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III.

‘Cambiar casa’: un’opzione limitata


La separazione personale faceva legalmente cessare l’obbligo di coabitazione dei coniugi che
secondo la previsione del legislatore italiano riacquistavano così la libertà di scegliere ove stabilire
la loro residenza. Peraltro, non sono mancate pronunzie che, invocando il diritto del coniuge
separato a vigilare sull’educazione dei figli affidati all’altro coniuge ebbero a limitare tale libertà. In
base all’art. 155 c.c. il marito ha sempre il diritto di vedere i propri figli e di vigilare slla condotta
della madre e sull’educazione dei figli, nella stessa modalità. La madre può fissare ove vuole la
residenza ma non si tratta di una libertà assoluta perché offenderebbe come tale i diritti del marito e
del padre rispetto alla prole. Ne consegue che la moglie deve fissare la dimora, rendendola nota al
marito, in odo da non rendere irrisorio l’esercizio del diritto correlativo del marito di vigilare a
difesa del suo cuore e dei suoi interessi, e vedere i suoi figli e di provvedere al miglior andamento
della loro educazione. In caso contrario l’autorità giudiziaria dovrebbe imporre che i figli fossero
accolti in un collegio per conseguire tale scopo.
Era abitualmente ammesso che con la separazione giudiziale o volontaria fosse stabilito un luogo
preciso ove la moglie o il marito dovessero abitare, un luogo che però poteva diventare obbligato
per l’interesse dei figli. Ordinariamente, pendente il giudizio di separazione, il Presidente del
tribunale, fallito il tentativo di riconciliazione, nel rinviare le parti dinanzi il collegio giudicante,
aveva il potere di emettere quei provvedimenti temporanei che ravvisasse urgenti nell’interesse dei
coniugi e della prole. Fra di essi vi era, quello di autorizzare ii coniugi a vivere provvisoriamente
separati qualora, dai fatti enunciati nella domanda di separazione, avesse tratto la convinzione che la
coabitazione si fosse mostrata pericolosa per la vita o la salute di uno dei coniugi, e senza necessitò
che vi fossero provati gli estremi per la separazione personale.
A differenza del diritto francese, il magistrato aveva la facoltà e non l’obbligo, nell’autorizzare la
donna ad allontanarsi dal domicilio coniugale, di assegnarle una residenza che, in mancanza, era da
lei stabilita e l’abbandono della donna della dimora a lei assegnata non comportava conseguenze
gravose come quelle previste dal codice Napoleone. La rigidità del Code e i liti attribuiti alla donna
separata, racchiusi nella legge 6 febbraio 1893, stabilivano che tutti gli atti concernenti lo stato della
moglie, come ad esempio la sua adozione o legittimazione, dovessero essere notificati, sotto pena di
nullità, al domicilio del marito che, come capo della famiglia, doveva esserne avvertito e messo in
condizione di intervenire. Quanto alla separazione di fatto, la giurisprudenza italiana, essendo
prevista nel c.c. la separazione per mutuo consenso all’art. 158, non aveva esitazioni ad affermare
che la moglie separata di fatto conservasse il domicilio del marito.

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