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Bernardino Romano

CONTINUITA’ AMBIENTALE
Pianificare per il riassetto ecologico del territorio

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Università dell’Aquila
Dipartimento di Architettura e Urbanistica

Bernardino Romano

CONTINUITA’ AMBIENTALE
Pianificare per il riassetto ecologico del territorio

Le immagini fotografiche, salvo diversa indicazione, sono dell’Autore

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A Lucia ed Elena

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“…vasta come un oceano….una visione biblica…
una profezia dell’ Apocalisse che si adempie sotto i vostri occhi”
(Dostoevsky parlando di Londra)

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Bernardino Romano

CONTINUITA’ AMBIENTALE
Pianificare per il riassetto ecologico del territorio

Presentazione di Giulio Tamburini

Introduzione
1. Le reti ambientali nella pianificazione
1.1. Un processo in itinere
1.2. Gli orientamenti europei
1.3. Le iniziative italiane
1.4. Il ruolo possibile della pianificazione
1.5. Le responsabilità politiche e disciplinari

2. La continuità ambientale
2.1. Una lettura del territorio
2.2. L’impostazione metodologica
2.2.1. Il concetto di biopermeabilità del territorio
2.2.1.1. Le forme d’uso del suolo
2.2.1.2. Gli elementi idrografici
2.2.1.3. Gli elementi morfologici
2.2.2. Le barriere e gli indicatori di frammentazione territoriale
2.2.2.1. Le barriere urbane
2.2.2.2. Le barriere infrastrutturali
2.2.3. La geografia della continuità ambientale
2.2.3.1. Gli strumenti di lettura
2.2.3.2. La struttura della continuità in Italia

3. Le linee di orientamento del piano


3.1. La pianificazione territoriale
3.2. La pianificazione delle aree protette
3.2.1. Le barriere nei parchi
3.2.2. Le reti ambientali nella pianificazione delle aree protette
3.2.3. L’analisi ambientale relazionale
3.2.4. Gli schemi zonali nei parchi
3.2.5. Struttura zonale, continuità e reazioni sociali
3.3. La pianificazione urbanistica
3.3.1. Continuità ambientale e pianificazione comunale
3.3.2. La misura degli effetti di frammentazione del piano

4. Il riassetto ecologico del territorio


4.1. La continuità ambientale e le reti ecologiche
4.2. Il ruolo del dato ecologico
4.3. Il progetto di deframmentazione

5. Indirizzi normativi e di intervento per la pianificazione e la gestione della continuità


ambientale

APPENDICE DOCUMENTALE

CASI DI STUDIO

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Caso di studio 1
Comune di Vittorito, Università dell’Aquila (Dipartimento di Scienze Ambientali)
Monitoraggio ambientale del fiume Aterno (AQ)

Caso di studio 2
Università dell’Aquila (Dipartimento di Scienze Ambientali)
Il corridoio ecologico di Carrito, tra il Parco Nazionale d’Abruzzo e il Parco Regionale Sirente-Velino

RACCOMANDAZIONI INTERNAZIONALI, DIRETTIVE E PROGRAMMI

Corridors, transition zones and buffers: tools for enhancing the effectiveness of protected areas (IUCN – Caracas 1992)

The EECONET Declaration (1993)

Birds Directive 79/409/EEC (UE 1979)

Habitat Directive 92/43/EEC (UE 1992)

Importance of the international designated sites for the Pan European Ecological Network (Council of Europe 1998)

The EMERALD Network - A network of areas of special interest in Europe (1996)

INIZIATIVE ATTIVE IN SEDE ISTITUZIONALE E SCIENTIFICA SULLE RETI ECOLOGICHE IN


ITALIA

Progetto Monitoraggio Reti Ecologiche – ANPA (Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente), 1998-2000

La rete ecologica nazionale – Ministero dell’Ambiente (Servizio Conservazione della Natura), 1999

Progetto APE (Appennino Parco d’Europa) – Ministero dell’Ambiente, Regioni appenniniche, 1997

PLANECO, Planning in Ecological Network – Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica 1998-2000
Università dell’Aquila, Camerino, Pescara, Roma Tre, Molise.

ECONET – Life Environment – Leader Cheshire County Council (UK) – 1998-2002


Partner italiani: Regione Emilia Romagna, Provincia di Modena, Provincia di Bologna, Regione Abruzzo, Università
dell’Aquila.

ALCUNE NORMATIVE DI PIANIFICAZIONE TERRITORIALE CON RIFERIMENTI AL SISTEMA


ECOLOGICO

Regione Basilicata
Legge regionale n. 23 del 11-08-1999
Tutela, governo ed uso del territorio

Regione Abruzzo
Disegno di legge regionale di semplificazione
Ai sensi dell’art. 9, l. R. 3 marzo 1999, n. 11- 1 ottobre 2003
Territorio e urbanistica

Regione Abruzzo
Delibera di G.R. n. 3582/c del 30.12.98
Norme di salvaguardia relative alle aree contigue dei parchi nazionali e regionali

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PAGINE WEB SULLE RETI ECOLOGICHE INTERNAZIONALI

ECNC
The European Centre for Nature Conservation

IENE
Infra Eco Network Europe

BIBLIOGRAFIA CITATA NEL TESTO

BIBLIOGRAFIA GENERALE

ELENCO DELLE FIGURE NEL TESTO

Fig. 1. Due esperienze in corso in Spagna:


1a. Il sistema dei parchi spagnoli dell’Anella Verda di Barcellona
1b. Il Corredor Verde nella conca del fiume Guadiamar verso il Parco nazionale del Coto Donana.

Fig. 2. La rete ecologica della Polonia (Liro, 1995)

Fig. 3. Una greenway urbana di New York (Little, 1990)

Fig. 4. Scenari di ripristino ambientale nella esperienza Rhine Econet in Olanda (Ministry of Transport, 1996)

Fig. 5. Ambienti montani nel territorio dell’Appennino Centrale

Fig. 6. La rete ecologica nel Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Milano (Malcevschi, 1999)

Fig. 7 – Le aree di studio e di intervento dell’ Econet Life Environment (Cheshire County Council, 1999)

Fig. 8 – Schema dei livelli culturali di conoscenza ecologica in Italia (Pungetti, Romano, 1999)

Fig. 9 – Geografia delle aree contigue ex l. 394/91 nella Regione Abruzzo

Fig. 10. Una tipica elaborazione dei dati Corine sulla localizzazione dei biotopi nazionali

Fig. 11 . Un caso di biopermeabilità non differenziabile: il deserto dell’Arizona

Fig. 12 . Un caso di area con naturalità molto limitata: una densa concentrazione urbana

Fig. 13. Area forestale dell’Appennino (Parco Nazionale d’Abruzzo)

Fig. 14 . Tipiche forme di incolto in via di rinaturalizzazione spontanea

Fig. 15 – Uno dei moduli costituenti il formulario standard per il censimento dei Siti di Interesse Comunitario (SIC) e
delle Zone di Protezione Speciale (ZPS) Natura 2000

Fig. 16 . La distribuzione nazionale dei Siti di Interesse Comunitario Natura 2000 (Ministero dell’Ambiente, 1999)

Fig. 17 . Distribuzione delle specie di Mammiferi in relazione alla selezione dell'habitat . Il grafico mostra la
distribuzione delle presenze faunistiche documentate rispetto alle forme di uso del suolo in una area protetta
dell’Appennino Centrale, evidenziando con particolare efficacia il ruolo delle aree forestali e degli incolti (fonte: Biondi
M. Carafa M., Ottino P., 1999, Studi preliminari al piano del parco Sirente-Velino, Università dell’Aquila)

Fig. 18. Pascolo in un’altopiano carsico dell’Appennino Centrale (Parco Regionale Sirente-Velino)

Fig. 19 . Aree agricole intermontane

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Fig. 20 . Due ambienti fluviali con netta differenziazione di stato ambientale: escavazioni in alveo nella Val di Cogne e
elevata naturalità in Val Ferret (Valle d’Aosta).

Fig. 21. Riconformazione paesaggistica dell’alveo fluviale (Canale del Danubio, Vienna)

Fig. 22. Caso di restauro ambientale di una area fluviale (Fiume Tweed, Scozia)

Fig. 23 . Una delle strutture morfologico-ambientali strategiche per la continuità in Italia Centrale tra l’Abruzzo ed il
Lazio (Sella di Corno)

Fig. 24. Circostanze morfologiche con effetti diversi sulla continuità ambientale

Fig. 25. Carta nazionale della biopermeabilità realizzata con l’elaborazione dei dati Corine Land Cover, Level 3
(realizzazione Planeco Project, 1999).

Fig. 26. Alcuni dati ecologici che possono essere posti in relazione con la geografia della biopermeabilità.
26.a – Diagramma Ricchezza avifaunistica-distanza peninsulare (Fonte: Battisti & Contoli, 1995)

26.b – Mappa della ricchezza avifaunistica (Battisti & Contoli, 1995).

26.c – Gradiente latitudinale della biodiversità in Italia. Le oscillazioni dell’indice di Sorensen relativo ad alcune specie
faunistiche lungo l’asse peninsulare nazionale (Fonte: Battisti C. & Figlioli F., elaborazione inedita).

Fig. 27 – Barriera urbana lineare sulla costa adriatica

Fig. 28 – Barriera urbana in una conca intermontana dell’Appennino

Fig. 29 – Le coste non urbanizzate in Italia (elaborazione D. Di Ludovico, 1998)

Fig. 30 – Dinamica evolutiva della frammentazione ambientale dovuta allo sviluppo urbano lineare studiata sul caso
della città dell’Aquila

Fig. 31 –La geografia della urbanizzazione in Italia (fonte Corine Land Cover, Level 3)

Fig. 32. Grande barriera complessa italiana (Autostrada A2)

Fig. 33. Barriere infrastrutturale parallele in corrispondenza della zona di contatto tra i Parchi Nazionali della Majella e
del Gran Sasso-Monti della Laga.

Fig. 34. Il principale reticolo infrastrutturale italiano

Fig. 35 . Effetto di frammentazione ambientale dovuto ad una strada alpina di secondaria importanza

Fig. 36 – Esempio di importante collegamento stradale dotato di ampia permeabilità trasversale (Gran San Bernardo)

Fig. 37 . Attraversamenti di fagiani nelle strade interne del Peak District National Park (UK).

Fig. 38 . Segnaletica di attraversamento faunistico frequente e cervi sulla viabilità del Grand Canyon National Park
(USA).

Fig. 39. La frammentazione infrastrutturale in quattro grandi aree protette dell’Appennino


(in questo caso le unità territoriali di riferimento sono i parchi)

Fig. 40 . Gli indici di frammentazione infrastrutturale nei casi riportati nella Fig. 38

Fig. 41. Il sistema infrastrutturale nella regione Abruzzo

Fig. 42. Carta nazionale delle principali Unità di Continuità Ambientale Efficace (EUEC)

Fig. 43 – Studio sulle connessioni biologiche nel territorio provinciale di Roma (elaborazione Provincia di Roma, 1998)

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Fig. 44 – Stralcio del Piano Urbanistico Territoriale (PUT) della Regione Umbria dove sono state evidenziate le zone
critiche di adiacenza tra insulae (indicate con il tratteggioe le frecce laterali) come zone dove si rinvengono formazioni
lineari continue di vegetazione legnosa spontanea, costituenti corridoi ecologici e faunistici che collegano nello spazio
due o più insulae (Regione Umbria, 1998).

Fig. 45 – Schema delle principali direttrici di continuità ambientale nella Regione Abruzzo (ANPA, Università
dell’Aquila, 1999)

Fig. 46 – Una scheda-tipo di proposta di intervento di deframmentazione su infrastruttura lungo una delle direttrici di
continuità ambientale di cui alla Fig. 45.

Fig. 47 – Linee di continuità ambientale strategica definite all’interno del parco regionale Sirente-Velino

Fig. 48 – Una delle aree forestali più continue e prive di barriere insediative dell’intero Appennino Centrale (Bosco di
Cerasolo, confine abruzzese-laziale)

Fig. 49 – Il corridoio ecologico di Carrito, tra il Parco Nazionale d’Abruzzo e il Parco regionale Sirente-Velino

Fig. 50 – La carta delle presenze faunistiche documentate nel Parco regionale Sirente-Velino (elaborazione Biondi M.,
Carafa M., Ottino P., 1999)

Fig. 51 – Schemi alternativi di strutture zonali per le aree protette

Fig. 52 – Corrispondenze tra il peso dei vincoli zonali e i livelli di consenso sociale nei parchi

Fig. 53 – Esempio di zoning in un’area protetta pressoché priva di centri abitati interni, effettuato con larga attenzione
agli aspetti della conservazione (Banff National Park-Canada)

Fig. 54 – Struttura e diagramma zonale nel Parco Nazionale della Majella (Piano del Parco, 1999)

Fig. 55 – Confronto tra la dimensione media degli ambiti comunali nell’Italia centro-settentrionale e la
geografiaterritoriale della biopermeabilità.

Fig. 56 – Schema dinamico di alterazione della continuità ambientale in un territorio di fondo valle a causa delle forme
lineari di sviluppo urbano (Romano, 1999).

Fig. 57 – L’incremento delle aree urbanizzate può ricercare forme di compatibilità, attraverso una opportuna
pianificazione, con le esigenze di mantenimento della continuità ambientale. Un esempio in una circostanza di
fondovalle, forse la condizione nella quale si presentano tendenzialmente più critiche le concentrazioni urbane lineari.

Fig. 58 – Alcune delle maggiori concentrazioni insediative dell’Appennino centrale abruzzese si trovano a distanze
ridottissime da aree con livelli di naturalità molto elevati.

Fig. 59 - Schema di rapporto tra il sistema delle aree biopermeabili e le reti ecologiche. I suoli naturali e seminaturali
costituiranno il supporto reticolare ecologico per le specie più elusive, mentre quelle più adattabili potranno avvalersi di
connessioni ecologiche del tutto trasversali rispetto alla configurazione delle aree biopermeabili.

Fig. 60 – Uno dei pochi esempi di raccolta di dati ecologici alla intera scala nazionale: il censimento della fauna italiana
1976-77. Nella immagine piccola i territori in cui nessuna delle 22 specie censite risultava presente (fonte: Pavan,
1990).

Fig. 61 – Proposta di restauro ambientale con finalità di rinatualizzazione e di uso ricreativo (master plan South Platte
river- Smith D.S., 1993 )

Fig. 62 – Schema di deframmentazione su grandi infrastrutture viarie (The Netherlands Trasport Road and Hydraulic
Engineering Division, 1997)

Fig. 63- Scenari di ricostituzione di habitats specie-specifici in Olanda (SC-DLO, Instituut voor Onderzoek van het
Landelijk Gebied, 1999).

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Fig. 64 – Progetto preliminare per un ponte verde per la creazione di un corridoio ecologico per l’attraversamento della
nuoca strada di collegamento all’aeroporto Malpensa 2000 presso la località di Tornavento (Lonato Pozzolo – VA)
(fonte: Furlanetto, 1999).

Fig. 65 – Schede relative a particolari progetti di ripristino della continuità ambientale in corrispondenza del contatto
geografico-amministrativo tra i parchi nazionali dei Sibillini e del Gran Sasso-Monti della Laga (Calvelli, 1999).

Fig. 66 – Esempio di zonizzazione di corridoio ecologico fluviale (S.Miguel River Corridor – USA) (fonte: Schwarz,
Flink & Searns, 1993)

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Ringraziamenti
In occasione della realizzazione di questo libro ritengo di dover avanzare diversi ringraziamenti ad amici e colleghi che,
in modi diversi, hanno fornito il loro appoggio e collaborazione.
Ringrazio in particolare:
Giulio Tamburini e Pierluigi Properzi dell’Università dell’Aquila, per i consigli, e, soprattutto, per i giudizi critici che,
quasi giornalmente, non lesinano rispetto ai nostri comuni e quotidiani temi di lavoro e di ricerca;
Piergiorgio Bellagamba e Andrea Filpa dell’Università di Camerino, Walter Fabietti dell’Università “d’Annunzio” di
Pescara, Marco Bologna, Giuseppe Carpaneto e Paola Ottino, dell’Università di Roma Tre, unitamente all’intero gruppo
degli studiosi coinvolti nella ricerca MURST 40% 1998-2000 Planeco (Planning in Ecological Network), con i quali si
è attivato da qualche anno un fitto scambio di opinioni e teorie sui temi contenuti nel presente volume;
Giuseppe Las Casas, dell’Università della Basilicata, per gli stimoli e gli spunti provenienti dalle occasioni di confronto
“sul campo” fornite dall’impegno comune di elaborazione del Piano del Parco Nazionale del Pollino da lui coordinato;
Roberto Gambino, del Politecnico di Torino, in quanto coordinatore nazionale della Ricerca MURST 40% del 1995
“Metodi, contenuti e procedure dei piani dei parchi ”, grazie alla quale è iniziato lo sviluppo delle metodologie
imperniate sul concetto di continuità ambientale nella pianificazione.
Francesco Corbetta, Giorgio Gruppioni, Gianfranco Pirone, Pierantonio Tetè e Maurizio Biondi, del Dipartimento di
Scienze Ambientali dell’Università dell’Aquila, per gli intensi momenti di rapporto interdisciplinare su esperienze di
ricerca e su tesi di laurea che coinvolgono costruttivamente le nostre diverse formazioni culturali.
Cesare Colorizio e Giorgio Boscagli, rispettivamente Presidente e Direttore del Parco Regionale Sirente-Velino, per le
occasioni di continua verifica di molte ipotesi sulla pianificazione delle aree protette che abbiamo vissuto nell’anno e
mezzo di svolgimento degli Studi Preliminari per il Piano del Parco, affidati all’Università dell’Aquila;
Matteo Guccione dell’ANPA (Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) e Gloria Pungetti dell’Università di
Reading (UK), per gli scambi numerosi di vedute che hanno contraddistinto le nostre frequenti occasioni di incontro;
Corrado Battisti, della Provincia di Roma, e Francesco Figlioli, del Centro Genetica Evoluzionistica del CNR, che
hanno posto a disposizione interessanti elaborazioni inedite sulla biodiversità nazionale per confronti significativi con la
geografia della biopermeabilità;
Rosalinda Brucculeri, della Segreteria Tecnica del Ministero dell’Ambiente, e Donato Di Ludovico, collaboratore del
Dipartimento di Architettura e Urbanistica dell’Università dell’Aquila, per la loro incondizionata azione di apporto di
idee e di capacità elaborativa che profondono da qualche anno nei comuni programmi di lavoro.
Mimì Verdone, Angela Rita Magazzini e tutti i collaboratori della Casa Editrice Andromeda per la disponibilità e il
lavoro svolto nella realizzazione di questa e di altre pubblicazioni.

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Presentazione
Di Giulio Tamburini

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Introduzione

Il libro vuole affrontare il tema della pianificazione attenta alle esigenze di carattere ambientale alla
scala territoriale, ovvero delle grandi aree. E’ importante precisare prima di ogni altra cosa questo
aspetto, in quanto l’argomento della continuità ambientale, inteso nella sua accezione più ampia, si
presta ad essere trattato con una molteplicità di dispositivi metodologici, in dipendenza stretta della
dimensione territoriale di volta in volta considerata.
Lavorare sulla continuità degli spazi naturali in Italia, e, di conseguenza, sulle reti ecologiche che
tali spazi supportano, o possono supportare, assume connotati molto diversi se lo si fa all’interno
della città, nei grandi comprensori agricoli intensivi o nelle grandi montagne delle Alpi e
dell’Appennino.
Gli oggetti ambientali esaminati variano enormemente e si passa dalla piccola porzione di verde
urbano, al reticolo delle siepi e dei ruscelli, fino all’area forestale estesa per migliaia di chilometri
quadrati. Tutti questi ecosistemi, dal più contenuto al più smisurato, sono idonei per molteplici
gruppi di specie, animali e vegetali, alcune più adattate per la vita negli ambienti urbanizzati, altre
specializzate nel contesto dei paesaggi agrari, altre ancora con possibilità di sopravvivenza
unicamente in spazi ampi e indisturbati nei quali la presenza umana abbia carattere di episodicità.
Le idee che sono alla base dei concetti pronunciati nel presente volume nascono in Appennino
Centrale, dove, a causa, o grazie, degli ostacoli posti storicamente dalla natura alla espansione
umana, questa ultima, pur attestandosi in modo estremamente diffuso, non è riuscita a derubare del
tutto degli spazi vitali una significativa quantità di specie animali che abitano grandi spazi naturali,
delle quali oggi le comunità sociali, politiche, amministrative, scientifiche nazionali detengono la
responsabilità di conservazione al livello planetario.
Non si tratta in generale di specie adattabili all’ambiente urbano, ma specie per le quali la presenza
umana costituisce prevalentemente una interferenza, almeno per tutto ciò che concerne i fattori di
disturbo tipici degli insediamenti e delle concentrazioni antropiche: rumore, illuminazione,
inquinamento….
Se per molti gruppi di specie l’ecosistema creato dall’Uomo con le attività agricole rappresenta un
habitat del tutto accettabile, per altre, come alcuni amici zoologi amano ripetere, un grande area
agricola ha lo stesso potenziale di esclusione di un campo minato.
E’ questo il motivo per cui viene affermata l’esigenza di individuare tutti quegli spazi, naturali e
seminaturali, che non sono, o lo sono solamente in forma limitata, interessati da attività insediative
intensive, annoverandoli nella categoria della “biopermeabilità”.
Secondo molte autorevoli impostazioni concettuali correnti tale distinzione è indubbiamente rigida,
forse manichea, ma si fonda sul principio che guarda alla assoluta necessità di mantenimento
almeno della attuale condizione residua di compattezza del tessuto naturale italiano, prima che il
processo disgregativo in atto da sempre renda irreversibili le eventuali azioni di sarcitura ex post.
Non sempre esistono condizioni di compatibilità totale tra l’ambiente dell’Uomo e quello delle altre
biocenosi e, in molti, troppi casi, non sono ancora disponibili i necessari dati ecologici che
potrebbero aiutare a definire le soglie della relazione e del contrasto.
In attesa che ciò avvenga, e i tempi potrebbero essere molto lunghi, un’ipotesi di lavoro è quella di
individuare gli ambiti territoriali entro i quali, con approssimazione probabilistica, potrebbero
ricadere la maggior parte degli spazi vitali dei gruppi di specie più selvagge, più elusive e meno
possibilitate a condividere appieno gli spazi dell’Uomo.
Riprendendo una locuzione di Roberto Gambino, “integrare quando possibile, separare quando
necessario”, è sembrato importante provare appunto a separare gli ambienti più umanizzati dagli
altri per provare a verificare se, e come, le tecniche della pianificazione e di governo del territorio
possono allestire strumenti in grado di contemperare le rispettive esigenze di tutti gli inquilini del
medesimo, anche quelli diversi dall’Uomo.

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Per fare ciò è necessario ricalibrare le nostre conoscenze pluridisciplinari del mondo naturale,
assicurando habitats di stanzialità e di eventuale dispersione a tutte le specie con le quali
condividiamo il territorio, con attenzione speciale per quelle più rare ed endemiche.
Ad alcuni potrà sembrare ingiustificata ed allarmistica una posizione che si preoccupa di
riconoscere prima, e tutelare in qualche modo poi, lembi di ambiente con la sola caratteristica di
presentare ancora qualche residua traccia di naturalità. Tutto sommato potrebbe essere così, in
quanto, in molti casi, estesi territori italiani, abbandonati dalle attività agricole, stanno subendo
fenomeni di ricolonizzazione vegetazionale e di rinaturalizzazione spontanea.
Ma se i processi di espansione urbana non si fermeranno allo stato attuale, se le dinamiche
tendenziali di ridistribuzione insediativa, già di per sé oggi propense alla estensività, saranno
facilitate da nuove e più efficienti tecnologie di trasporto, se interverrano in poche parole fatti
nuovi, allora la frammentazione ambientale si incrementerà ulteriormente e a ben poco potrà servire
la tutela stringente e non negoziabile di pochi ettari di parchi e di siti di interesse naturalistico
indiscusso.
Attraverso il presente volume si vuole fornire un contributo, sinergico con quello di altri studiosi
italiani e stranieri che da anni lavorano sull’argomento su diversi versanti (ecologia vegetale,
ecologia del paesaggio, pianificazione ambientale, ingegneria naturalistica), per attirare l’interesse
scientifico e della gestione del territorio sulle potenzialità, e sulle vulnerabilità, delle grandi
strutture di continuità ambientale.

Nel primo capitolo del libro si ripercorre l’esperienza italiana di maturazione progressiva dei
concetti ambientali nella pianificazione fino alla affermazione del paradigma reticolare, operando
dei confronti con i comportamenti europei e delineando il possibile ruolo della pianificazione in
questo nuovo ambito di riferimento scientifico e politico.
Nel secondo capitolo si sintetizzano gli indirizzi metodologici che sono alla base della formulazione
teorica della biopermeabilità e della continuità ambientale alla grande dimensione territoriale,
enunciando gli elementi di composizione e di interferenza che intervengono nel disegno della
struttura del sistema spaziale di contiguità naturale e seminaturale.
Il capitolo terzo si sofferma sulle diverse attribuzioni dei livelli di pianificazione, territoriale, delle
aree protette, urbanistica comunale, nei confronti della istanza di continuità ambientale, indagando
in particolare le possibili diverse forme di articolazione spaziale della tutela nelle aree protette e,
come citazione, alcune ipotesi di valutazione parametrica degli strumenti di pianificazione per
giudicarli sotto il profilo della loro azione di frammentazione territoriale.
Nel quarto capitolo si interviene sul rapporto tra la continuità ambientale e le reti ecologiche,
evidenziando i motivi di coincidenza e quelli di distanza, dovuti a problemi di scala di dettaglio e,
spesso, a carenza di dati ecologico-relazionali poco presenti nei pacchetti conoscitivi che corredano
gli strumenti di pianificazione.
Nel capitolo quinto si tracciano brevemente alcuni indirizzi per una possibile normativa di
regolazione e di controllo degli usi e di mitigazione degli impatti sociali nell’ambito della azione di
tutela che si deve condurre negli spazi che vengono riconosciuti quali corridoi ecologici effettivi o
potenziali.

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1. Le reti ambientali nella pianificazione

1.1. Un processo in itinere

Per gli studiosi del territorio era già evidente alcuni anni fa come lo sviluppo della coscienza
filosofica, tecnica, scientifica e sociale della tutela ambientale a tutto campo venisse segnato dai
provvedimenti legislativi ormai storici che rappresentano vere e proprie pietre miliari nel cammino
concettuale tra la trasformazione insediativa brutale dell’ambiente e la trasformazione attenta alla
conservazione.
Il percorso di maturazione insito in quella che, nel gergo della pianificazione territoriale, va sotto il
nome sintetico di “questione ambientale”, è efficacemente tratteggiato da Gambino nel 1997
attraverso un confronto, diacronico e internazionale, di elaborazioni, di politiche, di dichiarazioni e
di provvedimenti.
Sempre nel medesimo documento si sottolinea il crescente ruolo della pianificazione nel
perseguimento degli obiettivi di difesa dell’ambiente:
“Si sta in sostanza consolidando, non solo a livello scientifico, ma anche a livello politico e
istituzionale, l’idea che un’efficace difesa dell’ambiente richiede la pianificazione.
Parallelamente, è la stessa cultura della pianificazione a spostare progressivamente il proprio
centro di interesse sulle tematiche ambientali.” 1
Attualmente si può affermare che l’obiettivo auspicato e preconizzato, e anche più convincente in
termini di effetti, è una tutela ambientale non più di tipo “impulsivo”, ovvero connotata da leggi
eccezionali in risposta a fasi di sconsiderata attività trasformativa, bensì di tipo “ordinario”, cioè
calata nell’impianto normativo di controllo quotidiano delle modificazioni territoriali.
Tale ipotesi teorica non è certamente nuova, ed è stata più volte pronunciata sia nelle sedi di
dibattito scientifico, sia politico2 , ma di fatto il raggiungimento del traguardo così contraddistinto è
cosa decisamente più complessa di quanto possa sembrare nel momento in cui coinvolge la crescita
e la maturità culturale di numerose componenti della struttura sociale, oltre ad esigere la messa a
punto di idonei meccanismi legislativi non banali.
Le fasi “storiche” di acquisizione e trasferimento delle istanze di difesa ambientale nelle azioni di
governo del territorio – fasi che transitano per la legge urbanistica, per il decreto e poi legge
Galasso, per la legge 183/89, per le dichiarazioni, le convenzioni e le direttive internazionali della
Comunità Europea, per la legge sui parchi, prima 394/91 e poi 426/98, per l’attuale diffusione dei
concetti di reticolarità ecologica - appaiono tutti tasselli progressivi tesi verso l’obiettivo di
inserimento dell’ambiente e delle componenti naturali nella griglia di pianificazione territoriale ad
ogni livello.
Ma tale progressività non sembra “gestita” evolutivamente, e del resto non si riesce neanche ad
individuare l’entità che dovrebbe o potrebbe farlo, bensì procede in risposta a spinte, suggerimenti e
sollecitazioni provenienti in prevalenza dalle comunità associative e scientifice e, talvolta,
direttamente da circoscritte sensibilità politiche3 .

1
Si veda: Gambino R., 1997, Conservare Innovare, Utet, Torino .
2
Sull’argomento delle forme di considerazione della matrice ambientale nei processi di pianificazione a livello urbano e di area vasta si sono, negli
ultimi anni, moltiplicati i contributi e i punti di vista. Un quadro molto interessante riferito alla realtà degli USA, ma con spunti di validità generale, è
certamente quello riportato in Urbanistica 108/1997 ed elaborato grazie ai contributi di Palazzo D, Lewis P.H., Steiner F., Forman R.T.T. &
Hersperger A.M., Duany A. & Plater Zyberk E., anche se sembra fondamentale rispetto agli altri contributi Mc Harg I.L., I fattori naturali nella
pianificazione, dove viene sottolineato il concetto di Human Ecological Planning.
Vengono inoltre segnalati di seguito solamente alcuni altri titoli riferiti a casi di interesse nazionale:
Si veda INU (Istituto Nazionale di Urbanistica), 1997, Atti XXI Congresso, Bologna 1995, Sezione Pianificazione di area vasta e pianificazione
comunale; Gambino R., 1992, Reti urbane e spazi naturali, in: Salzano E., La città sostenibile, Ed. delle Autonomie, Roma; Viola F., Semenzato P.,
1994, Le valenze ambientali nella redazione dei PTP, Urbanistica Quaderni, 4, INU, Roma; Finke Lothar, 1996, Ecologia del paesaggio e
pianificazione degli spazi aperti, Urbanistica 107, INU, Roma; Magnaghi A., 1995, Progettare e pianificare il territorio, un contributo alla questione
ambientale, Urbanistica 104, INU, Roma;
3
Una interessante trattazione retrospettiva dei processi di affermazione della cultura ambientale e degli effetti conseguenti sulle politiche territoriali
può trovarsi in: Piccioni L., 2000, La natura come posta in gioco, in: Storia d’Italia, le Regioni dall’Unità ad oggi, L’Abruzzo, Einaudi, Torino.

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Ma certamente non si è ancora arrivati al traguardo e molti altri tasselli saranno necessari per
allestire il quadro finale efficace nei termini detti.
Riprendendo il tema del rapporto tra la pianificazione e la tutela dell’ambiente, non è certamente
sufficiente che le esigenze di conservazione entrino negli strumenti settoriali di gamma “alta”,
ovvero quelli normalmente definiti di area vasta, nei quali, stante la scala di ampio riferimento
territoriale, la speculazione scientifica può trovare più larghi spazi di espressione (Piani Paesistico-
Territoriali e di Coordinamento al livello regionale e provinciale).
Il vero problema è rappresentato dalla strumentazione urbanistica “di base”, quella veramente
operativa, quella alla quale si possono direttamente attribuire gli effetti finali sul territorio a tempi
brevi e medi.
Un indicatore significativo di affermazione delle istanze ambientali in forma generalizzata in questo
livello di pianificazione non può forse essere fornito unicamente dalla casistica corrente degli
strumenti, pur numerosi, che considerano tale argomento come centrale o, comunque, importante.
Il vero indicatore che probabilmente testimonierebbe l’approdo effettivo della difesa ambientale nel
cuore della pianificazione operativa sarebbe dato dall’ingresso su basi normative delle competenze
disciplinari del ramo naturalistico (ecologia, zoologia, botanica) all’interno dei project teams dei
Piani Regolatori Generali e dei piani esecutivi, così come è accaduto in passato per le competenze
geologiche rispetto ai fattori di rischio presenti sul territorio.
Parlare di ordinarietà della tutela ambientale, di attenzione costante e “normale” alle peculiarità
naturali del territorio nel contesto del piano, significa poi in realtà porre in atto un dialogo prima
scientifico, poi politico, poi gestionale dove, in tutti i passaggi, la esigenza ambientale ricopra un
ruolo fondativo e paritetico con quella infrastrutturale, produttiva, residenziale, culturale.
Si tornerà in seguito su questo tema, ma sembra importante centrarlo fin d’ora in quanto può aiutare
a comprendere come lo studio delle connessioni tra i lembi residuali di territorio naturale tra di essi,
e con le core areas delle aree protette, e l’approfondimento delle modalità di pianificazione che
possono contribuire a mantenere il potenziale reticolare dell’ambiente, costituiscono ulteriori passi
verso la utopica “tutela ambientale normale”.

1.2. Gli orientamenti europei

In Europa, e nei vicini stati dell’Est, i concetti legati alla reticolarità ecologica e alla continuità
ambientale stanno diffondendosi rapidamente all’interno delle politiche di pianificazione
territoriale. Pur a diversi stadi di consolidamento e di attuazione possono citarsi iniziative in corso
già da alcuni anni in Belgio, Francia, Cecoslovacchia, Albania, Danimarca, Estonia, Germania,
Ungheria, Lituania, Polonia, Portogallo, Russia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Inghilterra, Olanda e
Italia4 .
Lo sviluppo di tali iniziative a carattere nazionale costituisce generalmente una risposta alla
emanazione delle direttive CEE 79/407/EC (Birds Directive), 92/43/EC (Habitats Directive) e del
programma EECONET (The European Ecological Network) del 19915 , che riguardano le esigenze
di mantenimento della biodiversità attraverso la conservazione di habitats naturali in vario modo
interconnessi alla scala paneuropea6 .
In particolare la Direttiva “Habitats” recita: “Le finalità sono la salvaguardia della biodiversità
mediante la conservazione degli habitat naturali e il ripristino ambientale degli habitat di interesse
comunitario compromessi dal degrado. Viene costituita una rete delle zone speciali di

4
Un quadro complessivo dell’argomento è riportato in Naturopa, Council of Europe, 87/1998, Le reti ecologiche in Europa. Tra i vari contributi si
segnala Jongman R.H.G., Le reti ecologiche: a quale scopo? Elementi naturali indispensabili. Si veda anche P UNGETTI G., Initiatives on ecological
networks in Europe, UK Workshop on Ecological Networks “ From biogeographical Zonation to Habitat Restoration: Case Studies in great Britain,
Netherlands, Italy”, Edimburgh & Melrose, 2-3- july 1998.
5
Negrini G., 1997, La rete ecologica Europea, in: Peano A., Parchi naturali in Europa, Urbanistica Dossier, 7, INU, Roma.
6
Gli strumenti e i principali siti individuati in sede internazionale per il conseguimento degli obiettivi di conservazione al livello Pan-Europeo sono
contenuti nel “ Report concerning the Map on nature conservation sites designated in application of international instruments at Pan-European level”
elaborato nel 1998 dal Committee of Experts for the European Ecological Network.

16
conservazione, denominata “Natura 2000”, designata dagli stati membri e della quale fanno parte
integrante le zone di protezione speciale individuate in base alla Direttiva “Uccelli selvatici” del
1979. La definizione di rete sottintende che debbano esistere delle connessioni, siano esse strutture
paesaggistiche lineari (siepi, aree riparali alberate, limitazioni dei campi), ma anche specchi
d’acqua, porzioni forestali, aree agricole che fungono da tappa migratoria o rifugio per specie
selvatiche.”
Lo studio e la sperimentazione di interventi di mantenimento e di ripristino delle connessioni
ambientali si sta articolando in Europa in almeno tre forme riconoscibili. Una di queste è legata ai
criteri di collegamento tra le diverse tipologie di verde urbano in aree metropolitane7 (es.
Barcellona, Roma, Milano, Budapest, Londra, Berlino) e rivolta alle esigenze umane di qualità della
vita, nonché ad esigenze di specie faunistiche residenti in questi ambienti fortemente antropizzati e
nel loro hinterland8 . In questo settore molto è certamente riferibile in termini metodologici ad una
vasta esperienza maturata in numerose realtà urbane americane che ha dato luogo a differenti
progetti ed interventi9 .

Fig. 1. Due esperienze in corso in Spagna:


1a. Il sistema dei parchi spagnoli dell’Anella Verda di Barcellona
1b. Il Corredor Verde nella conca del fiume Guadiamar verso il Parco nazionale del Coto Donana.

Fig. 2. La rete ecologica della Polonia (Liro, 1995)

Fig. 3. Una greenway urbana di New York (Little, 1990)

Una seconda forma del tema riguarda la ricostituzione di sistemi ecologici efficaci in contesti
fortemente impoveriti biologicamente da secoli di attività umana e di trasformazioni del territorio.
In queste situazioni, tipiche di alcune aree dell’Europa Centrale, il progetto di restauro ambientale
assume un ruolo fondamentale per la valorizzazione degli elementi naturali residuali di dimensione
locale (siepi, canali, porzioni forestali).

Fig. 4. Scenari di ripristino ambientale nella esperienza Rhine Econet in Olanda10

7
Sono di notevole interesse alcuni progetti fondati sulla relazione del verde metropolitano e territoriale, quale quello dell’Anella Verda di Barcellona
formato dalla contiguità dei grandi parchi naturali del Montseny, del Montenegre-Corredor, del Garraf, del Montserrat e De Sant Llorenç oltre che da
altre aree protette minori e da ambiti interstiziali di connessione. Si veda: Montseny y Domenech A., 1999, L’anella Verda, una proposta de
planificatiò i gestiò dels espais naturals de la regiò metropolitana de Barcelona, Area, 6, Diputaciò de Barcelona.
Per il Corredor verde del Coto Donana si veda: Junta de Andalucia, 1998, Accidente Minero de Aznalcollar, Situacion actual de trabajos de
restauration en diferentes zonas propuesta de actuationes para la recuperacion de la cuenca del Guadiamar, Officina Tecnica para la Recuperation del
Guadiamar.
Un ulteriore progetto da segnalare è quello gestito dalla Provincia di Roma sulla connessione delle aree naturali dell’hinterland metropolitano
attraverso il quale si sta verificando la possibilità di mantenimento e di ripristino, attraverso un tessuto insediativo e infrastrutturale di estrema
complessità, di una maglia di continuità ambientale che va dall’Appennino laziale ai grandi parchi urbani romani. Si veda Battisti C., 1999, Le
connessioni tra aree naturali attorno alla città di Roma, in: Dimaggio C., Ghiringhelli R., Atti del seminario “Reti ecologiche in aree urbanizzate”,
5.2.99, ANPA, Provincia di Milano, F. Angeli Ed., Milano.
8
Particolarmente significativa è l’esperienza dell’analisi faunistica ed ecosistemica nella città di Roma, sui dettagli della quale si veda:
Bologna M.A., Carpaneto G.M., Cignini B., 1998. Atti del 1° Convegno Nazionale sulla Fauna Urbana. Roma, 12 aprile 1997. Fratelli Palombi
editori.
Cignini B., Zapparoli M., 1997. Studi sulla fauna della città di Roma. Biologi Italiani, 9 : 15-20.
Cignini B., Zapparoli M., 1996. Il ruolo delle aree verdi per la conservazione della biodiversità negli ecosistemi urbani, con particolare riferimento
alla fauna della città di Roma. IAED, quaderni n. 6. Atti del 1° Congresso. Vol. 1: sessione III: 59-67, Perugia 28-30/11/96.
Pignatti S., 1998. L’ecosistema urbano. Atti 1° Convegno sulla fauna urbana. Roma, 12 aprile 1997: 15-20.
9
Informazioni circostanziate circa le reti verdi urbane possono trarsi da: Little C.E., 1990, Greenways for America, J.H. University Press, Baltimore;
Gobster P.H., 1995, Perception and use of a metropolitan greenway system for recreation, Landscape and Urban Planning, 33, Elsevier Ed.,
Amsterdam; Starfinger U., Sukopp H., 1994, Assessment of urban biotopes for nature conservation, in: Cook E.A., Van Lier H.N., Landscape
planning abd ecological networks, Elsevier Ed., Amsterdam; Kleyer M., 1994, Habitat network schemes in Stuttgart, in: Cook E.A., Van Lier H.N.,
op. cit. Per ulteriori esempi su casi di studio americani ed europei si veda: Fabos J.G., Ahern J., 1995, Greenways, Special Issue of Landscape and
Urban Planning, 33 (1-3), Elsevier, Amsterdam.
10
Ministry of Transport, Public Works and Management, 1996, Rhine Econet, summary report, Riza.

17
La terza modalità è quella invece delle ecoconnessioni in area vasta, in ambienti seminaturali o
ancora naturali strategici per la presenza di specie d’importanza internazionale. In tale circostanza
territoriale, che attiene le aree europee con elevati tassi di naturalità, tra le quali possono
annoverarsi le Alpi e gli Appennini italiani, sembra d’estrema importanza il ruolo della
pianificazione territoriale per allestire quadri di riferimento per il controllo delle trasformazioni e
per il progetto ambientale.

Fig. 5. Ambienti montani nel territorio dell’Appennino Centrale

La tendenza europea è quella di costituire reti ecologiche nazionali (es. Paesi Bassi11 , Polonia12 ,
Slovacchia13 ), integrando diverse tipologie connettive (urbane, locali, territoriali), pur conservando
ad esse gli esclusivi attributi funzionali, coinvolgendo tutti gli spazi territoriali ancora suscettibili di
ruoli biologici come aree protette a vario titolo, acque superficiali, siti diversi soggetti a norme di
non trasformabilità, frammenti di territorio con utilizzazioni ecocompatibili (boschi, incolti, alcune
forme agricole), in modo da ottenere configurazioni geografiche continue o puntualmente diffuse
(stepping stones).

1.3. Le iniziative italiane

In Italia l’argomento si è sviluppato significativamente solamente da qualche anno e si contano


ancora relativamente pochi contributi di studio14 , e ancor meno d’applicazione.
Sul fronte della iniziativa amministrativa nazionale si deve citare in primo luogo l’intervento
dell’ANPA (Agenzia Nazionale per la Conservazione dell’Ambiente) che ha promosso la
formazione di un working group italiano (Monitoraggio delle reti ecologiche, Programma Triennale
ANPA 1998-2000, Piano stralcio per lo sviluppo del Sistema Nazionale Conoscitivo e dei Controlli
in Campo Ambientale), finanziando ricerche ed esperienze distribuite sul territorio del paese,
attraverso la identificazione di casi di studio regionali15 .
Nel corso del 1999 il programma ANPA ha comportato lo svolgimento di cinque
workshopsinternazionali16 effettuati nelle sedi italiane dei casi di studio, attraverso i quali sono
state evidenziate le linee prioritarie di approccio all’argomento delle reti ecologiche nel paese,
mostrando nettamente le differenze tra settori più dotati disciplinarmente e settori scientifici ancora
in crescita riguardo alle conoscenze consolidate nel campo delle relazioni ecologiche.

11
Sul caso olandese si veda: van Langvelde F., Conceptual integration of landscape planning and landscape ecology, with a focus on the Netherland,
in: Cook E.A., Van Lier H.N., Landscape planning abd ecological networks, Elsevier Ed., Amsterdam; Ministry of Agriculture, Nature Management
and Fisheries of the Netherlands, 1990, Nature Policy Plan of the Netherlands, The Hague; Jongman R.H.G., 1995, Nature conservation planning in
Europe, developing ecological networks, Landscape and Planning, 32, Elsevier Ed, Amsterdam; van der Sluis T., Pedroli B., 1999, Ecological
Networks in the Netherlands, implementation, research and results after 10 years, proceedings del Workshop internazionale “Piano e progetto nel
riassetto ecologico del territorio”, ANPA, Università dell’Aquila, 14.5.99, L’Aquila.
12
La metodologia utilizzata e i risultati conseguiti nell’esperienza polacca sono dettagliatamente riportati in: Liro A. (Ed.), National Ecological
Network Eeconet-Poland, IUCN Poland 1995.
13
Sabo P., 1996, National Ecological Network of Slovakia, IUCN.
14
Una delle prime occasioni nazionali nelle quali è stata tracciata una mappa speditiva della continuità ambientale in Italia è lo studio condotto dal
WWF Italia, Ecosistema Italia del 1996. Per la metodologia utilizzata si veda: Bulgarini F., 1999, La carta delle aree selvagge come base per
l’individuazione di possibili connessioni, Dossier, Attenzione n.16, Roma. Per altre indicazioni riassuntive sulle esperienze nazionali si veda:
Schilleci F.,1999, La rete ecologica, uno strumento per la riqua lificazione del territorio, in: Baldi M.E., La riqualificazione del paesaggio, La Zisa Ed.,
Palermo.
15
I nove casi di studio nazionali aderenti al programma ANPA, sono costituiti da Valle d’Aosta, Piemonte, Lombardia, Veneto, Emilia Romagna,
Lazio, Abruzzo, Puglia, Sicilia. Si veda: Guccione M., 1997, Ridefinizione degli strumenti di pianificazione e tutela della naturalità diffusa del
territorio, le iniziative Anpa sulle reti ecologiche, Workshop “Governo sostenibile del territorio e conservazione della natura in relazione agli
strumenti di pianificazione in Europa”, 13.11.97, Sintesi dei lavori, Roma.
16
La serie di workshops organizzati dall’ANPA e dagli Enti italiani inseriti nei casi di studio nazionali sono stati i seguenti: Provincia di Milano, Reti
ecologiche in aree urbanizzate, 5 febbraio 1999; Università dell’Aquila, Piano e progetto nel riassetto ecologico del territorio, 14 maggio 1999;
Ciheam-Iam.b, Prospettive per il potenziamento della connettività nei paesaggi mediterranei, Bari, 4 giugno 1999; ARPA Piemonte, Paesaggi rurali di
domani, gestione degli ecosistemi agro-silvo-pastorali e tutela della connettività ecologica del territorio extraurbano, Torino 10 settembre 1999;
Università di Catania, Reti e corridoi ecologici per gli interventi di conservazione e salvaguardia della natura in ambiente urbano e suburbano, 1-3
ottobre 1999.

18
Per proseguire sul fronte delle iniziative in atto, si deve segnalare una politica di sistema del
Ministero dell’Ambiente nell’ambito dell’impegno dei fondi strutturali 2000-2006 (Rete Ecologica
Nazionale)17 .
Di interesse scientifico-gestionale sono anche alcune esperienze precedenti sviluppate da
amministrazioni locali che hanno già prodotto consistenti patrimoni di metodologia e di riferimenti
operativi (provincia di Pavia18 , provincia di Milano)19 .

Fig. 6. La rete ecologica nel Piano Territoriale di Coordinamento della Provincia di Milano
(Malcevschi, 1999)

Riconducibile prevalentemente agli obiettivi politici è poi il Progetto APE (Appennino Parco
d’Europa) che nasce nel 1995 e viene inserito nel Programma Stralcio per la tutela ambientale del
ministero dell’Ambiente del 28 maggio 1998 con la motivazione che trattasi di “(...) progetto per il
coordinamento sistemico di iniziative sostenibili promosse dal Ministero dell’Ambiente, dagli Enti
parco, dalle regioni e dagli enti locali e insistenti nelle aree appenniniche (…) “APE” – Appennino
Parco d’Europa si propone di fare dei parchi elementi motore dello sviluppo sostenibile delle aree
interne dell’Appennino. A tal fine tale progetto promuove azioni coordinate degli enti parco, con le
regioni, gli enti locali, le organizzazioni sindacali, imprenditoriali e cooperative, le associazioni
ambientaliste e la comunità scientifica. Gli strumenti operativi individuati da tale progetto sono
una convenzione ed un programma d’azione per uno sviluppo sostenibile dell’Appennino. Il
progetto può avere una grande importanza per le are del mezzogiorno interessate da una
importante rete dei parchi.”20
Sul fronte prettamente scientifico è attualmente in corso la ricerca PLANECO, finanziata dal
Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica per il biennio 1998-2000 (MURST 40%) che
coinvolge alcune strutture universitarie dell’Italia centrale, i cui obiettivi sono incentrati in
particolare sul ruolo e sui criteri di azione della pianificazione territoriale per il mantenimento delle
connessioni ambientali21 .
Del resto è evidente che nel nostro paese, stante la stretta commistione dei sistemi antropico e
naturale, le implicazioni di un eventuale network ecologico nazionale interferiscono a tutti i livelli
della programmazione delle trasformazioni e dell’uso dei suoli.
L’attualità di questa tematica per molti paesi europei nei quali esiste una marcata compresenza
culturale-naturale è stata recentemente confermata anche dalla approvazione di un progetto Life
Environment (Econet) che coinvolge enti pubblici e istituti di ricerca britannici, italiani ed
olandesi22 per il quadriennio 1999-2002.

Fig. 7 – Le aree di studio e di intervento dell’ Econet Life Environment (Cheshire County Council,
1999)

1.4. Il ruolo possibile della pianificazione

17
Si veda: Ministero dell’Ambiente, Servizio Conservazione della Natura, Rapporto interinale del tavolo settoriale Rete Ecologica, Programmazione
dei Fondi Strutturali 2000-2006, Deliberazione CIPE 22.12.98.
Si veda inoltre: Perilli F., I sistemi territoriali ambientali, Parchi n.26/99, Maggioli 1999.
18
Malcevschi S., Bisogni L.G., Gariboldi A., 1996: Reti ecologiche e interventi di miglioramento ambientale, Il Verde, Milano.
19
Malcevschi S., 1999: La rete ecologica della provincia di Milano, Quaderni del piano per l’area metropolitana milanese, Angeli Ed.
20
Legambiente, 1999: APE, Appennino Parco d’Europa, Parco Produce, Ancona.
21
Sulla ricerca Planeco si veda il sito Internet http://dau.ing.univaq.it/planeco
22
Il programma ECONET , A European project to demonstrate sustainability using ecological network è un progetto Life Environmental approvaato
dalla Commissione Europea alla fine del 1998. E’ coordinato da Cheshire County Council (UK) e coinvolge i seguenti partners: English Nature,
University of Salford, Liverpool John Moores University, North West Water Limited, Vale Royal Borough Council, University of Reading,
Environment Agency, Sustainability North West in UK; Regione Emilia Romagna, Provincia di Bologna, Provincia di Modena, Regione Abruzzo,
Università dell’Aquila in Italia; Province of Gelderland, Wageningen University, Alterra Green World Research in Netherlands.

19
Con attenzione al settore più propriamente scientifico si può affermare che gli obiettivi delle
ricerche in corso di avanzamento possono essere ricondotti a due aspetti distinti: l’azione del piano
per individuare, e poi conservare o ripristinare, la continuità ambientale del territorio e le modalità
di orientamento degli usi all’interno delle aree protette, quando queste non siano più intese quali
organismi insulari, bensì elementi polari delle reti ambientali23 .
In merito al primo punto interviene la necessità di riconsiderare, nell’ambito delle dinamiche
trasformative, i rapporti tra il territorio urbanizzato e quello non urbanizzato, utilizzando una serie
di indicatori dinamici per determinare quadri attuali e scenari possibili delle condizioni di
frammentazione. Gli elementi che intervengono sono quelli legati alla dispersione insediativa, alla
densità ed alla permeabilità infrastrutturale, al rapporto spaziale e dimensionale delle forme d’uso
del suolo naturale e insediato. Più in generale tale approccio dovrà riguardare tutti quei siti che, non
tradizionalmente suscettibili di tutela istituzionale, in quanto non sono sedi fisiche riconosciute di
emergenze naturalistiche localizzate, rivestono però possibili funzioni ecologico-relazionali non
ancora indagate.
Il secondo punto di approfondimento attiene il tema della pianificazione delle aree protette, e sta
conducendo gradualmente alla revisione delle tecniche consuete di zonizzazione dei parchi
mediante la ormai datata “struttura zonale concentrica”24 . Tale tipo di articolazione dei gradi di
tutela interna alle aree protette è finalizzato alla difesa delle “core areas” dalle pressioni
trasformative provenienti dall’esterno, ma tende a lungo termine ad accentuare l’insularizzazione
dell’entità “parco”. Un modello in corso di valutazione è quello della “struttura zonale ramificata”,
ovvero di una configurazione di continuità ambientale finalizzata alla osmosi controllata tra interno
ed esterno del parco delle componenti biologiche qualificanti residenti all’interno di esso25 .
Uno stimolo concettuale ulteriore proveniente dallo sviluppo della ricerca sulla continuità
ambientale concerne le modalità di estensione al territorio “normale” di quei processi di
pianificazione eco-centrici che vengono sperimentati nelle aree speciali di tutela, inseguendo le già
citate considerazioni sulla della teoria della ordinarietà dei contenuti ambientali nella pianificazione
stessa26 .
Pur in presenza delle perplessità espresse da una certa parte del pensiero economico sulla
opportunità di praticare questa estensione, va prendendo corpo un presupposto teorico che potrebbe
definirsi come la “deantropizzazione” del piano27 .
Si tratta, in altre parole, di attribuire al processo di pianificazione, che per sua natura è gestito
dall’uomo per migliorare le condizioni di vita e di sviluppo dell’uomo stesso, un incremento di
ruolo a strumento, sempre gestito dall’uomo per forza di cose, ma mirato anche a conoscere prima,
e migliorare poi, le condizioni di vita e di sviluppo delle altre componenti biotiche presenti sul
territorio.
Le attuali forme avanzate del piano pongono certamente attenzione alle presenze naturali28 , ma
forse si tratta di una attenzione ancora troppo sbilanciata solamente verso la eliminazione delle
interferenze tra la sfera antropica e quella faunistico-vegetazionale mediante l’apartheid dei domini

23
Diversi strumenti di pianificazione elaborati di recente in Italia e relativi ai nuovi parchi nazionali (Val Grande, Dolomiti Bellunesi, Majella, Gran
Sasso-Monti della Laga) pongono, seppur in forme e con pesi disomogenei, il problema della connessione tra l’area protetta e il contesto ambientale
esterno ad essa. Come esempi di pregiudiziale radicamento metodologico del tema del parco come polarità di grandi ecosistemi territoriali possono
citarsi due esperienze in corso di sviluppo relative al parco nazionale dei Monti Sibillini (Università di Camerino-Il parco nazionale dei Monti
Sibillini nel sistema dell’Appennino) e al il parco regionale Sirente-Velino (Università dell’Aquila-Studi preliminari al Piano del parco). Cfr.
Bellagamba P., Fabietti W., Filpa A., Angelini R., Romano B., Calvelli S., Arnofi S., 1999, Il parco dei Monti Sibillini nel sistema dell’Appennino,
Procam, Università di Camerino; Tamburini G., Romano B., 2000, Gli studi preliminari al piano del parco regionale Sirente-Velino, Urbanistica
Informazioni, INU, Roma.
24
Sargolini M. (Ed.), Atti della Tavola Rotonda Metodologia di analisi ed ipotesi di zonizzazione per un parco nazionale , Abbadia di Fiastra,
23.11.92, pp. 45-48, Macerata, marzo 1994. Romano B., La zonazione nelle aree protette, PARAMETRO, n.196, pp. 76-87, Faenza Ed., Faenza,
giugno 1993.
25
Per ulteriori indicazioni si veda: Romano B., Oltre i parchi, la rete verde regionale, Andromeda, 1996.
26
Gambino R., 1996, Progetti per l’ambiente, F. Angeli Ed., Milano
27
Romano B., 1999, La continuità ambientale nella pianificazione, Urbanistica 112, INU, Roma.
28
Cfr. in Urbanistica n. 104/1995 i contributi di Ziparo A., Il piano ambientale in urbanistica, di Maciocco G., Dominanti ambientali e progetto dello
spazio urbano, di Campos Venuti G., Il preliminare del PRG di Reggio Emilia, una garanzia ecologica per gli interventi urbanistici. Un ulteriore
riferimento può essere costituito da Zeppetella A., 1996, Retorica per l’ambiente, F. Angeli ed., Milano.

20
territoriali reciproci, oltretutto gestendo per questa ultima componente gli aspetti della
conservazione, ma meno quelli dello sviluppo e della ricolonizzazione spontanea.
Tra gli argomenti che vanno invece ancora approfonditi è il rapporto che intercorre tra le strutture
della continuità ambientale, intesa come l’insieme dei territori non interessati da forme insediative
intensive, i sistemi delle barriere insediative e gli ecosistemi dei diversi gruppi di specie.
Un primo ordine di complessità nella ricerca scientifica nel settore è quindi propriamente legato alle
interazioni tra il sistema della continuità ambientale, leggibile prevalentemente con riferimento alle
componenti antropiche del territorio, e il disegno delle reti ecologiche, leggibile invece con
riferimento stretto alle componenti biologiche, ma la cui identificazione è di ben più corposa
difficoltà.
Un secondo ordine di complessità è collegato al problema del mantenimento, e dell’eventuale
ripristino, delle condizioni di continuità ambientale che costituiscono l’aspetto pregiudiziale sul
quale incardinare poi ogni politica di deframmentazione degli habitats.
E’ intuitivo che per conseguire tale risultato è necessario operare con lo strumento del piano, ma ad
ogni livello di espressione di esso. Sarebbe infatti del tutto inutile recepire i connotati della
continuità ambientale nei piani di coordinamento se poi gli strumenti urbanistici generali ed
esecutivi non affrontano il problema.
Questa istanza ripropone nuovi scorci sul tema del rapporto tra i livelli di pianificazione. Infatti gli
interventi di deframmentazione degli habitats naturali possono essere operativamente e
decisivamente gestiti unicamente al livello del piano comunale e sub-comunale (contiguità tra gli
spazi verdi territoriali, soluzioni alternative alla realizzazione di opere di delimitazione della
proprietà troppo estese, rinaturazione di porzioni di suolo, by-pass infrastrutturali, orientamento
delle politiche agricole locali). Ma a questo livello, che le controlla, le configurazioni strategiche
della ecocontinuità non sono visibili e rilevabili, mentre lo sono al livello di indirizzi nazionali e di
coordinamento regionale che però possiedono una irrilevante capacità di incidenza sulla gestione
minuta degli interventi.
Indubbiamente una delle risposte che le ricerche in atto dovranno fornire è anche quella connessa
proprio con questi aspetti di ordine relazionale normativo.

1.5. Le responsabilità disciplinari e politiche

Sempre in merito a quest’ultimo punto, in Italia resta centrale il problema del traghettamento delle
sensibilità amministrative e politiche dalla promozione degli studi all’intervento legislativo, in
seguito al quale il sistema della continuità ambientale potrebbe divenire uno dei riferimenti
sostanziali per ogni successiva azione di pianificazione e di programmazione delle trasformazioni
territoriali29 .

Fig. 8 – Schema dei livelli culturali di conoscenza ecologica in Italia (Pungetti, Romano, 1999)

Gli studi condotti finora alla scala nazionale evidenziano che il processo di frammentazione
ambientale è ancora attivo, che la istituzione di aree protette, pur numerose, non serve ad arginarlo
(opinione del resto ormai consolidata nella comunità scientifica) e che unicamente la attuazione di
politiche ad ampio raggio di azione può consentire il controllo degli interventi di infrastrutturazione,
di espansione urbana e di consumo di suolo naturale in modo da garantire la permanenza almeno
delle attuali condizioni di biocontinuità.
A fronte di una qualità ecologico-ambientale a volte superba, ancorchè non omogeneamente diffusa
su tutto il territorio nazionale, con presenza di specie di assoluta levatura mondiale, sul tema delle
connessioni ambientali l’esperienza italiana è una delle meno significative d’Europa.
29
La collaborazione del gruppo Planeco e le Commissioni dell’INU che affrontano le revisioni delle leggi urbanistiche regionali della Basilicata,
dell’Abruzzo e del Molise ha condotto all’inserimento del tema della continuità ambientale negli articolati preliminari relativi alle due regioni quale
riferimento per le operazioni di pianificazione a tutti i livelli amministrativi. Sull’argomento si veda anche: Pungetti G., Romano B., 1999, Planning
the future landscapes between culture and nature, Symposium Ecological Network, IALE 99, Colorado, USA.

21
Le normative attinenti la pianificazione urbanistica, territoriale e ambientale italiana non prendono
attualmente in considerazione l’argomento delle connessioni ambientali (reti e corridoi ecologici), e
qualche riferimento al tema si riscontra solamente nei casi di revisione delle leggi urbanistiche
regionali della Emilia Romagna30 , Basilicata e del Molise, di disegni di legge regionali come quello
d’Abruzzo31 e in qualche caso di Piano Regionale Paesistico (es. Regione Sicilia) e, più
recentemente, di Aree Contigue ex l.394/91 come quelle abruzzesi32 .

Fig. 9 – Geografia delle aree contigue ex l. 394/91 nella Regione Abruzzo

Eppure, come si è ricordato poco sopra, l’arco alpino e la dorsale appenninica italiana sono
riconosciuti a livello mondiale quali ecosistemi di rilevanza assoluta, con presenza di tassi di
biodiversità tra i più elevati d’Europa.
E’ noto come la frammentazione degli habitat naturali costituisca una delle prime cause di
decremento della biodiversità. Allo stato attuale delle cose risulta necessario procedere con solerzia
alla individuazione dei caratteri nazionali e locali della continuità ambientale, sui quali accentrare
una azione di pianificazione tesa a risolvere quei conflitti con l’insediamento e con l’uso antropico
del territorio che provocano da sempre gli effetti di frammentazione ambientale. Nella prima fase di
questa azione è indiscutibile il ruolo delle discipline della pianificazione territoriale unitamente a
quelle delle scienze ambientali generali, nel condurre la analisi di carattere complessivo finalizzata
a distinguere, ad esempio, i suoli nazionali con tassi di urbanizzazione elevata, da quelli che ancora
presentano condizioni residuali di naturalità. E’ inoltre necessario porre l’attenzione sugli elementi
infrastrutturali, rilevando la presenza di fattori di occlusione fisica della continuità ambientale
rispetto a quelli che sortiscono solo effetti di disturbo.
Ma è evidente che una azione di progettazione specifica di interventi di deframmentazione
(seconda fase) richiede il coinvolgimento di disciplinarità molto più variegate ed estese che vedono
le scienze naturali e l’ecologia quali protagonisti di prima fila per il completamento di un impianto
metodologico ed operativo che, altrimenti, è destinato a restare confinato alle fasi della coscienza
politica e della pianificazione.
Le ricerche che riguardano più propriamente le reti ecologiche riferite a varie specie, con le
indicazioni degli home range e dei corridoi ecologici interspecifici, sono, in Italia, ancora troppo
limitate ad alcuni areali ristretti e, spesso, allo stadio modellistico di approfondimento, e molto
tempo occorrerà prima che le conoscenze raggiungano uno stato tale di generalizzazione territoriale
per supportare una operatività progettuale. Il mantenimento di condizioni di continuità ambientale,
almeno dove questo è ancora ragionevolmente possibile, può rappresentare un obiettivo
propedeutico di importanza nodale e una funzione di elevata responsabilizzazione per la
pianificazione nella prospettiva di allestimento di uno strumento che, dentro e fuori le aree protette,
possa rivestire una valenza programmatica realmente eco-comprensiva.
Le fasi di ricerca ed approfondimento tecnico-scientifico e la elaborazione di mezzi scientifico-
cognitivi appropriati degli aspetti della continuità ambientale e della reticolarità ecologica devono
avanzare in parallelo a fasi più tipicamente politiche, tese ad ottenere, da parte degli organi di
governo centrale e periferico una attenzione spiccata verso questo tema, da tradursi in iniziative di
legislazione e controllo delle trasformazioni territoriali.
Le azioni citate dovranno riguardare tutto il territorio, indipendentemente dalla presenza o meno di
spazi assoggettati a tutela, anche se, dalla gestione di essi, deriveranno le maggiori indicazioni
metodologiche e applicative per il consolidamento del tema.

30
Una trattazione ampia delle innovazioni disciplinari introdotte in alcune leggi urbanistiche regionali, tra cui l’Emilia Romagna, è in: Properzi P.,
Seassaro L., 1996, Leggi urbanistiche regionali tra innovazione disciplinare e riforme istituzionali, Urbanistica Informazioni, Dossier 5/96, INU,
Roma.
31
Regione Abruzzo, 1999, Disegno di legge regionale di semplificazione ai sensi dell’art.9, L.R. 3.3.99, n.11, Territorio e Urbanistica
32
Cfr. Regione Abruzzo, Delibera di G.R. n.3582/C del 30.12.98, Norme di salvaguardia relativa alle aree contigue dei Parchi Nazionali e Regionali.

22
Nel corso di recenti incontri sul tema, finalizzati a verificare le condizioni nazionali in vista
dell’inserimento nei programmi in sede europea, sono emerse alcune carenze che caratterizzano
l’Italia in merito al percorso realizzativo delle reti ecologiche, intese quali componenti fondamentali
e irrinunciabili per garantire livelli di conservazione ambientale di standard elevato.
Attualmente l’Italia può considerarsi in “fase 1” (studio delle reti limitato al contesto scientifico),
rispetto a condizioni di altri stati europei e anche alcuni del blocco orientale, quali quelli in
precedenza citati, che si trovano almeno in “fase 2” (progetto governativo) o in “fase 3”
(realizzazione).
Per poter ottenere una collocazione nel dibattito e nel confronto delle esperienze nel teatro
internazionale è indispensabile che vengano avviate nel nostro paese iniziative degli enti di
governo, o centrale o anche periferico, per fornire all’argomento una riconoscibilità istituzionale,
associata ad un preciso impegno economico-finanziario.

23
2. La continuità ambientale

2.1. Una lettura del territorio

La metodologia della “continuità ambientale” è stata elaborata attraverso diverse fasi di


sperimentazione, ritenendo questo aspetto territoriale, dipendente prevalentemente dalla geografia
delle componenti urbanistico-insediative e dalle modalità di uso del suolo, un riferimento basale
per le considerazioni attinenti invece la sfera della reticolarità ecologica, dipendente a sua volta
essenzialmente dalle componenti di carattere biologico-naturalistico.
La ricognizione delle unità geografiche bio-permeabili (intendendo come tali le porzioni di
territorio non interessate da interventi di urbanizzazione e di accentuata antropizzazione, ivi
comprese alcune forme agricole intensive), la conoscenza del loro stato di efficienza, il
riconoscimento delle eventuali potenzialità per interventi di ripristino, i criteri tecnici di
realizzazione di opere di superamento infrastrutturale, la normativa di garanzia per mitigare
frammentazioni future, il regime di governo dei corridoi ecologici una volta individuati, il ruolo
degli strumenti urbanistici locali, le modalità di disponibilità delle aree utilizzabili in tal senso e il
progetto degli interventi circostanziati sugli spazi connettivi sono alcuni degli aspetti che vengono a
configurare una condizione di elevata complessità.
Oltre a ciò, proprio con riferimento a queste ultime entità, la presenza di istanze connettive influisce
decisamente sui criteri di impianto metodologico della pianificazione dei parchi, obbligando gli
operatori a guardare ben al di là dei confini dell’area protetta e, soprattutto, a gettare questo sguardo
in maniera ben diversa da quanto, tradizionalmente, veniva fatto con le semplici letture di
“inquadramento territoriale”.
L’analisi della struttura ambientale nazionale pone in luce alcuni aspetti interessanti che denotano
però, in maniera inequivocabile, il limitato interesse profuso nel passato verso la naturalità diffusa,
anche se residuale, nelle fasi di programmazione complessiva dei grandi interventi e delle
localizzazioni di collegamento.
Se risulta accettabile che la ristretta visuale della pianificazione locale, che ha del resto prodotto per
sommatoria la maggior parte delle trasformazioni territoriali del paese, non abbia mai guardato al di
là delle bordature amministrative all’interno delle quali, di volta in volta, si esplicava, è ben più
difficile giustificare una disattenzione generalizzata degli estensori dei programmi strategici
nazionali rispetto al tema della continuità geografica, morfologica e, di conseguenza ambientale di
grandi unità naturali quali l’arco alpino e la dorsale appenninica.
L’affermazione è sostanziata dal fatto che, fin dagli anni ’70, alcuni studi estesi al territorio
nazionale, in particolare quello montano, consentivano di visualizzare il livello di continuità
geografica degli spazi naturali e semi-naturali33 , nonché gli effetti ormai avanzati che utilizzazioni
produttive di varie tipologie e, soprattutto, l’incremento della rete di mobilità veicolare, comportava
sulla contiguità ambientale.
La sensibilità degli organismi italiani di gestione infrastrutturale ai problemi ambientali è cosa
estremamente recente, in primo luogo in ordine ad alcuni aspetti di mitigazione degli impatti da
disturbo (inquinamento, barriere antirumore, arredi verdi) e solamente in qualche caso manifestata
in merito alla deframmentazione ambientale, come nella foresta di Tarvisio34 .
Del resto un comportamento tecnico compatibile con il mantenimento della continuità ambientale
nel caso di realizzazione di infrastrutture è uno dei primi requisiti da richiedere per evitare
interventi di frammentazione spesso pressoché irreversibile.

2.2. L’impostazione metodologica

33
Ministero dell’Agricoltura e Foreste, Carta della Montagna, Geotecneco 1976
34
Autostrade s.p.a., Gruppo iri, Rapporto e bilancio ambientale 1997.

24
2.2.1. Il concetto di biopermeabilità del territorio

Sono stati definiti “biopermeabili” i settori territoriali non interessati da urbanizzazioni o, in ogni
modo, da forme d’uso antropico intensivo, ivi comprese alcune localizzazioni agricole con forte
impatto utilizzativo. In forma indiretta si può affermare che, potenzialmente, le aree biopermeabili
possono assolvere funzioni di connessione ecologica per gruppi di specie più numerosi di quanto
non accada per le aree non definite biopermeabili.
In effetti non è possibile avere livelli di biopermeabilità nulla, in quanto ci saranno sempre gruppi di
specie in grado di adattarsi, vivere e disperdersi anche negli ambienti urbanizzati più densi.
La differenziazione territoriale che viene in questa sede proposta in forma dicotomica e non
graduata (aree biopermeabili o no) tende chiaramente ad evidenziare gli aspetti estremi del
fenomeno, differenziando quei domini ambientali ormai totalmente antropizzati da altri nei quali è
ancora riscontrabile una naturalità almeno residuale stimata attraverso la lettura della utilizzazione
del suolo.
Sulla base delle diverse occasioni di sperimentazione del concetto, la definizione di biopermeabilità
appena espressa sembra migliore rispetto ad altre formulate nei momenti preliminari di
impostazione dell’argomento35 .
Considerando i diversi strumenti a disposizione per l’interpretazione della biopermeabilità, come in
particolare la fisionomia della vegetazione o l’uso del suolo, sembra più adatta questa seconda fonte
in quanto direttamente connessa alle graduazioni di uso antropico che è necessario leggere.
Inoltre le forme di uso del suolo sono più facilmente riconducibili ad una lettura “oggettiva” estesa
ad interi territori nazionali a scale di dettaglio sufficienti (1:100.000) e con procedimenti molto
automatizzati, rispetto ai rilevamenti della vegetazione reale meno diffusi alla scala territoriale e che
risentono maggiormente delle soggettività interpretative dei diversi e numerosi operatori scientifici
attivi nel settore.

Fig. 10. Una tipica elaborazione dei dati Corine sulla localizzazione dei biotopi nazionali

Utilizzando uno standard europeo, quale è il Corine Land Cover36 , con riferimento al Level 3, non
vengono considerate in linea preliminare nel novero della biopermeabilità alla scala nazionale le
seguenti ulteriori categorie di Uso del Suolo, anche se talune forme di uso agricolo risultano spesso
elementi di connettività del sistema ambientale.
Come vedremo nel seguito i criteri metodologici adottati riprendono questa problematica a scale di
maggiore dettaglio territoriale.

Aree considerate non biopermeabili alla scala territoriale


(superfici urbanizzate o agricole, con livelli molto bassi di naturalità)

Tessuto urbano continuo


Spazi strutturati dagli edifici e dalla viabilità. Gli edifici, la viabilità e le superfici ricoperte artificialmente occupano più dell'80%
della superficie totale.La vegetazione non lineare e il suolo nudo rappresentano l'eccezione. Sono qui compresi i cimiteri senza
vegetazione.Problema particolare degli abitati a sviluppo lineare (villesrue): anche se la larghezza delle costruzioni che fiancheggiano
la strada, compresa la strada stessa, raggiunge solo 75 m, a condizione che la superficie totale superi 25 ha, queste aree saranno
classificate come tessuto urbano continuo (o discontinuo se le aree non sono congiunte).

Tessuto urbano discontinuo


Spazi caratterizzati dalla presenza di edifici. Gli edifici, la viabilità e le superfici a copertura artificiale coesi-stono con superfici
coperte da vegetazione e con suolo nudo, che occupano in maniera discontinua aree non trascurabili.Gli edifici, la viabilità e le
superfici ricoperte artifi-cialmente coprono dal 50 all'80% della superficie totale. Si dovrà tenere conto di questa densità per le
costruzioni localizzate all'interno di spazi naturali (foreste o spazi erbosi).Questa voce non comprende:- le abitazioni agricole sparse

35
Cfr. Romano B. , 1996, Oltre i parchi, Andromeda ed., Teramo.
36
Si veda: Commission of the European Communities, 1991, Corine, examples of the use of the results of the program 1985-1990, Office for Official
Publications of the European Communities, Luxembourg; CEC, 1991, Corine Manual, a method to identify and describe consistlenty the biotopes of
major importance for nature protection in the European Community.

25
delle periferie delle città o nelle zone di coltura estensiva comprendenti edifici adibiti a impianti di trasformazione e ricovero;- le
residenze secondarie disperse negli spazi naturali o agricoli.Comprende invece i cimiteri senza vegetazione.

Aree industriali o commerciali


Aree a copertura artificiale (in cemento, asfaltate o stabilizzate: per esempio terra battuta), senza vegetazione, che occupano la
maggior parte del terreno (più del 50% della superficie).La zona comprende anche edifici e/o aree con vegetazione.Le zone
industriali e commerciali ubicate nei tessuti urbani continui e discontinui sono da considerare solo se si distinguono nettamente
dall'abitato (insieme industriale di aree superiore a 25 ha con gli spazi associati: muri di cinta, parcheggi, depositi, ecc.). Le stazioni
centrali delle città fanno parte di questa categoria, ma non i grandi ma-gazzini integrati in edifici di abitazione, i sanatori, gli
stabilimenti termali, gli ospedali, le case di riposo, le prigioni, eccetera.

Reti stradali e ferroviarie e spazi accessori


Larghezza minima da considerare: 100 m.Autostrade, ferrovie, comprese le superfici annesse (stazioni, binari, terrapieni, ecc.) e le
reti ferroviarie più lar-ghe di 100 m che penetrano nella città.Sono qui compresi i grandi svincoli stradali e le stazioni di smistamento,
ma non le linee elettriche ad alta tensione con vegetazione bassa che attraversano le aree forestali.

Aeroporti
Infrastrutture degli aeroporti: piste, edifici e superfici associate.Sono da considerare solo le superfici che sono interessate dall'attività
aeroportuale (anche se alcune parti di queste sono utilizzate occasionalmente per agricoltura-foraggio).Di norma queste aree sono
delimitate da recinzioni o strade. In molti casi, l'area aeroportuale figura sulle carte topo-grafiche a grande scala (1:25.000 e
1:50.000). Non sono com-presi i piccoli aeroporti da turismo (con piste consolidate) ed edifici di dimensioni molto piccole.

Aree estrattive
Estrazione di materiali inerti a cielo aperto (cave di sabbia e di pietre) o di altri materiali (miniere a cielo aperto).Ne fanno parte le
cave di ghiaia, eccezion fatta, in ogni caso, per le estrazioni nei letti dei fiumi.Sono qui compresi gli edifici e le installazioni
industriali associate. Rimangono escluse le cave sommerse, mentre sono comprese le superfici abbandonate e sommerse, ma non
recuperate, comprese in aree estrattive.Le rovine, archeologiche e non, sono da includere nelle aree ricreative.

Aree sportive e ricreative


Aree utilizzate per camping, attività sportive, parchi di divertimento, campi da golf, ippodromi, rovine archeologiche e non, eccetera.
Ne fanno parte i parchi attrezzati (aree dotate intensamente di attrezzature ricreative, da picnic, ecc., compresi nel tessuto urbano.

Seminativi in aree non irrigue


Sono da considerare perimetri irrigui solo quelli individuabili per fotointerpretazione, satellitare o aerea, per la presenza di canali e
impianti di pompaggio.Cereali, leguminose in pieno campo, colture foraggere, coltivazioni industriali, radici commestibili e
maggesi.Vi sono compresi i vivai e le colture orticole, in pieno campo, in serra e sotto plastica, come anche gli impianti per la
produzione di piante medicinali, aromatiche e culinarie.Vi sono comprese le colture foraggere (prati artificiali) ma non i prati stabili.

Seminativi in aree irrigue


Colture irrigate stabilmente e periodicamente grazie a un'infrastruttura permanente (canale di irrigazione, rete di drenaggio). La
maggior parte di queste colture non potrebbe realizzarsi senza l'apporto artificiale d'acqua. Non vi sono comprese le superfici irrigate
sporadicamente.

Risaie
Superfici utilizzate per la coltura del riso.Terreni terrazzati e dotati di canali d'irrigazione.Superfici sporadicamente inondate.

Frutteti e frutti minori


Impianti Di alberi o arbusti fruttiferi: colture pure o miste di specie produttrici di frutta o alberi da frutto in associazione con superfici
stabilmente erbate. I frutteti di meno di 25 ha compresi nei Terreni agricoli (prati stabili o seminativi) ritenuti importanti sono da
comprendere nella classe 2.4.2. I frutteti con presenza di diverse associazioni di alberi sono da includere in questa classe.

Oliveti
Superfici piantate a olivo, comprese particelle a coltura mista di olivo e vite.

Prati stabili
Superfici a copertura erbacea densa a composizione floristica rappresentata principalmente da graminacee, non soggette a rotazione.
sono per lo più pascolate ma il foraggio può essere raccolto meccanicamente.Ne fanno parte i prati permanenti e temporanei e le
marcite. Sono comprese le aree con siepi.Le colture foraggere (prati artificiali inclusi in brevi rotazioni) sono da classificare come
seminativi (2.1.1).

Colture annuali associate a colture permanenti


Colture temporanee (seminativi o prati in associazione con colture permanenti sulla stessa superficie, quando le particelle a frutteto
(o altro) comprese nelle colture annuali non associate rappresentano meno del 25% della superficie totale.

26
Sistemi colturali e particellari complessi
Mosaico di piccoli appezzamenti con varie colture annuali, prati stabili e colture permanenti, occupanti ciascuno meno del 75% della
superficie totale dell'unità.Vi sono compresi gli "orti per pensionati" e simili.Eventuali "lotti" superanti i 25 ha sono da includere
nelle zone agricole.

Aree considerate biopermeabili alla scala territoriale


(superfici naturali e semi-naturali, superfici agricole frammiste a spazi naturali)

aree prevalentemente occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali, aree agroforestali;
Aree prevalentemente occupate da colture agrarie con presenza di spazi naturali (formazioni vegetali naturali, boschi, lande,
cespuglieti, bacini d'acqua, rocce nude, ecc.) importanti.Le colture agrarie occupano più del 25 e meno del 75% della superficie totale
dell'unità.

boschi di latifoglie;
Formazioni vegetali, costituite principalmente da alberi ma anche da cespugli e arbusti, nelle quali dominano le specie forestali a
latifoglie.La superficie a latifoglie deve coprire almeno il 75% dell'unità, altrimenti è da classificare bosco misto.

boschi di conifere;
Formazioni vegetali costituite principalmente da alberi ma anche da cespugli e arbusti, nelle quali dominano le specie forestali
conifere.La superficie a conifere deve coprire almeno il 75% dell'u-nità, altrimenti è da classificare bosco misto.

boschi misti;
Formazioni vegetali, costituite principalmente da alberi ma anche da cespugli e arbusti, dove non dominano né le latifoglie, né le
conifere.

aree a pascolo naturale e praterie di alta quota;


Aree foraggere a bassa produttività.Sono spesso situate in zone accidentate. Interessano spesso superfici rocciose, roveti e
arbusteti.Sulle aree interessate dalla classe non sono di norma presenti limiti di particelle (siepi, muri, recinti).

brughiere e cespuglieti;
Formazioni vegetali basse e chiuse, composte principalmente di cespugli, arbusti e piante erbacee (eriche, rovi, ginestre dei vari tipi,
ecc.). Vi sono comprese le formazioni a pino mugo.

aree a vegetazione sclerofilla;


Ne fanno parte macchie e garighe.Macchie: associazioni vegetali dense composte da numerose specie arbustive miste su terreni
silicei acidi in ambiente mediterraneo.Garighe: associazioni cespugliose discontinue delle piattaforme calcaree mediterranee.Sono
spesso composte da quercia coccifera, corbezzolo, lavanda, timo, cisto bianco, eccetera. Possono essere presenti rari alberi isolati.

aree a vegetazione boschiva ed arbustiva in evoluzione;


Vegetazione arbustiva o erbacea con alberi sparsi. Formazioni che possono derivare dalla degradazione della foresta o da una
rinnovazione della stessa per ricolonizzazione di aree non forestali

rocce nude;

falesie;

rupi e affioramenti;

aree con vegetazione rada;


Comprende le steppe xerofile, le steppe alofile, le tundre e le aree calanchive in senso lato.

aree percorse da incendi;

ghiacciai e nevi perenni;

paludi interne;
Terre basse generalmente inondate in inverno e più o meno saturate d'acqua durante tutte le stagioni.

lagune interne;
Aree coperte da acque salate o salmastre, separate dal mare da barre di terra o altri elementi topografici simili. Queste superfici
idriche possono essere messe in comunicazione con il mare in certi punti particolari, permanentemente o periodicamente.

27
paludi salmastre;

corsi d’acqua;

Spiagge, dune, sabbie e ciottolami dei greti.


Le spiagge, le dune e le distese di sabbia e di ciottoli di ambienti litorali e continentali (più larghe di 100 m), com-presi i letti sassosi
dei corsi d'acqua a regime torrentizio. Le dune ricoperte di vegetazione (erbacea o legnosa) devono essere classificate nelle voci
corrispondenti: boschi, prati o aree a pascolo naturale.

canali e idrovie;
bacini d’acqua;
estuari, lagune.

E’ importante sottolineare la difficoltà, e probabilmente anche l’inesattezza, di proporre per spazi


omogenei per uso del suolo, come quelli indicati, una “gerarchia” di bio-permeabilità. Infatti, dal
punto di vista della biodiversità è certamente più importante l’articolazione ecotonale37 e, quindi,
l’alternanza di siti con caratteristiche ecologiche diverse. In tal senso la segnalazione di valenza
ambientale ai fini della biocontinuità dovrà essere attribuita all’insieme delle unità geografiche
biopermeabili. Di seguito vengono descritte le ragioni dell’inserimento di alcuni gruppi di usi del
suolo all’interno della categoria delle aree biopermeabili.
Il concetto di biopermeabilità presenta un limite importante rispetto al suo significato trans-scalare.
Può essere ritenuto di buona utilità quando è chiamato a rappresentare la fisionomia della naturalità
complessiva del territorio a dimensioni medio-grandi, mentre perde indubbiamente di significato
interpretativo quando se ne tenta una lettura a dimensione locale. In questa, infatti, nella descrizione
della funzionalità ecologica del territorio assumono ruoli irrinunciabili i dati più direttamente legati
alle relazioni e pertanto derivabili dalle analisi faunistiche, di vegetazione, di morfologia locale, di
climatologia, di ecologia del paesaggio.
La configurazione della biopermeabilità, pur importante per fornire riferimenti ampi, non può più
offrire efficienti supporti operativi quando gli oggetti considerati divengono quelli afferenti gli
ecosistemi circoscritti.
Per calibrare la affermazione appena espressa, si potrebbe forse dichiarare attendibilmente che il
rilevamento delle condizioni di biopermeabilità territoriale, e delle conseguenti condizioni di
continuità ambientale, può avere significato informativo efficace nelle applicazioni che necessitano
di letture alla scala 1:100.000 ed inferiori, il che si traduce in una possibilità per il concetto stesso di
supportare forme di pianificazione, e decisioni correlate, ai tipici livelli di coordinamento (scala
regionale e provinciale).
Una ulteriore e importante considerazione riguarda i requisiti territoriali nelle quali l’applicabilità
del concetto di biopermeabilità risulta maggiormente significativa. Il fatto che tale attributo nasca
nel contesto del territorio appenninico non è un caso; infatti la sua valenza applicativa è rilevante in
situazioni ambientali con marcata variabilità spaziale, nelle quali, ovvero, l’ecomosaico38 è molto
articolato.

Fig. 11 . Un caso di biopermeabilità non differenziabile: il deserto dell’Arizona

Fig. 12 . Un caso di area con naturalità molto limitata: una densa concentrazione urbana

La lettura della biopermeabilità si rivela perciò utile prevalentemente nei casi in cui spazi
antropizzati e non antropizzati realizzino condizioni di commistione, sovrapposizione, interferenza
reciproca continua e complessa.

37
Malcevschi S., Bisogni L.G., Gariboldi A., 1996: Reti ecologiche e interventi di miglioramento ambientale, Op. cit.
38
Si veda: Forman R.T., 1995, Land mosaics, the ecology of landscape and regions. Cambridge, Univ. Press;
Ingegnoli V., 1993, Fondamenti di ecologia del paesaggio, CittaStudi ed., Torino.

28
Evidenziare la biopermeabilità di una regione territoriale significa sostanzialmente valutare il punto
a cui il processo di modificazione ingenerato dalla attività umana è giunto in termini di
disgregazione della matrice naturale. Può anche servire per verificare quali spazi di reversibilità
sono ancora disponibili per il ripristino delle condizioni ambientali utili alla sopravvivenza delle
componenti biocenotiche diverse da quella antropica, e meno adattabili di di altre all’ambiente
densamente umanizzato.
La geografia della biopermeabilità nazionale, disegnata secondo i criteri in corso di illustrazione,
conferma la naturale intuizione che le concentrazioni principali di territori naturali e semi-naturali
in Italia siano collocate lungo la dorsale appenninica, l’arco alpino e la Sardegna, ma con
significative smarginature soprattutto lungo l’entroterra costiero tirrenico.
Si evidenzia in particolare una prima grande cesura meridionale nel sistema all’altezza dell’Irpinia,
e una seconda, di portata minore, in Calabria, cesure che studi ecologici hanno anche correlato con
il gradiente latitudinale di alcuni gruppi faunistici39 .
Vengono di seguito illustrate le motivazioni di attribuzione di biopermeabilità alle citate categorie
di uso del suolo.

2.2.1.1. Le forme d’uso del suolo

Aree forestali
Si può affermare in via preliminare che ogni tipo di copertura forestale (ad eccezione probabilmente
di alcune colture legnose) contraddistingue generalmente un ambiente di elevata valenza ecologica,
indubbiamente elettivo per molte specie faunistiche40 , in relazione alla diffusa presenza di ripari e
nascondigli e alla limitata entità del disturbo antropico, almeno nelle ore notturne, nelle stagioni non
turistiche e nei periodi in cui non si attuano interventi di taglio. A questa categoria di uso del suolo
viene associato un elevato livello di biopermeabilità, fermo restando che indagini successive a
maggior grado di dettaglio possono condurre ad altre differenziazioni in questo senso, dipendenti da
diversi parametri e indicatori (essenze, tessitura forestale, diversità delle specie presenti, livelli di
utilizzazione antropica storici e attuali, struttura morfologica locale, fattori di disturbo localizzati o
limitrofi).
E’ chiaro che queste ulteriori valutazioni possono consentire di ottenere delle graduazioni anche
molto ampie nella attribuzione di livelli di biopermeabilità, che possono risultare decisive,
unitamente ad altri ragionamenti, per la individuazione delle linee di eccellenza della continuità
ambientale alla scala operativa.

Fig. 13. Area forestale dell’Appennino (Parco Nazionale d’Abruzzo)

Incolti ed aree degradate


Gli incolti, generalmente anche cosparsi di vegetazione residuale delle coltivazioni (soprattutto
specie arboree da frutto ed arbustive da siepe gradite anche alla fauna selvatica), dovrebbero avere
un buon livello di biopermeabilità, tenendo conto che non sono presenti in genere né occlusioni
fisiche al transito biologico, né cause di disturbo diurno o notturno, in quanto non ci sono
motivazioni per attività umane continuative. La considerazione degli incolti e degradati in chiave
relazionale costituisce un momento di particolare riflessione nel presente apparato metodologico in
quanto la cultura tecnico-scientifica comune ha relegato con troppa facilità alla condizione
programmatica del “non intervento” o della potenzialità elevata per trasformazioni insediative tali
aree, in base alla equazione “carenza di qualità ambientali esplicite e localizzate”= “limitato

39
Cfr. Battisti C., Contoli L., 1997, Sulla componente di ricchezza nella biodiversity avifaunistica in Italia, peninsularità ed insularità, Rivista Italiana
di Ornitologia, 67 (2), Milano. Si veda anche: Battisti C., Figliuoli F., Romano B., 1999, La continuità ambientale alla scala nazionale, spunti da studi
di pianificazione e da analisi faunistiche, ANPA, ARPA Piemonte, raccolta delle sintesi del Workshop “Paesaggi rurali di domani, la gestione degli
ecosistemi agro-silvo-pastorali e la tutela della connettività ecologica del territorio extraurbano”, 10.9.99, Torino.
40
Casanova P., Massei G., 1989, Valutazione del carico massimo teorico di Cervo, Daino e Capriolo in alcuni boschi appenninici, in: Biondi E., Il
bosco nell’Appennino, Centro Studi Valleremita, Fabriano.

29
impatto ambientale delle opere preventivate”. Gli incolti, i suoli a vario titolo degradati, i suoli
“ex”-qualcosa (ex coltivi, ex pascoli, ex foreste), generalmente sono poco considerati nella
composizione conoscitiva dei quadri delle qualità ambientali, attenta soprattutto a rilevare valenze
di picco o, comunque, valori diretti, contestualizzati e “leggibili” (una qualche differenza rispetto a
questa impostazione è però già emersa nel corso del rilevamento dei SIC, SIR e SIN del Progetto
Natura 2000).
Questi luoghi sono invece quelli dei valori “relazionali”, ma la loro importanza, appunto per questa
caratteristica, emerge esclusivamente da una lettura di insieme, necessariamente sistemica in tutte le
sue fasi, lontana pertanto dalla logica della “emergenza ambientale” (intesa quale singolarità).
Inoltre, proprio per le loro caratteristiche di spazi con ridotte rivendicazioni economiche, vengono a
rappresentare siti di priorità per l’avanzamento di opzioni di ripristino ambientale e di
rinaturalizzazione.
Anche in questo caso, così come è stato esposto a proposito delle foreste, una lettura dettagliata dei
connotati ecologici, fisici e strutturali delle aree degradate e incolte conduce certamente a
differenziazioni anche marcate dei tassi di biopermeabilità.
Gli aspetti che intervengono in questa valutazione differenziale sono la tipologia degli usi
precedenti degli incolti, i tempi decorsi dall’abbandono, la dinamica di impianto e diffusione delle
specie vegetali pur se ruderali e loro tipologia, la collocazione altimetrica, i connotati clivometrici e
di esposizione delle aree, la morfologia superficiale e eventuali altri fattori locali).

Fig. 14 . Tipiche forme di incolto in via di rinaturalizzazione spontanea

Fig. 15 – Uno dei moduli costituenti il formulario standard per il censimento dei Siti di Interesse
Comunitario (SIC) e delle Zone di Protezione Speciale (ZPS) Natura 2000

Fig. 16 . La distribuzione nazionale dei Siti di Interesse Comunitario Natura 2000 (Ministero
dell’Ambiente, 1999)

Fig. 17 . Distribuzione delle specie di Mammiferi in relazione alla selezione dell'habitat . Il grafico
mostra la distribuzione delle presenze faunistiche documentate rispetto alle forme di uso del suolo
in una area protetta dell’Appennino Centrale, evidenziando con particolare efficacia il ruolo delle
aree forestali e degli incolti (fonte: Biondi M. Carafa M., Ottino P., 1999, Studi preliminari al
piano del parco Sirente-Velino, Università dell’Aquila)

Pascoli
Il pascolo può ritenersi una tipologia di uso del suolo con un livello di biopermeabilità ancora
accettabile ai fini della continuità ambientale. In molti casi è possibile che le condizioni di diversità
vegetazionale siano migliori nei pascoli che non negli incolti e nei suoli degradati. Però nelle zone
di pascolo è certamente più accentuato il disturbo dovuto alle attività di gestione (eventuali
falciature stagionali e presenza umana e di animali domestici, anche se non continuativa). Possono
inoltre essere presenti occlusioni fisiche della continuità ambientale, quali barriere di delimitazione
della proprietà, anche se spesso di tipo facilmente superabile e precario (steccati in legno di altezza
limitata, spesso con parti mancanti o deformate).
Studi di dettaglio consentono anche per questi settori territoriali di verificare potenzialità
ecofunzionali diverse. Gli elementi in gioco, oltre naturalmente a quelli morfologici, che, come si è
già visto, condizionano tutti i tipi di biopermeabilità, sono i caratteri fitologici del pascolo, i carichi
di bestiame domestico, le frequenze di sfalcio, la dimensione rispetto ad altre aree limitrofe a
biopermeabilità superiore.

Fig. 18. Pascolo in un’altopiano carsico dell’Appennino Centrale (Parco Regionale Sirente-Velino)

30
Aree agricole
Le aree agricole non possono generalmente essere considerate come spazi biopermeabili, nella
accezione specificata per le altre categorie di uso del suolo. In queste, infatti, soprattutto nelle forme
intensive e specializzate, ma non solo, la biodiversità vegetazionale è molto limitata, la presenza di
edifici, anche se radi, comporta movimento di persone, illuminazione notturna, rumori. Le barriere
di delimitazione della proprietà sono più solide e difficilmente superabili (recinzioni in legno,
muratura, rete metallica), ma anche in mancanza di queste i movimenti umani sono quotidiani e
danno luogo ad un disturbo continuativo. La rete infrastrutturale, inoltre, anche se solo rurale, è
sempre fitta e diffusa41 . Il livello di biopermeabilità di questo tipo di aree viene ritenuto, nel primo
stadio di applicazione della metodologia, molto limitato, fermo restando che alcune tipologie di
conduzione agricola, soprattutto montane, potrebbero anche risultare compatibili con la mobilità
biologica.
Ma le valutazioni generalizzate, già suscettibili di ampie revisioni nei casi precedentemente
descritti, per le aree agricole risultano ancora più precarie. Infatti non è possibile associare un
livello attendibile di biopermeabilità ad aree agricole se non si procede ad uno studio di dettaglio
già dalla prima fase di applicazione metodologica. Lasciando da parte le grandi estensioni agricole
pressoché monocolturali, nelle quali oltretutto la presenza di fitte barriere infrastrutturali e
proprietarie, come i reticoli viari e le recinzioni, costituisce condizione sufficiente per un
azzeramento della biopermeabilità, in molti altri casi intervengono valutazioni diversificate. La
qualità ecoconnettiva dei territori agricoli è legata alla tipologia delle coltivazioni, all’alternanza dei
cicli produttivi, e anche, in modo significativo, alle dimensioni fisiche dell’ambito coltivato.
Se in senso lato un’area agricola non risulta biopermeabile nei confronti delle tendenze espansive
della vegetazione naturale – in quanto la lavorazione frequente del terreno impedisce l’impianto di
quest’ultima – potrebbe però, in qualche caso, rappresentare addirittura una risorsa trofica per
alcune specie faunistiche e di conseguenza, nei confronti di queste, perdere l’attributo di barriera
per acquisire addirittura quello opposto di ambito ecoconnettivo incentivato.
A parità di altre condizioni è certamente importante riuscire a valutare un coefficiente di forma
geometrica dei siti agricoli. Configurazioni lunghe e molto strette comportano ovviamente un
effetto di frammentazione meno accentuato lungo il lato minore, in ovvia conseguenza dei più
ridotti tempi statistici dell’eventuale transito biologico tra le adiacenti zone a disturbo più limitato42 .

Fig. 19 . Aree agricole intermontane

2.2.1.2. Gli elementi idrografici

Tra le componenti citate del sistema della ecoconnettività le aste fluviali sono quelle per le quali è
più complesso stabilire idoneità di carattere generale. I corsi d’acqua indubbiamente, in tutti i luoghi
del mondo nei quali le loro condizioni risultano ecologicamente inalterate, costituiscono le direttrici
privilegiate del biomovimento, sia per ciò che riguarda le specie che vivono totalmente o
parzialmente nell’elemento acqua, sia per quelle che colonizzano le fasce ripariali o che, comunque
sia, utilizzano i fiumi per le loro esigenze vitali.
Nella realtà ambientale italiana la situazione dei fiumi è profondamente mutata nel tempo. Una
qualità ambientale elevata di essi può essere riscontrata esclusivamente nei tratti montani. Ma già
nelle aree sub-montane e collinari, appena lungo il loro corso si addensano insediamenti e aree
agricole, la qualità delle acque si abbassa drasticamente e, peggio ancora, si impoveriscono

41
Jaarsma F.C., 1997, Approaches for the planning of rural roads networks according to sustainable land use planning, Landscape and Urban
Planning, 39, Elsevier Science, Amsterdam.
42
Per una sintesi sulla trattazione del ruolo delle geometrie nella frammentazione ambientale si veda: Collinge S.K., 1996, Ecological consequences
of habitat fragmentation, implications for landscape architecture and planning, Landscape and Urban Planning, 36, Elsevier Science, Amsterdam.

31
ecologicamente le fasce spondali a causa di sistemazioni, arginature, opere varie di regimazione e
contenimento, escavazioni in alveo.

Fig. 20 . Due ambienti fluviali con netta differenziazione di stato ambientale: escavazioni in alveo
nella Val di Cogne e elevata naturalità in Val Ferret (Valle d’Aosta).

Pertanto i fiumi, nella migliore delle ipotesi, riescono ancora a svolgere un efficace ruolo
ecoconnettivo solamente nei settori alti del loro corso, dove, tra l’altro, sarebbe meno importante
stante le buone condizioni in tal senso anche degli ambienti limitrofi.
Si può affermare inoltre che spesso i fiumi stessi, nei loro settori di prossimità alla costa, cessano
del tutto di avere funzioni di connessione ecologica potendo ritenersi delle barriere in tutti sensi,
considerando i livelli di inquinamento e concentrazioni di interventi insediativi (canalizzazioni,
urbanizzazioni, estremo degrado degli spazi deltizi).
Il reticolo idrografico, stante queste caratteristiche, è un elemento da studiare caso per caso per
definire le possibilità di compartecipazione attiva nella configurazione della rete ecologica.
E’ evidente che, in talune circostanze, quale ad esempio quella padana, e comunque in aree agricole
intensive, il ruolo giocato dal reticolo idrografico è fondamentale nell’ipotesi di restauro di
connessioni ecologiche per alcuni gruppi di specie, in quanto gli spazi fluviali sono assolutamente
irrinunciabili nella definizione della geografia ecologico-reticolare.

Fig. 21. Riconformazione paesaggistica dell’alveo fluviale (Canale del Danubio, Vienna)

Fig. 22. Caso di restauro ambientale di una area fluviale (Fiume Tweed, Scozia)43

2.2.1.3. Gli elementi morfologici

La morfologia territoriale interviene nella valutazioni delle idoneità ambientale al fine di verificare
la presenza di potenziali direttrici di continuità, in quanto ad essa vanno riferite le presenze di
barriere naturali o, per contro, di conformazioni incentivanti nei confronti dei movimenti biologici.
In particolare è importante operare una lettura della morfostruttura superficiale dei suoli per
verificare la compresenza di modellamenti favorevoli del territorio e di altri elementi chiave della
bioconnettività, come le aree forestali.

Fig. 23 . Una delle strutture morfologico-ambientali strategiche per la continuità in Italia Centrale
tra l’Abruzzo ed il Lazio (Sella di Corno)

Fig. 24. Circostanze morfologiche con effetti diversi sulla continuità ambientale

Linee morfologiche “pulite” e con pochi ostacoli trasversali, come crinali, fondovalle o fianchi
montuosi poco articolati rappresentano probabilmente, a parità di condizioni diverse, una
facilitazione alla diffusione biologica rispetto a morfologie tormentate.
Per contro, articolazioni morfologiche più pronunciate potrebbero costituire un vantaggio per
l’affermazione di livelli più marcati di biodiversità, grazie alla rapida alternanza delle esposizioni,
alle circostanze microclimatiche molto variate, alla presenza di pertugi e sinuosità utili per le specie
più elusive.
Da quanto detto si perviene alla conclusione che, così come accade per il reticolo idrografico, anche
la struttura morfologica mal si presta a generalizzazioni dei gradi d’idoneità alla scala
macroterritoriale, mentre necessita di letture in dimensione più ridotta e attenta ai particolari.

43
Tweed Foundation, 1996, Review and Progress Report, UK.

32
La morfologia inoltre, ancor più della idrografia, considerata sotto il profilo di elemento
bioconnettivo, sembra un aspetto intimamente connesso con le idoneità ecologiche del territorio,
valutabile pertanto con attendibilità riferendolo alle specie ed alle loro singole esigenze
ambientali44 .
Più facile forse, all’interno della metodologia tesa ad identificare la fisionomia della grande
continuità ambientale, inserire l’elemento morfologico unicamente quando si presenta sotto forma
di frattura della continuità stessa e, quindi, annoverabile tra le barriere naturali.

Fig. 25. Carta nazionale della biopermeabilità realizzata con l’elaborazione dei dati Corine Land
Cover, Level 3 (realizzazione Planeco Project, 1999).

Fig. 26. Alcuni dati ecologici che possono essere posti in relazione con la geografia della
biopermeabilità.
26.a – Diagramma Ricchezza avifaunistica-distanza peninsulare su 17 punti (limiti di confidenza
della retta: 95%) dove a: Appennino centrale abruzzese, p: Alpi piemontesi, u: Appennino
umbro.(Fonte: Battisti & Contoli, 1995)45

26.b – Mappa della ricchezza avifaunistica dove: ? Ricchezza elevata, ? alta, + bassa, - molto
bassa (Battisti & Contoli, 1995).

26.c – Gradiente latitudinale della biodiversità in Italia. Le oscillazioni dell’indice di Sorensen46


relativo ad alcune specie faunistiche lungo l’asse peninsulare nazionale (Fonte: Battisti C. &
Figlioli F., elaborazione inedita).

Note all’elaborazione:
INDICE DI SORENSEN

L'indice di Sorensen, o quoziente di similarità, consente di ottenere una misura quantitativa della similarità in termini della composizione della fauna
tra differenti habitat.

QS= 2j/a+b
j= numero di specie presenti sia nell'habitat A che B
a= numero di specie presenti solamente nell'habitat A
b= numero di specie presenti solamente nell'habitat B

L'indice di Sorensen, nello studio in questione è stato applicato ai transetti, per calcolare l'affinità faunistica tra coppie di transetti adiacenti (coppia
1-2, coppia 2-3, coppia 3-4 etc.)
Si è voluto osservare, se indipendentemente dall'andamento del numero di specie lungo il gradiente latitudinale ("effetto penisola" classico), ci fosse,
(anche in condizioni di numero di specie costante) un "turn over" di specie da un transetto all'altro. Tale cambiamento nella composizione della
fauna potrebbe significare l'esistenza di condizioni ecologiche differenti o anche l'esistenza di una qualche interruzione stru tturale (e.g.., barriere
orofisiografiche) di "continuità" tra transetti.

TRANSETTI
I transetti sono di tipo latitudinale, ogni transetto è costituito da una fila di fogli IGM, e quindi corrisponde a 20'.
I transetti sono disposti e numerati in ordine crescente da nord a sud.
Sono stati esclusi la prima serie di fogli (1 e 1a )-interessano solamente una piccolissima porzione di superficie appartenente al territorio politico
italiano.
Il primo transetto corrisponde quindi alla riga di fogli 2-4 c
Analogamente è stato esclusa l'ultima serie di fogli della Calabria (263-264) poiché includono una piccola porzione di terraferma.

2.2.2. Le barriere e gli indicatori di frammentazione territoriale

44
Blasi C., 1999, L’analisi della connettività e della frammentazione nella definizione dei corridoi ecologici in ambiente urbano e perturbano, ANPA,
Università di Catania, Reti e corridoi ecologici per gli interventi di conservazione e salvaguardia della natura in ambiente urbano e suburbano, 1-3
ottobre 1999.
45
Battisti C., Contoli L., 1995, La componente di ricchezza della diversità avifaunistica in Italia: una sintesi cartografica, Ricerche di Biologia della
Selvaggina, 96.
46
Southwood, T.R.E. 1966. Ecological Methods. Chapman and Hall, London

33
Sia per gli spazi biopermeabili che per le barriere alla continuità ambientale l’approccio
metodologico prevede due stadi distinti di esame, corrispondenti a scale diverse di conoscenza e di
operatività.
Anche in questo caso, quindi, si sono pronunciati due ordini di considerazioni. Il primo interviene in
parallelo con la prima fase di lettura della biopermeabilità e, come già detto, sostiene le valutazioni
e le considerazioni in sede di pianificazione a livello d’area vasta e ad una scala almeno regionale. Il
secondo momento di approfondimento supporta invece la fase del progetto e dell’intervento. Un
intervento che, in questo caso, coinvolge istituzioni pubbliche e anche aziende private poiché viene
ad incidere profondamente sulle politiche infrastrutturali e sulle modalità anche tecniche di
realizzazione del progetto e delle opere relativi alle direttrici di mobilità.

2.2.2.1. Le barriere urbane

La distribuzione territoriale dell’insediamento, relativamente alla collocazione fisica degli spazi


urbanizzati e agli impatti sulle aree di margine, legati alla dimensione demografica e alla eventuale
tipologia specializzata dell’insediamento stesso, costituisce un aspetto di estrema importanza nella
definizione delle caratteristiche di frammentazione del territorio. Un insediamento più diffuso,
eventualmente “filamentoso”, quindi linearmente distribuito pur se a bassa densità, configura effetti
di frammentazione ambientale normalmente più marcati di una struttura insediativa molto
accorpata, anche a parità di superficie occupata e anche presupponendo una uguale incidenza delle
infrastrutture di collegamento (che saranno però indubbiamente più estese nel primo caso).
Gli effetti collaterali di disturbo prolungato dovuto alle consuete attività umane (rumori,
illuminazioni notturne, movimenti) portano ad associare alle strutture insediative un potere di
frammentazione elevato sulla continuità ambientale e le possibili linee di continuità vanno ricercate
nella adiacenza di alcuni elementi, sempre urbani, ma con un minimo livello di naturalità.
In questo senso sono significative le contiguità di aree verdi o alcuni elementi naturali lineari, quali
i fiumi e le aree spondali, sulla presenza dei quali si basano, peraltro, molte delle esperienze
statunitensi di allestimento delle greenways47 .
Risulta comunque evidente come, a meno di particolarissimi casi, in Italia le reti verdi avviluppate
dal tessuto urbano, pur se continue, avranno sempre un grado molto limitato di naturalità e saranno
soggette a disturbi troppo accentuati perché consentano una reale funzionalità bioconnettiva tra i
grandi spazi naturali e semi-naturali esterni alla città. Generalmente il ruolo di questi ambiti è
limitato all’uso antropico, di assorbimento della domanda di tempo libero, e alla sopravvivenza di
alcune specie animali comunque molto adattate alle condizioni urbane.
Nell’area montana appenninica esistono tuttavia alcuni casi di città interne nei quali sarebbe
possibile sperimentare forme di pianificazione e di gestione del grande verde urbano anche in una
logica connettiva di maggiore portata, e ciò è dovuto alla particolare condizione di “immersione”
degli organismi urbani in oggetto in una matrice seminaturale e naturale di estrema prossimità, ma
si tratta di situazioni estremamente particolari il cui modello è di difficile esportabilità.

Fig. 27 – Barriera urbana lineare sulla costa adriatica

Fig. 28 – Barriera urbana in una conca intermontana dell’Appennino

Ben più complesso è il caso rappresentato dalle concentrazioni urbane costiere nazionali che hanno
di fatto posto un ostacolo pressoché insormontabile, se sommato alla compresente direttrice
autostradale, stradale e ferroviaria, tra le aree collinari interne, le foci dei fiumi e il mare.

Fig. 29 – Le coste non urbanizzate in Italia (elaborazione D. Di Ludovico, 1998)

47
Cfr. Little C.E., 1990, Greenways for America, The J.Hopkins University Press, Baltimore

34
Il recupero di queste circostanze territoriali appare, anche a lungo termine, molto improbabile,
stante gli enormi impegni politici, tecnologici e finanziari che una sarcitura della biocontinuità
costiera comporterebbe. La rimozione di una barriera urbana lineare, anche di dimensioni ridotte, è
estremamente difficile in quanto vengono coinvolti gli aspetti della proprietà privata. In tal senso è
possibile affermare che, tranne qualche caso particolare, la frammentazione urbana non è
reversibile.
L’unica strada da percorrere, allo stato attuale delle cose, sembra il mantenimento di quelle poche
situazioni ancora non degradate, o almeno non irreversibilmente, che possono essere preservate
dalle dinamiche descritte a vantaggio delle, ormai poche, biocenosi di scambio presenti.

2.2.2.1.2. Gli indicatori della frammentazione urbana

I citati connotati dell’insediamento possono essere misurati mediante l’uso di opportuni indicatori di
rapporto attuale tra il territorio urbanizzato e non urbanizzato.
Gli indicatori sono relativi ai fenomeni di distribuzione, densità, continuità e caratteristiche
dell’urbanizzazione . L’obiettivo è quello di rendere percepibile, sotto il profilo parametrico, la
presenza di condizioni di continuità ambientale reale dei singoli ambiti attraverso la verifica delle
barriere e delle cause di frammentazione legate ai fenomeni di urbanizzazione.
In via preliminare, si può prevedere l’utilizzo dei seguenti indicatori:
?? Incidenza dell’ urbanizzazione rispetto alle diverse forme di uso del suolo in ambiti geografici
significativi;
?? Dispersione dell’urbanizzazione sul territorio (indice indirettamente collegato alla densità
viaria);
?? Caratteri spaziali di organizzazione dell’insediamento;
?? Coefficienti di forma dell’area urbanizzata.

Con riferimento alle geometrie dell’urbanizzazione si forniscono di seguito alcune indicazioni sulla
valutazione degli effetti di frammentazione ambientale.
Sulla base della considerazione che vede, a parità di dimensioni dell’insediamento, la forma
polarizzata circolare come quella che provoca effetti meno gravi di frammentazione ambientale, la
frammentazione urbana lineare può essere misurata mediante l’indice UFI (Urban Fragmentation
Index):

UFI = L * ? S dove:

L = Dimensione massima della barriera urbana lineare;


S = Superficie dell’area urbanizzata.

E’ possibile calcolare l’indice di frammentazione urbana lineare riferito a determinate aree di


interesse (unità ambientali, aree protette, distretti amministrativi).
Può essere utile ricostruire la dinamica cronologica di linearizzazione del tessuto urbano al fine di
realizzare modelli evolutivi della frammentazione del territorio dovuta alla espansione
dell’insediamento. In particolare sembra interessante l’applicazione di questa procedura al piano,
per valutare, e quindi controllare, l’impatto dello strumento urbanistico sulla biopermeabilità del
territorio.
In tal caso è possibile inserire anche altri indicatori, quali, ad esempio, quelli collegati alla
continuità ambientale che il tessuto urbano previsto nel piano riesce a mantenere o ad intaccare a
diversi livelli. Si apre tutta una gamma di possibilità di analisi degli strumenti urbanistici quali
attori primi di incidenza sulla continuità ambientale del territorio e sui modi di verifica e di azione
in questa direzione (indici di frammentazione potenziale applicati all’intero piano o a zone, indici di
reversibilità della frammentazione, …..).
35
A titolo di esemplificazione si riporta di seguito una sperimentazione di calcolo dell’indice UFI nel
caso del modello evolutivo urbano-territoriale della città dell’Aquila, in Abruzzo.

Fig. 30 – Dinamica evolutiva della frammentazione ambientale dovuta allo sviluppo urbano lineare
studiata sul caso della città dell’Aquila
Dalle tre schematizzazioni del modello territoriale si evince che tra il 1970 e il 1990 intervengono
alcune importanti variazioni:
L’ UFI1970 = 3,2 mentre il UFI1990 = 37,1
?? Cambia la tipologia della frammentazione in un ampio settore territoriale che da
frammentazione infrastrutturale a frammentazione urbana lineare;
?? Diminuisce probabilmente la quantita’ di specie che possono utilizzare la specifica circostanza
di continuita’ ambientale;
?? Diminuisce drasticamente la reversibilita’ della frammentazione;
La deframmentazione infrastrutturale e’ tecnicamente molto piu’ semplice da effettuare che non la
deframmentazione urbana; il tessuto urbano denso, per sua natura, comporta enormi difficolta’
tecniche e sociali per la sua deframmentazione.

Fig. 31 –La geografia della urbanizzazione in Italia (fonte Corine Land Cover, Level 3)

2.2.2.2. Le barriere infrastrutturali

Una preliminare distinzione tra gli ostacoli lineari di origine infrastrutturale porta ad identificare le
seguenti entità tipiche:

Le grandi barriere complesse


Vengono definite come tali gli assi infrastrutturali multipli, molto frequenti in Italia, nei quali si
rileva la compresenza di autostrada, linea ferroviaria e viabilità ordinaria. Di fatto la carreggiata
autostradale costituisce già da sola, così come accade spesso anche per la sede dei binari ferroviari,
una barriera che comporta occlusione fisica totale nella continuità ambientale del territorio. Ciò si
verifica a causa della presenza delle recinzioni laterali continue che impediscono l’ingresso casuale
o intenzionale di persone e animali.
Pertanto, in queste circostanze infrastrutturali, la ecoconnessione trasversale è presente unicamente
quando l’autostrada o la ferrovia transitano in galleria oppure in viadotto e, appunto per questo
motivo, il rilevamento di queste opere costituisce un capitolo essenziale della analisi della
continuità territoriale fin dalle prime fasi di ricerca configurativa dei corridoi ecologici potenziali.
Nel caso di tunnel molto lunghi l’infrastruttura interessata non provoca alcun tipo di disturbo,
neanche acustico se non nei settori estremi di entrata e uscita dalla galleria. Nel caso invece di
viadotti e ponti, in particolare in presenza di autostrade dove il traffico si articola sulle 24 ore, pur
essendo consentito il transito biologico trasversale, resta, rispetto al movimento animale, il fattore
del disturbo sonoro e delle vibrazioni. L’entità e gli effetti di questo disturbo possono essere valutati
esclusivamente caso per caso, in funzione dello sviluppo lineare dell’opera, della sua altezza da
terra e delle caratteristiche generali della infrastruttura relativa48 . Alcune esperienze condotte nei
Paesi Bassi49 hanno indicato come alcuni ungulati, mediamente, non si avvicinano alle autostrade in
nessun caso a più di 500-600 metri.

48
Si veda: Spellerberg I., 1998, Ecological effects of road and traffic, a literature review, Global Ecology and Biogeography Letters, 7, Blackwell
Science.
49
Cfr. ANPA, 1997, Defragmentation, traduzione italiana del video edito da The Trasport Road and Hydraulic Engineering Division, The
Netherlands.

36
Al di là della presenza o meno di discontinuità longitudinali della barriera infrastrutturale si deve
però considerare che, nella maggior parte delle situazioni italiane, alla molteplicità delle attrezzature
viarie parallele si associa la presenza, a diversi gradi di densità, di insediamenti agricoli o, più
spesso, produttivi, i quali comportano ulteriori barriere e forme di disturbo concentrato, anche nelle
ore notturne (recinzioni delle proprietà, illuminazione, rumori, traffico localizzato). A settori
territoriali così connotati si può metodologicamente attribuire, in una prima fase di ricognizione, un
livello di biopermeabilità, quasi nullo.
L’analisi approfondita di tali contesti può invece portare al riconoscimento di alcune porzioni di
suolo, generalmente sempre di dimensioni contenute, nelle quali verificare una idoneità alla
continuità ambientale, almeno nei termini di una relativamente agevole ripristinabilità delle
condizioni necessarie.
Appare assai difficoltosa l’apertura di varchi biologici artificiali in linee di continuità
infrastrutturale consolidata. Questa difficoltà è legata in primo luogo alla complessità progettuale ed
esecutiva delle opere di superamento e, almeno attualmente, alla intuitivamente scarsa
condivisibilità politica e sociale che programmi di tali opere incontrerebbero, in relazione
soprattutto ai loro costi elevati rispetto ai ritorni socialmente comprensibili.

Fig. 32. Grande barriera complessa italiana (Autostrada A2)

Fig. 33. Barriere infrastrutturale parallele in corrispondenza della zona di contatto tra i Parchi
Nazionali della Majella e del Gran Sasso-Monti della Laga.

Principali barriere complesse rilevate alla scala nazionale:


Nota: Vengono indicate come “interruzioni” o discontinuità longitudinali i tunnel, i viadotti e, in generale, i tratti in cui gli elementi infrastrutturali
non interrompono completamente la continuità ambientale tra gli spazi territoriali adiacenti.

1. Udine – Villach (Autostrada A23 + S.s. + ferrovia ): presenza di diversi tunnel, ma con elevate concentrazioni insediative longitudinali.
2. Vittorio Veneto – S.C andido (Autostrada A27 + ferrovia + S.s.): Il tratto stradale nella Valle del Piave, da Ponte nelle Alpi a S.Candido
presenta condizioni di traffico intenso costituendo la via di comunicazione con stazioni turistiche estive ed invernali di grande importanza
nazionale e internazionale.
3. Verona – Innsbruck (Autostrada A22 del Brennero + S.s. + ferrovia ): barriera con scarse interruzioni, con concentrazioni insediative laterali.
4. Milano – Bellinzona, Milano - Varese (Autostrada A9 + S.s. + ferrovia): barriera molto continua ed elevatissime concentrazioni insediative e
produttive.
5. Torino – Courmayeur (Autostrada A5 della Valle d’Aosta + S.s. + ferrovia ): Presenza di numerosi tunnel, ma con concentrazioni insediative e
produttive longitudinali elevate.
6. Torino – Bardonecchia (Autostrada A32 della Val di Susa + S.s. e altre strade + ferrovia ): elevata concentrazione infrastrutturale e
insediativa.
Pettine ligure:
7. Torino – Savona (Autostrada A6 + S.s. + ferrovia);
8. Vercelli – Voltri (Autostrada A26 della Valle dell’Orba + S.s. + ferrovia);
9. Milano – Genova (Autostrada A7 della Valle dello Scrivia + S.s. + ferrovia ): rilevante concentrazione infrastrutturale trasversale alla dorsale
montuosa con elevata frammentazione degli spazi naturali e semi-naturali.
10. Parma – La Spezia (Autostrada A13 + S.s. + ferrovia ): scarse interruzioni ed elevata concentrazione infrastrutturale.
11. Bologna – Firenze (Autostrada A1 + S.s. + ferrovia): Nel tratto Sasso Marconi-Barberino del Mugello presenza di tunnel autostradali e di un
lungo tunnel ferroviario di quasi 20 km tra Logaro e Montepiano che, in questo settore, rendono la continuità ambientale recuperabile.
12. Firenze – Mare (Autostrada A11 + S.s. + ferrovia ): concentrazione infrastrutturale praticamente priva di tunnel.
13. Firenze – Livorno (Superstrada + altre strade + ferrovia): concentrazioni produttive e insediative e poche interruzioni longitudinali.
14. Rieti – Ascoli Piceno (Tratto di Superstrada + altre strade): debole concentrazione insediativa, presenza di tunnel anche piuttosto lunghi, ma
con accentuazione dei fenomeni di occlusione in corrispondenza del contatto geografico tra i Parchi Nazionali dei Monti Sibillini e della Laga-
Gran Sasso.
15. Firenze – Roma (Autostrada A1 + ferrovia + altre strade): asse infrastrutturale di grande importanza nazionale, con presenza di poche
soluzioni di continuità e anche forti concentrazioni insediative e produttive longitudinali.
16. Perugia – Terni (Superstrada + ferrovia + altre strade): sono presenti due soli tunnel, tra Todi e Acquasparta e a Sangemini.
17. Roma – Teramo (Autostrada A24): Presenza di numerosi tunnel (di lunghezza anche superiore al chilometro, con punte di quattro chilometri) e
molti viadotti, con assenza di concentrazioni insediative e infrastrutturali aggiuntive longitudinali, se non a brevi t ratti.
18. Roma – Pescara (Autostrada A25 + S.s. + ferrovia ): condizioni di occlusione totale per tutto il tratto a nord della Piana del Fucino, ma con
presenza di lunghi tunnel sia ferroviari che autostradali (circa tre chilometri) e viadotti proprio in corrispondenza della connessione ambientale
tra il Parco regionale del Sirente-Velino e il Parco Nazionale d’Abruzzo dove non sono inoltre riscontrabili concentrazioni insediative o
produttive longitudinali.
19. Avellino – Canosa (Autostrada A16): asse infrastrutturale pressochè privo di tunnel e soluzioni di continuità.
20. Potenza – Metaponto (Tratto autostradale E847 e superstrada della Valle del Basento + ferrovia): tratto infrastrutturale con poche interruzioni
longitudinali, ma con non altissima concentrazione in sediativa.
21. Salerno – Reggio di Calabria (Autostrada A3 + S.s. + ferrovia): barriera occlusiva nel tratto Battipaglia – Lagonegro (Vallo di Diano, Valle
del Calore) per la concentrazione infrastrutturale e produttiva. Presenza di interruzioni sul tratto Laino-Castrovillari (Parco Nazionale del
Pollino) per la presenza di tunnel sia autostradali che ferroviari e di scarsi addensamenti insediativi. Qualche tunnel è presente nel segmento

37
Castrovillari – Lamezia Terme, ma in presenza di addensamenti urbani (Cosenza) e produttivi.
22. Pescara – Bari (Autostrada A14 Adriatica + S.s. + ferrovia ): concentrazione infrastrutturale costiera che determina, unitamente ad
addensamenti insediativi, produttivi e agricoli, una decisiva occlusione tra il Parco nazionale del Gargano e le aree seminaturali interne.
23. Taranto – Bari (Superstrada + ferrovia + altre strade): asse viario privo di soluzioni di continuità che frammenta la già esigua struttura
ambientale residua delle Murge.
24. Siniscola – Oristano (Superstrada + tratti stradali): infrastruttura con poche interruzioni.

Fig. 34. Il principale reticolo infrastrutturale italiano

Le barriere “semplici”
Le barriere definite “semplici” sono i segmenti viari costituiti da una sola carreggiata stradale
ordinaria, anche se a flusso di traffico elevato.
Effettivamente le barriere così conformate non rappresentano una occlusione fisica e rigida della
continuità ambientale e, infatti, si tratta delle infrastrutture viarie responsabili, ogni anno, della
morte di migliaia di animali selvatici, soprattutto piccoli mammiferi, rettili e anfibi.
In questi casi il traffico e il rumore sono gli elementi di disturbo che condizionano il grado di
frammentazione associabile alla singola barriera, oltre, naturalmente, alla interruzione di suolo
naturale dovuta al nastro di asfalto.
Fermo restando che per i passaggi in tunnel e in viadotto valgono anche in questi casi le
considerazioni già espresse, resta l’esigenza di verificare, fin dal momento analitico preliminare, la
presenza di altri elementi di frammentazione ambientale. E’ il tipico caso di alcune piccole strade di
montagna nelle quali, pur essendo modesto il disturbo dovuto al traffico veicolare, esistono
condizioni di occlusione fisica della ecoconnettività dovute, per esempio, alle tipiche opere murarie
di sostegno dei tornanti stradali su pendii molto acclivi, con salti verticali anche di molti metri.
Per ciò che riguarda il traffico è invece necessario avvalersi di dati analitici attinenti i flussi.
Poco significativi a tal proposito sono i dati sui flussi medi nell’arco dell’anno, mentre è necessario
disporre di dati sui flussi di traffico su base mensile, articolati possibilmente per scaglioni orari
giornalieri.
Tutto questo per poter efficacemente porre in relazione i dati temporali sugli spostamenti faunistici
potenziali e i livelli di disturbo in corso50 , anche al fine di valutare le reali esigenze di opere
finalizzate al superamento fisico delle barriere51 .
Possono essere classificate barriere semplici anche i sistemi diffusi di viabilità rurale, tipici delle
aree agricole intensive. In questo caso si rientra nei fattori di disturbo corrispondenti alla stessa
attività agricola e di cui si è dato conto in precedenza.

Fig. 35 . Effetto di frammentazione ambientale dovuto ad una strada alpina di secondaria


importanza

Fig. 36 – Esempio di importante collegamento stradale dotato di ampia permeabilità trasversale


(Gran San Bernardo)

Più precisamente si può anche affermare che, in generale, è possibile riconoscere almeno tre
possibili tipologie di frammentazione infrastrutturale significativa, corrispondenti a differenti livelli
di occlusività tipica:
Livello 1 – Autostrade e ferrovie (occlusioni totali derivanti dalla presenza delle recinzioni laterali);
Livello 2 – Strade con elevato volume di traffico (occlusione pronunciata derivante dal disturbo
acustico e di movimento permanente);

50
Fahrig L., Pedlar J.H., Pope S.E., Taylor P.D., Wegner J.F., 1995, Effect of road traffic on amphibian density, Biological Conservation, 73,
Elsevier Science.
51
Yanes M., Velasco J.M., Suarez F., 1995, Permeabilità of roads and railways to vertebrates: the importance of culverts, Biological Consarvation,
71, Elsevier Science.

38
Livello 3 – Strade con medio volume di traffico (occlusione di media portata dovuta alle condizioni
di disturbo).

Fig. 37 . Attraversamenti di fagiani nelle strade interne del Peak District National Park (UK).

Fig. 38 . Segnaletica di attraversamento faunistico frequente e cervi sulla viabilità del Grand
Canyon National Park (USA).

La frammentazione infrastrutturale può essere misurata tramite l’indice IFI (Infrastructural


Fragmentation Index):

IFI = Li/At dove:

Li = Lunghezza dell’infrastruttura (decurtata dei tratti in tunnel e di viadotto);


At = Area dell’unità territoriale di riferimento

L’indice IFI può essere calcolato sotto diverse forme, fornendo indicazioni di volta in volta più
dettagliate sull’effettiva entità e tipologia dei fenomeni di frammentazione infrastrutturale.
Una prima forma, del tutto indicativa in senso generale, è quella indicata nella precedente formula
di definizione, che fornisce un valore significativo unicamente nel caso in cui, nell’area considerata,
siano presenti infrastrutture di tipologia analoga rispetto ai livelli di occlusività e senza soluzioni di
continuità dei loro tracciati.

Fig. 39. La frammentazione infrastrutturale in quattro grandi aree protette dell’Appennino


(in questo caso le unità territoriali di riferimento sono i parchi)

Fig. 40 . Gli indici di frammentazione infrastrutturale nei casi riportati nella Fig. 38

Nel caso in cui i tratti infrastrutturali siano interrotti da tunnel e viadotti, nella relazione indicata
dovrà essere più correttamente inserita la lunghezza Li decurtata Appunto dei segmenti viari che
non comportano occlusione verso la continuità ambientale.
Sempre con tale criterio, è possibile inoltre definire un indice IFI, per ogni livello di
frammentazione infrastrutturale indicato di tipo 1,2 e 3, correlando l’indicatore ai diversi livelli di
occlusività delle infrastrutture presenti.
Attribuendo un valore relativo alla occlusività dei tre livelli indicati di infrastrutture (100% livello
1, 50% livello 2, 30% livello 3) risulta inoltre possibile ricavare un indice IFI complessivo per
l’area considerata utilizzando la seguente relazione:

IFIm = L1 *Ol1 + L2 *Ol2 + L3 *Ol3 / At dove:

L1 = Lunghezza dei tratti infrastrutturali di livello 1


L2 = Lunghezza dei tratti infrastrutturali di livello 2
L3 = Lunghezza dei tratti infrastrutturali di livello 3
(tutte le lunghezze sono decurtate dei tratti in tunnel e in viadotto)
Ol1 = Coefficiente di occlusività del livello 1 (100%)
Ol2 = Coefficiente di occlusività del livello 2 (50%)
Ol3 = Coefficiente di occlusività del livello 3 (30%)

At = Area dell’unità territoriale di riferimento

Anche nella forma appena descritta l’indice IFI è calcolato sulla intera area di analisi (che potrebbe
coincidere, dipendentemente dalle esigenze, con una unità paesaggistico-ambientale, una area

39
protetta, un territorio amministrativo), considerando questa internamente omogenea rispetto alle
condizioni di biopermeabilità, anche se, in realtà, tali condizioni sono notevolmente variabili
rispetto, ad esempio, alle forme di uso del suolo.
In questi termini un indice di frammentazione infrastrutturale più aderente alla situazione effettiva
dovrebbe tener conto, nella relazione utilizzata per il suo calcolo, dei tratti viari direttamente
interferenti con la geografia delle aree biopermeabili.
Codesta modalità di determinazione dell’IFI comporta l’esigenza di rilevare sia la distribuzione
territoriale delle aree biopermeabili, sia le caratteristiche di frammentazione reale delle
infrastrutture presenti, con riferimento ai connotati già citati inerenti il livello di occlusività e la
presenza di discontinuità longitudinali nel tracciato viario (tunnels, ponti, sottopassi, viadotti).
Quella descritta è indubbiamente la forma dell’IFI che meglio rappresenta la situazione di
frammentazione infrastrutturale della parte potenzialmente eco-attiva del territorio ed è anche quella
che consente di descrivere, attraverso la simulazione e la creazione di scenari, gli effetti di eventuali
azioni di ripristino della continuità.
Si può infatti, abbastanza agevolmente, ripercorrere la storia della frammentazione ambientale del
territorio mediante la lettura diacronica delle variazioni dell’IFI, calcolato come indicato, in
determinate sezioni temporali. Si può altresì controllare in maniera efficace l’effetto d’ interventi di
mitigazione della discontinuità ambientale attraverso il rilevamento della variabilità dell’IFI indotto
dall’introduzione di nuove aree biopermeabili (riforestazioni, rinaturalizzazioni) o di interventi
localizzati di deframmentazione infrastrutturale (by-pass, attraversamenti, etc..).
L’ultimo procedimento metodologico sembra certamente di utilità tecnica nei casi in cui si presenti
l’esigenza di valutare effetti ambientali di opere di infrastrutturazione (VIA, studi di compatibilità,
nuovi strumenti di pianificazione).

Fig. 41. Il sistema infrastrutturale nella regione Abruzzo

2.2.3. La geografia della continuità ambientale

2.2.3.1. Gli strumenti di lettura

Un primo importante strumento di lettura della continuità ambientale viene fornito dal confronto tra
tra configurazione della biopermeabilità e la distribuzione delle principali barriere insediative
(urbane ed infrastrutturali).
Tale processo consente di identificare delle unità territoriali interessanti che hanno la caratteristica
di essere separate le une dalle altre da elementi di frattura importanti, con elevato grado di
occlusività rispetto ai tipi ipotizzabili di transito biologico.
Assi infrastrutturali multipli, con presenza associata di insediamenti urbani e produttivi laterali
lineari vengono a costituire le cesure rilevanti tra le grandi unità di continuità ambientale nazionale,
definite Unità Efficaci di Continuità Ambientale (E.U.E.C. – Efficient Units of Environmental
Continuity).
Un’ulteriore caratteristica delle EUEC è quella di avere frammentazioni interne ad occlusività
limitata, sulle quali è verosimilmente possibile ottenere condizioni di deframmentazione ambientale
mediante interventi localizzati per i quali possono essere sufficienti limitati impegni economici,
tecnici e politico-sociali.
Al contrario, tra una grande unità e l’altra, la presenza delle barriere multiple e complesse
presuppone la attivazione interventi estremamente ponderosi dal punto di vista tecnico ed
economico, oltre al fatto che, il corrente pensiero sociale difficilmente accetterebbe tali rilevanti
impegni.

40
2.2.3.2. La struttura della continuità in Italia

I sistemi di continuità, inviluppati nelle grandi unità ambientali rilevate, si appoggiano ai capisaldi
costituiti dalle aree protette.
E’ possibile rilevare almeno 18 grandi unità di continuità ambientale efficace, che coprono
complessivamente circa 15.108.000 ha di territorio nazionale.
Una considerazione specifica meritano le due grandi unità dell’Appennino n. 7 e n. 8 che, in
considerazione di una ampia discontinuità del tratto autostradale A1 Bologna-Firenze rappresentato
da un lungo tunnel potrebbero, in effetti, identificarsi anche come una unica unità spaziale delle
dimensioni di oltre tre milioni di ettari. Una segnalazione ulteriore riguarda le grandi unità alpine,
elementi di connessione transfrontaliera talvolta di notevole estensione.

1. Alpi Marittime e Cozie, Val Sesia, Val d'Isere (ha 1.072.021) (Parco Regionale dell’Argentera, Parco Regionale Orsiera-Rocciavrè, Parco
Regionale Monte Avic, Parco Nazionale Ecrins, Parco Nazionale della Vanoise, Parco Nazionale del Gran Paradiso );
2. Alpi Pennine e Lepontine, Alpi Bernesi (ha 574.851) (Riserva naturale di Grimsel, Parco Nazionale della Val Grande);
3. Alpi Orobiche, Alpi Retiche, Valtellina, Val Venosta (ha 1.649.142) (Parco Regionale delle Orobie, Parco Regionale Adamello-Brenta,
Parco Gruppo di Tessa, Parco regionale Alto Garda Bresciano, Parco Nazionale dello Stelvio, Parco Nazionale dell’Engadina);
4. Dolomiti, Alpi Aurine (ha 1.020.854) (Parco Nazionale delle Dolomiti Bellunesi, Parco di Paneveggio -Pale di S.Martino, Parco dello
Sciliar, Parco Puez-Odle, Parco Fanes-Sennes-Braies, Parco Vedrette di Ries, Parco delle Dolomiti di Sesto, Parco delle Dolomiti d'Ampezzo);
5. Alpi Carniche, Alpi Giulie, Slovenia (ha 603.970) (Parco Regionale delle Prealpi Carniche, Parco Regionale delle Alpi Giulie, Parco
Regionale Dolomiti di Sesto -d’Ampezzo, Parco Nazionale di Triglavski);
6. Appennino Ligure (ha 513.982) (Parco Regionale del Magra, Area protetta del Bric-Tana, Monte di Portofino, Monte Antola);
7. Appennino Emiliano-Toscano (ha 667.145) (Parco Regionale delle Alpi Apuane, Parco Regionale dell’Alto Appennino Reggiano);
8. Appennino Toscano - Umbro - Marchigiano - Abruzzese - Laziale - Molisano (ha 2.977.830) (Parco Nazionale delle Foreste Casentinesi,
Parco nazionale dei Monti Sibillini, Parco nazionale Laga-Gran Sasso d'Italia, Parco nazionale della Majella, Parco nazionale d’Abruzzo,
Parco Regionale del Sirente-Velino, Parco Regionale dei Simbruini-Ernici, Parco Regionale Monte Cucco, Parco Regionale Monte Subasio,
Parco Regionale Monti Lucretili, Parco Monti del Matese);
9. Promontorio del Gargano (ha 176.847) (Parco nazionale del Gargano)
10. Appennino Campano ( ha 464.265) (Parco dei Monti Picentini)
11. Murge (ha 219.397)
12. Appennino meridionale Lucano - Calabrese (ha 1.018.396) (Parco nazionale del Cilento -Vallo di Diano, Parco nazionale del Pollino);
13. Appennino Calabrese (ha 432.401) (Parco nazionale della Calabria,);
14. Appennino Calabrese (ha 304.619) (Parco nazionale dell’Aspromonte);
15. Sicilia (ha 499.402) (Parco Regionale dell’Etna, Parco Regionale delle Madonie, Parco regionale dei Nebrodi);
16. Sardegna (ha 1.941.821) (Parco nazionale del Gennargentu );
17. Maremma tosco-laziale (ha 787.385);
18. Valle di Mazara (ha 183.542);

Fig. 42. Carta nazionale delle principali Unità di Continuità Ambientale Efficace (EUEC)

41
3. Le linee di orientamento del piano

3.1. La pianificazione territoriale

La pianificazione del territorio inizia proprio in questi anni a porsi il problema del riguardo verso la
compattezza ambientale dietro una spinta importante proveniente dalle componenti scientifiche e di
cui si è già parlato nelle fasi introduttive di questo volume.
Sono inoltre state citate le esperienze condotte da alcune amministrazioni locali italiane come quelle
delle Province di Milano,di Pavia e di Roma, ma alle quali potremmo aggiungerne altre maturate
nelle sedi gestionali soprattutto provinciali e comunali.

Fig. 43 – Studio sulle connessioni biologiche nel territorio provinciale di Roma (elaborazione
Provincia di Roma, 1998)

In corso di sviluppo l’attività della Provincia di Vercelli52 , mentre è da segnalare il Piano


Territoriale di Coordinamento Provinciale di Siena, nel quale sono inserite fasi di analisi e di
previsione ancorate al concetto delle reti ecosistemiche 53 .
Altre esperienze, come quella del Comune di Roma54 , o alcuni recenti strumenti urbanistici generali
in Italia55 danno conto di una sensibilità in via di decollo.
In generale gli interventi attuati o previsti alla scala comunale possono collocarsi in posizione
mediana tra la fase di pianificazione e quella del progetto, tendendo quasi al recupero dell’handicap
separativo che tanto dibattuto è stato con riferimento al caso dello sviluppo urbano.
Strettamente aderenti alla fase di programmazione risultano invece alcune iniziative allocate al
livello della pianificazione regionale.
In tal caso il recepimento della istanza bioconnettiva è cosa assolutamente recente e, generalmente,
sconta dei rilevanti vuoti normativi.
Una attenzione particolare ai fenomeni di insularizzazione ambientale viene posta dal Piano
Urbanistico Territoriale dell’Umbria56 che annovera tra gli elaborati di corredo una carta (la n.6) dal
titolo: Insulae ecologiche, zone critiche di adiacenza tra insulae, zone di discontinuità ecologica,
zone di particolare interesse faunistico.

Fig. 44 – Stralcio del Piano Urbanistico Territoriale (PUT) della Regione Umbria dove sono state
evidenziate le zone critiche di adiacenza tra insulae (indicate con il tratteggioe le frecce laterali)
come zone dove si rinvengono formazioni lineari continue di vegetazione legnosa spontanea,
costituenti corridoi ecologici e faunistici che collegano nello spazio due o più insulae (Regione
Umbria, 1998).

Ampi riferimenti alla frammentazione degli ecosistemi e alle conseguenze sulla fragilità dei
medesimi compaiono anche nel Piano Territoriale Paesistico esteso all’intero territorio della
Regione Valle d’Aosta, adottato dalla Giunta Regionale nel novembre del 1996, e nel quale

52
Conte G., Salvati A., Melucci A., 1999, Gli indici di qualità dell’ambiente ripario per l’integrazione di reti ecologiche nei piani territoriali, il caso
della provincia di Vercelli, Atti del Workshop ANPA-ARPA Piemonte, Paesaggi rurali di domani, op.it.
53
Amministrazione Provinciale di Siena, 1997, PTCP, Piano territoriale Provinciale, Assessorato alla Pianificazione Territoriale e al Servizio
Informativo e Statistico, Siena.
54
Di Giovine M., 1999, I corridoi biologici nell’area di Roma, La via Appia corridoio per l’ingresso di elementi naturali nel centro urbano, Atti del
Workshop ANPA-ARPA Piemonte, Paesaggi rurali di domani, op.it.
55
Martinelli N., Mininni M., 1999, La connessione ambientale nella esperienza del PRG, due casi di studio, Workshop ANPA, Università
dell’Aquila, Piano e progetto nel riassetto ecologico del territorio, 14.5.99, L’Aquila.
56
Regione dell’Umbria, PUT, adottato dalla Giunta Regionale nel novembre 98.

42
l’assetto naturalistico è descritto, in particolare, attraverso unità strutturali omogenee, unità
ecosistemiche funzionali e macro-ecomosaici57 .
Da segnalare, sempre nell’ambito della casistica nazionale, qualche ripensamento e adeguamento di
strumenti regionali in seguito alla acquisizione di una sensibilità tecnico-politica nei confronti della
continuità ambientale. In questo senso l’esperienza della Regione Abruzzo può risultare
significativa in quanto, nel primo Quadro di Riferimento Regionale (QRR) adottato dal Consiglio
Regionale nel novembre 1995, non erano presenti contenuti attinenti la connettività ecologica, se si
esclude un riferimento alla “Rete verde di connessione tra bacini naturali” attribuito ad un sistema
di percorsi e elencato nel capitolo della qualificazione delle potenzialità turistiche.
Successivamente, dopo l’emanazione delle “Norme di salvaguardia relative alle aree contigue dei
Parchi Nazionali e Regionali”58 del 1998, in cui viene geograficamente realizzata una matrice di
ricucitura ambientale tra tutte le aree protette della regione utilizzando le Aree Contigue introdotte
dalla l. 394/91, è in fase di revisione un nuovo QRR nel quale è specificatamente citata l’esigenza di
riconoscimento dei corridoi ecologici, pur rilevando l’attuale vuoto normativo da colmare.
Del resto, come è già stato sottolineato, il livello di pianificazione interregionale e regionale nel
controllo della frammentazione ambientale ha un forte carico di responsabilità nei confronti
dell’allestimento di strumenti di governo sottoordinati, in quanto la geografia strategica delle
potenziali linee di connettività ecologica può essere visualizzata esclusivamente a scale territoriali,
anche se poi viene gestita funzionalmente a scale molto più circoscritte.
Questa considerazione viene peraltro sostenuta nella sua validità nel momento in cui i grandi quadri
di assetto del territorio in area vasta devono fornire i parametri di supporto per la gestione della
continuità ambientale alle stesse aree protette, di per sé ambiti geografici di dimensioni rilevanti.
Al livello regionale appare anche interessante lo studio delle tipologie diverse che possono
presentarsi con attenzione ai sistemi delle barriere e dei territori biopermeabili di contorno.
Una ipotesi di classificazione è la seguente, adottata nel caso di studio abruzzese del programma
nazionale dell’ANPA59 , nella quale sono posti in relazione i connotati della frammentazione
ambientale con le tipologie di interventi congruenti60 :

Provare ad inserire schemini grafici per ogni tipologia

A. Direttrici di continuità ambientale di estensione vasta, caratterizzate da alta naturalità del territorio, prive di barriere
infrastrutturali rilevanti.

B. Direttrici di continuità ambientale di estensione vasta, caratterizzate da semi-naturalità territoriale, prive di barriere
infrastrutturali rilevanti, con presenza di disturbi derivanti dalle attività agricole e rurali.

C. Direttrici di continuità ambientale di estensione vasta, caratterizzate da alta naturalità del territorio, con barriere
infrastrutturali di media entità con presenza di disturbi derivanti dal traffico veicolare.

57
Si veda: Castelnovi P., Gli studi e le ricerche, in: Regione Valle d’Aosta, 1997, Piano Territoriale Paesistico, Urbanistica Quaderni, n.14, INU,
Roma.
58
Regione Abruzzo, Delibera di G.R. n. 3582/C del 30.12.98 “Norme di salvaguardia relative alle aree contigue dei Parchi Nazionali e Regionali”.
59
Università dell’Aquila, DAU, 1999, La continuità ambientale in Abruzzo, ANPA, Rapporto finale, Agenzia Nazionale per la Protezione
dell’Ambiente, Regione Abruzzo, L’Aquila.
60
Quella riportata è una caratterizzazione calibrata sul caso di studio citato, ma probabilmente estensibile a gran parte delle circostanze territoriali
dell’Appennino italiano. Più generali classificazioni delle connessioni ambientali sono state pronunciate in sedi diverse, delle quali è interessante
citare quella di Little C.E., 1990, Greenways for America, Op. cit.
1. Percorsi ripariali urbani spesso creati come parte di un programma di risviluppo di siti ripariali della città trascurati e degradati;
2. Percorsi tematici per la ricreazione di vario tipo, spesso di relativamente lunga distanza basati su corridoi naturali come pure sedi ferroviarie
abbandonate ed altri tipi di viabilità;
3. Corridoi naturali ecologicamente significativi, usualmente lungo fiumi o, meno spesso, linee di crinale, per permettere gli spostamenti della fauna
selvatica, lo scambio biologico, studi naturalistici e escursionismo;
4. Percorsi panoramici e storici usualmente lungo le strade principali o, meno spesso, lungo vie d’acqua, e lungo le più rappresentaive di queste si
realizzano interventi di adeguamento per consentire l’accesso ai pedoni lungo il percorso o, almeno, per allestire delle piazzole di sosta per
l’osservazione dalla automobile;
5. Sistemi e reti di greenways, basati sulla morfologia naturale di valli e crinali, ma talvolta progettualmente derivanti dall’assemblaggio di canali e
spazi aperti di vario tipo, per creare delle infrastrutture verdi di iniziativa comunale o regionale.

43
D. Direttrici di continuità ambientale di estensione vasta, caratterizzate da semi- naturalità del territorio, con barriere
infrastrutturali di media entità, con presenza di disturbi derivanti dalle attività agricole e rurali e dal traffico veicolare.

E. Direttrici di continuità ambientale con geografia lineare (generalmente corsi fluviali), con presenza di disturbi derivanti
dall’inquinamento e dalle attività insediative praticate in adiacenza, con presenza di barriere di media entità (viabilità
longitudinale lungo le fasce ripariali, sbarramenti del flusso idrico).

F. Direttrici di continuità ambientale di estensione vasta, caratterizzate da alta naturalità del territorio, con
presenza di barriere infrastrutturali e urbane fortemente occlusive.
G. Direttrici di continuità ambientale di estensione vasta, caratterizzate da semi- naturalità del territorio, con
presenza di barriere infrastrutturali e urbane fortemente occlusive.

Fig. 45 – Schema delle principali direttrici di continuità ambientale nella Regione Abruzzo (ANPA,
Università dell’Aquila, 1999)

Fig. 46 – Una scheda-tipo di proposta di intervento di deframmentazione su infrastruttura lungo


una delle direttrici di continuità ambientale di cui alla Fig. 45.

3.2. La pianificazione delle aree protette

3.2.1. Le barriere nei parchi

E’ ormai opinione consolidata nel mondo scientifico che il mantenimento a oltranza delle “isole
protette” (parchi e riserve)61 , senza un supporto di azione teso a garantire la permanenza di almeno
un minimo di qualità ambientale agli spazi contigui, non può sortire effetti di feedback positivo sul
lungo periodo rispetto alla qualità biologica presente62 . Ciò è tanto più vero in presenza di
estensioni superficiali dei singoli parchi come quelle italiane, non più modestissime ma pur sempre
dell’ordine dei 200.000 ettari come limite massimale (comprese le aree a vario titolo insediate) e
quindi sempre esiguo rispetto agli home ranges medi stimati per individuo di molte specie animali,
nei confronti delle quali la comunità scientifica italiana e gli organi di governo detengono la
responsabilità planetaria di sopravvivenza (70 - 100 kmq per l’Orso Bruno 63 , tra 70 e 200 kmq per
un piccolo branco di Lupo Appenninico64 , tra 100 e 160 kmq per una coppia di Aquila Reale 65 ).
In questo contesto problematico emerge quindi l’importanza strategica, nell’ottica ambientale, di
molti territori che la cultura comune, ma anche il mondo della pianificazione, hanno spesso
trascurato, come gli incolti e i suoli degradati nei quali, frequentemente, le aree protette “sfumano”
verso l’esterno del loro perimetro istituzionale .
La ricerca sulla pianificazione nelle reti ambientali ha evidenziato come, nelle situazioni attuali, non
tutte le aree protette hanno uguali caratteristiche nei confronti della struttura della continuità
ambientale nazionale.
In primo luogo le stesse aree protette, considerate quali unità chiuse e ambientalmente omogenee,
non presentano sempre condizioni di continuità scontata; alcuni parchi nazionali e regionali sono
internamente frammentati a causa della presenza di infrastrutture di rilievo o di concentrazioni
produttive a sviluppo lineare (tipico il caso del Pollino, attraversato da un consistente asse

61
Studi esaurienti sulle caratteristiche di insularità delle aree protette europee sono stati condotti dal CED-PPN (Centro Europeo di Documentazione
sulla Pianificazione dei Parchi Naturali) di Torino. Si veda: Peano A., 1997, Parchi naturali in Europa, Urbanistica Dossier, 7, INU, Roma.
62
Un riferimento classico sui limiti della insularizzazione degli spazi naturali è dato da: Mc Arthur R.H., Wilson E.O., 1967, The theory of island
biogeography, Princeton Univ. Press, New Jersey, USA.
63
Boscagli G., L’Orso, Lorenzini 1988
64
Zimen E., Boitani L., Status of the wolf in Europe and the possibilities of conservation and reintroduction, in: Klinghammer E., 1979
65
Spinetti M., L’Aquila Reale, biologia, etologia e conservazione, Cogecstre ed., 1997

44
infrastrutturale costituito dalla Autostrada Salerno-Reggio Calabria, dalla ferrovia e dalla S.s. 92.,
ma anche altri parchi hanno occlusioni interne della biocontinuità, pur se di peso più limitato)66 .
Si riscontrano casi in cui l’area protetta, pur se di dimensioni rilevanti, è tagliata parzialmente o
totalmente fuori da possibilità di ecoconnessione con gli spazi limitrofi. Un esempio è costituito dal
Parco nazionale Cilento-Vallo di Diano, a causa della barriera nord-orientale formata dalla
Autostrada A3, affiancata alla ferrovia e alla viabilità ordinaria e delle concentrazioni produttive
della Valle del Calore, oppure, in forma ancora più eclatante, del Parco del Gargano, totalmente
estromesso da possibilità di ecoconnessione, che non siano quelle con il mare, dalle direttrici e dalle
polarità infrastrutturali lineari e stellari occidentali, oltre che dalla utilizzazione produttiva intensiva
della Piana del Tavoliere.
In circostanze ancora diverse alcuni contatti geografici e anche amministrativi, si rivelano molto
ambigui sul piano biologico. Accade almeno due volte nei parchi dell’Appennino Centrale: la
contiguità tra il Parco Nazionale dei Monti Sibillini e quello del Gran Sasso-Monti della Laga è
fortemente ostacolata dalla presenza della marcata linea infrastrutturale e insediativa della Valle del
Tronto, mentre il contatto tra quest’ultimo parco e il Parco nazionale della Majella ha una ridotta
efficienza ecofunzionale a causa della solita concentrazione di assi viari e ferroviari, ma anche per
la presenza di uno svincolo e di un’area industriale. Lo studio sulla dislocazione degli spazi naturali
residuali ha evidenziato invece che le direzioni di minore resistenza teorica agli spostamenti
biologici67 sono invece altri e coincidono con linee di contiguità che non possono essere trascurate
dalla incipiente azione di pianificazione dei parchi.

Fig. 47 – Linee di continuità ambientale strategica definite all’interno del parco regionale Sirente-
Velino

Fig. 48 – Una delle aree forestali più continue e prive di barriere insediative dell’intero Appennino
Centrale (Bosco di Cerasolo, confine abruzzese-laziale)

Fig. 49 – Il corridoio ecologico di Carrito, tra il Parco Nazionale d’Abruzzo e il Parco regionale
Sirente-Velino

3.2.2. Le reti ambientali nella pianificazione delle aree protette

Diversi nuovi parchi italiani hanno introdotto, seppur in diversa misura, indirizzi di analisi o di
intervento rivolti alla connessione ecologica nel proprio strumento di gestione territoriale. E’ questo
il caso del Parco Nazionale della Majella68 , nel quale, nella impostazione metodologica, viene
considerato un “Ambito di pianificazione e apertura verso una rete di spazi naturali”, ma è anche il
caso del Parco Nazionale Gran Sasso-Monti della Laga69 .
Il piano del parco nell’accezione della reticolarità ambientale viene a costituire un modello di lavoro
parzialmente avulso dalle tecniche e dalle procedure consuete che hanno segnato negli anni passati
l’approccio scientifico e operativo al tema.
Cambiano in particolare i sistemi elaborativi, gli impianti metodologici e, in parte, gli obiettivi che
devono entrare in una dimensione relazionale forte con gli spazi adiacenti, producendo reazioni di
contenuto alle circostanze e alle dinamiche esterne e compilando criteri di rapporto spaziale che si
trasferiscono in quasi tutte le fasi di pianificazione e nei settori con cui il piano interagisce.
66
Bonifica S.p.A., 2000, Rapporto sulla verifica e validazione del quadro conoscitivo, Doc. n.4, Elaborazione degli strumenti di pianificazione e
regolamentazione dell’Ente Parco Nazionale del Pollino,
67
Boitani L., 1997, Il ritorno dell’Orso, Attenzione, WWF Italia, n.7-8, Roma.
68
Parco Nazionale della Majella, 1999, Piano del Parco, Schema direttore, Guardiagrele.
69
Federazione italiana dei parchi e delle riserve naturali, 2000, Seminario nazionale “Gli strumenti di pianificazione e di programmazione
economico-sociale delle aree naturali protette, le prime esperienze dei parchi nazionali, Roma, 1.3.2000.

45
La zonazione ambientale dell’area protetta, in termini di geografia e di caratteristiche funzionali, è il
primo attributo dello strumento di pianificazione che viene condizionato dalla esigenza di
mantenere per il parco il proprio ruolo, sia esso effettivo ed accertato, sia potenziale, nei confronti
della struttura ambientale circostante di gravitazione ecologica. Ma anche tutti gli indirizzi di
governo del territorio urbanizzato, che in ogni modo il parco si trova necessariamente a formulare
nel suo piano di gestione, appaiono assoggettati alla filosofia reticolare, in ordine ad aspetti di
frammentazione del mosaico ambientale dovuti alle infrastrutture, alle aree urbanizzate e alle aree
agricole dipendemente dalle loro forme e dalle loro direzioni di sviluppo.
Il concetto di reticolarità entra nella pianificazione dell’area protetta non solo sui citati argomenti
legati alla azione di protezione ambientale, ma anche ovviamente in settori diversi, nei quali viene a
costituire un modello interpretativo, utilizzativo e valorizzativo senza dubbio più avanzato ed
efficace.
Rientrano nell’ultima considerazione avanzata la promozione turistica, l’organizzazione dei servizi,
la valorizzazione dei beni culturali, le economie attivabili in uno schema di differenziazione e di
opportunità tipologiche e temporali o, anche, gli strati della pianificazione vigente a livelli
differenziati.
Tutte queste “reti” vengono certamente a complessificare il teatro del piano del parco, realizzando
sovrapposizioni e interferenze che, spesso, uscendo dalle anche intriganti speculazioni modellistiche
descrivibili ed analizzabili nelle sedi scientifiche, risultano di difficile gestione pratica.
Una tale situazione non è però antitetica nei confronti della ricerca di una interfaccia pubblica
(rivolta cioè alle componenti sociali e amministrative) del piano di taglio “bonario” e non
intimidativo, tale cioè da perseguire fin dal suo impianto preliminare, ancora molto sbilanciato sul
versante della conoscenza scientifica, una condivisione maggioritaria sì da poter condurre in porto il
processo approvativo in breve termine.
La complessità reticolare potrebbe invece servire, pur senza necessariamente ricorrere ad
inprobabili meccanismi di incrocio e valutazione plurisettoriale, a rendere visibile e distinta la
“decisione” politica contenuta nel piano rispetto agli apporti conoscitivo-scientifici. Una decisione
che potrebbe, e non per assurdo, contraddire alcuni contenuti forniti dalla ricerca, privilegiando
certe dinamiche reticolari rispetto ad altre, per motivazioni economiche, di ritorno d’immagine,
d’interesse pubblico.
Ponendo le cose sotto questo profilo si tratterà forse di un piano che non risolve le interferenze tra le
reti tematiche, ma cerca tuttalpiù di attenuare conflitti operando però scelte trasparenti e “leggibili”
di dominanza di una rete di interessi nei confronti delle altre.
Con i criteri appena enunciati si può affermare quindi che alcuni contenuti del piano del parco
tipicamente attinenti la tematica delle reticolarità possono essere individuati nei seguenti:

?? Mantenimento della struttura della continuità ambientale, con riferimento ai sistemi e


sottosistemi ambientali, alle connotazioni ecologico-vegetazionali e faunistiche, mediante la
configurazione zonale e le norme del piano.
?? Controllo della struttura dell’insediamento, delle barriere insediative, produttive ed
infrastrutturali, con riferimento alle loro classi tipologiche anche negli strumenti urbanistici
comunali, generali e attuativi.
?? Elaborazione di criteri di valutazione economica per consentire la riconversione territoriale delle
aree ecoconnettive strategiche a partire dalle condizioni produttive iniziali.
?? Individuazione delle modalità di gestione dei rapporti tra sistema della continuità ambientale, la
rete ecologica e reti multisettoriali (culturale, turistica, produttiva).

3.2.3. L’analisi ambientale relazionale

Tra gli argomenti più toccati da questa diversa concezione dei rapporti territoriali del parco c’è
quello della indagine tematica (faunistica, vegetazionale, geologica, territoriale) fortemente

46
orientata ad evidenziare corrispondenze, rapporti, legami di effetto, potenzialità e scenari,
nell’ottica di allestire strumenti di interpretazione ai fini dell’articolazione zonale il più possibile
strutturati in senso relazionale.
Spesso i dati attinenti le relazioni, ovvero le dinamiche di dispersione e di movimento dei gruppi di
specie legate a motivazioni trofiche, di disturbo temporaneo, stagionali, fisiologiche, non sono
quasi mai noti per porzioni territoriali molto vaste.
Per colmare il deficit informativo si è ricorso spesso, a supporto di scelte di pianificazione, al dato
fornito dalle presenze faunistiche documentate, cioè alla restituzione topografica delle segnalazioni
dirette e indirette ottenute da fonti diversificate e con attendibilità molto variabile (orme, carcasse,
avvistamenti).

Fig. 50 – La carta delle presenze faunistiche documentate nel Parco regionale Sirente-Velino
(elaborazione Biondi M., Carafa M., Ottino P., 1999)

Certamente un dato così conformato, soprattutto quando le segnalazioni non provengono da attività
sistematizzate e prolungate organicamente nel tempo, oltrechè razionalmente distribuite nello
spazio, costituisce una semplice indicazione di presenza-assenza delle specie considerate e,
tuttalpiù, di eventuale e probabile concentrazione geografica delle specie stesse se i dati sono
sufficientemente abbondanti da avere un minimo valore statistico.
E’ decisamente difficile appoggiare ad informazioni così connotate, dalle quali non si potrebbero
trarre conclusioni deduttive attinenti le dinamiche di mobilità faunistica sul territorio, ipotesi di
ripartizione delle unità di tutela ambientale e di riconnessione con gli ambiti esterni dei parchi che
abbiano una robustezza scientifica significativa.
Una delle conseguenze dirette, infatti, della considerazione e, naturalmente, del possesso del dato
ecologico relazionale, è la ridiscussione pregiudiziale della tipica, e utilizzatissima, concezione
dello zoning ambientale che costituisce un momento-chiave di rilettura metodologica nel
perseguimento di un obiettivo di integrazione progressiva e, soprattutto, incrementale, dell’area
protetta nel suo contesto, nonché di traslazione effettuale degli esiti della politica ambientale interna
al parco verso il territorio esterno.

3.2.4. Gli schemi zonali nei parchi

Pur senza approfondire oltre le questioni legate al criterio zonale dei parchi70 resta il fatto che, di
fronte alla logica ecoconnettiva, l’applicazione della “struttura zonale concentrica” presenta alcune
debolezze costitutive ben intuibili.
Lo schema formato dalle unità di tutela ad anelli con pressione vincolistica centripeta, utilizzato in
molti parchi del mondo, e riproposto dalla normativa-quadro italiana (l. 394/91) oltre che da
numerose leggi regionali di recepimento, quale contenuto primario del piano del parco, si lega in
modo netto all’immagine “insulare” dell’area protetta.
Né del resto può essere convincente da sola l’immagine più volte evocata del “sistema dei parchi”
come collegata alla iniziativa della legge 394/91. Una diffusione, per quanto fitta, di aree protette
sul territorio nazionale non può mai essere “sistema” se non sono previsti criteri di relazione tra le
unità presenti attraverso elementi di legame. Tali elementi non possono essere lasciati alla speranza
statistica che esistano e che siano oltretutto dotati di funzionalità in assenza di precisi attributi
censuari e normativi.

70
Si veda: Gambino R., Conclusioni, in: Sargolini M., Metodologia di analisi ed ipotesi di zonizzazione per un parco nazionale, Atti Tavola
Rotonda Abbadia di Fiastra 23.11.92, Macerata 1994.
Romano B., La zonazione nelle aree protette, PARAMETRO, n.196, Faenza Ed., Faenza, giugno 1993.
Romano B., Contributi di ricerca per la reinterpretazione dei concetti di zonazione dei parchi nazionali: gli esempi del Gran Sasso e del Gargano, in:
Sargolini M., Metodologia di analisi ed ipotesi di zonizzazione per un parco nazionale, Atti Tavola Rotonda Abbadia di Fiastra 23.11.92, Macerata
1994.

47
Il concetto legato alla zonazione concentrica sottende che il nucleo naturalistico essenziale del
parco, quello che, tra l’altro, giustifica l’esistenza del parco stesso, viene difeso dall’influenza
esterna da “anelli” di protezione. Ciò comporta un effetto di mantenimento apparentemente efficace
della naturalità del nucleo, ma una scarsa, o nulla, relazione “programmatica” e “gestita” con
l’esterno delle peculiarità ambientali dello “scrigno”.
Senza contare che, generalmente, le attività consentite negli anelli zonali esterni del parco possono
anche sortire ulteriori effetti-barriera non trascurabili (si può citare il caso ampiamente dibattuto
sulla cronaca nazionale nel 1993 dell’esercizio dell’attività venatoria nella zona di protezione
esterna del Parco Nazionale d’Abruzzo, oppure alcune attività regolarmente consentite nella zona di
riserva generale e nella zona di protezione dello stesso parco, tra cui quelle agricole, forestali, con
miglioramenti e adeguamenti annessi), ma che in ogni caso, come esito tendenziale, contribuiscono,
nella migliore delle ipotesi, a mantenere il differenziale ambientale con il territorio circostante, ma
certamente non ad equilibrarlo a favore di quest’ultimo.
Oltre a ciò, ma si tratta di un fenomeno ben noto, la mancata considerazione della valenza
ambientale “relazionale” della matrice territoriale che contiene i parchi può condurre a riversare in
queste aree periferiche iniziative insediative e infrastrutturali, anche di servizio o di supporto alla
fruizione del parco, ma che non possono più essere normativamente accettate negli anelli zonali
interni, con il risultato di accentuare la condizione di insularità naturale.
Uno dei criteri ipotizzati in sede di ricerca, certamente da sottoporre ad una verifica disciplinare
accurata, è quello dell’allestimento di una struttura zonale “ramificata” (branched zoning structure)
in grado di porre in comunicazione l’area protetta con l’esterno, salvaguardando le continuità
ambientali interne e le ecoconnessioni esistenti e potenziali 71 .

Fig. 51 – Schemi alternativi di strutture zonali per le aree protette

In ultima analisi l’impianto di un “sistema” di aree protette non può prescindere da comportamenti
mirati, nel senso strumentale di pianificazione, all’interno e all’esterno delle aree protette stesse.
E’ chiaro come, in vista del raggiungimento di un obiettivo di tale genere, il parco va riguardato
come tassello della macrocontinuità nazionale e, pertanto, le scelte di organizzazione interna vanno
riferite realmente, ed in modo verificabile a posteriori, ad una strategia complessiva che dovrebbe
avere quale documento fondativo la Carta della Natura72 , ovviamente allestita secondo i criteri
citati.
I presupposti di continuità ambientale condizionano certamente la geografia delle unità di tutela,
almeno di quelle a regime vincolistico più incisivo (riserve naturali integrali e generali)73 . Per esse
dovrebbe divenire importante in primo luogo il collegamento reciproco all’interno dell’area
protetta, conseguito anche mediante interventi di rimozione delle cause di frammentazione degli
habitats (strade, barriere insediative, fonti di disturbo visuale e sonoro). In secondo luogo le stesse
riserve dovrebbero avere delle ramificazioni verso i bordi del parco, in corrispondenza di ambienti
esterni con caratteristiche di residualità naturale accettabile, sia in relazione alla stanzialità
eventuale delle specie, sia, almeno, alla possibilità di una presenza transitoria nell’economia di
probabili dispersioni (corridoi ecologici).
Con attenzione precipua ai due aspetti della salvaguardia della continuità ecologica e dell’impatto
sociale della zonazione del parco, è possibile precisare alcuni percorsi che consentono di affrontare
l’argomento con alcuni presupposti strategici.

3.2.5. Struttura zonale, continuità e reazioni sociali

71
Alcune prime indicazioni su questo argomento possono trovarsi in: Noss R.F., 1992, The Wildlands Project, Land Conservation Strategy, Wild
Earth.
72
La Carta della Natura, secondo il dettato della l. 394/91, art.3, comma 3, “…individua lo stato dell’ambiente naturale in Italia, evidenziando i valori
naturali e i profili di vulnerabilità territoriale.”
73
Per le classificazioni delle unità di tutela interne alle aree protette si veda la l.394/91, art. 12.

48
In realtà esistono almeno due forme per allestire uno schema zonale nell’ambito di un’area protetta:
la forma che tende ad ottenere il massimo risultato in termini di tutela (anche con riferimento agli
standard internazionali fissati dall’IUCN per i parchi nazionali italiani)74 e la forma che tende
invece a massimizzare i consensi sociali.
Non sempre è possibile realizzare una geografia delle unità di tutela interne al parco che ottimizzi
entrambi gli obiettivi.
Il primo obiettivo si traduce in una notevole estensione delle tipologie di tutela ad alta incisività
(riserve integrali e assimilate), estese alla massima superficie possibile, cercando di inserire ogni
tipologia di risorsa naturale, evitando pregiudizialmente trasformazioni di ogni sorta su vasta
estensione.
La scelta così conformata è, con estrema probabilità, fonte di reazioni sociali importanti e di
dissensi diffusi verso la politica del parco, in particolar modo nella realtà nazionale italiana che
presenta nelle aree protette consistenti componenti demografiche.
Una possibilità che tende a ridurre tali effetti è quella che vede le tipologie intermedie della tutela
(orientata, generale) come protagoniste della azione di conservazione all’interno del parco.
Nessuna delle due azioni può essere ritenuta per ora migliore in senso assoluto, ma definire il
quadro nel modo citato può servire a provocare una riflessione mirata verso questo argomento che,
talvolta, non viene considerato con il giusto peso, conducendo anche a risultati inaspettati e sgraditi.
Alcuni aspetti della problematica citata vengono tradotti attraverso i seguenti diagrammi, notando
come, ai fini del mantenimento efficace delle condizioni di ecoconnessione spesso la ipotesi di
zonizzazione relativa alla minimizzazione dell’impatto sociale può risultare soddisfacente:
Una ulteriore considerazione riguarda il fatto che, in condizioni normali, la funzione ecoconnettiva
può risultare compatibile anche con una ampia gamma di attività antropiche, quali, certamente, gran
parte di quelle turistiche che non utilizzano strutture fisse o invadenti e anche con diverse forme di
utilizzazione agraria e rurale unicamente con attenzioni mirate ai periodi di espletamento e ai
carichi fruitivi.
Se si introduce inoltre il criterio della reversibilità degli interventi posti in atto nei lembi di
territorio le cui funzioni ecologiche non sono ancora scientificamente ben chiare al momento di
attivazione della gestione degli strumenti del parco, un meccanismo di controllo adattativo può
consentire anche utilizzazioni di maggiore impatto.
Un approccio verso la identificazione delle unità territoriali di tutela dei parchi fondato pertanto non
unicamente sulla lettura della collocazione geografica dei valori naturali, ma sulle relazione spaziali
che questi ingenerano, sembra anche di aiuto significativo per risolvere molti dei conflitti socio-
amministrativi che insorgono sul disegno e sulla estensione della tutela soprattutto in aree di valore
naturale intermedio.

Fig. 52 – Corrispondenze tra il peso dei vincoli zonali e i livelli di consenso sociale nei parchi

Fig. 53 – Esempio di zoning in un’area protetta pressoché priva di centri abitati interni, effettuato
con larga attenzione agli aspetti della conservazione (Banff National Park-Canada)

Fig. 54 – Struttura e diagramma zonale nel Parco Nazionale della Majella (Piano del Parco, 1999)

Un altro aspetto importante riguarda la possibilità, ed anche l’esigenza, di operare forme di gestione
sofisticata delle connessioni ecologiche, sia nel merito del rapporto con le altre componenti
territoriali, quale le diverse manifestazioni dell’insediamento, sia riguardo alle opportunità di
favorire o meno, in base a valutazioni scientifiche, movimenti biologici tra zone limitrofe,
superando necessariamente forme introverse di applicazione disciplinare.

74
Per le classificazioni internazionali delle aree protette si veda: IUCN, 1996, United Nation List of National Parks and Protected Areas, IUCN,
Gland, Switzerland and Cambridge, UK.

49
Tali elementi ricadono infatti senz’altro nella sfera delle applicazioni tipiche della ecologia del
paesaggio e del progetto ambientale contestualizzato, nel quale studiare sia opportunità reali di
movimento biologico (che non sempre può rivelarsi vantaggioso), sia altri elementi specifici, come
eventuali barriere artificiali di inibizione dei movimenti biologici, oppure, per motivi di mitigazione
della frammentazione, arredi verdi incentivanti i trasferimenti, ripristini vegetazionali, schermature,
attraversamenti infrastrutturali, tecniche di monitoraggio.
Ciò in quanto l’intervento di pianificazione complessivo, che costituisce il momento di coagulo e di
confronto delle politiche gestionali di tutela del parco e del suo sistema di riferimento, hanno
bisogno, come più volte affermato, di un campo di lettura a dimensione macroterritoriale (dal punto
di vista tecnico realizzabile con dettagli tipici delle rappresentazioni dall’1:100.000 all’1:25.000).
Le fasi analitiche locali, che supportano le conoscenze circostanziate ai fini degli interventi di
conservazione, di restauro e di ripristino delle cesure della biocontinuità, abbisognano invece di
dettaglio territoriale ben più pronunciato (quello, sempre tecnicamente parlando, tipico delle scale
di lettura 1:10.000 fino all’1:2.000 o anche più).

3.3. La pianificazione urbanistica

E’ già stato tratteggiato in qualche occasione precedente il ruolo fondamentale che si deve attribuire
al livello urbanistico del piano, quello identificabile con la dimensione comunale, per l’intervento
decisivo verso il mantenimento delle condizioni di continuità ambientale.
Uno dei maggiori problemi in questa direzione consiste nel fatto che le normali letture sulle
caratteristiche territoriali effettuate alla scala di uno strumento urbanistico comunale, anche se
estese ad un teatro di analisi intercomunale, non consentono di regola di rendersi conto della
presenza di episodi strategici di continuità ambientale che, come si è avuto modo di vedere,
travalicano spesso anche le ottiche regionali.
Quest’istanza ripropone nuovi scorci sul tema del rapporto tra i livelli di pianificazione. Infatti gli
interventi di deframmentazione degli habitats naturali possono essere operativamente e
decisivamente gestiti unicamente al livello del piano comunale e sub-comunale (contiguità tra gli
spazi verdi territoriali, soluzioni alternative alla realizzazione di opere di delimitazione della
proprietà troppo estese, rinaturazione di porzioni di suolo, by-pass infrastrutturali, orientamento
delle politiche agricole locali). Ma a questo livello, che le controlla, le configurazioni strategiche
dell’ecocontinuità non sono visibili e rilevabili, mentre lo sono al livello di indirizzi nazionali e di
coordinamento regionale che però possiedono un’irrilevante capacità di incidenza sulla gestione
minuta degli interventi.
Indubbiamente una delle risposte che le ricerche in atto dovranno fornire è anche quella connessa
proprio con questi aspetti di ordine relazionale normativo.
Fig. 55 – Confronto tra la dimensione media degli ambiti comunali nell’Italia centro-settentrionale
e la geografiaterritoriale della biopermeabilità.

3.3.1. Continuità ambientale e pianificazione comunale

Nel momento in cui il livello operativo del piano comunale recepisce la esigenza eco-connettiva si
apre una gamma di possibilità molto ampia di procedure per fronteggiare questa particolare istanza
abbastanza desueta nella economia degli obiettivi tradizionali del piano urbanistico.
Gli elementi che possono entrare in gioco nello studio formale del piano sono già stati citati nel
capitolo in cui si è parlato della parametrizzazione e della misura della frammentazione ambientale,
ovvero degli indicatori di frammentazione urbana lineare e infrastrutturale.
Lo strumento di piano urbanistico, sia che operi in una direzione prevalente di riqualificazione della
città e del territorio comunale, sia che preveda modalità di sviluppo e di incremento del territorio
insediato, può controllare in diversi momenti la condizione di frammentazione.

50
Si è visto come, in senso generale, la frammentazione urbana lineare sia estremamente complessa
da gestire per un recupero della continuità ambientale. Tale tipo di frammentazione, per motivi
legati al coinvolgimento di interessi privati e alla tipologia degli interventi, è molto difficile da
rimuovere o anche da mitigare.
In tal senso sembra possibile affermare che gli strumenti urbanistici comunali dovrebbero, almeno
in linea teorica, evitare quanto più possibile di realizzare spazi insediati allungati e distesi lungo le
direttrici stradali, il che costituisce un tipico fenomeno di fisionomia urbanistica riscontrabile in tutti
luoghi d’Italia e prevalentemente legato alla geografia dei fondovalle fluviali.
Al di là di questa semplicistica affermazione, del tutto intuitiva, potrebbe essere interessante
valutare dei coefficienti di frammentazione ambientale che, oltre a qualificare sotto tale profilo, il
tessuto urbano attuale, possano associarsi anche allo strumento di pianificazione, nella sua
dimensione programmatica.

3.3.2. La misura degli effetti di frammentazione del piano

Le dimensioni degli spazi previsti di nuovo insediamento, la loro tipologia, la loro forma
geometrica, la dislocazione delle nuove reti infrastrutturali e i loro rapporti spaziali75 , le modalità di
uso attuale del suolo dei territorio che vengono indicati nel piano come suscettibili di “consumo” ai
fini dell’urbanizzazione, appaiono come tutte variabili parametricamente esprimibili e, forse, in
grado di produrre, attraverso l’implementazione di algoritmi di relazione e di modelli76 , una
“misura” dell’effetto frammentante del piano verso il contesto ambientale interessato.

Fig. 56 – Schema dinamico di alterazione della continuità ambientale in un territorio di fondo valle
a causa delle forme lineari di sviluppo urbano (fonte: Romano B., 1999, Biopermeability, key to
corridor creation, Meeting on Mediterranean Protected Areas, Parco nazionale del Cilento)

Fig. 57 – L’incremento delle aree urbanizzate può ricercare forme di compatibilità, attraverso una
opportuna pianificazione, con le esigenze di mantenimento della continuità ambientale. Un esempio
in una circostanza di fondovalle, forse la condizione nella quale si presentano tendenzialmente più
critiche le concentrazioni urbane lineari.

E’ evidente che esiste una possibilità, seppur sofisticata, di elaborare una relazione tra i connotati di
frammentazione di un piano, espressi mediante geometrie, topologie e tipologie delle aree
coinvolte, e i gruppi di specie che in linea probabilistica potrebbero continuare ad utilizzare le linee
teoriche di dispersione sul territorio presenti prima della attuazione delle previsioni di sviluppo
insediativo.
La cosa sarebbe affrontabile in possesso di dati ecologico-spaziali che, spesso, non sono presenti nei
pacchetti informativi ai quali uno strumento in elaborazione ha accesso. Normalmente, nel migliore
dei casi, si riesce ad avere accesso a documenti in forma di check-list poco significativi sul piano
dei rapporti relazionali.
L’argomento appena citato sembrerebbe ricoprire una maggiore importanza nei casi in cui gli
organismi urbani non sono eccessivamente estesi e in prossimità dei quali si verificano salti
repentini della naturalità territoriale tra il tessuto urbano ed il suo immediato esterno.
L’affermazione conduce quindi a considerare meno interessanti nel senso metodologico-applicativo
descritto, le grandi aree metropolitane che insistono su ambiti geografici con notevole gradualità

75
Sui rapporti tra le reti infrastrutturali e la pianificazione territoriale una panoramica soddisfacente dei vari aspetti correlati si trova in: Fabietti W.,
1998, Reti, città e territorio, infrastrutture e urbanistica, Urbanistica Dossier, 10, INU, Roma.
76
L’allestimento di “modelli urbanistici” per valutare legami di dipendenza e forme di assetto nel piano è abbastanza consolidata e spesso affrontata
nella letteratura scientifica. Un quadro abbastanza esteso delle applicazioni può trovarsi in: Scandurra E., 1987, Tecniche Urbanistiche per la
pianificazione del territorio, CLUP, Milano. Tecniche e procedure più recenti in tema di modelli applicati alle scienze regionali possono consultarsi
sugli Atti delle Conferenze annuali della Associazione Italiana di Scienze Regionali (AISRE) e, in particolare, XVIII Conferenza Italiana Europa e
Mediterraneo, Siracusa, ottobre 1997.

51
spaziale del livello di naturalità. E’ il caso delle aree urbane italiane nelle quali, in adiacenza agli
spazi urbanizzati, si estendono per centinaia di chilometri aree agricole intensive o un semi-
urbanizzato a densità variabile.
In tali situazioni, a differenza del primo citato, l’azione di consumo di suolo insediativo va quasi
sempre a discapito di spazi comunque antropizzati e con naturalità bassissima (quale si possono
ritenere le aree agricole intensive).
In effetti le teorie sugli indirizzi di impostazione di strumenti di piano attenti all’aspetto della
continuità prima ambientale e poi ecologica, che qui si presentano nella loro forma preliminare, si
originano da una riflessione che, soprattutto, investe la realtà montana, alpina e appenninica
italiana, nella quale le adiacenze tra spazi ad elevata naturalità e aree urbanizzate di medio sviluppo
sono spesso contenute entro qualche chilometro.
Il verificarsi di un gradiente di naturalità, comunque si ritenga di misurarlo (per es. attraverso gli
indicatori di biodiversità) così configurato pone difficoltà rilevanti al piano, in quanto alcuni criteri
di scelta delle direzioni di espansione potrebbero risultare alquanto dannosi ai fini della qualità
ambientale presente valutata in merito alle condizioni di continuità.

Fig. 58 – Alcune delle maggiori concentrazioni insediative dell’Appennino centrale abruzzese si


trovano a distanze ridottissime da aree con livelli di naturalità molto elevati.

Il problema, così formulato, di apertura del piano urbanistico verso le esigenze di espansione e
movimento, e non solamente di conservazione dello statu quo, delle specie viventi diverse da quella
umana apre in effetti un campo di studio forse innovativo, almeno in parte, sia per le scienze
naturali, sia certamente per la pianificazione.
La presenza di numerose variabili di impronta diversa, degli interrogativi sulle loro modalità di
interdipendenza, e l’importanza del loro ingresso nella procedura del piano ai fini di decisioni di
portata trans-specifica, conduce a guardare l’argomento come oggetto di una inevitabile e
imprescindibile esigenza di correlazione scientifica tra discipline che forse, sia in passato, sia
attualmente, non hanno mai dialogato in maniera del tutto efficace e che sono appunto le scienze
urbanistiche, le scienze naturali e la matematica applicata, almeno per quanto attiene la teoria dei
sistemi e i processi di supporto alle decisioni.

52
4. Il riassetto ecologico del territorio
4.1. La continuità ambientale e le reti ecologiche

Il rapporto che intercorre tra la struttura della continuità ambientale e le reti ecologiche vere e
proprie è un argomento tuttora in esame in sede di ricerca. E’ facilmente intuibile che il sistema
della continuità ambientale non coincide necessariamente con il sistema delle ecoconnessioni
riguardanti diverse specie.

Fig. 59 - Schema di rapporto tra il sistema delle aree biopermeabili e le reti ecologiche. I suoli
naturali e seminaturali costituiranno il supporto reticolare ecologico per le specie più elusive,
mentre quelle più adattabili potranno avvalersi di connessioni ecologiche del tutto trasversali
rispetto alla configurazione delle aree biopermeabili.

Alcune presenze insediative che rappresentano delle barriere al movimento di alcuni gruppi di
specie non lo sono invece per altri, mentre molti territori che denotano continuità ambientale non
hanno poi le caratteristiche necessarie per poter consentire il movimento di altri gruppi ancora.
E’ evidente che il maggiore interesse è rivolto verso quelle specie residenti in Italia, di grande
rilevanza internazionale, generalmente meno adattabili all’ambiente antropizzato e che hanno
maggiore necessità di spazi ampi e poco disturbati che possono essere reperiti esclusivamente tra i
le aree biopermeabili. Minore preoccupazione destano le specie che riescono ad organizzarsi anche
in presenza di ambienti metropolitani (recenti pubblicazioni espongono dati su migliaia di specie
residenti nelle maggiori aree urbane italiane – es. ricerche realizzate dal Comune di Roma e citate in
altra parte del presente volume) e le cui reti ecologiche sono del tutto trasversali ed intersecanti
rispetto al sistema della continuità ambientale.
Indubbiamente il mantenimento delle condizioni connettive delle aree biopermeabili è un passaggio
essenziale per avere una minima garanzia futura di poter consentire la presenza, o al limite, il
ripristino di reti ecologiche fondamentali.

4.2. Il ruolo del dato ecologico

L’uso della pianificazione può indubbiamente portare a questo risultato, ma, come già accennato in
precedenza, non si riuscirà ad ottenere importanti sviluppi senza l’incremento delle informazioni e
delle conoscenze scientifiche attinenti i dati ecologici relativi ai movimenti reali e potenziali delle
specie. In questo senso un patrimonio cognitivo essenziale è costituito dalla documentazione delle
presenze riscontrate, dal disegno degli areali potenzialmente idonei in termini faunistici e
vegetazionali, dalla partecipazione piena e consapevole, in buona sostanza, della componente
disciplinare naturalistica nella impostazione di un processo di piano avanzato che sia in grado di
valutare le esigenze di conservazione e sviluppo delle biocenosi presenti sul territorio.
In merito a tali dati ambientali esiste in Italia unicamente qualche contributo, ma con marcati
problemi di aggiornamento e, soprattutto, di sistematicità e continuità nel monitoraggio77 .

Fig. 60 – Uno dei pochi esempi di raccolta di dati ecologici alla intera scala nazionale: il
censimento della fauna italiana 1976-77. Nella immagine piccola i territori in cui nessuna delle 22
specie censite risultava presente (fonte: Pavan, 1990).

77
Dati sulla distribuzione faunistica alla scala nazionale, nonché di tipo ecologico generale, possono reperirsi, con aggiornamenti variabili, su: Pavan
M., 1990, Documenti per una politica di gestione naturalistica del territorio italiano, Istituto di Entomologia dell’Università di Pavia, Pavia. Per
quanto riguarda i dati avifaunistici si veda: Meschini E., Frugis S., 1993, Atlante degli uccelli nidificanti in Italia, Suppl. Ric. Biol. Selvaggina, XX.

53
Appare sostanziale la individuazione dei grandi sistemi ambientali significativi in termini
vegetazionali e faunistici, per poter verificare le loro condizioni di integrità rispetto alla geografia
della continuità ambientale e delle cause di frammentazione, ivi comprese, tra queste ultime, quelle
forse meno note e sulle quali si dispone di lacunose informazioni scientifiche.
Si tratta nello specifico di informazioni concernenti i rapporti tra gruppi di specie animali e talune
forme di utilizzazione del territorio che, al di là di ogni forma di disturbo o frequentazione
antropica, costituiscono spazi di fatto rifiutati dalle specie stesse per motivi diversi e dei quali
sarebbe, sempre ai fini della impostazione di politiche di pianificazione dirette al mantenimento
della integrità ambientale degli ecosistemi, estremamente interessante avere delle mappature.
Attraverso queste informazioni si dovrebbe essere in grado di delineare l’assetto di alcune delle reti
ecologiche presenti negli ambiti di esame e individuare quegli interventi di deframmentazione degli
habitats che dovranno incidere sulle barriere infrastrutturali già presenti78 e, soprattutto,
programmate, con progetti calibrati sulla portata della infrastruttura e del suo stimato effetto di
frammentazione ambientale.

4.3. Il progetto di deframmentazione

Probabilmente, ancor più della pianificazione, il progetto di deframmentazione è il tema che conta
più esperienze certamente a livello internazionale, ma anche nazionale.

Fig. 61 – Proposta di restauro ambientale con finalità di rinaturalizzazione e di uso ricreativo


(master plan South Platte river- Smith D.S., 1993 )79

Di grande importanza il pacchetto progettuale posto in atto da un decennio a questa parte nei Paesi
Bassi, conducendo al ripristino di continuità ecologiche localizzate in un ambiente nazionale tra i
più frammentati d’Europa da infrastrutture viarie.
La rete ecologica nazionale olandese80 è indubbiamente il caso europeo più studiato e citato, anche
perché in grado di fornire dati di funzionalità a distanza di anni81 , e ha comportato la
sperimentazione di diverse opere di deframmentazione, dai semplici sottopassaggi di strade e canali,
agli impegnativi ponti di sovrappasso stradale, fasce infrastrutturali, schermature verdi.

Fig. 62 – Schema di deframmentazione su grandi infrastrutture viarie (The Netherlands Trasport


Road and Hydraulic Engineering Division, 1997)

Ma la progettualità nei Paesi Bassi ha già prodotto ulteriori soluzioni oltre che nel campo della
deframmentazione, anche nel settore della ricostruzione degli habitats82 per singole e particolari
specie di ittiofauna, erpetofauna, avifauna, insetti e mammiferi, allestendo modellazioni ambientali
di estremo interesse.

Fig. 63- Scenari di ricostituzione di habitats specie-specifici in Olanda (SC-DLO, Instituut voor
Onderzoek van het Landelijk Gebied, 1999).

78
Un interessante schema di corrispondenza tra specie e caratteristiche geometriche dei corridoi può trovarsi in: Fleury A.M., Brown R.D., 1997, A
framework for the design of wildlife conservation corridors with specific application to southwestern Ontario, Landscape and Urban Planning, 37,
Elsevier Science, Amsterdam.
79
Smith D.S., 1993, Greenway case studies, in: Smith D.S., Cawood Hellmund P., Ecology of greenways, University of Minnesota press,
Minneapolis (USA).
80
Jongman R.H., Willems G., 1999, Reti ecologiche in ambiente urbano, l’esperienza dei Paesi Bassi, in: Di Maggio C., Ghiringhelli R., Reti
ecologiche in aree urbanizzate, Op.cit.
81
van der Sluis T., Pedroli B., 1999, Ecological networks in the Netherlands, implementation, research and results after 10 years, ANPA, Università
dell’Aquila, Workshop Piano e progetto nel riassetto ecologico del territorio, 14 maggio 1999, L’Aquila.
82
Harms W.B., Wolfert H.P., 1998, Nature rehabilitation for the river Rhine, a scenario approach at different scales, in: Nienhuis P.H., Leuven
R.S.E.W., Ragas A.M.J., New concepts for sustainable management of river basins, Backhuys Publishers, Leiden, The Netherlands.

54
Qualche progetto interessante di tipo circoscritto è in via di realizzazione anche in Italia e forse
meritano di essere citati quelli che riguardano la deframmentazione nell’area dell’aeroporto della
Malpensa, nel Parco Naturale del Ticino, e inseriti tra le opere di compensazione ambientale83 .

Fig. 64 – Progetto preliminare per un ponte verde per la creazione di un corridoio ecologico per
l’attraversamento della nuoca strada di collegamento all’aeroporto Malpensa 2000 presso la
località di Tornavento (Lonato Pozzolo – VA) (fonte: Furlanetto, 1999).

E’ probabile che, nei prossimi anni, ci sia un incremento di progettualità, con le tecniche tipiche
della architettura del paesaggio e della ingegneria naturalistica, diretta alla deframmentazione del
territorio. Forse risolvere problemi di continuità locale in ambienti con matrice fortemente
antropizzata risulta relativamente più semplice, a causa dei rilevanti vincoli a contorno, che non
ristabilire linee di continuità in ambienti naturali e semi-naturali di vasta estensione.
Alcune ipotesi sono state avanzate in casi particolari di contatto frammentato tra i parchi
dell’Appennino Centrale. Lo studio della adiacenza geografica tra il Parco Nazionale dei Sibillini e
del Gran Sasso-Monti della Laga ha condotto ad alcuni risultati di progettazione ambientale per il
superamento delle barriere fisiche presenti riguardanti sia opere di portata limitata (by-pass
stradali), ma anche azioni di più vasta portata volte alla ricostituzione di un tessuto paesaggistico
biopermeabile84 .

Fig. 65 – Schede relative a particolari progetti di ripristino della continuità ambientale in


corrispondenza del contatto geografico-amministrativo tra i parchi nazionali dei Sibillini e del
Gran Sasso-Monti della Laga (Calvelli, 1999).

In una area che gli studi alla scala nazionale condotti nell’ambito della già citata ricerca MURST
Planeco Project avevano indicato come sito di continuità ambientale di rilevanza centro-
appenninica un ulteriore approfondimento delle conoscenze, sviluppato essenzialmente sui fronti
della ecologia vegetale e della zoologia, ha prodotto una ipotesi di intervento territoriale su una
zona molto vasta compresa tra il Parco Nazionale d’Abruzzo e il Parco Regionale Sirente-Velino.
In questo caso, peraltro più dettagliatamente illustrato nel documento in appendice sul caso di
studio del Corridoio Ecologico di Carrito, il progetto ha riguardato una serie di interventi di
ricostruzione dell’ecomosaico, facendo leva in parallelo sulle risorse di autorinaturazione
dell’ambiente, mediante una zonazione del corridoio ecologico corrispondente ad una normativa
finalizzata.

83
Furlanetto D., 1999, Il superamento delle barriere causate dalle infrastrutture lineari nell’area dell’aeroporto di Malpensa, in: Di Maggio C.,
Ghiringhelli R., Reti ecologiche in aree urbanizzate, Op.cit.
84
Calvelli S., 1999, Proposte progettuali di defragmentation nel contatto tra il Parco Nazionale dei Sibillini e il Parco Nazionale Gran Sasso-Monti
della Laga, in: PROCAM, Università di Camerino, Il Parco Nazionale dei Sibillini nel sistema dell’Appennino, Op. cit.

55
5. Indirizzi normativi e di intervento per la pianificazione e la gestione della
continuità ambientale

Una normativa che salvaguardi le condizioni di continuità ambientale, quando in sovrapposizione


degli spazi relativi non siano presenti anche beni naturali di portata individuale, tali quindi da
esigere norme d’uso riconducibili agli standard più incisivi dei vincoli paesistici o delle riserve, sarà
certamente opportuno calibrare le possibilità di trasformazione in forma aderente alle specifiche
funzioni che dovranno essere, a quel punto, dettagliatamente determinate per lo spazio territoriale
interessato.
La normativa di mantenimento della continuità dovrà essere probabilmente opportunamente
sovraordinata nei confronti del pacchetto di norme urbanistiche vigenti, ma forse in forma parziale e
attinente solamente alcuni tipi di interventi di trasformazione.
Riferendosi ad alcuni indirizzi normativi già pronunciati, si può forse prendere ad esempio la
disciplina attribuita alle “riserve generali orientate” dalla legge 394/91.
In questa unità di tutela territoriale (art. 12) “è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le
costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio. Possono tuttavia essere
consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle infrastrutture strettamente
necessarie, nonchè interventi di gestione delle risorse naturali a cura dell’Ente parco. Sono altresì
ammesse opere di manutenzione delle strutture esistenti, ai sensi della lettera a) e b) del primo
comma dell’art.31 della l. 5.8.78, n.457”.
Le citate linee normative sembrerebbero tagliate anche sui connotati funzionali di un eventuale
corridoi ecologico, anche perchè, sotto il profilo logico, ipotizzando uno schema territoriale di parco
con riserve integrali disposte a “macchie” entro una matrice di riserva generale orientata, questa
ultima, o almeno alcune porzioni di essa, dovrà, de facto, svolgere una funzione di connessione
interna tra i nuclei di valenza naturalistica superiore.

Fig. 66 – Esempio di zonizzazione di corridoio ecologico fluviale (S.Miguel River Corridor – USA)
(fonte: Schwarz, Flink & Searns, 1993)85

Volendo pertanto procedere alla emanazione di una normativa di regolamentazione degli usi che
abbia una validità generale per l’intera continuità ambientale regionale, è quella appena descritta la
più adatta.
Ma forse, stante le caratteristiche ambientali molto differenziate, come si è avuto modo di
constatare, tra i diversi elementi connettivi, è opportuna una classificazione normativa che tenga in
conto le singole specificità, anche per non incorrere nel rischio di penalizzare con troppo restrittive
norme d’uso ambiti per i quali ciò non risulta giustificato86 .
E’ il tipico caso di alcuni territori per i quali non esiste, ne è credibilmente ipotizzabile, una
domanda di trasformazione di tale consistenza da alterare le potenziali funzioni di continuità.
E’ però parimenti chiaro che, indipendentemente dal valore ambientale intrinseco del territorio,
l’azione di tutela dovrà essere finalizzata sostanzialmente allo svolgimento di questa funzione
precipua. Nulla toglie che possano contemporaneamente essere presenti forme di tutela ambientale
tradizionali in parallelo che, nel caso surclassino in termini di incidenza quelle correlate alla
funzione di connessione, renderanno del tutto vana la apposizione dei particolari vincoli d’uso a
questa ultima legati.
Una normativa che, a partire da un riferimento generale, si articoli in maniera individuale in ogni
circostanza di continuità ambientale riconosciuta dovrà controllare, le seguenti attività antropiche:

85
Schwarz L.L., Flink C.A., Searns R.M.,1993, Greenways, a guide for planning, design and development, Island Press, Washington (USA).
86
Indicazioni su possibili contenuti normativi relativi alle reti ecologiche possono trovarsi in: Di Fidio M., 1999, Teoria e prassi delle reti ecologiche,
dall’isolamento all’integrazione della difesa della natura, Seminario di studio: Le reti ecologiche, strategie di equipaggiamento paesistico e
miglioramento ambientale, Università di Firenze, 26.5.99.

56
1. Uso produttivo del suolo;
2. Attività venatoria;
3. Transito veicolare;
4. Fruizione turistica;
5. Attività insediative;
6. Interventi progettuali di adeguamento del corridoio.

Pur nel seguito elencando gli aspetti che fanno capo ai singoli punti citati, è opportuno ribadire
come il dettaglio normativo non potrà essere espresso se non successivamente ad un esame delle
aree svolto da professionalità disciplinari specifiche e integrate, allo scopo di definire le
caratteristiche particolari di questi ambiti relativamente alla tipologia ed alla intensità degli scambi
effettivi o potenzialmente realizzabili. In ogni caso, proprio per consentire l’adeguamento
funzionale connettivo del territorio ad eventuali esigenze che man mano la ricerca scientifica
dovesse evidenziare, sembra importante normare in qualche modo la reversibilità degli interventi
antropici, privilegiando ovvero quelle tecnologie e quei manufatti la cui dissimulazione o
rimovibilità presenti ridotti impegni tecnico-finanziari.

1. Uso produttivo del suolo: riferendoci alle affermazioni precedentemente pronunciate sulla
esigenza di minimizzare gli effetti di disturbo da attività antropiche nei settori di continuità, è
evidente che una regolamentazione specifica delle attività produttive dovrà seguire questo
particolare indirizzo. Risulteranno pertanto compatibili appunto quei tipi di uso ai quali è
associabile da un lato una indifferenza a determinate forme di danno che possono provenire dalla
frequentazione dei luoghi da parte di fauna selvatica e, d’altra parte, le cui tecniche agrarie non
arrechino disturbi eccessivi (rumori, percorsi di mezzi meccanizzati, apposizione di barriere quali
recinzioni, cavi, etc.). Nei corridoi, quando possibile, potranno probabilmente trovare spazio
proprio quelle coltivazioni anche appetite da alcune specie, allestendo idonei meccanismi di
compensazione economica.

2. Attività venatoria: questa attività dovrà necessariamente essere rigorosamente regolamentata nei
tempi e nei modi opportuni, al limite, si ritiene, del divieto totale, sì da non intralciare in alcun
modo le funzioni speciali e particolari di connessione.

3. Transito veicolare: i disturbi da traffico nei settori di continuità possono articolarsi in una gamma
estremamente ampia. In qualche caso possono essere quasi assenti, almeno nelle ore notturne,
mentre in altri casi il volume del traffico, o normalmente, o soprattutto in particolari periodi
dell’anno, come l’estate, è particolarmente rilevante con conseguente disturbo nei confronti della
fauna selvatica, sia dovuto al rumore, sia al rischio di investimenti accidentali.
Se, in un’ottica di ottimizzazione dei costi, nel primo caso si può evitare di intervenire
progettualmente con opere di attraversamento artificiale delle carreggiate stradali, nel secondo caso
è questo un intervento indispensabile.
Gli attraversamenti risultano opere di ingegneria naturalistica, pertanto vanno progettati e realizzati
secondo criteri legati, come anticipato poco sopra, alla tipologia della fauna interessata. In questo
senso larghezza, dimensioni, mascherature e schermature, eventuali corridoi di invito dalle aree
circostanti e loro arredo verde, piantumazioni e recinzioni laterali dell’asse stradale vanno
opportunamente studiati a partire da valutazioni legate al posizionamento geografico più adatto.

4. Fruizione turistica: la utilizzazione turistica dei percorsi, in particolare quella escursionistica,


potrà essere regolamentata in base ad esigenze periodiche e stagionali, ponendo delle limitazioni sul
numero dei visitatori, frequenza dei transiti, definizione e delimitazione dei percorsi fruibili, fermo
restando il fatto che tali attività, contenute entro limiti e tempi accettabili, risultano di regola del
tutto compatibili con la funzionalità ecologica dei corridoi .

57
5. Attività insediative: è evidente che le attività insediative saranno fortemente limitate in via
pregiudiziale nelle aree di continuità. Del resto un effetto che va evitato per ovvi motivi è il
consumo del suolo naturale o la creazione di barriere insediative in genere che costituiscono di
fatto, come visto, una delle cause di frammentazione più occlusiva. Si presuppone pertanto che, a
meno di qualche particolarissima situazione da valutare caso per caso (elettrodotti87 , acquedotti,
serbatoi), le uniche attività di realizzazione di componenti edilizie saranno quelle legate alla
gestione della continuità, quale strutture di sorveglianza, apparati di monitoraggio e di controllo dei
transiti biologici.
Anche per gli elementi edilizi consentibili sarà opportuno studiare delle tipologie realizzative
(forme architettoniche, materiali, colori) calibrate sulle esigenze specifiche.

6. Interventi progettuali di deframmentazione: potrebbero rendersi opportuni, quando non necessari,


alcuni ulteriori interventi tesi ad adeguare e migliorare la fisionomia del settore di continuità
relativamente alle funzioni da espletare. Tali interventi possono variare molto dipendentemente
dalla caratteristiche della frammentazione e del territorio interessato in adiacenza.
In linea preliminare possono definirsi i seguenti tipi di interventi88 che, chiaramente, possono
pensarsi anche in forme compresenti:

1- Azione normativa tesa a stabilire attenzioni d'uso del territorio per garantire il mantenimento
delle attuali condizioni di continuità ambientale attraverso la riduzione o il controllo delle
trasformazioni in atto o potenziali che potrebbero inserire nell'ambiente elementi di barriera
infrastrutturale o urbana.
2- Interventi di limitato impegno finanziario finalizzati alla dissimulazione di elementi antropici di
disturbo, alla attenuazione di disturbi da rumore, alla riqualificazione vegetazionale di settori di
continuità ambientale di piccola estensione.
3- Interventi di medio impegno tecnico e finanziario, tesi al superamento di barriere infrastrutturali
di portata modesta, mediante l'impiego di sottopassi tubolari o strutture leggere di sovra-
attraversamento stradale.
4- Interventi di rilevante impegno tecnico-finanziario, finalizzati alla deframmentazione di grandi
barriere infrastrutturali, mediante la realizzazione di opere civili di sottopasso e sovra-
attraversamento di notevole dimensione.
5- Interventi di rilevante impegno tecnico-finanziario, con altrettanto significativi coinvolgimenti
politico-sociali, tesi alla deframmentazione di grandi barriere infrastrutturali multiple e barriere
urbane, con l'esigenza di rimozione fisica di componenti insediative e di grandi opere civili di
deframmentazione ambientale.
6- Interventi di rinaturalizzazione degli alvei fluviali, con rimozione parziale e dissimulazione
degli elementi artificiali di controllo idraulico e di regimazione dei flussi, con azioni di
riqualificazione vegetazionale delle fasce spondali.

87
Sugli effetti degli elettrodotti si veda: Penteriani V., 1998, L’impatto delle linee elettriche sull’avifauna, WWF, Delegazione Toscana, Firenze.
88
Università dell’Aquila, DAU, 1999, La continuità ambientale in Abruzzo, ANPA, Rapporto finale, Op. cit.

58
APPENDICE DEI DOCUMENTI
(INDICE DEI DOCUMENTI…)

59
Caso di studio 1
COMUNE DI VITTORITO (L’AQUILA)

UNIVERSITA’ DELL’AQUILA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE AMBIENTALI

RICERCA
MONITORAGGIO AMBIENTALE DEL FIUME ATERNO

GRUPPO DI RICERCA
Francesco Corbetta (Coordinatore)
Bruno Cicolani
Raniero Massoli-Novelli
G. Bartolomeo Osella
Antonella Cantelmi
Giampiero Ciaschetti
Monica Di Francesco
Marzia Di Giorgio
Anna Rita Frattaroli
Alfredina Gargaglione
Marco Giustini
Paola Ottino
Marco Petitta
Gianfranco Pirone
Bernardino Romano
Alessandra Rossi

Il programma di ricerca è stato finalizzato all’allestimento di alcune proposte di rinaturalizzazione


in un settore del fiume Aterno, uno dei maggiori corsi d’acqua che percorrono la regione Abruzzo.
Il tratto fluviale di studio è interessato da pesanti interventi di canalizzazione, arginatura artificiale e
regimazione, con due strade riparali parallele su entrambe le sponde. Il territorio che fiancheggia le
rive per oltre ……km è pressoché totalmente utilizzato a fini agricoli, seppur parzialmente diversi
(seminativi, colture arboree, orticoltura e altre colture specializzate).
Le ipotesi di ripristino di alcune condizioni di naturalità del settore fluviale riguardano interventi di
impianto di vegetazione arborea e arbustiva lungo le sponde e sugli argini artificiali, di
risagomatura degli stessi, di connessione ecologica tra l’ecosistema fluviale e le aree seminaturali e
naturali vicine, di riconformazione del letto di scorrimento fluviale.
L’ambito territoriale interessato presenta molte potenzialità di sperimentazione progettuale e
gestionale per creare una ni tegrazione completa tra i modi d'uso produttivo, ancora sufficientemente
vitali, e quelli legati alla sfera dell'interesse culturale richiamato dalla presenza di risorse naturali.

Inserire immagini caso di studio 1

60
Caso di studio 2
UNIVERSITA’ DELL’AQUILA
DIPARTIMENTO DI SCIENZE AMBIENTALI

Tonino Carusi, Gianfranco Pirone, Bernardino Romano, Pierantonio Tetè

DALLA CONTINUITA’ AMBIENTALE AI CORRIDOI ECOLOGICI


Un caso di studio per la pianificazione e il restauro ambientale
del Corridoio Ecologico di Carrito
tra il Parco Nazionale d’Abruzzo e il Parco Regionale Sirente-Velino

In seguito agli studi sulla continuità ambientale in atto da alcuni anni sul fronte scientifico nazionale (“Planeco Project”, MURST
1998-2001, ANPA, “Progetto monitoraggio delle reti ecologiche" 1998-2000) sono scaturite le prime indicazioni attinenti la
continuità ambientale alla scala territoriale. Il presente studio ha costituito un momento di approfondimento, sul piano dei contenuti
ecologico-naturalistici in un’area già emersa con forza quale elemento strategico di continuità ambientale alla grande scala.
L’ambito di studio è interposto fra Parco Nazionale D’Abruzzo e il Parco Regionale Sirente Velino, ed è stato analizzato al fine di
definirne l’effettiva funzionalità di connettore territoriale e per valutare la possibilità di attribuirgli la denominazione di corridoio
ecologico preferenziale tra le due grandi aree protette adiacenti.
Con un approccio di tipo trasversale sono stati studiati i caratteri della fauna, della vegetazione, delle infrastrutture e delle attività
antropiche, condotti sull’intera superficie di indagine e prolungati per un intero anno. In tal modo sono state elaborate conoscenze di
tipo ecologico preliminare, attraverso dati acquisiti direttamente o indirettamente, che hanno consentito di leggere significative
potenzialità dell’area sotto il profilo eco-connettivo.
Tutte le informazioni sono state gestite e organizzate mediante un Sistema Informativo Territoriale elaborato con tecniche GIS che si
sono rivelate estremamente efficaci nella sintesi finale delle condizioni di idoneità stimate. Altrettanto utili si sono dimostrate durante
la fase conclusiva della ricerca, nella quale vengono fornite alcune proposte di gestione ambientale.

Inserire immagini caso di studio 2

61
IUCN, Report of the IV World Congress on National Parks and Protected Areas, 10-21 February
1992
Workshop III.9

Corridors, transition zones and buffers:


tools for enhancing the effectiveness of protected areas
(Reference: Parks for Life, IUCN, Gland Switzerland, 1993.)

Overview
The aims of the workshop were to:
- Review the state of development of the theory and practice of habitat corridors and buffer zones; and

- Develop guidelines for the practical application of these conservation tools.

The workshop was attended by up to 50 people, including biology sts and protected area professionals from Australia, Costa Rica,
India, Indonesia, Mexico, Peru, Philippines, Poland, Spain, Sri Lanka, Uganda, United Kingdom, United States and Venezuela. In the
first session, papers were presented on corridors, in the second session these were discussed, and in the third session papers on buffer
zones were presented.

Conclusions
1. Corridors
The workshop recommended that protected area managers review the long-term population viability of organisms and ecological
processes within existing or proposed protected areas. Where it is determined that resident populations and ecological processes are
not viable then consideration should be given to linking protected areas that have historically been connected with corridors.
Corridors will vaiy in terms of length and width and therefore protected area managers wi~ need in many cases to work with various
government and non-governmental organizations in a regional land-use planning process. A continuous monitoring process will be
needed to accompany the establishment of a corridor to ensure that it functions effectively, in particular because of the problems of
climate change. The workshop concluded that:
a. Most protected areas around the world are too small to maintain viable populations of many resident species and critical ecological
processes in the long term, but fragmentation and island biogeographyc studies indicate that corridors will reduce adverse island
effects of protected areas.
b. The need for habitat corridors should increase in the future due to climate change.
c. Proper establishment and maintenance of corridors will require a commitment of resources, and may require more sophisticated
management than the adjacent protected areas. Needs should be carefully evaluated in the context of competing claims on scarce
conservation resources. Incentives and planning Systems should be sought to enable corridors to be developed on private or
community land.
d. Species conservation objectives mustbe clear and corridors designed on the basis of knowledge of the ecology of target species.
e. Many governments will be reluctant to meet the costs of maintaining corridors for purely biological reasons but landscape and
amenity considerations may be useful in justifying investments in corridors.
f. Research and monitoring of the biologicai functioning of corridors should be expanded.
g. Restoration of degraded habitats to link fragmented habitats will be required in many cases.

2. Buffer zones
The workshop considered that initiatives on buffer zones have often not been based on a sound understanding of social and economic
issues and have not applied the lessons learned from rural development. They have sometimes competed for resources with
conventional approaches to the management of core areas.
The workshop recommended that the first priority for protected area managers must be to secure full control of the core area and
apply protection legislation rigorously. Sub sequently a variety of buffer zone initiatives may serve to compensate local communities
for bss of access to resources, thus diminishing conflict with protected area objectives.
The workshop also recommended that all agencies ensure a balance between protection of core areas and compensating development
activities in surrounding areas.

Outputs and Follow -up Action


a. A core group from the workshop will develop practical guidelines for the design, establishment and management of habitat
corridors. As a contribution to these guidelines, workshop participants were invited to prepare short (1000-word) case studies.
IUCN's Forest Conservation Programme will then coordinate the production of a publication with the Guidelines and case studies.
b. As with the habitat corridors, a working group will be established to develop guidelines and case histories on buffer zones for
publication, coordinated by IUCN's Forest Conservation Programme.

62
Papers Submitted
BANDARATILLAKE, H.M. Buffer Zone Management in Sinharaja World Heritage Forest, Sri Lanka.
CANAS, Jordi. El Parque de Collserola: Un Espacio Protegido en un Contexto Metropolitano.
CIFUENTES ARIAS, Miguel. Establecimiento y Manejo de Zonas de Amortiguamiento.
KOZLOWSKI, Jerzy, Danuta PTASZYCKA-JACKOWSKA and Anne PETERSON. Buffer Zones for Protected Areas: A Planning
approach.
OCHOA G., Jose, Ramiro SILVA and Clemencia RODNER. Propuesta de un Sistema de Areas Naturales Protegidas en Bosques
Productores de Maderas de la Guayana Venezolana.
O'CONNOR, Brian, C.A. GALBRAITH and S.M. DAVIES. The Role of Protected areas in the Conservation of Widely Dispersed
Species.
SCHELHAS, John and William SHAW. Understanding Land Use and Natural Resource Decision of Park Neighbors.
SUMARDJO, Tony, SUMARSONO and Titus SARIYANTO. Management of Protection and
Production Forests and Industrial Forest Plantation as Buffers for Protected Areas in Indonesia.
TESTI, Annamaria, R. MAGGI and C. LUCATTINI. The Importance of Buffer Zones for the Management of Protected Areas in
Relation the Different Disturbance Levels.
VALLARINO B., Oscar. Finca Agroforestal Demostrativa Rio Cabuya Manejo de Zonas de Amortiguamiento en la Cuenca
Hidr6grafica del Canai de Panamà.
WORAH, Sejal. Design and Management of an integrated Protected Area Network in a Tropical Deciduous Forest in Gujarat, India.
YERENA, Edgard and Luis ROMERO. Corredores de Dispersi6n en los Parques Nacionales de Venezuela.

63
The EECONET Declaration
Reference: Bennett, G. (Ed.) 1994. Conserving Europe's Natural Heritage: Towards a European Ecological Network; 1-85966-090-8, Graham
Bennett; pub. Graham & Trotman; printed in Great Britain), pp. 285-288.

http://www.ecnc.nl/doc/lynx/publications/eecodecl.html

At the Conference "Conserving Europe's Natural Heritage: Towards a European Ecological Network", held in Maastricht on 9-12
November 1993, 267 participants from thirty-one European states and twenty-six international organisations discussed the decline in
Europe's biological and landscape diversity, a vision for nature in Europe and the most appropriate action that should be taken in
order to halt and reverse this decline.
Many important initiatives have already been taken to conserve Europe's natural heritage. However, in spite of efforts by government
bodies, non-governmental organisations and individuals, Europe's natural heritage is in severe decline. Highly valuable and
vulnerable ecosystems of international importance, such as coastal zones, marine areas, wetlands, forests, alpine mountain areas,
semi-natural landscapes and grasslands, are under severe threat. The same is true for any wild plant and animal species. This process
is proceeding at an alarming rate.
The main causes of decline in biodiversity are the continuing ol ss and fragmentation of habitats and the deterioration of
environmental quality due to inappropriate development and policies. The process of decline may be further exacerbated by climate
change. Existing initiatives need to be strengthened by powerful collaborative efforts to maintain and enhance characteristic
biodiversity and ecological stability in the biogeographical regions of Europe, on the basis of a common understanding of the
problems, needs and priorities on a pan-European scale.
Having welcomed the many valuable contributions of the Chairmen and Speakers, and the constructive discussions during the
workshops on nature conservation strategies and actions in the whole of Europe:
1. The participants conclude that:
1.1 There is a clear need to consider the development of a European Biological and Landscape Diversity Strategy and its application
at a pan-European level, as a regional follow-up to UNCED, the Convention on Biological Diversity and the Lucerne Conference
"Environment for Europe", and as part of the process leading to the next Environment Ministers Conference in Sofia in 1995; in the
short term the strategy should result in arresting irreversible damage and natural productivity loss and preventing further damage to
Europe's natural heritage.
1.2 The main elements of the European Biological and Landscape Diversity Strategy should be:
?? A description of how the ecosystem in Europe functions or fails to function, in terms of causes and effects;
?? A vision of ecological targets for the intermediate and long-term, respecting the ecological connections, geological, scenic
and cultural values, acknowledging the biogeographic regions of Europe, its surrounding seas and intercontinental
ecological relations;
?? Guidance on the full integration of nature conservation into other policies, in particular agriculture, forestry, fisheries, land
use and water planning and management and regional development, based on the principle of environmental sustainability;
?? A European ecological network, maintaining and enhancing the conservation and coherence of natural and semi-natural
habitats and natural processes of European importance, paying particular attention to characteristic threatened and
endangered species;
?? Priorities for European actions, including the more effective implementation of international nature conservation
instruments and funds, and identifying where urgent action is needed by national authorities;
?? Public awareness, education and information programmes.
1.3 The European Ecological Network (EECONET) should be developed as soon as possible as a conceptual framework for
organisations to cooperate and set priorities at a pan-European level, in particular building on the Natura 2000 network and similar
European initiatives, and also to give coherence to national and regional ecological networks.

1.4 The development of the European Biological and Landscape Diversity Strategy and the European Ecological Network requires
effective cooperation at both national and international level and the involvement of NGOs, which may include a voluntary
partnership of interested parties, in order to advance the development of the network and including a network development
programme.

1.5 Attention should be paid to the specific position and needs of the countries of central, eastern and southern Europe,
acknowledging the existing high biological values in these countries and the shared responsibility for the conservation of these
values.
The realisation of these actions over the next decade will make a major contribution to securing a sustainable future for Europe's
natural heritage, the ecological coherence of Europe's natural environment and for the peoples of Europe.
2. To this end, the participants request:
2.1 The Council of Europe, in cooperation with the Secretariat of the Bern Convention, the European Commission, the IUCN
and other relevant organisations, both governmental and non-governmental:
?? To establish a coordinating mechanism to develop a European Biological and Landscape Diversity Strategy and a
European Ecological Network, thereby building on UNCED, the European Conservation Strategy (1990) and the
Lucerne document Nature Conservation on a European Scale;

64
?? To present information on progress towards the development of a European Biological and Landscape Diversity
Strategy at the Sofia Environment Ministers Conference in 1995, as a contribution to the Environmental Programme
for Europe.
2.2 The European Union:

?? To ensure that the follow-up to the Council Resolution on the Fifth Action Programme on the Environment, as it
refers to the need to develop for consideration an EC Strategy and Action Plan for Nature Conservation, is compatible
with the development of the above-mentioned European Biological and Landscape Diversity Strategy; this should also
include the full integration of nature conservation objectives into other policy fields of the European Union.

2.3 National and regional governments, and local authorities:

?? To develop biological and landscape diversity strategies, where appropriate involving national, regional and local
ecological networks, to attune their strategies to the European dimension and to involve all interested parties.

2.4 The World Bank and other international financing institutions:

?? To fully integrate nature conservation objectives into their programmes.

3. The participants took note:


3.1 Of the illustrative document distributed at the Conference entitled A Conceptual Framework for Nature Conservation in
Europe.

65
Birds Directive (2.4.1979)
This Directive on the Conservation of Wild Birds of the European Community (79/409/EEC) imposes strict legai
obligations to Member States of the European Union. It sets out to maintain populations of naturally occurring wild
birds, to regulate trade in birds, to lirnit hunting to species able to sustain exploitation, and to prohibit certain methods
of capture and killing. The Birds Directive consists of 19 articles and has been amended in 1991 and in 1994 under
Directives 91/244/EEC and 94/24/CE. Member States shall classify the most suitable territories in number and size as
Special Protection Areas (SPA) for the conservation of the species listed in Annex I to the Directive, taking into account
their protection requirements in the geographical sea and land area where this Directive applies. A total of 1,470 SPAs
has been established under this Directive (as of April 1997) (Annex 2a). The Birds Directive sites are not presented ori
the map accompanying this report.
It relates to the conservation of all species of naturally occurring birds in the wild in the European territory of the
Member States to which the treaty applies. It covers the protection, management and control of these species (and also
of their eggs, nests and habitats) and lays down rules for their exploitation (Article 1).
The preservation, maintenance and re-establishment of biotopes and habitats shall include primarily the following
measures:
a) creation of protected areas;
There are no specific criteria regarding the establishment of SPAs. However, Article 3 states that Memb er States shall
take the requisite measures to preserve, maintain or re-establish a sufficient diversity and area of habitats for all species
of birds referred to in Article 1.
b) upkeep and management in accordance with the ecological needs of habitats inside and outside the protected zones;
c) re-establishment of protected biotopes; and
d) creation of biotopes.

Habitat Directive (21.5.1992)


The aim of the Directive on the Conservation of Natural Habitats and of Wild Fauna and Flora (92/43/EEC) is to
contribute towards ensuring biodiversity through the conservation of natural habitats and of wild fauna and flora in the
European territory of the Member States of the European Union. Measures taken pursuant to this Directive are designed
to maintain or restore, at favorable conservation status, natural habitats and species of wild fauna and flora of
Community interest. These measures shall take account of economic, social and cultural requirements and regional and
local characteristics.
The Directive consis ts of 24 Articles and five annexes. It is split into two sections: Articles 3-9 inclusive cover the
conservation of habitats; and Articles 10-14 inclusive, the protection of species.
The fundamental purpose of this Directive is to establish, by the year 2004 at the latest, a network of protected areas
throughout the European Community. This network commonly referred to as Nature 2000 is designed to maintain both
the distribution and abundance of threatened species and habitats, both terrestrial and marine.
Nature 2000 comprises a network of Special Areas for Conservation (SACS), including Special Protection Areas as
designated under the "Birds" Directive (see Birds Directive). A SAC is a site of Community importance designated by
the Member State through a statutory, administrative and/or contractual act where the necessary conservation measures
are applied for the maintenance or restoration of the natural habitats and/or the populations of the species for which the
site was designated.
Member States are under an obligation to contribute to Nature 2000 in proportion to the representation of the natural
habitat types and species listed in two separate annexes within their territories (Annex I and Il to the Directive,
respectively).

Definition
A site of Community importance means a site which, in the bio-geographical region or regions to which it belongs,
contributes significantly to the maintenance or restoration of the natural habitat types listed in Annex I or of a species in
Annex 11. It may also contribute significantly to the coherence of Nature 2000 and/or contributes significantly to the
maintenance of biological diversity within the biogeographically region or regions concerned.

66
Criteria
On the basis of the criteria detailed below (and included in Annex III to the Directive), a national list of sites of
Community importance hosting natural habitat types and species of concern has to be drawn up and sent to the
Commission within three years from notification of the Directive on 5 June 1992. No sites have officially been
established yet but some countries have provided candidate lists to the European Commission DG M (see Nature
Barometer in EC DG-M D.2, 1997).
The process to establish Special Areas for Conservation under this Directive includes the following stages:

Stage 1: Assessment at national level of the relative importance of sites for each natural habitat type in Annex I and
each species in Annex II (including priority natural habitat types and priority species).

A. Site assessment criteria for a given natural habitat type in Annex I:

a) Degree of representative ness of the natural habitat type on the site.


b) Area of site covered by the natural habitat type in relation to the total area covered by that natural habitat type
within national territory.
c) Degree of conservation of the structure and functions of the natural habitat type concerned and the restoration
possibilities.
d) Global assessment of the value of the site for conservation of the natural habitat type concerned.

B. Site assessment criteria for a given species in Annex II:

a) Size and density of the population of the species present on the site in relation to the populations present within the
territory.
b) Degree of conservation of the features of the habitat which are important for the species concerned and
restoration .possibilities.
c) Degree of isolation of the population present on the site in relation to the natural range of the species.
d) Global assessment of the value of the site for conservation of the species concerned.

C. On the basis of these criteria, Member States Will c1assify the sites which they propose on the national list as sites
eligible for identification as sites of Community importance according to their relative value for the conservation of
each natural habitat type in Annex I or each species in Annex II.

That list will show the sites containing the priority natural habitat types and priority species selected by the Member
States on the basis of the criteria A and B above.

Stage 2: Assessment of the Community importance of the sites included on the national lists

1. All sites identified by the Member States in Stage 1 which contain priority natural habitat types and/or species will
be considered as sites of Community importance.
2. The assessment of the Community importance of other sites on Member States' lists, i.e. their contribution to
maintaining or re-establishing, at a favorable conservation status, a natural habitat in Annex I or a species in
Annex il and/or to the coherence of Nature 2000 will take account of the following criteria:

a) Relative value of the site at the national level


b) Geographical situation of the site in relation to migration routes of species in Annex Il and whether it belongs to a
continuous ecosystem situated in both sides of one or more internal Community frontiers.
c) Total area of the site.
d) Number of natural habitat types in Annex I and species in Annex Il on the site.
e) Global ecological value of the site for the biogeographically region concerned and for the whole of the territory
referred.
Inserire schema a blocchi
Reference: Mc Lennan, S.,1999, Introduction to the Birds and Habitats Directive, Lifeline Europe, IUCN Newsletter, n.9

67
IMPORTANCE OF THE INTERNATIONALLY DESIGNATED SITES FOR THE PAN
EUROPEAN ECOLOGICAL NETWORK
Reference: Council of Europe, 1998, Committee of experts for the European Ecological Network, Report concerning the Map on nature conservation
sites designated in application of international instruments at Pan-European level

The previous Section reviews international designations relevant to Europe. The current Section assesses their potential contribution
to the process of developing the Pan-European Ecological Network.
Firstly, the definitions and criteria of each instrument Will he analyzed and compared. A more thorough analysis of criteria used in
developing networks of protected areas is being carried out by ECNC as part of the Action Theme 1 work programme (STRA-REP
3). Additionally AD Environment is establishing guidelines to the implementation of the Pan-European Ecological Network in
support of the Action Theme i work programme (STRA-REP 5).
Secondly, the figures relating to the number of sites and their extent within each country will be examined. Finality, linkages with
initiatives on developing a wider Pan-European ecological network will be discussed.

DEFINITIONS AND CRITERIA USED

Table 5.1 lists the international conventions, directives and other instruments reviewed in this report in relation to their respective
legal basis, character (qualitative/quantitative), geographical scope and biophysical focus.
Analysis of these attributes of international instruments indicates the following:
- Most instruments impose a number of obligations on Contracting Parties. Penalties for non-compliance with obligations in order
to maintain the quality of a site range from letters of warning to the loss of specific rights or the withdrawal of a given
designation. Concerning the directives of the European Union, the Court of justice of the European Community can be referred
to;
- Criteria for designating sites are mostly qualitative, with flexibility in their application to suit national, physical, biological and
political situations;
- A notable exception to the lack of quantifiable criteria is the Convention on Wetlands, which specifies quite stringent criteria
based on the number of waterfowl or fishes inhabiting wetlands (Criteria 3 and 4). However, there are less quantifiable criteria
(Criteria 1 and 2) providing for designating wetlands as of importance, whether or not detailed information on the population
sizes of indicator species is available;
- The implementation of Nature 2000 requires a two stage approach, as laid out in the Habitat Directive (Annex III), and provides a
quantifiable basis for selecting sites of Community importance (SACs);
- Other instruments, such as the Helsinki Convention, are currently in process of defining criteria to designate areas of regional
importance;
- There is scope and opportunity to harmonize qualitative and quantitative criteria across instruments. Case studies to use in the
future development of harmonized criteria can be found in those areas that are designated under more than one international
instrument;
Although some instruments, notably the Biogenetic Reserves Network and the Habitats Directive, as well as the Bonn Convention
that is not described in this report, acknowledge the importance of interconnectivity, none of them have criteria that provide
specifically for international recognition of passage ways, migratory routes, or other connections for species or habitats. This also
applies across international borders, particularly for large mammals and birds.

NUMBER AND EXTENT OF INTERNATIONALLY DESIGNATED SITES

Revision of the attached annexes with information of number and extent of sites designated under international instruments shows
that:
- The total number of sites designated under international instruments in Europe is 2,805, covering 503,432 km2, or 1.8% of the total
area of the region (Annex 2a). However, this does not take into account the considerable overlap, with many sites designated under
more than one instrument.
- The extent of the international network varies substantially between countries in terms of:
(a)total area, and
(b)extent to which different instruments are applied (Annex 2a).
For example, the Republic of Moldova has one internationally designated site, whereas Germany contains a total of 555. In so far as
total area is concerned, Slovenia has less than 0.1% of its territory designated under international instruments, while Malta has almost
two thirds of its land area under such instruments.
The implementation of the available international instruments varies considerably between the European countries. For the
establishment of the Nature 2000 network this is clearly demonstrated by the Nature barometer (EC DG-XI D.2, 1997).

68
Also, the map accompanying this report illustrates the choice that countries make for fulfilling their international obligations (e.g.
Austria has a high density of Biogenetic Reserves whereas Denmark has exclusively Ramsar sites designated.
This does not only reflect biogeographically characteristics, it also gives an indication of the priority ed by states as regards to a
certain international instrument. For some countries 9 of the international instruments described in this report apply to their national
territory, of which some have similar objective.
The international protection of areas appears to be very fragmented but it should be appreciated that:
a) the accompanying poster map does not include sites designated under UE Birds and Habitat Directives, and
b) there are many nationally designated sites (Annex 2b) which provide connectivity between some of the internationally protected
areas. The Council of Europe has identified at least 340 designations of protected areas for 37 European countries (Roekaerts, 1995).
c) as mentioned in Section 4 of the present report, other instruments such as the Emerald Network under the Bern Convention, the
Bonn Convention and the Bucharest Convention will contribute to further increase the number and extent of internationally
designated sites. This number and extent is increasing annually (see, for example, the Nature Barometer which monitors progress in
the designation of Nature 2000 sites, EC DG-XI D.2, 1997).
d) there are various international initiatives and action plans focusing on the creation of transboundary ecological networks for a
particular habitat or ecosystem (e.g. ECMEN - European Coastal and Marine Ecological Network, developed by EUCC) or on
species groups (e.g. LCCI - the Large Carnivore Conservation Initiative, and the Large Herbivore Initiative Europe, both co-
ordinated by WWF). All these Will contribute to the creation of the Pan-European ecological network and will strengthen the
currently existing protected areas.
e) The actual contribution of internationally protected areas to the Pan-European Ecological Network can only be assessed after the
contours of this Network have been drawn.

IMPLICATIONS OF INTERNATIONALLY DESIGNATED SITES FOR THE PAN-EUROPEAN ECOLOGICAL


NETWORK

The total coverage of protected areas designated on the basis of international instruments in Europe presented in the previous Section
is still far below the 30% that is recommended by experts to a European Ecological Network, not only comprising protected areas,
but also agricultural (Bischoff & Jongman, 1993). The total area coverage and the distributed pattern of the internationally
designated sites indicate that there is a clear need for additional efforts towards a true Pan-European Ecological Network. A
characteristic feature of such a network is its function to conserve larger natural areas and to prevent fragmentation or to restore
connectivity ( Jongman, 1995). The various initiatives that have been developed since 1991 are crucial steps in the thinking and
developing process. The first design of EECONET was published in 1991 (see Bennett, and Bischoff & Jongman, 1993), short before
the European Union initiative to develop the Nature 2000 network for the European Union territory. Political acceptance of the
concept followed in Sofia, Bulgaria (1995). At the 3 Pan-European Conference of Environment Ministers the Pan European
Biological and Landscape Diversity Strategy, including its Action Theme 1 on establishing the Pan-European Ecological Network
was endorsed. In addition, in 1996 the Council of Europe started the establishment of the Emerald Network. Also, the conclusions of
the Council of the European Union of 6 October 1995 point in the same direction stating that the Council notes that the European
Union will be represented in the Pan-European Strategy by Nature 2000. Initiatives such as the current report and its accompanying
map and related projects such as the development of criteria for developing buffer zones and corridors (S'IRA-REP 3) and the
guidelines for establishing the network (STR-REP 5) assist this process.
The existing internationally recognised or designated sites already provide a basis on which a Pan European Ecological Network can
be developed. These networks are not complete, and they may not cover the full range of criteria, but because of their international
designation they systematically protect identified species and ecosystems, recognise excellence, and provide networks that promote
research and education.

Systematically developing a Network

A number of the international instruments described aim at systematically developing networks for the protection of identifies
species and habitats. Sites that form part of these networks will inevitably be components of the Pan-European Ecological Network,
and will form the backbone of the network. The international recognition provided by these instruments is significant. The
instruments, therefore, provide a major contribution to development of the Pan-European Ecological Network. instruments in this
category are:
For habitats in general: European Union Habitats Directive, Bern Convention Emerald Network, Council of Europe Biogenetic
Reserves and European Diploma for Protected Areas;
For wetland habitats: Convention on Wetlands (Ramsar);
For marine and coastal habitats: Helsinki Convention, Barcelona Convention;

69
For species in general: European Union Habitats Directive, Bern Convennon Emerald Network, Council of Europe Biogenetic
Reserves;
For birds: European Union Birds Directive.
It must however be mentioned that gaps in criteria for the protection of areas still need to be filled. For example, the distribution of
wetlands that fulfill the Ramsar Convention criteria is not even across Europe. Wetlands in Western and Southern Europe have
generally been subjected to a higher degree of fragmentation and degradation of their natural functioning than in the Northern and
Eastern parts of the region. Conversely, higher proportions of remaining wetlands that fuiflì the Ramsar criteria have been designated
in Western and Southern Europe. Habitat types covered by the broad Ramsar definition of 'wetland', but which remain under-
represented by European Ramsar Convention Sites, include peat lands, alpine wetlands, and karst wetlands.

Recognising excellence

Two other instruments provide recognition of excellence, namely the World Heritage Convention and the European Diploma. As
they are regarded as the bees-knees of Europe's natural areas their inclusion in the Pan-European Ecological Network is obvious.
However, neither instrument aims at systematic protection of species or ecosystems.

Promoting research and education

Two programmes are oriented towards representative ness in order to facilitate opportunities for research, specifically the MAB
Programme of UNESCO, and the Council of Europe Biogenetic Reserves programme. As such these programmes both have a major
opportunity to contribute to the development of the Pan-European Ecological Network through focused research programmes. The
MAB Programme of UNESCO also has a focus on education and training, and on integration of conservation objectives into the
management of surrounding lands.

70
The EMERALD Network
a network of Areas of Special Conservation Interest for Europe

CONVENTION ON THE CONSERVATION OF EUROPEAN WILDLIFE AND NATURAL


HABITATS
http://www.ecnc.nl/doc/lynx/publications/emerald.html

16th meeting Strasbourg, 2-6 December 1996


This short document explains how the EMERALD network was born, its reach and development, its relation with NATURA 2000
and other projects.

1. Introduction
In June 1989 the Standing Committee of the Bern Convention held an extraordinary meeting exclusively devoted to habitat
conservation within the Convention. At the meeting the Committee adopted an interpretative resolution (Resolution No. 1 (1989) on
the provisions relating to the conservation of habitats) and three operative recommendations (Recommendations Nos. 14, 15 and 16
(1989)) aimed at the development of a network of areas under the Convention. A further recommendation (Recommendation No. 25
(1991) on the conservation of natural areas outside protected areas proper) was adopted at a later meeting of the Committee.
In Recommendation No. 16 (1989) "on Areas of Special Conservation Interest" (ASCIs), the Standing Committee recommended
Parties to "take steps to designate Areas of Special Conservation Interest to ensure that the necessary and appropriate conservation
measures are taken for each area situated within their territory or under their responsibility where that area fits one or several of the
following conditions..." (a list of conditions followed).
The Committee had wished that all these recommendations on habitat conservation be rapidly implemented by Contracting Parties
but two major events delayed their implementation. The first was the fundamental change in the political map of Europe that
followed the fall of the Berlin wall in October 1989. The Bern Convention had to change its priorities from the building of a network
or areas to the extension of the Convention to the new democracies of Central and Eastern Europe. The second was the preparation,
at the European Community, of a legal instrument aimed at implementing the Bern Convention within the Community. (As any other
Contracting Party to the Convention, the European Community had the obligation to take "the appropriate and necessary legislative
and administrative measures" to implement the Convention.) The legal instrument was finalised in May 1992 and was called the
"Directive on the conservation of natural habitats and of wild fauna and flora". Happily, that text did not simply take the text of the
Bern Convention, but went much further in developing the obligations on habitat protection (so much that it is now best known as the
"Habitats Directive"). The Habitats Directive created "a coherent European ecological network of special areas of conservation ... to
be set up under the title of NATURA 2000".
In order to assure coherence between the network of Areas of Special Conservation Interest (ASCIs) to be designated under the Bern
Convention and the network of Special Areas of Conservation (SACs) designated under the Habitats Directive, the Standing
Committee to the Convention thought preferable to wait for the establishment of the proper mechanism by the Directive. In January
1996, a sufficient number of States of Central and Eastern Europe had become Parties to the Convention and were requesting the
development of the network of ASCIs. The Standing Committee, realising this wish and noting that the Habitats Directive was
already sufficiently advanced in its work to build NATURA 2000, decided to adopt its Resolution No. 3 (1996), in which it resolved
to "set up a network (EMERALD Network) which would include the Areas of Special Conservation Interest designated following its
Recommendation No. 16"; it furthermore "encouraged Contracting Parties and observer states to designate Areas of Special
Conservation Interest and to notify them to the Secretariat". Resolution No. 3 (1996) was, in a sense, a second act of birth of the
network, after its first creation in 1989. More precisely it was an act of baptism as the network had not been given a name in 1989
and it had proved rather awkward to promote a network under the name of "network to develop Recommendation No. 16 (1989) of
the Standing Committee of the Convention on areas of special conservation interest". Short names have advantages.
2. Legal support of the EMERALD Network
The Bern Convention does not deal exclusively with the protection of species. Articles 1, 2, 3, 4, 6 and 9 of the Convention deal with
the protection of natural habitats, in particular
?? habitats of the wild flora and fauna species (specially those in Appendices I and II)
?? endangered natural habitats.

Relevant texts of the Convention and the Standing Committee concerning protection of natural habitats are appended to this
document.
The EMERALD Network was created by virtue of Recommendation No. 16 (1989) and Resolution No. 3 (1996) and thus benefits
from the "soft law" approach characteristic of recommendations. Nevertheless, the obligations to protect natural habitats are not "soft
law" but rather strict obligations clearly marked in the Convention, and forming part of international law. The Standing Committee

71
recommended Contracting Parties to implement their obligations regarding natural habitats through the taking of a number of
measures, among which the designation of the Areas of Special Conservation Interest (ASCIs) that form the EMERALD Network.
Obviously obligations under the Bern Convention can only be requested of Contracting Parties. Other European states were "invited"
to participate in the exercise.
The Standing Committee examined the possibility of amending the Convention (or establishing a protocol) to integrate the
EMERALD Network into the text of the Convention - thus reinforcing its legal reach - but no decision in that sense had been taken
by January 1997.

3. Areas of Special Conservation Interest (ASCIs)

What are Areas of Special Conservation Interest?


Recommendation No. 16 defines Areas of Sp ecial Conservation Interest as those designated by states where that area fits one or
several of the following conditions:
1. it contributes substantially to the survival of threatened species, endemic species, or any species listed in Appendices I and
II of the convention;
2. it supports significant numbers of species in an area of high species diversity or supports important populations of one or
more species;
3. it contains an important and/or representative sample of endangered habitat types;
4. it contains an outstanding example of a particular habitat type or a mosaic of different habitat types;
5. it represents an important area for one or more migratory species;
6. it otherwise contributes substantially to the achievement of the objectives of the convention.
The conditions above point clearly towards areas of a great ecological value for both the threatened and endemic species listed in the
Appendices of the Bern Convention and for the endangered habitat types which are to be identified by the Standing Committee as
"requiring specific conservation measures".
The EMERALD Network would thus not be simply a box into which any type of protected area can be put, or a mere collection of
areas designated under other schemes. Its coherence - much like that of NATURA 2000 - comes from the limited criteria for choice:
they have to be important and contribute substantially (the adjective is important!) to the objectives of the Convention.

Which States may designate ASCIs?


Resolution No. 3 (1996) encourages "Contracting Parties and observer states to designate ASCIs" and to notify them to the
Secretariat.
The following 31 European states are Contracting Parties to the Convention (in November 1996):
Austria, Belgium, Bulgaria, Cyprus, Denmark, Estonia, Finland, France, Germany, Greece, Hungary, Iceland, Ireland, Italy,
Liechtenstein, Lithuania, Luxembourg, Malta, Moldova, Monaco, Netherlands, Norway, Poland, Portugal, Romania, Slovakia, Spain,
Sweden, Switzerland, Turkey, United Kingdom;
and the following 14 European states have the status of observer at the meetings of the Standing Committee:
Albania, Azerbaijan, Andorra, Belarus, Bosnia-Herzegovina, Croatia, Czech Republic, Holy See, Latvia, Russia, San Marino,
Slovenia, "the former Yugoslav Republic of Macedonia", Ukraine.
This raises to 45 the number of states which may participate in the EMERALD Network.
The participation of states which are not yet Contracting Parties is not only possible, but highly desirable. Resolution No. 3 (1996)
invites "European states which are observer states in the Standing Committee of the Bern Convention to participate in the network
and designate ASCIs".
The participation of non-European (Parties or observers) in the EMERALD Network is unclear at present. While Recommendation
No. 14 (1989) does not exclude such participation, Resolution No. 3 (1996) is clearly addressed to European states.
In respect to European Union states, they are recommended (Recommendation No. 14 (1989), like other states, to designate ASCIs.
The same might apply for the European Community as Contracting Party, as the Standing Committee recommended Parties to take
steps to designate ASCIs "to ensure that necessary and appropriate measures of conservation are taken for each area situated within
their territory or under their responsibility ...". In any circumstance, it is clear that Contracting Parties which are members of the
European Union and the European Community itself may - if they so wish - coordinate their action in respect to the designation of
ASCIs. The activities of designation of SPAs within the Habitats Directive would be more than enough to fulfil the implementation
of Recommendation No. 16 and - if the States concerned so wish and decide - it may be their contribution to the EMERALD
Network. Indeed no other action would be expected from them, the NATURA 2000 network having identical objectives (and a more
solid legal basis) to those of the EMERALD Network. In this respect, the full and thorough implementation of the Habitats Directive
is contemplated as a necessary and fundamental step into the achievement of the common goals it shares with the Bern Convention,
both concerning the protection of natural habitats and the conservation of wild flora and fauna.
What are the duties of states concerning the status and management of ASCIs?
Once ASCIs have been designated by the states, that is not the end of the EMERALD Network, but rather the start, as states are
recommended to take a number of steps (by legislation or otherwise, to ensure that ASCIs are properly managed. They are asked in
Recommendation No. 16 (1989) to "ensure, wherever possible that":
1. ASCIs "are the subject of an appropriate regime, designed to achieve the conservation of the factors" responsible for the
designation of the area;
2. "the agencies responsible for the designation and/or management and/or conservation of ASCIs have available to it
sufficient manpower, training, equipment and resources (including financial resources) to enable them properly to manage,
conserve and survey the areas;

72
3. appropriate ecological and other research is conducted, in a properly coordinated fashion, with a view to furthering the
understanding of the critical elements in the management of ASCIs and to monitoring the status of the factors giving rise to
their designation and conservation;
4. activities taking place adjacent to such areas or within their vicinity do not adversely affect the factors giving rise to the
designation and conservation of those sites."
Furthermore, states are recommended to take steps, as appropriate, in respect of ASCIs to:
1. draw up and implement management plans which will identify both short- and long-term objectives (such management
plans can relate to individual areas or to a collection of areas such as heathlands);
2. regularly review the terms of the management plans in the light of changing conditions or of increased scientific
knowledge;
3. clearly mark the boundaries of ASCIs on maps and, as far as possible, on the ground;
4. advise the competent authorities and landowners of the extent of ASCIs and their characteristics;
5. provide for the monitoring of ASCIs and especially of the factors for which their conservation is important."
It is obvious from the paragraphs above that states are invited to pay much conservation attention to ASCIs. There is, however, no
precise recommendation to give legal protection to ASCIs, the Standing Committee having preferred to keep a supple wording and
having recommended that the areas "be subject to the appropriate regime". As usual the Standing Committee was more interested by
the achievement of conservation results than by a particular "area protection" procedure. Some systems may work very well without
strong legal obligations attached. In any case the Standing Committee asked states to look into the matter of the protection of ASCIs
and the last point of Recommendation No. 16 reads as follows:
The Standing Committee recommends that Contracting Parties:
5. "determine those areas which remain inadequately provided for under existing mechanisms and improve the conservation
status of such areas, using whatever mechanisms are appropriate in order to meet the requirements of the convention."
Building the EMERALD Network is designed to be a dynamic process which will need regular updates of the information contained
and the way the states comply with the recommendation. Point 2 of Recommendation No. 16 invites states to "review regularly or
continually in a systematic fashion their performance in the implementation of [the designation of ASCIs]."

How are ASCIs designated?


Resolution No. 3 (1996) and Recommendation No. 16 (1989) are not very precise on that point. They encourage Contracting Parties
and observer states "to designate ASCIs and to notify them to the Secretariat". Thus the responsibility for designating ASCIs lies with
the government of the states concerned. As for the technical details, it is worth noting that Resolution No. 3 created "a group of
experts to carry out the necessary activities related to the building up of the network". This group met for the first time in November
1996 and did not discuss this issue in detail but it was stressed that the designation process would be done in such a way that it would
be compatible with that of the NATURA 2000 network. A data sheet that needs to be filled in by the states is to be prepared early in
1997. The possibility of being able to fill in the forms electronically is being explored so that, for instance, data gathered for the
CORINE-biotopes programme may be used.
Designation of ASCIs will start in 1997, after the preparation of data sheets. The states are expected to notify the Secretariat the
ASCIs they designate which will be validated by the Secretariat and incorporated in the EMERALD Network.
though some decisions in this respect need yet to be taken, it is likely that for Contracting Parties of the Convention which are also
member states of the European Community the procedure will be different. In order to assure harmonisation and compatibility with
the NATURA 2000 network, they need only to notify which areas have been effectively included in the NATURA 2000 network,
after all the necessary verification process agreed in the Habitats Directive, and whether they wish these areas to become part of the
EMERALD Network. This procedure is designed to assure full compatibility and coherence of both networks.

The work ahead


The Standing Committee thought that, for the designation of ASCIs and for the protection of natural habitat, it was necessary to
reinforce the work that Contracting Parties were carrying out in habitat protection. Thus, it decided to ask Parties (in
Recommendation No. 14 (1989)) to:
1. identify in the areas within their jurisdiction:
1. species requiring specific habitat conservation measures;
2. endangered natural habitats requiring specific conservation measures;
3. migratory species requiring specific habitat conservation measures;
4. species of which the breeding and/or resting sites require protection and their breeding and/or resting site types
requiring protection;
and for each of these categories to indicate, as far as possible, their sites".
Although the above tasks were addressed to Contracting Parties, the Standing Committee decided, after 1989, to prepare, for the
whole of Europe lists for points a, b, c and d above.
In December 1996 the Standing Committee adopted Resolution No. 4 identifying endangered natural habitats requiring specific
conservation measures.
As for the other points, work was well advanced to identify species requiring specific habitat conservation measures (including the
migratory species mentioned in c. above.
As for d. above (species of which the breeding and/or resting sites require protection), while all of them can be considered as
included in a. above (ie they require specific habitat conservation measures), the identification of breeding and/or resting sites
requiring protection will be clearly associated with the designation of ASCIs but has not started.
The identification of species requiring specific habitat conservation measures can be a useful step towards the designation of ASCIs
because it may guide choices of sites of particular relevance for threatened species. Yet the temporary absence of a list of species
requiring special habitat conservation measures should not hinder the designation of ASCIs as these may be chosen when they
"contribute substantially to the survival of threatened species, endemic species or any species in Appendices I and II of the

73
Convention".
The tasks ahead for the building of the network will be those aimed at facilitating the designation of ASCIs by states, mainly the
following:
?? the identification of endangered natural habitats requiring habitat conservation measures,
?? the elaboration of a model data sheet form that may be completed by states,
?? the elaboration of other technical instruments necessary to ensure coherence with the NATURA 2000 network (Map of
Biogeographical Regions, adaptation of software for filling in data sheets, etc),
?? the elaboration of lists of species requiring specific habitat conservation measures,
?? the identification of sites of importance for migratory species.

5. Relations of the EMERALD Network with NATURA 2000


The Bern Convention (1979) and the Habitats Directive (1992) have a complete coincidence of objectives. Both are international
legal instruments aimed at the conservation of wild flora, fauna and natural habitats. Their main differences come from the territory
they apply to (European Union member states for the Directive and the whole of Europe and part of Africa for the Convention) and
to the fact that the Directive is more explicit on the obligations concerning conservation of natural habitats.
In any case the Directive is a piece of legislation designed to implement the Bern Convention in the European Community and, as
such, it is fundamentally coherent with the Convention. As Resolution No. 1 and Recommendations Nos. 14, 15 and 16 were adopted
in 1989 and Recommendation No. 25 in 1991, at the time the Directive was being prepared, it is clear that they also influenced the
content of the Directive. For instance, the "species requiring specific habitat conservation measures" mentioned in Recommendation
No. 14 has its equivalent in Annex II of the Directive ("Animal and plant species of Community interest whose conservation requires
the designation of Special Areas of Conservation").
Also the "endangered natural habitats requiring specific habitat conservation measures" of Recommendation No. 14 became Annex
I of the Directive ("Natural habitat types of Community interest whose conservation requires the designation of Special Areas of
Conservation). Even the term "Areas of Special Conservation Interest" (by the way, inspired by the United Kingdom's Sites of
Special Scientific Interest) was taken in the Directive to become finally Special Areas of Conservation. The resemblance is even
more striking in French (Zones d'intérêt spécial pour la conservation/Zones spéciales de conservation).
The great interest and merit of the Directive has been to convert into precise law the ideas and recommendations on habitat
conservation contained in the Bern Convention, improving its reach and reenforcing its application in the 15 states of the Union.
It is obvious to any independent observer that most of the implementation of the Bern Convention will be carried out within the
Union by the full implementation of the Directive.
Regarding the networks NATURA 2000 and EMERALD the only logical and feasible interpretation is that the member states of the
European Union will satisfy the habitat requirements of the Bern Convention mostly through the designation of sites to the NATURA
2000 network. If the EU member states so decide, the Special Areas of Conservation of NATURA 2000 will also become Areas of
Special Conservation Interest of the EMERALD Network. This will ensure the coherence of the Network for the whole of Europe.
No other designation will be requested for EU member states.
There is an obvious advantage in this approach, which is that most of the work to be done in the building of the EMERALD Network
will be concentrated in states which are not members of the European Union. In this way it will be possible to extend to the whole of
Europe a homogeneous network of areas, helping to break down in this sector the barriers that history, politics and economic reality
have imposed on the European continent. This is in line with the missions, the challenges and the ambitions of the Council of Europe.
Additionally, it may also help some states, candidates to join the European Union, to do part of the preparatory work necessary to
comply in advance with the Habitats Directive. It seems evident that if a state designates a coherent network of ASCIs within the
EMERALD Network, it will be in a more favourable position to designate its own ASC when it joins the Union. Such a possibility
calls for a coordination of the Council of Europe, serving the Bern Convention, and the European Commission, responsible for the
Directive, to discuss technical matters derived from the building of both networks.
In a sense the EMERALD Network will take farther than the borders of the European Union the philosophy of the NATURA 2000
network and will materialise in the whole continent the fundamentally coincident objectives of both the Bern Convention and the
Habitats Directive regarding conservation of natural habitats. Its success will be that of nature conservation in Europe.

74
Schede sulle iniziative attive
in sede istituzionale e scientifica sulle reti ecologiche in Italia

ANPA - Agenzia Nazionale per la Protezione dell'Ambiente


Dipartimento stato dell'ambiente, prevenzione, risanamento e sistemi informativi
SETTORE COMPONENTI BIOTICHE

Programma Triennale 1998-2000


Piano stralcio per lo sviluppo del Sistema Nazionale Conoscitivo e dei controlli in campo ambientale

PROGETTO "MONITORAGGIO DELLE RETI ECOLOGICHE"


Metodologie di analisi ambientale e organizzazione dell’informazione
per la definizione di strumenti in favore della continuità ecologica del territorio
Coordinatore nazionale: Dott. Matteo Guccione

Il progetto, traendo ispirazione dai contenuti della Direttiva 94/43/CEE "Habitat", traccia un percorso per lo studio e l'individuazione
di tutti gli elementi utili alla costruzione di un'adeguata base conoscitiva a supporto delle politiche di conservazione della naturalità
diffusa sul territorio e, per alcuni aspetti, può essere considerato complementare a Carta della Natura.
Mentre infatti quest'ultima prevede l'evidenziazione degli elementi della naturalità del territorio con un dettaglio di scala fino a
1:25.000, il presente progetto intende affrontare l'approccio per il riconoscimento degli habitat e delle loro implicazioni ecologico
funzionali sul paesaggio, secondo scale di lavoro omologhe (1:10.000) a quelle in uso per gli strumenti di pianificazione. La finalità
principale è quella di costituire una base di conoscenza propedeutica alla definizione di proposte tese a facilitare l'inclusione dei
concetti ecologici e la loro corretta compenetrazione nei progetti pianificatori.
Infatti, dopo che sullo scenario internazionale i suddetti concetti dell'ecologia applicata sono entrati a far parte integrante dei modi di
pianificare e realizzare la gestione compatibile del territorio e delle risorse naturali, anche in Italia è iniziato un processo di
riflessione sul giusto peso che la tutela delle componenti biotiche debba avere all'interno di questa categoria di strumenti di governo
dell'ambiente.
L'ANPA ha inteso avviare uno studio peculiare riguardante tali problematiche nell'assunto che la protezione ed il controllo della
continuità ecologica del territorio siano tra le più stringenti e promettenti prospettive di attività delle agenzie ambientali.
Il progetto d'indagine riguardante il monitoraggio delle reti ecologiche fa parte di un più ampio piano di attività, articolato in cinque
sotto-progetti e concepito per giungere a stabilire delle indicazioni pratiche per i responsabili della gestione del territorio, in
particolare a livello regionale, provinciale e comunale. La scelta dell'indàgine riferita a livello locale deriva dalla constatazione che
proprio in questi ambiti esiste maggiore carenza di riferimenti specifici ed è invece proprio a tale livello che operano le scelte di
pianificazione.
Il primo sotto-progetto, conclusosi nel '97, ha riguardato la definizione dello stato dell'arte per una individuazione delle iniziative sia
italiane sia europee che in qualche modo erano collegabili direttamente od indirettamente al tema in oggetto nonché una ricognizione
dei principali attori che sul territorio nazionale operano all'interno delle specifiche discipline e/o nella loro applicazione.
Il secondo sotto-progetto, oggetto del presente documento, prevede uno studio congiunto tra ANPA, Agenzie ambientali regionali e
provinciali e altri soggetti, per la messa a punto di metodologie di monitoraggio delle reti ecologiche.
Unitamente al precedente, il terzo sotto-progetto, anch'esso da avviare nell'anno in corso, intende procedere nella realizzazione di uno
studio di fattibilità finalizzato alla costituzione di un prototipo di sistema informativo che sia specificamente concepito al supporto
delle scelte pianificatorie che tengano conto della salvaguardia dei valori ecosistemici e paesaggistici.
Il quarto sotto-progetto così come il successivo, sono attualmente delle iniziative ancora in fase di definizione e per le quali occorre
individuare appropriati spazi di attivazione:
quello denominato "Protocolli sperimentali per interventi di rinaturazione, restauro ambientale, ricostruzione delle strutture
paesaggistiche lineari e costruzione di neoecosistemi para-naturali ai della connettività degli habitat", la cui realizzazione è prevista
a partire dal prossimo anno, si pone come obiettivo quello di giungere ad una prima definizione di protocolli per gli interventi di
rinaturazione e restauro delle strutture naturali e del paesaggio che attualmente non hanno riferimenti omogenei sul tutto il territorio
nazionale.
Il quinto ed ultimo sotto-progetto, denominato "Definizione di linee guida per la redazione di piani di gestione eco-sostenibile del
territorio in funzione della tutela della naturalità diffusa e della bio-permeabilità ambientale", vuole essere la trasposizione
conclusiva in linee guida, di tutto il lavoro svolto durante lt attuazione del Piano. L'intenzione in questo caso, è di riuscire a costituire
un primo riferimento ufficiale per il miglioramento in chiave ecologica degli strumenti di governo del territorio.
Il programma '98, dedicato come già detto alle metodologie di monitoraggio, è strutturato in linee di attività che si basano
essenzialmente sul coinvolgimento degli enti locali competenti nella materia, in primo luogo le Agenzie ambientali, per
l'osservazione di un certo numero di casi studio, sparsi su tutto il territorio nazionale.

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I risultati che deriveranno da tali studi dovranno portare alla costituzione di una prima base di conoscenze flutto di verifiche sul
campo e punto di partenza indispensabile alla definizione di successive proposte metodologiche effettivamente praticabili in ogni
contesto ambientale.
Oltre all'istituzione di un apposito Gruppo di lavoro presso l'ANPA, deputato a sovrintendere ed organizzare l'intera iniziativa, per
ciascun caso studio è stato proposto di costituire una forma di aggregazione tra diversi soggetti che per competenza e/o interesse
realizzino localmente le attività pianificate. La forma di cooperazione suggerita è quella del Gruppo di Coordinamento, dove la locale
Agenzia ambientale, funge ovviamente da primo riferimento. Mentre il G.d.C. locale ha il compito di portare avanti in maniera
autonoma e secondo proprie esigenze, l'esecuzione del lavoro deciso per il proprio caso studio secondo linee comuni
precedentemente convenute, all'ANPA spetta il ruolo di supervisione generale e coordinamento dell'iniziativa nonché la funzione di
verifica dell'omogeneità delle metodiche praticate e l'accertamento delle caratteristiche e della qualità dei dati e delle informazioni
ottenuti anche ai fini di una loro validazione finale ed un successivo utilizzo per scopi istituzionali.
Il progetto sulle reti ecologiche è per sue caratteristiche intrinseche, un progetto aperto" dove possono trovare spazio per contributi e
collaborazioni, tutti coloro che hanno interesse verso l'estensione del campo di osservazione e la diffusione di questi concetti di
salvaguardia dei meccanismi ecosistemici inseriti all'interno degli strumenti di pianificazione consapevole.

Linee di programma per il 1998


Per la definizione del piano dettagliato di lavoro per l'anno in corso, il percorso operativo comunque da concordare all'interno
dell'apposito GdL, fa riferimento al seguente schema.
1) Avvio di un sistema per l'interseambio informativo tra ANPA, Agenzie regionali e provinciali per l'ambiente, altri soggetti
pubblici e privati, attraverso la costituzione di gruppi di lavoro e momenti di incontro quali workshop e seminari;
2) Progettazione di una metodologia d'indagine sperimentale per il monitoraggio degli elementi critici delle reti ecologiche
(corridoi ecologici, ecotoni, zone cuscinetto, aree naturali puntiformi) nelle aree individuate attraverso l'osservazione dei casi studio.
La stesura del progetto dovrà essere realizzata attraverso l'affidamento ad un soggetto esterno tramite incarico ad uno specialista o
convenzione con un Ente pubblico di ricerca;
3) selezione di casi studio sulla base di esperienze già avviate, di disponibilità di dati adatti allo scopo, rappresentatività geografica.
L'inclusione di altri casi sarà sempre possibile almeno sino al periodo coincidente con la fase di avvio delle osservazione. In ogni
caso essa sarà effettuata sulla base di autocandidature avanzate da soggetti interessati aventi comunque caratteristiche omogenee
rispetto agli altri partecipanti.
La lista di casi studio sino ad oggi definita fa riferimento ai seguenti ambiti geografici:
?? Alpi occidentali (Valle d'Aosta);
?? Alpi orientali (Trentino);
?? Prealpi occidentali (Piemonte)
?? Pianura Padana occidentale (Lombardia);
?? Pianura Padana orientale (Veneto);
?? Pianura Padana centrale + Appennino centro-settentrionale (Emilia Romagna);
?? regioni centrali tirreniche (Lazio);
?? regioni centrali adriatiche (Abruzzo);
?? Appennino meridionale (Calabria);
?? regioni peninsulari meridionali di pianura e collina (Puglia);
?? regioni insulari mediterranee (Sicilia).

4) esecuzione degli studi di applicabilità delle metodologie sperimentali proposte nelle aree studio individuate. Il lavoro è svolto in
convenzione con enti locali competenti per territorio, le Agenzie per l'ambiente in primo luogo, la dove esse sono presenti, oppure
altri soggetti;

5) definizione di un progetto di fattibilità per un sistema informativo specifico denominato S.I.R.E.P.P (Sistema Informativo per le
Reti Ecologiche e i Paesaggi Potenziali). L'attività consiste nell'elaborazione delle specifiche generali per l'affidamento in
esecuzione, attraverso contratto di servizio, collaborazione o convenzione, a uno o più soggetti esterni.

PROGETTAZIONE DI UNA METODOLOGIA


PER IL MONITORAGGIO DELLE RETI ECOLOGICHE
Gli elementi delle reti ecologiche ritenuti "critici" sono i corridoi ecologici, gli ecotoni o zone di transizione, le zone cuscinetto o
zone di "ammortizzazione", le aree naturali puntiformi o sparse.
Mentre infatti le aree ad alta naturalità (core areas) sono di più relativamente facile osservazione, per gli altri elementi citati non si
dispone ad oggi di una precisa metodica di riconoscimento nella lettura del territorio.
Per poter stabilire quindi degli strumenti finalizzati alla comprensione degli aspetti funzionali "di rete" degli ecosistemi , occorre
affrontare la messa a punto di una serie di istruzioni specifiche in funzione delle necessità di immediatezza informativa e facilità di
accesso da parte degli operatori incaricati del monitoraggio delle aree studio e rappresentare poi una base per la definizione di veri e
propri protocolli di analisi territoriale.
Si rende in pratica necessaria una progettazione di una metodologia che stante l'elevato grado di sofisticazione della materia in
oggetto, non può che essere affidata ad uno o più enti esterni all'Agenzia che rispondano ai seguenti requisiti:
- specializzazione nei temi dell'ecologia applicata;
- esperienza professionale scientifica e tecnica collaudata nel tempo;
- capacità di organizzazione e di gestione per l'esecuzione dei compiti affidati, nei tempi e nei modi prefissati;
- appartenenza ad enti od organismi riconosciuti validi e competenti nel settore di ricerca richiesto.
La fase preliminare dell'incarico comprende la ricognizione della letteratura di settore, in special modo riferita a situazioni Europee o
ad ambiti assimilabili e includerà lo studio fatto eseguire dall'ANPA per la definizione dello stato dell'arte in materia.

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Un contributo alla definizione delle specifiche per l'incarico, potrà essere dato, collettivamente o singolarmente, dai componenti del
GdL.
L'elaborato che deriverà dall'azione di progettazione dovrà essere caratterizzato da semplicità e chiarezza informativa, accessibilità
delle informazioni e delle indicazioni in esso contenute anche da parte di non specialisti, impostazione documentale come strumento
propedeutico ad una successiva forma editoriale come linee guida.

SELEZIONE DEI CASI STUDIO


E INDIVIDUAZIONE DI AREE PER LE ATTIVITA' SPERIMENTALI DI MONITORAGGIO
La selezione dei casi studi, nella fase attuale, è giunta all'individuazione di undici ambiti territoriali. La scelta è stata dettata da
considerazioni su alcuni fattori ritenuti essenziali quali:
presenza di partner disponibili a collaborare; studi, dati, ricerche e documentazione cartografica disponibile ed accessibile;
rappresentatività di condizioni geografiche e ambientali complesse ed articolate (inclusa la presenza di siti di importanza
comunitaria).
Allo stato attuale l'elenco di casi studio così individuati comprende le seguenti aree geografiche:

1) Alpi occidentali - Valle d'Aosta;


2) Alpi centro-orientali - provincia di Trento;
3) Prealpi occidentali - Piemonte, provincia di Torino;
4) Pianura Padana occidentale - Lombardia, provincia di Milano;
5) Pianura Padana orientale - Veneto, provincia di Venezia;
6) Pianura Padana centrale e Appennino settentrionale - Emilia Romagna, provincia di Reggio Emilia;
7) regioni centrali tirreniche - Lazio, provincia di Roma;
8) regioni centro-adriatiche - Abruzzo, province di Chieti e l'Aquila;
9) regioni peninsulari meridionali di pianura e collina - Puglia, province di Taranto e Brindisi;
10) Appennino meridionale - Calabria, provincia di Cosenza;
11) regioni insulari mediterranee - Sicilia, province di Catania, Ragusa e Siracusa.

Per ciascuna delle undici realtà selezionate si presuppone la costituzione di un Gruppo di Coordinamento in cui siano rappresentati:

- l'Ente territoriale competente sulla pianificazione locale a media scala ~referibilmente Enti provinciali);
- un soggetto della ricerca o dell'Università locale;
- le associazioni ambientaliste;
- la locale Agenzia per l'Ambiente o , in assenza, l'Assessorato (regionale e/o provinciale) dell'ambiente (o di altro assessorato
competente della materia specifica);
- altre Amministrazioni od Enti territorialmente interessati (Comuni, Comunità Montane, Enti Parco, Enti di bonifica, ecc.).

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MINISTERO DELL’AMBIENTE
Servizio Conservazione della Natura

Programmazione dei fondi strutturali 2000-2006


Deliberazione CIPE 22 dicembre 1998
15 marzo 1999

La rete ecologica nazionale


Uno dei temi prioritari individuati dalla Unione Europea, che emerge nel documento "Cento idee" del seminario di Catania, è la
necessità di individuare azioni che perseguano la formazione di una "rete ecologica nazionale" ove si operi per la valorizzazione e lo
sviluppo di tutti gli ambiti caratterizzati dalla presenza di valori naturali e culturali alfine di tutelare i livelli di biodiversità esistenti e
la qualità dell'ambiente nel suo complesso

La rapida crescita del numero delle aree protette verificatasi nell'ultimo ventennio nel nostro paese ha consentito di avvicinarsi al
prefissato obiettivo del 10% di superficie protetta dell'intero territorio nazionale, con un conseguente impatto territoriale di rilevante
interesse. Infatti, il consistente sviluppo del turismo internazionale verso i parchi naturali (nature based), la crescita di domanda di
servizi verso gli spazi naturali, la crescita, anche se contenuta, dei finanziamenti nel settore, hanno esaltato il ruolo economico dei
parchi anche sotto il profilo occupazionale prefigurandosi sempre più come soggetti strategici atti ad innescare nuovi processi
durevoli di sviluppo economico.
In merito, è significativo sottolineare che un efficace azione di tutela è legata strettamente alla possibilità di avviare processi di
sviluppo mirati alla gestione delle risorse, alla manutenzione del territorio e a una migliore distribuzione dei costi benefici, che
consenta una reale partecipazione attiva delle comunità locali
La formazione della rete ecologica nazionale è, dunque, lo strumento di programmazione in grado di orientare la nuova politica di
governo del territorio verso la gestione dei processi di sviluppo integrandoli con le specificità ambientali delle varie aree,
partecipando alla attuazione della Strategia paneuropea sulla diversità biologica e paesaggistica (Sofia 1995). In particolare la
collocazione geografica dell'Italia le conferisce una posizione strategica per il bacino del Mediterraneo e i grandi sistemi montuosi
delle Alpi e dell'Appennino.
Il ruolo della rete ecologica è particolarmente significativo sia nei sistemi montani e collinari del nostro paese, storicamente modellati
dall'azione antropica, oggi in fase di grave declino e abbandono, sia nei i sistemi costieri, ove si è maggiormente concentrata a r
ssione antropica, gli insediamenti urbani e lo sfruttamento delle risorse, perseguendo il recupero delle specificità naturali delle
comunità e degli ecosistemi marini, costieri e terrestri.
I nuovi processi in atto stanno modificando profondamente lo scenario paesaggistico e la caratterizzazione ambientale dei luoghi,
attivando gravi fenomeni di dissesto e di erosione della struttura geomorfologica dei luoghi, generando una alterazione delle
dinamiche ambientali e relazionali.
In tal senso diviene un'esigenza essenziale concretizzare la formazione di una rete estesa a tutti
i sistemi nazionali delle aree naturali protette (Alpi, Appennino, Coste, Pianura Padana, Isole maggiori
e minori) sviluppando idee-progetto come APE (Appennino Parco d'Europa, ITACA isole minori) e
C.l.P. (coste italiane protette) come parte integrante della rete europea capace di valorizzare le singole
identità e di accogliere le possibili sinergie.
La rete ecologica si configura come una infrastruttura naturale e ambientale che persegue il fine di interrelazionare e di
connettere ambiti territoriali dotati di una maggiore presenza di naturalità, ove migliore è stato ed è il grado di integrazione delle
comunità locali con i processi naturali, recuperando e ricucendo tutti quegli ambienti relitti e dispersi nel territorio che hanno
mantenuto viva una, seppure residua, struttura originaria, ambiti la cui permanenza è condizione necessaria per il sostegno
complessivo di una diffusa e diversificata qualità naturale nel nostro paese.
Particolarmente, in queste aree, si pone l'esigenza di coniugare gli obiettivi della tutela e della
conservazione con quelli dello sviluppo, compatibile e duraturo, integrando le tematiche economiche e sociali dei territori interessati
dalle aree protette con la politica complessiva di conservazione e valorizzazione delle risorse ambientali.

La struttura della rete

Per la formazione della rete ecologica nazionale i parchi e le riserve sia terrestri sia marine assumono il ruolo di nodi, interconnessi
tra di loro e con le aree di rilevante interesse naturalistico (core areas) da corridoi ecologici (green ways/blue ways) a cui si
frappongono zone cuscinetto o di transizione (buffer zones) in modo tale da costruire una vera e propria infrastruttura ambientale"
estesa all'intero territorio.

?? Le aree centrali (core areas): coincidenti con aree già sottoposte o da sottoporre a tutela, ove sono presenti biotopi, habitat
naturali e seminaturali, ecosistemi di terra e di mare che caratterizzano l'alto contenuto di naturalità.

?? Le zone cuscinetto (buffer zones): rappresentano le zone contigue e le fasce di rispetto adiacenti alle aree centrali,
costituiscono il nesso fra la società e la natura, ove è necessario attuare una politica di corretta gestione dei fattori abiotici e
biotici e di quelli connessi con l'attività antropica.

?? I corridoi di connessione (green ways / blue ways): strutture di paesaggio preposte al mantenimento e recupero delle
connessioni tra ecosistemi e biotopi, finalizzati a supportare lo stato ottimale della conservazione delle specie e degli

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habitat presenti nelle aree ad alto valore naturalistico, ,favorendone la dispersione e garantendo lo svolgersi delle relazioni
dinamiche, come ad esempio fra gli ecosistemi delle sorgenti fluviali e quelli lagunari e marini. In particolare i corridoi
assolvono il ruolo di connettere le aree di valore naturale localizzate in ambiti terrestri e marini a forte antropizzazione
(aree rurali e urbane, aree fluviali che attraversano i sistemi urbani, fasce costiere, complessi lagunari, aree marine di
collegamento tra le piccole isole, paesaggi collinari e vallivi, parchi urbani di valore naturalistico e storico culturale).

?? I nodi (key areas): si caratterizzano come luoghi complessi di interrelazione, al cui interno si confrontano le zone, centrali e
di filtro, con i corridoi e i sistemi di servizi territoriali con essi connessi. I Parchi per le loro caratteristiche territoriali e
funzionali si propongono come nodi potenziali del sistema.

Il sistema delle aree naturali protette: elementi quantitativi

Il sistema delle aree naturali protette è costituito in primo luogo dall'Elenco Ufficiale Aree naturali protette pubblicata sulla G.U. n.
141 del 19/6/1997:
.18 Parchi nazionali per 1.158.959 ha;
.146 Riserve naturali statati per 38.445 ha.
.71 Parchi naturali regionali per 693.901 ha.
.171 Riserve naturali regionali per 68.421 ha.
.94 Altre aree protette per 26.074 ha.

per un totale di 2.106.225 ha a terra e 106.204 ha di superficie marina, che rappresenta circa il 7% della superficie del territorio
nazionale.

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Progetto APE
"Appennino Parco d'Europa"
http://www.parks.it/legambiente/ape.html

Premessa
Dopo l'approvazione della legge quadro sulle aree naturali protette (394/91), l'Appennino è interessato da una nuova ed inedita
geografia territoriale e istituzionale definita dal rilevante numero e dalla significativa estensione di parchi e riserve naturali di rilievo
nazionale, regionale e locale, in parte già istituiti e in alcuni casi programmati, la cui contiguità fisica disegna un vero e proprio
sistema di aree protette.
"Appennino Parco d'Europa" permette di associare alla categoria "Parco", senza tuttavia esaurirla in sé, l'immagine "Appennino": un
grande unitario sistema ambientale e territoriale di valore internazionale, dove è possibile sperimentare politiche di sviluppo
sostenibile, luoghi privilegiati e deputati alla riconversione ecologica dell'economia e dove sono presenti tutte le precondizioni
favorevoli alla sua realizzazione.
Il progetto APE non vuole sottoporre l'intero Appennino allo speciale regime di tutela e di gestione previsto dalla legge 394/91,
dando vita ad un unico grande parco, quanto piuttosto consolidare e valorizzare l'attuale sistema di aree naturali protette
promuovendo prioritariamente l'autonomia operativa dei Parchi e delle Riserve e il coordinamento tra di loro e con gli altri soggetti
istituzionali.
Se i parchi si mettono in rete, il sistema appenninico di aree naturali protette può sviluppare a pieno tutta la sua efficacia per la
conservazione della natura (anche attraverso la creazione di grandi corridoi ecologici) e per la promozione delle comunità locali,
nonchè contribuire alla realizzazione del più generale sistema nazionale delle aree naturali protette, obiettivo e finalità della legge
394/91, così come ribadito e riaffermato dalla legge 426/98. Il progetto APE intende inoltre favorire la promozione di azioni
coordinate tra il sistema dei parchi, gli enti locali, le regioni e le amministrazioni centrali dello Stato, in grado di orientare all'uso
sostenibile delle risorse naturali il complesso dell'ambiente appenninico. Anche di quello non interessato dalla istituzione di aree
naturali protette, ma ad esse comunque relazionato e connesso. Integrare oggi la politica dei parchi con le altre politiche per orientarle
alla sostenibilità è ancor più urgente dal momento che la montagna viene oramai riconosciuta come risorsa strategica, ambito spaziale
sempre più interessato da dinamiche di valorizzazione e riequilibrio territoriale, ma i cui esiti possono anche non essere quelli
desiderabili. APE si prefigge questo obiettivo a partire dalla realtà dell'Appennino, aprendo la politica dei parchi a nuovi interlocutori
e a nuovi soggetti ai quali proporre uno scenario positivo, suggestivo e desiderabile nel quale siano protagonisti.

Il percorso di APE
Il progetto nasce da un'idea di Legambiente e viene presentato in un Forum a L'Aquila nel dicembre nel 1995, in collaborazione con
la Regione Abruzzo e con il sostegno tecnico del Servizio Conservazione della Natura del Ministero dell'Ambiente. La
manifestazione vede la partecipazione di numerosi soggetti pubblici e privati, il cui impegno viene assunto attraverso Protocolli
d'intesa sottoscritti dal Ministero dell'Ambiente, dalle centrali cooperative, dalle associazioni artigiane e agricole, confermando in tal
modo l'importante ruolo dei soggetti privati nello sviluppo del progetto. Da allora Legambiente segue un percorso che attraverso
anche il coinvolgimento delle Regioni interessate al progetto porterà alla Ia Conferenza nazionale sulle aree naturali protette,
promossa dal Ministero dell'Ambiente nel settembre 1997, in cui APE riceve il riconoscimento fondamentale. Infatti il Programma
stralcio per la tutela ambientale, emanato dal Ministro dell'Ambiente il 28 maggio 1998, al punto 12, afferma che con il " progetto per
il coordinamento sistemico di iniziative sostenibili promosse dal Ministero dell'ambiente, dagli Enti parco, dalle regioni e dagli enti
locali e insistenti nelle aree appenniniche "APE - Appennino parco d'Europa": si propone di fare dei parchi elementi motore dello
sviluppo sostenibile delle aree interne dell'Appennino. A tal fine tale progetto promuove azioni coordinate degli Enti parco, con le
regioni, gli enti locali, le organizzazioni sindacali, m i prenditoriali e cooperative, le associazioni ambientaliste e la comunità
scientifica. Gli strumenti operativi individuati da tale progetto sono una Convenzione ed un Programma d'azione per uno sviluppo
sostenibile dell'Appennino. Il progetto può avere una grande importanza per le aree del mezzogiorno interessate da un'importante rete
dei parchi."
Le Aree Protette interessate dal progetto APE
L'ambito territoriale di riferimento di APE è di 9.585.000 ettari, pari al 46% dell'intero territorio nazionale.
Il sistema delle aree naturali protette coinvolte in APE è costituito da:
?? 9 parchi nazionali pari a 841.000 ettari;
?? 65 riserve naturali statali pari a 47.453 ettari di cui 23 ricomprese nei parchi nazionali;
?? 28 parchi regionali pari a 300.446 ettari;
?? 32 riserve regionali pari a 25.067 ettari;
?? 12 altre aree protette pari a 10.209 ettari.Il totale è di 1.193.423 ettari, quindi il 56,60% delle aree protette inserite
nell'elenco ufficiale.

Un territorio costituito per il 12,45% da aree protette. Quota destinata ad aumentare con la prossima istituzione dei parchi nazionali
dell'Appennino Tosco-Emiliano, della Sila e della Val d'Agri e con l'inserimento nell'elenco ufficiale delle aree protette di molti
parchi regionali e riserve istituite di recente. Il progetto APE vede coinvolte
?? 14 regioni (dal Piemonte alla Calabria)
?? 51 province,
?? 188 comunità montane
?? oltre 1.600 comuni.

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Alcune linee di progetto
Si propongono a titolo esemplificativo alcune idee progettuali che potranno concorrere e contribuire all'avvio del progetto APE

Servizi territoriali
Il fatto che la maggior parte dei parchi e delle riserve insista nelle aree interne e montane, alpine ed appenniniche, fa comprendere
meglio come sia ancor più necessario mantenere in tali aree un adeguato e moderno sistema di servizi territoriali in grado di
rispondere sia alle esigenze dei residenti che a quelle dei visitatori. Basti solo pensare a due tra i servizi oggi maggiormente a rischio,
quelli scolastici e quelli sanitari, che non solo andrebbero mantenuti e potenziati per scongiurare l'esodo dei cittadini residenti rimasti
a presidiare questi territori, ma in molti casi ripensati e ricalibrati anche sulla base dei dati sui flussi turistici che ci dicono come sia in
crescita il turismo dei ragazzi in età scolare e degli anziani. Come andrebbero anche ripensati i problemi legati alla distribuzione
commerciale e alla mobilità pubblica per i quali è necessario immaginare condizioni e agevolazioni fiscali specifiche, che
garantiscano un adeguato sistema di collegamenti e distribuzione dei prodotti per le popolazioni residenti anche nei periodi di basso o
nullo afflusso turistico. In riferimento alla mobilità pubblica, vanno incentivate e sostenute le soluzioni a basso impatto ambientale in
particolare i mezzi a trazione elettrica e quelli a trazione animale nelle aree più sensibili e di maggior valore naturalistico. Nelle aree
dell'Appennino vanno mantenute e potenziate le reti ferroviarie interne convogliando su di esse la domanda di mobilità attivata dai
nuovi flussi turistici che si rivolgono al sistema delle aree protette. Per i parchi e per le istituzioni locali interessate va sviluppata una
rete pubblica informativa che favorisca il loro accesso ai servizi formativi, amministrativi, turistici, di assistenza sanitaria, e dove il
telelavoro possa trovare inedite e particolare applicazioni capaci di colmare le distanze tra le aree montane ed insulari e quelle
urbane.

Agricoltura e Biodiversity
Nello stretto legame tra la tutela del paesaggio, della conservazione della natura e della biodiversità si colloca il progetto di sviluppo
rurale. Nell'Appennino italiano il sistema della qualità ambientale è in stretto rapporto con la qualità dell'agricoltura. Basti pensare
che su 393 formaggi tipici, censiti nell'Atlante dei prodotti tipici in Italia, ben 107, quasi il 30%, vengono prodotti nelle regioni che
saranno interessate dall'obiettivo 1 nei Programmi comunitari 2000-2006. La conservazione dell'attività agricola nelle sue forme
tradizionali e innovative sostenibili in accordo con la nuova politica di sviluppo rurale dell'Unione Europea, può diventare un
progetto strategico per la produzione di beni di qualità in grado di dar vita ad una nuova filiera agroalimentare (sistema di consorzi
per la produzione, trasformazione e commercializzazione di una serie di prodotti fortemente connotati in rapporto alle aree
geografiche di provenienza e alle tecniche di lavorazione - marchi di qualità e di tipicità - "valore aggiunto immateriale"), in grado di
assicurare un futuro al patrimonio di tipicità ancora presente.

Corridoi ecologici
Sulla base delle conoscenze esistenti e di quelle future di Carta della Natura, si intende sviluppare una rete ecologica che percorra
tutta la dorsale appenninica connettendo fisicamente - anche attraverso gli elementi lineari del paesaggio agrario e montano - gli
habitat naturali e seminaturali. Questa rete ecologica - coerente con gli obiettivi di Natura 2000 - deve assicurare la mobilità delle
specie animali selvatiche, e lo scambio genico fra diverse popolazioni sia di specie animali che vegetali. La rete dovrà integrarsi con
il sistema idrografico avviando così un processo di manutenzione, di riqualificazione e di rinaturalizzazione, ai fini della prevenzione
del dissesto idrogeologico, con un significativo impatto occupazionale. Azioni di decementificazione di alvei e aree fluviali, vanno
pertanto avviate ricostituendo condizioni di stabilità e di sicurezza con tecniche di ingegneria naturalistica e utilizzo di specie arboree
autoctone, la cui produzione dovrà essre assicurata dalla riorganizzazione e dal potenziamento dei vivai esistenti.
Si delinea così lo schema fisico di base del "sistema infrastrutturale ambientale" in grado di condizionare ed orientare gli altri sistemi
infrastrutturali tradizionali.

La rete dei sentieri naturalistici ed escursionistici


Si tratta di portare a sistema i tanti sentieri realizzati, in via di realizzazione e da realizzare che insistono lungo la dorsale
appenninica, al fine di garantire una corretta fruizione turistica di questi ambienti naturali. Lungo questa rete di sentieri naturalistici
ed escursionistici andranno individuate le strutture per l'ospitalità (rifugi, casali, borghi rurali) che dovranno essere adattati alle nuove
destinazioni d'uso. Inoltre questa rete dovrà integrarsi e collegarsi con quella degli itinerari storico-culturali ed enogastronomici.

I grandi itinerari storico-culturali


Gli itinerari storico-culturali dell'Appennino, quali il Tratturo Regio, la via Francigena, la via Lauretana, la via Sacra dei Longobardi,
dovranno costituirsi quali assi portanti del sistema dei sentieri e degli itinerari individuati a livello locale e delle singole aree protette.
Lo sviluppo di reti e di itinerari di questa natura pone l'esigenza di una organizzazione e di una gestione coerente dei flussi turistici
ipotizzabili soprattutto a livello locale, incentivando una serie di azioni ai fini della ricettività e della fruizione (es. bed & breakfast)

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Planeco
Planning in Ecological Network

Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica


RICERCA MURST 40% 1998-2000
Università dell’Aquila
Università di Camerino
Università “D’Annunzio” di Pescara
Università di Roma Tre
Università del Molise

http://dau.ing.univaq.it

Presupposti della ricerca


Sul tema delle connessioni ambientali l’esperienza italiana è una delle meno significative d’Europa. L’argomento è stato affrontato
unicamente in qualche caso e si contano attualmente solo alcune pubblicazioni in lingua italiana relative al tema, mentre non esistono
contributi in sede internazionale sulle problematiche della continuità ambientale in Italia. Nella cultura urbanistica nazionale il
concetto non è praticamente mai stato presente, almeno dal punto di vista sistematico e di rapporto con tutti gli altri aspetti che
concorrono a configurare i connotati degli ambiti di pianificazione. Mentre sono state approfondite negli anni le tematiche
metodologiche del piano in area urbana e, più recentemente, del piano nelle aree protette, è ancora poco considerato il ruolo delle
aree interposte, generalmente contraddistinte da elevata complessità. Di conseguenza hanno subito scarsi approfondimenti le forme
del piano in queste aree e, cosa forse più importante, come viene condizionato il piano della città e quello degli spazi naturali di picco
una volta che si riconosca un fondamentale ruolo connettivo ecologico-ambientale a spazi intermedi che hanno rapporti stretti con
ambedue le entità dipolari.Le normative attinenti la pianificazione urbanistica, territoriale e ambientale italiana non prendono
attualmente in considerazione l’argomento delle connessioni ambientali (reti e corridoi ecologici), e qualche riferimento al tema si
riscontra solamente, ed in termini di citazione, in qualche normativa urbanistica regionale in corso di revisione e in qualche caso di
Piano Regionale Paesistico. E’ noto come la frammentazione degli habitat naturali costituisca una delle prime cause di decremento
della biodiversità. Allo stato attuale delle cose risulta necessario procedere con solerzia alla individuazione dei caratteri nazionali e
locali della continuità ambientale sui quali accentrare una azione di pianificazione tesa a risolvere quei conflitti con l’insediamento e
con l’uso antropico del territorio che provocano da sempre gli effetti di frammentazione ambientale. Nel momento preliminare di
questa azione è indiscutibile il ruolo delle discipline della pianificazione territoriale unitamente a quelle delle scienze ambientali
generali, nel condurre la analisi di carattere complessivo finalizzata a distinguere, ad esempio, i suoli nazionali con tassi di
urbanizzazione elevata, da quelli che ancora presentano condizioni residuali di naturalità. E’ inoltre necessario porre l’attenzione
sugli elementi infrastrutturali, rilevando la presenza di fattori di occlusione fisica della continuità ambientale rispetto a quelli che
sortiscono solo effetti di disturbo. L’attuale dibattito sulla riorganizzazione dei livelli di pianificazione urbanistica (piani strutturali e
piani attuativi) non può trascurare questo argomento, anche con riferimento alle differenti "velocità" di questi due momenti
programmatori. E’ evidente che una successiva azione di progettazione specifica di interventi di deframmentazione richiede il
coinvolgimento di disciplinarietà molto più variegate ed estese che non quelle partecipanti al momento alla ricerca proposta, ma si
tratta di una fase progressiva di lavoro, posta necessariamente a valle di una presa di coscienza tecnico-scientifica e,
conseguentemente politica, che attualmente non è presente e che il programma di ricerca si prefigge di attivare mediante la
elaborazione di mezzi scientifico-cognitivi appropriati. Del resto le istanze europee, mediante espressioni di orientamento recenti
concretizzate nella Direttiva "Habitats" (n.92/43 del 21.5.93) e il programma "Natura 2000" e il programma EECONET, nonché
alcune raccomandazioni internazionali quali quelle provenienti dal Ivth World Congress of National Parks and Protected Areas di
Caracas del 1992, indicano le reti ecologiche quale paradigma di riferimento essenziale per le future azioni di programmazione delle
trasformazioni territoriali.

Obiettivi della ricerca PLANECO

Partendo dalla constatazione di due limiti che incidono notevolmente sulle condizioni di assetto territoriale della dorsale
Appenninica, ovvero l’approccio scientifico-culturale errato che mantiene separate le valutazioni sull’ambiente naturale da quelle sul
sistema insediativo culturale e le condizioni di assetto territoriale che vedono la dorsale appenninica impoverita fortemente di risorse
umane ed economiche rispetto alle direttrici longitudinali esterne, la ricerca intende affrontare unitariamente i diversi aspetti (natura e
cultura) ed esplicitare tutte le relazioni che intercorrono tra:
?? continuità del sistema biologico del territorio dell’Appennino centrale;
?? dinamica e qualità delle trasformazioni del sistema insediativo e socio-culturale, sua capacità di adeguarsi alle esigenze del
sistema territoriale dell’Appennino;

82
?? strumenti di programmazione e modalità di definizione delle decisioni ai diversi livelli, in grado di consentire agli enti
competenti di assumere il ruolo di garante degli obiettivi di valorizzazione del sistema delle risorse ambientali.
In tale ottica il perseguimento degli obiettivi indicati ai primi due punti presuppongono di affrontare i temi indicati ai diversi livelli e
scale di riferimento, onde consentire il perseguimento del quarto obiettivo nei confronti dei diversi strumenti di pianificazione e
gestione del territorio.
Può risultare opportuno affrontare i temi di ricerca alle diverse scale (vasta e locale) in parallelo, evitando l’insorgere dell’equivoco
della connessione a cascata tra le decisioni alle diverse scale.

?? Individuazione, alla scala nazionale, della configurazione generale delle aree biopermeabili (aree con caratteristiche almeno
minime di naturalità), delle relazioni con le principali aree protette e con i siti di interesse naturalistico ed ambientale comunque
scientificamente segnalati, rapporto con il sistema insediativo e infrastrutturale (elaborazione della Carta Nazionale della
Biopermeabilità). –

?? Individuazione, alla scala centro-appenninica, della struttura della continuità ambientale, con riferimento ai sistemi e
sottosistemi ambientali, alle connotazioni ecologico-vegetazionali e faunistiche, con caratterizzazione dei connotati ambientali e
territoriali significativi e definizione/classificazione di interventi sia tecnico/pianificatori che politico/gestionali differenziati.

?? Individuazione, alla scala centro-appenninica, della struttura dell’insediamento, delle barriere insediative, produttive ed
infrastrutturali, con classificazione tipologica e campionamenti significativi per tipo

?? Definizione degli indirizzi per l’inserimento dei concetti di mantenimento della continuità ambientale negli strumenti di
pianificazione di area vasta e negli strumenti urbanistici comunali, generali e attuativi (elaborazione delle Guidelines sulla
gestione della continuità ambientale nel Piano).

?? Elaborazione di criteri di valutazione economica per consentire la riconversione territoriale delle aree ecoconnettive strategiche
a partire dalle condizioni produttive iniziali (elaborazione di un Manuale di gestione economica dei corridoi ecologici). –

?? Individuazione dei rapporti tra sistema della continuità ambientale e rete ecologica; elaborazione di campioni di perimetrazione
di corridoi ecologici specifici in casi significativi di continuità ambientale.

?? Esemplificazione di progetti esecutivi-guida di interventi di deframmentazione sul tessuto insediativo e sulle barriere
infrastrutturali finalizzati a realizzare corridoi ecologici per alcune specie di riferimento. –

?? Divulgazione e promozione degli esiti del progetto in sede locale, nazionale ed internazionale –

?? Sperimentazione di applicazioni GIS per la costruzione di Sistemi Informativi Territoriali della continuità ambientale a basso
impatto economico, ovvero gestibili con apparecchiature di uso flessibile e di comune diffusione ed operatori di media
qualificazione professionale.

?? Costituire un polo di riferimento nazionale presso le Università dell’Appennino Centrale per la sperimentazione dei processi di
pianificazione delle unità di continuità ambientale, e di conseguente monitoraggio, basandosi sulla “risorsa differenziale” che
caratterizza il territorio di riferimento delle Università stesse, che include circa 500.000 ettari di aree protette nazionali e
regionali nonchè spazi connettivi che presentano tutte le problematiche relative all’argomento esposto.

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Life Environment Project
A demonstration model which integrates environmental considerations in
sustainable land use planning and management through the use of ecological
networks.
LIFE99 ENV/UK/000177- 1 September 1999 to 1 September 2003
Leader: Cheshire County Council (UK)

Context
Sustainable development is one of the challenges of our time. Whilst much has been written about the principles and implications of
sustainable development, few examples exist within Europe of where these are being put into practice and tested. The “Life ECOnet
Project” is a four year, multi-national project that will demonstrate how regional ecological networks can be used to integrate
environmental issues in the land use planning and management activities of local authorities in EU member states. The project
contributes to the Pan-European Biological and Landscape Diversity Strategy and the Habitats Directive.

Principal aims and hypothesis


The principal aims of the project are to:
?? Promote sustainable development;
?? Halt, and reverse the continuing deterioration of the European Union’s environment;
?? Integrate environmental issues in land use planning and management;
?? Demonstrate the transferability of the proven solution throughout the European Union;
?? Disseminate the proven solution throughout the European Union.
These aims will be achieved by testing the hypothesis that:
“The integration of environmental issues in land use planning and management can be facilitated by the use of an holistic
model which focuses on the realisation of regional ecological networks”.

Demonstration model
The model has five, equally important and co-dependent elements or tasks:
?? Technical development of Geological Information Systems and the application of landscape ecology principles;
?? Assessing and influencing land use policy and instruments;
?? Demonstrating integrated land use management;
?? Engaging stakeholders;
?? Dissemination.
The experiences of three study groups in using this model will be compared and contrasted. These are located in North West (UK),
Abruzzo (Italy) and Emilia-Romagna (Italy). Each study group is centred on local authorities with established land use planning
responsibilities and links with community, practitioners, and local universities. A fourth group in this project is based in Gelderland
(Netherlands). This group will contribute its acknowledged experience in the construction and realisation of ecological networks.

The Project will, among other things, enable the partners to:
?? Further develop and refine regional ecological networks;
?? Inform policy ideas for nature conservation and development and demonstrate how the policies can be interpreted and
applied in the consideration of individual proposals for development;
?? Demonstrate an integrated approach to land management through practical examples;
?? Raise awareness and understanding of ecological networks;
?? Promote its work to the widest possible audience.

The environmental problem tackled by the project


The European Union's Life Programme recognises that there is a continuing deterioration of the European Union’s environment. The
rapid economic and agricultural development of Europe during the latter half of the twentieth century has resulted in significant
changes in land use and the intensification of land management. A major consequence of these changes is the extensive and
continuing decline of biological and landscape diversity.
Across the European Union valuable and characteristic natural and semi-natural habitats and their dependent wildlife are being
reduced in area and strongly fragmented and isolated from one another. The construction and sharp rise in the use of transport

84
infrastructure over the last 30 years has further increased habitat fragmentation, and generated barriers to the movement of species.
In order to address these issues it is necessary to integrate environmental objectives in land use planning and management.
Halting and reversing the decline in biological and landscape diversity is a shared responsibility - a philosophy which underpins the
principle of sustainable development. This issue has been widely recognised, and a number of new ideas and approaches have been
formulated. Four examples will serve to illustrate this point. (1) The European Union’s Programme of policy and action in relation
to the environment and sustainable development (better known as The Fifth Community Action Programme) differs from previous
programmes by setting longer term objectives and focusing on a more global approach. It sets out to promote sustainable
development with the environment fully taken into account. (2) A "Pan-European Biological and Landscape Diversity Strategy"
was adopted by the Council's Committee of Ministers on 7 September 1995, with the aim of integrating all initiatives and other
projects concerning the conservation and management of biological and landscape diversity in a genuinely European framework. (3)
Under the Biodiversity Convention emanating from the Rio Summit, most European countries are establishing Biodiversity Action
Plans, for example, "Biodiversity: The UK Action Plan" published in 1994. (4) In the same year the UK Government also published
“A Strategy for Sustainable Development”.
A number of key challenges are emerging from these initiatives:
?? Measures must be taken to halt the continuing deterioration of the European Union’s environment;
?? A more consistent approach to protecting nature and landscapes in Europe is needed;
?? The traditional focus of conservation effort on the protection of individual sites and species must progress to a more
holistic spatial concern with biodiversity;
?? Habitats must be large enough and sufficiently connected to enable the landscape to function ecologically and facilitate the
continued operation of ecological processes;
?? Ecological considerations must be integrated in all social and economic sectors;
?? We must all take and share responsibility for the environment.
It is the belief of the Beneficiary and the other partners that the deliverables contained within this project will address these
challenges and thereby halt the deterioration in the Union environment noted by the Life Programme. Successful demonstration of
the model in this project will enable a consistent approach to protecting nature and landscapes in Europe and to this end the presence
of multinational partners is essential. The partners are not aware that transferable models for integrating environmental issues in land
use planning and management have been developed elsewhere. The project will provide the opportunity for holistic thinking about
land use and land management issues that would not otherwise occur. There is currently no other forum that brings together local
authorities, practitioners and research centres to address these issues and bring about actual landscape change.

State of the art


The concept of “ecological networks”, developed from theories on island biogeography and metapopulation dynamics, is a further
step in nature conservation. In fact, it allows a shift from an island approach (that is, involving only protected areas) to a global
approach (that is, extended to the entire territory). Ecological networks accordingly aim to provide the physical conditions that are
necessary for ecosystems and species populations to survive in a landscape that to a greater or lesser extent is also exploited by
economic activities.
The concept of ecological networks is becoming increasingly important in European nature conservation, and is already being
developed in several Pan-European countries. The concept is fundamental to the Pan-European Biological and Landscape Diversity
Strategy
(Action Theme 1), and is implicit in Articles 3 and 10 of the Habitats Directive.
The Pan-European Biological and Landscape Diversity Strategy stresses:
?? Links between theory and practice;
?? The implementation of the Strategy at lower levels than the Pan-European level;
?? Co-operation among European regions.
It has taken as a premise a Pan-European ecological network. This is the goal of Action Theme 1 out of 11 set down in the Strategy.
Within the Life ECOnet project partnership there are scientists already collaborating in the Strategy (Wageningen University and the
University of Reading), and this project presents an opportunity to realise this collaboration on the ground.
An ecological network typically comprises four main components:
?? Core areas representing key habitat types and ensuring their conservation;
?? Corridors or stepping stones that allow species to disperse and migrate between the core areas thus reducing isolation and
improving the coherence of natural systems;
?? Buffer zones that will protect the network from potentially damaging external influences such as pollution or land drainage;
?? Nature restoration areas adjoining or close to the core areas that will expand the network to an optimum size.

(I) Cheshire Study Group


The Beneficiary of this project, Cheshire County Council, started work on developing an holistic regional ecological network - the
“Cheshire ECOnet” - in 1996 in collaboration with the University of Salford. The project received external funding from English
Nature, the statutory body for nature conservation in England, as well as the support of local stakeholders. The project is based on a
holistic model which has drawn on expertise on concepts of ecological networks developed in the Netherlands, the technology of
Geographical Information Systems and existing practice of community, stakeholder involvement.
The "Cheshire ECOnet" is viewed by the County Council as a targeting mechanism and aid to decision-making, and not another
designation. Currently this network approach is one of four strategic principles which together provide a framework of sustainability
for the conservation and enhancement of Cheshire's heritage within the County Council's recently revised County Structure Plan.
In phase one of the "Cheshire ECOnet" (1996-1997) the project successfully described the coarse spatial structure of the network.
This was achieved using existing data sources and analysis using the County Council's Geographical Information system. A second
phase of the "Cheshire ECOnet" (1997-1999) has defined the fine detail of the network at a larger scale, incorporating further
landscape/physical features into the database. The second phase is funded by Cheshire County Council, English Nature, the
University of Salford and Liverpool John Moores University, and receives additional support from the Mersey Forest.

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(II) Emilia-Romagna Study Group
In Italy there are two Study Groups, one in the region of Emilia-Romagna and one in the region of Abruzzo. The Emilia-Romagna
Group will be lead by the Landscape, Parks and Natural Heritage Service of the Region Emilia-Romagna. On the theme of
ecological networks the regional Service is currently developing, together with Municipalities and Provinces, a 're-equilibrium areas
system' to include in land use planning at different levels. This system forms, with other natural and hydrographic elements, the
nodes and meshes of the network. At present the network is largely fragmented and incomplete, but on a small part of the regional
territory, i.e. in the province of Bologna, the network has been considered in an advanced planning phase.
At provincial level, the Land and Environment Protection Department of Modena Province works for the management and protection
of the territory, according to the principles of sustainable development and the use of natural resources.
In addition, the Landscape Planning Service of the Environment Department of Bologna Province is responsible for setting up the
Provincial Plan for the Conservation and Improvement of Natural Areas. Its main objective is to locate the potential correlation
between relict ecosystems and the necessary re-connection spaces, in order to define a sufficiently articulated and structured network.
The studies undertaken so far have been organised on single layers and analysed using GIS. The analysis has been separated and re-
organised into different levels of synthesis. A further step is the ecological network project, which can be articulated in provincial
and local scale.

(III) Abruzzo Study Group


Environmental continuity in Central Apennines has been a research issue for L'Aquila University since 1995. In1998 the University
promoted the PLANECO Project (Planning in Ecological Network) involving also other Universities and the financial support of the
Ministry of the University and Scientific Research. The project has two main goals: the planning actions to identify the links of
ecological networks on the territory; and the way of addressing land use inside those protected areas which constitute the nodes of the
networks.
The studies developed so far at national scale show that the fragmentation process is still active and the establishment of protected
areas is not enough to stop this trend. The realisation of sound policies can control infrastructure development and urbanisation to
assure conditions of environmental continuity.
At the national scale the overlapping of the biopermeability configuration with the distribution of the main infrastructural and urban
barriers has been realised. This has provided the geography of Efficient Units of Environmental Continuity (EUEC) as well as the
territorial design of the main lines of environmental continuity. Within the EUEC it is possible to accomplish the de-fragmentation
of existing barriers, with relatively low financial costs and low technological engagement.
At present, the studies are orientated towards the elaboration of urban and infrastructural fragmentation indicators for the barriers to
environmental continuity that allow to point out ideal fragmentation conditions. These are now going to be extended to all sites and
protected areas of Central Apennines. The final goal is to search efficient criteria for regional, provincial and municipal planning in
order to provide those planning tools able to remove the fragmentation barriers. The University of L’Aquila is therefore co-operating
with the Region Abruzzo, which co-ordinates the Abruzzo Group in this project.

(IV) Netherlands Group


In the Netherlands various action plans have been put forward in the last decade with the aim at protecting, improving and
developing habitats for plant and animal species. It has also been recognised that local plans will probably be more successful if they
are part of a strategy for the whole river system. Accordingly, river actions plans have been set up. One of these is the Rhine-Econet
project, which directly involves Alterra and the Province of Gelderland, and indirectly the University of Wageningen, all partners in
the Life ECOnet Project. There are two main objectives of the Rhine-Econet project: (1) to clarify the importance of an ecological
network of nature areas for a successful nature conservation and rehabilitation strategy; and (2) to elaborate scenario approaches into
a method which can be applied in future studies on river rehabilitation.
The scenario approach has been adopted to illuminate various options for planning nature areas. Based on an analysis at the
ecosystem level, which provides knowledge on suitability for nature rehabilitation, scenarios have been designed that differ in spatial
distribution of ecotopes. Models are used as tools to predict the impacts of the proposed future situations to evaluate these scenarios
in terms of their network function or species.
The case study is focused on three habitat types: floodplain (riverine) forests, macrophyte marshes and secondary channels. Nature
rehabilitation scenarios focus on these habitat types, since these are very small and strongly fragmented at present. To evaluate the
network function, vertebrate animal species are selected which are characteristic for one or a combination of these habitat types. The
lower part of the river Rhine system, between Gorinchem (the Netherlands) and Duisburg (Germany), has been chosen as the study
area.
As such these partners are a picture of the state of the art in landscape ecology and ecological networks within Europe. All partners
within this project recognise the value of this global network approach. They also recognise the potential of a regional ecological
network in providing a focus for stakeholder activities for integrating environmental considerations in land use planning and
management, and thereby contributing to sustainable regional development.
The “ecological networks” resulting from applying this model will provide the physical conditions that are necessary for integrating
environmental issues (specifically ecosystem functioning and species populations survival) in a landscape that also has
socio-economic functions. An "ecological network" provides an identifiable product on which the varied skills, knowledge and
attitudes of stakeholders can focus. The need for a focusing tool around which regional stakeholders can work becomes apparent
from two observations. Firstly, that adopting an holistic approach to addressing environmental issues is conceptually and
pragmatically difficult as a range of inputs are required from people skilled in, for example, planning, land management and
socio-economic development. Secondly, that each local authority has different internal structures to deliver various and diverse
services.

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Normative di pianificazione territoriale con riferimenti al sistema ecologico
(Sono evidenziati i passaggi del testo normativo riferiti esplicitamente al tema delle connessioni ambientali)

REGIONE BASILICATA
LEGGE REGIONALE N. 23 DEL 11-08-1999
TUTELA, GOVERNO ED USO DEL TERRITORIO
B.U.R. N. 47del 20 agosto 1999

TITOLO I
PIANIFICAZIONE TERRITORIALE ED URBANISTICA
CAPO 1°
FINALITÀ, OGGETTI E REGIMI URBANISTICI DELLA PIANIFICAZIONE TERRITORIALE ED URBANISTICA (PT ED U)

ARTICOLO 1
Finalità e campo di applicazione

1. La pianificazione territoriale ed urbanistica (PT ed U), quale parte organica e sostanziale della programmazione regionale,
persegue, attraverso le modalità, le procedure e le strutture operative definite nella presente legge ed in riferimento a principi di
trasparenza, partecipazione alle scelte ed equità nella ridistribuzione dei vantaggi, obiettivi di sviluppo sostenibile nel governo
unitario del territorio regionale.

2. Sono caratteri della PT ed U:


— la coerenza e la sinergia delle diverse azioni promosse e/o programmate dagli Enti e dai soggetti, pubblici e privati, operanti nel
territorio regionale;
— la compatibilità delle stesse azioni con la tutela dell’integrità fisica e storico-culturale;
— la tutela e la valorizzazione delle risorse e dei beni territoriali per garantirne la fruizione alle presenti e future generazioni;
— l’integrazione tra le dimensioni spaziali e temporali che garantiscono l’autodeterminazione delle scelte di lavoro.

ARTICOLO 2
Oggetti della PT ed U

1. Sono Oggetti della PT ed U i sistemi naturalistico-ambientale, insediativo e relazionale della Regione Basilicata:
a) Il Sistema Naturalistico-Ambientale (SNA) costituito dall’intero territorio regionale non interessato dagli insediamenti e/o dalle
reti dell’armatura urbana ma con gli stessi interagente nei processi di trasformazione, conservazione e riqualificazione territoriale;
b) Il Sistema Insediativo (SI) costituito dagli insediamenti urbani, periurbani e diffusi, industriali/artigianali, agricolo/produttivi;
c) Il Sistema Relazionale (SR) costituito dalle reti della viabilità stradale, ferroviaria; dalle reti di distribuzione energetica, delle
comunicazioni, dei porti ed aeroporti.

2. Con successivo Regolamento di Attuazione, da emanare entro 120 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge,
saranno definite le caratteristiche costitutive dei suddetti Sistemi, individuando:
a) per il Sistema Naturalistico-Ambientale:
— le unità Geomorfologiche e Paesaggi-stiche/Ambientali (UGPA);
— i Corridoi di Continuità Ambientale (Cca);
— gli Areali di Valore (Av);
— Areali di Rischio (AR);
— Areali di Conflittualità (AC);
— Areali di Abbandono/Degrado (AAb);
— Areali di Frattura della continuità morfologico-ambientale (AF);
b) per il Sistema Insediativo:
— gli Ambiti Urbani suddivisi in:
— Suoli Urbanizzati (SU);
— Suoli Non Urbanizzati (SNU);
— Suoli Riservati all’Armatura Urbana (SRAU);
— gli Ambiti Periurbani suddivisi in:
— suoli agricoli abbandonati contigui agli Ambiti Urbani;
— sistemi insediativi diffusi extraurbani privi di organicità;
c) per il Sistema Relazionale:
— il Sistema della Viabilità Stradale (SV), costituito dalle strade statali, provinciali, comunali e/o vicinali;
— il Sistema Ferroviario (SF), costituito dalla rete delle ferrovie statali e/o in concessione;
— il Sistema dei Porti ed Aeroporti (SP);

87
— il Sistema delle Reti Energetiche (SRE), costituito da Elettrodotti, Metanodotti, Oleodotti, Acquedotti;
— il Sistema delle Telecomunicazioni (ST), costituito dalle reti e dai nodi dei sistemi telefonici, informatici, e simili.
In ambito urbano il Sistema relazionale fa parte dei Suoli Riservati all’Armatura Urbana (SRAU).

Omissis

ARTICOLO 3
Regimi della PT ed U

1. La PT ed U si attua attraverso il riconoscimento, la valutazione e


la previsione dei seguenti Regimi:
A- Regimi di Intervento, articolati in:
a1) Regimi di Conservazione, finalizzati al mantenimento o al restauro/ripristino delle caratteristiche costitutive dei Sistemi
naturalistico-ambientale, insediativo e relazionale, o di parti e componenti di essi, e dei Regimi d’Uso in essere in quanto
compatibili;
a2) Regimi di Trasformazione, definenti le trasformazioni compatibili, sia nelle caratteristiche costitutive, che nei Regimi d’Uso, cui
possono essere assoggettati i Sistemi o parti e componenti di essi;
a3) Regimi di Nuovo Impianto, definenti le modalità attraverso le quali si possono prevedere ampliamenti e/o nuove parti dei Sistemi
Insediativi e Relazionali, in detrazione al Sistema Naturalistico-Ambientale previa verifica di compatibilità e di coerenza ai sensi
degli artt.29 e 30.
B- Regimi d’Uso, articolati in:
b1) Uso insediativo-residenziale e relativi servizi (R);
b2) Uso produttivo, per la Produzione di beni e di servizi alle
famiglie ed alle imprese (P);
b3) Uso culturale e ricreativo per il Tempo libero (T);
b4) Uso infrastrutturale o Tecnico e tecnologico (TN).
C- Regimi Urbanistici, derivanti dalle diverse ricomposizioni dei due regimi precedenti, secondo le linee di assetto territoriale e/o
urbanistico definite dai Piani e nel rispetto degli Areali e dei Vincoli riconosciuti e imposti dalla CRS di cui al seguente art. 10.

2. I Regimi Urbanistici, di cui al precedente comma 1, sono definiti, nei Piani Operativi e nel Regolamento Urbanistico di cui ai
successivi artt. 15 e 16, dalla applicazione congiunta dei Regimi d’Uso e dei Regimi di Intervento agli immobili interessati dal piano,
e ne conformano i regimi proprietari.

Omissis

TITOLO III
GLI STRUMENTI E LE STRUTTURE OPERATIVE
CAPO 1°
STRUMENTI ISTITUZIONALI

ARTICOLO 10

La Carta Regionale dei Suoli

1. La Carta Regionale dei Suoli (CRS) definisce:


a) la perimetrazione dei Sistemi (naturalistico-ambientale, insediativo, relazionale) che costituiscono il territorio regionale,
individuandoli nelle loro relazioni e secondo la loro qualità ed il loro grado di vulnerabilità e di riproducibilità, sulla base dei criteri
individuati nel Regolamento d’Attuazione di cui all’art. 2 della presente Legge, con specifico riferimento alle categorie di cui all’art.
2, comma 2, lettera a) della presente legge;
b) i livelli di trasformabilità del territorio regionale determinati attraverso la individuazione e la perimetrazione dei Regimi
d’intervento di cui al precedente art.3 nel riconoscimento dei vincoli ricognitivi e morfologici derivanti dalla legislazione statale e di
quelli ad essi assimilabili ai sensi delle Leggi 431/85, 394/91;
c) le azioni e le norme d’uso finalizzate alla conservazione ed alla difesa del suolo, derivate dall’applicazione della legge n. 183/89.

Omissis

ARTICOLO 12
Quadro Strutturale Regionale

1. Il Quadro Strutturale Regionale (QSR) è l’atto di programmazione territoriale con il quale la Regione definisce gli obiettivi
strategici della propria politica territoriale, in coerenza con le politiche infrastrutturali nazionali e con le politiche settoriali e di
bilancio regionali, dopo averne verificato la compatibilità con i principi di tutela, conservazione e valorizzazione delle risorse e beni
territoriali esplicitate nella Carta Regionale dei Suoli.

2. Il QSR contiene:

88
a) l’individuazione, nell’ambito dei Sistemi Naturalistico-Ambientale, Insediativo e Relazionale, di una strategia territoriale che
rafforzi gli effetti di complementarietà e di integrazione tra le varie parti
degli stessi, al fine di migliorarne la qualità e la funzionalità complessive;
b) l’individuazione delle azioni fondamentali per la salvaguardia dell’ambiente, la difesa del suolo in coerenza con quanto disposto
dai Piani di Bacino, la prevenzione e la difesa dall’inquinamento, dalle calamità naturali, con particolare riferimento alla integrazione
delle stesse azioni;
c) l’indicazione delle azioni strategiche coordinate con gli analoghi Quadri di assetto delle altre regioni e con le Linee fondamentali
di assetto del territorio nazionale;
d) l’indicazione degli ambiti territoriali interessati dalle azioni di cui alle lettere b) e c).

Omissis

CAPO 3°
MODALITÀ DI VALUTAZIONE
ARTICOLO 29
Verifica di coerenza

1. La verifica di coerenza si applica alla pianificazione strutturale ed operativa dei diversi livelli.

2. La verifica di coerenza persegue:


a) Obiettivi di tutela e conservazione del Sistema Naturalistico-Ambientale di cui alla CRS e sue specificazioni.
b) Obiettivi di efficienza e di funzionalità del sistema relazionale e infrastrutturale.
c) Obiettivi di equilibrio e funzionalità del sistema dei servizi e delle gerarchie urbane.
d) Obiettivi di coerenza con i programmi economici.

3. La verifica di coerenza accerta che le linee strategiche ed operative di evoluzione dei sistemi naturalistico-ambientale, insediativo e
relazionale, definite dai nuovi assetti territoriali previsti dalla pianificazione in oggetto sono coerenti con quelle della pianificazione
vigente ai diversi livelli.
4. Gli enti titolari di PT ed U preliminarmente alle adozioni di atti di pianificazione strutturale di cui agli artt. 12, 13, 14, 16 della
presente legge, devono porre in essere una procedura di verifica di coerenza del Piano agli strumenti di PT ed U di livello superiore,
ove esistenti; in loro assenza, si esprime la conferenza di pianificazione appositamente convocata, ai sensi del 6° comma dell’art. 25.

Omissis
ARTICOLO 30
Verifica di compatibilità

1. La verifica di compatibilità si applica alla pianificazione strutturale ed operativa in relazione ai regimi di intervento definiti nella
CRS.

2. La verifica di compatibilità persegue:


a) Obiettivi di tutela e conservazione del Sistema Naturalistico-Ambientale di cui alla CRS e sue specificazioni.
b) Obiettivi di restauro e riqualificazione del Territorio e di continuità delle reti vegetazionali.
c) Obiettivi di sostenibilità degli interventi antropici.

3. Gli Enti titolari della pianificazione strutturale ed operativa di cui agli art. 12, 13, 14, 15 e 16 della presente legge, preliminarmente
alla adozione degli stessi, devono porre in essere una procedura di verifica di compatibilità del Piano in oggetto ai Regimi di
Intervento definiti nella CRS.

4. La verifica di compatibilità consiste nell’accertamento che le linee strategiche ed operative di evoluzione dei Sistemi
Naturalistico-Ambientale, Insediativo e Relazionale, definiti dai nuovi assetti territoriali previsti dalla pianificazione in oggetto, siano
compatibili con i livelli di trasformabilità di tali sistemi individuati dalla CRS attraverso la perimetrazione dei Regimi d’Intervento, e
nei modi definiti dal Regolamento d’Attuazione della presente legge.
5. La verifica di compatibilità è certificata dal responsabile tecnico (dirigente) dell’Ente titolare dell’atto di pianificazione in oggetto,
sulla base dei criteri valutativi individuati nel Regolamento d’Attuazione della presente legge, su conforme e preventiva
asseverazione del tecnico responsabile della redazione del Piano da adottare.

6. L’Attestazione di verifica di cui al precedente comma, fa parte integrante del Piano in oggetto.

7. La verifica di compatibilità sostituisce i pareri regionali di cui alle leggi regionali n. 47/98 e n. 25/98 ed i pareri di competenza
regionale che derivano dalle leggi n.1497/39 e n. 64/74, ove necessari; il Regolamento d’Attuazione definirà le modalità di
coordinamento tra gli Uffici Regionali competenti ed il Dirigente titolato alla certificazione della verifica di compatibilità.

Omissis

89
REGIONE ABRUZZO
DISEGNO DI LEGGE REGIONALE DI SEMPLIFICAZIONE
AI SENSI DELL’ART. 9, L. R. 3 MARZO 1999, N. 11- 1 ottobre 2003
TERRITORIO E URBANISTICA

RELAZIONE
Il presente disegno di legge si configura come un testo unico teso da un lato a rendere più oggettiva e trasparente l’azione di piano e
tutela, dall’altro a semplificare le procedure. In tale ottica:

? ? Sono stati dati obiettivi più qualificati al Q.R.R. (coerenza con lo SDEC e Rete ecologica) depurandolo degli indirizzi per i
comuni (dimensionamenti, parametri, etc.);
? ? È stata delineata quale strumento fondamentale di riferimento la Carta della Trasformabilità dei Suoli (autorevole strumento
tecnico che delinea le invarianti ambientali e i livelli di trasformabilità);
? ? Sono stati meglio definiti i Piani di Settore ampliandone le materie al Demanio marittimo e alle cave;
? ? È stato semplificato e depurato da norme cogenti nei confronti dei comuni, lo stesso P.T.C. esaltandone l’attenzione ai problemi
territoriali;
? ? Sono stati introdotti parametri ed indirizzi di sostenibilità e di perequazione per tutti i livelli pianificatori;
? ? Parimenti è stato imposto un riferimento per qualificare la pianificazione verso la logica di rete imposta dall’Unione Europea;
? ? È stato introdotto il Piano strutturale Intercomunale teso a stimolare e normare più opportune soluzioni territoriali per i piccoli
comuni e per le aree complesse come quella Chieti-Pescara;
? ? Il PRG è stato configurato come uno strumento con meno riferimenti di contenuto e perciò più flessibile, capace di adeguarsi
alle varie scale demografiche e di dare risposte contestuali differenziate, di ordine generale, planovolumetriche ed esecutive;
? ? Sono stati ridefiniti e unificati i piani attuativi riducendone i tempi riconoscendo un ruolo anche ai privati;
? ? È stata configurata una fusione tra P.P.A. e Piano Triennale;
? ? Sono stati ridimensionati i contenuti del R.E. riconducendo al piano gli indirizzi di natura tecnico-ambientale;
? ? Si è proposto di liberalizzare le destinazioni d’uso dei Centri Storici nei comuni con popolazione al di sotto dei 3.000 abitanti;
? ? Sono state configurate norme che permettono miglioramenti tecnologici e energetici dell’edilizia senza gravare su superficie
utile e cubatura;
? ? È stato meglio definito l’Accordo di Programma con particolare riferimento alla partecipazione, pubblicazione, approvazione ed
efficacia;
? ? Sono stati introdotti principi fondamentali di copianificazione ai vari livelli con la conferenza preliminare, l’inchiesta pubblica e
l’autoapprovazione con conferenza finale;
? ? È stato eliminato il “potere di annullamento” delineato dalla L.R. 03.03.1999 n. 11 che mal si colloca in un regime di
concertazione e copianificazione ed è impraticabile sul piano tecnico-amministrativo;
? ? È stato meglio definito e circoscritto il potere sostitutivo relativamente all’adozione dei piani, alle concessioni edilizie e alle aree
con vincoli decaduti;
? ? Viene introdotto lo sportello unico regionale agganciato alla V.I.A. di cui al D.P.R. 12.04.1996 per tutti i piani e gli interventi di
residua competenza regionale;
? ? Sono stati aboliti tutti i comitati previsti dalla precedente legge urbanistica in applicazione della L. 449/97;

TITOLO I – Principi
Art. 1. (Oggetto)
1. La presente Legge disciplina l’esercizio dei compiti e delle funzioni amministrative in materia di “territorio e urbanistica”, relative
al Titolo III, Capo I, artt. 42, 43, 44 della Legge Regionale 3 marzo 1999, n. 11.
2. Nelle materie di cui al comma precedente la Regione esercita funzioni e compiti di:
a) raccordo e coordinamento con le politiche nazionali ed europee;
b) indirizzo e coordinamento attraverso la Carta Regionale di Trasformazione dei Suoli;
c) programmazione attraverso il Quadro di Riferimento Regionale;
d) controllo e vigilanza nei confronti delle Province.
3. Nelle materie di cui al comma 1, le Province esercitano, per trasferimento, funzioni e compiti di:
a) pianificazione urbanistica del territorio Provinciale;
b) indirizzo nei confronti della pianificazione urbanistica comunale;
c) controllo e vigilanza nei confronti dei Comuni.
4. Nelle materie di cui al comma 1, i Comuni esercitano, per trasferimento, tutte le funzioni e i compiti non attribuiti alla Regione ed
alla Provincia in base ai commi precedenti.
Art. 2. (Obiettivi e finalità della Legge. Principi per l’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni)
1. Le amministrazioni di cui all’articolo precedente ispirano la propria attività alle seguenti finalità:
a) La tutela integrata del suolo attraverso il perseguimento di una logica di sistema sia nelle aree urbane sia in quelle extra -
urbane;
b) L’attivazione di processi di densificazione. Tale comportamento costituisce criterio di contenimento del consumo del suolo,
anche in relazione alla riduzione dei costi di distribuzione dell’energia e degli spostamenti;

90
c) il recupero e l’ottimizzazione delle urbanizzazioni e dell’edificato che costituiscono criterio preferenziale, rispetto alla creazione
di nuovi insediamenti estensivi;
d) il coordinamento della pianificazione territoriale con gli obiettivi della programmazione socio - economica;
e) la programmazione degli investimenti e della spesa pubblica sul territorio, a livello regionale e locale;
f) la creazione di un Sistema Informativo Territoriale sulla base di una approfondita e sistematica conoscenza del territorio in tutti
gli aspetti storici, sociali, economici e fisici;
g) la difesa attiva e valorizzazione del patrimonio naturale e delle reti ecologiche, con particolare riguardo ai beni ambientali e
culturali, alla tutela idrogeologica e alla difesa del suolo, la piena e razionale utilizzazione delle risorse ed in particolare delle aree
agricole e boschive, nonché del patrimonio abitativo, produttivo ed infrastrutturale esistente;
h) lo sviluppo equilibrato del territorio attraverso il controllo qualitativo e quantitativo dei diversi tipi di insediamento, tenendo
conto che:
- nessuna risorsa naturale del territorio può essere ridotta in modo significativo e irreversibile in riferimento agli equilibri degli
ecosistemi di cui è componente. Le azioni di trasformazione del territorio sono soggette a procedure preventive di valutazione
degli effetti ambientali previste dalla Legge. Le azioni di trasformazione del territorio devono essere valutate e analizzate in
base a un bilancio complessivo degli effetti su tutte le risorse essenziali del territorio;
- nuovi impegni del suolo a fini insediativi e infrastrutturali sono di norma consentiti quando non sussistono alternative di riuso
e riorganizzazione degli insediamenti e infrastrutture esistenti. Devono comunque concorrere alla riqualificazione dei sistemi
insediativi e degli assetti territoriali nel loro insieme ed alla prevenzione e recupero del degrado ambientale;
- i nuovi insediamenti e gli interventi di sostituzione dei tessuti insediativi sono consentiti se esistono o sono contestualmente
realizzate le infrastrutture che consentono la tutela delle risorse essenziali del territorio. In tal senso sono comunque da
garantire: l’approvvigionamento idrico e la depurazione; la difesa del suolo per rendere l’insediamento non soggetto a rischi
di inondazione o di frana; lo smaltimento dei rifiuti solidi; la disponibilità dell’energia e la mobilità;
- partecipazione democratica delle Comunità abruzzesi al processo di formazione della politica dell’uso del suolo urbano ed
extra-urbano;
- rilevanza pubblica dei processi di trasformazione del territorio ai vari livelli del governo locale;
- snellimento dei procedimenti di formazione, approvazione, adeguamento ed attuazione degli strumenti di pianificazione;
- predisposizione di adeguati strumenti e strutture tecniche amministrative e finanziarie ai vari livelli istituzionali di
pianificazione, per il perseguimento degli obiettivi programmatici e l’esercizio dei poteri di cui alla presente Legge;
- valorizzazione delle autonomie locali singole e in forma associata;
- operatività ed esecutività degli strumenti di pianificazione;
- elevazione del contenuto tecnico progettuale dei piani anche attraverso la creazione di strutture interdisciplinari, al fine di
garantire l’uniformità e la comparabilità degli elaborati;
- chiara ed univoca redazione delle disposizioni relative all’attività edilizia.
2. All’interno della disciplina disposta con la presente Legge, ai sensi dell’articolo 117 Costituzione e dell’articolo 2, comma 1 della
Legge 15 marzo 1997, n. 59, gli enti locali, secondo le rispettive competenze e nell’ambito della rispettiva potestà normativa,
dispongono la disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle proprie funzioni.
5. Ciascuna amministrazione titolare di poteri di pianificazione territoriale ed urbanistica, contestualmente all’atto che dà avvio ai
procedimenti previsti dalla presente Legge, nomina, ai sensi dell’articolo 4 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e dell’articolo 12
del Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, un responsabile dell’intero procedimento che ha, altresì, il compito di assicurare a
chiunque la conoscenza tempestiva delle scelte dell’amministrazione e dei relativi supporti conoscitivi e di adottare le forme più
idonee per favorire la partecipazione dei cittadini singoli o associati.

TITOLO II - Procedimenti di pianificazione territoriale ed urbanistica


Capo I – Quadro di riferimento regionale
Art 3. (Contenuti)
1. Il Quadro di Riferimento Regionale costituisce lo schema strutturale derivato dagli indirizzi dell’Unione Europea e dalle intese con
le amministrazioni statali, gli enti istituzionalmente competenti e le altre regioni e contiene l’individuazione delle grandi invarianti
ecologiche ed ambientali.
2. Il Q.R.R. ha come supporto conoscitivo il S.I.T. e la Carta Regionale della Trasformabilità dei Suoli, e definisce indirizzi e
direttive di politica regionale per la pianificazione e la salvaguardia del territorio.
3. A questo fine il Q.R.R., direttamente o mediante i piani e i progetti di cui al successivo articolo 6, che ne costituiscono parte
integrante:
a) individua eventuali ambiti inter-Provinciali e sub-Provinciali, in riferimento ai quali devono essere redatti i piani strutturali
intercomunali;
b) individua le aree di preminente interesse regionale per la presenza di risorse naturalistiche, paesistiche, archeologiche, storico-
artistiche, agricole, idriche ed energetiche, per la difesa del suolo, la definizione di reti ecologiche, specificandone l’eventuale
esigenza di formare oggetto di Progetti Speciali Territoriali di cui al successivo articolo 6;
c) fornisce i criteri di salvaguardia e di utilizzazione delle risorse medesime;
d) delinea, per ambiti territoriali di valenza regionale, indirizzi e criteri territoriali anche immediatamente operativi;
e) indica insediamenti produttivi, turistici ed il sistema delle attrezzature di interesse regionale: universitarie, sanitarie ospedaliere,
commerciali, amministrative, direzionali, portuali, aeroportuali;
f) indica la struttura del sistema della viabilità e delle altre reti infrastrutturali interregionali e di grande interesse regionale.
4. Il Q.R.R. costituisce, inoltre, il fondamentale strumento di indirizzo e di coordinamento della pianificazione di livello intermedio e
locale.

Omissis

Art 7. (Carta Regionale della Trasformabilità dei Suoli)


1. La Carta Regionale della Trasformabilità dei Suoli (CRTS) definisce:

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a) i sistemi naturalistico– ambientali, insediativi e relazionali, presenti sul territorio regionale;
b) i livelli di “trasformabilità” del territorio regionale, in analogia ai criteri di trasformazione del P.R.P. e di quelli ad essi
assimilati ai sensi della Legge 431/85 e 394/91.
2. La C.R.T.S. osserva le procedure di adozione ed approvazione di cui all’art. 8 della presente Legge.
3. La C.R.T.S. è sottoposta ad aggiornamenti con le stesse procedure previste per la formazione, sulla base dei dati relativi allo stato
dei luoghi ed allo stato di attuazione dei Piani.
Art 8. (Procedimento).
1. Prima dell’adozione dei piani di settore o i progetti speciali territoriali o delle varianti, il responsabile del procedimento convoca
una o più conferenze di servizi tra le amministrazioni interessate, al fine di illustrare i principali contenuti del preventivato atto
pianificatorio e di acquisire l’avviso delle amministrazioni stesse. Almeno venti giorni prima della data fissata per la conferenza, il
responsabile del procedimento invia alle anzidette amministrazioni il documento preliminare, corredato da una o più tavole grafiche
in scala adeguata, illustrative degli obiettivi e dei criteri di impostazione dell’atto di pianificazione.
2. La Regione, preliminarmente alla conferenza di cui al comma precedente, può promuovere una inchiesta pubblica al fine di
acquisire proposte utili per la definizione del documento preliminare.
3. A seguito della conferenza di cui al comma 1, la Giunta Regionale adotta l’atto di pianificazione, nel rispetto delle finalità e
contenuti di cui al precedente articolo 6.
4. Successivamente, gli atti e gli elaborati del piano o del progetto sono depositati per sessanta giorni consecutivi, decorrenti dalla
data di deposito, presso le segreterie dei Comuni e delle Province interessati.
5. L’avvenuto deposito è reso noto mediante pubblicazione di avviso sul Bollettino Ufficiale della Regione Abruzzo e a mezzo di
manifesti murali.
6. Nei termini previsti dal comma 4 del presente articolo chiunque può prenderne visione e presentare istanze e memorie in merito ai
contenuti del piano o progetto.
7. Nel medesimo periodo le Province interessate promuovono pubbliche consultazioni anche con i Comuni al fine di acquisire le
osservazioni al piano o al progetto e trasmettono alla Regione gli atti, gli elaborati e le risultanze delle consultazioni.
8. Nel caso sia necessario acquisire le intese delle amministrazioni statali, il presidente della Regione o per delega l’assessore
competente indice una conferenza di servizi ai sensi e per gli effetti dell’articolo 14 della Legge 7 agosto 1990, n. 241 e successive
modifiche.
9. La Giunta Regionale sulla base delle osservazioni pervenute ed in base all’esito della conferenza dei servizi di cui al comma
precedente adotta in via definitiva il piano o progetto e lo presenta al Consiglio Regionale per l’approvazione.
10. Il provvedimento di approvazione è pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione.
CAPO III – Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale
Art 9. (Contenuti).
1. Il Piano Territoriale di Coordinamento Provinciale, conformandosi alle direttive del Q.R.R. e degli ambiti di cui all’articolo 3
comma 3, lettera a), riguarda l’intero territorio di ciascuna Provincia.
2. Il P.T.C.P., tenendo conto degli ambiti fissati dal Q.R.R.:
a) censisce, al fine della loro salvaguardia e valorizzazione, le reti ecologiche;
b) individua, anche integrando e specificando le previsioni contenute in altri livelli di pianificazione, le zone da sottoporre a speciali
misure di salvaguardia dei valori naturalistici, paesistici, archeologici, storici, di difesa del suolo, di protezione delle risorse idriche,
di tutela del preminente interesse agricolo e per la definizione di reti ecologiche;
c) fornisce, in relazione alle vocazioni del territorio ed alla valorizzazione delle risorse, le fondamentali norme d’uso e di intervento:
- per il suolo agricolo e forestale;
- per la ricettività turistica e gli insediamenti produttivi industriali ed artigianali;
- per la valutazione delle caratteristiche prestazionali degli strumenti urbanistici;
d) indica, nell’ambito dei Comuni interessati, gli insediamenti produttivi, commerciali, amministrativi e direzionali, nonché
attrezzature di servizio pubblico e di uso pubblico, di livello sovracomunale;
e) indica gli impianti per lo svolgimento degli sport invernali e per l’utilizzazione turistica della montagna, per le attività balneari, per
gli approdi turistici;
f) individua il sistema della viabilità e di trasporto e la rete delle altre infrastrutture di interesse sovracomunale;
g) detta la disciplina urbanistica primaria delle aree di sviluppo industriale sulla base degli indirizzi regionali. Questa parte del
piano sostituisce i Piani Territoriali delle Aree e dei nuclei di sviluppo industriale dei quali il P.T.C.P. assume valore ed effetti.
3. Le previsioni di cui al comma 2, lettere a) e b) comportano:
a) l’applicazione obbligatoria delle misure di salvaguardia, dalla data di adozione del piano;
b) l’immediata efficacia, nei confronti di enti e privati, dalla data di approvazione del piano stesso;
c) l’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali.
4. Per le previsioni specificate al comma precedente vale quanto previsto al precedente articolo 6 comma 6, 7 e 8.
5. Il P.T.C.P. assume valore ed effetti dei piani di tutela nei settori della protezione della natura, dell’ambiente, delle acque e difesa
del suolo e della tutela delle bellezze naturali, nonché dei piani di settore di cui all’articolo 6 della presente Legge, a condizione che
la definizione delle relative disposizioni avvenga attraverso accordi od intese preventivi tra la Provincia e le amministrazioni, anche
statali, competenti. In mancanza dell’intesa i predetti piani conservano il valore e gli effetti ad essi assegnati dalla rispettiva
normativa nazionale e regionale. Nel caso non si raggiunga l’intesa, la stessa viene riproposta per i piani la cui approvazione compete
alla Regione.
6. La Provincia, per rispondere ad esigenze determinate può approvare, seguendo la stessa procedura di cui ai commi precedenti,
progetti speciali o piani di settore di cui al precedente articolo

92
OMISSIS

Capo IV - DISCIPLINA URBANISTICA COMUNALE

Sezione I. – Piano Regolatore Generale

Art 11. (Contenuti)


1. Tutti i Comuni sono obbligati alla formazione del Piano Regolatore Generale.
2. Il Piano Regolatore Generale, in coerenza con le direttive del P.T.C.P., definisce le indicazioni strategiche per il governo del
territorio comunale.
3. Il P.R.G.:
a) definisce gli obiettivi da perseguire nel governo del territorio comunale anche tenendo conto, di indicatori di sostenibilità del
territorio (bilanci ambientali), di criteri perequativi, delle caratteristiche prestazionali, dell’esigenza dell’organizzazione
programmata dei tempi di vita, di lavoro e di mobilità dei cittadini, nel perseguimento delle finalità indicate nell’art. 2;
b) esamina in termini ecologici, e in misura adeguata alla dimensione del proprio territorio, la gestione dei sistemi direttamente
incidenti sulle risorse ambientali, quali: energia, acqua, rifiuti, paesaggio, trasporti, inquinamento;
c) indica gli indirizzi e i parametri da rispettare nella predisposizione della pianificazione attuativa con particolare riferimento alla
definizione delle dimensioni massime ammissibili degli insediamenti e delle funzioni, nonché delle infrastrutture e dei servizi
necessari, in ciascun ambito, zona o sottozona, del territorio comunale;
d) censisce, ai fini della loro salvaguardia e valorizzazione, le reti ecologiche;
e) individua, in coerenza con la pianificazione regionale e provinciale, le aree da sottoporre a speciali misure di conservazione per
motivi di interesse naturalistico, paesistico, archeologico, di difesa del suolo, di preminente interesse agricolo, di protezione
delle risorse idriche, e detta le misure a protezione della viabilità e le attrezzature ad impianti speciali o molesti, fornendo le
relative prescrizioni, sulla base dell’analisi della struttura geomorfologica, insediativa e socio - economica del territorio
comunale;
f) individua le localizzazioni, le dimensioni, l’articolazione per livelli, del sistema delle attrezzature di servizio pubblico e delle
aree per il tempo libero, con riferimento alle indicazioni del P.T.C.P. per le attrezzature e le aree di importanza sovracomunale;
g) delinea le reti viarie ed infrastrutturali, in riferimento alle indicazioni del P.T.C.P. per quelle di importanza sovracomunale;
h) individua le zone di degrado edilizio ed urbanistico e delimita gli interventi di recupero di iniziativa pubblica e privata ai sensi
dell’art. 27 della Legge 5 agosto 1978, n. 457;
i) delimita i centri storici ed i nuclei antichi, onde garantirne la tutela e l’utilizzazione sociale, nonché la qualificazione
dell’ambiente urbano nel suo complesso;
j) individua le aree, i complessi e gli edifici di interesse storico, artistico ed ambientale su tutto il territorio comunale, precisando
quelli da sottoporre a tutela e a restauro conservativo e quelli suscettibili di interventi di manutenzione, di risanamento igienico e
di ristrutturazione edilizia.
4. Al fine di agevolare l’attuazione degli obiettivi del Piano, possono essere previste procedure e modalità per il trasferimento di
cubature all’interno delle zone di edificazione già previste nel Piano stesso.

Omissis

Art 13. (Bilancio Urbanistico ed ambientale)


1. Le Provincie ed i Comuni, devono redigere bilanci urbanistici ed ambientali da allegare ai propri strumenti di pianificazione.
2. I Bilanci devono dare atto dello stato dell’Ambiente in riferimento:
a) alla percentuale dei suoli permeabili in ambito urbano;
b) al rapporto tra le superfici urbanizzate e le superfici di vegetazione in ambito urbano;
c) alla produzione e lo smaltimento dei rifiuti;
d) all’inquinamento dei corpi acquiferi superficiali;
e) alla riduzione degli areali di rischio e dei detrattori ambientali;
f) alla valutazione della alterazione morfologica degli assetti paesaggistici.
g) allo stato di attuazione della pianificazione generale vigente ed argomentare in merito alla necessità dell’atto di pianificazione
che intendono avviare.
3. Il Bilancio deve avere carattere di continuità con aggiornamento triennale, in riferimento allo stato di attuazione della
pianificazione generale.
Art 14. (Piano Strutturale Intercomunale)
1. Quando, per le caratteristiche di sviluppo di due o più Comuni contermini è opportuno il coordinamento delle direttive riguardanti
l’assetto urbanistico e territoriale, i Comuni, nelle forme associative stabilite dal capo VIII della 142/90, possono disporre la
formazione di un Piano Strutturale Itercomunale dei PRG e/o PRE.
2. Il Piano Regolatore Strutturale Intercomunale:
a) individua le aree da sottoporre a speciali misure di conservazione per motivi di interesse naturalistico, paesistico, archeologico,
di difesa del suolo, di preminente interesse agricolo, di protezione delle risorse idriche, definisce le reti ecologiche, nonché le
misure a protezione della viabilità e delle attrezzature ad impianti speciali o molesti, fornendo le relative prescrizioni, sulla base
dell’analisi della struttura geomorfologica, insediativa e socio-economica del territorio intercomunale;
b) per le attrezzature e le aree di importanza intercomunale e sovracomunale, individua le localizzazioni, le dimensioni e
l’articolazione delle attrezzature di servizio pubblico, delle aree produttive, commerciali, turistiche, sportive e per il tempo libero;
c) delinea le reti viarie ed infrastrutturali di importanza intercomunale e sovracomunale;
3. Le procedure di formazione ed approvazione degli atti di pianificazione, assunti nelle forme associative stabilite dal capo VIII
della 142/90, sono stabilite dall’art. 12.

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4. Gli ambiti ottimali, per la redazione del piano strutturale intercomunale, sono definiti dal Q.R.R. e dal P.T.P..
4. La Regione o la Provincia, in riferimento agli ambiti individuati dai propri strumenti, possono esercitare il potere sostitutivo
ove, entro 12 mesi dalla entrata in vigore della presente Legge, i comuni siano inadempienti.

94
REGIONE ABRUZZO
Norme di salvaguardia relative alle aree contigue dei Parchi Nazionali e Regionali
Delibera di G.R. n. 3582/C del 30.12.98
RELAZIONE

Bisogna innanzitutto premettere che la proposta è frutto di un confronto preliminare con i Comuni e con gli Enti Parco e si configura come prima sintesi aperta
ed emendabile.
Il lavoro è iniziato sull’occasione fornita dal dibattito e dal contenzioso che si aprì sulle “zone di protezione esterna” del Parco Nazionale d’Abruzzo. Di qui
nacque un gruppo di lavoro che v edeva presente Regione, Ente Parco, C.M., Provincia e Comuni.
Questo gruppo di lavoro fu poi allargato agli altri Enti Parco; sono state fatte delle proposte normative che il Servizio regionale ha portato a sintesi e con
l’adozione, proposto ufficialmente al dibattito.
La delimitazione delle aree contigue dei Parchi Nazionali e Regionali si configura come una prima tappa di un processo di costruzione del più ambizioso sistema
“(APE)” “Appennino Parco d’Europa”.
In tal senso esso non può che nascere da una visione unitaria del sistema morfologico ambientale e quindi tendere ad una soluzione organica dello stesso.
Si è cercato perciò in prima istanza di annettere quelle aree che sotto il profilo morfologico ambientale potessero completare gli attuali bacini delle aree protette;
Si è poi perseguito il fine di costruire una continuità tra le stesse aree contigue e quindi tra le aree protette.
Abbiamo cercato di rendere le zone contigue più ampie possibili per garantire una estesa area di rispetto, ma anche, per ampliare i benefici derivanti dalla
tutela e dalle leggi specifiche d’intervento ad altri territori e comunità.
A livello normativo sono stati proposti alcuni principi di salvaguardia utilizzando procedure già esistenti, cercando di non appesantire ai comuni la gestione del
territorio e i rapporti con l’utenza.
L’Ente Parco è chiamato a partecipare alla procedura di V.I.A. per gli interventi per i quali questa è già prevista.
Interessante è l’introduzione, da un lato del concetto di automatico adeguamento delle aree contigue conseguente ai cambiamenti che potrebbero intervenire sul
perimetro del parco, e dall’altro del concetto relativo ai corridoi faunistici o biologici, che attualmente non trovano una configurazione certa nel quadro legislativo.
Fondamentale è infine la proposta di un piano di sviluppo per le aree contigue nel quale organizzare organicamente e in maniera complementare al piano del
parco le varie categorie di benefici. La proposta delinea primi riferimenti normativi ed è indubbiamente tesa a fornire spunti di riflessione e approfondimento per
giungere attraverso un complesso processo di concertazione a norme cogenti e condivise.

NORMATIVA

ART. 1
(Finalità)

1. Le aree contigue si configurano come una fascia di protezione esterna ai parchi, in cui occorre intervenire per assicurare la conservazione dei valori dei
parchi stessi. Esse tendono a superare la natura “insulare” delle aree protette, cercando di realizzare la massima contiguità tra le stesse.
2. Nelle aree contigue dei Parchi Nazionali e Regionali, così come individuate e delimitate ai sensi della vigente normativa nell’allegata cartografia, al fine di
garantire e di promuovere la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale, vigono le norme di salvaguardia ambientale di seguito specificate.

ART. 2
(Tutela ambientale)

1. Al fine di garantire una tutela più estesa per i progetti di cui agli allegati A e B del D.P.R. 12 aprile 1996, l’Ente Parco è tenuto ad esprimere il proprio
motivato parere.
2. A tal fine l’Ente Parco integra il Comitato di coordinamento Regionale sulla V.I.A. di cui all’art. 4 della L.R. 9.5.90 n. 66 e successive modificazioni.

ART. 3
(Tutela della fauna e attività venatoria)

1. L’attività venatoria nelle aree contigue ai parchi, individuate secondo la normativa vigente, si svolge nella forma della caccia programmata.
2. Ciascuna area contigua costituisce Ambito Territoriale di Caccia omogeneo che salvaguardi l’integrità del territorio comunale a regolamentazione
differenziata, che realizzi la gestione sociale dell’ambiente e il prelievo programmato della fauna cacciabile in un rapporto di consulenza permanente con
l’Ente Parco, la Regione e gli Enti Locali.
3. L’attività venatoria nelle aree contigue è riservata ai soli residenti nel territorio incluso nel parco e nelle aree ad esso contigue.
4. Il carico venatorio verrà determinato anno per anno compatibilmente con le esigenze di tutela ambientale e nel rispetto di un carico venatorio non superiore
al rapporto di 1 cacciatore per ogni 40 ettari.
Ove tale carico venatorio consentito non venga raggiunto con la sola presenza di cacciatori residenti, l’attività venatoria potrà essere consentita prioritariamente
ai nativi nei Comuni dell’area contigua e ad altri cacciatori provenienti da altre aree della Provincia.
5. Gli organismi di gestione dell’area protetta e dell’A.T.C., d’intesa con la Regione, le Amministrazioni Provinciali competenti e gli Enti Locali interessati,
nell’intento di ricomporre documentati squilibri faunistici possono prevedere ai sensi dell’art. 20, comma 3, L.R. n. 30/1994 e sentito il parere dell’I.N.F.S.,
piani di abbattimento selettivo del cinghiale o programmi di controllo faunistico di specie il cui rapporto con l’habitat risulti alterato.
6. Al fine di consentire la più estesa partecipazione delle realtà locali alla gestione del territorio e alla programmazione di ogni tipo di attività venatoria l’ A.T.C.
ricompreso nelle aree contigue può essere organizzato in sub-ambiti territoriali di caccia a dimensione comunale o intercomunale e non superiori a 20.000
ha di territorio.
7. Ogni intervento faunistico di ripopolamento, di reintroduzione o di allevamento di specie selvatiche all’interno delle A.C. dovrà essere preventivamente
concordato con l’Amministrazione dell’Ente Parco, sentito il parere dell’Istituto Nazionale della Fauna Selvatica e del Comitato di Gestione dell’A.T.C.
8. In considerazione della valenza quale area sperimentale pilota per le aree contigue dei nuovi parchi nazionali e regionali, ed al fine di non vanificare i
positivi risultati conseguiti, vengono salvaguardate, anche ai sensi dell’Art. 51 comma 2, L.R. 30/1994, le esperienze maturate e riconosciute delle Aziende
Faunistico-venatorie ricadenti nella zona di Protezione Esterna del Parco Nazionale d’Abruzzo fino alla loro naturale scadenza.

ART. 4
(Pesca)

1. L’attività della pesca può essere effettuata secondo la normativa appositamente emanata dalle Amministrazioni Provinciali sentiti gli Enti Parco e la
Regione.

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2. Nelle more di tali intese la pesca si svolge secondo la normativa vigente sul territorio provinciale, fatti salvi specifici divieti temporanei che possono essere
emanati dalla Provincia d’intesa gli Enti Parco sulla base di particolari esigenze di gestione o di considerazione di circostanze ambientali che possono
mettere a rischio la sopravvivenza o la consistenza biogenetica delle popolazioni ittiche.
3. Le Amministrazioni provinciali interessate, entro una anno dall’entrata in vigore della presente elegge, provvedono ad un ricognizione delle specie ittiche
presenti nei corsi d’acqua delle Aree Contigue di loro pertinenza, provvedono altresì alla elaborazione di un documento attinente e finalizzato alla
predisposizione della normativa precitata.
4. L’Amministrazione provinciale competente emana la norma prevedendo anche la definizione di un programma di interventi, da aggiornarsi ogni due anni,
finalizzato al mantenimento o alla ricomposizione degli equilibri biologici originari dei corsi e specchi d’acqua.
ART. 5
(Ecosistemi forestali)

1. I Piani di Assestamento forestale dei Comuni, delle Amministrazioni separate dei beni di uso civico o di altro ente pubblico o di privati per l’approvazione
necessitano del parere della Regione.
2. Sono favorite ed incentivate le conversioni dei cedui semplici in cedui composti o in formazioni di alto fusto. A tale scopo l’Ente Parco e la Regione
dispongono di fondi per l’incentivazione di tali interventi.
3. Il bosco ceduo che abbia superato il doppio del proprio turno va considerato invecchiato. I cedui invecchiati devono necessariamente essere avviati ad alto
fuso, fatti salvo i cedui di castagno utilizzati per la produzione di pali.
4. Nei boschi ripariali a salice (Salix sp.pl.) ed ontano (Alnus glutinosa) si prescrive di lasciare almeno 30 matricine/ha, fatti salvo i casi in cui vi siano delle reali
necessità di tutela idraulica delle popolazioni, di manufatti o strutture produttive.
5. I turni di taglio dei boschi cedui vengono allungati di 5 anni rispetto ai turni previsti nei vigenti regolamenti di polizia forestale. I turni di taglio dei boschi di
alto fusto vengono allungati di 10 anni rispetto ai turni previsti nei vigenti regolamenti di polizia forestale.
6. E’ fatto divieto di eseguire tagli in particelle pubbliche contigue ad altre già tagliate entro 5 anni dall’ultimo taglio della particella confinante.
7. E’ proibito tagliare o danneggiare le specie legnose, sia arbustive che arboree, con frutti carnosi. Per ogni ettaro di bosco al alto fusto si prescrive di
lasciare almeno n. 3 grandi alberi secchi o morenti in piedi; per ogni ettaro di bosco ceduo almeno n. 3 matricine secche o morenti in piedi; inoltre per ogni
ettaro di bosco almeno n. 5 tronchi di alberi morti e marcescenti al suolo. Per frazioni di bosco con superficie inferiore all’ettaro di prescrive di lasciare
almeno 1 grande albero secco o morente in piedi, n. 2 matricine secche nel caso si tratti di un bosco ceduo, e 1 tronco marcescente al suolo.
8. Il taglio dei boschi cedui potrà effettuarsi nei seguenti periodi: per le faggete dal 15 settembre al 15 marzo, per i querceti caducifogli, leccete, orno-ostrieti,
castagneti dal 1 ottobre al 15 marzo. Nel caso si verificassero condizioni meteorologiche particolarmente avverse, il periodo per il taglio di boschi cedui su
richiesta alla Ragione, potrebbe essere prorogato fino al 30 marzo. Il taglio dei boschi di alto fusto, al fine di tutelare le diverse fasi riproduttive della fauna
selvatica, è vietato nel periodo compreso tra il 15 marzo e il 30 giugno.
9. Per l’apertura di nuove piste di esbosco è necessario vi sia l’autorizzazione da parte della Regione che può imporre prescrizioni e direttive. Le nuove piste
autorizzate, terminati i lavori di esbosco, devono essere precluse al traffico motorizzato sbarrando l’imbocco con pietrame, terriccio od altro materiale
naturale. La persona richiedente l’apertura di una nuova pista di esbosco è tenuta a versare alla Regione una cauzione, il cui importo verrà deciso di volta
in volta, che verrà restituita al richiedente allorquando la pista risulterà chiusa e preclusa al traffico motorizzato, con le modalità di cui sopra e rispettando le
eventuali prescrizioni aggiuntive. Qualora le prescrizioni non siano state tenute in considerazione sarà la Regione a provvedere al loro rispetto utilizzando la
somma della cauzione.
10. Possono essere vietate al taglio e a qualsiasi altra forma di sfruttamento economico quelle fitocenosi forestali ritenute di notevole interesse storico,
vegetazionale o fitogeografico, nonchè quelle considerate importanti per la salvaguardia di specie faunistiche o floristiche rare ed in declino. La Regione,
sentito l’Ente Parco, con decreto del Presidente, entro 12 mesi dell’entrata in vigore della presente normativa, è tenuto a individuare le fitocenosi forestali di
maggior interesse, da sottoporre a una normativa di salvaguardia più restrittiva, e a renderne pubblico l’elenco. L’elenco può essere integrato
successivamente.
11. La Regione potrà vietare il taglio di individui arborei o arbustivi che presentano particolari caratteristiche (dimensioni notevoli per la specie, portamento
anomalo, ecc...) o legati a determinati episodi storici o cari alla tradizione locale. Nei pressi dell’albero o arbusto protetto verrà apposto uno specifico
cartello informativo sullo status di individuo arboreo o arbustivo soggetto a particolare tutela.
12. Per i progetti di rimboschimento l’Ente Parco può fornire direttive. Per le opere di forestazione, con esclusione di quelle aventi esclusive finalità produttive, è
obbligo l’utilizzo di entità floristiche autoctone di cui sia accertata la provenienza locale (specie, sottospecie o ecotipi locali) al fine di evitare l’introduzione di
specie estranee alla flora locale, nonchè di sottospecie o ecotipi alloctoni che potrebbero comportare problemi di inquinamento genetico per il patrimonio
floristico dell’area.
13. Per le alberature stradali devono essere utilizzate entità floristiche autoctone di accertata provenienza locale. Possono essere utilizzate specie esotiche nel
caso queste siano ormai parte integrante e caratterizzante del paesaggio agrario.

ART. 6
( Incentivi)

1. Ai Comuni il cui territorio è compreso, in tutto o in parte, entro i confini dell’area contigua è attribuita priorità, valutata dalla Regione d’intesa con gli Enti
parco nella concessione di finanziamenti programmati dalla Regione a valere su fondi propri, nazionali o comunitari, richiesti per la realizzazione, sul
territorio compreso entro i confini dell’area contigua stessa dei seguenti interventi:
a) conservazione e restauro ambientale del territorio, da attuare secondo criteri di bioingegneria;
b) agriturismo;
c) recupero dei centri storici e nuclei abitati rurali, da attuare utilizzando materiali locali e seguendo metodologie della tradizione dei luoghi.
d) artigianato;
e) coltivazioni di piante appetite dalla fauna selvatica;
f) conservazione di habitat idonei alla presenza della fauna selvatica;
g) costituzione di centri specializzati di allevamento di specie faunistiche selvatiche autoctone finalizzati a programmi di riqualificazione ambientale.
La costituzione dei centri di cui al punto g) dovrà prevedere una conduzione sotto il controllo e la responsabilità scientifica dell’Ente Parco in
collaborazione con la Regione e con la Provincia;
2. Il medesimo ordine di priorità di cui al comma 1 è attribuito ai privati, singoli o associati, che intendano realizzare iniziative produttive o di servizio
compatibili con le finalità istitutive del Parco.

ART. 7
( Corridoi ecologici)
1. La Regione è tenuta ad individuare aree strategiche ai fini della costruzione del sistema dei corridoi ecologici.
2. In tali aree, con specifico provvedimento e d’intesa con gli Enti Parco e i Comuni interessati, la Regione stabilisce regimi di particolare tutela.

ART. 8
(modifiche conseguenti all’approvazione dei piani)

96
Ove il piano del Parco porti ad una modifica della perimetrazione in senso restrittivo o in ampliamento, il perimetro delle zone contigue deve intendersi
automaticamente adeguato con l’estensione o lo stralcio delle aree interessate.

ART. 9
( efficacia e revisione perimetrazione)

La perimetrazione e la normativa delle zone contigue ha una efficacia decennale, la stessa comunque per motivate esigenze può essere rivista dopo tre anni
dalla sua approvazione.

ART 10
(Intesa con le altre Regioni)

1. Al fine di rendere omogenei i criteri e normative anche nel territorio delle regioni limitrofe interessate alle aree parco, la Regione promuove specifiche
Conferenze di Servizio.

ART. 11
(Programma di interventi)

1. La Regione, con deliberazione di Giunta, definisce, entro 120 giorni dall’adozione della presente normativa, un organico piano di interventi teso ad una
riqualificazione e/o ad una valorizzazione mirata delle aree contigue.

97
Le pagine WEB sulle reti ecologiche

ECNC
The European Centre for Nature Conservation

http://www.ecnc.nl/doc/ecnc/what.html

The European Centre for Nature Conservation (ECNC) is established in 1993 with the purpose to further European nature
conservation by bridging gap between science and policy. ECNC has become a renowned expertise centre offering support to the
development, review and implementation of European nature conservation policies.
ECNC organises and mobilises the expertise within universities, research institutes, conservation agencies, and reference centres.
ECNC's combined expertise and interdisciplinary way of working presents innovative options and solutions that can further a strong
and comprehensive European nature conservation policy, with a sound scientific basis.

ECNC MISSION STATEMENT


ECNC will actively promote, by bridging the gap between science and policy, the conservation of nature and especially of
biodiversity in Europe, because of their intrinsic values and their relevance to the economy and European culture; thereby ECNC
seeks the integration of nature conservation considerations into other policies.'
ECNC's view does not stop with nature. It tries to bridge not only science and policy, but society and nature conservation as well,
respecting the existing variation in regional approaches and cultures throughout Europe. ECNC's aims to assist in integrating nature
conservation into the daily actions and decision-making of the general public, policy makers and experts. ECNC considers nature
conservation to be an integral part of a sustainable society and economy.

Inserire pagina WEB ECNC

98
IENE
Infra Eco Network Europe

http://iene.vv.se/

Infra Eco network Europe (IENE) is a European network of experts and institutions involved in the phenomena of habitat
fragmentation caused by the development and use of main networks of infrastructure (roads, waterways, railways). IENE promotes
cooperation and exchange of knowledge between the sectors environment and infrastructure both on national and European levels.
This objective follows the provisions of the Pan-European Biological and Landscape Diversity Strategy.
The general goal of IENE is to promote a safe and sustainable pan-European transport infrastructure through recommending
measures and planning procedures to conserve biodiversity and reduce vehicular accidents and fauna casualties. The negative
impacts produced on biodiversity by the networks of motorways, railways and waterways are: loss of habitats, fauna casualties,
barrier effect, disturbance (noise and light) and local pollution. IENE disseminates the results of various research results and gives
practical solutions to reduce impacts during the construction, use and maintenance of linear transportation infrastructure.
Furthermore, new directions for research will be drawn according to the actual and future needs.
IENE addresses to decision makers, planners and researchers as well to the public. At this moment experts from 19 European
countries are actively involved in the activities of IENE. Since 1996 when IENE was established there has been four international
IENE meetings, in different parts of Europe. The network is coordinated by a coordination centre, a steering committee and 19
national coordinators. The national coordinator coordinates the build-up and maintenance of the network in their own country.
IENE promotes international and multidisciplinary research in the field of transportation infrastructure and nature. In this context, a
new action in the framework of the COST (Cooperation in the field of Scientific and Technical research) program of the European
Community has been proposed. The initiator of the proposal was the Road and Hydraulic Engineering Division of the Dutch Ministry
of Transportation, Public Works and Water Management, early 1997.

Inserire pagina WEB IENE

99
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L’Università dell’Aquila
Una unità di ricerca sulla continuità ambientale nella pianificazione

Inserire foto Facoltà di Ingegneria

La tradizione di ricerca dell’Università dell’Aquila sui temi della pianificazione ambientale ha


radici abbastanza antiche che possono forse farsi risalire alla metà degli anni ’70, quando sono stati
affrontati gli impegnativi programmi di lavoro attinenti i Piani di Sviluppo Socioeconomico delle
Comunità Montane.
In particolare i territori delle Comunità Montane Amiternina e Valle Roveto, oggetto di prolungati e
pluriennali studi dell’allora Istituto di Architettura e Urbanistica, richiesero sforzi metodologici
intensi da parte dei ricercatori impegnati, per affrontare le dinamiche ambientali ed antropiche di
aree montane estremamente articolate e complesse, non solo sotto il profilo morfologico, ma anche
dei rapporti tra le componenti naturali e umane.
Le esperienze si sono dall’epoca rapidamente succedute, attraverso ulteriori attività di ricerca
istituzionale, sia all’interno dei programmi supportati dalle risorse accademiche, sia per conto di
enti esterni, utilizzando in modo intensivo il territorio montano interno abruzzese come spazio di
sperimentazione per studi, innovativi metodi di analisi, nuovi criteri di pianificazione.
In questo crescente e coinvolgente interesse sono state convogliate innumerevoli tesi di laurea che,
in oltre trent’anni, hanno prodotto un patrimonio enorme di dati, rilievi, cartografie tematiche,
ipotesi di intervento.
Si sono attivate in più occasioni forme di rapporto scientifico tra i Dipartimenti dell’Ateneo sulle
opportunità di ricerca in tema ambientale, tra le quali forse una delle più solide ed efficienti è quella
che vede spesso impegnati su programmi comuni i Dipartimenti di Architettura e Urbanistica e di
Scienze Ambientali.
Al di là delle persone, che si avvicendano negli anni, il legame di queste branche scientifiche con la
realtà territoriale dell’Appennino sembra inalterabile e produce sempre momenti ulteriori di
confronto e di azione.
Evidentemente non è estranea a tali indirizzi la collocazione geografica dell’Università dell’Aquila,
posta sì in un denso contesto urbano, ma a vista quotidiana ed incombente e, in qualche caso, a
distanza “pedonale”, da alcune delle maggiori polarità naturalistiche dell’Italia Centrale: il Gran
Sasso d’Italia, il Sirente-Velino, la Majella e una ben più ampia estensione di altri territori semi-
naturali montani.
E’ probabilmente per questo motivo, oltre che per altri di inevitabile maturazione scientifica
all’interno del dibattito nazionale e internazionale sulla conservazione e sulle trasformazioni del
territorio, che, dopo una lunga esperienza costruita sulla pianificazione delle aree protette, l’unità di
ricerca è approdata al tema della continuità ambientale, considerato quale nuovo paradigma
concettuale di riferimento per la individuazione delle future forme di governo del territorio.
Su tale argomento, e su quelli correlati, quali il ruolo degli aspetti relazionali ecologici, delle azioni
di frammentazione infrastrutturale, della funzione del piano e del progetto per gestire la continuità
degli ecosistemi, il gruppo di ricerca impegna in prevalenza le proprie risorse umane, tecnologiche e
finanziarie attraverso una ampia gamma di progetti attivi che vengono indicati di seguito.

ANPA - Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente.


Regione Abruzzo - Settore Urbanistica, Beni Ambientali, Parchi e Riserve Naturali.
Programma triennale ANPA 1998 – 2000

118
Piano stralcio per lo sviluppo del sistema nazionale conoscitivo e dei controlli in campo ambientale
Progetto Monitoraggio delle Reti Ecologiche
Convenzione ANPA – Regione Abruzzo del 12.6.99
La continuità ambientale in Abruzzo, riferimenti e criteri metodologici per la pianificazione
della rete ecologica regionale.
Gruppo di ricerca:
Regione Abruzzo: A. Perrotti
D.A.U.: G. Tamburini, P. Properzi, B. Romano, R. Brucculeri, D. Di Ludovico.

PLANECO project – Planning in ecological network


Ricerca 40% Ministero dell’Università e della Ricerca Scientifica, 1998-2000
Università dell’Aquila, Università di Camerino, Università “D’Annunzio” di Pescara, Università di Roma Tre,
Università del Molise.
Coordinatore nazionale: P. Bellagamba
Gruppo di ricerca D.A.U.: G. Tamburini, P.Properzi, B. Romano, F. Tironi, D. Di Ludovico

ECONET - Programma Life Environment


A European project to demonstrate sustainability using ecological network.
Leader: Cheshire County Council (UK)
Partners: English Nature, University of Salford, Liverpool John Moores University, North West Water Limited, Vale
Royal Borough Council, University of Reading, Environment Agency, Sustainability North West in UK;
Regione Emilia Romagna, Provincia di Bologna, Provincia di Modena, Regione Abruzzo, Università dell’Aquila in
Italia;
Province of Gelderland, Wageningen University, Alterra Green World Research in Netherlands.
Gruppo di ricerca DAU: G. Tamburini, P. Properzi, B. Romano, D. Di Ludovico

Tesi di laurea sul tema della continuità ambientale

Facoltà di Ingegneria - A.A. 1997-98


Donato Di Ludovico
LA CONTINUITÀ AMBIENTALE
Temi di pianificazione territoriale e applicazioni di ingegneria ambientale
Relatori: Prof. Pierluigi Properzi, Prof. Bernardino Romano

Facoltà di Scienze Ambientali – A.A. 1998-99


Tonino Carusi
DALLA CONTINUITÀ AMBIENTALE AI CORRIDOI ECOLOGICI
Studi faunistici e vegetazionale attraverso tecniche GIS
Relatori: Prof. Gianfranco Pirone, Prof. Bernardino Romano, Prof. Pierantonio Tetè

119
Bernardino Romano insegna Tecniche di valutazione e programmazione nella
pianificazione urbanistica presso la Facoltà di Ingegneria per l’Ambiente e il
Territorio e Pianificazione e assetto del territorio presso la Facoltà di Scienze
Ambientali dell’Università dell’Aquila.
La sua attività di ricerca riguarda essenzialmente la pianificazione ambientale, con
riferimento specifico alle aree protette, agli ambiti montani a bassa densità
insediativa, alla continuità ambientale e all’assetto ecocompatibile del territorio.
Ha pubblicato numerosi contributi su questi argomenti in forma monografica e su
riviste nazionali e internazionali. E’ membro della Commissione Nazionale per le
Politiche Ambientali dell’INU (Istituto Nazionale di Urbanistica) e del Comitato
Tecnico Scientifico per le Aree Protette della Regione Abruzzo.

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