La separazione personale faceva legalmente cessare l’obbligo di coabitazione dei coniugi che secondo la previsione del legislatore italiano riacquistavano così la libertà di scegliere ove stabilire la loro residenza. Peraltro, non sono mancate pronunzie che, invocando il diritto del coniuge separato a vigilare sull’educazione dei figli affidati all’altro coniuge ebbero a limitare tale libertà. In base all’art. 155 c.c. il marito ha sempre il diritto di vedere i propri figli e di vigilare slla condotta della madre e sull’educazione dei figli, nella stessa modalità. La madre può fissare ove vuole la residenza ma non si tratta di una libertà assoluta perché offenderebbe come tale i diritti del marito e del padre rispetto alla prole. Ne consegue che la moglie deve fissare la dimora, rendendola nota al marito, in odo da non rendere irrisorio l’esercizio del diritto correlativo del marito di vigilare a difesa del suo cuore e dei suoi interessi, e vedere i suoi figli e di provvedere al miglior andamento della loro educazione. In caso contrario l’autorità giudiziaria dovrebbe imporre che i figli fossero accolti in un collegio per conseguire tale scopo. Era abitualmente ammesso che con la separazione giudiziale o volontaria fosse stabilito un luogo preciso ove la moglie o il marito dovessero abitare, un luogo che però poteva diventare obbligato per l’interesse dei figli. Ordinariamente, pendente il giudizio di separazione, il Presidente del tribunale, fallito il tentativo di riconciliazione, nel rinviare le parti dinanzi il collegio giudicante, aveva il potere di emettere quei provvedimenti temporanei che ravvisasse urgenti nell’interesse dei coniugi e della prole. Fra di essi vi era, quello di autorizzare ii coniugi a vivere provvisoriamente separati qualora, dai fatti enunciati nella domanda di separazione, avesse tratto la convinzione che la coabitazione si fosse mostrata pericolosa per la vita o la salute di uno dei coniugi, e senza necessitò che vi fossero provati gli estremi per la separazione personale. A differenza del diritto francese, il magistrato aveva la facoltà e non l’obbligo, nell’autorizzare la donna ad allontanarsi dal domicilio coniugale, di assegnarle una residenza che, in mancanza, era da lei stabilita e l’abbandono della donna della dimora a lei assegnata non comportava conseguenze gravose come quelle previste dal codice Napoleone. La rigidità del Code e i liti attribuiti alla donna separata, racchiusi nella legge 6 febbraio 1893, stabilivano che tutti gli atti concernenti lo stato della moglie, come ad esempio la sua adozione o legittimazione, dovessero essere notificati, sotto pena di nullità, al domicilio del marito che, come capo della famiglia, doveva esserne avvertito e messo in condizione di intervenire. Quanto alla separazione di fatto, la giurisprudenza italiana, essendo prevista nel c.c. la separazione per mutuo consenso all’art. 158, non aveva esitazioni ad affermare che la moglie separata di fatto conservasse il domicilio del marito.