
sfugge alla nostra comprensione, limitata a uno
"Ha stabilito", mentre nella dimensione divina il
concetto stesso di esprimere una volontà e di
prendere una decisione non sussiste.
Del pari ha valore l'estrema fiducia, l'abbandono
totale (Islàm) di ogni singola creatura a Dio, nel
Quale va posta in assoluto la fiducia. Qualsiasi
fiduciario sulla terra ha necessità di un compenso,
mentre a Dio non diamo compenso alcuno. Tale
fiducia (tawakkul, definizione anche di uno stato
mistico) non deve essere cieca e supina
acquiescenza; il Corano continua ad affermare:
"Chiunque ha creduto in Dio, nel giorno ultimo, e
compiuto opera buona..." (II,2).
Credere non basta, occorre anche agire
correttamente, "compiere opere buone". Non
curarsi delle cause e dei loro effetti, non
contrastare il volgere delle cose, soprattutto
quando sono negative, è pigrizia e ignavia, e se
per l'Islàm aver fiducia in Dio è un obbligo, l'essere
ignavi e pigri è una forma di "negazione di Dio" e
di tutti i Suoi Nomi.
'ABD-ALWAKÌL. Chi porta questo nome è
incentivato ad abbandonarsi con fiducia a Dio,
ispirando fiducia nel suo prossimo con un
comportamento integro. Sarà allora un "fiduciario"
(kalifa) degno di fede, cui si potrà ricorrere
tranquillamente, e che realizza così in se un po'
della fiducia da porsi in Dio.

54
alQAWIYYU (alQawì): il Vigoroso; il Forte
(Colui che ha potere su tutte le cose)

(Corano: VIII,2; XI,66; XXII,40; XXII,74; XXXIII,25;


XLII,19, LVII,25 LVIII,21; LIX,23)
La connotazione del termine, in alcuni passi del
Corano, richiama la qualità divina precipua
dell'Antico Testamento, Dio di vendetta e di
giustizia: "E così fu per le genti di Faraone e per
quelli che avevano misconosciuto i segni di Dio.
Poi Dio li colse, per i loro peccati. Sì, Dio è Forte,
Severo nelle sanzioni" (VIII,52). "Poi, quando
venne il Nostro ordine, grazie a una Nostra
misericordia salvammo dall'ignominia di quel
giorno Sàlih e quelli che avevano creduto con lui. Il
tuo Signore! È Lui il Vigoroso in verità, il Potente"
(XI,66). La vera forza non è quella che declina con
gli anni, o che viene meno per interferenze
psicologiche, o che porta ad eccessi. Questa è solo
una forza umana transitoria. Inoltre la Forza di Dio
si esprime nella creatività: un semplice filo d'erba
e migliaia e migliaia di galassie nell'infinito
universo. Una forza inesauribile che al tempo
stesso elimina e protegge, castiga e perdona, in
un ineffabile equilibrio.
'ABD-ALQAWÌ. Colui che impone questo nome a ut
bambino si augura che si possa manifestare in lui
il potere di Dio, sconfiggendo la concupiscenza e
l'ambizione, poiché l'uomo davvero forte mantiene
un sano equilibrio grazie al quale è rispettato,
temuto, ma anche preso ad esempio.

55
alMATÌNU: Colui che è solido; il Robusto

(Corano: LI,58)

Il termine ha anche valore di "impassibilità",


"imperturbabilità". Riferito a Dio, indica la
perfezione del Suo potere senza limiti ma anche la
veemenza con cui tutto l'universo è pervaso dalla
Sua essenza. Per i sufi è la qualità necessaria per
raggiungere l'imperturbabilità davanti agli
allettamenti del mondo fenomenico, e quella
dirittura di pensiero e di carattere che distingue il
grado di evoluzione raggiunto nel lungo cammino
del misticismo.
'ABD-ALMATIN. Poiché la forza di Dio pervade
tutto, colui che porta questo nome è incentivato
ad accorgersi che da Dio viene il bene, ma anche
la punizione. Nessuna difficoltà dovrà farlo
desistere dalla retta via, nessuna fatica dal lodare
Dio; e nessuno potrà intimorirlo s'egli porrà
totalmente la sua fiducia nella forza inattaccabile
di Dio.

56
alWALIYYU: Colui che governa
(Colui che detiene l'autorità) (da non confondersi
con alWàli n. 77)

(Corano: II,107; VI,51; XIII,11; XVIII,44)

A volte il termine è reso anche con Maestro,


Padrone ("Non sai che in verità il regno dei cieli e
della terra è di Dio, e che di fuor da Lui non avete
Padrone né alcuno che vi soccorra?", Corano
II,107). Nell'ambito della religione è applicabile a
Dio ma anche ad ogni mistico contemplativo, colui
che in Occidente è chiamato "santo", come dice
Ibn al'Arabì nel Futùbàt atMakkiyah: "La walàya è
la santità suprema, l'amicizia divina".
Dhù alNùn alMisrì, maestro sufi morto nell'860,
scrisse un brano esoterico variamente
commentato dai seguaci: "Io sono il walì di
chiunque mi obbedisce. Chiunque mi obbedisce
ponga quindi la sua fiducia in me e prenda me
come norma. Per la mia onnipotenza! Se allora mi
chiederà la fine del mondo, io vi metterò fine per
lui". Quando Dhù alNùn parlò della sua iniziatrice
al misticismo, la turca Fatima di Nìshapùr (morta
nell'838), disse: "È una waliyya, del novero degli
"Amici di Dio"".
In generale si interpreta questo Nome come
l'indicazione "dell'affetto e della protezione" che
Dio accorda a coloro che Lo adorano con cuore
puro e dedizione totale. Il loro distacco dai beni e
dagli orpelli terreni trova riscontro nella buona
riuscita delle loro opere in favore dell'umanità, e
nella forza consapevole e costante che applicano
nelle loro imprese. Poiché essi sanno che tutto
viene da Dio, vivono con fiducia e nulla manca
loro, poiché di Sull'altro hanno bisogno se non
della walàya di Dio.
'ABD-ALWALÌ. Con questo nome si vuole
incentivare in un uomo l'amore per tutti coloro che
vivono nella contemplazione di Dio, egli stesso
incentivato a ricercare questa santità, a compiere
opere che siano di utilità per la crescita spirituale
del suo prossimo.

57
alHAMÌDU: il Lodato; il Glorificato
(il Degno di lode)

(Corano: XI,73; XXII,24; XXXV,15; XLII,42)


Nome implicitamente espresso nel secondo
versetto della prima sera: "Gloria a Dio, Signore
dei mondi".
Si tratta di una qualità "per eccellenza" di Dio, e il
Nome o il concetto sono ricorrenti in tutti i testi dei
maestri sufi. Si intende anche che Dio è il "più
lodato" nei secoli, da tutte le genti, da tutto il
creato, e per conseguenza pone l'accento
"sull'adorazione" di Dio e sull'obbligo di adorarLo.
In effetti la preghiera del buon musulmano non è
fatta per chiedere a Dio benefici o ricompense,
come già spiegato nel Suo Nome alKarìmu (n. 43),
ma come puro atto di adorazione del Creatore. Il
Nome è anche inteso come "prototipo" delle
qualità positive del creato: tutto il creato glorifica
Dio, ma la "qualità" del creato è in se stessa la
lode più alta a Dio.
È un attributo di relazione. Secondo Ibn al'Arabì la
qualità di "santo" viene raggiunta quando l'essere
umano compenetra le qualità divine esemplate dai
Nomi alWaliyyu e alHamìdu (n. 56 e 57),
quest'ultimo designante il prototipo stesso delle
qualità positive del creato.
L'adorazione è implicita nell'armonia dell'universo
e nel "vivere" del mondo fenomenico, dal
momento che tutto ciò è creazione di Dio e che
tutto ciò ha la Sua bellezza, se solo la si voglia
vedere. Usando le materie di cui siamo sostentati,
automaticamente adoriamo pur senza
avvedercene Colui che questa materia crea.
Questo concetto di "adorazione", di "lode a Dio" ha
costituito un tema costante nelle opere dei mistici
dell'Islam, in ciò all'unisono con quelli cristiani,
come ci esemplifica Juan de Ypes y Alvárez, detto
san Giovanni della Croce (1542-1591): "AdorarTi in
silenzio quando vieni verso di noi; / adorarTi in
silenzio, come un'acqua che scende / e dilaga ad
ondate quando le dighe si rompono![...] / O
Signore! Vieni a me perché io ne sia ubbriacato. /
O splendore che m'avvince: al pari d'una donna
semplice / chinata sul proprio sposo, permettimi in
tutta libertà / di scoprire il Tuo segreto, di
penetrare nel Tuo ascolto, / e d'ubbriacarmi di
cielo come un folle".
Anche per questo la negatività massima non è
l'essere ateo, il non avere fede (dal momento che
Dio dà la fede a chi Egli vuole, e non la dà a chi
Egli non la vuole dare, come ripete più volte il
Corano), ma l'associare altre divinità a Dio.
'ABD-ALHAMÌD. Nome che incentiva il
riconoscimento di tutta la bellezza di Dio, che è di
sopra e di là da tutte le bellezze da Lui create. Chi
lo porta dovrebbe cercare di rendersene degno,
facendo sì che tutti i suoi atti siano la degna
conclusione di una ponderata disamina dei valori
che rendono valida ogni azione.

58
alMUHSHI: Colui che computa

(Corano, come azione di Dio: XXXVI,12; LVIII,6;


LXXII,28)

In corrispondenza con al'Alìmu (l'onnisciente, n.


20) indica che Dio comprende in Se e conosce
omnicomprensivamente tutte le cose computate;
e in corrispondenza con alQàdiru (il Forte, n. 69)
indica ch'Egli ha ogni potere su di esse. Con
alKhabìru (il Bene informato, n. 32) conosce i fatti
e i pensieri interiori anche più segreti; con
alShahìdu (il Testimone, n. 51) Egli è testimone
per tutto ciò che è, anche il più piccolo atomo.
Quindi "Dio è possessore di tutta la conoscenza
quantitativa" ed Egli "vede e conosce ogni singola
cosa nella sua realtà". Anche la più piccola
particella dell'universo è così conosciuta
analiticamente, nella sua natura, azione, posizione
e corrispondenza.
In Corano XXXVI, 12: " Sì, Noi diamo la vita ai
morti e iscriviamo quel che si son preparati e le
loro tracce. Abbiamo computato ogni cosa in un
preciso registro". Nulla è quindi perduto d'ogni pur
minima azione, che consegue ricompensa o
castigo. D'altro canto noi stessi immagazziniamo
ogni nostra azione, pur se non siamo in grado di
sollecitarne la rammemorazione: tutto è
perfettamente archiviato nella nostra corteccia
cerebrale; e quando si procedette sul tavolo
operatorio a stimolazioni elettriche d'una cellula
qualsiasi del pallio (mantello cerebrale) in
operazioni a calotta cranica scoperta, la memoria
latente immagazzinatavi, così sollecitata, emerse.
I sensi di colpa inconsci, elaborati
dall'archeopsiche, tengono computo di tutte le
nostre azioni meglio e più della nostra parte
conscia (neopsiche).
Analizzare in noi stessi le nostre azioni ci porta ad
assumercene in pieno e in prima persona la
responsabilità, consapevoli che "nessuna anima
potrà pagare checchessia per un'altra; e non verrà
accolta nessuna sua intercessione, e non le verrà
accettato alcun equivalente. Nessuno verrà
soccorso" (Corano II,48).
Sulla base di questo Nome, nel giorno del giudizio
finale "la terra brillerà della luce del Signore,
mentre il registro verrà posato, profeti e testimoni
verranno adunati, e verrà deciso con equità.
Nessuno verrà leso, e ogni anima sarà ripagata
per tutto quello che ha fatto. E Dio sa meglio di
tutti ciò che hanno fatto" (Corano XXXIX,70).
Ognuno di noi ha obiettivamente la possibilità di
fare i propri conti ora, prima di quel giorno finale.
'ABD-ALMUHSÌ. Nome che incentiva chi lo porta a
conoscere tutto ciò che è possibile in estensione e
in profondità, sia attorno a lui ma ancor più
particolarmente dentro di lui, analizzando i propri
atti e il proprio modo di vivere.

59
alMUBDIU: Colui che ricomincia
(l'Iniziante; l'Innovatore; il Precorritore)

(Corano: il senso è esplicitato in VII,29; XXIX,20;


XXX,11; LXXXV,13)

Ha il doppio valore di "Colui che crea dal nulla gli


esseri" e di "Colui che previene i desideri con le
sue attenzioni". Da pronunciarsi assieme al Nome
seguente, cui è legato per senso.
Secondo il Corano (VII,29), "A Lui ritornerete così
come Lui vi ha dato inizio". Per 'Abù Ja'far Tabarì,
teologo del X secolo (VIII, 157), questa frase del
Corano ha il senso forse troppo restrittivo di
"Ritornerete a Lui come la predestinazione ha
determinato". In effetti questo versetto può dar
testimonianza a una corrente di teologi della
predestinazione, alla quale non ci si può sottrarre,
ma il versetto immediatamente seguente ha dato
invece motivo ai muta'ziliti di confermare il libero
arbitrio ('ikhtiyàr): "Gli uni sono nella buona
direzione, e altri nell'errore poiché in verità hanno
preso i diavoli come padroni in luogo di Dio, e
credono d'esser loro, veramente, i ben guidati"
(Corano VII,30).
A seconda delle sfumature cui il Nome si presta,
Dio è l'originatore di tutto, fuori da schemi e da
modelli, conferendo una forza prodigiosa alla
materia (la carica del protone e dell'elettrone ad
esempio); Dio unica fonte dell'energia necessaria
alla materia per essere; oppure è il dispensatore
delle grazie e della vita, della Legge e delle
ricompense, e ciò supera la realtà della materia
stessa. D'altronde chi volesse considerare l'essere
umano esclusivamente come un costrutto di
materia, si chieda come mai questa materia ha la
possibilità di pensare cose sublimi e sensibili e di
sentire passioni anche altamente trascendenti.
'ABD-ALMUBDÌ. Chi porta questo nome è chiamato
a considerare l'origine di se stesso e di tutte le
cose, per riconoscere la fonte di tutte le cose e
l'origine prima dei nostri più sublimi sentimenti.

60
alMU'IDU: il Rigeneratore; il Vivificatore

(Corano: il senso alla stessa stregua e unitamente


al Nome precedente è esplicitato in VII,29; XXIX
20; XXXI 1; LXXXV 13)

Da pronunciarsi assieme al Nome precedente.


Rafforzante l'onnipotenza di Dio, come in Corano,
XXIX,20: "Di': percorrete la terra, e guardate come
Egli ha iniziato la creazione. Poi Dio farà risuscitare
la creazione un'ultima volta. Dio, in verità, è
Onnipotente".
E nel versetto LXXXV,13: "Sì, è Lui che crea e che
rigenera ".
La risurrezione, pilastro della religione islamica
così come lo è per l'ebraismo, per il cristianesimo
e per altre religioni, è comunque variamente
interpretata. Anche i Testimoni di Geova, e
nell'Islam le anime semplici e non acculturate,
credono che si tratti di un vero e proprio ritorno al
corpo materiale. I sufi per contro considerano
questo concetto un simbolo - che si presta a varie
interpretazioni - e intendono le frasi relative nel
Corano come una spiegazione della potenza di Dio
mediante immagini che possano essere capite
dagli spiriti semplici.

Già al tempo del profeta Maometto - quando il


concetto di anima e di sopravvivenza era piuttosto
vago e per nulla definito - la risurrezione era
contrastata e criticata, e molti versetti del Corano
intervengono su questi dubbi, come in LXXV,1-11:
"No! Lo affermo per il giorno della risurrezione! Ma
no! Lo affermo per l'anima che rimprovera! Crede
forse l'uomo che Noi non riuniremo mai le sue
ossa? Ma sì: Noi siamo in grado di rimettere a
posto le sue giunture. L'uomo preferisce vivere da
libertino e chiede: "Vi sarà il giorno della
risurrezione?". Quando il suo sguardo sarà
abbagliato, e la luna si eclisserà, e sole e luna
cozzeranno, in quel giorno l'uomo dirà: "Dove
fuggire?", ma non vi sarà rifugio".
E in Corano XXII,5-7: "Genti! Se siete in dubbio
circa la risurrezione, ebbene, Noi vi abbiamo
creato dalla polvere, poi dallo sperma, poi
dall'embrione, poi di carne, formata e non formata
(per spiegarvi tutto) e Noi deponiamo nelle matrici
ciò che Noi vogliamo, sino al termine stabilito; poi
vi facciamo uscire neonati e in seguito
raggiungete la pienezza delle forze. Alcuni di voi
son fatti morire giovani, ed altri è condotto alla più
tarda età al punto che non ricorda più ciò che
sapeva. Così tu vedrai la terra spenta, ma se vi
facciamo cadere la pioggia si anima, si gonfia, e
ne spuntano cose gradevoli, a coppie. Sì, Dio! Egli
è verità. Sì, Egli dà la vita ai morti; Egli è
l'Onnipotente. Sì: l'ora avanza senza dubbio
alcuno, sì, e Dio risusciterà quelli che sono nelle
tombe".
Per molti maestri sufi il giorno del giudizio finale è
simbolo d'una armonia e di un equilibrio che
l'essere umano evoluto cerca inutilmente sulla
terra confidando nel momento in cui tutto
ritornerà a Dio. È l'annientamento di se nella Sua
luce, dopo aver sperimentato sulla terra uno degli
aspetti di Dio: la creatività che porta all'esistenza
della materia. Il mondo della materia vive nella
dualità di cariche positive e negative e l'anima
incarnata nella materia vive la dualità di bene e di
male. Ma nel mondo dello spirito, emanazione e
parvenza di Dio, è indubbio che verrà raggiunto
l'equilibrio di là da ogni dualità. Per molti maestri
(come Ibn Khaldun, sociologo e storico tunisino,
1332-1406) la "reincarnazione" è, nel contesto
terreno, il simbolo del continuo rifluire delle
culture, delle civiltà, i "corsi e ricorsi della storia",
secondo quanto chiaramente espresse anche il
filosofo italiano Giovan Battista Vico (1668-1744).
'ABD-ALMU'ID. Chi ha questo nome dovrebbe
tendere a capire ciò che mette in moto le civiltà
della terra, i cicli continui di cui si fanno le civiltà
della terra e le cose del mondo, che nascono,
sorgono, muoiono, per ripresentarsi di nuovo.

61
alMUHYI: Colui che dà la vita; Colui che ridà la
vita; il Creatore della vita

(Corano: II,258; III,156; VI,133; VII,158; IX,116;


XV,23; XXIII,80; XL,68; XLIV,8; LIII,44; LVII,2;
LXVII,2)

Da pronunciarsi assieme al Nome seguente; anche


nel Corano i due Nomi (61 e 62) sono quasi
sempre associati.
"Dio è Colui che dà la vita e la morte". Questa
capacità di ridare la vita ai morti, Egli la può
comunque conferire anche ai Suoi profeti, come
disse Gesù: "Sì, per voi modello col fango la figura
di un uccello, poi vi soffio sopra, e col permesso di
Dio è un uccello. E guarisco il cieco nato e il
lebbroso, e risuscito i morti con il permesso di Dio"
(Corano III,49).
Inoltre nel Corano troviamo definite tre qualità
differenti di vita: una vita fisica, scientificamente
descritta ("Dall'acqua abbiamo creato ogni essere
vivente", XXI,30; "Dio ha creato tutti gli esseri
viventi a partire dall'acqua", XXIV,54); una vita
dello spirito, a fronte della quale vai bene la pena
di abbandonare ogni orpello umano in questa
lunga meravigliosa via che conduce a Dio; una vita
futura, condizionata dal modo di vita sulla terra e
perciò determinata dalle nostre scelte individuali
di cui - dice spesso il Corano - noi soli siamo
completamente responsabili.
Per i sufi dell'ordine Chishtiyya - fondato in India
da Mu'ìn alDìn Muhammad Chishtì (morto nel
1236) - e per alcuni sufi appartenenti ad altri
ordini, il problema della vita e della morte
descritto più volte nel Corano come un alternarsi
continuo conferisce credito alla loro opinione di
una reincarnazione susseguente, sino al livello di
purezza e di comprensione massime. Una
reincarnazione che, diversamente da quella
buddista o induista, ha luogo solo da essere
umano a essere umano, perché solo l'essere
umano è responsabile in toto delle sue azioni e
delle proprie scelte. Questi sono i relativi passi del
Corano: "Tu fai entrare la notte nel giorno e Tu fai
entrare il giorno nella notte. Tu fai uscire il vivo dal
morto e Tu fai uscire il morto dal vivo" (III,27);
"Egli fa uscire il vivo dal morto e il morto dal vivo.
Egli vivifica la terra morta. Così vi farà risorgere"
(XXX, 19); "In verità Noi diamo vita ai morti"
(XXXVI,12).
Per concludere, una quartina di Omar Khayyam
(1048-1131): "La distanza che separa l'incredulità
dalla fede è un soffio; / quella che separa il dubbio
dalla certezza è del pari un soffio; / passiamo
dunque serenamente questo prezioso spazio di un
soffio / perché anche la nostra vita è separata
dalla morte da un soffio".
'ABD-ALMUHYI. Chi porta questo nome è
incentivato a superare il peccato, simbolo del buio
e della morte, purificandosi nel Nome di Dio che è
Vita.

62
alMUMÌTU: Colui che dà la morte

(Corano: II,258; III,156; VI,133; VII,158; IX,116;


XV,23; XXIII,80; XL,68; XLIV,8; LIII,44; LVII,2;
LXVII,2)

Da pronunciarsi assieme al Nome precedente, cui


è strettamente connesso.
Per il musulmano la morte è solo un transito
(intiqà: dalla "dimora più vicina" (alDàr alDunyà, la
vita terrena, la vita presente) all'ultima dimora"
(alDàr alAkhira, la vita futura, l'aldilà). "Ogni
anima gusterà la morte" (III,185). "Ognuno muore
nell'ora fissata e con il permesso di Dio; nessuno
sa quel che accadrà domani, nessuno sa in quale
terra morirà: è Dio il Conoscitore, il Beninformato"
(XXXI,34). Ciò aiuta il buon musulmano ad
accettare il decreto di Dio, l'ineluttabilità della
morte fisica, senza rimpianto egoistico per il
distacco dai nostri cari che muoiono; e accettando
con la nostra morte le rinunce e gli abbandoni che
essa comporta.
In definitiva il credente è grato per la vita che Dio
gli ha dato e pazientemente sopporta ciò che vi è
di negativo, conoscendo il detto del califfo 'Alì: "Il
bene che tu hai ti viene da Dio, il male che tu hai
viene da te stesso". In effetti "la vita è Verità, e la
Verità è Dio: quindi solo Dio è Vita" (Jalal alDìn
Rùmì). La morte è quindi intesa come necessaria
per giungere alla verità: "Con lo stordimento della
morte verrà la verità" (Corano L, l9).
Probabilmente anche per questo e indubbiamente
per la fede in Dio intesa in modo chiaro e
compiuto, è ben raro il suicidio nel mondo
musulmano. Unico esempio famoso quello di Ibn
Sab'yn (1217-1271), filosofo noto anche in Europa
per aver dato risposta alle Domande inviate a
saggi dell'Islam dall'imperatore Federico II di
Svevia (AllAgùiba 'an alAs'ila alSiqilliyya: Risposta
alle domande siciliane, 1240 c.).
Sulla morte, sulla fragilità della vita (il lume di una
candela che un minimo alito di vento può
spegnere da un momento all'altro) hanno scritto
molti poeti musulmani. Bastino fra i tanti due
esempi di Omar Khayyam (1048-1131):
"La ruota del cielo corre verso la mia morte e la
tua. / Amico, cospira contro la mia anima e la
tua. / Vieni, vieni a sederti sul prato, perché poco
tempo ci resta / prima che un altro prato nasca
dalla mia polvere e dalla tua".
"Quando la mia anima e la tua ci avranno lasciati /
poseranno due mattoni sulla mia tomba e sulla
tua. / Poi, per coprire le tombe d'altri con dei
mattoni, / metteranno nella fossa del mattonato la
mia polvere e la tua".
'ABD-ALMUMÌT. Questo nome dovrebbe far
riflettere colui che lo porta sulla nostra fragilità,
sulle molte forze negative che portano al cuore
dell'uomo la negatività, sulla transitorietà della
gloria e delle ricchezze; ma anche sulla luce divina
che ci attende oltre la morte.
63
alHAYYU: il Vivente
(altro senso accettato: Colui che fa vivere e
morire)

(Corano: II,255; III,2; XX,111; XXV,58; XL,65)

È uno degli attributi essenziali, il cui senso è


palese. Per Yjì significa che Dio costantemente
agisce e percepisce, mentre nulla in modo
assoluto può agire su di Lui, nessuno Lo può
vedere senza prima morire. Per alGhazzàlì è il
Vivente al più alto e più completo grado della vita,
in ragione della perfezione del Suo agire e del Suo
percepire.
In effetti Colui che dà la vita, Colui che è eterno è
il solo Vivente, poiché vive di vita propria e dà la
vita a tutto il creato. Egli ha creato vite differenti,
in un'armonia complessa, d'una complessità
costantemente interdipendente.
La vita vegetale ha consapevolezze limitate; ha
possibilità relative, anche se una quercia vive più
a lungo di un essere umano. La vita animale è più
libera e noi pensiamo che sia superiore a quella
vegetale. L'umanità possiede tuttavia altre
possibilità, memoria e intelletto, per cui è
responsabile delle proprie azioni.
Questo climax è stato espresso chiaramente da
Jalal alDìn Rùmì, il più grande poeta mistico delle
genti turche (1207-1273): "Che fatica, che fatica
ha compiuto il sasso per diventare filo d'erba; e il
filo d'erba per diventare albero; e l'albero per
diventare uomo; e l'uomo per diventare angelo. E
che fatica, che fatica ha compiuto l'angelo per
diventare pietra".
E ancora: "All'istante stesso in cui sei venuto al
mondo, dell'esistenza venne posta dinnanzi a te
una scala per permetterti di fuggire. Dapprima tu
fosti minerale, poi vegetale, poi sei diventato
animale: come ciò può essere nascosto ai tuoi
occhi? Dopo di che diventasti uomo, dotato di
conoscenza, di ragione e di fede. Vedi come
questo corpo è diventato un tutto, pur essendo
una parte di questo mondo di polvere. Quando
avrai viaggiato a partire dalla condizione d'uomo,
senz'altro diventerai un angelo. Quando avrai
terminato con la terra, la tua dimora sarà il cielo.
Supera il livello dell'angelo: penetra in questo
oceano, affinché la tua goccia d'acqua divenga un
mare più ampio che cento mari di 'Omàn. Rinuncia
a questa nozione di "figlio", e di', con tutta
l'anima: "Dio è Uno"".
Tuttavia ben pochi sono gli esseri umani che
sfruttano anche solo in parte le grandi potenzialità
date loro. Nella scala dell'evoluzione spirituale
coloro che danno al mondo bellezza e pensiero, gli
artisti, i mistici, manifestano differenti modi di
"essere vivi" e di compenetrare, capire e
rappresentare la vita. Però nulla di tutto ciò è
eterno, assoluto, completo.
'ABD-ALHAYY. In contrapposto alla vita in assoluto
di Dio, colui che porta questo nome è incentivato a
uccidere in se i desideri terreni giungendo a
conoscere se stesso, e in se il suo Creatore, vero
riflesso della vita eterna.
64
alQAYYUMU: il Sussistente (di per Se); Colui che
sussiste per Suo proprio essere.
(altri sensi accettati: il Costante, l'Attento, lo
Stabile, l'Immutabile)

(Corano: II,255; III,2; XX,111)

Come attributo escludente indica "Colui che


perdura in Se stesso senza altra ragion d'essere
che Se stesso" (quimu biDhàtihu). Con questo
Nome si intende anche "Colui che regge e
coordina il creato e nulla può sussistere senza di
Lui" (in Fakh alDìn Ràzì, VII,5-8; e 'Abù fa 'far
Tabarì, III,5-6). Dio è pertanto l'archetipo eterno
dal Quale procedono tutte le forme: se le forme
mancassero, la creazione ricomincerebbe a
rispecchiare l'immagine dell'archetipo eterno che
non manca mai. Dal momento quindi che ogni
forma di vita è il riflesso dell'immutabile Vivente,
la più bella adorazione di Dio nella Sua qualità di
alQayyùmu è per ogni essere umano predicare la
pace e la concordia, e adoperarsi ad allontanare
per quanto possibile il flagello delle guerre dal
mondo.
'ABD-ALQAYYUM. Colui che porta questo nome è
invitato a testimoniare che tutto esiste perché Dio
esiste e a manifestare il Vivente seminando la
pace nel mondo.

65
alWÀJIDU: il Constatatore
(Colui che incontra; Colui che ti trova ovunque tu
sia)
Altre interpretazioni accettate: l'opulento; il
Perfetto

(Corano: il Nome viene desunto dalla radice,


presente più volte. Ad esempio: XCIII,6; XCIII,7)

Come attributo escludente ha a volte il senso di


"Colui al quale nulla può mancare e Cui nulla può
essere necessario ".
La presenza di Dio è dovunque, e nello stesso
istante. In Dio, creatore del tempo e dello spazio,
non c'è né tempo né spazio, ma solo infinito,
onnipresenza. Egli è quindi "Colui che incontra"
per eccellenza, poiché in realtà tutto è alla Sua
presenza: siamo noi soli che progrediamo verso di
Lui e a volte ci sentiamo pervadere dalla Sua
verità al punto che ci sembra di averLo raggiunto.
Così, anche essendo Egli simultaneamente
presente a tutto di fuori dalle contingenze di
spazio e di tempo precipue alla materia, Egli è
"Colui che consta fa". Così dobbiamo considerare
che nessuna nostra azione, anche la più
insignificante, è compiuta senza la Sua
constatazione. Quando il fedele ha qualche
necessità, gli basta dire: "Signore, sono alla Tua
presenza; e le mie necessità Ti sono note più
ancora di quanto non siano note a me".
È indubbio che ciascuno di noi ha sempre bisogno
di qualcosa; sarebbe paranoico pensare il
contrario. Fa parte della natura umana e dei suoi
limiti. Ma sapere che Dio è "Colui che incontra", è
"Colui che ti incontra ovunque tu sia" e che è il
Constatatore della nostra presenza e della nostra
ipseità porta l'essere umano a concordare con il
mistico alHallaj (857-922), che esclama: "Sono io?
Sei Tu? Lungi da me il pensiero d'affermare: Due!
C'è una ipseità Tua nel fondo del mio nulla, per
sempre; e il mio tutto, di sopra da tutte le cose,
crede di scorgere un doppio volto. Dov'è mai la
Tua essenza di fuori da me, perché io possa veder
chiaro? E più si chiarifica la mia essenza e più essa
perde la sua sostanza. Fra Te e me c'è un "sono
io" che mi tormenta: questo "sono io" che è di
fuori da Noi due".
La comprensione della nostra identità in Dio e con
Dio fu così forte e presente in alHallaj che affermò:
"Io sono la Verità" (vedi al Nome alHaqqu, n. 52).
L'identificazione assoluta con Dio venne
considerata blasfema dagli integralisti del tempo,
che lo condannarono a morte per crocefissione
dopo lunghe torture.
'ABD-ALWÀJID. Colui che porta questo nome è
condotto a cercare in se stesso la presenza di Dio
e a riconoscerla in ogni cosa e in ogni essere
umano.
66
alMÀJIDU: il Nobile; l'illustre
(allotropo di alMajìdu: il Glorioso; n. 49, Corano,
LXXXV,15)

(Corano: XI,73)

Come attributo di relazione è accostabile ad


al'Alìyyu (il Supremo, n. 37); come attributo attivo
indica il pieno possesso della sovranità e del
potere. Rinforza il valore del Nome precedente,
acquisendo in filigrana il valore di "Colui che è
sufficiente a Se stesso", "Colui che non ha mai
bisogno di aiuto".
Lo shaikh Muzaffer Ozak alJerrahi alHalveti (1916-
1986) ci disse una sera: "Non solo colui che
accumula ricchezze senza porle a disposizione del
suo prossimo è un reprobo: ha perduto la retta via
anche colui che insegue solo la gloria e ad essa
tutto sacrifica nell'illusione d'affidare il suo nome
all'eternità".
V'è anche una breve novella persiana che parla
della madre d'Alessandro Magno, giunta alla porta
del regno delle ombre per poter parlare col figlio
morto. Chiese: "Dov'è Alessandro?". Le venne
risposto: "Quale Alessandro? Qui ce ne sono a
migliaia". "Alessandro il re". "Qui ci sono
Alessandri re, a centinaia". "Alessandro Magno, il
grande conquistatore, il re glorioso". Le fu
risposto: "Qui ci sono decine di Alessandri, grandi
conquistatori, gloriosi. Di' semplicemente "mio
figlio", e allora lo troveremo".
'ABD-ALMÀJID. Colui che porta questo nome sa che
nulla vale più del rendere onore a Dio; e dovrebbe
essere incentivato ad accogliere con eguale animo
sia la notorietà sia il silenzio sul proprio nome.

67
alWÀHIDU: l'Unico
(alAhadu: l'Uno; per questo si veda anche
alAwwalu, n. 73)
(Nel Corano è ricorrente. Ad esempio: II,133;
II,163; VI,19; VII,70; IX,31. Per alAhadu: CXII,1;
CXII,4)

La maggior parte degli elenchi dei novantanove


Nomi indica qui alWàhidu, mentre altri (si veda
però anche alAwwalu, n. 73) pongono invece
alAhadu (l'uno). AlGhazzàlì e alYjì, ad esempio,
preferiscono alAhadu, attributo essenziale per
eccellenza. La differenza fra due Nomi eguali
consiste nell'interpretare alAhadu come "la
semplicità assoluta dell'essenza, insuperabilità e
inimitabilità dei Nomi divini", e alWàhidu "il Dio
unico; non ci sono altre divinità oltre a Lui".
Assieme al Nome seguente (alSamadu), il Nome
alAhadu è nella sura della pura fede, cuore stesso
del Corano: "Di': Egli, Dio è Uno. Dio, l'Assoluto.
Non generante e non generato; e nulla è eguale a
lui" (CXII, di quattro versetti).
L'unicità di Dio, Dio Uno, è il dogma di base
dell'Islàm. Per diventare musulmano occorre che
l'essere umano pronunci davanti a due musulmani
la shahadà: "Ashshadu inna là allàh ilà Allàh;
ashshadu inna Muhammad rasùl Allàh" ("Attesto
che non c'è altro dio che Dio; attesto che
Maometto è un profeta di Dio"). Il Nome esclude
ogni concetto e ogni tipo di "dio rivale" (nazìr);
stabilisce la non dualità e la non divisibilità.
L'essere umano che giunge per intuizione a questa
non divisibilità giunge a capire che tutto dipende
da Dio, tutto è in Dio e Dio è - in modo assoluto - il
Tutto. Tuttavia la wàhidiyah (l'unicità) di Dio si
sottrae a ogni tentativo di conoscenza
differenziante, mentre la ahadiya (l'unità) appare
nel differenziato, così come appare in essa la
differenziazione dei princìpi.
I sufi hanno scritto molte e molte pagine sull'unità
e sull'unicità. In Nur alDìn Isfaraynì (1242-1317)
leggiamo, a proposito dei due Nomi: "Noi
invochiamo il primo dicendo "l'Unico", cioè:
Signore, Puro, senza eguali. Invochiamo il secondo
dicendo "Uno", cioè: l'Uno che la dualità non
tocca, e del Quale nessuno condivide la proprietà
e la sovranità. Questi due attributi essenziali sono
menzionati da noi quando pronunciamo "Non c'è
dio se non Dio", in cui "non c'è dio" vuol dire che
nessuno è qualificabile così, e "se non Dio"
significa "tranne solamente Dio". [...] Quando la
lingua rammemora l'Essere vero (alHaqqu)
attestandogli l'unità (wahdat) divina, il cuore la
conferma attestandone l"'unitudine" (yagànagì)".
L'unicità è considerata dai sufi la "quiddità" di Dio.
Il towhìd (unità e unicità) è la formula pronunciata
dall'apprendista durante la sua iniziazione.
Simbolizza la sequenza di questi valori:
Dio è uno/unico, Egli non ha eguali. Egli è
Uno/Unico nella Sua essenza, tutto il resto è Sua
creazione. Egli è Uno/Unico nei Suoi attributi, e
nulla Lo può eguagliare. Egli è Uno/Unico nelle Sue
azioni, e nulla è senza di Lui. Egli è Uno/Unico nei
Suoi Nomi, e la Sua unicità è indivisibile.
'ABD-ALWÀHID. Nome attribuito per solito non a
un neonato, ma a un maestro di grande qualità,
che abbia penetrato il valore di tutti i Nomi di Dio
e li consideri riassunti in questo, che diventa la
chiave di volta di tutte le essenze divine. Non è
raro però il caso di falsi maestri che si
attribuiscono da sé questo nome, in un evidente
stato di devianza paranoica.
68
alSAMADU: l'Assoluto; l'Impenetrabile;
l'implorato; l'Aterno

(Corano: CXII,2)

In particolare è il Nome centrale della sura della


pura fede: "Di': Egli, Dio, è l'Unico, Dio è
alSamadu, non generante e non generato, e nulla
è eguale a Lui" (CXII, 1-4).
Il termine non è facile da tradurre in un'altra
lingua; in linea di massima si può rendere con
"l'Impenetrabile", ma anche con "Colui che
possiede la dignità più eccelsa". Come attributo di
relazione vale come "Maestro", o come "Colui che
regna"; come attributo escludente ha senso
prossimo ad alHalìmu: "Colui che non viene
turbato né emozionato dagli atti dei Suoi
avversari"; come attributo di relazione è "Colui che
si prega e che si supplica"; e come negazione
formale è "Colui che non possiede mancanze di
sorta", derivando tale concetto dall'impossibilità di
separarLo in parti o di unirLo a checchessia.
In definitiva si potrebbe ipotizzare un vocabolo che
dia il concetto di un Tutto assoluto", senza
mancanza alcuna, da Cui quindi tutto ciò che è
creato dipende e che è l'Esistente per eccellenza,
nulla esistendo se non creato da Lui.
È anche il Possessore di tutto, il solo che possa
tutto concedere e che conceda senza rifiutare, dal
momento che il bisogno stesso di colui che
necessita è contemporaneo all'elargizione di Colui
che dà ed entrambi sono contemporanei alla
conservazione, al giudizio, al castigo, al premio.
Unità assoluta non contemporanea ma senza
tempo, la Cui essenza è facile da intuire ma alla
Cui comprensione pochi in effetti arrivano.
'ABD-ALSAMAD. Nome che incentiva chi lo porta a
considerare tutte le "grazie" che Dio elargisce al
genere umano, agli universi: l'armonia e la
concomitanza costanti di cui si fa quella realtà
grandiosa che è l'Infinito tutt'intero.

69
alQÀDIRU: il Potente

(Nel Corano ricorre 140 volte. Ad esempio: II,20;


II,106; II,109, II,148, II,165 II,209; II,220; II,228;
II,240; II,259; II,260; IÍ,284)

Da pronunciarsi assieme al Nome susseguente,


che ne è allotropo intensivo.
È evidente il significato del Nome, che nell'Islam
sottolinea soprattutto la qualità creatrice di Dio:
creazione senza fatica, senza necessità di riposo.
Egli è, come dice il Corano, "non colto mai da
sonnolenza o da sonno" (II,255). La potenza di Dio
è di là da ogni immaginazione umana, infinita oltre
ogni limite, ma anche manifesta nelle qualità
d'ogni cosa creata, come l'ossicino dell'orecchio
che con il timpano ci permette di udire, o il
complesso della fonazione che ci permette di
parlare.
AlQadr è anche la predestinazione, nella misura
della potenza inerente a una data cosa. Così si
legge in Ibn al'Arabì: "Che l'esaudimento di una
domanda sia immediato o differito, dipende dalla
sua misura predestinata da Dio; se la domanda è
fatta nel momento predestinato alla risposta,
questa è immediata; e se l'esaudimento è previsto
per un tempo ulteriore, sia in questo sia nell'altro
mondo, la risposta sarà differita: intendo
l'esaudimento effettivo della domanda, e non - sia
chiaro - la risposta divina: "Sono presente!""'.
'ABD-ALQÀDIR. Testimonia con il suo nome la
potenza di Dio, detta in modo popolare "la mano
di Dio". Uno dei personaggi più importanti con
questo nome fu l'emiro Abd alQàder (1807-1883),
sventurato re d'Algeria, autore di un Kitàb
alMawàqif, raccolta di scritti spirituali altamente
mistici.

70
alMUQTADIRU: l'Onnipotente; il Capace
(Corano: sempre legato al Nome precedente)

Da pronunciarsi assieme al Nome precedente, del


quale è allotropo intensivo. Non era compreso in
origine nell'elenco dei "più bei Nomi"; vi venne
aggiunto poi - come disse Makhlùf Muhammad
('Asmà'u-l-Lahihusnà) - per consenso unanime dei
teologi appunto perché citato nel Corano assieme
al Nome precedente.
Di significato evidente, l'onnipotenza di Dio
essendo celebrata in tutte le religioni. L'Islàm
tuttavia puntualizza il totale abbandono
dell'essere umano alla potenza di Dio con il
proprio nome stesso: infatti Islàm significa
"abbandono" [incondizionato a Dio]. Certo: la sua
onnipotenza è totale, assoluta, giusto il versetto:
"È di Dio tutto ciò che è nei cieli e tutto ciò che è
sulla terra. Sia che manifestiate ciò che è in voi,
sia che lo nascondiate, Dio ve ne chiederà conto.
Poi perdonerà a chi Egli vorrà perdonare, e
castigherà chi Egli vorrà. Dio è Onnipotente"
(II,284).
Questo Nome è affiancato da alQahhàru (il
Soggiogatore, n. 16) e da alDàrru (il Temibile, n.
91). Nel Corano, al versetto sopracitato segue il
versetto II,286: "Dio obbliga solo secondo la
capacità di ciascuno: a costui ciò che ha compiuto,
e contro costui quello che ha compiuto. Signore,
non essere contro di noi se ci capita di
dimenticarti, o di commettere errore. Signore, non
caricarci d'un peso greve come hai caricato quelli
che ci hanno preceduto. Signore, non imporci ciò
che le nostre forze non possono sopportare.
Assolvici, perdonaci, abbi misericordia di noi. Tu
sei il nostro protettore, dacci soccorso contro la
miriade dei malvagi".
Vi furono, nella storia, sovrani prepotenti,
musulmani solo di nome, prevaricatori violenti,
che assunsero il nome "alMuqtadir", l'Onnipotente,
in effetti spettante solo a Dio. In particolare il
califfo di Baghdad che si rese tristemente famoso
per aver ordinato la tortura (taglio delle mani, dei
piedi, crocifissione) e la susseguente
decapitazione d'uno dei più grandi poeti mistici
dell'umanità tutta: alHallaj (858-922).
'ABD-ALMUQTADIR. Nome di colui che è
incentivato a sottomettersi all'onnipotenza di Dio,
con la propria umiltà e la propria disposizione alle
azioni utili alla concordia fra le genti.

71
alMUQADDIMU: Colui che avvicina
(l'Avanzatore; il Presentatore; Colui che accelera;
Colui che assegna l'eccellenza)

(Corano: incluso fra i novantanove Nomi per la


presenza della sua radice)

Da pronunciare assieme al Nome seguente.


"Egli è Colui che avvicina a Sé o allontana da Sé
chi Egli vuole, poiché Egli è anche colui che dona
la fede a chi Egli vuole, e non la dona a chi Egli
non vuole" (Hamdùn alNìsàbùrì, ?-885).
Nome suscettibile di varie interpretazioni
nell'ambito fenomenico. Ad esempio alMuqaddimu
è inteso come "Colui che fa proseguire" l'umanità
verso la verità globale, una parte della quale Egli
rivela gradatamente, e una parte ispira a uomini di
scienza dopo momenti di buio e di opacità
generali. Alcuni esseri umani realizzano una fede
pura e brillano come luce per quanti vogliono
vedere, ma al contempo sono ostacolati dalle
tenebre del conservatorismo. Interpretato come
"Colui che assegna l'eccellenza", spiega perché
alcuni servi di Dio godono di una notorietà
considerevole per la loro fede e altri vivono
costantemente nell'ombra nonostante siano qutab
alNùr: poli di luce; perché alcuni potenti della terra
vengano osannati e altri presto dimenticati.
In relazione al fatto che alcuni di noi sono
ricchissimi e altri poveri, alcuni artisti famosi e
altri, pur valendo ancor più, sono ignorati, questa
interpretazione viene posta in correlazione con
l'assunto che "ricchezza, gloria, potere" sono solo
prove da superare, alla stessa stregua della
povertà, dell'impotenza e della disconferma. Io
preferisco l'interpretazione che vede Dio come il
"Signore della via" lungo la quale ci si avvicina alla
luce, alla verità e si diventa "degli avvicinati"
(muqarrabùn).
"Le brezze della prossimità divina (qurb) hanno
soffiato nel suo cuore, profumate come se
venissero dalla terra di Dàrìn. Egli spera allora che
"Colui che avvicina" lo avvicini a Sé, nonostante
l'imperfezione umana allontanatrice" (Dhù alNùn
alMisrì, 771-861).
Interrogato sulla "prossimità", Sari Saqatì, primo
maestro sufi a Baghdad, ove morì nell'867, disse:
"L'unica nostra possibile prossimità a Lui è
l'obbedienza (tà'a)! ". Abù alHussaìn Ahmad Nùrì,
morto del pari a Baghdad nel 907, scrisse:
"Credevo che "l'approssimazione" fosse la
concentrazione del mio essere nell'estinzione di
me stesso. Che errore! Avvicinarsi a Te, può
venire solo da Te".
'ABD-ALMUQADDIM. Si dà questo nome nella
speranza che chi lo porta sia sempre protetto da
Dio, possa avvertirne continuamente la presenza e
in pari tempo faccia capire agli altri l'inutilità di
porsi alla testa delle genti, di avvicinarsi alle glorie
del mondo, quando l'unica vicinanza che si possa
desiderare è la vicinanza a Dio.

72
alMU'AKHKHIRU: Colui che allontana; Colui che
fa ritardare; Colui che degrada.
(Colui che fa indietreggiare)

(Corano: XI,104)
Da pronunciarsi assieme al Nome precedente.
Nel Corano il Nome è citato in relazione al giorno
ultimo ("Noi lo ritardiamo per un termine
stabilito"). In generale è inteso in relazione a
quanti vengono ritardati nel compimento delle loro
imprese, sia per un disegno divino generale e
imperscrutabile, sia perché tali imprese possono
avere conseguenze negative al "grande disegno
inconoscibile", oppure hanno intenzione o
applicazione impure. In tali casi si invoca la
"vicinanza" a Dio ('ibadàh: fare cose che piacciono
a Dio; plurale 'ibadàt: i rituali di adorazione di Dio
da parte dell'adoratore, 'abd, in particolare presso
i sufi Zàhiri) e si accetta ciò che Dio fa
('ubudiyyah). Ciò comporta un aspetto particolare
della speculazione mistica: la presenza e l'assenza
(shuhùd e ghabat) del mistico, testimone
cosciente nel primo caso, e testimone non
cosciente, non "attualizzato", nel secondo caso.
Nella sua qualità di testimone presente il mistico si
rammemora costantemente dell'identità di Dio, in
quanto specchio riflettente Dio, e percepisce la
vicinanza di Dio secondo il detto tradizionale:
"Adora Dio come se Lo vedessi, perché se tu non
Lo vedi, Egli ti vede".
"Colui che allontana" e "Colui che avvicina" sono
due Nomi carichi di significati esoterici per i sufi,
che in generale sono anche chiamati "gli
approssimati", "quelli della prima fila, del primo
banco" (ahl alSuffa; da cui alcuni autori ritengono
che derivi il termine stesso di "sufi"; mentre per
altri deriverebbe da safà', purezza, o da sùf, lana):
coloro che Dio ha avvicinato a Se più di qualsiasi
altro fedele. Ciò ha dato luogo alla dottrina della
concentrazione (fame e della separazione (ta-
friqa).
Un maestro sufi, rimasto ignoto (circa il IX secolo),
scrisse: "Li ha avvicinati a Lui conducendoli a
riconoscere la loro impotenza, e li ha allontanati
da Lui quando l'hanno cercato partendo da se
stessi. Così, andare alla Sua ricerca attraverso le
cause secondarie porta alla dispersione e si
ottiene la concentrazione quando Lo si contempla
in tutti i Suoi valori". E ancora: "La concentrazione
li ha privati dell'esistenza, come è per essi
nell'eternità; e la separazione ha dato loro
l'esistenza, per un tempo limitato e senza
efficienza. La loro anima è svenuta e il suo
svenimento è che essi sono privati d'esistenza in
presenza dell'Essere sul Quale si sono concentrati,
fuori dall'umanità. La loro concentrazione fuori
dagli attributi della forma è per essi
l'annientamento delle modificazioni dovute
all'altruità che aveva questa forma. Per essi il
tempo è uno stato che sparisce nella loro eternità,
là dove erano stati nascosti, senza forma, da Colui
che è l'oggetto della loro concentrazione. Sino a
che arriva loro, nella separazione, ciò che era
stato destinato loro da parte Sua quando Gli erano
presenti. L'avvicinamento è la loro incoscienza
stessa, e l'allontanamento è la loro presenza a se
stessi. È, a seconda dei punti di vista, esistere o
essere privi d'esistenza" '.
Concludiamo con un dittico di Dhù alNùn alMisrì
(771-861): "Tu hai spaventato il mio cuore con la
separazione e io non ho provato nulla di più amaro
e di più doloroso. Più la separazione pone
lontananza fra di noi, più ne sono spaventato. E
poi mi fai gustare il sapore dell'unione e fai
crescere sino al più profondo del mio essere il mio
desiderio di Te. Ammirevole è l'amante la cui
unione prende un'ampiezza sempre più raggiante
e il cui amore s'innalza più alto ancora
dell'unione".
'ABD-ALMU'AKHKHIR. Colui che porta questo nome
è incentivato a rammentare la vanità della
presunzione e a esprimere gratitudine per quanto
Dio gli dà. Il compito d'ogni credente è d'essere se
stesso e d'essere fedele a Dio, dando il giusto
valore alle vanità inappaganti e transitorie.

73
al'AWWALU: il Primo

(per alAhadu: l'Uno, posto qui da qualche autore;


si veda in alWàhidu: l'Unico, n. 67)

(Corano: LVII,3)

Va pronunciato assieme al Nome seguente.


Da wahed: uno; femminile ùlà, plurale awà'il. "È
Lui il Primo e l'Ultimo, l'Apparente e il Nascosto,
mentre Egli conosce bene ogni cosa" (LVII,3).
Nella sura CXII, detta La pura fede (alIkhlàs), c'è
tutto il concetto islamico di Dio. Essa comincia
affermando: "Di': Egli, Dio, è Uno" (Qui: Hù, Allàhu,
Ahadu); prosegue: "Allàhu alSamàdu (n. 68), non
generante e non generato, e nulla è eguale a Lui".
Scrisse Muhyi alDìn Ibn al'Arabì in Fusus alHikam:
"L'Unicità di Dio che si rivela in rapporto ai Nomi
divini postulanti la nostra esistenza è l'unicità del
multiplo (ahadiyat alKuthrah), e l'Unicità di Dio con
la quale Egli è indipendente da tutti noi e dai Nomi
è l'unicità essenziale; l'una e l'altra sono comprese
nel Nome alAwwalu".
Come termine filosofico, alAwwalu designa Dio nel
senso di "Essere primo"; accanto all'espressione
"l'Essere necessario" è il Nome di Dio più usato, da
solo o - iterativamente - assieme a "Principio
primo" (alMabda'u alAwwalu). Tale concetto venne
introdotto nel pensiero islamico dai traduttori di
Aristotele e di Plotino, rendendo i termini greci
pròtos e arkaì.
È l'Essere Primo, il Primo creato, che troviamo
nelle Enneadi di Plotino: " Tè én pànta kaì ondè én.
Arkhè gàr pàntoon ou panta, àll'ékeìnoos panta..."
("L'Uno è tutte le cose e non è nessuna di esse,
poiché il principio di tutto non è "il Tutto". È Lui il
tutto, in quanto tutto ritorna a Lui; se nell'Uno non
si trova si ritroverà. Ma come può il tutto derivare
dal semplice Uno, dato che in questo non si può
manifestare nessuna varietà né molteplicità? Così:
proprio perché tutto è in Lui, tutto può derivare da
Lui", Enneadi V,2;1). Così troviamo nelle Ikhwàn
alSaià', poi nel Budd al'àrif e nelle Domande
siciliane (alAgùiba 'un alAs'ila alSiqilliyya) di Abù
Muhammad Kutb alDìn, detto Ibn Sab'ìn (1217-
1269 c.), il termine alQasd alAwwal per esprimere
la casualità prima derivata da Dio.
Questo concetto venne ampliato dai Mu'tazaliti, da
alKindì, da alFàrabì e tramite il grande filosofo e
medico turco Ibn Sinà (Avicenna) passò anche al
pensiero occidentale. Per alGhazzàlì è il "Primo
che non è mai stato generato", il Primo innanzi
tutto, il Primo in assoluto (in alQistàs alMustaqìm,
52). Naturalmente tutti i filosofi che si sono
occupati "intensamente" di questa qualità
esclusiva di Dio hanno anche messo in guardia
dall'accettarla sprovvista di un senso emblematico
assoluto, dal momento che Egli va inteso come
"Primo" cui non segue nel modo più assoluto
"nessun secondo". Per Muhyi alDìn Ibn al'Arabì (in
Fusus alHikam), "il Nome "il Primo" compete a Dio
perché da Lui dipende sia la manifestazione del
servo sia quella de gli atti del servo. Quando tu
vedi una creatura, contempli il Primo e l'Ultimo,
l'Esteriore e l'Inferiore". Per questo fatto,
esistendo solo Dio (Unico, alWàhid; e Uno,
alAhad), l'universo fenomenico - tra cui la terra - è
"l'ombra di Dio". Così come l'ombra di un corpo è
proiettata solo se quel corpo esiste, non essendo
nulla di per se stessa disgiunta da quel corpo, non
essendo quel corpo e non potendo sussistere
senza l'esistenza di quel corpo.
'ABD-ALAWWAL. Colui cui è stato dato questo
nome è incentivato ad adorare Dio come s'egli
fosse il primo dei Suoi adoratori, il fedele che si
trova in prima fila, davanti agli altri; e - tenendo
presente il Nome alMu'akhkhiru (n. 72) - sarà
consapevole che in qualsiasi posizione si trovi ci
sarà sempre chi è prima di lui e chi è dopo di lui.

74
alÀKHÌRU: l'Ultimo

(Corano: LVII,3)

Da pronunciarsi assieme al Nome precedente.


"Egli è l'Alfa e l'omega", dice il cristianesimo, e "il
Primo e l'Ultimo" ha questo stesso significato. In
effetti indica il concetto che Dio non ha inizio né
fine: Egli è l'Eterna. È "la causa prima, efficiente,
finale di tutte le cose", secondo alGhazzàlì, per il
quale il Nome va inteso come attributo
escludente. Egli è quindi l'emblematico cerchio
perfetto senza inizio e senza fine, di fuori dal
tempo e dallo spazio, mentre tutte le cose create
hanno tempo, spazio, inizio e fine, e tutto ritorna a
Lui. Per Muhyi alDìn Ibn al'Arabì (in Fusus alHiLam)
"Non può venir chiamato il Primo nel senso
temporale, perché secondo questo stesso valore
sarebbe allora anche l'Ultimo; le Sue possibilità di
manifestazione non hanno fine: sono inesauribili.
Se Dio è chiamato l'Ultimo, è perché tutto torna a
Lui dopo essere stato rapportato a noi: la Sua
qualità di Ultimo è così essenzialmente la Sua
qualità di Primo, e inversamente".
Il termine al femminile (àkhira) indica nel Corano
la vita futura, intendendosi con alDàr alàkhira la
dimora ultima, l'aldilà; e con alDàr alDunìà la vita
vicina, questo mondo. L'antitesi è espressa anche
con i termini dàr alBaqà: la dimora
dell'immortalità; e dàr alFanà': la dimora
transitoria.
'ABD-ALAKHÌR. Chi porta questo nome è
incentivato a capire che tutto finisce, tranne Dio;
per cui fuggirà il materialismo e coltiverà le qualità
dello spirito in attesa di ritornare all'Unico Eterno.

75
alDHAHIRU: l'Evidente; l'Apparente
(Possibile senza ombra di dubbio; l'Esterno; Colui
che Si manifesta)
(Corano: LVII,3)

Da pronunciarsi assieme al Nome seguente.


Come attributo di relazione significa "Conosciuto
per prova decisiva"; e come attributo attivo: "Che
domina in modo manifesto tutte le cose".
Il termine viene impiegato come aggettivo e come
sostantivo (plurale dhawàhir), e quasi sempre in
unione con il Nome susseguente (alBàtinu: il
Nascosto). Il contrasto dhàhir-bàtin (evidente-
nascosto) ha particolare importanza nelle
speculazioni mistico-filosofiche relative alla realtà
psicologica: parallelismo fra i sensi interni ed
esterni; parallelismo fra conoscenza sensibile e
conoscenza intellettuale, quindi facoltà intima di
chiaroveggenza o appercezione e facoltà esterna
di visione reale; tra l'immagine nascosta
dell'essere umano (vita psicologica) e l'immagine
esterna che dà di se, cioè gli atti. Indica anche la
vita apparente nell'aldiquà e la vita a noi nascosta
nell'aldilà. Il termine dhàhir si trova in coppia
anche con altri allotropi, i cui significati sono stati
esposti da alGhazzàlì nel Ihya.
D'altronde Dio è chiaramente evidente per coloro
che hanno la fede nel cuore e del tutto nascosto
per coloro che preferiscono ritenersi atei. È
"Manifesto" a colui che lo prega, pur rimanendo
"Nascosto" altrimenti l'essere umano Ne sarebbe
annientato. È fa luce che rende tutto visibile, ma
che non può essere vista a causa del suo
splendore. Tuttavia Egli si palesa chiaramente
nelle opere della Sua creazione.
Per i sufi il numero delle "evidenze" di Dio è
infinito, ma si possono tutte raggruppare sotto
cinque "presenze" (hadaràt) o manifestazioni di
base, dette: Presenza della non manifestazione
assoluta; Presenza della manifestazione
terminata; Presenza della non manifestazione
relativa; Presenza della manifestazione assoluta;
Presenza totale. Per gli 'orafà' (coloro che
professano la gnosi sciita, 'irfàn-e shì'ì), dhàhir e
bàtin corrispondono all'aspetto essoterico ed
esoterico di Dio, per cui si riferiscono anzitutto al
senso apparente e al senso nascosto delle
rivelazioni divine. Molla Sadrà Shìràzì ha
consacrato a questo tema importanti pagine nei
suoi Commenti a Kolayanì. Da qui un concetto
della missione profetica di Maometto (haqìqat
muhammad'ya) in una doppia dimensione:
evidente e nascosta, e ciascuno di questi aspetti
ha le sue manifestazioni rispettivamente nella
figura del profeta Maometto e nelle figure degli
imàm. Ciò ha permesso alla teosofia sciita di unire
compiutamente la gnoseologia e la profezia:
avendo come corollario la polarità dhàhir-bàtin,
essa pose la meditazione filosofica in una
posizione privilegiata, di grandissimo valore per la
speculazione mistica.
'ABD-ALDHÀHIR. Nome che incentiva in chi lo
porta la comprensione della grandezza e della
realtà di Dio. Egli pertanto è condotto a vedere la
manifestazione dell'Altissimo in tutte le opere del
creato, opere che cantano la gloria del Signore,
pur che si voglia ascoltare.

76
alBATINU: il Nascosto
(il Celato)
(Corano: LVII,3)

Da pronunciare assieme al Nome precedente.


Come attributo escludente indica che Dio è velato
ai nostri sensi; e come attributo della scienza
indica che Dio conosce perfettamente tutte le cose
celate. Dio ha manifestato il Suo attributo alBàtinu
nel profeta Adamo, simbolo dell'umanità, ed è
scritto nel Corano che Dio svelò ad Adamo il nome
di tutte le cose, rendendogli così possibile sia la
scienza sia la perfezione nella fede. D'altronde già
nell'apologista cristiano Quinto Settimio
Tertulliano (155-225 ca.) si legge: "Ciò che ci fa
capire Dio è proprio il non poterLo capire; perché
la potenza della Sua grandezza Lo rende palese e
nascosto agli uomini".
Come il Nome precedente, alBàtinu ha dato luogo
a una lunga serie di speculazioni mistico-
esoteriche di grande portata. Shihàb alDìn
Suhrawardì (1144-1234)
scrisse nel Libro dei templi della luce: "L'Eterno
sussistente è essenzialmente Colui che Si è
manifestato a Se stesso da Se stesso, manifestato
con un'intensità tale che è velato dall'intensità
stessa della Sua manifestazione". E Sayyed
Haydar Amolì, nel Testo dei testi, commenta: "Dio,
l'Altissimo, Si epifanizza in secondo luogo con il
Suo nome alDhàhiru, così come Si è epifanizzato
in primo luogo con il Suo Nome alBàtinu. Ciò che è
più straordinario, è che Egli non Si manifesta in
nessuna delle Sue forme epifaniche senza essere
velato da queste stesse, e non è velato da alcuna
senza precisamente manifestarSi in esse".
Come per il Nome precedente, unitamente al
quale comunque va sempre inteso, l'esegesi ha
riempito pagine e pagine. In Abù Bakr Kalàbàdhì
(?-995) leggiamo: "La rivelazione è sollevare i veli
della condizione umana (bashariyya) senza che vi
sia variazione alcuna nell'essenza dell'Essere
divino - Egli è troppo Maestoso, troppo Glorioso,
troppo Elevato -; e l'occultare risiede nel fatto che
la condizione umana ostacola la presa di
consapevolezza del mondo nascosto (ghayb).
Togliere i veli della condizione umana significa che
Dio ti permette di mantenerti sotto l'afflusso delle
realtà del mondo nascosto che si manifestano a
te, perché la condizione umana non può resistere
ai modi del mondo nascosto. Occultamento altro
da quello che segue la rivelazione, perché in
questo caso le cose sono occultate a te, di modo
che tu non le puoi vedere" (Kitàb alTa'arruf..., 58).
In effetti non esiste un "Nascosto", ma sono i limiti
delle nostre capacità umane a non permetterci di
renderLo manifesto a noi. Rimane il fatto che pur
non potendo contenere tutto l'oceano in un
secchiello, se di quell'acqua riempiamo il
secchiello, è dall'oceano che essa viene. Così
possiamo giungere a capire il tutto dalla parte e,
pur senza poter abbracciare il tutto, averne una
idea parziale; ad esempio considerando nel loro
valore essenziale i novantanove Nomi di Dio nel
Corano. Un'altra interpretazione ci fa intendere
che Dio si cela nella materia ch'Egli ha creato:
osservando il mondo fenomenico possiamo
giungere a scoprirLo, poiché il mondo fenomenico
non è Lui ma senza di Lui non può sussistere.
D'altronde il mondo fenomenico è per se stesso il
proprio velo, e quindi vedendo se stesso non può
vedere Dio, non partecipando "dell'autonomia" di
Dio.
Naturalmente, procedendo dai Nomi alDhàhiru e
alBàtinu, i sufi distinguono una scienza apparente
e una nascosta: al'Ilm alBàtin (scienza interiore,
esoterica, sufica) e al'Ilm alZàhir (scienza
essoterica, dei teologi). Anche l'essere umano ha
un pensiero interno e azioni esterne. Da qui se ne
ricava una corrispondenza tra l'Esteriore e
l'Ultimo, e tra l'Interiore e il Primo (alDhàhiru-
alàkhiru; alBàtinu-alAwwalu).
'ABD-ALBÀTIN. Nome dato a colui che si vuole
incentivare alla contemplazione dei segreti divini,
perché diventi strumento di purificazione fra gli
esseri umani.

77
alWÀLÌ: il Reggitore
(il Santo; il Patrono; l'Amico; l'Amministratore.
Secondo alYjì: Colui che regna)

(Corano: II,257; III,68; XIII,11; XLV,19)

Nella pratica comune il termine indica un


funzionario di stato, soprattutto nei governi turchi
ottomani (vali: prefetto; e vitayet provincia,
prefettura), da cui wilàya (o walàya): governo,
potere temporale. Plurale awliya.
La radice w-l-ì indica un senso di prossimità, di
contiguità, ciò che ha dato per il sufismo tutta una
serie di considerazioni sulla "prossimità" (qurb) del
mistico a Dio: "L'amico desidera incontrare
l'Amico". Da qui la teoria dell'incontro (liqà),
attuabile con il dhikr (pratica sufica basata sulla
"rammemorazione" di Dio e dei Suoi Nomi,
durante la quale il mistico giunge ad avvertire
intensamente la presenza dell'Amico). Il termine
diventa quindi sinonimo di "credente modello"
(antìnomo: 'adùw: nemico), pertanto, per gli sciiti,
di "guida, o capo, spirituale". Per alGhazzàlì il wàlì
è l'essere privilegiato, dotato di conoscenze
particolari, modello di comportamento pratico:
qualcosa di più del saggio o del sapiente, in
quanto la sua conoscenza non gli è giunta con lo
studio ma per ispirazione divina. Per Ibn al'Arabì
(La saggezza dei profeti), la qualità divina che
deriva dall'aspetto di Dio espresso in questo Nome
viene assimilata da colui che ha realizzato lo stato
di santità. Allora, scrive Fakr alDìn alRàzì (?-1210),
"quando il wàlì vede, vede i segni di Dio; quando
ascolta, ascolta i versetti di Dio; quando parla,
loda Dio; quando si muove, si muove al servizio di
Dio. [...] Un tale uomo è wàlì, un amico di Dio, e
per lui Dio è un Amico. Dio è l'Amico di coloro che
credono; li fa uscire dalle tenebre verso la luce"
(alTafsìr alKabìr, 17,126).
Per gli sciiti la walàyat è il carisma spirituale dei
dodici a'imma (plurale di imàm), o guide dello
sciismo duodecimano, parte imprescindibile del
pensiero sciita assieme alla profetologia, alla
gnoseologia profetica e all'imàmologia stessa; per
cui abbiamo numerosi testi che trattano
dell'immagine di Dio proiettata in questa
particolare guida-reggenza (walàyat, appunto). Si
giunse così al concetto espresso (forse per la
prima volta) da Nùr alDìn Isfaràyinì (1242-1317),
che "non vi è regno se non governato dalla
religione, e non vi è sovrano o sultano migliore di
un wàlì: una guida spirituale. La walàyat diventa
allora una sorta di "rango dello stato mistico" e ciò
che i profeti occultano (sàtirànand), gli awliyà'
svelano (kàshifànand); i profeti indicano la via, gli
awliyà' la compiono e la fanno compiere; là dove i
profeti iniziano, gli awliyà' concludono".
'ABD-ALWÀLÌ. Colui che porta questo nome è
incentivato a ben governare se stesso e quanto o
quanti sono affidati alle sue cure, secondo i
precetti di Dio, quindi con bontà e giustizia.

78
alMUTA'ÀLÌ: l'Altissimo

(Corano: XIII,9)

Sinonimo di al'Alìyyu (n. 37), con una sfumatura


aggiuntiva di glorificazione, di trionfo. Inteso dai
sufi come "Colui che è di sopra dall'effimero".
Indicativo di una realtà inesauribile, inesauribile in
tutte le forme di donazione, di elargizione, di
glorificazione: è la sorgente da Cui tutto proviene
e che mai si esaurisce. Inteso anche come "Colui
che è di sopra da ogni avversario che lotti contro
di Lui" ("Se si unissero tutte le forze, se
convergessero tutte le menti e tutte le armate
dell'universo intero, esse nulla potrebbero
prenderGli con la forza, neppure un granello di
senape senza il Suo permesso e la Sua volontà",
ha scritto lo shaikh Tosun Bayrak alJerrahy, 1985).
Dice il Corano: "Tutto sulla terra è nulla, mentre
eterno è il tuo Signore, Maestoso, Munifico"
(LV,26-27). Più volte il Corano richiama alla
transitorietà delle glorie terrene, alle grandi civiltà
sorte e cadute, le cui rovine sono ancora là per
rammentare agli esseri umani la precarietà delle
grandezze umane. Tutto sulla terra è transitorio ed
effimero, eppure abbiamo l'obbligo di fare del
nostro meglio e di trovare continuamente
soluzioni, nonostante i pochi dati imprecisi a
nostra disposizione e ben sapendo che ogni
soluzione di un problema genera altri problemi. In
definitiva viene data la possibilità di scegliere:
credere in Dio e nella Parola che indica un
comportamento equilibrato, consapevole e
corretto; o credere in se stessi, nel mondo, nelle
gioie, nei piaceri, nel valore transitorio delle
ricchezze e degli orpelli che spesso vengono eretti
a divinità e adorati.

"Da secoli la luna è in cielo; /


da secoli consuma /
nella ruota del mondo. /
Ma sulla terra le grandezze sorgono /
senza domani: eterna /
è solamente la mediocrità. /
Oh mondo, triste mondo di pericoli, /
nulla che valga è all'ombra della luna"

Il Corano è chiarissimo nell'indicare quale sia la


maggior gloria per l'essere umano: "Genti! Vi
abbiamo creati da un maschio e da una femmina,
e vi abbiamo distinti in nazioni e tribù. Sì, il più
nobile fra voi tutti, presso Dio, è quello che
maggiormente è pio. In verità Dio è Sapiente e
Beninformato" (XLIX,13).
E ancora nel Corano: "Di': Signore, fa' che possa
aumentare la mia conoscenza" (XX, 113), per cui,
nei valori terreni, è stabilito un grado di superiorità
alla conoscenza, al sapere.
Dicono due hadìth: "A colui che percorre una via di
ricerca della scienza Dio appianerà la via al
paradiso" (alNawàwì, 36); e: "Questo mondo è
transitorio, e transitorio è quel che vi si trova, ad
eccezione della rammemorazione di Dio alMuta'àlì,
di ciò che viene da Lui, del sapiente, di colui che
ha studiato" (Abù Huraya, 55,22).
'ABD-ALMUTA'ALI. Colui che ha questo nome è
incentivato a riconoscere la grandezza e la gloria
di Dio soprattutto attraverso lo studio e la
comprensione del Corano; e, approfondendo
almeno una disciplina, essere generoso di scienza
e di conoscenza verso coloro che non possono
studiare.

79
alBARRU: il Buono

(Corano: sottinteso in LXXX,16: nelle mani di scribi


buoni, caritatevoli)

Inteso come "Colui che opera nel cuore degli


esseri umani la pietas" (birr: essere benevolo;
mentre pietà è hanàn, sofaqat; e compassione,
misericordia è rahmat). La pietas umana, quella
sviluppata dai sufi, è detta invece taqwà. Il
significato di questo Nome è avvicinabile quindi a
alLatìfu (Benevolo, n. 31) e alRahmanu, alRahìmu
(Colui che è misericordioso, Colui che dà
misericordia, n. 2 e 3).
Nel Vangelo di Matteo leggiamo: "Ed ecco, un tale
gli si avvicinò e disse: "Maestro, che cosa debbo
fare di bene per acquistare la vita eterna?". Egli a
lui: "Perché mi interroghi sul buono? Uno solo è il
buono"" (19,16-17). L'episodio è ripreso in Marco
(10,18): "Gli disse Gesù: "Perché mi chiami buono?
Nessuno è buono, all'infuori di uno solo: Dio""; e
sono le stesse parole in Luca (18,19). Anche nei
Salmi (142,10) è detto: "Insegnami a fare la Tua
volontà, perché Tu sei il mio Dio;
il Tuo spirito buono sia la mia guida verso una
terra piana". Così Dante: "Orribil furon li peccati
miei; / ma la bontà divina ha si' gran braccia, / che
prende ciò che si rivolge a lei" (Purgatorio, III,121-
123).
La bontà di Dio è così connaturata con il concetto
di Dio a partire dal cristianesimo che è pleonastico
aggiungere altro, e d'altronde è ben strano
considerare come molti che si credono buoni fedeli
siano tanto sprovvisti di questa qualità. Anche un
semplice sorriso è un atto di bontà, e non costa
nulla. Disse il profeta Maometto: "Un atto di bontà
incombe all'uomo per ogni sua articolazione ogni
giorno su cui sorge il sole. Se metti equamente
pace fra due persone è un atto di bontà; se aiuti
uno sconosciuto a salire a cavallo o a collocarvi il
suo carico è un atto di bontà. Una buona parola è
un atto di bontà. Ogni passo che tu fai per andare
a pregare, o se togli un ostacolo dalla strada, sono
atti di bontà" (alNawàwì, 26). Anche non avere
invidia per i benefici che gli altri ricevono è un atto
di bontà.
'ABD-ALBARR. Le qualità del bene sono di natura
materiale e spirituale. In colui che porta questo
nome dovrebbero equilibrarsi tutte le ragioni del
bene, ed egli dovrebbe essere incentivato a
compiere atti di bontà materiali e spirituali.
80
alTAWWÀBU: il Perdonatore
(Colui che Si volge ancora verso chi si pente)

(Corano: II,128; II,160; IX,104; XLII,25)

La radice t-w-b indica il pentimento e il ritorno.


Termine collegabile quindi al Nome alGhaluru (il
Clemente, n. 35): Colui che incessantemente torna
al peccatore pentito. Tàba 'ala si dice di Dio che si
volge verso l'uomo colpevole; tàba 'ilà 'Allàh si
dice del pentito che torna a Dio: "Dio, per Sua
propria bontà, per Suo proprio grande favore, si
volge ai Suoi servi, se essi si volgono a Lui pentiti
dei loro errori" (alTabarì).
Per gli 'ulamà' il pentimento causato da una
trasgressione non riguardante il diritto umano è
valido se: 1) chi ha errato smette di compierla; 2)
ne prova rimorso; 3) ha la ferma intenzione di non
ricadervi più. Se la trasgressione riguarda anche il
diritto umano occorre inoltre la riparazione. Nel
Corano è più volte ripetuto: "Implorate il perdono
dal vostro Signore; pentitevi a Lui. Il Signore è
Misericordioso, Amorevole"
(XI,90). "Tornate pentiti (twbwà) a Dio, tutti voi
credenti; ed avrete forse la buona riuscita" (XXIV,
11). "Credenti, tornate pentiti a Dio, d'un
pentimento sincero. Forse il vostro Signore
cancellerà i vostri errori" (LXVI,8).
Anche il profeta Maometto disse: "Io chiedo
perdono a Dio, e torno pentito a Lui più di settanta
volte al giorno" (Riyàd alSàlihìn, 2.1). Gesù
adombrò la bontà divina nella parabola del "buon
pastore"; e il profeta Maometto disse: "Dio gioisce
del pentimento del Suo servo quand'esso torna
pentito a Lui, più intensamente di quanto non
gioisce colui al quale, trovandosi in un deserto, è
fuggita la cammella portandosi sulla groppa cibo e
bevanda; egli si dispera, va ad una pianta, si
sdraia sotto la sua ombra pensando di non riavere
più la sua cammella ed essa proprio allora torna
vicino a lui, ed egli la prende per la cavezza"
(Riyàd alSàlihìn, 2.8).
È comunque normale per l'essere umano il
pentimento in momenti di debolezza o di
sconforto, e la ricaduta in momenti di superficialità
e di leggerezza; come un'erba che si taglia quando
è rigogliosa, ma che - se non se ne estirpa la
radice - tornerà a tracimare. Il miglior pentimento
è lo sforzo che tende ad una pulizia interna; ed
essa è facilitata dalla capacità dell'essere di
perdonare a sua volta le offese che i suoi simili gli
hanno recato. Tuttavia è anche necessario da un
lato non dubitare mai della misericordia di Dio e
dall'altro, al tempo stesso, non approfittarne.
'ABD-ALTAWWAB. Nome che incentiva chi lo porta
ad abbandonare i desideri vani, le illusioni del
mondo, per tornare incessantemente alla Verità
una e unica. Incentiva a distinguere i valori delle
azioni compiute per giungere a perdonare le
leggerezze altrui, e a chiedere perdono per le
leggerezze proprie.

81
alMUNTAQIMU: il Vendicatore
(Corano: III,4; XXX,47; XLIII,41)

Dalla radice t-q-m. Il Nome è inteso, per la


maggior parte dei teologi, nel senso di "Colui che
castiga quanti Gli disobbediscono". Va considerato
che per la teologia islamica la retribuzione (farà) è
un favore (fadl), e la vendetta divina (intiqàm) è
una giustizia ('adl). Dice infatti il Corano: "È certo:
abbiamo inviato prima di te dei profeti ad ogni
popolo, cui portarono prove. Dopo di che Ci
vendicammo d'ogni popolo che commetteva
crimini, competendo a noi di soccorrere i credenti"
(XXX,47).
Si tratta quindi di coloro che, pur essendo stati
avvertiti "con prove", reiteratamente per scelta
malvagia e consapevole commettono crimini;
inoltre col loro comportamento sono un esempio
pericoloso per coloro che si comportano
lodevolmente, fermi nella loro fede. Poiché Dio è
anche bontà e misericordia, Perdonatore verso
colui che Sentitamente torna a Dio, il crimine di
questi malvagi è definitivo e della massima
violenza. Solo allora Dio si manifesta come quel
"Dio di vendetta" che l'Antico Testamento celebra
e invoca: "Per il giorno della vendetta e della
retribuzione, per il tempo in cui vacillerà il loro
piede: perché è vicino il giorno della loro rovina, si
affretta il destino, per loro" (Dt 32,35).
La storia ci ha insegnato che tiranni, prevaricatori,
popoli malvagi e corrotti che, pur avendo avuto il
tempo per ricredersi, pentirsi e rimediare, non
l'hanno fatto, sono alla fine giunti ad una caduta
ineluttabile. Come altrimenti punire quei tiranni e
quei popoli prevaricatori e malvagi che spargono il
sangue dei giusti, incuranti delle libertà altrui che
calpestano, dei genocidi che commettono, delle
lacrime di madri i cui figli essi hanno ucciso?
Contro questi "nemici del genere umano" alle
persone semplici vien naturale invocare, più
ancora che la giustizia di Dio, la Sua vendetta.
Tutti noi comunque dobbiamo rammentare che il
più grande nemico d'ogni essere umano è
l'egoismo, generatore di malvagità.
'ABD-ALMUNTAQIM. Colui che porta questo nome
dovrebbe porre in evidenza le malvagità umane,
predicando la bontà e il Verbo divino, portando
conforto e soccorso agli oppressi, e rammentando
a prevaricatori e a tiranni la parola di Dio.

82
al'AFUU: il Perdonatore, l'indulgente
(l'Assolutore)

(Corano: IV,110)

Nel Corano è scritto: "Chiunque agisce male o


manca a se stesso ma poi implora da Dio il
perdono, troverà Dio Perdonatore, Misericordioso"
(IV,110). Nome che tempera la risolutezza del
precedente, e quasi simile a alGhafùru (il
Clemente, n. 35), ma di significato più intenso: con
il primo, Dio è indulgente riguardo le mancanze
degli esseri umani, con il secondo, le cancella del
tutto; se ciò è una grazia di Dio. Egli l'accorda a
chi Egli vuole. A Dio appartiene una grazia
immensa" (Corano, LVII,21).
È opinione comune, comunemente accettata; ne
parlò ad esempio Sadr alDìn Qùnawì, che insisteva
sulla differenza tra la maghfira (che ha per
conseguenza la trasformazione degli atti cattivi in
atti buoni, come dice il Corano, XXV,70) e il 'afw,
che ha l'effetto di "cancellare" le cattive azioni
(Sharh alAhàdith alNabawiyya).
"È come l'invito da parte di un uomo ricco,
generoso e compassionevole che dice: "Le porte
sono aperte, le tavole imbandite; entrate ed
accomodatevi", accogliendo chi accetta l'invito ma
non rimproverando chi non lo accetta" (shaikh
Tosun Bayrak alJerrahy).
In relazione alla giustizia e all'armonia
organizzata, doti precipue di Dio, il perdono e la
cancellazione di peccati è parte di un disegno
generale; rientra negli equilibri di tutto un insieme
di forze che coinvolge l'universo intero e di cui a
noi sfuggono i perché, le relazioni, i valori; solo Dio
può cogliere questa realtà nel suo insieme
universale. "Riconoscere questa azione di grazia è
riconoscere Chi è il Dispensatore di benefici, è
professare la Sua sovranità" scrisse Abù Sa'id
alKharràz (?-899).
'ABD-AL'AFW. Nome che incentiva ad amare Dio
non tanto per la paura della Sua punizione, ma nel
timore di perderNe le grazie. Poiché dobbiamo
accettare il bene e il male che ci vengono da Dio,
il primo come elargizione generosa, il secondo
come giusta punizione o come prova, chi porta
questo nome perdonerà chi gli fa del male e sarà
generoso con chi gli fa del bene.
83
alRA'UFU: il Compassionevole
(il Pietoso)

(Corano: II,207; III,30)

Secondo alGhazzàlì il significato è prossimo a


quello di alRahmàn (il Compassionevole, n. 2); per
molti altri teologi a quello di alGhafùru (il
Clemente, n. 35).
AlNawawì riporta questo hadìth: "Dio, l'Altissimo,
ha cento parti di misericordia; ma una sola ne ha
distribuita fra gli spiriti, gli uomini, gli animali e i
rettili. Da questa si origina il reciproco affetto del
simile per il simile, da questa si origina la
reciproca compassione. Grazie ad essa la belva si
volge amorosa al suo cucciolo" (Riyàd alSàlihìn,
51.9). Tuttavia vi sono esseri umani, e purtroppo
non pochi, che non provano sentimenti positivi nei
riguardi dei propri figli. Ciò non è mai avvenuto,
non avviene, né mai avverrà da parte di Dio nei
confronti d'ogni Sua creatura, che si può affidare
in tutta fiducia alla Sua indulgenza più volte e più
volte, e più volte ancora. E questo nonostante Dio
non abbia bisogno alcuno della Sua creazione né
tantomeno d'una parte infinitesima di essa. Il
perfetto equilibrio tra giustizia, punizione e
indulgenza sta solo in Dio, Misericordioso,
Misericorde.
Agli animali non è data la consapevolezza; sono
quindi ben lontani dal reale "libero arbitrio",
poiché non compete loro scegliere tra bene e
male. Essi tuttavia sanno per istinto dove
avventurarsi, come muoversi, come non
oltrepassare i limiti, come curare la loro
discendenza. Vi è in ciò un segno dell'ordinamento
di Dio, ma anche della Sua clemenza verso tutte le
creature. Basta renderci conto del valore del
versetto coranico: "Ho creato tutto e ogni cosa per
voi".
È davvero una Misericordia di Dio la possibilità e la
capacità di riconoscere al giusto valore le nostre
potenzialità, per saperle sfruttare. Inoltre,
riconoscendo i nostri limiti saremo indulgenti
verso i limiti degli altri, pur consapevoli che mai
eguaglieremo Dio nella Sua indulgenza.
'ABD-ALRA'UF. Colui che porta questo nome è
incentivato a rammentare i benefici di Dio e in
particolare la Sua clemenza. A comportarsi quindi
di conseguenza, considerando che anche il castigo
e la punizione sono un beneficio, perché
cancellano la colpa. Potrà quindi essere d'aiuto ai
condannati che hanno espiato la loro condanna.

84
MALIKU alMULKI: il Re del regno; il Detentore
della regalità; il Possessore del Suo regno.
Allotropo: alMàliku (n. 4)

(Corano: III,26; XXXVI,83)

Secondo alGhazzàlì, "Egli dispone in assoluta


indipendenza di tutto il creato e di ciascuna
creatura". Il creato è un composto unitario, con
singole parti differenti fra loro, ma non
indipendenti; così come le mani, i piedi, il cuore, le
unghie e i capelli di un essere umano sono
differenti fra loro ma dipendenti da un tutto unico.
La totalità degli elementi che compongono un
individuo si trova anche nell'universo e tutti gli
elementi dell'universo si trovano in un individuo.
In noi sussiste anche il segno di Dio, nostro
creatore. Dio organizza, amministra, coordina
questo universo, la cui perfetta conoscenza, i cui
limiti e le cui realtà non possono venir capite da
un essere umano. D'altronde ciò indica anche - a
livello politico - che solo Dio è Signore e padrone
d'ogni essere umano (si veda anche alMaliku, n.
4).
Questo "regno" di Dio ha dato luogo a una lunga
serie di ricerche filosofiche. Dalla radice m-l-k
abbiamo mulk e malakùt. Mulk, il regno, indica il
mondo fenomenico (sinonimo shahàda); gli
allotropi malakùt e ghayb indicano il mondo
intelligibile, e con questi valori ricorrono nel
Corano. La natura essenziale di Dio (alHàhùt)
comprende: la natura divina (alLàhùt), la potenza
divina (alJabarùt), il regno spirituale e angelico
(alMalakùt) e il mondo fenomenico (alNàsùt). I
termini sono stati abbondantemente usati dai sufi
nelle loro speculazioni mistiche. Hanno distinto
gerarchicamente l'universo in mulk, malakùt,
jabarùt e làhùt: mondo fenomenico; mondo
invisibile, o delle anime, o mondo celeste; mondo
invisibile dell'invisibile, o della potenza di Dio;
mondo sovrasensibile, della condizione o natura
divina.
AlGhazzàlì scrisse: "Se ti si aprisse la porta della
relazione che intercorre tra mulk e malakùt, ti si
aprirebbe una porta immensa nella conoscenza
della relazione che esiste tra il mondo del "Regno
della visione sensibile" da un lato, e il mondo del
"Regno del Nascosto" dall'altro" (alQistàs
alMustaqìm, 69). Jabarùt è "la Sovranità", o "la
Potenza" di Dio, per cui partecipa dei due mondi. Il
làhùt, l'elemento divino, è particolarmente
avvertito da Sihàboddin Yahyà Suhravardì (1155-
1191) come chiave di volta dell'imamato iraniano
(si veda alRashìdu, n. 98). Inoltre leggiamo nel suo
Risàlat alAbràj: "Ecco l'irradiazione del sole del
làhùt alzarsi sulla terrazza dell'essere che non è
un essere in se stesso. Sino a quando vi
attarderete nei recessi tenebrosi dei vostri corpi
materiali? Sino a quando sarete al servizio di
templi corporei, come se serviste idoli? Felice colui
che è uscito dalla miseria del proprio corpo, che è
entrato nel tempio della fede e ha abbandonato le
tenebre dell'accecamento e della disperazione. A
voi di mantenervi sulla soglia e di partecipare alla
Sua vicinanza. Perché non si perde colui che Lo
cerca; non si dispera colui che Ne fa il suo scopo".
I quattro termini acquistano comunque valori
alternativi o intercambiabili presso i vari mistici; e
a loro volta possono acquistare, sempre presso i
mistici iraniani (ad esempio Nur alDìn Isfaràyinì,
1242-1317) sei tipi di significati differenti: mondo
essoterico umano; mondo esoterico umano;
mondo essoterico sovrannaturale; mondo
esoterico sovrannaturale; mondo esoterico fra la
"distanza dei due archi"; mondo esoterico del "più
vicino" (mulk-i 'àlam-i insani; malakùt-i 'àlam-i
insani; mulk-i 'àlam-i ghaybì; malakùnt-'àlam-i
ghabì; maloqùt-i qàb qawsayn; malakùt-i aw
adnà). A questi mondi corrispondono vari gradi di
perfezione - e quindi di appartenenza - della via
mistica: quelli che sono al riparo; quelli che si
espongono al biasimo; quelli che ricevono il
carisma; quelli che raggiungono lo svelamento;
quelli che sono i più vicini; quelli che raggiungono
la meta (rispettivamente: salàmatìyàn,
màlàmatìyàn; karàmatìyàn; mukàshaiàn;
muqarrabàn e wàsilàn). Il "potere sovrafformale"
si chiama invece qawwatun malakùtiyah.
'ABDMALIK-ALMULK. Colui che porta questo nome
dovrebbe rendersi testimone della Sovranità di
Dio, esserNe il rappresentante, e quindi saper
governare se stesso, poiché questa è la cosa più
difficile che un essere umano possa compiere.
D'altronde egli sa anche che solo Dio è il Signore e
Padrone d'ogni essere umano.

85
DHU alJALÀLI WA alIKRÀM: il Possessore della
Maestà
e della Generosità
(l'Augusto degno di venerazione)

(Corano: la glorificazione di Dio è espressa


dall'intero libro)

Nel Corano, ad esempio, si legge: "Tutto ciò che è


nei cieli e sulla terra canta la gloria di Dio, il
Sovrano, il Santo, il Potente, il Saggio" (LXII, 1).
Dhu significa "Colui che detiene, che ha" (Dhu
alQarnaìn: "Colui che ha le corna", come Mosè, ad
esempio; o Alessandro Magno, nel Corano, perché
in Egitto era detto "figlio di Giove Ammone",
divinità raffigurata come ariete). Ossia colui che è
dotato di un talento, di una qualità, di una
capacità.
AlYjì e alAmidì considerano il valore di questo
Nome composito pari a quello di alJalìlu (il
Maestoso, n. 42).
È ovvio che non v'è perfezione che non Gli
appartenga, e che Egli è di sopra da ogni lode e da
ogni glorificazione. Glorificare Dio è una necessità
umana, è l'impeto che mosse i maestri sufi a
scrivere le più alte pagine mistiche. Forse per
questo motivo molti sufi proclamano che questo è
il più bel Nome di Dio in assoluto. Ma in definitiva
tutto il creato nel suo insieme proclama la Gloria
di Dio.
Così i poeti dichiarano che parlare di Dio con cuore
ispirato è lodarne la Maestà. A proposito di questo
Nome, Muhyi alDìn Ibn al'Arabì (1165-1240)
scrisse: "Egli mi loda, e io Lo lodo; Egli mi serve, e
io Lo servo. / Con la mia esistenza Lo affermo; / e
quando sono io che scelgo Lo nego; / Egli mi
conosce, anche quando Lo nego, / poi Lo riconosco
e Lo contemplo. / Dove è dunque la Sua
indipendenza, quando sono io che Lo glorifico e Lo
aiuto? / Del pari, quando Si manifesta a me, / Gli
concedo una scienza e Lo manifesto, / ed è ciò che
vi insegna il messaggio divino; / ed è in me che il
Suo volere si compie" (Fusùs alHikam). E Hosein
Mansùr alHallàj: "Il Tuo posto nel mio cuore è tutto
il mio cuore: solo Tu vi hai posto. / Il mio spirito Ti
tiene fra la mia pelle e le mie ossa. / Se Ti
perdessi, come farei? Quando cerco di
nasconderTi il mio amore / il mio inconscio lo
dichiara con le lacrime che nascondevo" (Dìwàn:
muqatta'at 35).
'ABD DHULJALALI WALIKRAM. Nome raro, atto a
incentivare in chi lo porta il concetto che solo Dio
dà e toglie, solo Dio è il Padrone; quindi nulla deve
distoglierlo dal tributare venerazione a Dio, solo a
Lui chinando il capo e solo Lui seguendo.

86
alMUQSITU: il Giusto

(Corano: XLIX,9)

Vi è un momento, nell'infanzia, in cui si sente


fortemente il desiderio di giustizia. Poi le
convenzioni, gli insegnamenti, gli adattamenti
condizionano gli individui e li allontanano poco o
tanto dal senso di equità, di giustizia connaturato
in loro. Molti comunque nella vita cercano il meglio
e non lo trovano mai, perché tutto potrebbe
essere fatto meglio, e poi meglio ancora, e ancor
meglio; mentre invece è raggiungibile l'equilibrio,
sussistendo un solo e unico punto di equilibrio, che
però varia a causa degli squilibri costanti
dell'ambiente. Cercare la giustizia e cercare
l'equità è sempre stato il desiderio degli "uomini di
buona volontà". In questo mondo di pericoli
l'ingiustizia incombe e troppi hanno sete di
giustizia. Nessun altro è giusto se non Dio e solo
Dio è la fonte alla quale tutti gli assetati di
giustizia possono abbeverarsi. Solo da Dio
possiamo aspettarci equità, poiché solo Lui
conosce tutte le circostanze e tutte le necessità,
mentre nessuno di noi ha informazioni complete.

AlJurjànì ci fa notare che la radice di muqsit: q-s-t,


a seconda delle declinazioni verbali significa
giustizia e ingiustizia. Certo: Dio sarà equo il
giorno del giudizio finale, rammenta alGhazzàlì;
ma il nome suggerisce piuttosto agli esseri umani
il rispetto per l'equità e il giusto, secondo i
continui richiami del Corano.
'ABD-ALMUQSIT. Nome che incentiva a rispettare
l'equità e la giustizia. Merita questo nome colui
che ha un senso preciso della misura, che esige
giustizia per i suoi simili ingiustamente trattati;
colui che protegge chi deve essere protetto e
agisce con equilibrio, invitando gli altri ad imitarne
l'esempio.

87
alJÀMI'U: il Radunatore
(il Riunificatore)

(Corano: XXXIV,26; XLII,29; LXXV,9)

Secondo alGhazzàlì Dio è colui che raduna gli


esseri a seconda delle loro similitudini, delle loro
differenze o delle loro opposizioni; secondo alYjì
alJurjànì il giorno del giudizio universale Dio
radunerà gli avversari. AlJam'ìyat alIlàhiyah è la
"sintesi divina" e anche l'unicità di Dio, in virtù
della quale ogni essere è partecipe della qualità
divina, da essa trae sostanza e ad essa ritorna.
L'aspetto di questo "raduno" delle qualità divine
(alJanàb alIlàhì) si pone accanto alla Realtà delle
realtà (haqìqat alHaquiq). Ne deriva che la
ariunificazione" effettiva, la vera Jàmi'yyah,
ingloba tutti i ricettacoli (qawàbil) del mondo,
dando il "Logos".
Il Corano dice: "Il nostro Signore farà di noi un
raduno, poi ci separerà con giustizia, poiché è Lui
il grande Separatore, il Sapiente".
Abbiamo perciò significati su due piani: quello
reale, d'una azione che consideriamo a venire il
giorno del giudizio finale; e quello metafisico, che
intende Dio come unione del Tutto, su tutti i piani,
intendendo il Tutto come creato da Lui, Sua
immagine ma non Sua identità.
Secondo un'ulteriore spiegazione, di carattere
ayurvedico, l'universo è un composto delle quattro
corrispondenze sensibili della natura, di
derivazione ippocratea (attive: caldo, freddo,
umido, secco; passive: fuoco, acqua, aria, terra;
cui corrispondono i colori rosso, giallo, blu, verde).
Con i tre colori primari blu, rosso e giallo si
compongono tutti i colori; e con i tre non colori
nero, bianco, grigio tutte le relative sfumature. Le
combinazioni basate sui sette colori
dell'arcobaleno caratterizzano alcuni metodi
spirituali e i colori sono basilari nell'escatologia
iraniana; ma tutto parte dal concetto che
"radunando" l'insieme dei colori si ottiene la luce
(si veda alNùru, n. 93).
Del pari alcuni studiosi interpretano questo Nome
come indicativo del potere di Dio di radunare la
polvere in cui s'è mutato il corpo umano dopo la
sua morte; e di radunare gli atomi per crearne
cellule, e le cellule per crearne corpi. Da qui anche
l'unità delle Sue azioni, in un'armonia universale
che presiede alla vita di tutto il creato.
'ABD-ALJÀMI. Nome che incentiva nel cuore di chi
lo porta l'unione delle azioni morali visibili a tutti e
delle verità nascoste che albergano nell'intimo,
affinché fra le azioni e il pensiero non vi sia
disunione.
88
alGHANIYYU: il Ricco
(il Sufficiente a Se stesso)

(Corano: II,263; II,267; III,97; IV,131; VI,133; X,68;


XIV,8; XXII,64; XXVII,40; XXIX,6; XXXI,12; XXXI,26;
XXXV,15;
XXXIX,7; XLVII,38; LVII,24; LX,6; LXIV,6)

Ha in se il senso di "Indipendente", di "Colui al


quale nulla manca": ghanì binafsihi. La Realtà
divina infatti illumina tutte le possibilità relative
del mondo, senza che queste aggiungano
alcunché alla Sua completezza. L'immagine non va
intesa come una "chiusura in Se stesso" e
nemmeno come una espansione di fuori di Se,
altrimenti sarebbe un'effusione, un'emanazione
sostanziale, mentre l'Essere non procede fuor di
Sé, essendo l'infinito Tutto. Secondo il Corano
"tutto ciò che è sulla terra, nei cieli, e in mezzo ad
essi appartiene e ritorna a Dio" (II,29 e X,55-56).
Questo Nome, assieme ad altri comunque,
esprime la sovrana sovrabbondanza della Realtà
divina che arricchisce il mondo essendo ricca in Se
stessa; mentre l'esistenza dell'universo non
aggiunge nulla alla Sua Infinità. Indica anche
l'indipendenza d'ognuno dei Suoi Nomi, poiché Dio
è del tutto indipendente in tutto.
Dice il Corano: a Chiunque rimane avaro, nulla più:
rimane avaro per sua scelta: Dio è al riparo da
tutto, e siete voi i bisognosi! Se Gli volterete le
spalle, vi sostituirà con un altro popolo; che allora
non sarà pari a voi" (XLVIII,38).
Come rimanere allora arroganti e presuntuosi?
Come arricchirsi Moderatamente alle spalle di chi
è costretto al bisogno e all'indigenza? Ogni essere
umano ha bisogno di cibo per il corpo e di
spiritualità per l'anima, ma tutto entro una misura
non eccessiva. Dio ha elargito a tutti quanto è
necessario; e ha inviato numerosi profeti per le
necessità spirituali di tutti gli esseri umani; ma vi
sono uomini e nazioni che distruggono perfino il
pianeta nel quale noi e i nostri discendenti siamo
posti a vivere questa vita terrena. Vogliono forse
competere con la ricchezza di Dio? Per l'essere
umano la vera ricchezza è la fede, e oggi più che
mai lo si capisce appieno.
'ABD-ALGHANY. Chi porta questo nome si appaghi
di quanto ha, e aumenti la propria conoscenza nel
sapere e la propria fede in Dio, rammentando il
detto di quel saggio: "Omnia mea mecum porto"
(Tutte le mie ricchezze le porto con me).

89
alMUGHNÌ: l'Arricchente
(Colui che mette al riparo)

(Corano: XXIV,32; XCIII,8)

Il termine è inteso, nel Corano, come attributo


d'azione, in senso materiale: "Se si trovano nel
bisogno, Dio, con la Sua grazia, li metterà al
riparo" (XXIV,32); e rivolgendosi al profeta
Maometto: "Non ti ha trovato orfano? E ti ha dato
dimora. Non ti ha trovato perduto? E ti ha guidato.
Non ti ha trovato dipendente? E ti ha arricchito.
Per cui non opprimere l'orfano, non respingere il
mendicante, e racconta i benefici che hai ricevuto
dal Signore" (XCIII,6-11).
Rammentiamo inoltre che il Corano considera non
solo la povertà una prova, ma anche la ricchezza:
"Sappiate che le vostre ricchezze e i vostri figli
sono una prova per voi, e la ricompensa magnifica
è presso Dio" (Corano, VIII,28).
Per i pensatori dell'Islam la ricchezza ha dato
luogo a ben precise distinzioni. Vi è la ricchezza
(mà') e il capitalismo (rasmàliyya). La prima è
abbondanza di beni, corrispondente ai bisogni
degli esseri umani e giuridicamente lecita; il
secondo è un sistema di produzione che è positivo
solo se non sfrutta la mano d'opera e le risorse a
beneficio di pochi.
"Credenti, molti esperti e associati divorano i beni
delle genti, in nome del falso, e sviano dal sentiero
di Dio. Annuncia del pari a coloro che tesaurizzano
oro e argento senza distribuirne come vuole Dio
un castigo doloroso" (Corano, IX,34). La ricchezza
vera è di Dio, ed Egli ne concede agli esseri umani
perché ne godano secondo giustizia e misura,
dispensandone ai bisognosi: "Dai quanto è giusto
al parente, al povero, al viandante. Ma non
sperperare scialacquando. Sì, gli sperperatori sono
fratelli dei demoni" (Corano, XVII,26).
La ricchezza è corruttrice (XI, 16) e Dio mette in
guardia affinché non diventi un fine (III,180). La
generosità e l'ospitalità sono incoraggiate
(LXXVI,7-9) e gli avari disprezzati (IX,34; CIV,1-3).
Il Corano (XXVIII,76-82) narra la storia di Coré (il
cugino di Mosè, che spinto dalla smodata sete di
ricchezze derise Mosè stesso e venne poi
inghiottito dalla terra) per ammonire quanti
ammassano ricchezze senza pensare al prossimo.
Nel corso dei secoli i dottori in giurisprudenza
hanno elaborato teorie e leggi di protezione della
ricchezza privata: "Concetti profondamente
musulmani - dice Si Hamza Boubakeur - pur se
innegabilmente influenzati dal pensiero greco e, in
tono minore, da quello iraniano. Concetti morali,
giuridici e sociali che esigevano una forza politica
a sostegno, pur se la dottrina, coerente dal punto
di vista materiale, si appoggiava del tutto a un
punto di vista spirituale". Così la proprietà
immobiliare privata è tutelata al punto ch'essa non
è sequestrabile nemmeno per morosità o
insolvenza fiscale e non può venire espropriata
neppure per usucapione. D'altro canto sono
condannate le forme di ricchezza determinate da
isti'màr (imperialismo) e da ishtiràkiyya
(collettivismo comunista).
Quanto ai sufi, essi fanno voto di povertà (faqr),
preferendo "la vicinanza di Dio a ogni altra
ricchezza". Infatti si chiamano anche fuqarà:
poveri (singolare faqìr; in persiano daràwìsh,
singolare darwìsh; da cui l'italiano fachiro e
derviscio). Abù alHysayn Ahmad Nùrì (?-907)
scrisse: "Il carattere del sufi è la serenità nella
povertà, e anche quando ha qualcosa preferisce
elargirla ad altri più bisognosi di lui". Abù Sa'ìd
alKharràz (?-899) scrisse: "Perché i ricchi non
possono venire in aiuto dei sufi? Per tre ragioni:
ciò che hanno non è puro; i loro demeriti
impediscono loro di aiutare il prossimo; i sufi
debbono essere provati perché in loro possa
compiersi ciò che Dio vuole". E Fàrisì, il compagno
di alHallaj: "Un sufi non chiede elemosina a un
ricco, perché se questi gliela rifiuta commette
peccato, ma è un peccato in cui è stato spinto dal
sufi".
Fra i personaggi cristiani il più ammirato dai sufi è
Francesco d'Assisi (1181-1226), che entrò in
contatto col sufismo alla corte di Kamil
Muhammad (1218-1238), sovrano ayyubide di
Egitto. Francesco così scrisse a proposito della
povertà: "È una virtù celestiale per la quale tutte
le cose terrene e transitorie si calpestano, e per la
quale ogni impaccio si toglie dinnanzi all'anima,
affinché ella si possa liberamente congiungere con
Dio eterno" (Fioretti).
'ABD-ALMUGNI. Chi ha questo nome è incentivato
ad essere soddisfatto di ciò che ha e ad elargire al
prossimo secondo le sue possibilità, fosse anche la
ricchezza di un sorriso. Potrà così essere
d'esempio a tutti coloro che soffrono i tormenti del
desiderio e della cupidigia.

90
alMÀNI'U: l'Impeditore
(il Protettore, il Difensore)

(Corano: il Nome viene desunto dalla radice che è


presente più volte)

Con il senso di "Difensore tutelare" è correlativo a


alHafìzu (il Guardiano, n. 39), che sottolinea il
concetto di Protezione accordata", mentre
alMànitu ha concetto di "eliminazione degli
ostacoli", dai quali quindi protegge.
Ciò porta ad un'altra osservazione: a più riprese il
Corano parla degli angeli (malà'ika, singolare
malak) che Dio invia sulla terra per proteggere i
credenti. Possiamo quindi pensare che parte della
protezione relativa a questo Nome avvenga grazie
all'intermediazione di "entità" protettrici, su ordine
specifico di Dio. Questo almeno il concetto d'una
parte nutrita di teologi iraniani, sulla base
dell'angiologia di Shihàboddìn Yahyà Suhravardì
(1155-1191). Secondo lo studio specifico di
alGhazzàlì, gli angeli (che sono fatti di luce,
mentre Satana non è un angelo, essendo fatto di
fuoco, il fuoco delle passioni che bruciano gli
uomini) si dividono in tre categorie. Alla prima
appartengono Gabriele (Jibra'l), Azraele (Izrà'il),
Michele (Mikà'il), e Isràfil. Alla seconda i
diciannove guardiani dell'inferno. Alla terza un
numero infinito di angeli che si occupano di ciò
che succede in terra e sono accanto ad ogni
essere umano.
In generale tuttavia questo Nome è inteso in senso
più ampio come "Colui che allontana i danni morali
e fisici dalla Sua creazione"; e nello specifico
allontana dall'essere umano il compimento di
desideri nocivi in un futuro che l'essere umano
non è in grado di prevedere ma Dio sì. Per questa
ragione non otteniamo sempre quel che
desideriamo, anche se vi ci si applica con
impegno, anche se le circostanze ci paiono
favorevoli e i nostri meriti determinanti. Così come
un padre perfetto allontana dal figlio i pericoli che
questi non può capire data la sua inesperienza,
così Dio allontana pericoli che possono diventare
gravi per l'individuo o per gli altri, a causa di
conseguenze che l'individuo non può prevedere,
come dice il versetto: "Può darsi che abbiate
avversione per una cosa che invece è per voi
benefica, e che amiate una cosa nociva invece per
voi. Voi non sapete, Dio sa" (Corano, II,216).
'ABD-ALMÀNI'. Nome che incentiva in chi lo porta
la volontà di proteggere il suo prossimo e di
consigliarlo a non compiere azioni dannose anche
se possono sembrare attraenti. Spesso le
ricchezze, la fama, la bellezza e perfino la gioia
possono rivelarsi in seguito dannose. Meglio
affidarsi a Dio e cercar di valutare per quanto è
possibile le probabili conseguenze reali e
oggettive delle nostre azioni.

91
alDÀRRU: il Temibile
(Colui che affligge; Colui che può nuocere)

Corano: inserito nell'elenco dei novantanove Nomi


per accordo unanime della 'Ijmà', sulla base del
versetto VI,42)

Può essere inteso anche come "il Creatore del


male" e allora va letto assieme al Nome seguente:
"il Creatore del bene".
Il passo del Corano (l'unico in cui Dio esprima un
corruccio di tipo biblico) dice: "Sicuramente
abbiamo inviato alle comunità altri prima di te, poi
le abbiamo colpite con avversità e sventura
perché umilmente supplicassero" (VI,42).
Da queste sole parole è stato desunto il Nome
alDàrru, e il significante relativo. Pensando a
questa qualità temibile, tuttavia legata a quella
del nome seguente, ragioneremo allora sul fatto
che il cibo è salutare, nutre e dà vita, ma può
anche essere nocivo e fonte di malattie e di dolore
se assunto in quantità eccessiva e con
sregolatezza. Del pari una medicina, un veleno:
ciò che è salutare può anche essere mortale. Dio
non
è il creatore del male, ma del mondo fenomenico,
che nella sua materialità ha il bene e il male come
possibili: sta all'essere umano scegliere, avendo
egli la capacità discriminante. Naturalmente colui
che, scelto il male, persiste e nuoce al suo
prossimo non può credere che le sue azioni
rientrino nell'armonia dell'universo e che Dio se ne
compiaccia. Solo per lui Dio è alDàrru. Chi compie
il male può ricredersi e porvi rimedio. Alla nostra
passionalità è difficile accettare il lasso di tempo
che ai malvagi è comunque concesso perché si
ravvedano. Anche questo è una prova, come una
prova sono l'indigenza ma anche la ricchezza, il
dolore ma anche la felicità. Un apologo racconta:
gli abitanti di un piccolo villaggio volevano che un
uomo ricco, malvagio ed egoista che abitava fra di
loro venisse cacciato, ma un saggio si opponeva,
dicendo che un giorno avrebbe potuto ravvedersi.
E gli abitanti ribatterono: " Sì, come il muraglione
del paese che s'è inclinato, e che dobbiamo
smantellare prima che crolli". Anche a questo,
però, il saggio si oppose e alla fine, pressato da
tutte le parti, disse: "Non smantellate il
muraglione oggi: fra due giorni". Nella notte un
uragano terribile s'abbatté sul villaggio e la forza
del vento fu tale da raddrizzare il muraglione, che
da allora non minacciò più di cadere. Non sta a noi
giudicare le decisioni di Dio, sta a noi non
incorrere nella Sua qualità alDàrru.
'ABD-ALDÀRR. Chi ha questo nome è incentivato a
testimoniare dell'assoluta libertà d'azione e di
giudizio di Dio. Si limiterà quindi a distinguere il
bene dal male dentro di se.

92
alNÀFI'U: Colui che è utile

(Corano: inserito nell'elenco dei novantanove


Nomi per accordo unanime della 'Ijmà', sulla base
del versetto XL,85)

Va inteso nel senso di "Creatore del bene" e allora


va pronunciato assieme al Nome precedente. Nel
Corano leggiamo: "Non la loro opinione fu utile
quando giunse il Nostro rigore. Questa la condotta
precedente di Dio verso i Suoi servi; e allora i
miscredenti persero" (XL,85).
Da questo, e da molti altri passi di valore
consimile si enuclea che seguire i precetti divini è
utile, invece seguire le pur suadenti indicazioni
della nostra parte diabolica è nocivo.
Il sufi Abù Sa'ìd alKharràz (?-899) disse: "L'azione
della grazia è riconoscere Chi è il dispensatore dei
benefici e, così facendo, si testimonia anche la Sua
Sovranità". In effetti fra i doni divini c'è l'intelletto,
la consapevolezza, la coscienza e, dono supremo,
la fede. Grazie a questi siamo in grado di
distinguere l'utile dal dannoso, di discriminare,
insomma; e la discriminazione è essenziale nella
vita di ogni essere umano. La generalizzazione - è
ben noto in psicologia - conduce alla devianza
psichica o mantiene nello stato di devianza
psichica, mentre distinguere di volta in volta ci
permette di operare la scelta più adeguata o la
risoluzione ottimale di un problema. Non per nulla
il Corano è anche chiamato alFurqàn: la
Distinzione.
'ABD-ALNAFI'. Questo nome dovrebbe rammentare
a chi lo porta che la cosa più utile al mondo è
seguire i precetti divini. Così il suo cuore sarà
invaso dalla serenità e dalla quiete, dal momento
che sarà sicuro della Forza e della Potenza di Dio,
ma anche della Grazia e dei benefici che Egli
concede di continuo alle Sue creature.

93
alNURU: la Luce

(Corano: XIV,40; XXIV,35; XXXIX,69)

Il Nome è inteso correntemente come: a)


manifestazione evidente di Dio all'universo e di
Dio a Dio stesso: Dio è Luce; b) l'evidenza delle
cose operate da Dio quando Egli le fa passare dal
non esistente all'esistente. Il classico versetto
della Luce è forse il più bello di tutto il Corano:
"Dio è la Luce dei cieli e della terra. La Sua Luce è
come una nicchia in cui si trova una lampada,
lampada entro un vetro, vetro come un astro
scintillante; ha luce da un albero benedetto: un
ulivo né dell'oriente né dell'occidente, il cui olio
illumina quasi senza che un fuoco lo tocchi: luce
su luce. Dio guida alla Sua Luce chi Egli vuole; e
Dio conia per le genti delle parabole. Egli è
l'onnisciente" (XXIV,35).
È ad illustrazione di questo versetto che molti
tappeti da preghiera (sejjadé) turchi e persiani
raffigurano una nicchia con una lampada sotto un
arco, tra due colonne. "Luce sfavillante" è detto
anche del Corano, secondo l'interpretazione del
versetto IV,174: "Genti: sì, un'evidenza è giunta da
parte del vostro Signore. E Noi vi abbiamo inviato
una luce manifesta".
N-w-r, da nara, brillare, designa la luce in senso
metaforico, mentre la luce in senso reale è detta
daw', con il suo allotropo diyà (luce). Il concetto
della "Luce" è stato svolto, nell'Islàm, da teologi,
filosofi, mistici e matematici, con tale ampiezza da
sfiorare una realtà dottrinale. Il senso originale
della parola s'è trovato pertanto caricato di
simbologie, pienamente islamiche (kalàm,
avicennismo, sufismo, farabismo, ghazzàlismo,
mu'tazilismo, eccetera), ma anche recupero di
concezioni preislamiche (neoplatonismo,
aristotelismo, zoroastrismo, plotinismo, giudaismo,
manicheismo, eccetera).
La "Luce" riveste una particolare importanza per il
grande sufi-martire Shihàb alDìn Yuahyà
Suhrawardì (o Sohravardì; 1155-1191) e per i
mistici esoterici iraniani che da lui derivarono. Egli
elaborò il concetto della soltàn nùrì: potenza,
sovranità della luce, concetto preesistente
nell'Avesta quale "Luce di gloria" (xvarnah), e così
commentato da Jalal alDìn Davàn' (1427-1502):
"Bisogna intendere con questo termine la modalità
della Luce che è attualizzata per il pneuma a
partire dall'anima pensante. Grazie a questa
modalità il pneuma diventa capace delle forme
emananti dal Donatore delle Forme". Tra i libri
scritti da Suhravardì, due in particolare trattano
questo problema: Il libro dei templi della Luce e Il
libro dei raggi della Luce (Kitàb HayàLil alNùr e
Partow-Nàmeh). Egli fu anche il portaparola della
profetologia shì'ita della Nùr Muhammadì: la "Luce
maomettana" che assunse la funzione di ciò che
nella profetologia giudaico-cristiana era detto
Verus Propheta, o Christus aeternus.
Nel libro dei templi della Luce scrisse: "Accade che
le anime che hanno provato la Théosis siano
scosse da una emozione sacrale. Allora s'alza su di
loro l'aurora della Luce divina. Così come puoi
constatare che un pezzo di ferro divenuto
incandescente è simile al fuoco stesso con il quale
è entrato in contatto e che può adempiere alle
stesse funzioni cui adempie il fuoco, non
meravigliarti dunque se, quando su un'anima
sorge la Luce dell'Oriente mistico, quando è
illuminata e resa incandescente dalla Luce divina,
le creature Le obbediscono come obbediscono agli
esseri sacri. E fra i pellegrini dell'Oriente mistico
(mostashriqùn) ve ne sono alcuni il cui viso si
volge al Padre sacro (Abì-him alMuqadda), quasi
annuncio della visita dell'ospite attorniato da
lampi. In verità, la guida di Dio (hidàyat Allàh)
giunge al gruppo di eletti che, con le mani aperte,
accolgono il cibo celeste. Quando i loro occhi si
aprono incontrano Dio, avvolto nel mantello della
Magnificenza inaccessibile. Il Suo Nome domina il
circolo del Giabarùt, e sotto i raggi della Sua Luce
v'è un intero popolo in attesa". Il tema venne
ripreso in particolare dai seguaci Mollà Sadrà
Shìràzì (1571-1640) e Abù Ja'far Kolaynì.
D'altro canto è facile capire anche come tutte le
religioni abbiano abbinato il concetto della Luce al
concetto di Dio. Citerò un solo esempio fra i mille,
la mistica cattolica Ildegarda di Bingen (1098-
1179), che scrisse: "La Luce che vedo non è
circoscritta in un punto, ma è splendente ben più
d'una nuvola che circondi il sole. Non ne posso
valutare l'altezza, né la lunghezza, la larghezza; la
chiamo "ombra della Luce vivente". E come il sole,
la luna e le stelle si riflettono nell'acqua, così le
Scritture, i discorsi, le virtù e le molte opere
dell'uomo, prendendo forma ai miei occhi,
risplendono in questa Luce".
Nella metafisica della Luce l'opposto è la tenebra:
barzakh (Corano XXIII,100). Nel dualismo viene
opposta alla Luce il buio (dhulma), designando
così il mondo dello spirito e il mondo della
materia. Per la metafisica la Luce è solo luce
divina origine d'ogni esistenza e si tratta di una
Luce in se, da cui ogni essere ha origine ma che
non si Stacca" dal Se sostanziale, ossia Dio, per
cui ogni sostanza è in realtà " illusoria" (come la
Maya vedantica). Dice al proposito Muhyi alDìn bn
'Arabi (1165-1240) in Fusus alHiLam: "L'ombra è
resa nota nella misura in cui l'Essere divino si
proietta sulle essenze permanenti del possibile, e
la percezione dell'ombra ha luogo in ragione del
Nome divino alNùru [...]. Dio si rivela alle
possibilità proiettando la Sua ombra, sicché esse
appaiono nella realtà come ombra di Dio, nel Suo
Nome divino alNùru, ciò che si avvera nel mondo
fenomenico, dal momento che non sussiste ombra
se non in presenza di luce. Ecco dunque che tutto
è Lui, e null'altro che Lui".
L'imprescindibile necessità della luce per la
sopravvivenza sulla terra (si pensi alla fotosintesi)
si può paragonare all'altrettanto imprescindibile
necessità spirituale che ogni essere ha di Dio. Il
termine "luce" non è stato assunto dai mistici
dell'Islàm con significato unico di "emanazione
divina". Abù Bakr Siràj alDìn scrisse: "Come i raggi
del chiaro di luna cadono sui vari oggetti materiali
che li riflettono a seconda delle loro capacità, così
l'intuizione colpisce le facoltà dello spirito che, se
hanno ricevuto la dottrina in modo giusto,
rinvieranno una luce di consapevolezza; questa
luce significa che una consapevolezza puramente
mentale dell'insegnamento dottrinale è in un certo
senso confluita nella "Conoscenza della
Certezza"". La simbologia della luce si è dunque
diffusa - come si diffonde la luce - in tutta la
letteratura islamica e i brevi accenni qui mostrati
bastino per capirlo.
'ABD-ALNUR. Colui che ha questo nome è
incentivato a riconoscere in Dio la vera Luce che
dà vita e pone in evidenza i colori e la bellezza.
Luce che ci fa uscire dal buio amorfo
dell'indistinguibile e ci conduce alla comprensione
della nostra vera natura, e del fine ultimo di
ciascuno di noi. A tutto ciò si riferiva
l'esclamazione del profeta Maometto: "Signore, fa'
che io sia una luce! ".

94
alHADÌ: la Guida

(Corano: I,5; VI,84; XXII,54; LXXVI,3; LXXXVII,3)

In senso generale si intende che Dio alHadì guida


ogni essere verso la sua meta ultima. Nel Corano:
"Glorifica il nome del Signore, l'Altissimo, che crea,
poi mette in buon ordine, determina, e poi guida,
e fa crescere i pascoli e poi ne fa fieno scuro"
(LXXXVII,1-5).
Secondo 'Abù Ja'far Tabari (?-923) e i teologi che
ne seguirono, Dio crea la giusta direzione (alHudà)
nel cuore degli esseri umani. Si tratta quindi della
"guida" in senso religioso, secondo i versetti
coranici: "Questo fu l'argomento che accordammo
ad Abramo contro il suo popolo. Noi innalziamo di
rango chi vogliamo. Sì: il tuo Signore è saggio,
sapiente. E abbiamo dato a lui Isacco e Giacobbe;
li abbiamo guidati tutti. E abbiamo guidato prima
Noè, e fra i suoi discendenti anche Davide,
Salomone, Giacobbe, Giuseppe, Mosè, Aronne.
Così ricompensiamo chi fa il bene.
E così Zaccaria, e Giovanni Battista e Gesù, ed
Elia; ognun di loro nel novero dei giusti. E così
Ismaele, Eliseo, Giona, Loth. A ciascuno di loro
abbiamo dato la priorità sui mondi. E così a una
parte dei loro antenati, dei loro discendenti, dei
loro fratelli, che abbiamo eletto e guidato sul
giusto cammino. Ecco la Guida, con la quale Dio
conduce chi Egli vuole fra i Suoi servi" (VI,83-88).
Al versetto XX,50 Mosè dice: "Il nostro Signore è
colui che ha dato forma ad ogni cosa, e poi l'ha
guidata". La "guida" quindi va soprattutto intesa
come la strada giusta, la strada della fede. Dio ha
dato a ogni essere umano la possibilità di seguire
questa via. D'altronde Egli non può condurre fuori
strada, nell'errore, nell'annientamento dei valori:
lo fa di sua propria scelta l'essere umano che
devia. Così la prima sura del Corano, l'Aprente,
preghiera essenziale dell'Islàm recitata più di ogni
altro passo coranico, dice: "Nel nome di Dio,
Misericordioso, Misericorde. Gloria a Dio, Signore
dei Mondi, il Misericordioso, il Misericorde. Sovrano
della Retribuzione. Te adoriamo, da Te invochiamo
soccorso. Guidaci sulla giusta via, la via di coloro
che Tu hai beneficato, non di quelli che sono
incorsi nella Tua collera, né di quelli che si
smarriscono".
Dalla radice h-d-y (l'azione di guidare compiuta da
Dio) deriva il termine mahdì: il ben guidato;
appellativo che venne assunto da vari "santoni",
capi teologopolitici e mestatori. È noto soprattutto
il mahdì Muhammad Ahmad bn 'Abdallah, politico
e rivoluzionario riformista che nel 1881 fondava
nel Sudan egiziano la Mahdiyya.
'ABD-ALHADI. Chi ha questo nome deve sforzarsi
di percorrere la via della verità, pregando Dio
d'aiutarlo a non incorrere nell'errore e nella
devianza.

95
alBADÌ'U: il Novatore, l'ideatore
(Colui che dà origine)

(Corano: II,117; VI,101)

Come aggettivo sostantivo badi' rende l'idea di


primigenio; in senso attivo significa creatore,
promotore (per cui diventa un attributo di Dio nel
senso di Ideatore assoluto, Innovatore primo); in
senso passivo significa ideato, inventato e fu
impiegato per designare le innovazioni dei poeti
'abbàsidi nell'ambito delle "figure rettoriche".
Badyha è la spontaneità, l'assenza di esitazione; e
si dice della rapidità con cui ha luogo la Presa di
coscienza" di una cosa (bi badyha, o 'ala badyha:
spontaneamente).
Per alGhazzàlì (Mustasfa, 29) "occorre solo uno
spirito in cui si imprimano concetti singolari e una
facoltà pensante che metta in rapporto questi
concetti singolari gli uni con gli altri. La ragione si
manifesta allora spontaneamente per formulare il
giudizio di veridicità e di non veridicità".
Il nome rinforza ulteriormente il concetto del
potere di Dio che crea ex novo ogni forma
d'origine; da qui deriva la realtà assoluta
dell'unicità di Dio, non Generato (lam yalid) né
Creato, non Generante (lam yùlad) ma Creatore
(Corano, CXII,3).
'ABD-ALBADI'. Chi ha questo nome è incentivato a
riconoscere la Creatività assoluta di Dio l'Altissimo
e a ideare, scoprire, costruire - nel campo delle
scienze o delle arti - facendo uso soprattutto d'una
sensibile percezione.

96
alBÀQÌ: il Perdurabile

(Corano: XX,73; LV,27)

Qualità inscindibile di Dio, l'essere eterno è per la


Bibbia il concetto stesso della divinità e al termine
"Dio" è più volte aggiunto "l'Eterna" (ad esempio:
Leolam Vahed, regna in eterno). Per l'Islàm il
senso pleonastico sfuma in quello di "Immutabile",
"Sempre sussistente". Eterno in effetti si dice
abad', khàlil, àdhalì, mukhlad e così via.
Dice il Corano (LV,26-27): "Tutto sulla terra è
nulla, mentre eterno è il volto del Signore,
Maestoso, Nobile" (da notare che quest'ultimo
appellativo - il Nobile [alYkràmu] - non è incluso
nei novantanove Nomi).
Nulla è eterno, tranne Dio: ogni altra essenza è
stata creata, quindi ha avuto un'origine. Per
questo stesso fatto nulla è simile a Dio. Vi è al
proposito una tendenza filosofica che considera
l'anima mortale pur essa e quindi temporale
(hudùth), a fronte della generale considerazione
che l'anima è eterna (qidam); e questa
identificazione dell'anima con lo spirito è appunto
per non porre nulla che possa in qualche modo
competere con l'Eternità di Dio.
In effetti con la creazione Dio ha determinato una
realtà fenomenica spaziale, quindi soggetta alla
legge del tempo; eppure prima della creazione il
tempo non esisteva, ma Dio esisteva. La creazione
finirà e quindi il tempo, ma non finirà Dio. Ecco
quindi la scelta: o legarci passionalmente al
mondo transitorio, o legarci passionalmente a Dio
l'Eterna. Tuttavia la qualità delle nostre azioni
nella vita terrena avrà valore anche nella vita
eterna.
'ABD-ALBÀQÌ. Chi ha questo nome dovrebbe por
mente alla transitorietà delle cose terrene (come
sottolinea il versetto coranico "Tutto sulla terra è
nulla"); e quindi volgere le sue aspirazioni
maggiori alla propria evoluzione spirituale.
97
alWÀRITHU: l'Erode

(Corano: XV,23; XIX,40; XXVIII,58; LVII,10)

Questo Nome intende: a) che Dio permane dopo


l'estinzione (fanà') del creato; b) che a Dio torna
tutto ciò ch'Egli ha creato.
"In verità Noi erediteremo la terra e coloro che
l'abitano, e tutti saranno ricondotti a Noi" (XIX,40).
Per Muhyi alDìn Ibn al'Arabì "con il suo Nome
alWàrithu Dio ci indica che Egli è Colui che attinge
nell'origine, è Colui che in un solo attimo
contempla tutti i ranghi di creature, dall'origine del
creato alla sua fine ".
Il Nome ci conduce inoltre a meditare sulla
transitorietà del creato, per capire come sia
necessario avere un'attenzione costante per
giungere a intendere che alla fine dobbiamo
ereditare non la vacuità del mondo fenomenico,
effimero in se stesso, ma la "contemplazione di
Dio", autentica ricchezza per ogni anima. Non
possiamo essere negligenti: Dio è l'erede del
tempo e a noi ne concede una parte; in generale
siamo solo i custodi temporanei di quanto Dio ci
ha concesso per il godimento della vita terrena.
Sta a noi non sciupare le possibilità insite in ciò, in
vista della vera eredità finale, consapevoli del
fatto che come Dio è l'erede finale così l'essere
umano è l'erede di Dio.
'ABD-ALWÀRITH. Colui che ha questo nome è
incentivato a considerare che Dio ci offre in
godimento il Suo regno terreno e il Suo regno di là
dalla morte fisica, e che in tutto, anche nelle
conseguenze oltre la vita fisica, noi siamo "le Sue
creature".

98
alRASHÌDU: Colui che dirige
(il Giusto?)
Allotropo: alHadì (la Guida, n. 94)

(Corano: il Nome viene desunto dalla radice


presente più volte. Ad esempio: XVIII,10)

Si intende - in senso attivo - che con la Sua grazia


Dio ci permette di seguire la giusta via sulla terra.
Nella Fatiha, la sura aprente il Corano,
obbligatoriamente pronunciata in ogni preghiera,
si invoca: "Guidaci sul retto sentiero" (àhdinà
alSiràta alMustaqìm, versetto 5). Questo Nome è
anche inteso come "Colui che guida con giustizia,
dirittura". È anche ulteriormente inteso come
l'incentivo, per ogni essere umano, a coltivare la
conoscenza della religione e dell'etica, poiché
essere musulmani non basta: occorre anche agire
bene, ciò che comporta l'approfondimento delle
indicazioni divine relative. Questo Nome acquista
valore particolare per i sufi, chiamati a compiere
un "viaggio" verso Dio, scopo della loro vita e della
ricerca mistica, anche se in questo viaggio è pur
necessaria una guida terrena.
Un altro Nome con significato simile, alHàdi, ha
pur esso una duplice valenza: nell'aspetto tokwìnì
ha senso universale, sussistendo all'interno della
creazione; nell'aspetto tashrì'ì si riferisce ad ogni
rivelazione inviata con i profeti. Il Nome alRashìdu
intende invece una "guida" soggettiva: Dio prende
per mano (si fa per dire) il mistico e lo aiuta nelle
scelte se egli è correttamente determinato. Ha
quindi un valore più intimistico.
Per i sufi la guida delle guide sulla terra è il Khidr
(o Khadir, detto anche "il Verde"), per solito
identificato con il profeta Elia, secondo i versetti
del Corano nei quali guida Mosè nella ricerca della
fonte della vita (Corano, XVIII,60-82). Il Khidr è
immortale e appare di tanto in tanto agli iniziati
per guidarli nel loro cammino spirituale. Per i sufi
sciiti le guide per eccellenza sono i dodici imam
nascosti e se ne può avere un quadro abbastanza
esauriente leggendo le Dissertazioni sull'Imamato
(Risàla fi alImàmat) di Mollà Sadrà Shìràzì (1571-
1640). Un ulteriore approfondimento della guida
sovrannaturale è, per i sufi iraniani, descritto nel
Wàridàt wa Taqdìsàt di Shihàb alDìn Yahyà
Suhrawardì (1155-1191): "Dio purifica un'anima
che ha preso coscienza dell'Elemento superiore
che è in lei e che rinnova il suo impegno con
l'Angelo-Spirito Santo, misericordiosa guida
all'Altissimo. O Angelo-Spirito Santo, nessuno è più
misericordioso di te; tu sei la nostra guida sul
cammino verso il Dio dell'Essere nella Sua totalità.
Se non ci guidi tu, mai Lo conosceremo; e se tu
non ci avessi impartito l'ordine di adorarLo, a noi
poveri esseri prigionieri della realtà materiale mai
sarebbe stato possibile rammemorare Dio né
entrare al Suo servizio ".
'ABD-ALRASHÌD. Nome che compete piuttosto a un
maestro spirituale e che quindi incentiva a seguire
la via della conoscenza mistica, per essere sempre
più Vicino a Dio-Guida e ai Suoi profeti.

99
alSABURU: il Paziente

(Nel Corano il concetto è evidenziato più volte,


particolarmente in: II,153; III,200; X,109; XI,49;
XVI,127; CIII,3)

Nel Corano sussiste come radice, non come Nome;


integrato per consenso unanime dei teologi, è
posto in relazione ad alHalìmu (il Mansueto, n. 33).
La radice, s-b-r, suggerisce il senso di pazienza,
costanza virtuosa, perseveranza nel bene,
sottomissione al volere di Dio. Attribuito a Dio, il
termine ha anche valore di: "Lento nel castigo per
lasciare al colpevole il tempo di pentirsi e di
rimediare".
In quasi tutte le religioni la pazienza è considerata
spiritualmente necessaria. Confucio (551-497 a.C.)
scrisse: "Parole scaltre possono gettare la virtù nel
disordine, e la mancanza di pazienza può mandare
in rovina le più grandi azioni" (Lun-yu, XV,26). Per
l'Islàm "la pazienza è una virtù salutare. È una
forza d'animo, una resistenza alle avversità che
permette di trionfare sugli ostacoli, di rimanere
sempre se stessi nonostante gli alti e bassi della
vita e la malvagità degli uomini.
Essa è in se stessa una forma eletta di saggezza"
(Si Hamza Boubakeur: Il Corano). Infatti il Corano
cita la pazienza, in forma nominale o verbale,
cento e una volta.
"Cercate aiuto nella pazienza e nella preghiera"
(II,45); "Il modo migliore di comportarsi è d'avere
pazienza e benevolenza" (III,186); "Credenti:
pazientate! Sforzatevi d'esser pazienti, e temete
Dio. Allora sarete vincitori" (III,200); "Certo: l'uomo
è nella perdizione tranne coloro che credono,
compiono opere buone, si prescrivono l'un l'altro
la giustizia e una paziente resistenza" (CIII,3);
"Siate perseveranti: Dio è con coloro che hanno
pazienza" (VIII,46)...
Oltre ai versetti coranici, molti musulmani leggono
i numerosi hadìth che il profeta Maometto
pronunciò sulla pazienza.
Molti detti popolari esaltano di conseguenza la
pazienza ("La pazienza è la chiave della serenità");
e anche in Italia c'è il detto: "La pazienza è la virtù
dei forti". Dhù alNùn alMisrì (771-861) disse: "Vi
sono tre segni della pazienza: stare in disparte
quando si hanno difficoltà, aver fiducia in Dio
quando si è soffocati dall'angoscia a causa di una
prova che bisogna sopportare e vivere come se si
fosse ricchi quando la povertà ha colpito
l'esistenza materiale". Per lui il più infedele "è
colui che, senza pazienza, cerca di affrettare una
conclusione ".
In Abù Bakr Kalàbàdhì (?-995) leggiamo: "La
pazienza è il modo più elevato di servire Dio"; e
ancora: "Siate costanti e pazienti seguendo i
comandamenti di Dio, e siate costanti e pazienti
nell'obbedire alle regole di Dio; poiché la pazienza
è pura, e perciò purifica tutte le cose".
Il poeta sufi Abù alQàsim Samnùn (?-915), detto
"l'Innamorato" (alMuhhib), ci lasciò questi versi:
"Ho ingoiato le molte miserie del tempo come se
fossero state dei favori; e quando il tempo mi
presenta l'otre, io bevo. Quante angosce mi hanno
abbeverato con le loro coppe; ed io ho fatto bere
loro l'oceano della mia pazienza. Ho indossato la
corazza della pazienza contro le vicissitudini che
mi avviluppavano, e ho detto alla mia anima:
"Pazienta, altrimenti muori". E così ho saputo
sopportare calamità il cui urto avrebbe potuto
sbriciolare le montagne più grandi".
E Ibn al'Arabì disse che "metà della fede sono le
buone azioni, e l'altra metà è la pazienza".
D'altronde alSabùru è l'ultimo nell'elenco dei
novantanove Nomi coranici; cui si giunge appunto
con la pazienza che tutto corona.
'ABD-ALSABUR. Nome che incentiva l'equilibrio
intimo, la moderazione, suggerendo l'attesa onde
poter agire al momento giusto, con la forza giusta.
Colui che è paziente lotta ogni giorno con le
negatività della sua parte in ombra e persevera
nell'adempimento dei suoi doveri, qualsiasi sia la
realtà esterna che gli propone l'ambiente.
Conclusione

Oltre ai novantanove Nomi coranici l'esegesi


islamica ne usa altri, detti "descrittivi d'attributo",
come Rabb (Maestro), Mun'im (Benefattore), Mu'tì
(Colui che concede), Sàdiq (Sincero, Veridico),
Sattàr (Colui che protegge e che vela), Qadìm
(Anteriore), 'Azalì (Eterno), Dàim (Durevole), Qarìb
(Colui che è accanto). Questi, e altri ancora, si
trovano in liste non ortodosse, che superano il
limite di novantanove appellativi (in ambienti
popolari sunniti s'è voluto creare un parallelismo,
elencando "i divini nomi" del profeta Maometto, ad
esempio: il Puro, l'Unico, il Profeta, il Perfetto, il
Servo di Dio, il Martire, la Lampada, la Guida, la
Gloria degli arabi... Tale elenco comprende ben
duecentouno nomi-attributo, l'ultimo dei quali è
Sàhib alFaraj: la Sorgente della consolazione).
Sui Nomi coranici comunque l'esegesi islamica si è
prodigata ad usura, non con libri specifici ma nei
vari trattati di teologia; e nessuno di questi testi è
stato a tutt'oggi tradotto in lingue occidentali, per
quanto ne so. Naturalmente gli ulama intesero i
Nomi alla lettera, mentre i sufi interpretano il
numero novantanove più uno (i novantanove Nomi
coranici più il "Nome segreto") come simbolo, e i
quattromila Nomi totali come un aspetto del limite
umano: "I Nomi di Dio sono infiniti, altrettanti
"specchi" in cui si riflette l'infinita Essenza divina,
per Sua natura di là da ogni possibilità di
identificazione" ('Abd alWahhàb alSha'ràni, 1493-
1565). D'altronde già Dionigi detto l'Areopagita
(IV-V secolo) aveva scritto: "Alla Causa di tutte le
cose, superiore a tutte le cose, non si addice alcun
nome e si addicono tutti i nomi delle cose che
sono" (I,7,596C); e il maestro sufi Nimatallah Walì
(1331-1431): "Per tutti i Nomi di Dio l'Essenza è
una. In realtà dunque tutti i Nomi di Dio sono
Uno".
Di questa unicità assoluta della fonte, comunque
espressa dai Nomi, tenta di figurarci il concetto
'AbdAllah alBalabànì (XIII secolo) nel Risalàtu
alAhadiyah (Trattato dell'Unità, detto di Ibn
al'Arabì): "Gloria a Dio, che possiede l'Unità
(alWahdàniyyah), senza antecedenti se non Lui,
che è il Primo (Qablu); dopo la Singolarità
(alFardàniyyah), per il fatto che non c'è nessun
"dopo", se non Lui che è anche il Seguente
(Ba'adu). E di questo "Lui" non c'è né prima né
dopo, né alto né basso, né vicino né lontano, né
come, né perché, né dove, né quando, né
successione di istanti, né tempo, né spazio, né
identità materiale alcuna (Kawn). È come era; è
l'Unico, è il Domatore (alWàbidu, alQahhàru). È
l'Unità (alWàbidiyyah). È il Singolo (alFard) senza
singolarità (alFardàniyyah). Non è composto di
Nome e di nominato, perché il Nome è Lui e il
nominato è sempre Lui. Non c'è altro Nome che
Lui (Hu), non c'è nominato se non Lui. È il Primo
(alAwwalu) senza anteriorità. È l'Ultimo (alAkiru)
senza ultimità, ossia senza conclusione assoluta. È
l'Evidente (alDhàbiru) senza esteriorità. È l'Occulto
(alBàtinu) senza l'interiorità. Intendo dire che è
l'esistenza delle Lettere (Haruf) dell'esterno come
è l'esistenza di quelle dell'interno. Non vi è esterno
né interno se non Lui, e ciò senza che le Lettere si
cambino per divenire Lui, o che Egli si cambi per
divenire le Lettere [...]. Lui solo si vede e nessuno
Lo può vedere; nessuno Lo può cogliere, Egli solo
si può cogliere; nessuno può conoscerLo, Egli solo
si conosce. Solo Lui vede Se stesso, solo Lui
conosce Se stesso, nessun altro che Lui Lo può
vedere, nessun altro che Lui Lo può cogliere. La
Sua Unicità è il Suo stesso velo impenetrabile.
Null'altro che "Lui" Lo dissimula. La Sua stessa
esistenza è il Suo velo. È velato dalla Sua Unicità
in modo inesplicabile, e nessun altro che Lui Lo
vede: né un profeta inviato, né un santo perfetto,
né un angelo vicino ".
Per questo Ibn al'Arabì iniziò la Saggezza dei
profeti (Fusus alHikam) con queste parole: "Dio
volle vedere le essenze dei Suoi Nomi
perfettissimi, ossia volle vedere la Sua propria
essenza, in un oggetto globale che, dotato
d'esistenza, riassumesse l'ordine divino, al fine di
manifestare così il Suo mistero a Se stesso". Così i
Nomi avrebbero determinato, nella loro qualità, la
nascita dell'essere umano. Alcuni mistici vanno
oltre: per loro ogni fenomeno del creato è
manifestazione di un Nome, di questa
manifestazione-Nome ne è l'essenza e a questa
manifestazione-Nome ritornerà. Così l'angelo è
manifestazione del Nome alQuddùsu (il Santo); il
cielo è manifestazione dei Nomi alBàqì (il
Permanente) e alRàfi'u (l'Elevatore); gli animali
sono manifestazione dei Nomi alSamì'u (l'udente)
e alBasìru (il Vedente); l'uomo è manifestazione
del Nome più grande, o centesimo Nome, il Nome
segreto.
A questo riguardo constateremo che i pareri tra le
scuole mistiche e quelle della teologia comune
sono discordi. Ad esempio secondo una di queste
scuole ogni Nome implica una negatività:
l'impossibilità di attribuire a Dio il Suo contrario
(ad esempio l'Equo - al'Adlu - comporta che in Dio
non sussista ingiustizia). Su questo fatto i sufi
intervengono negando "che in Dio possa mancare
qualcosa", per cui ogni attributo che comporta un
opposto (l'Essere e il non Essere) è da ritenersi
ipotizzato dall'uomo per il fatto che gli esseri
umani vivono in un mondo fenomenico nel quale
sussistono gli opposti, mentre Dio è di là e di
sopra dal mondo fenomenico, per cui Egli
comprende in Se il mondo fenomenico, che senza
la Sua essenza non sussisterebbe. Quindi, essendo
il mondo fenomenico in Lui, sono in Lui le qualità
del mondo fenomenico stesso, per cui anche gli
opposti, e ciò purtuttavia rimanendo Egli
superiore, e intaccato da tutto ciò, così appunto
come anche sulla terra ogni creatore di oggetti è
superiore all'oggetto che ha creato, e permane dal
tutto differente da lui. In effetti "le diversità
sussistono nel contingente, che è transitorio; ma
Dio non essendo né contingente né transitorio è
l'origine e l'essenza di tutto senza dal tutto essere
toccato" (Abu Abdallàh Tirmidhì, ?-898: Khatam
alHakìmiyya).
Un'altra scuola di teologia comune afferma che gli
attributi principali cui si rifanno i Nomi sono sette:
Vita, Scienza, Potenza, Volontà, Ascolto, Visione,
Parola. Sono Suoi nell'eternità, per il fatto che
costituiscono il carattere della Sua Essenza, ottava
qualità che ingloba tutte le altre. L'opinione dei
sufi in questo caso (e ciò è stato espresso
compiutamente soprattutto da Farid alDìn Attar) è
che, pur avendo questi attributi una portata
affermativa, designano realtà fenomeniche del
tutto distinte l'una dall'altra; ma dal momento che
si riferiscono tutte all'Essenza, in effetti nulla ad
essa aggiungono, quindi non ne sono differenti.
Perciò ogni Nome può venir considerato come
identificazione autonoma di "tutta" l'identità di
Dio, distinguendovi due qualità: una assoluta ed
eterna (l'Esistenza in senso proprio) e una relativa
e temporale (nel senso che "appare" ai nostri
sensi e illumina noi, esseri relativi e temporali). I
limiti della comprensione di un'unicità assoluta dei
Nomi, dell'eternità assoluta di Dio che comporta
l'eliminazione di ogni possibile o ideata
oggettivazione, è il limite precipuo della nostra
natura umana. A questo proposito è definitiva
l'affermazione di Sayyed Haydar Amolì, il mistico
sciita di Amol: "Dio l'Altissimo si manifesta in
secondo luogo con il Suo Nome "Il Manifestato"
(alDhàhim), così come si è manifestato in primo
luogo con il Suo Nome "Il Nascosto" (alBàtinu). La
cosa straordinaria è che Si manifesta nelle Sue
forme svelate essendone da queste velato, e che
non è velato da alcuna, purtuttavia senza che in
alcuna d'esse Si sveli".
Naturalmente le posizioni dei fondamentalisti e dei
mistici furono - almeno per i primi secoli dell'Islàm
- in contrasto non solo sul piano metafisico. Lo
sforzo di accordare le vedute dei teologi e quelle
dei sufi venne compiuto - o quanto meno tentato -
da Ibn al'Arabì (1165-1240): grazie alla sua opera i
sufi non vennero più considerati dei semplici e
temibili "liberi pensatori" dagli ulama ufficiali. Nel
Fusus alHikam (La saggezza dei profeti) egli
scrisse: "Benché i Nomi divini siano indefiniti
quanto alla loro moltitudine dal momento che li si
conosce solo per ciò che ne deriva, che è del pari
indefinito, essi sono tuttavia riducibili a un numero
dato di "radici", origine dei Nomi divini; o alle
"presenze" che integrano i Nomi. In effetti vi è una
sola e unica "Realtà essenziale" (haqìqah), che
assume tutte queste relazioni e tutti i rapporti
designati con i Nomi divini. Orbene: questa Realtà
essenziale fa sì che ciascuno di questi Nomi che si
manifesta infinitamente comporti una verità
essenziale grazie alla quale si distingue dagli altri
Nomi. Questa verità distintiva, e non ciò che ha in
comune con gli altri, determina la precipuità del
Nome. Lo stesso si può dire per i doni divini che, a
causa della distinzione dei Nomi divini stessi, si
distinguono gli uni dagli altri per la loro natura
personale, anche se provengono tutti da una
sorgente unica. D'altronde è certo che "questo"
non è "quello". A causa della Sua infinità, nella
Presenza divina non c'è assolutamente nulla che si
ripeta, e questa è una verità fondamentale".
L'acquetamento dei contrasti fra fondamentalisti e
mistici - o almeno una sorta di quieto "lasciar
vivere" da parte dei primi nei confronti dei secondi
- permise una più ampia o almeno più divulgata
esegesi dei Nomi. Fu normale esprimere
liberamente opinioni anche in contrasto con
l'ortodossia, già presenti fra i sufi sin dal X secolo.
AlHallaj aveva scritto: "Alcuni Nomi possono
apparire in contrasto, ma l'assoluto di ciascuno di
essi elimina ogni opposto in assoluto, senza che
nella pienezza di tale interezza vi possano essere
dei contrasti, poiché è un Tutto assoluto, in cui
tutto è, senza che sia "quel Tutto" [...]. Solo in Lui
non c'è possibilità di contrasto pur se i Suoi
attributi possono apparirlo. È nascosto nella Sua
manifestazione e manifesto nella Sua
occultazione, perché è il Manifesto e il Nascosto, il
Prossimo e il Lontano; e così viene impedito alle
Sue creature di trovarGli qualcuno che Gli
assomigli".
E Abù Bakr Kalàbàdhì, maestro sufi del Khorasan
(morto nel 995), nel suo notevole trattato sul
misticismo islamico: "Gli attributi sono essenze
attive d'ogni suo Nome. La divergenza dei sufi sui
Nomi divini è perciò solo apparente; e alcuni
hanno sostenuto, come per gli attributi, che i Nomi
non sono né Dio né altri che Lui; e altri hanno
sostenuto che i Nomi di Dio sono Dio". Ciò in
accordo con Farid alDìn Attar: "I Suoi attributi sono
identici alla Sua essenza; e se tu guardi bene, Egli
è tutta essenza". Ancora Farid alDìn Attar diede,
nello stesso libro, un'opinione sostanziosa sulla
vacuità delle diatribe: "Se tu enumeri i
novantanove Nomi di Dio con noncuranza, non
farai altro che giocare con un guscio: di tutti i
Nomi non uno lascerà traccia in te, e di questi
cento-meno-uno non ne conoscerai la centesima
parte. Che intendi mai con questa enumerazione
che si può indifferentemente riferire all'adorato e
all'adoratore? Dio non conta la quantità enorme di
bontà che prodiga. Vorresti tu contare i Suoi Nomi
come un usuraio? Dio non ha dato accesso al Suo
Nome; come potremmo quindi celebrarLo con dei
nomi? Poiché la Sua Essenza non la puoi dire con
una sola parola, meglio vale non pronunciarne
alcuna" (canto VII: Il muezzin e il pazzo).
D'altro canto il valore dei Nomi, l'Essenza divina
racchiusa in essi, e purtuttavia il limite intrinseco
in essi di rappresentare Dio, eran già noti ancor
prima dell'Islàm. Dionigi detto l'Areopagita (IV-V
secolo) per parlare di Dio enumera anch'egli una
serie di Nomi: ""Io sono Colui che è, sono la Vita,
la Luce, Dio, la Verità"; e gli autori sacri Lo
celebrano con molti nomi presi da tutte le cose, in
quanto causa di tutte le cose. Lo celebrano con
molti nomi presi da tutte le cose create, come
Buono, Bello, Sapiente, Amorevole, Dio degli dèi,
Signore dei signori, Santo dei santi, Eterno,
Esistente, Autore dei secoli, Elargitore della vita,
Sapienza, Intelligenza, Verbo, Onnisciente,
Potenza, Potente, Re dei re, Antico dei giorni, Non
soggetto a vecchiaia né a cambiamento, Salvezza,
Giustizia, Santificazione, Redenzione, Colui che
tutto supera in grandezza".
I sufi non ignorarono - per quanto riguarda i Nomi -
questi bizantinismi della patristica cristiana, le
visioni dei filosofi neoplatonici e apocalittici e gli
ascetismi sasanidi. Così si giunse a speculazioni
estreme, come quelle proposte da Najam alDìn
Kobrà (o Kubrà, ?-1221) e quella esoterica di Ibn
al'Arabì. Kobrà partì dal punto di vista che i Nomi
si possono dividere in due categorie, apparizioni
della Luce divina: le Luci di Maestà e le Luci di
Bellezza, che rispettivamente ci dichiarano il "Dio
rivelato" e il "Dio nascosto". Abbiamo così la
"Maestà inaccessibile della Bellezza" e la "Bellezza
fascinante della Maestà inaccessibile". Ciò porta
alla sussistenza negativa e alla sussistenza
positiva della divinità - dando risposta ai contrasti
apparenti più sopra citati -, a una sorta di identità
maschile e a un'identità femminile interferenti per
necessità di creazione (in collegamento con il
concetto tantrico, o con quello di yin e yang), o più
esattamente "alla luce bianca e alla luce nera" e
alle varie categorie intermedie di Luce, in scala
evolutiva, che sono espresse dalla sequenza dei
Nomi e che costituiscono la "via" evolutiva del
misticismo per molte scuole sufiche. Come risulta
evidente dal contesto, questa posizione dilata
l'essenza stessa dell'Islàm e lo porta a inglobare
teorie orientali che possono apparire perfino in
contrasto con i dettami della teologia comune.
Posizione che ha portato Sohravardì (1155-1191) a
scrivere il Libro dei templi della Luce (Kitàb alNùr),
qui citato al Nome alNùru (n. 93).
Dal canto suo Ibn al'Arabì tracciò una mappa delle
correlazioni tra ventotto Nomi e ventotto "stazioni"
della luna. Ognuna d'esse corrisponde a una
lettera dell'alfabeto arabo e costituisce il simbolo
d'una manifestazione speciale; mentre la totalità
dell'alfabeto restituisce l'ordine cui obbedisce
l'universo intero. In base al tracciato zodiacale così
ottenuto, il sufi giunge alla verticale nadir-zenit,
acquisendo consapevolezza dell'eternità divina,
della permanenza dell'Identità dell'Unico
attraverso la molteplicità dei modi e degli aspetti
esistenziali. Raggiunta questa consapevolezza
(stazione sovrannaturale dell'anima), prende
ulteriormente coscienza dell'armonia che unisce
tutte le cose dell'universo e le trascende per
capire l'Uno. Ad ogni Nome è collegata una lettera
dell'alfabeto, secondo il codice esoterico ilm
alAbjad (scienza delle lettere), a sua volta legato
alla numerologia e alla divinazione (vedi tavola a
parte, pag. 275).
I ventotto Nomi sono distribuiti nel cerchio dei
dodici segni zodiacali, a partire da Ariete. Essi
sono:

1 alBadì'u (n. 95: il Novatore). Il Primo, l'Intelletto,


il Càlamo. Lettera: alef.

2 alBà'ithu (n. 50: il Risuscitatore).


L'Uno che fa nascere, l'Anima universale, la Tavola
celeste. Lettera hà.
3 alBàtinu (n. 76: il Nascosto). Il Segreto, la Natura
universale. Lettera 'ain.

4 alWàjidu (n. 65: Colui che incontra).


L'Ultimo, la Sostanza universale. Lettera khà.

5 alDhàhiru (n. 75: l'Apparente).


Il Manifesto, il Corpo universale. Lettera ghain.

6 alHakìmu (n. 47: il Sapiente).


Il Beninformato, la Forma. Lettera hà.

7 alMu'ìdu (n. 60: il Rigeneratore).


Colui che circonda tutto, il Trono. Lettera qàf.

8 alShakùru (n. 36: il Riconoscente).


Il Gradito, la Base, il Piedestallo. Lettera kàf.

9 alGhaniyyu (n. 88: il Ricco).


L'Indipendente, l'Autonomo. Il cielo attorno allo
Zodiaco. Lettera jìm.

10 alMuqtadiru (n. 70: Il Capace).


Il Potente. Il cielo delle stelle fisse. Lettera shìn.

11 alRabbi (il Maestro, il Signore, f. t.)


Il Signore. Primo cielo, Saturno dimora di Abramo.
Lettera ià.

l 2 al'Alìmu (n. 20: l'Onnisciente).


Colui che sa. Secondo cielo, Giove dimora di Mosè.
Lettera dhàd.

13 alQahhàru (n. 16: il Soggiogatore).


Il Vittorioso. Terzo cielo, Marte dimora di Aronne.
Lettera làm.

14 alNùru (n. 93: la Luce).


L'Illuminazione mentale, la Chiarezza, il Fuoco.
Quarto
cielo, il Sole dimora di Ermete. Lettera nùn.

15 alMusawwiru (n. 14: il Formatore).


Il Datore di forme. Quinto cielo, Venere dimora di
Giuseppe. Lettera rà.

16 alMuhshì (n. 58: il Numeratore).


Colui che enumera, reputa e considera. Sesto
cielo,
Mercurio dimora di Gesù. Lettera thà.

17 alMù'minu (n. 7: il Rassicurante).


Colui che evidenzia. Il settimo cielo, la Luna
dimora
di Adamo. Lettera dàl.

18 alQàbidu (n. 21: Colui che restringe).


Colui che provoca contrazione. La sfera dell'etere
e
delle meteore. Lettera tà.

19 alHayyu (n. 63: il Vivente).


Colui che esiste. L'aria. Lettera zài.

20 alMuhyi (n. 61: il Vivificatore).


Colui che dà la vita. L'acqua. Lettera sìn.

21 alMumìtu (n. 62: Colui che fa morire).


Colui che uccide. La terra. Lettera sàd.

22 alShahìdu (n. 51: il Testimone).


Il Prezioso. Minerali e metalli. Lettera zà.

23 alRazzàqu (n. 18: Colui che nutre).


Colui che nutre. Le piante. Lettera thà.

24 alMudhillu (n. 26: l'Umiliatore).


Colui che umilia. Gli animali. Lettera dhàl.
25 alQawiyyu (n. 54: il Vigoroso).
Il Vigoroso. Gli angeli. Lettera fà.

26 alLatìfu (n. 31: il Grazioso).


L'Indefinibile, il Misterioso. I jinn. Lettera bà.

27 alJàmi'u (n. 87: Colui che raduna).


Colui che raduna e riunisce. L'uomo. Lettera mìm.

28 alRàfi'u (n. 24: Colui che innalza).


Colui che possiede i livelli sublimi. I gradi
gerarchici
dell'esistenza nella loro essenza e non nelle loro
ma
nifestazioni. Lettera uàu.

Entriamo così nel dominio del valore esoterico dei


Nomi e del loro uso nelle pratiche di elevazione
mistica dei sufi, sia attraverso la
"rammemorazione" (dhikr) dei Nomi, sia
attraverso "stati" (ahwàl) e "stazioni" (maqàmàt)
specifici, corrispondenti a Nomi a loro connessi.
Le tappe del dhikr, che consiste inizialmente nella
ripetizione quantificata d'uno o più Nomi di Dio,
anche con l'aiuto di rosari che possono avere fino
a mille palline, sono state così descritte da Javad
Nurbakhsh, shaikh della Nimatallahiyya: "Vi sono
diverse tappe nel dhikr: 1) c'è il dhikr che si limita
alla ripetizione d'uno dei Nomi solo con la lingua,
senza la presenza del cuore. Secondo alcuni
shaikh anche questo genere di dhikr potrebbe
avere un certo effetto; 2) nella seconda tappa
anche il cuore partecipa assieme alla lingua al
ricordo di Dio attraverso il Suo Nome [...]; 3) nella
terza tappa il dhikr domina il cuore ed è
fortemente radicato nel cuore [...]; 4) nella quarta
tappa è il Rammemorato che viene a dominare il
cuore".
I gradi e le stazioni dell'evoluzione dei sufi
attraverso i Nomi sono stati riassunti in un testo
del maestro 'Abd alKarìm alJìlì (nato nel 1336), che
ritengo utile citare per intero. Si tratta del
Disvelamento (tajallì) dei Nomi divini, capitoletto
dall'opera AlInsàn alKàmil (L'uomo universale, o
L'uomo realizzato): "Quando Dio l'Altissimo Si
rivela a uno dei Suoi servi con un Nome, questo
servo è rapito fuor da se stesso dalle folgorazioni
del Nome divino, di modo che, se tu invochi Dio
con questo Nome, sarà il servo a risponderti,
poiché il Nome divino s'applicherà oramai a lui.
"Il primo grado in quest'ordine spirituale è la
contemplazione di Dio che Si rivela come "Colui
che è reale" (alMaùjùdu), ed ecco che questo
Nome si riferisce all'adoratore stesso. Oltre questo
grado Dio Si rivela anzitutto col Nome "L'Unico"
(alWàhidu), poi col Nome ALLÀHU. A questo punto
il servo sviene a causa dell'irradiazione divina, la
montagna si fende e Dio verità (alHaqqu) lo
chiama dall'alto del Sinai nella Sua Realtà
essenziale (haqìqah): "In verità Io sono Dio; non
v'è altra divinità se non Me. AdoraMi" (Corano XX,
14); e Dio cancella il nome del servo e pone in suo
luogo il Nome Dio (Allàhu), di modo che se tu dici:
Allàhu il servo ti risponde: "Sono ai tuoi ordini".
"Poi, se il servo s'eleva ancora e Dio lo rafforza e
lo conferma, dopo la sua estinzione (fanà), nello
stato di sussistenza (baqà), Dio stesso risponderà
a chiunque invocherà questo servo. Così ad
esempio quando tu dici: "O Maometto!", Dio
stesso ti risponde: "Sono a tua disposizione".
"Poi, se il servo prosegue nella sua evoluzione, Dio
Si rivela a lui con il Nome di "Misericordioso"
(alRahmànu), poi con quello di Signore (alRabbu),
poi col Nome di Re (alMaliku), poi col Nome di
Conoscitore (al'Alìmu), poi col Nome di Potente
(alQàdiru). Ciascuno di questi Nomi implica una
rivelazione superiore a quella conferita dal Nome
precedente, perché Dio Si manifesta in modo
sempre più chiaro rivelandoSi distintamente:
quando Si svela al Suo adoratore come Clemente,
differenzia Così la Sua manifestazione totale
espressa dal nome Dio; così quando Si manifesta
come Signore differenzia la Sua manifestazione -
relativamente globale - quale Misericordioso in
virtù del nome Re. Quest'ordine è l'inverso di
quello che si applica alle manifestazioni
dell'Essenza in Se stessa, manifestazione la cui
eccellenza diminuisce dall'universale al
particolare, Misericordioso essendo superiore a
Signore, e Dio superiore all'uno e all'altro. In virtù
di questa analogia inversa tra la gerarchia delle
rivelazioni nominali, l'adoratore esaurisce le
rivelazioni dei Nomi - la cui realtà intrinseca è
sempre l'Essenza - subendo ciascuno di loro
perché ogni Nome divino lo esige di volta in volta
e si applica a lui come al soggetto stesso. Allora
l'uccello della sua intimità canterà sui rami della
sua santa realtà: "A colui che invoca i nomi della
mia amata rispondo: / io chiamo, e Layla risponde
al mio grido. / È così perché noi siamo uno spirito
solo; / ed è bizzarro: voi ci chiamate due corpi. /
Siamo come una sola persona con due nomi e una
sola essenza. / Con qualsiasi nome tu invochi
l'Essenza, con quel nome ti visiterà. / La mia
essenza è la Sua Essenza, e il mio nome è il Suo
Nome. / La mia relazione con lei è che io mi
anniento nell'unione. / In realtà non siamo due
essenze in un solo essere: / ma l'amante è egli
stesso l'Amara".
"Cosa strana: l'essere umano che riceve le
rivelazioni dei Nomi divini contempla solo
l'Essenza pura senza esser cosciente del Nome
che gliela rivela; tuttavia si discerne il Nome
divino che lo domina perché il contemplativo si
riferisce all'Essenza grazie al Nome che regge al
tempo stesso la sua contemplazione dell'Essenza.
"In questa contemplazione per mezzo dei Nomi
divini gli esseri umani differiscono gli uni dagli
altri. Parlerò di alcune delle loro vie pur senza
descriverle tutte, visto che è impossibile
enumerare tutti i Nomi divini e a maggior ragione
le vie d'approccio a ciascuno di questi Nomi;
perché gli esseri umani che ricevono la rivelazione
divina con un solo e medesimo Nome divino
differiscono tuttavia nelle loro attitudini.
Accennerò solo, di tutto ciò, a quel che mi capitò
nel mio viaggio spirituale in Dio; d'altronde non
racconterò nulla, in questo libro - né di me né di
altri -, senza averlo provato io stesso nel tempo in
cui percorrevo in Dio la via dell'intuizione
(alKashfu) e della visione diretta (alMu'àyanuh).
Torniamo dunque a ciò che intendevo dire dei vari
modi con cui gli esseri umani ricevono le
rivelazioni dei Nomi divini. Ad alcuni Dio Si rivela
come l'Antico dei giorni (alQadìmu), e giungono a
questa rivelazione con l'intuizione della loro
preesistenza nella Conoscenza divina: riconoscono
che sussistevano prima della creazione per il fatto
stesso che la Conoscenza divina, di cui essi sono
l'oggetto, è eterna. Dio è per Sua essenzialità
conoscitore; ebbene, l'oggetto della conoscenza
non potrebbe essere separato da lei, dal momento
che la conoscenza è conoscente in relazione al suo
oggetto; ossia la conoscenza dell'oggetto definisce
la natura del soggetto conoscente, di modo che,
se la conoscenza è eterna, anche il suo oggetto
deve essere eterno; da cui deriva che gli esseri
preesistono nella Conoscenza divina. Certi tornano
dunque a Dio in virtù del Suo Nome l'Antico dei
giorni; quando l'Antichità dell'Essenza Si svela ad
essi, la loro esistenza effimera svanisce ed essi
sussistono eternamente in Dio, inconsapevoli della
loro condizione temporale.
"Ad altri Dio Si rivela come Verità (alHaqqu) ed
essi vi giungono perché Dio rivela loro la Verità
divina espressa nella parola coranica: "Noi
abbiamo creato con Verità i cieli, la terra e quel
che si trova fra loro" (XV,85 e XLVI,2-3). Quando
l'Essenza Si svela grazie al Suo Nome Verità, la
natura creata dal contemplativo svanisce e
sussiste solo la Sua Essenza santa e trascendente.
"Ad altri Dio Si rivela col Nome l'Unico (alWàbidu)
e li conduce a questa rivelazione mostrando
l'unicità intrinseca del mondo, che procede
dall'Essenza divina come le onde provengono
dall'oceano. Contemplano la manifestazione di Dio
nella moltitudine delle creature che si
differenziano in virtù dell'unicità divina. Allora la
loro montagna si fende: colui che invoca cade in
deliquio; la sua molteplicità si fonde nella Unicità
dell'Unico; le creature sono come se mai fossero
state e Dio appare come Colui che mai termina.
"Ad altri Dio Si rivela col Nome il Santissimo
(alQuddùsu) ed essi giungono a questa rivelazione
comprendendo intuitivamente il segreto della
parola divina "quando, formatolo completamente,
gli avrò insufflato il Mio Spirito" (Corano XV,29 e
XXXVIII,72). Dio insegna loro che lo Spirito di Dio è
Dio stesso, e ch'Egli è Santo e Trascendente.
Orbene, non appena Dio Si svela nel Suo Nome il
Santissimo, il servo è spogliato delle impurità
dell'esistenza e sussiste in Dio, trascendendo ogni
caducità.
"Ad altri Dio Si rivela col Nome l'Apparente
(alDhàhiru). Essi hanno l'intuizione della Luce
divina che Si manifesta nelle cose fisiche e
riconoscono in ciò che Dio solo appare. Ebbene:
quando Dio Si svela come l'Apparente, il servo si
spegne con tutta la creazione - non essente in se
stessa - nella manifestazione dell'Essere divino.
"Ad altri Dio Si rivela col Nome l'Inferiore
(alBàtinu) e vi accedono intuendo che le cose
sussistono grazie a Dio, loro Realtà interiore.
Quando Dio Si rivela come l'Inferiore, la
manifestazione del servo, proiettato dalla Luce
divina, si spegne. Dio diventa l'interiorità del servo
e questi l'esteriorità di Dio.
"Per ciò che concerne la rivelazione divina col
Nome Dio (Allàhu), la via che vi conduce non può
essere delimitata, come d'altronde è in effetti per
ogni altra rivelazione grazie ai Nomi divini, come
detto sopra: non potremmo delimitare del tutto le
vie che conducono a queste rivelazioni dal
momento che le loro modalità variano in ragione
delle disposizioni degli esseri umani. Quando Dio
Si rivela al Suo servo con il Nome Dio, l'anima del
servo si spegne, Dio Si pone al suo posto,
purificando il suo tempio dalle pastoie
dell'effimero e spezzando i legami che lo fissano
alle esistenze. Allora egli è solo essenza e solo
qualità, non riconoscendo padre e madre
("Ricordati di Dio e Dio si ricorderà di te";
"Contempla Dio e Dio ti contemplerà"). Allora, con
la lingua del suo stato, canta: "Essa [la Realtà
divina, alHaqìqah] mi attira, / sostituendosi a me
in me; / e mi ha sostituito, certo, ma dove sono io
ora? / Io divento Lei, ed Essa è me stesso. / Per
Essa non esiste nessun unico che La desidera. /
Sussisto grazie a Lei in Lei; non sussiste un 'tu' fra
di noi. / Il mio stato con Lei fu nel passato come
sarà in avvenire; / perché ho elevato la mia anima
ed Essa ha tolto la barriera. / Mi sono destato dal
sonno, mi sono alzato dal letto. / Essa mi ha
mostrato a me stesso con l'occhio della mia realtà
essenziale, / ed è sulla fronte della Bellezza che io
leggo questi caratteri. / Ho levigato la mia bellezza
interiore perché diventasse lo specchio / sul quale
incidere i tratti della Completezza. / Le Sue qualità
sono le mie, la mia essenza la Sua, / e nelle Sue
virtù albeggia per me la Bellezza: / il mio nome è
veramente il Suo Nome, e il Nome della Sua
Essenza è il mio".
"Ad altri ancora Dio Si rivela con il Nome il
Misericordioso (alRahmànu). Dio, rivelandoSi ad
essi col Nome Dio (Allàhu), li dirige con la Sua
Essenza verso il grado divino supremo, che
sintetizza gli aspetti della Gloria e che penetra
tutte le esistenze. È la via che conduce alla
rivelazione dell'Essenza tramite il Nome il
Misericordioso. In questo stato in cui il divino Si
svela, la spiritualità del servo, che è pur sempre
legato alla materia, richiede che i Nomi divini
discendano in lui l'uno dopo l'altro e che ne riceva
secondo quanto della propria Luce essenziale Dio
depose in lui. I Nomi si succedono sino a che il
servo riceve la rivelazione divina col Nome il
Signore (alRabbu). Allora discendono in lui i nomi
della Persona (alNafs) divina, che si trovano sotto
il dominio del Nome il Signore e che sintetizzano
gli aspetti del divino e del creato, quali il
Conoscitore (al'Alìmu), il Potente (alQadìru) e
analoghi. La loro susseguenza conduce al nome il
Re (alMaliku); e quando il servo riceve questo
Nome e Dio Si rivela a lui essenzialmente, tutti gli
altri Nomi, in tutta la loro pienezza, discendono del
pari in lui l'uno dopo l'altro sino al Nome il
Sussistente (alQayyùmu). Quando il servo riceve
quest'ultimo Nome e Dio Si rivela a lui con questo,
passa dal "disvelamento dei Nomi divini" al
"disvelamento delle qualità divine"".
Dirò, per inciso, che le qualità divine, penultima
tappa dell'ascesa mistica che si conclude con il
"disvelamento dell'Essenza (alDhet)" di Dio, sono:
la Conoscenza (al'ilm), la Vista (alBasar), l'Udito
(alSam'), la Parola (alKalàm), la Volontà (alIràdah),
l'onnipotenza (alQudrah).
Le irradiazioni mistiche che scaturirono nel corso
dei secoli dalle speculazioni dei sufi non rimasero
limitate alla loro cerchia ma illuminarono altri
ricercatori dello spirito, in Oriente e in Occidente,
nei tempi passati e ancor oggi. Ne sia esempio
maggiore il testo del mistico ebreo spagnolo
Bahya bn Paqùda, che nel 1080 (tempo felice in
cui nella Spagna musulmana convivevano
serenamente le tre religioni rivelate) scrisse in
arabo una Introduzione ai doveri del cuore.
Al capitolo decimo (Gli attributi di Dio secondo la
ragione e secondo la Scrittura) dice: "Gli attributi
divini, intelligibili o rivelati, che hanno qualificato il
Creatore [...], possono raggrupparsi in attributi
d'Essenza e in attributi d'azione. Chiamiamo
attributi di Essenza quelli che esistevano in Dio
prima della creazione e sussisteranno sempre in
Lui, convenendo alla Sua sola Gloria. Sono
l'esistenza, l'unità e l'eternità [...]. Gli attributi
d'azione derivano dalle opere di Dio [...]. Possiamo
classificarli in due gruppi: il primo comprende
attributi che esprimono una similitudine o una
forma corporea [...]; i secondi comprendono quelli
che esprimono movimenti o atti materiali [...].
I Libri sacri traducono questi concetti usando
parole molto concrete e familiari agli uomini. Se
qualificassero Dio con gli attributi che Gli
convengono, se esprimessero le cose dello spirito
con linguaggio spirituale, noi non ne capiremmo
né le parole né lo spirito. È impossibile adorare un
Essere che non conosciamo, rendere un culto a ciò
che ci è sconosciuto. È necessario dunque che le
parole e quel che traducono siano a misura
dell'intelligenza degli uomini cui si rivolgono.
Le realtà penetrano nei cuori anzitutto sotto la
forma materiale espressa dalle parole. Poi
dobbiamo sforzarci di conoscerne la saggezza, di
scoprirne il senso, con intelligenza e penetrazione,
per riconoscere che si tratta solo d'espressioni
approssimative e di figure retoriche. In effetti il
significato autentico è troppo sottile, elevato,
vasto e profondo perché noi possiamo capirne la
simbologia divina. L'uomo dotato di intelligenza si
sforzerà di spogliare le parole dalla loro scorza
corporea per scoprire la realtà che esprimono. Il
suo spirito si eleverà di grado in grado fino a
raggiungere, secondo la sua forma, la realtà
dell'essere (...). Dio chiede all'uomo di fare solo ciò
che è in grado di fare, secondo la forza del suo
spirito, della sua intelligenza e dei suoi mezzi ".

Il centesimo Nome di Dio

In margine all'esegesi dei novantanove Nomi di


Dio, e come conclusione di quest'ultima parte del
libro, chiniamoci ora su un aspetto particolare d'un
islamismo che non si disgiunge da quell'irrazionale
di cui si nutre il nostro inconscio e che fa parte
comunque della vita d'ogni essere umano, al pari
della sua sete di Dio e delle sue paure della morte.
Il gusto per l'immaginifico e per il favolistica,
precipuo delle popolazioni orientali, turche,
mongole, cinesi o a queste affini, ha creato una
parabola-emblema particolare: il concetto che nel
Corano i Nomi di Dio non sono novantanove, ma
cento. Il centesimo è nascosto, noto solo ai mistici
illuminati, e chi conosce il "centesimo Nome",
pronunciandolo ha il potere di dare vita o morte.
Alcuni trattatisti hanno accolto questi racconti
favolistici, o per contro hanno parlato di un
centesimo Nome che emerge dalla conoscenza e
dal raggiungimento d'un alto grado di
consapevolezza mistica.
Rammentando che - caratteristica precipua
dell'Asia - attraverso le favole e le parabole i sufi
veicolano verità spirituali profonde, eccovi ora due
di questi racconti. Nell'Elahi-Nameh (Il Libro
divino) di Farid alDìn Attar (1140 c.-1230)
leggiamo (Settimo canto, 1):
"Gesù è il Più Grande Nome. Un giorno un tale
chiese a Gesù quale fosse il più grande Nome di
Dio. Gesù rispose: "Tu non sei degno di saperlo.
Perché desiderare una cosa quando non la si
merita?". L'uomo tuttavia insisteva perché Gesù
gli rivelasse il Nome. Alla fine Gesù glielo insegnò,
accendendo nel cuore di quell'uomo una fiamma
di gioia come una candela. Ebbene, l'uomo,
attraversando un giorno il deserto con passo
rapido come il vento, vide d'improvviso nel bel
mezzo della pista una fossa colma di ossa. Ci
pensò su e poi decise di far ricorso al Più Grande
Nome, per provarne il potere. Invocando il Nome
chiese a Dio di rianimare quelle ossa. Come ebbe
pronunciato il Nome le ossa si riunirono tornando
in vita. Da esse sorse un leone che lanciava
fiamme dagli occhi e che con un sol colpo degli
artigli uccise l'uomo rompendogli la schiena con la
violenza del suo attacco. Dopo aver divorato
l'uomo che aveva ucciso, ne lasciò le ossa nel bel
mezzo della pista, di modo che la fossa che prima
aveva contenuto le ossa del leone ora contenne
quelle del pover'uomo... ".
Una vicenda analoga è raccontata anche da Jalal
alDìn Rùmì (Masnavì, II, vv. 141-155 e 457-473).
In Saggezza islamica (Edizioni Paoline, Milano) io
stesso ripresi la favolistica dei sufi intesa nella mia
infanzia:
"Al tempo del grande imperatore Akbar viveva in
India un maestro sufi, famoso perché -
conoscendo il centesimo Nome di Dio - aveva
potere di vita e di morte su tutte le cose.
"Ora avvenne che un giorno un venerabile shadu
(asceta) hindù andò da lui e gli disse: "Io sono un
mistico; ho passato tutta la vita in meditazioni e
digiuni. Per i miei allievi sono un grande maestro e
compio opere buone in tutto il paese. Dovresti
svelarmi il centesimo Nome di Dio, perché lo
merito e me ne avvarrò per compiere prodigi
salutari". "Certo - rispose il maestro sufi. - Tuttavia
debbo sottoporti a una prova per sapere se
davvero meriti che te lo confidi. Così pretese il mio
maestro. Si tratta di questo: è mattino; va' alla
porta della città e restaci sino a che verrà chiusa,
al calar della sera. Poi torna da me, e io saprò quel
che avrò da fare". "Una cosa così semplice? Io
rimango in meditazione, immobile, anche intere
giornate. Non mi sarà difficile!", rispose l'altro. E
se ne andò.
"Ritornò a sera, e subito disse: "Maestro, come
vedi sono rimasto davanti alla porta della città
tutto il giorno, perciò puoi dirmi il Nome segreto.
Anzi, pensa: se l'avessi già saputo, poco fa avrei
già potuto operare secondo giustizia. Infatti,
mentre stavano per chiudere la porta della città,
ecco che è venuto dai monti un vecchio, scarno,
stanco, con un carico di legna che aveva raccolto
nella giornata. La guardia della porta gli ha chiesto
di pagare il dazio per la legna. Il vecchio ha
risposto: 'Ora non ho denaro, ma se mi fai credito,
vado in città a vendere la legna, poi torno e pago';
ma la guardia, urlando arrabbiata, ha risposto: 'E
che?! Credi di prendermi in giro? Volevi passare
senza pagare il dazio, perciò io ti sequestro la
legna'. E infatti l'ha fatta scaricare nella sua
garitta e ha cacciato quel vecchio fuor dalle mura,
nel freddo e nel buio della notte. Vedi, davanti a
un sopruso del genere avrei pronunciato il Nome
segreto inviando la morte su quella guardia, ed
avrei fatto così un'opera di giustizia aiutando quel
povero vecchio. Merito bene di sapere il Nome".
"Ne sei proprio sicuro? - ribatté il maestro sufi. -
Vedi:
anch'io ho avuto un maestro, che a tempo e luogo
mi ha insegnato il Nome segreto. E sai chi è stato
il maestro? Quel vecchio che tu hai visto col carico
di legna alla porta della città, e che ora è fuori
nella notte, al freddo e al buio"".
Per Nur alDìn Abdurrahmàn-i Isfaràyinì (1242-1317
c.) il centesimo nome di Dio è il Parlante
(Mutakallim), come dice nel suo Kàshif alAsràr (Lo
svelatore dei misteri):
"Per quale ragione segreta l'Eletto ha totalizzato in
Lui questi novantanove Nomi e non il centesimo?
Tutti conoscono l'hadìth trasmesso con la
testimonianza di Abù Huraya: "Dio ha
novantanove Nomi; cento meno uno; [colui che li
conosce a memoria diventa l'impari che entra in
paradiso] Dio ama il numero dispari". Ma Dio ha
svelato a questo Suo umile servo che l'unico Nome
mancante per completare il centinaio è quello che
distingue ogni profeta, e cioè il Parlante
(Mutakallim). Ciò è provato dal fatto che gli otto
attributi dell'Essenza regale sono contenuti nei
novantanove Nomi, eccezion fatta per gli attributi
il Preesistente (Qadìm), il Parlante (Mutakallim) e
Colui che vuole (Murìd), dal momento che nessuno
può conoscere il Signore nel Suo attributo Parola
(Takallum: Colui che parla) se non il profeta; e il
fatto che questo attributo divino è il termine
iniziale della profezia è provato dal fatto che
Gabriele apparve per la prima volta a Maometto
portandogli la Parola dicendo: "Recita nel Nome
del tuo Signore". È indubbio che i profeti hanno
consapevolezza di come Dio parla loro, mentre
tutti gli altri esseri non hanno la possibilità di
accedere a questa conoscenza. Ed è pur vero che
certi iniziati affermano che Dio ha detto loro la tale
o la talaltra cosa, o che da Lui l'hanno udita, ma è
questa un'immagine che designa quel che si
chiama "ispirazione" (ilhàm), che giunge al loro
cuore; e c'è una grande differenza fra Parola
inviata e Ispirazione. Tuttavia solo Dio è
onnisciente ".
Sempre a proposito del "Nome segreto", il gran
Nome (ism Allàh alA'zam), Ibn al'Arabì, nella sua
agiografia sugli atti e le opere del grande mistico
Dhù alNùn alMisry, morto nell'860 (alKawkab
alDurry fy manàqib Dhù alNùn alMisry: L'astro
sfavillante dei titoli di gloria di Dhùlnùn) riporta:
"Abù al'Abbàs al'Abbàsy testimonia: Quando [dopo
un suo miracolo] la folla si disperse, l'abbordai e
gli chiesi: "Vedo che possiedi il centesimo Nome".
"Lasciami", mi disse. "Non ti lascerò se non me lo
avrai insegnato", insistetti. Allora si volse a me e
mi disse: "Uomo, quando il tuo cuore sarà
diventato limpido, chiamalo come vorrai e sarà
questo il centesimo Nome". [Anche Ahmad bn
Saydabùn portò questa testimonianza:] Mi trovai
in sua presenza e gli chiesi quale è il Grande
Nome di Dio. Raccolse un sasso e me lo scagliò
contro senza profferir parola. Capii: quando il
servo è sincero ed è divenuto perfetto, ecco! Si
racconta la storia analoga di Abù Yazyd alBistàmy,
che avrebbe detto: "Mostramene il Più Piccolo, e io
ti farò vedere il Più Grande". Poi, gridando, disse:
"I Nomi di Dio sono tutti Grandi, ma sii sincero, e
potrai scegliere qualsiasi Nome"".
D'altronde anche Jafar Sadeq ha detto: "Libera il
tuo cuore da tutto ciò che non è la
rammemorazione di Dio. Allora chiama Dio con un
Nome qualsiasi, e quello diverrà "Il Più Gran
Nome"".

E per concludere leggiamo una muqatta'àt di


alHallaj: "Un Nome che Lo ricolleghi alla Sua
creazione? Quanti l'hanno cercato ansiosamente,
per conoscere questo, della Sua essenza. Ma non
saremo in grado di passare direttamente da Dio a
una causa creata che manifesti di forza Colui che
l'ha manifestata".

Tavola della "Scienza delle lettere"


(Ilm alAbjad)
FUOCO
à1 h5 t9 m40 f80 s300 dh700

ARIA
b2 ù6 ì10 n50 zh90 t400 d800

ACQUA
j3 z7 k20 s60 q100 th500 z900

TERRA
d4 h8 l30 '70 r200 kh600 sh1000

Tavola della "Scienza delle lettere"


(abjad hurat)

a1 b2 t400 th500 j3 h kh600

d4 dh700 r200 z7 s60 sh300 s90

d800 t9 z900 gh1000 f80 q100

k20 l30 m40 n50h5 u6 i10

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