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Università degli Studi di Bari

Dipartimento di Scienze Economiche

A PPUNTI DI INTRODUZIONE
ALL’ ECONOMIA PUBBLICA

Ernesto Longobardi e Vito Peragine

anno accademico 2006/07

settembre 2006
Indice

1 Il giudizio di efficienza 1
1.1 L’efficienza nel senso di Pareto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1
1.1.1 Criterio di Pareto e potere di veto . . . . . . . . . . . . . 4
1.1.2 Criterio di Pareto e conservazione dello status quo . . . . 5
1.2 Allocazione ottimale delle risorse . . . . . . . . . . . . . . . . . 6
1.2.1 La condizione di efficienza nello scambio . . . . . . . . . 6
1.2.2 Condizione di efficienza nella produzione . . . . . . . . . 8
1.2.3 Condizione di efficienza generale . . . . . . . . . . . . . 10
1.3 I due teoremi fondamentali dell’economia del benessere . . . . . . 12

2 I fallimenti
del mercato 19
2.1 Mercati non concorrenziali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 20
2.2 Le esternalità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 21
2.2.1 Esternalità e allocazione efficiente delle risorse . . . . . . 22
2.2.2 Esternalità dovute a fenomeni di consumo congiunto o
produzione congiunta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 23
2.2.3 Esternalità in presenza di risorse di proprietà comune . . . 24
2.2.4 Intervento pubblico e internalizzazione delle esternalità . . 25
2.3 I beni pubblici . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.3.1 Rivalità ed escludibilità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 25
2.3.2 Beni privati, beni pubblici, beni misti . . . . . . . . . . . 26
2.3.3 La quantità ottima di bene pubblico . . . . . . . . . . . . 27

3 Scelta sociale 31
3.1 La massimizzazione del benessere sociale . . . . . . . . . . . . . 31
3.2 Le funzioni del benessere sociale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 31
3.2.1 La funzione del benessere sociale utilitarista . . . . . . . . 35
3.2.2 La funzione del benessere sociale rawlsiana . . . . . . . . 38
3.3 Confronti tra criterio del Pareto, FBS utilitarista, FBS rawlsiana . 39
II C APITOLO 0

3.4 Confronti tra utilitarismo, rawlsismo, egualitarismo in assenza e


in presenza di trade-off equità-efficienza . . . . . . . . . . . . . . 41
3.4.1 Primo caso: redistribuzione senza costi e utilità marginale
del reddito costante . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 42
3.4.2 Secondo caso: redistribuzione senza costi e utilità
marginale del reddito decrescente . . . . . . . . . . . . . 42
3.4.3 Terzo caso: redistribuzione con costi e utilità marginale
del reddito decrescente . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43
3.4.4 Quarto caso: redistribuzione con costi molto elevati e utilità
marginale del reddito decrescente . . . . . . . . . . . . . 43

4 Analisi della disuguaglianza 47


4.1 Ordinamenti parziali di distribuzioni del reddito . . . . . . . . . . 48
4.1.1 La curva di Lorenz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 48
4.1.2 Ordinamento di Lorenz . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 50
4.1.3 Ordinamento alla Robin Hood . . . . . . . . . . . . . . . 52
4.1.4 Ordinamenti parziali: benessere e disuguaglianza . . . . . 54
4.1.5 Curva di Lorenz generalizzata . . . . . . . . . . . . . . . 55
4.1.6 Ordinamento di Lorenz generalizzato . . . . . . . . . . . 56
4.2 Ordinamenti completi di distribuzioni del reddito . . . . . . . . . 57
4.2.1 Il coefficiente di Gini (G) . . . . . . . . . . . . . . . . . . 58
4.2.2 L’indice di Atkinson-Kolm-Sen . . . . . . . . . . . . . . 59

5 Economia delle scelte pubbliche 65


5.1 Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 65
5.2 Le regole di voto: analisi descrittiva . . . . . . . . . . . . . . . . 66
5.2.1 La regola della unanimità . . . . . . . . . . . . . . . . . . 66
5.2.2 La regola della maggioranza . . . . . . . . . . . . . . . . 68
5.2.3 L’intensità delle preferenze . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
5.2.4 Il logrolling . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 76
5.2.5 Il voto a maggioranza sequenziale . . . . . . . . . . . . . 78
5.2.6 Il sistema maggioritario a turno unico . . . . . . . . . . . 80
5.2.7 Il sistema maggioritario a doppio turno . . . . . . . . . . 81
5.2.8 Il metodo di Borda . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 82
5.3 L’approccio assiomatico deduttivo . . . . . . . . . . . . . . . . . 83
5.3.1 Il teorema dell’ impossibilità di Arrow . . . . . . . . . . . 83
5.3.2 Il teorema dell’ impossibilità di Gibbard-Satterthwaite . . 85
5.3.3 Il teorema di May . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 86

Suggerimenti per ulteriori letture 87

Riferimenti bibliografici 88
Capitolo 1
Il giudizio di efficienza

1.1 L’efficienza nel senso di Pareto


na tendenza largamente dominante ritiene che nel giudizio di efficienza ci
U si debba affidare alla percezione che i singoli individui hanno del proprio
benessere individuale. Si parla in questo caso di principio della sovranità del
consumatore oppure di individualismo: si assume che ciascuno sia il miglior
giudice dei propri interessi e ci si rimette pertanto alla sua valutazione.
Se si accetta tale principio sorge immediatamente un problema. Avendo un
proprio sistema di preferenze e un dato ammontare di risorse (dotazioni), cia-
scuno giudicherà diversamente un determinato stato del mondo. Come si può
allora, muovendo dai giudizi individuali, pervenire a un giudizio di efficienza
che riguardi l’intera collettività? Il giudizio di efficienza sembra indissolubilmen-
te legato al giudizio di equità, perché non pare possibile evitare di valutare gli
interessi degli uni a fronte degli interessi degli altri.
Gli economisti hanno tentato di separare i due livelli di giudizio e di affidarli
a schemi concettuali distinti. Tale tentativo viene a tutt’oggi legato al nome di
Pareto.1

Definizione 1.1 (Il criterio (forte) del Pareto). Dati due stati α e β, si dice che
α è migliore di β (oppure che α domina β) nel senso di Pareto, e che pertanto
uno spostamento da β a α è un miglioramento paretiano, se e solo se almeno un
individuo preferisce α a β e nessuno preferisce β ad α.

Indichiamo in parentesi tonde le relazioni attinenti ordinamenti di preferenza in-


dividuali e in parentesi quadre quelle attinenti ordinamenti di preferenza sociale.

1
Vilfredo Pareto (1848-1923), economista e sociologo. Le sue opere più importanti sono il
Corso di economia politica (1897-98) e il Trattato di sociologia generale (1916).
2 C APITOLO 1

Tabella 1.1 Il criterio del Pareto.

α β γ
ui 30 35 35
uj 25 25 30
uk 45 45 45

Tabella 1.2 Gli “ottimi” di Pareto.

α β γ δ ²
ui 7 6 1 8 3
uj 9 9 2 8 2
uk 6 5 9 8 9

Il criterio del Pareto può essere espresso nel modo seguente. Dati due stati α e β,
e n individui, i ∈ {1, ..., n} ,

[α Â β]P ⇔ ∃i ∈ {1, ..., n} tale che (α Â β)i & @j ∈ {1, ..., n} tale che (β Â α)i

che va letta: α domina β nel senso di Pareto se e solo se esiste almeno un individuo
i per il quale α è strettamente preferito a β e non esiste alcun individuo j per il
quale β è strettamente preferito ad α.
Se α non domina β nel senso di Pareto e β non domina α nel senso di Pareto,
allora diremo che α e β non sono confrontabili in base al criterio di Pareto.
Nella definizione del criterio di Pareto si assume:

• misurabilità ordinale delle utilità


• non confrontabilità delle utilità di diversi individui

Nella Tabella 1.1 α, β, γ sono tre stati e ui ,uj ,uk sono indici di utilità ordinale
relativi a tre individui i, j, k.
Lo stato β domina nel senso di Pareto lo stato α (maggiore è infatti l’utilità del-
l’individuo i, ferme restando le posizioni degli individui j e k). Lo stato γ domina
a sua volta lo stato β.

Definizione 1.2 (Ottimo paretiano). Uno stato è detto efficiente nel senso di
Pareto o ottimo paretiano qualora non sia possibile realizzare un miglioramento
paretiano, vale a dire quando non sia possibile migliorare la situazione di almeno
un individuo senza peggiorare quella di qualche altro.

Nella Tabella 1.1 lo stato γ è un ottimo paretiano. In generale stati ottimi nel senso
di Pareto sono più di uno. Si consideri, per esempio, la Tabella 1.2, in questo caso
α, δ e ² sono tutti ottimi paretiani.
Si noti che il criterio del Pareto non consente di ordinare gli stati di ottimo:
essi, in base al criterio del Pareto, non sono confrontabili.
Il giudizio di efficienza 3

uj
6
A

G F C

-
0 E D ui

Figura 1.1 Il criterio del Pareto. I miglioramenti paretiani dal punto F sono compresi
nell’area BCF .

Ma può risultare anche impossibile confrontare uno stato di ottimo con uno
stato sub-ottimale. Nella Tabella 1.2, per esempio, α, pur essendo un ottimo, non
è confrontabile con γ, che ottimo non è.
Questo aspetto può essere meglio chiarito considerando la Figura 1.1 che rap-
presenta una curva delle possibilità di utilità. Come si vedrà meglio più avanti,
tale curva, dati due individui i e j, esprime, per ogni determinato livello di utilità
di uno dei due individui, l’utilità massima conseguibile dall’altro.
L’area ADO, delimitata dalla curva delle possibilità di utilità e dagli assi carte-
siani, costituisce l’insieme delle utilità.
Per ogni punto interno, come il punto il punto F , l’insieme delle utilità può essere
suddiviso in 4 sottoinsiemi:

• l’area BCF , compresi i contorni, rappresenta il sottoinsieme delle combinazio-


ni di utilità che dominano la combinazione F: il passaggio da F a uno qualsiasi
dei punti di quest’area è un miglioramento paretiano;
• l’area GF EO, compresi i contorni, rappresenta il sottoinsieme delle combina-
zioni di utilità che sono dominate da F nel senso di Pareto.

L’unione di questi due sottoinsiemi compone l’insieme di stati che sono confron-
tabili con F in base al criterio del Pareto.
Invece l’unione dei due sottoinsiemi:

• ABF G (esclusi i segmenti BF e GF );


• F CDE (esclusi i segmenti F C e F E)
4 C APITOLO 1

uj
6
A

G F

-
0 E D ui

Figura 1.2 L’ottimo paretiano. F rappresenta un punto di ottimo perchè l’insieme dei
possibili miglioramenti paretiani è vuoto.

rappresentano l’insieme degli stati non confrontabili con F in base al criterio del
Pareto.
Finché l’insieme BCF non è vuoto non si ha una situazione efficiente. Un
insieme vuoto di miglioramenti paretiani è rappresentato nella Figura 1.2: il punto
F è ora un ottimo paretiano, in quanto non risulta dominato da nessun altro punto
all’interno dell’insieme delle utilità. Tuttavia, il punto F non domina tutti i punti
dell’insieme, ma solo quelli dell’area GF EO. Rimangono le due aree AF G e
F DE di non confrontabilità.
In tali aree solo i punti sulla frontiera di utilità (i tratti AF e F D) sono punti di
ottimo: tutti gli altri, interni alle due aree, rappresentano stati inefficienti. Come si
era già accennato, dunque, il criterio del Pareto non consente di ordinare gli stati
di efficienza come socialmente superiori a tutti gli stati di inefficienza.

1.1.1 Criterio di Pareto e potere di veto


È quest’ultimo il limite più grave del criterio del Pareto. Se infatti la non con-
frontabilità dei punti di ottimo è il risultato della scelta di separare il giudizio di
efficienza dal giudizio di equità, la non confrontabilità tra punti di ottimo e punti
subottimali limita l’operatività del criterio proprio sotto il profilo della valutazione
di efficienza.
In comunità di milioni di persone, è sufficiente che anche un solo individuo
risulti danneggiato, per escludere, almeno sul piano del giudizio di efficienza, mi-
sure che potrebbero produrre consistenti benefici alla collettività nel suo insieme.
Il giudizio di efficienza 5

Si attribuisce in questo modo a minoranze, anche molto ristrette, un paralizzante


“potere di veto” sulle scelte collettive.

1.1.2 Criterio di Pareto e conservazione dello status quo


Il criterio del Pareto, quale metro di valutazione sociale, è basato su giudizi di
valore molto deboli e quindi largamente condivisibili. Questa apparente neutralità
etica del criterio, che senz’altro costituisce la ragione principale della sua forza
e popolarità, può però portare a farne un uso eccessivo e talora illegittimo nelle
scelte sociali. Questo avviene quando si restringe l’attenzione, tra le riforme pos-
sibili, a quelle che comunque configurino un miglioramento paretiano. Si procede
in due stadi: nel primo si identificano le riforme che migliorano l’allocazione di
partenza (status quo) in base all’efficienza paretiana; all’interno di questo sot-
toinsieme, poi, si utilizza un altro criterio, ad esempio un principio di equità, per
scegliere l’allocazione preferita. Questo modo di procedere - che tecnicamente
equivale a stabilire una precedenza lessicografica del criterio di Pareto rispetto
ad altri criteri - conduce ad una difesa acritica e ingiustificata dello status quo.
Si consideri il seguente esempio, in cui ci sono quattro distribuzioni di utilità
(A, B, C, D) tra due individui (i, j): A rappresenta l’allocazione di partenza e
B, C e D gli esiti di tre riforme possibili:

A B C D
i 1 2 3 7
j 10 12 11 7

Rimanere in A sarebbe inefficiente, a causa della possibilità di spostarsi in B o in


C. La scelta tra B e C potrà dipendere poi dalle preferenze sociali rispetto all’e-
quità. Tuttavia, non è detto che B e C siano le alternative migliori. Probabilmente,
D potrebbe essere considerata la migliore tra le allocazioni possibili, perché è un
ottimo di Pareto (dunque non è inefficiente) e perché soddisfa più compiutamente
delle altre le esigenze di equità. La sua esclusione dipende dalla circostanza di es-
sere partiti da A. Ma A può essere una allocazione di partenza del tutto arbitraria.
Limitare le scelte possibili a quelle che costituiscono un miglioramento paretiano
rispetto ad A risulta operazione legittima solo nella misura in cui si fornisce una
giustificazione autonoma della desiderabilità sociale della allocazione di parten-
za. In caso contrario, l’arbitrarietà dello status quo si rifletterà nell’arbitrarietà del
criterio di Pareto come guida alla scelta tra le riforme possibili.
Queste considerazioni non minano l’importanza, in generale, del criterio di
Pareto, ne delimitano, piuttosto, il campo di applicabilità: il solo uso legitti-
mo del criterio consiste nella identificazione di situazioni inefficienti. La di-
rezione del cambiamento, a partire da una data allocazione, non deve invece essere
necessariamente guidata, nè tantomeno limitata, dal criterio di Pareto.
6 C APITOLO 1

j




















y


















i | {z }
x
Figura 1.3 La scatola di Edgeworth. Ogni punto nella scatola rappresenta un’allocazione,
cioè la combinazione di due panieri (x, y), uno per ciascun consumatore.

1.2 Allocazione ottimale delle risorse


Per generare un risultato efficiente nel senso di Pareto, un meccanismo di alloca-
zione delle risorse deve soddisfare simultaneamente, al margine, tre condizioni:
1. condizione di efficienza nello scambio;
2. la condizione di efficienza nella produzione;
3. la condizione di efficienza generale.
Consideriamo un sistema con due consumatori (i, j), due fattori produttivi (k, l)
e due beni (x, y). La disponibilità di fattori produttivi e la tecnologia sono date.

1.2.1 La condizione di efficienza nello scambio


Ipotizziamo per il momento che le quantità prodotte di x e y siano date: l’ipotesi
sarà rimossa più avanti, quando le quantità dei beni prodotti saranno lasciate libere
di variare, ferme restando, invece, le quantità dei due fattori produttivi k e l.
La Figura 1.3 riproduce una scatola di Edgeworth, all’interno della quale ogni
punto rappresenta un’allocazione (combinazione di panieri) dei due beni (x, y) tra
i due consumatori (i, j). La mappa delle curve di indifferenza del consumatore
i è rappresentata a partire dal vertice sud-ovest della scatola; quella del consu-
matore j è rappresentata, rovesciata, a partire dal vertice nord-est. In ogni punto
della scatola si ha l’intersezione oppure la tangenza tra una curva di indifferenza
dell’individuo i e una curva di indifferenza dell’individuo j. Le allocazioni ottime
Il giudizio di efficienza 7

C
B
D C
A
i
i
j
j

Figura 1.4 L’efficienza nello scambio. Nella parte sinistra della figura C non è un pun-
to di ottimo, in quanto a partire da C sono possibili miglioramenti paretiani nell’area
delimitata dall’intersezione delle due curve. Nella parte destra il punto di tangenza C
rappresenta un punto di ottimo: l’insieme dei possibili miglioramenti paretiani è vuoto.

nel senso di Pareto coincidono con i punti di tangenza. Se infatti le curve di


indifferenza si intersecassero sarebbero possibili miglioramenti paretiani.
Consideriamo per esempio, nella parte sinistra della Figura 1.4, il punto C di
intersezione tra due curve. Per ogni punto sulla curva di indifferenza dell’individ-
uo j, come il punto B, si ha:

(B Â C)i e (B ∼ C)j ⇒ [B Â C]P


Per ogni punto sulla curva di indifferenza dell’individuo i, come il punto A, si ha:

(A ∼ C)i e (A Â C)j ⇒ [A Â C]P


Infine per ogni punto come D, interno all’area delimitata dall’intersezione delle
due curve di indifferenza, si ha:

(D Â C)i e (D Â C)j ⇒ [D Â C]P


L’area delimitata dall’intersezione delle due curve, compresi i contorni, rappre-
senta quindi l’insieme dei possibili miglioramenti paretiani a partire dal punto
C.
Nei punti di tangenza invece (come il punto C nella parte destra della Figura 1.4)
l’insieme dei miglioramenti paretiani è vuoto: si tratta pertanto di allocazioni ot-
time. In tali punti, la curva di indifferenza del consumatore i ha la stessa pendenza
di quella del consumatore j: i saggi marginali di sostituzione dei due consumatori
sono pertanto eguali.
Definizione 1.3 (Condizione di efficienza nello scambio). Un’allocazione di
beni è Pareto-ottimale quando i saggi marginali di sostituzione sono eguali tra
tutti i consumatori:
i j
SM Sx,y = SM Sx,y
8 C APITOLO 1

j




















y


















i | {z }
x
Figura 1.5 La curva dei contratti.

L’insieme delle allocazioni ottime può essere rappresentato con due diversi stru-
menti analitici.
Se, all’interno della scatola di Edgeworth, si uniscono tutti i punti di tangenza tra
le curve di indifferenza si ottiene la curva dei contratti, che è appunto il luogo
geometrico delle allocazioni ottime nel senso del Pareto (Figura 1.5).
Se misuriamo invece sugli assi le utilità dei due consumatori, le combinazio-
ni di utilità associate ai punti di ottimo compongono la curva delle possibilità di
utilità (Figura 1.6), che avevamo già utilizzato nella Sezione 1.1.
Definizione 1.4 (La curva delle possibilità di utilità). Dati due consumatori e
due beni, e considerando fisse le quantità dei due beni, la curva delle possibilità di
utilità esprime, per ogni determinato indice di utilità di un consumatore, l’utilità
massima che può ottenere l’altro consumatore.
Lo studente noti che:
• se si considerano fisse le quantità dei due beni, la curva delle possibilità di utilità
si modifica solo se cambiano le preferenze dei consumatori;
• date le preferenze dei consumatori, esiste una curva delle possibilità di utilità
per ogni coppia di quantità dei due beni.

1.2.2 Condizione di efficienza nella produzione


Si rimuove ora, come annunciato, la condizione che le quantità dei due beni x e y
siano date.
Il giudizio di efficienza 9

u2
6

-
0 u1

Figura 1.6 La curva delle possibilità di utilità.

La condizione marginale di ottimo nella produzione può essere determinata


utilizzando ancora una scatola di Edgeworth, misurando, questa volta, sugli assi le
quantità dei due fattori produttivi, k e l, disponibili in quantità fisse. La tecnologia
impiegata nella produzione dei due beni x e y sarà rappresentata da famiglie di
isoquanti. Ogni punto all’interno della scatola rappresenta una allocazione di
input.
Le allocazioni ottime sono date dai punti di tangenza tra gli isoquanti relativi
al prodotto x e gli isoquanti relativi al prodotto y: in tali punti si ha l’eguaglianza
dei saggi marginali di sostituzione tecnica tra i fattori nella produzione dei due
beni.
Definizione 1.5 (Condizione di efficienza nella produzione).
Un’allocazione di fattori produttivi è Pareto-ottimale quando i saggi marginali di
sostituzione tecnica sono eguali nella produzione di ogni coppia di beni:
x y
SM STk,l = SM STk,l

Le allocazioni di fattori efficienti possono essere rappresentati, oltre che dalla


curva che unisce tutti i punti di tangenza nella scatola di Edgeworth, anche mi-
surando sugli assi le quantità dei due beni: le combinazioni di beni associate ai
punti di ottimo compongono la curva delle possibilità di produzione (o curva
di trasformazione).
Definizione 1.6 (La curva delle possibilità di produzione). La curva delle pos-
sibilità di produzione (o curva di trasformazione) esprime, per ogni determinata
10 C APITOLO 1

y
6
t s

A
II
I

-
0 x
Figura 1.7 La curva delle possibilità di produzione. A rappresenta un punto di ottimo.

quantità di uno dei due beni, la quantità massima che si può produrre dell’altro
bene, considerando fisse la tecnologia e le quantità dei fattori di produzione.

1.2.3 Condizione di efficienza generale


Assumiamo, in prima approssimazione, che tutti i consumatori abbiano lo stesso
sistema di preferenze, rappresentabile pertanto da un’unica mappa di curve di
indifferenza (consumatore rappresentativo).
Il problema di massimizzazione del benessere si risolve nello scegliere, lungo
la curva delle possibilità di produzione, la combinazione di output che consente di
raggiungere la curva di indifferenza di indice più elevato: si tratterà di un punto di
tangenza della curva delle possibilità di produzione con una curva di indifferenza
(Figura 1.7).
Nel punto di tangenza si ha l’eguaglianza tra il saggio marginale di sosti-
tuzione (misurato dalla pendenza della curva di indifferenza) e il tasso marginale
di trasformazione (misurato dalla pendenza della curva di trasformazione).
Si può pertanto enunciare la condizione di efficienza generale.

Definizione 1.7 (Condizione di efficienza generale).


Un’allocazione delle risorse è Pareto-ottimale quando per ogni coppia di beni il
saggio marginale di sostituzione è eguale al saggio marginale di trasformazione:

SM Sy,x = SM Ty,x
Il giudizio di efficienza 11

y
6
s
t
B

C D E

-
0 x
Figura 1.8 Nel punto B il SM Txy è, in valore assoluto, minore del SM Sxy . Spostamenti
a destra di B (maggiore quantità di x) rappresentano miglioramenti paretiani.

Il significato dell’eguaglianza tra saggio marginale di trasformazione e saggio


marginale di sostituzione come condizione di ottimo può essere meglio compre-
sa considerando più da vicino (Figura 1.8) la situazione rappresentata dal pun-
to B ove non si ha tangenza, bensı̀ intersezione, tra la curva delle possibilità di
produzione e una curva di indifferenza.
In tale punto il SM S è dato dall’inclinazione della retta s tangente alla curva
di indifferenza, ovvero dal rapporto BC/CD: una riduzione BC del bene y, ac-
compagnata da un aumento CD del bene x, lascia inalterato il livello di utilità del
consumatore rappresentativo. Il SM T è dato invece dall’inclinazione della ret-
ta t, tangente alla curva delle possibilità di produzione: dal lato della produzione,
dunque, la rinuncia a una quantità BC del bene y consente un incremento CE nel-
la produzione di x. Essendo CE > CD, l’utilità aumenterebbe: vi sono pertanto
dei punti, a destra del punto B, che lo dominano nel senso di Pareto.
Della condizione generale di ottimo può essere data una diversa rappresentazione
grafica. Abbandonando l’ipotesi del consumatore rappresentativo e tornando a
quella di un’economia con due individui, i e j, consideriamo le infinite scatole di
Edgeworth che possono essere inserite nell’area delimitata dalla curva di trasfor-
mazione, con il vertice nord-est lungo la curva. Nella Figura 1.9 ne sono state
rappresentate due.
In generale all’interno di ogni scatola vi sarà un punto, sulla curva dei con-
tratti, in cui l’inclinazione delle due curve di indifferenza tangenti è eguale all’in-
clinazione della curva di trasformazione. In tale punto si avrà pertanto:
12 C APITOLO 1

y
6

B
A0
B0

-
0 x
Figura 1.9 Configurazioni di ottimo generale.

i j
SM Sx,y = SM Tx,y = SM Sx,y (1.1)
Si noti che un punto come B nella Figura 1.9 rappresenta una determinata com-
binazione delle quantità totali prodotte dei due beni x e y, mentre un punto come
B 0 definisce una ripartizione delle risorse tra i due individui i e j.
Vi sono infinite configurazioni di ottimo generale, ciascuna corrispondente
a una determinata combinazione di output e a una determinata ripartizione del
benessere tra i due individui. Il luogo delle combinazioni di utilità associate a
ciascuno di essi, è chiamato frontiera delle utilità.
Lo studente noti che:
• se si considerano fisse le quantità dei due fattori, la frontiera delle utilità si
modifica solo se cambiano le preferenze dei consumatori o la tecnologia;
• date le preferenze dei consumatori e la tecnologia, esiste una frontiera delle
utilità per ogni coppia di quantità dei due fattori.

1.3 I due teoremi fondamentali dell’economia del benes-


sere
Riepiloghiamo le condizioni marginali di ottimo, rimuovendo la restrizione di un
mondo a due dimensioni.
Siano N , M, H gli insiemi, rispettivamente, dei consumatori, dei beni e dei
fattori produttivi.
Il giudizio di efficienza 13

j










 A









y











 B



 C


i | {z }
x
Figura 1.10 Solo in equilibrio si ha efficienza paretiana.

1. Condizione di efficienza nello scambio:


i j
SM Sx,y = SM Sx,y
∀i, j ∈ N ; ∀x, y ∈ M
2. Condizione di efficienza nella produzione:
x y
SM STk,l = SM STk,l
∀k, l ∈ H ; ∀x, y ∈ M
3. Condizione di efficienza generale:

SM Sx,y = SM Tx,y
∀x, y ∈ M

I due teoremi fondamentali dell’economia del benessere stabiliscono un legame


tra gli esiti di un meccanismo di mercato concorrenziale e i criteri di desiderabilità
sociale.
In un mercato concorrenziale, a determinate condizioni, abbiamo:

1. Per ogni coppia di beni, ciascun consumatore massimizza l’utilità eguagliando


il saggio marginale di sostituzione al prezzo relativo:
i j
SM Sx,y = py /px = SM Sx,y
14 C APITOLO 1

∀i, j ∈ N ; ∀x, y ∈ M
Risulta pertanto soddisfatta la condizione di ottimo nello scambio.
2. Le imprese minimizzano i costi, nella produzione di ciascun bene, eguagliando
il saggio marginale di sostituzione tecnica tra fattori al loro prezzo relativo:
x y
SM STk,l = pl /pk = SM STk,l
∀k, l ∈ H ; ∀x, y ∈ M
Risulta pertanto soddisfatta la condizione di ottimo nella produzione.
3. Per ogni coppia di beni, i consumatori massimizzano l’utilità eguagliando il
saggio marginale di sostituzione al prezzo relativo; le imprese massimizzano il
profitto eguagliando il saggio marginale di trasformazione al prezzo relativo:

SM Sx,y = py /px = SM Tx,y


∀x, y ∈ M
Risulta pertanto soddisfatta la condizione di efficienza generale.

L’equilibrio di un mercato concorrenziale è dunque efficiente nel senso di Pareto.


Teorema 1.1 (Il primo teorema fondamentale dell’economia del benessere).
L’equilibrio di un sistema di mercati concorrenziali, se esiste, è Pareto-efficiente.
Deve trattarsi di una situazione di equilibrio. Per rendersene conto lo studente
consideri la Figura 1.10. Anche se i saggi marginali di sostituzione risultano
eguali, non essendo una situazione equilibrio non vi è tangenza tra le curve di
indifferenza: non risulta pertanto determinata un’allocazione ottima.
Il primo teorema, stabilendo l’ottimalità paretiana di qualsiasi equilibrio con-
correnziale, fornisce una giustificazione normativa del meccanismo di mercato
basata sull’idea di efficienza. Il teorema riprende l’ intuizione della mano invisi-
bile formulata originariamente da Adam Smith (1776): l’idea cioè che il persegui-
mento dell’interesse personale da parte di ogni singolo agente economico por-
ti, attraverso l’operato di una mano invisibile, al raggiungimento di un risultato
desiderabile per l’intera collettività. In base a questa intuizione, peraltro già pre-
sente nell’elaborazione filosofica del XVIII secolo (si pensi a La favola delle api
di Bernard de Mandeville, del 1714), per raggiungere un risultato desiderabile per
la collettività non è dunque necessario che gli agenti siano buoni o altruisti: gli
egoismi individuali, guidati dal meccanismo dei prezzi di mercato, contribuiscono
al raggiungimento di un risultato efficiente per l’intera collettività.
Il secondo teorema affronta un tema diverso. Si consideri la frontiera delle
utilità: ogni punto su tale frontiera è ottimo nel senso di Pareto. Tuttavia, i di-
versi ottimi hanno implicazioni profondamente diverse sotto il profilo dell’equità
distributiva. In virtù del primo teorema sappiamo che il mercato concorrenziale,
partendo da un dato assetto delle dotazioni iniziali, condurrà il sistema ad una al-
locazione efficiente; supponiamo però che questa allocazione non sia desiderabile
per ragioni di equità. E ipotizziamo esista un altro ottimo, tra quelli possibili, che
Il giudizio di efficienza 15

j


 -m - m0











 A B





y







 M M0










i | {z }
x
Figura 1.11 L’allocazione A rappresenta un equilibrio di mercato concorrenziale con il
vettore di prezzi m e la dotazione iniziale M. L’allocazione B può essere generata dal
0 0
vettore m e la dotazione M .

risulta essere desiderabile anche in termini distributivi. Dovremo rinunciare al sis-


tema di mercato e adottare ad un altro meccanismo di allocazione delle risorse in
nome dell’equità? Il secondo teorema risponde precisamente a questa domanda,
stabilendo che, al fine di raggiungere l’allocazione desiderata, sarà sufficiente in-
tervenire sulle dotazioni iniziali attraverso opportuni strumenti di redistribuzione
- imposte e sussidi in somma fissa - lasciando poi che il mercato faccia il resto. In
altre parole, il secondo teorema dimostra che ogni allocazione efficiente, e quin-
di anche l’allocazione preferita sotto il profilo distributivo, può essere ottenuta
mediante un meccanismo di mercato decentralizzato; purchè si operi una redistri-
buzione delle dotazioni iniziali attraverso imposte e sussidi in somma fissa (lump
sum).

Teorema 1.2 (Il secondo teorema fondamentale dell’economia del benesse-


re). Esiste sempre un vettore di prezzi tale che ciascuna allocazione Pareto-
efficiente è un equilibrio di mercato concorrenziale, una volta assegnate le op-
portune dotazioni iniziali (si veda la Figura 1.11).

I due teoremi sono di fondamentale importanza perché forniscono un quadro


analitico e concettuale per l’analisi normativa dei meccanismi di allocazione delle
risorse. Tuttavia, la loro dimostrazione si basa su condizioni altamente irrealisti-
che.
Il primo teorema assume che i mercati siano perfettamente concorrenziali e
che non vi siano altre imperfezioni di mercato. In realtà i mercati sono spesso
16 C APITOLO 1

caratterizzati da insufficiente concorrenza o da altre imperfezioni (beni pubblici,


esternalità, asimmetrie informative): in tutti questi casi il mercato conduce una
allocazione delle risorse inefficiente.
Il secondo teorema assume che lo Stato sia in grado di operare una redistri-
buzione delle risorse attraverso imposte in somma fissa. Le imposte e i sussidi
in somma fissa sono strumenti commisurati a fattori esogeni, cioè fuori dal con-
trollo degli individui a cui vengono applicati: per questa ragione questi strumenti
non generano distorsioni nei comportamenti degli agenti e non violano le tre con-
dizioni di efficienza paretiana. Un esempio è costituito da imposte legate alle
abilità individuali innate. Questo tipo di imposte, pur importanti come modello
teorico di riferimento, nella realtà non esiste: l’autorità pubblica non dispone delle
informazioni necessarie e la tecnologia tributaria disponibile non permette di pre-
disporre strumenti adeguati. In realtà, gli strumenti di redistribuzione utilizzati dal
settore pubblico hanno effetti distorsivi, generano cioè perdite di efficienza. Come
conseguenza, ogni intervento mirante a raggiungere una allocazione desiderabile
sotto il profilo dell’equità comporterà dei costi in termini di efficienza. Esiste un
inevitabile trade-off tra obiettivi di efficienza e obiettivi di equità.

E SERCIZI

Esercizio 1.1. La Figura 1.12 rappresenta una curva delle possibilità di utilità.
Le utilità dei due individui (1 e 2) sono ordinali e non confrontabili.

Indicare se le seguenti affermazioni sono vere o false.


1. Nel punto A l’individuo 2 sta meglio dell’individuo 1.

V F

2. Per l’individuo 2, A Â B.
V F

3. Per l’individuo 2, B ∼ D.
V F

4. Nel senso di Pareto A Â B.


V F
Il giudizio di efficienza 17

u2
6
H
A

G
E C

F B D

-
0 E D u1

Figura 1.12 Il criterio di Pareto.

5. Nel senso di Pareto C Â B ∼ F .


V F

6. Nel senso di Pareto C non è confrontabile con I.


V F

7. Il punto A domina nel senso di Pareto tutti i punti compresi nell’area HGBF
esclusi quelli sul tratto curvilineo HG.
V F

Esercizio 1.2. Individuare le situazioni efficienti nel senso di Pareto nella seguente
tabella dove A, B, C, D, E, F sono distribuzioni di benessere (u) tra tre individui
(1, 2, 3)

A B C D E F
u1 70 68 72 70 100 100
u2 65 70 45 60 68 60
u3 70 72 30 70 100 100

Esercizio 1.3. Si consideri un’economia con due beni, x ed y, e due individui,


A e B. Le preferenze di A e di B sono rappresentate dalle seguenti funzioni di
utilità:
18 C APITOLO 1

1
UA (x, y) = log x 4 + log y
UB (x, y) = log x + log y 4
da cui si deduce che le utilità marginali degli individui A e B, per i beni x e y,
sono, rispettivamente:

1
U MA (x) =
4x
1
U MA (y) =
y
1
U MB (x) =
x
4
U MB (y) =
y
Si assuma inoltre che la curva di trasformazione dei beni x ed y nell’economia
abbia inclinazione costante e uguale a uno. Si considerino le seguenti allocazioni
dei due beni x ed y tra i due individui A e B (con xA indichiamo la quantità di
bene x assegnata all’individuo A, ...):
α β γ
xA 3 2 2
yA 6 8 8
xB 3 2 4
yB 6 8 6

Quale tra le allocazioni α, β, γ può essere un equilibrio concorrenziale?


Esercizio 1.4. Si consideri un’economia con due beni, x ed y, e due fattori
produttivi, K e L. Le produttività marginali dei fattori K e L per i beni x e y,
sono, rispettivamente:

1
P Mx (K) =
3K
2
P Mx (L) =
3L
2
P My (K) =
3K
1
P My (L) =
3L
Attualmente, 1/2 del capitale totale e 1/2 del lavoro totale è allocato alla pro-
duzione di ciascun bene. Si tratta di una soluzione efficiente? Nel caso in cui non
fosse efficiente, in quale direzione dovrebbero essere riallocati i fattori al fine di
ottenere un miglioramento paretiano?
Capitolo 2
I fallimenti
del mercato

Il primo teorema fondamentale dell’economia del benessere dice che un merca-


to basato sulla proprietà privata, se in equilibrio concorrenziale, genera un’al-
locazione delle risorse ottima nel senso di Pareto. Il secondo teorema dice che
un sistema decentralizzato di economia di mercato consente di raggiungere og-
ni situazione Pareto ottimale che corrisponda alla desiderata distribuzione del
benessere.

Presi insieme i due teoremi costituiscono le fondamenta del pensiero eco-


nomico liberale. Nel mondo che prefigurano, l’intervento pubblico riguarderebbe,
solo ed eventualmente, la correzione delle conseguenze distributive dell’economia
di mercato e questa potrebbe avere luogo senza alcun costo in termini di efficien-
za. Si tratta di un paradigma che occupa una posizione di assoluta centralità nel
lavoro degli economisti, l’interesse dei quali si rivolge, tuttavia, in larga prevalen-
za proprio a osservare e studiare gli scostamenti del funzionamento concreto dei
sistemi economici rispetto al modello ideale dal quale prendono le mosse.

La teoria considera dunque, sotto il profilo positivo e normativo, da una parte,


i casi in cui per il venire meno di una o più condizioni necessarie per il primo
teorema, si verifica un fallimento del mercato; dall’altra, in un mondo in cui non
esistono strumenti di redistribuzione lump sum, indaga la relazione di trade off tra
equità ed efficienza.

Questo capitolo è dedicato ad una breve introduzione al primo aspetto. Tra


le numerose cause di fallimento del mercato se ne prendono qui in esame tre: la
mancanza di concorrenza, le esternalità e i beni pubblici.
20 C APITOLO 2

2.1 Mercati non concorrenziali


Se il mercato non è in condizioni di concorrenza perfetta il surplus sociale non è
massimo. Ci si limita a considerare il caso del monopolio (Figura 2.1).

p 6
C

pm A
Cmg

F B
pc

E
Rmg
D
-
O qm qc q

Figura 2.1 L’equilibrio del monopolista

Il monopolista produce la quantità q m (per la quale Rmg = Cmg ) al prezzo


pm . Se questo mercato, anziché in monopolio, fosse stato in concorrenza perfetta,
e quindi la curva Cmg fosse intesa come l’aggregazione del costo marginale delle
singole imprese concorrenziali (curva di offerta), la quantità prodotta sarebbe stata
q c e il prezzo pc . In monopolio si hanno pertanto quantità minori e prezzi più alti
rispetto alla concorrenza. E’ già intuibile come questo riduca il benessere della
collettività.
Il concetto può essere precisato considerando le variazioni del surplus. In
concorrenza perfetta il surplus è dato dall’area CBD. In particolare l’area CBpc
rappresenta il surplus del consumatore e l’area pc BD quello del produttore. In
monopolio il surplus del consumatore è CApm , con una riduzione pari a pm ABpc
rispetto al caso concorrenziale. Il surplus del produttore è invece pm AED. Egli
ha guadagnato pm AF pc e ha perso F BE: dal momento che la prima area è
maggiore della seconda, il surplus del produttore risulta maggiore rispetto alla
concorrenza.
Il surplus sociale complessivo è invece minore. In monopolio è infatti pari
all’area CAED: la perdita netta rispetto alla concorrenza è pertanto data dal tri-
angolo ABE. E’ questo il problema allocativo, che va tenuto distinto dall’aspetto
distributivo dovuto al fatto che il surplus del produttore aumenta a danno del con-
sumatore (il rettangolo pm AF pc è surplus del consumatore di cui in monopolio si
appropria il produttore).
I fallimentidel mercato 21

In presenza di un monopolio, vi sono due principali modi per affrontare il


problema allocativo. La prima politica è quella di togliere di mano al privato l’im-
presa monopolistica e costituire un’impresa pubblica (nazionalizzazione). C’è
stata una lunga fase, in tutti i paesi industriali, in cui si è fatto un ampio ricorso
alle nazionalizzazioni. L’idea alla base dell’impresa pubblica è che lo stato, o in
generale l’ente pubblico, possa applicare una politica dei prezzi ottimale, perché
è in grado di rinunciare alla massimizzazione del profitto a favore di quella del
surplus sociale.
Da alcuni decenni si è entrati in una fase completamente diversa rispetto a
quella delle nazionalizzazioni. A partire dagli anni ’80 del ventesimo secolo, in
molti paesi industriali si sono restituite ai privati molte attività (privatizzazioni)
passate decenni prima in mano pubblica. In questo caso si è fatto ricorso alla
seconda delle possibili risposte al problema dell’inefficienza allocativa del mo-
nopolio, la regolamentazione dell’impresa privata. Con la regolamentazione, lo
stato instaura con l’impresa privata un rapporto contrattuale che, in linea di prin-
cipio, può essere congeniato in modo tale da indurlo alla scelta dei prezzi e delle
quantità socialmente desiderabili.

2.2 Le esternalità
Nelle economie di mercato le scelte degli agenti economici, individui e imprese,
si riflettono in variazioni dei prezzi, le quali inducono ulteriori modifiche nelle
scelte. Se il meccanismo di mercato è di tipo concorrenziale e non ci sono imper-
fezioni, il vettore dei prezzi di equilibrio riflette correttamente il valore marginale
dei benefici e dei costi di tutti i beni scambiati.
Tuttavia, esistono relazioni di interdipendenza tra gli agenti che non si riflet-
tono in variazioni dei prezzi e delle quali pertanto i singoli agenti non tengono
conto nel proprio calcolo di convenienza.
Esempio 2.1. La decisione di effettuare un viaggio usando l’automobile, dipen-
derà dalla valutazione che il singolo compie dei costi e dei benefici che la propria
scelta gli procura. Tra i costi egli terrà conto di quanto paga di carburante, delle
spese di ammortamento e di manutenzione del veicolo, del valore che attribuisce
al tempo che il viaggio occuperà. Non considererà invece i costi che impone agli
altri, ma per i quali il mercato non lo chiama a pagare: per esempio le emissioni
inquinanti e il proprio contributo alla congestione del traffico, che alza il tempo del
viaggio per tutti gli automobilisti. Si tratta di effetti esterni negativi o esternalità
negative.
Definizione 2.1 (Esternalità negative). Si hanno esternaltà negative, quando la
scelta di un agente economico comporta costi per altri agenti economici senza
che egli debba pagare loro alcuna compensazione.
Esempio 2.2. Nel decidere se e in che misura procedere al restauro della fac-
ciata di un edificio di interesse artistico nel centro storico di una città, il pro-
prietario confronterà il piacere e la soddisfazione che ne trarrà con i costi che
22 C APITOLO 2

dovrà sostenere. Non considererà invece i benefici che procurerà agli altri fruitori
del centro storico, ma per i quali il mercato non gli consente di chiedere un
corrispettivo. Si tratta di un effetto esterno positivo o esternalità ppositiva.
Definizione 2.2 (Esternalità positive). Si hanno esternalità positive quando la
scelta di un agente economico comporta benefici per altri agenti economici senza
che egli riceva alcuna compensazione.
Possiamo allora formulare una definzione generale di esternalità.
Definizione 2.3. Le esternalità sono fenomeni di interdipendenza tra le funzioni di
utilità e/o di produzione che, non realizzandosi attraverso lo scambio, non danno
luogo compensazioni monetarie tra gli agenti economici.
In altre parole, si è in presenza di una esternalità tutte le volte che le scelte
di un agente economico producono effetti sul benessere di almeno un altro agente
economico (e cioè ne influenzano l’utilità o il profitto) al di fuori del meccanismo
di mercato.

2.2.1 Esternalità e allocazione efficiente delle risorse


In presenza di esternalità, l’allocazione delle risorse generata in equilibrio da un
meccanismo di mercato decentralizzato di tipo concorrenziale non è efficiente in
senso paretiano. Infatti, il sistema dei prezzi che regola il funzionamento delle
economie di mercato concorrenziali non fornisce agli agenti economici segnali
corretti sui costi e sui benefici associati all’impiego delle risorse e, pertanto, non
consente che il perseguimento della massimizzazione del benessere individuale
da parte dei singoli agenti economici risulti, in equilibrio, nella massimizzazione
del benessere sociale.
Vediamo perché.
Ogni agente economico razionale persegue la massimizzazione del proprio
benessere compiendo scelte che, al margine, assicurano l’uguaglianza tra benefici
e costi privati (benefici e costi che per ogni agente economico sono associati alla
sua scelta individuale):
p p
Bmg = Cmg (2.1)
D’altra parte la massimizzazione del benessere sociale richiede che, al margine,
i benefici sociali siano uguali ai costi sociali:
s s
Bmg = Cmg (2.2)
In assenza di esternalità vi è coincidenza tra benefici e costi marginali privati
e benefici e costi marginali sociali
p s p s
Bmg = Bmg e Cmg = Cmg (2.3)
e quindi:
I fallimentidel mercato 23

p p s s
Bmg = Cmg ⇔ Bmg = Cmg (2.4)
In presenza di esternalità, le scelte individuali producono benefici (costi) pri-
vati e benefici (costi) esterni. I benefici e costi sociali sono quindi la somma di
benefici e cosi privati ed esterni:
s p es s p es
Bmg = Bmg + Bmg e Cmg = Cmg + Cmg (2.5)
La massimizzazione del benessere sociale richiede quindi che sia verificata
la seguente uguaglianza:
p es p es s s
Bmg + Bmg = Cmg + Cmg ⇔ Bmg = Cmg (2.6)
Per definizione, benefici e costi esterni non influenzano i termini in cui avviene
lo scambio nei mercati concorrenziali e quindi in presenza di effetti esterni gli
agenti economici razionali continuano a fare le loro scelte in modo da realizzare
al margine solo l’uguaglianza tra benefici e costi privati. La mancata coincidenza
tra benefici (costi) privati e benefici (costi) sociali ha come conseguenza:
p p s s
Bmg = Cmg 6= Bmg = Cmg (2.7)
Tipicamente le scelte individuali producono effetti esterni in due situazioni:
• in presenza di fenomeni di consumo congiunto o produzione congiunta;
• in presenza di risorse di proprietà comune.

2.2.2 Esternalità dovute a fenomeni di consumo congiunto o produzione


congiunta
Consideriamo il caso di una esternalità unilaterale positiva derivante da consumo
congiunto.
Sia data un’economia nella quale si producono solo due beni y e x e ci sono
solo due individui i e j. I beni sono interamente consumati dai due individui e le
loro preferenze sono definite nel modo seguente:

U i = U i (xi , yi ) (2.8)

U j = U j (xj , xi , yj ) (2.9)
xi è la quantità del bene x consumata dall’individuo i ecc.

aU i
> 0 definisce l’effetto esterno positivo che il consumo del bene x da parte
axi
dell’individuo i produce sul benessere di j.
La perdita di benessere associata all’equilibrio concorrenziale nel mercato
del bene x è illustrata nella Figura 2.2.
24 C APITOLO 2

Bmgxi Bmgxj
6 6
Bmgxi i + Bmgxj i

Bmgxi i Bmgxj j

Bmgxj i A
p p
C B

- -
O xi x∗i xi O x∗j xj

Figura 2.2 Esternalità positiva derivante dal consumo congiunto di xi tra gli individui i
e j.

La curva di domanda per il bene x da parte dell’individuo i è la curva del


p i
beneficio marginale privato Bmg (Bmg,x i
) che i deriva dal consumo di x. La curva
del beneficio marginale che j deriva dal consumo di x da parte di i è la curva del
beneficio marginale esterno Bmg es (B j
mg,xi ) associata al consumo di x da parte di i.
Per ogni valore di xi la curva del beneficio marginale sociale è la somma verticale
p es , che corrisponde a B i j
delle curve Bmg e Bmg mg,xi + Bmg,xi .
Il prezzo p è il prezzo di equilibrio concorrenziale ed è quindi pari al costo
p
costo marginale privato (Cmg ). Dato p, i sceglie la quantità di x in corrispondenza
p p p
della quale B mg = p e quindi Bmg = Cmg . Scegliendo in questo modo i non
tiene conto dei benefici esterni associati alla sua scelta e la quantità di x acquistata
in equilibrio è inferiore a quella ottima dal punto di vista sociale che è invece la
quantità x∗i > xi .
La perdita netta di benessere associata all’equilibrio competitivo è pari alla
differenza tra il beneficio totale ed il costo totale associati alle unità di xi = x∗i −xi
(l’area ABC).
In presenza di esternalità positive, in equilibrio concorrenziale si scambiano
dunque quantità di beni inferiori rispetto a quelle ottime dal punto di vista sociale.
Si può mostrare che in presenza di esternalità negative, in equilibrio concor-
renziale si scambiano invece quantità di beni superiori rispetto a quelle ottime dal
punto di vista sociale.

2.2.3 Esternalità in presenza di risorse di proprietà comune


In presenza di una risorsa di proprietà comune, il costo dello sfruttamento da
parte di ciascuno individuo si ripartisce su tutti: il risultato è un uso eccessivo
I fallimentidel mercato 25

della risorsa e il suo eventuale esaurimento. Il fenomeno fu portato all’attenzione


di un vasto pubblico da un articolo apparso sulla rivista Science nel 1978 [Hardin,
1978], dal titolo molto significativo: “The Tragedy of the Commons“. Nell’artico-
lo si faceva riferimento ai pascoli di proprietà comune. Poniamo che per ciascun
pastore il beneficio di aggiungere un animale al suo gregge sia dato dal valore
di mercato dell’animale. Il costo invece è dato dalle risorse consumate dall’ani-
male diviso per il numero - molto alto in caso di proprietà comuni - dei proprietari
del pascolo. Ogni pastore è cosı̀ incentivato ad aggiungere animali senza limite. Il
risultato sarà la distruzione della proprietà comune. La parabola si applica a molte
risorse ambientali.

2.2.4 Intervento pubblico e internalizzazione delle esternalità


L’operatore pubblico può definire politiche d’intervento dirette ad internalizzare
le esternalità eliminando la perdita di efficienza.
E’ possibile distinguere tra due principali modalità di intervento pubblico.

1. L’intervento pubblico disegnato per influenzare le scelte degli agenti economici


modificando le regole che definiscono il contesto istituzionale nell’ambito del
quale si svolge lo scambio.

Esempio 2.3. L’assegnazione dei diritti di proprietà nei contesti dove l’ineffi-
cienza si produce a causa della loro mancata definizione, oppure la fissazione
di limiti esogeni all’attività di consumo o produzione degli agenti economici
(regolamentazione)

2. L’intervento pubblico disegnato per influenzare le scelte degli agenti economi-


ci attraverso strumenti che incidono sulla formazione dei prezzi di equilibrio,
come le imposte e i sussidi.1

2.3 I beni pubblici


2.3.1 Rivalità ed escludibilità
Possiamo classificare i beni secondo due caratteristiche: la rivalità e l’escludi-
bilità.

La rivalità

Definizione 2.4. La rivalità è data dalla misura in cui il consumo del bene da
parte di un individuo riduce la quantità di cui altri possono disporre.

1
Per l’uso delle imposte come strumento correttivo delle esternalità si rinvia lo studente a
Longobardi [2005], Cap.10.
26 C APITOLO 2

Si ha rivalità piena quando il consumo di un individuo riduce dello stesso


ammontare quanto gli altri possono consumare. Si ha non rivalità piena (rivalità
nulla) quando la quantità che altri possono consumare non si riduce affatto. Si
hanno, infine, casi intermedi (rivalità non piena) quando la quantità che altri pos-
sono consumare di riduce, ma in misura inferiore a quanto consumato dal primo
individuo.
Esempio 2.4. Se nell’aula un posto a sedere è occupato da uno studente, non può
essere occupato da un altro: la rivalità è piena.
Esempio 2.5. Il fatto che uno studente ascolti il docente che parla, non riduce
affatto la possibilità che altri lo ascoltino: la rivalità è nulla.
Frequentemente il grado di rivalità dipende dal livello della domanda rispetto
alla capacità di soddisfarla, cioè dal livello di congestione.
Esempio 2.6. Se l’aula è molto affollata, la presenza di un ulteriore studente può
ridurre le capacità di ascolto degli altri: la misura della rivalità dipende dal grado
di congestione.

L’escludibilità
Definizione 2.5. L’escludibilità è la possibilità di evitare che una volta che il
bene è reso disponibile ad un individuo, ogni altro individuo possa liberamente
accedere al consumo.
Esempio 2.7. La lezione è un bene escludibile perchè si può condizionare l’ac-
cesso all’aula, per esempio al pagamento di un corrispettivo. Invece una volta che
lo studente è in aula non si può impedirgli di ascoltare: la lezione diventa non
escludibile.
L’escludibilità dipende dalla tecnologia ed è pertanto variabile nel tempo. Le
trasmissioni televisive sono oggi escludibili, come ben sappiamo, ma non lo erano
qualche decina di anni fa, quando erano trasmesse solo via etere e non esistevano
sistemi per criptare il segnale.

2.3.2 Beni privati, beni pubblici, beni misti


Definizione 2.6. Il bene privato puro è (pienamente) rivale ed escludibile. Il bene
pubblico puro è (pienamente) non rivale e non escludibile.
Il mercato può fornire beni privati perché, in quanto escludibili, possono
essere venduti. Non cosı̀ i beni pubblici: nessuna impresa privata produrrà un
bene per la cui fornitura, non essendo escludibile, non può essere chiesto un
corrispettivo.
Nel caso dei beni pubblici il razionamento del consumo tramite il sistema dei
prezzi non solo è impossibile ma sarebbe anche inefficiente.
I fallimentidel mercato 27

i j
Bmg Bmg Bmg
6 6 6
individuo i individuo j individui i e j

- - -
o xi o xj o xi + xj

Bmg equilibrio di mercato


6 i = Bj = C
Bmg mg mg
Cmg

p∗

-
o q∗ xi + xj

Figura 2.3 Il bene privato: costruzione della curva di domanda ed equilibrio di mercato

2.3.3 La quantità ottima di bene pubblico

La figura 2.3 illustra la costruzione della domanda di mercato nel caso di un bene
privato. Si suppone un’economia formata da due soli individui. A ciascun prez-
zo, ognuno dei due individui sceglie la quantità alla quale il prezzo è eguale al
beneficio marginale. La quantità complessiva domandata è data, ad ogni determi-
nato prezzo, dalla somma delle quantità scelte dai due individui (somma orizzon-
tale). In equilibrio concorrenziale si ha eguaglianza tra il beneficio marginale (di
ciascuno dei due) e il costo marginale.
La figura 2.4 illustra invece la costruzione della domanda di mercato nel ca-
so di un bene pubblico. Ogni quantità di bene pubblico (G) è a disposizione dei
due individui nella stessa misura (per quale proprietà del bene pubblico?). Il ben-
eficio totale è dato, ad ogni determinata quantità, dalla somma dei benefici dei
due individui (somma verticale). La quantità ottima di bene pubblico è quella in
corrispondenza della quale il costo marginale è eguale alla somma dei benefici2 .
Generalizzando ad n individui:

2
Confrontando la 2.4 con la 2.2 lo studente noti come i beni pubblici possano essere considerati
una forma estrema di esternalità reciproca derivante dal consumo congiunto.
28 C APITOLO 2

j
Bmg
6 individuo j

-
o G
i
Bmg
6 individuo i

-
o G
i j i j
Bmg + Bmg Bmg + Bmg
6 6
individui i e j la quantità ottima
i + Bj = C
Bmg mg mg

Cmg

- -
o G o G∗ G

Figura 2.4 Il bene pubblico: costruzione della curva di domanda e determinazione della
quantità ottima

n
X
1 2 n i
Bmg + Bmg + ... + Bmg = Bmg = Cmg
i=1

Il problema del free rider Ogni soggetto razionale sa che nel caso un bene pub-
blico venga fornito, egli ne può godere senza limitazioni, perché non c’è rivalità
nel consumo, e il suo accesso al bene non può essere subordinato al pagamento
di un corrispettivo, perché non c’è escludibilità. Egli non avrà alcun interesse a
rivelare le proprie preferenze per il bene pubblico: ognuno cercherà di non pagare
e fare in modo che paghino gli altri. Questo comportamento, che viene chiam-
I fallimentidel mercato 29

ato del free rider, produce una produzione sub-ottimale o addirittura la mancata
produzione del bene pubblico.

E SERCIZI

Esercizio 2.1. Un monopolista fronteggia una curva di domanda inversa


P = 14 − Q (2.10)

ed ha un costo marginale
Cmg = 2 + 2Q (2.11)
Determinare la perdita secca di efficienza imputabile al monopolio.
Esercizio 2.2. L’individuo a ha la seguente curva di beneficio marginale rispet-
to al proprio consumo di un bene x:
a
Bmg = 12 − 1.5xa (2.12)

Un individuo b trae beneficio dal consumo di x da parte di a secondo la seguente


funzione:
b
Bmg = 4 − 0.5xa (2.13)
Supposto che il prezzo di mercato del bene sia pari a 6, determinare:
1. la quantità di x scelta da a;
2. la quantità di x socialmente ottima;
3. la perdita di benessere imputabile all’esternalità.
Esercizio 2.3. Le curve di disponibilità a pagare di due individui (a e b) per un
bene publico siano
a
Bmg = 3 − 0.75Q (2.14)
b
Bmg = 7 − 1.75Q (2.15)
Il costo marginale di produzione del bene pubblico sia

Cmg = 5 (2.16)

Determinare
1. la quantità ottimale di bene pubblico;
2. il surplus totale in corrispondenza della quantità ottimale.
30
Capitolo 3
Scelta sociale

3.1 La massimizzazione del benessere sociale


iascun punto sulla frontiera delle utilità comporta una diversa distribuzione
C del benessere. Il problema è quello della scelta dell’ottimo tra gli ottimi.
Se si assume di poter attribuire alla collettività un ordinamento di preferenze sui
diversi stati del mondo e se tale ordinamento è continuo e transitivo, esso può
essere rappresentato da una funzione (la funzione del benessere sociale, FBS),
che svolge lo stesso ruolo della funzione di utilità nella rappresentazione degli
ordinamenti di preferenza individuali. Dalla FBS può essere derivata una mappa
di curve di indifferenza sociali: a ogni curva è associato il medesimo livello di
benessere sociale.
L’ottima scelta sociale è data dalla massimizzazione del benessere sociale,
soggetta al vincolo della frontiera delle utilità: il punto di tangenza tra la frontiera
delle utilità e una curva di indifferenza sociale (Figura 3.1).

3.2 Le funzioni del benessere sociale


Una formulazione molto generale di FBS è basata su seguenti tre giudizi di valore
“deboli”, vale a dire sui quali si ritiene possa esservi un ampio accordo: wel-
farismo, individualismo (o “sovranità” del consumatore), principio (debole) del
Pareto.

1. Welfarismo.
Gli argomenti della FBS sono le utilità dei singoli individui:

W = f (u1 , u2 , u3 , . . . , un ) (3.1)
dove W rappresenta il benessere sociale in una collettività di n individui.
32 C APITOLO 3

u2
6

W∗

-
0 u1

Figura 3.1 Il problema della massimizzazione del benessere sociale. Il punto di massimo
benessere sociale, W ∗ , è dato dalla tangenza tra la frontiera delle utilità e una curva di
indifferenza sociale.

Questa ipotesi, per quanto sia ancora largamente dominante, è stata messa in
discussione dagli sviluppi del dibattito teorico dell’ultimo ventennio. Il punto
di partenza è stato un saggio di Sen [1977]. Sen notava come il welfarismo mal
si conciliasse con alcuni valori largamente accolti nelle società contemporanee.
Il principio di libertà, per esempio, non poggia su valutazioni di benessere, ma
sul riconoscimento che certe scelte vanno lasciate integralmente nel dominio
dei singoli individui. Anche il principio di giustizia distributiva, qualora venga
definito in termini di caratteristiche diverse dal benessere (reddito, ricchezza,
livello di istruzione, opportunità’ di scelta, trattamento di fronte alla legge ecc.)
non trova spazio in un approccio welfarista.

2. Individualismo o sovranità del consumatore


L’utilità dei singoli individui è valutata in base al giudizio degli interessati.
Un approccio alternativo è costituito dal paternalismo, con il quale un giudizio
“collettivo” si sostituisce a quello individuale.
Nelle società moderne, politiche orientate da criteri paternalistici sembrano
ampiamente diffuse: si impongono divieti e obblighi, si incentivano determi-
nati comportamenti, se ne sanzionano altri. Si pensi, per limitarsi a qualche
esempio, alla tassazione dei consumi nocivi (fumo, alcol); agli obblighi im-
posti in materia di assicurazione, di previdenza, di livelli minimi di istruzione;
a quelli in campo sanitario, come l’obbligo di vaccinazione. Questa può tuttavia
risultare una conclusione affrettata, perché quasi sempre queste misure possono
essere anche motivate, o quanto meno razionalizzate a posteriori, dalla presenza
Scelta sociale 33

u2
6

I
II
A

C
D

-
0 u1

Figura 3.2 Curve di indifferenza sociali strettamente convesse implicano avversione nei
confronti delle diseguaglianza.

di esternalità, che si hanno quando su un agente non ricadono per intero i bene-
fici e i costi delle proprie scelte, i quali sono in parte scaricati su altri, estranei
a tali scelte.
3. Principio debole del Pareto
Il benessere sociale cresce o al più rimane costante quando aumenta una sola
delle utilità individuali, ferme restando le altre.
In simboli:

∂W/∂ui ≥ 0, ∀i ∈ {1, . . . , n} (3.2)

Una FBS che rispetti le tre proprietà finora introdotte è importante come schema
analitico, ma piuttosto povera di indicazioni concrete di politica economica. In
particolare, mancando completamente considerazioni di carattere distributivo, una
FBS di questo tipo è del tutto inadeguata a risolvere i problemi di trade-off tra
efficienza ed equità. Per poter trattare aspetti distributivi, è necessario introdurre
un quarto giudizio di valore:

4 La disuguaglianza non è un “bene”.


Se si riduce il grado di disuguaglianza nella distribuzione delle utilità individu-
ali, il benessere sociale non diminuisce (cresce o, al più, rimane costante).
In termini analitici, questo significa imporre la condizione che la FBS sia con-
cava nelle utilità individuali:

∂ 2 W/∂u2i ≤ 0, ∀i ∈ {1, . . . , n} (3.3)


34 C APITOLO 3

u2
6
W4

W3

A
W2
C
W1 D
B

-
0 u1

Figura 3.3 Curve di indifferenza sociali lineari implicano neutralità rispetto alla
disuguaglianza.

Quando ∂ 2 W/∂u2i < 0 (FBS strettamente concava, curve di indifferenza sociali


strettamente convesse), si ha avversione alla disuguaglianza.
Quando invece ∂ 2 W/∂u2i = 0 (FBS lineare, curve di indifferenza sociali lin-
eari) si ha neutralità rispetto alla disuguaglianza.
Nella Figura 3.2, date le due curve di indifferenza strettamente convesse I e
II, il punto C, che ha una distribuzione del benessere più equilibrata, risulta
socialmente preferito al punto A (e al punto B), pur essendo eguale utilità com-
plessiva. Di converso, il punto D, pur rappresentando una somma delle utilità
minore rispetto ai punti A e B, risulta loro indifferente: la minore disuguaglian-
za “compensa”, nella valutazione sociale, il minore benessere aggregato. Mag-
giore il grado di avversione alla disuguaglianza, maggiore sarà la convessità
delle curve di indifferenza.
Nel caso di neutralità rispetto alla disuguaglianza, invece, l’ordinamento di
preferenze sociali non risulta influenzato dal grado di disuguaglianza nella di-
stribuzione delle utilità. Nella Figura 3.3 sulla curva di indifferenza di indice
W4 , per esempio, nel punto A, che rappresenta una distribuzione che favorisce
in termini relativi l’individuo 2, il benessere sociale è eguale a quella del punto
B, che è invece più favorevole all’individuo 1, e a quella del punto C dove la
distribuzione del benessere è più equilibrata.

Una FBS la quale rispetti le 4 proprietà finora introdotte rifletterà sia consider-
azioni di carattere allocativo (attraverso il principio di Pareto) sia considerazioni
di carattere distributivo (attraverso il principio di avversione alla disuguaglianza).
Scelta sociale 35

u2
6
- F BS con le quattro proprieta0
e - F BS rawlsiana

c b
A

f
a d
- F BS utilitarista

-
u1

Figura 3.4 Le aree E e F , compresi i contorni, compongono lo spazio delle curve di


indifferenza generate da FBS che rispettano le quattro proprietà.

La classe delle FBS che rispettano le quattro proprietà Guardando alla Figu-
ra 3.4 possiamo delimitare lo spazio delle curve di indifferenza sociale generate
da FBS che rispettano le quattro proprietà.
Si consideri il punto A posto sulla bisettrice. Esso rappresenta la soluzione
egualitaria: i due individui godono dello stesso livello di benessere.
Un curva di indifferenza sociale passante per A non potrà attraversare le aree
a e b, perché, se cosı̀ fosse, non si rispetterebbe il principio debole di Pareto.
D’altra parte, l’ipotesi di avversione/neutralità alla disuguaglianza esclude che
una curva di indifferenza passante per A possa tagliare le aree c e d (perché in
questo caso si tratterebbe di una curva di indifferenza strettamente concava).
Lo spazio delle curve di indifferenza sociale, passanti per A, che rispettano
insieme sia il principio debole di Pareto sia l’ipotesi di avversione/neutralità alla
disuguaglianza sarà allora quello composto dall’unione delle aree e e f , compresi
i contorni.
I contorni di tale spazio assumono un significato ben preciso: il contorno inferiore
(il segmento AB) rappresenta infatti una curva di indifferenza sociale derivata da
una FBS utilitarista; il contorno superiore (la L che poggia nel punto A) una curva
derivata da una FBS rawlsiana. Studiamo allora queste due ipotesi.

3.2.1 La funzione del benessere sociale utilitarista


Il benessere sociale è dato dalla somma delle utilità individuali:
P
W = u1 + u2 + u3 + · · · + un = ni=1 ui
36 C APITOLO 3

uT umg
6 6

- -
Y Y
Figura 3.5 Una funzione di utilità totale del reddito strettamente concava (parte sinistra
della figura) dà luogo a una funzione di utilità marginale del reddito decrescente (parte
destra della figura).

Requisiti informativi:

1. Misurabilità cardinale delle utilità individuali.


2. Confrontabilità degli stati di benessere individuali.
A rigore è sufficiente un tipo di confrontabilità parziale, chiamata confrontabilità
per unità: devono essere confrontabili le differenze tra le utilità degli individui
in diversi stati del mondo, mentre non è necessario il confronto tra i livelli as-
soluti di utilità. Per esempio, dati due stati del mondo, α e β, e due individui,
poniamo che:

u1 (α) = 6 ; u1 (β) = 2 e u2 (α) = 2 ; u2 (β) = 5


Per ordinare, nel senso dell’utilitarismo, lo stato α come superiore allo stato β
(α Âu β) è sufficiente sapere che:

[u1 (α) − u1 (β)] = 4 > [u2 (β) − u2 (α)] = 3


senza dover confrontare i livelli assoluti delle utilità dei due individui (dire,
per esempio, che l’individuo 1 nello stato α “sta meglio” dell’individuo 2 nello
stato α o nello stato β).
Nel seguito, in relazione all’utilitarismo, assumero tuttavia confrontabilità piena.

Le curve di indifferenza sociali derivate da una funzione del benessere utilitarista


saranno lineari e inclinate negativamente a 45o (come quelle rappresentate nella
Figura 3.3): lungo ogni curva la somma delle utilità è costante.
Si tratta dunque di neutralità rispetto alla disuguaglianza. Ciononostante l’u-
tilitarismo, come filosofia politica, ha svolto storicamente un ruolo molto impor-
tante nell’influenzare in senso egualitario le politiche sociali.
Scelta sociale 37

umg
6

A B
C

D
E

-
0 I H G F Y
Figura 3.6 Con una FBS utilitarista, il benessere sociale cresce se si trasferisce un reddito
pari a F G = IH dall’individuo più ricco all’individuo più povero.

In effetti, la neutralità rispetto alla disuguaglianza nelle utilità non implica


neutralità rispetto alla disuguaglianza nei redditi (o nella ricchezza). Occorre
specificare il legame tra reddito e utilità individuale. Se si assume che l’utilità
marginale del reddito sia decrescente al crescere del reddito (Figura 3.5), la neu-
tralità rispetto alla disuguaglianza nelle utilità implica avversione rispetto alla
disuguaglianza nei redditi.
Nella Figura 3.6 si ipotizzano due individui (Ricco e Povero) con la stessa
funzione di utilità marginale del reddito. Nella situazione iniziale Ricco ha un
reddito OF , Povero un reddito OI. Se con un’imposta si sottrae a Ricco una
quantità di reddito pari a GF e la si trasferisce a Povero con un sussidio
(IH = GF ), l’utilità totale del primo si riduce dell’area DEF G, mentre l’utilità
totale del secondo cresce dell’area BCHI: la somma delle utilità aumenta.
La redistribuzione di risorse dai “ricchi” ai “poveri” farà aumentare il be-
nessere sociale, nel senso dell’utilitarismo, fino a che tutti non avranno lo stesso
reddito (perfetta eguaglianza nella ripartizione delle risorse).
Il risultato può essere generalizzato rimuovendo l’ipotesi che gli individui
abbiano la stessa funzione di utilità marginale.
Invece, come si vedrà meglio, esso dipende crucialmente dall’assunzione,
implicita nell’esempio grafico, che la redistribuzione non abbia un costo (non
riduca cioè l’ammontare complessivo delle risorse da distribuire).
38 C APITOLO 3

3.2.2 La funzione del benessere sociale rawlsiana


Un importante criterio di benessere è ispirato alla teoria della giustizia formu-
lata da Rawls [1971], uno fra i maggiori filosofi politici contemporanei. Rawls
riprende la tradizione della filosofia politica contrattualista e propone una vi-
sione della giustizia come equità, in base alla quale le istituzioni fondamentali
di una una società sono eque se e solo se possono essere spiegate come il frutto
di un accordo (contratto sociale) firmato dai cittadini in un ipotetico stato di natu-
ra. Con questo impianto metodologico, Rawls propone una costruzione teorica
ampia ed articolata in cui trovano armoniosa composizione principi diversi, tra
i quali: a) l’uguaglianza dei cittadini nei diritti e nelle libertà civili e politiche;
b) l’uguaglianza di opportunità, intesa come assenza di discriminazioni ingiustifi-
cate nell’accesso ai ruoli e alle carriere nella società; c) una distribuzione delle
risorse in base alla quale il benessere sociale aumenta se viene migliorata (max)
la posizione di chi sta peggio (min).
Quest’ultimo criterio distributivo, se interpretato entro l’impostazione wel-
farista da noi finora seguita, permette un confronto tra la teoria rawlsiana e i cri-
teri di benessere utilitaristico e egualitario. Esprimendo il criterio del maximin
in termini di utilità, la funzione del benessere sociale rawlsiana risulta essere del
tipo:

W = min(u1 , . . . , un )

Si notino i requisiti informativi sulle utilità:

1. misurabilità ordinale;
2. confrontabilità dei livelli di utilità individuali.

La funzione di Rawls combina aspetti tipicamente egualitari con aspetti utilitaristi-


ci e liberali. Il principio egualitario spiega la priorità assegnata al più povero nella
valutazione del benessere di una società; in comune con l’utilitarismo è invece
la completa indifferenza del criterio rawlsiano rispetto alle disuguaglianze che
interessano la popolazione, una volta che si sia tutelato il benessere dell’individuo
più povero. Per cogliere questi aspetti, si considerino tre distribuzioni di benessere
(A, B, C) tra due individui (i, j):

A B C
i 10 12 9
j 10 20 100

L’allocazione A è quella preferita secondo l’egualitarismo (è infatti l’unica a


prevedere una eguale distribuzione delle utilità); l’allocazione C è quella preferita
secondo l’utilitarismo; la funzione del benessere sociale di Rawls invece è mas-
simizzata dalla allocazione B, in cui il più povero ha il più alto indice di utilità. Si
noti che la distribuzione B prevede una minore somma delle utilità rispetto a C,
ma anche un maggior grado di disuguaglianza rispetto ad A: il criterio di Rawls
Scelta sociale 39

u2
6

IV

III
A B
II
I

-
u1

Figura 3.7 Una mappa di curve di indifferenza generata da una FBS rawlsiana. Nel
punto A sulla curva di indifferenza di indice II l’individuo 2 è in una posizione peggiore
rispetto all’individuo 1. Il movimento da A a B, che non produce alcun miglioramento
per l’individuo 2, non incrementa il benessere sociale.

corregge l’assoluta indifferenza rispetto alle questioni distributive, propria dei cri-
teri puramente aggregativi come l’utilitarismo, non in nome di un maggior grado
di uguaglianza, ma con una attenzione alle fasce più povere nella distribuzione.
Sotto un profilo prescrittivo il criterio di Rawls quindi non giustifica politiche di
redistribuzione orientate alla riduzione delle disuguaglianze; piuttosto, fornisce
un fondamento teorico alle politiche volte ad aumentare il benessere di chi sta
peggio: le politiche di lotta alla povertà e le politiche di inclusione sociale.
Le curve di indifferenza rawlsiane rappresentano la massima avversione rispetto
alla diseguaglianza (Figura 3.7).

3.3 Confronti tra criterio del Pareto, FBS utilitarista, FBS


rawlsiana
Si consideri la Tabella 3.1:

• con il criterio del Pareto A, B e C sono non confrontabili (sono tutti punti di
ottimo);
• con una FBS utilitarista: [A ∼ B ∼ C]U ;
• con una FBS rawlsiana: [C Â A ∼ B]R .
40 C APITOLO 3

Tabella 3.1 In colonna 3 stati del mondo, in riga gli indici di utilità di 3 individui.

A B C
u1 60 90 90
u2 80 90 70
u3 100 60 80
P3
1 ui 240 240 240

In generale, sia Z l’insieme dei possibili stati del mondo e siano P, U, R gli in-
siemi dei miglioramenti, rispettivamente, nel senso di Pareto, nel senso dell’utili-
tarismo e nel senso di Rawls.
Abbiamo che:

1. La relazione di dominanza nel senso di Pareto implica una relazione di domi-


nanza nel senso dell’utilitarismo, ma non vale il contrario.

∀A, B ∈ Z, A ÂP B ⇒ A ÂU B e A ÂU B 6⇒ A ÂP B
Quindi: P ⊂ U
2. La relazione di dominanza nel senso di Pareto non implica una relazione di
dominanza nel senso di Rawls, né vale il contrario. I due insiemi P e R non
sono tuttavia disgiunti.

∀A, B ∈ Z, A ÂP B 6⇒ A ÂR B e A ÂR B 6⇒ A ÂP B
P ∩R=
6 ∅

P
R

Figura 3.8 Gli insiemi dei miglioramenti nel senso di Pareto, nel senso dell’utilitarismo
e nel senso di Rawls.
Scelta sociale 41

3. La relazione di dominanza nel senso dell’utilitarismo non implica una relazione


di dominanza nel senso di Rawls, né vale il contrario. I due insiemi U e R non
sono tuttavia disgiunti.

∀A, B ∈ Z, A ÂU B 6⇒ A ÂR B e A ÂR B 6⇒ A ÂU B

U ∩R=
6 ∅

Si veda anche la Figura 3.8.

3.4 Confronti tra utilitarismo, rawlsismo, egualitarismo


in assenza e in presenza di trade-off equità-efficienza
Si è visto nella Sezione 3.2.1 che, nell’ipotesi di utilità marginale del reddito de-
crescente, la soluzione utilitarista coincide con la soluzione egualitaria. Il risultato
dipende dall’assunzione che la redistribuzione non abbia costi, vale a dire che non
vi sia trade-off equità/efficienza. In questa sezione si mostra come i risultati del
confronto tra utilitarismo, rawlsismo ed egualitarismo dipendano dalla presenza
del trade-off e dalla sua intensità.
Si considera una collettività composta da due individui, 1 e 2, con redditi y1
e y2 , cui sono associate le utilità u1 e u2 .

y2 u2
6 6
y1 = y2 u1 = u2
y2 y1∗ = y2∗ u∗1 = u∗2
u2

y2∗ R0 u∗2 R

- -
0 y1∗ y1 y1 u∗1 u1 u1

Figura 3.9 Il caso della redistribuzione senza costi con utilità marginale costante. La
parte sinistra della figura rappresenta la curva delle opportunità, la parte destra la curva
delle possibilità di utilità.
42 C APITOLO 3

3.4.1 Primo caso: redistribuzione senza costi e utilità marginale


del reddito costante
Nella parte destra della Figura 3.9 è rappresentata una curva delle opportunità:
essa esprime il reddito massimo che può ottenere l’individuo 2 per ogni dato li-
vello di reddito dell’individuo 1. Se la curva delle opportunità è lineare e inclinata
a 45o , la somma dei redditi dei due individui è costante:

y1 + y2 = ȳ1 = ȳ2
La ricchezza complessiva risulta dunque indipendente dalla sua distribuzione tra i
due individui: la redistribuzione non ha costi.
Se si assume che i due individui abbiano una medesima funzione lineare di
utilità del reddito la curva delle possibilità di utilità avrà la stessa forma: essa è
rappresentata nella parte destra della Figura 3.9.
In questo caso la soluzione utilitarista è indeterminata perché corrisponde ad
ogni punto lungo la curva delle possibilità di utilità. Il criterio rawlsiano prescrive
una eguale ripartizione della ricchezza (y1∗ = y2∗ ) e del benessere (u∗1 = u∗2 ).

3.4.2 Secondo caso: redistribuzione senza costi e utilità marginale


del reddito decrescente
Se si fa l’ipotesi che l’utilità marginale del reddito sia decrescente - mantenendo
fermo che si tratti della medesima funzione per i due individui - la curva delle pos-
sibilità di utilità risulta strettamente concava e simmetrica rispetto alla bisettrice.
Essa è rappresentata nella parte destra della Figura 3.10.

y2 u2
6 y1 = y2 6
u1 = u2
y1∗ = y2∗ u∗1 = u∗2
y2 u2
u∗2 U =R

y2∗ U 0 = R0

- -
0 y1∗ y1 y1 u∗1 u1 u1

Figura 3.10 Il caso della redistribuzione senza costi con utilità marginale decrescente.
La FBS utilitarista e la rawlsiana producono entrambe la soluzione egualitaria.
Scelta sociale 43

Si ha allora che la soluzione utilitarsita e la soluzione rawlsiana coincidono


nel prescrivere una eguale ripartizione della ricchezza e del benessere.
Si noti che i risultati dei casi 1 e 2 sono di portata generale. Per quanto riguar-
da la FBS rawlsiana si può, in particolare, formulare la seguente proposizione.
Proposizione 3.1. Una funzione del benessere sociale rawlsiana dà sempre luo-
go a una distribuzione perfettamente egualitaria del benessere quando la somma
delle utilità è costante.

3.4.3 Terzo caso: redistribuzione con costi e utilità marginale del red-
dito decrescente
Il caso di redistribuzione con costi è rappresentato nella Figura 3.11: lungo la
curva delle opportunità la somma dei redditi decresce man mano che ci si sposta
dall’intercetta ȳ2 all’intercetta ȳ1 .
In questo caso solo con una FBS rawlsiana si ha la soluzione egualitaria nel-
la distribuzione delle risorse (y1(R)∗ ∗
= y2(R) ) e del benessere (u∗1(R) = u∗2(R) ).
Con una FBS utilitarista la ripartizione delle risorse (y1(U∗ ∗
) < y2(U ) ) e del be-
∗ ∗
nessere (u1(U ) < u2(U ) ) favorisce, in termini relativi, l’individuo 2, che è più
“produttivo”.

3.4.4 Quarto caso: redistribuzione con costi molto elevati e utilità


marginale del reddito decrescente
Anche una FBS rawlsiana non prescriverà una eguale ripartizione del benessere
qualora i costi della redistribuzione siano talmente elevati che, oltre un certo li-

y2 u2
y2 6 y1 < y2 6 u1 < u2
∗ ∗
y1(U ) < y2(U u∗1(U ) < u∗2(U )

) u2
y2(U ) U0 ∗
y1(R) ∗
= y2(R) u∗2(U ) u∗1(R) = u∗2(R)
U

u∗2(R) R


y2(R) R0

- -

y1(U ∗ u∗1(U ) u∗1(R) u1
) y1(R) y 1 y1 u1

Figura 3.11 Il caso della redistribuzione con costi e con utilità marginale decrescente.
Una FBS utilitarista e una rawlsiana non danno la stessa soluzione.
44 C APITOLO 3

u2 6

U
R

-
0 u1

Figura 3.12 Anche nella soluzione rawlsiana non si ha una eguale ripartizione del
benessere tra i due individui.

mite, si riduca anche l’utilità dell’individuo a favore del quale sono indirizzate le
politiche redistributive. Il caso è rappresentato nella Figura 3.12 dove il punto E,
di intersezione tra la curva delle possibilità di utilità e la bisettrice, rappresenta la
soluzione egualitaria.

E SERCIZI

Esercizio 3.1. Scrivere la funzione del benessere sociale utilitarista e quella


ispirata a Rawls. Ordinare le seguenti situazioni secondo l’una e secondo l’altra.

A B C D
u1 70 68 72 72
u2 50 55 55 50
u3 65 100 60 65

Esercizio 3.2. Indicare se le seguenti affermazioni sono vere o false.


1. Se una situazione domina un’altra sia nel senso di Pareto sia nel senso di Rawls
la domina anche da un punto di vista utilitarista.
Scelta sociale 45

V F

2. La funzione del benessere sociale rawlsiana è del tutto insensibile al trade-off


equità/efficienza
V F

3. La funzione del benessere rawlsiana implica, come quella utilitarista, la com-


parabilità e la misurabilità in senso cardinale.
V F

Esercizio 3.3. Si consideri la seguente Frontiera delle utilità:

UA + 2UB = 10 (3.4)
Si individui graficamente l’allocazione ottimale (o le allocazioni ottimali) in base
ai seguenti criteri:

1. Pareto
2. Utilitarismo
3. maximin à la Rawls
4. Egualitarismo
46
Capitolo 4
Analisi della disuguaglianza

uesto capitolo è dedicato al tema delle disuguaglianze economiche e, in modo


Q particolare, al problema della misurazione della disuguaglianza in una di-
stribuzione delle risorse.
La disuguaglianza tra le posizioni economiche dei diversi individui costitui-
sce un elemento di valutazione che, insieme al giudizio di efficienza, permette
di apprezzare la desiderabilità sociale di un dato assetto dell’economia. Oltre
a essere intrinsecamente rilevante per la valutazione sociale, l’analisi della di-
suguaglianza è necessaria alla comprensione di fenomeni sociali diversi, a essa
legati da relazioni di tipo causale. Per esempio, ci si interroga sulla relazione
esistente tra grado di disuguaglianza e potenzialità di crescita di un’economia;
tra grado di disuguaglianza (o “polarizzazione”) nella delle risorse e possibilità
di tensioni e conflitti sociali; viceversa, ci si domanda quale effetto abbia avuto la
globalizzazione dell’economia mondiale sul grado di disuguaglianza tra i paesi del
mondo e all’interno dei singoli paesi. In tutti questi casi, lo scienziato sociale ha la
necessità di effettuare confronti tra distribuzioni sulla base della disuguaglianza:
per confrontare le economie di un intervento pubblico sul grado di disuguaglianza
in un paese, per studiare l’evolversi nel tempo della disuguaglianza in una data
economia.
Per quanto le disuguaglianze economiche tra gli individui possano manife-
starsi nelle forme più varie - disuguaglianze nel grado di istruzione, nel tipo di
occupazione, nel livello di reddito e di patrimonio, nella capacità di consumo -
in questa sede si assumerà che tutte queste dimensioni siano rappresentabili da
un’unica variabile: il reddito. Il problema delle disuguaglianze economiche sarà
dunque ridotto a un problema di tipo unidimensionale: si tratterà di effettuare
misurazioni e confronti di disuguaglianza e di benessere fra diverse distribuzioni
di reddito. Per semplicità, si limiterà ulteriormente l’analisi al confronto di distri-
buzioni con lo stesso numero di individui. In generale, date due distribuzioni di
redditi X e Y , si tratta di stabilire se la disuguaglianza in X sia maggiore, uguale
o minore della disuguaglianza in Y.
48 C APITOLO 4

La maniera forse più elementare per valutare la disuguaglianza in una di-


stribuzione consiste nel confrontare il reddito dell’individuo più povero con il
reddito dell’individuo più ricco. Una semplice generalizzazione consiste nel con-
frontare, piuttosto che l’individuo più povero con quello più ricco, il gruppo di
individui più poveri con il gruppo di individui più ricchi. Guardando per esempio
all’economia mondiale nel suo complesso, si osserva che nel 1960 il 20% più ric-
co della popolazione mondiale possedeva il 70,2% del reddito del mondo, mentre
il 20% più povero toccava circa il 2,3%: il rapporto tra il gruppo più ricco e quello
più povero era quindi di 30 a 1. Dopo circa 40 anni (nel 1998), il primo gruppo
è giunto a disporre dell’86% delle risorse, mentre il 20% più povero è sceso al-
l’uno per cento. Il rapporto tra i più ricchi e i più poveri è passato a 86 contro 1.
Differenze ancora più rilevanti si osservano all’interno di singoli paesi.
Per quanto efficace e facilmente comprensibile, questo indicatore non ci dice
nulla sulle posizioni intermedie. Sarebbe auspicabile utilizzare una misura che
guardasse a tutta la distribuzione, e non solo ai valori estremi.
Una modalità largamente utilizzata per rappresentare l’intera distribuzione
dei redditi e per confrontare distribuzioni alternative sulla base della disuguaglian-
za è basata sulla curva di Lorenz.

4.1 Ordinamenti parziali di distribuzioni del reddito


4.1.1 La curva di Lorenz
Si consideri una generica distribuzione X = (x1 , x2 , . . . , xN ) in cui i redditi
posseduti da N individui siano stati ordinati in maniera crescente:

x1 ≤ x2 . . . ≤ xN
La curva di Lorenz della distribuzione X, LX , indica, per ogni percentuale cu-
mulata di individui più poveri, la percentuale di reddito complessivo da questi
posseduta. È quindi il luogo dei punti di coordinate:
à i
!
1X
pi , xk
T
k=1

dove:
i = 1, . . . , N ;
pi = Ni ;
P
T = N k=1 xk .
La curva di Lorenz è rappresentata nella Figura 4.1.
Esempio 4.1. Si consideri la seguente distribuzione:

X = (10, 20, 30, 40, 60)


Analisi della disuguaglianza 49

- P rop. di reddito totale


6
1
linea
della perf etta
eguaglianza

1 P5
T k=1 xk ¾ Curva
di Lorenz
6

P rop.
di individui
6
-
0 1/N 5/N N/N = 1
Figura 4.1 La curva di Lorenz.

Nella Tabella 4.1 si individuano le ascisse e le ordinate della curva di Lorenz.


La popolazione è costituita da cinque persone, dunque ciascuna di esse rappresenta
un quinto della popolazione. Al primo 20% della popolazione è attribuito il 6.2%
del reddito complessivo: dunque, come si vede nella Figura 4.2, il primo punto
della curva di Lorenz è individuato dalle coordinate (0.20; 0.062). Al secondo
20% della popolazione è attribuito il 12.5% del reddito. Insieme al primo, essi
formano il 40% della popolazione e posseggono il 18.7% del reddito complessi-
vo: il secondo punto della curva di Lorenz sarà individuato dalle coordinate (0.40;
0.187). Cosı̀ via fino all’ultimo punto, in corrispondenza del quale vi è il 100%
della popolazione che naturalmente possiede il 100% del redito totale. Dunque si
avrà LX (0) = 0 e LX (1) = 1.
Se i redditi fossero distribuiti esattamente in parti uguali, in modo che al 20%
della popolazione più povera fosse attribuito il 20% del reddito, al 40% il 40% di
reddito, e cosı̀ via, la curva di Lorenz verrebbe a coincidere con la bisettrice del
quadrato di lato uno, che dunque rappresenta la linea della perfetta uguaglianza.

Tabella 4.1 La curva di Lorenz.


i Pi 1 Pi
i xi pi = N k=1 xk L(pi ) = T k=1 xk
1 10 0,20 10 0,062
2 20 0,40 30 0,187
3 30 0,60 60 0,375
4 40 0,80 100 0,625
5 60 1 160 1
50 C APITOLO 4

0, 625

0, 375

0, 187
0, 062

0 0, 2 0, 4 0, 6 0, 8 1
Figura 4.2 Il caso della Tabella 4.1.

Nel caso opposto, quando cioé tutto il reddito fosse concentrato nelle mani di un
solo individuo, la curva di Lorenz assumerebbe un andamento ad angolo retto,
coincidente con l’asse delle ascisse e con il segmento verticale di destra. Al di là
di questi casi polari, la curva di Lorenz rimarrà in genere al di sotto della retta di
equa ripartizione, presentando una inclinazione negativa e un andamento conves-
so. Quanto più la curva di Lorenz sarà vicina alla bisettrice, tanto più egualitaria
la distribuzione. Quanto più se ne distanzierà, tanto maggiore la disuguaglianza.

4.1.2 Ordinamento di Lorenz


Date due distribuzioni di reddito X e Y, diremo che la disuguaglianza in Y è
minore della disuguaglianza in X in base al criterio di Lorenz se e solo se la
curva di Lorenz di Y giace sempre al di sopra della curva di Lorenz di X (Figura
4.3). In termini analitici, definiamo l’ordinamento di Lorenz come segue.

Definizione 4.1 (Ordinamento di Lorenz). Date due distribuzioni X e Y , Y


domina Xnel senso di Lorenz (Y ÂL X) se e solo se

P
i P
i
yk xk
k=1 k=1

PN PN
yk xk
k=1 k=1

per ogni i = 1, ..., N e LX 6= LY


Analisi della disuguaglianza 51

1 6















 - Ly (p)



L(p)

 - Lx (p)

















-
0 | {z } 1
p

Figura 4.3 La distribuzione Y domina, nel senso di Lorenz, la distribuzione X.

Nella Tabella 4.2 sono riportati i valori delle curve di Lorenz delle distribuzioni
dei redditi in Italia, relative agli anni 1980, 1989, 2000 (dati della Banca d’Italia).
È evidente come la distribuzione dei redditi relativa al 1980 domini nel sen-
so di Lorenz la distribuzione del 1989, e quest’ultima domini quella del 2000.
Emerge una indicazione chiara: la disuguaglianza in Italia, negli ultimi venti anni,
è cresciuta in maniera costante.
L’ordinamento di Lorenz è transitivo ma non completo. Nel caso in cui le
curve di Lorenz relative a due distribuzioni si intersechino tra loro (Figura 4.4),
il confronto rimane indeterminato: le due distribuzioni sono non confrontabili in
base al criterio di Lorenz. Gli ordinamenti incompleti vengono chiamati ordina-
menti parziali.

Tabella 4.2 La distribuzione dei redditi in Italia.

% popolazione % reddito-1980 % reddito1989 % reddito 2000


10 2,9 2,9 2,1
20 7,7 7,4 6,1
30 13,4 12,8 11,3
40 20,4 19,7 17,7
50 28,4 27,3 25,3
60 37,7 36,7 34,2
70 48,3 47,3 44,9
80 60,6 59,7 56,7
90 75,6 75,2 72,4
52 C APITOLO 4

1 6













 - Ly (p)





L(p)


















 - Lx (p)
-
0 | {z } 1
p

Figura 4.4 Le distribuzioni X e Y non sono confrontabili nel senso di Lorenz.

L’ordinamento di Lorenz soddisfa il principio dell’invarianza alla scala: se tutti i


redditi in una distribuzione sono moltiplicati per una stessa costante positiva k, la
curva di Lorenz non cambia.

Si considerino le seguenti distribuzioni:


• X = (10, 20, 30, 40, 60, 140);
• Y = (10k, 20k, 30k, 40k, 60k, 140k);
dove k > 0.
È facile verificare che le curve di Lorenz relative alle distribuzioni X e Y coinci-
dono. La stessa curva di Lorenz può quindi rappresentare due diverse distribuzioni
del reddito. Le misure che rispettano l’invarianza alla scala sono dette misure re-
lative di disuguaglianza. Per tutte le misure che rispettino questa proprietà, è per
esempio indifferente che la distribuzione dei redditi sia espressa in valori nominali
o reali, o che sia espressa in una divisa piuttosto che in un altra (dollari o euro, per
esempio).

4.1.3 Ordinamento alla Robin Hood


Un trasferimento alla Robin Hood è un trasferimento di reddito da un individu-
o più ricco a uno più povero, che lasci inalterata la posizione relativa dei due
individui.
Definizione 4.2 (Trasferimento alla R.H.). Data una distribuzione dei redditi X,
un trasferimento pari a δ > 0 fra gli individui j e k è un trasferimento alla R.H.
se la nuova distribuzione X 0 che si ottiene è tale che:
Analisi della disuguaglianza 53

0
1. xi = xi per ogni i 6= j, k
0
2. xj +δ = x j
0
3. xk −δ = x k
0 0
4. xj ≤ x k

Il principio del trasferimento alla Robin Hood asserisce che, ceteris paribus, il
trasferimento di una unità di reddito da una persona più ricca a una più povera,
se lascia invariate le posizioni relative, deve ridurre il grado di disuguaglianza. Il
principio del trasferimento alla R.H. può essere utilizzato per definire un nuovo
criterio di disuguaglianza.
Definizione 4.3 (Dominanza di Robin Hood). Date due distribuzioni Y e X con
la stessa media (µy = µx ) se Y può essere ottenuto da X mediante una sequenza
di trasferimenti alla R.H., allora X è più ineguale di Y e Y domina X nel senso di
R.H.:
Y >R.H. X
Anche questo ordinamento, come quello di Lorenz, è transitivo ma non completo.
In particolare, si noti che per poter confrontare due diverse distribuzioni di reddito
in base al criterio di R.H. è necessario che queste abbiano medie eguali: non sarà
infatti mai possibile modificare la media (o il reddito totale) di una distribuzione
attraverso una sequenza di interventi di pura redistribuzione come i trasferimenti
alla R.H. Due distribuzioni con media diversa sono non confrontabili in base al
criterio di R.H.
Esempio 4.2. Nella Tabella 4.3 sono riportate tre distribuzioni di redditi X, Y e Z
relative a cinque individui.
La distribuzione X è più ineguale della distribuzione Y: infatti quest’ultima si può
ottenere da X mediante la sequenza di trasferimenti alla R.H. riportata alla Tabella
4.4. Nessun confronto può essere fatto tra X e Z e nemmeno tra Y e Z in quanto
non esiste alcuna sequenza di trasferimenti che ci permetta di derivare la seconda
dalle prime. Quale relazione sussiste tra i due criteri di disuguaglianza finora
introdotti?
È possibile dimostrare che, date due generiche distribuzioni di reddito X e Y,
se X domina Y nel senso di R.H. allora X domina Y nel senso di Lorenz. Non vale
il contrario.

Tabella 4.3 L’ordinamento alla Robin Hood.

i X Y Z
1 2 3 3
2 3 3 4
3 5 6 4
4 9 8 7
5 11 10 12
54 C APITOLO 4

Tabella 4.4 Trasferimenti alla Robin Hood.

X 7→ X0 7→ X00 7→ X000 7→ Y
2 2 2 2 3
3 3 3 4 3
5 5 7 6 6
9 10 8 8 8
11 10 10 10 10

Che la dominanza di Lorenz non implichi la dominanza secondo R.H. può essere
dimostrato con il seguente esempio. Si consideri la distribuzione
X = (10, 20, 30) e si applichi a questa distribuzione un trasferimento di cinque
unità di reddito dall’individuo più ricco a quello più povero, ottenendo cosı̀
la distribuzione Y = (15, 20, 25) . Y dominerà X in base al criterio di R.H.:
Y >RH X, e, da quanto detto in precedenza, segue che X dominerà Y anche
secondo il criterio di Lorenz: Y >L X. Si moltiplichino ora tutti i redditi di Y per
una costante k. Si otterrà una nuova distribuzione Z = (15k, 20k, 25k) la quale,
in base alla proprietà di invarianza alla scala, sarà indifferente alla distribuzione
Y secondo il criterio di Lorenz. Dunque risulterà:
• Y >L X
• Z ∼L Y
Essendo l’ordinamento di Lorenz un ordinamento transitivo, segue che Z >L X.
D’altro canto, le distribuzioni Z e X hanno media diversa: dunque non saranno
confrontabili in base all’ordinamento di R.H. Abbiamo dimostrato che la domi-
nanza di Lorenz non implica la dominanza alla R.H.

4.1.4 Ordinamenti parziali: benessere e disuguaglianza


Abbiamo finora introdotto i seguenti ordinamenti di disuguaglianza:
1. Ordinamento di Lorenz: date due distribuzioni X e Y, X >L Y se e solo se
LX (pi ) ≥ LY (pi ) per ogni pi = Ni con i = 1, 2, . . . , N.
2. Ordinamento di Robin Hood: date due distribuzioni X e Y, X >RH Y se e
solo se X può essere ottenuto da Y mediante una sequenza di trasferimenti
alla R.H.
Nel Capitolo 3 è stato introdotto e discusso il criterio di scelta sociale basato sulla
funzione di benessere sociale utilitaristica. In base al criterio utilitaristico, date
due distribuzioni delle risorse X e Y , X sarà preferita a Y se e solo se la somma
delle utilità individuali in X è maggiore della somma delle utilità individuali in
Y:
N
X N
X
X >U Y ⇔ U (xi ) > U (yi )
i=1 i=1
Analisi della disuguaglianza 55

Si è anche visto come, pur esibendo neutralità rispetto alla disuguaglianza nelle
utilità, in presenza di funzioni di utilità individuali crescenti e concave il crite-
rio utilitarista premi qualsiasi redistribuzione di risorse da un individuo ricco a
un individuo più povero. Si consideri la Figura 3.6: il trasferimento ipotizzato
è un esempio di trasferimento alla R.H.: un qualsiasi trasferimento alla R.H. è
in grado di aumentare il benessere sociale in base al criterio utilitaristico, purché
gli individui siano caratterizzati da utilità marginale positiva e decrescente. D’al-
tro canto, sappiamo che applicando un trasferimento alla RH a una distribuzione
X di partenza, si otterrà una nuova distribuzione Y che dominerà X in base al-
l’ordinamento di Lorenz. Queste osservazioni, opportunamente estese e genera-
lizzate, costituiscono il contenuto del teorema fondamentale dell’economia della
disuguaglianza.
Teorema 4.1 (Teorema Fondamentale della Disuguaglianza). Date due distri-
buzioni di reddito X e Y con media uguale (µX = µY ), le seguenti affermazioni
sono equivalenti:

1. Y >L X
2. Y >R.H. X
3. Y >U X per tutte le funzioni di utilità U crescenti e concave.

Il teorema fondamentale della disuguaglianza stabilisce una connessione tra la


teoria del benessere e della scelta sociale (introdotta nel Capitolo 3) e la teoria
della misurazione della disuguaglianza. Si noti tuttavia che il risultato si applica
solo a confronti tra distribuzioni con media uguale. Entro il dominio costituito
dalle distribuzioni con media uguale, il teorema fornisce una giustificazione rigo-
rosa, basata su chiari e comprensibili giudizi di valore, a una metodologia statisti-
ca facilmente implementabile: la curva di Lorenz. Il significato dell’equivalenza
tra ordinamento di Lorenz e ordinamento utilitaristico è duplice. Da un lato, se
X domina Y in base all’ordinamento di Lorenz, allora X sarà preferita a Y dalla
FBS utilitarista - qualsiasi siano le funzioni di utilità individuali prescelte, purché
crescenti e concave. D’altro canto, se X domina Y per tutte le possibili funzioni
individuali crescenti e concave, aggregate secondo la regola utilitaristica, allora
X dominerà Y in base alla curva di Lorenz.

4.1.5 Curva di Lorenz generalizzata


Per quanto l’ordinamento di Lorenz sia applicabile anche a distribuzioni con me-
dia diversa, la giustificazione normativa - basata sul teorema fondamentale - è lim-
itata al solo caso di distribuzioni con media uguale. È tuttavia possibile formulare
un criterio di dominanza tra distribuzioni il quale abbia un supporto normativo
anche nella ipotesi, altamente realistica, di confronto tra distribuzioni con media
diversa. Si tratta del criterio basato sulla curva di Lorenz generalizzata, ottenuta
moltiplicando la curva di Lorenz per la media della distribuzione.
La curva di Lorenz generalizzata di una distribuzione X, GLX , indica, per
ogni percentuale cumulata di individui più poveri, la percentuale di reddito com-
56 C APITOLO 4

plessivo da questi posseduta moltiplicata per il reddito medio della distribuzio-


ne. Quindi, sull’asse delle ordinate, la curva di Lorenz generalizzata riporta
l’ammontare cumulato di reddito, espresso in termini procapite dell’intera popo-
lazione.
Analiticamente, data una generica distribuzione X = (x1 , x2 , . . . , xN ), la
curva di Lorenz generalizzata della distribuzione X, GLX , è il luogo dei punti di
coordinate:
à i
!
1 X
pi , xk
N
k=1

dove i = 1, . . . , N e pi = Ni .
È facilmente verificabile che le curve di Lorenz generalizzate siano ottenute dal
prodotto delle normali curve di Lorenz L(p) per la media della distribuzione µ.
Infatti, ricordando che, data una distribuzione X, per ogni i = 1, ..., N, LX (pi ) =
1 Pi T
T k=1 xk e che µX = N , otteniamo

i i
T 1X 1 X
GLX (pi ) = xk = xk .
NT N
k=1 k=1

È immediato verificare che GL (0) = 0 e GL (1) = µX .

4.1.6 Ordinamento di Lorenz generalizzato


Definizione 4.4. Date due distribuzioni X e Y , X domina Y nel senso di Lorenz
P
i Pi
generalizzato (X ÂGL Y ) se e solo se N1 xk ≥ N1 yk per ogni i = 1, ..., N
k=1 k=1
e GLX 6= GLY .

Nel caso particolare di due distribuzioni con media uguale, l’ordinamento di Lo-
renz generalizzato coincide con l’ordinamento di Lorenz. A differenza dell’or-
dinamento di Lorenz, che è un puro ordinamento di disuguaglianza, il criterio di
Lorenz generalizzato riflette sia considerazioni di equità sia considerazioni di ef-
ficienza. A illustrazione di questo punto, si consideri la distribuzione
X = (10, 20) . Si supponga ora di aumentare del 50% il reddito dell’individuo
più ricco, in modo da ottenere la distribuzione Y = (10, 30) . Pur essendo aumen-
tato il grado di disuguaglianza (cosa che potrà essere verificata osservando che X
domina Y in base al criterio di Lorenz), la curva di Lorenz generalizzata di Y è
al di sopra della curva di X : dunque Y ÂGL X. Si supponga ora di modificare
la distribuzione Y attraverso un trasferimento alla Robin Hood, in modo da ot-
tenere la distribuzione Z = (15, 25) . È facile verificare che Z ÂGL Y (in questo
caso, confrontando distribuzioni con la stessa media, gli ordinamenti di Lorenz e
di Lorenz generalizzato coincidono). L’ordinamento delle distribuzioni X, Y e Z
Analisi della disuguaglianza 57

GL(p) 6
µy

µx

GLy
GLx

-
0 1 p

Figura 4.5 La distribuzione Y domina la distribuzione X nel senso di Lorenz generaliz-


zato.

sarà il seguente: Z ÂGL Y ÂGL X, dove la prima relazione di dominanza ri-


flette considerazioni di carattere esclusivamente distributivo e la seconda è dovuta
all’aumento del reddito aggregato.
Anche l’ordinamento di Lorenz generalizzato, al pari dell’ordinamento di Lo-
renz, è un ordinamento incompleto: può darsi il caso di due distribuzioni le cui
curve di Lorenz generalizzate si intersechino.
Il seguente teorema, stabilendo l’equivalenza tra ordinamento di Lorenz ge-
neralizzato e ordinamento di benessere utilitaristico, fornisce la giustificazione
normativa del criterio di Lorenz generalizzato.
Teorema 4.2 (Shorrocks). Date due distribuzioni di reddito X e Y, Y >GL X se
solo se Y >U X per tutte le funzioni di utilità crescenti e concave.
In questo teorema, a differenza di quanto accade con il teorema fondamentale,
non è richiesta l’uguaglianza delle medie.

4.2 Ordinamenti completi di distribuzioni del reddito


Nel caso in cui gli ordinamenti parziali di disuguaglianza (ordinamento di Lo-
renz, di RH, ...) non diano una risposta univoca, i confronti tra distribuzioni
possono essere effettuati utilizzando un indice di disuguaglianza. Un indice di
disuguaglianza è una funzione che assegna a ogni distribuzione un numero reale:
data una distribuzione di redditi X e un indice I, I(X) sarà il livello di disu-
guaglianza nella distribuzione X in base all’indice I. Date due distribuzioni
58 C APITOLO 4

X e Y , diremo che la distribuzione X è più disuguale della distribuzione Y se


I(X) > I(Y ). Poiche i numeri sono sempre confrontabili, non si verificheranno
casi di non confrontabilità tra distribuzioni (non ci saranno casi di incompletez-
za dell’ordinamento). Tuttavia, esiste una pluralità di indici di disuguaglianza,
ciascuno basato su un insieme di giudizi di valore, e può darsi il caso di due in-
dici che, nel confronto tra due distribuzioni, diano due risposte diverse. Date due
distribuzioni di reddito X e Y , e due diversi indici di disuguaglianza I1 e I2 , è
possibile il seguente risultato: I1 (X) > I1 (Y ) e I2 (X) < I2 (Y ). Questo succede
perché diversi indici in genere catturano aspetti diversi della disuguaglianza: per
esempio, alcuni indici attribuiscono un peso relativamente maggiore alla disugua-
glianza presente nella coda bassa della distribuzione, cioé alla disuguaglianza tra
gli individui più poveri; altri indici attribuiscono una importanza particolare alle
posizioni relative degli individui (al rango), piuttosto che ai livelli di reddito; e
cosı̀ via. Si tratta allora di scegliere l’indice di disuguaglianza che meglio rifletta i
giudizi di valore dell’analista. È possibile domandarsi quale relazione sussista tra
indici di disuguaglianza. Pur senza entrare nel dettaglio, è possibile individuare un
insieme S di indici di disuguaglianza, basati su una serie di proprietà desiderabili,
tra le quali il principio di invarianza alla scala e il principio del trasferimento alla
RH, in modo da ottenere il seguente risultato: date due generiche distribuzioni X
e Y , X dominerà Y in base all’ordinamento di Lorenz se e solo se I(X) < I(Y )
per tutti gli indici appartenenti alla famiglia S. Gli indici nella famiglia S sono
chiamati indici consistenti con l’ordinamento di Lorenz. In altre parole, la domi-
nanza di Lorenz corrisponde alla unanimità tra i componenti la famiglia S. Segue
che, nel caso di intersezione tra le curve di Lorenz di due distribuzioni X e Y ,
esisteranno di sicuro almeno due indici, I1 e I2 , appartenenti alla famiglia S, che
nel confronto tra X e Y daranno dominanze di segno opposto. Nei paragrafi che
seguono si descrivono due tra gli indici di disuguaglianza più utilizzati.

4.2.1 Il coefficiente di Gini (G)


Intuitivamente, il coefficiente di Gini misura di quanto la Curva di Lorenz di una
distribuzione sia distante dalla linea della perfetta uguaglianza. Il coefficiente del
Gini è dato da:

A
G= = 2A = 1 − 2B
A+B
dove B è l’area al di sotto della curva di Lorenz e A l’area compresa tra la curva
di Lorenz e la linea della perfetta eguaglianza (Figura 4.6).
L’indice G può assumere valori compresi tra 0 e 1. Sarà uguale a 0 nel caso
di perfetta uguaglianza - l’area A, in questo caso, si annulla. Sarà uguale a 1
nel caso in cui tutto il reddito sia concentrato nelle mani di un solo individuo: in
questo caso sarà l’area B ad annullarsi. In generale, maggiore è il valore assunto
dal coefficiente di Gini, maggiore è il grado di disuguaglianza.
Nel discreto abbiamo le seguenti espressioni:
Analisi della disuguaglianza 59

- P rop. di reddito totale


6
1
linea
della perf etta
eguaglianza

B P rop.
di individui
6
-
0 1
Figura 4.6 Il coefficiente di Gini è dato dal rapporto tra l’area A e l’area (A+B):
quest’ultima è pari a 1/2.

P
1 2 Ni=1 (N − i + 1)xi
G(x) = 1 + − =
N N 2µ
µ ¶XN XN
1
= |xi − xj | .
2N 2 µ
i=1 j=1

4.2.2 L’indice di Atkinson-Kolm-Sen


L’indice di AKS è stato formulato all’interno di un approccio alla disuguaglianza
basato sul benessere sociale, sotto l’ipotesi che la distribuzione dei redditi de-
termini direttamente il livello di benessere sociale. L’indice di AKS misura la
distribuzione dei redditi come la riduzione percentuale del reddito complessivo
che potrebbe essere sopportata, grazie a una redistribuzione egualitaria del red-
dito rimanente, senza ridurre il benessere sociale. Si basa cioé su valutazioni di
questo tipo: un reddito totale inferiore del 20% (per esempio) a quello attuale, se
fosse distribuito in maniera egualitaria, darebbe lo stesso livello di benessere del
reddito attuale, più elevato ma distribuito in maniera diseguale.
Analiticamente l’indice di AKS è derivato esplicitamente da una funzione del
benessere sociale.
Consideriamo la distribuzione X α = (xα1 , xα2 ) e supponiamo che la FBS sia
definita direttamente sui redditi W (X) = W (xα1 , xα2 ). Consideriamo la Figura
4.7:
60 C APITOLO 4

x2
6
D

B
µ
A
XEED

xa2
W∗
-
0 XEED µ xa1 E x1

Figura 4.7 Il REED.

• W ∗ è una curva di indifferenza sociale passante per la distribuzione X α ;


• la retta DE con pendenza −1 passante per X α individua tutte le possibili di-
(xα +xα )
stribuzioni aventi la stessa media della distribuzione X α data da µ = 1 2 2 ;
• la retta bisettrice OC individua tutte le possibili distribuzioni di reddito perfet-
tamente egualitarie;
• l’intersezione di OC con la retta DE, indica, tra le distribuzioni egualitarie,
quella con la stessa media della distribuzione Xα;
• l’intersezione di OC con la curva di indifferenza sociale W ∗ indica, tra le distri-
buzioni egualitarie, quella che garantisce lo stesso livello di benessere sociale
della distribuzione X α .

Si definisce il Reddito Equivalente Egualmente Distribuito (REED) di una distri-


buzione X = (x1 , x2 ) come quell’ammontare di reddito xEED che, se dato a
ciascun individuo, dà luogo a una nuova distribuzione socialmente indifferente a
X.
Definizione 4.5. Il Reddito Equivalente Egualmente Distribuito è quel livello di
reddito xEED che soddisfa la seguente equazione:

W (xα1 , xα2 ) = W (xEED , xEED )

Graficamente questa nuova distribuzione si individua nel punto A di intersezione


tra la curva di indifferenza sociale e la bisettrice OC.
Si noti che, per qualsiasi FBS avversa alla disuguaglianza xEED sarà sempre
minore o al massimo eguale (nel caso di neutralità all’ineguaglianza) al reddito
Analisi della disuguaglianza 61

medio µ.

N µ è il reddito complessivo della distribuzione attuale X α ;

N x̄ il reddito complessivo della distribuzione egualitaria socialmente indifferente


alla distribuzione X α ;

(N µ − N xEED ) = N (µ − xEED ) rappresenta il costo della disuguaglianza,


ovvero l’ammontare di reddito cui si potrebbe rinunciare al fine di ottenere una
distribuzione egualitaria.

Se rapportiamo il costo della disuguaglianza N (µ−xEED ) al reddito complessivo


della distribuzione di partenza N µ, otteniamo il seguente indice di disuguaglian-
za:

N (µ − xEED ) µ − xEED xEED


IAKS (x) = = =1−
Nµ µ µ
Questo indice è noto come indice di Atkinson-Kolm-Sen. L’indice di Atkinson-
Kolm-Sen mette in evidenza quella percentuale di reddito totale che si sarebbe
disposti a bruciare al fine di ottenere una distribuzione egualitaria. IAKS (X)
dunque cattura la perdita di benessere sociale imputabile alla disuguaglianza,
ovvero l’inefficienza della disuguaglianza.
A parità di media µ, il valore dell’indice cresce al crescere del grado di avver-
sione alla disuguaglianza della FBS (espresso graficamente dalla convessità delle
curve di indifferenza sociali). A parità di avversione alla disuguaglianza (quin-
di data una mappa di curve di indifferenza sociale), quanto maggiore il grado di
disuguaglianza della distribuzione, tanto minore sarà il REED e maggiore sarà il
valore dell’indice.

Esempio 4.3. Data una distribuzione di redditi X, si consideri una funzione del
P
benessere sociale utilitarista: W = N
i=1 U (xi ) , dove le funzioni individuali di
x1−²
utilità siano date da U (xi ) = i
1−² , con ² > 0.

Dunque avremo
N
X x1−²
i
W (X) =
1−²
i=1

Il REED in questo caso è definito dall’equazione


N
X N
X
x1−²
i x1−²
EED
=
1−² 1−²
i=1 i=1
ovvero
62 C APITOLO 4

N
X x1−²
i x1−²
= N EED
1−² 1−²
i=1
da cui, dopo qualche semplice passaggio, si ottiene
à N
! 1−²
1

1 X 1−²
xEED = xi
N
i=1
1
Scegliendo, per esempio, ² = 2 otterremo
à N
!2
1 X√
xEED = xi
N
i=1

Si consideri ora la distribuzione X = (4, 9, 25, 36) . In questo caso

µ = 18, 5

e µ ¶2
1
xEED = (2 + 3 + 5 + 6) = 42 = 16
4
Quindi
xEED 16 5
IAKS = 1 − =1− =
µ 18, 5 37

E SERCIZI

Esercizio 4.1. Si considerino le seguenti distribuzioni di reddito:


1. X=(8,14,14,18,20)
2. Y=(13,14,14,15,18)
3. Z= (8,12,16,18,20)

Si indichi l’ordinamento delle tre distribuzioni in base ai seguenti criteri:

1. Dominanza di Lorenz
2. Dominanza di Lorenz generalizzata
3. Dominanza di Robin Hood
Analisi della disuguaglianza 63

PN
4. Criterio utilitaristico (W = i=1 U (xi ), U è crescente e concava)

Esercizio 4.2. Si scrivano due distribuzioni del reddito, relative a 4 individui,


non confrontabili in base all’ordinamento di Lorenz.
Esercizio 4.3. Introduciamo le seguenti definizioni:
• ºL : ordinamento di Lorenz
• ºGL : ordinamento di Lorenz generalizzato
• ºRH : ordinamento di Robin Hood
• ºU : ordinamento utilitaristico

Indicare, quindi, se le seguenti affermazioni sono vere false.

1. Date due distribuzioni, X e Y, X ºL Y implica che X ºU Y .


V F

2. La dominanza di Robin Hood è una condizione sufficiente perché ci sia domi-


nanza di Lorenz.
V F

3. Date due distribuzioni, X e Y, con media eguale, X ºGL Y implica che X ºRH
Y.
V F

4. Date due distribuzioni, X e Y, con media eguale, X ºGL Y implica che X ºU


Y.
V F
64
Capitolo 5
Economia delle scelte pubbliche

5.1 Introduzione
ei sistemi democratici a economia mista le decisioni economiche vengono
N prese essenzialmente attraverso due meccanismi di scelta: il mercato e il
processo politico democratico. In particolare, le decisioni di prelievo e di spesa
da parte del settore pubblico vengono assunte attraverso un processo di scelta
operato dal sistema politico.
L’oggetto del presente appunto è l’analisi dei processi decisionali operati da
un sistema politico democratico. In realtà, i processi decisionali che hanno luogo
in una democrazia sono complessi e dipendono dai comportamenti di una pluralità
di attori politici e istituzionali: gli elettori, i partiti politici, i legislatori, l’ammi-
nistrazione, i gruppi di pressione. In un sistema politico ciascun attore agisce al
fine di massimizzare la propria funzione obiettivo sulla base delle informazioni di
cui dispone, e le decisioni finali sono il risultato della interazione dei diversi attori
sulla base delle regole politiche democratiche vigenti.
In questo appunto, tuttavia, ci si limiterà ad analizzare i processi politici
entro un contesto estremamente semplificato: ci concentreremo sui sistemi di
democrazia diretta, in cui cioè il passaggio dalle volontà e dagli interessi presenti
nel corpo elettorale alle decisioni collettive è diretto; sarà in particolare ignorato
il ruolo di mediazione che in una democrazia rappresentativa è tipicamente svolto
dai partiti politici. Lo studio sarà condotto utilizzando un modello fortemente
stilizzato: si considererà un generico gruppo di individui che debba scegliere una
tra diverse alternative possibili, e si assumerà che ciascun individuo sia dotato
di un ordinamento di preferenza definito sull’insieme delle alternative. In questo
contesto un processo di decisione collettiva è allora semplicemente una regola di
voto: un meccanismo che traduce (aggrega) l’insieme delle preferenze individuali
in un ordinamento di preferenza dell’intero gruppo e quindi in una scelta collet-
tiva. Le alternative tra cui scegliere sono interpretabili sia nel senso di politiche
66 C APITOLO 5

i cui effetti ricadono direttamente sull’assemblea; sia nel senso di candidati da


eleggere al fine di rappresentare l’assemblea in altre sedi.
L’analisi sarà di tipo positivo e normativo: si cercherà di spiegare il funzio-
namento delle diverse regole di voto, individuando i possibili esiti e le eventuali
difficoltà associate ai diversi meccanismi; si cercherà anche di valutare le diverse
regole di voto sulla base di criteri di desiderabilità formulati in maniera esplicita.

Il modello
Si consideri una assemblea N composta da n individui, N = {1, ..., n}, chiamata
a scegliere tra m politiche alternative: sia X l’insieme delle politiche e x, y, z, ...
le varie opzioni o politiche possibili, X = {x, y, z, ...}.
Si supponga inoltre che ciascun individuo i in N sia dotato di un ordinamento
di preferenza sull’insieme delle politiche X : Âi è l’ordinamento di preferen-
za dell’elettore i, e {Â1 , Â2 , ... Âi , ..., Ân } l’insieme delle preferenze individu-
ali, chiamato anche profilo di preferenze. Per ogni individuo i si assumerà che
l’ordinamento di preferenza sia completo, transitivo e lineare: la completezza
implica la capacità di esprimere un giudizio in merito a qualsiasi confronto tra
due opzioni; la transitività è un requisito di coerenza; la linearità implica che le
preferenze siano sempre di tipo forte: non ci sono cioè casi di indifferenza tra
opzioni. Quest’ultima ipotesi, pur non essendo cruciale per i risultati, semplifica
fortemente l’esposizione.
Sia infine ÂS l’ordinamento di preferenza dell’assemblea N . Una regola di
voto potrà allora essere rappresentata come una funzione la quale, per qualsiasi in-
sieme di politiche X, associ un ordinamento di preferenza sociale ÂS a un profilo
di preferenze individuali.

5.2 Le regole di voto: analisi descrittiva


5.2.1 La regola della unanimità
n base alla regola dell’unanimità, una alternativa x è socialmente preferita a una
Iinsieme
alternativa y se e solo se tutti gli elettori preferiscono x a y. Segue che, dato un
di alternative X, l’alternativa x sarà collettivamente scelta se e solo se x è
l’alternativa preferita da tutti gli elettori. È agevole rilevare la corrispondenza tra
regola dell’unanimità e criterio del Pareto: qualsiasi scelta effettuata in base alla
regola dell’unanimità è efficiente nel senso di Pareto. Una qualunque altra regola
che consenta di approvare un’opzione che non è preferita all’unanimità violerà il
criterio paretiano.
Il criterio dell’efficienza sembrerebbe dunque spingere per l’adozione dell’u-
nanimità quale regola di voto in un’assemblea. D’altronde, la richiesta di consen-
so unanime potrebbe rendere il processo decisionale lungo e costoso; al limite,
potrebbe impedire la scelta collettiva. Questo succede perchè, vigente la regola
dell’unanimità, a ciascun individuo è riconosciuto un potere di veto. Se, in un
gruppo di n persone, n − 1 elettori preferiscono l’opzione x a tutte le altre e un
Economia delle scelte pubbliche 67

costi 6 costi
6

CE + CD
CE ) q CD

0 q∗ 100%
Figura 5.1 Determinazione percentuale ottima. Modello di Buchanan e Tullock (1962).

solo elettore preferisce un’altra opzione y a x, in base alla regola dell’unanimità


questo gruppo non potrà effettuare alcuna scelta.

Proposizione 5.1. La regola dell’unanimità genera un ordinamento di preferenza


sociale incompleto.

Ci si può chiedere cosa accada quando, abbandonando la regola della unanimi-


tà, si riduca progressivamente il quorum, ossia la percentuale di voti necessaria
per l’approvazione. In generale, più elevato il quorum, più prossima la regola di
voto alla soddisfazione dell’efficienza paretiana - minore infatti il numero degli
elettori che potrebbero essere danneggiati dalla decisione. Al tempo stesso, più
elevato il quorum, più lungo e costoso il processo decisionale. Si è in presenza di
un trade off : maggiore la capacità di prendere una decisione collettiva (o grado
di decisitività della regola di voto), minore la capacita di rappresentare compiuta-
mente le preferenze e gli interessi coinvolti nella scelta (grado di rappresentatività
o democraticità della regola di voto). Come vedremo, si tratta di una tensione che
percorre profondamente i sistemi di decisione collettiva. Indicando le due voci di
questo trade off con CD (costi di decisione) e CE (costi esterni, ovvero costi sop-
portati dalla minoranza), è possibile calcolare la percentuale ottima di voti come
quella che minimizza il costo totale dato da CE+CD (si veda la Figura 5.1).
Evidentemente, l’applicazione concreta di questo modello richiede la cono-
scenza delle curve CE e CD.
68 C APITOLO 5

5.2.2 La regola della maggioranza


Nel caso vi siano n individui e due sole alternative, una regola comunemente
accettata è quella della maggioranza semplice: tra due alternative è scelta quella
preferita dalla maggioranza degli elettori, ovvero da un numero N di elettori non
inferiore al 50% più uno dell’elettorato:
n
N≥ + 1 (con n pari) (5.1)
2
n−1
N≥ + 1 (con n dispari) (5.2)
2
Quando le alternative sono più di due le cose possono complicarsi.

Il vincitore di Condorcet Una generalizzazione della regola precedente al caso


di più due opzioni è la seguente: date m alterative, vince quell’alternativa x che
batte tutte le altre in confronti di coppia secondo la regola della maggioranza
semplice. Questa alternativa, se esiste, è chiamata il vincitore di Condorcet.
Definizione 5.1 (La regola della maggioranza semplice.). Data un’assemblea
N e due opzioni x e y, x è preferita a y secondo la regola della maggioranza
semplice
x ÂM y (5.3)
se e solo se x riceve più voti di y.
Definizione 5.2 (Il vincitore di Condorcet). . Dato un insieme di opzioni X
x ∈ X è il vincitore di Condorcet se e solo se ∀y 6= x ∈ X, x ÂM y.
Al fine di studiare le caratteristiche del voto a maggioranza semplice si supponga
che un’assemblea di 3 individui, N = {A, B, C}, sia chiamata a pronunciar-
si su tre possibili opzioni, X = {x, y, z}. Si supponga ancora che l’individuo
A preferisca x a y e y a z (e, data la transitività delle preferenze individuali,
preferisca x a z); che l’individuo B preferisca y a z e z a x; l’individuo C infine
preferisca x a z e z a y. Le preferenze dei tre individui sono sintetizzate nella
tabella seguente:

Posizione Individui
A B C
I x y x
II y z z
III z x y

Ponendo in votazione le tre coppie {x, y}, {x, z} e {y, z} secondo la regola della
maggioranza si ottengono le relazioni seguenti:
• x ÂM y
• x ÂM z
Economia delle scelte pubbliche 69

• y ÂM z
L’ordinamento di preferenza sociale sarà cioè x ÂM y ÂM z. Il vincitore di Con-
dorcet in questo caso è x. Si rilevi l’indipendenza del risultato dall’ordine seguito
nelle votazioni.

Si supponga ora che le preferenze dell’individuo C cambino. La tabella seguente


riporta il nuovo profilo delle preferenze individuali.

Posizione Individui
A B C
I x y z
II y z x
III z x y

Ponendo ancora in votazione le tre coppie {x, y}, {x, z} e {y, z} secondo la regola
della maggioranza si ottiene il seguente risultato:

• x ÂM y
• y ÂM z
• z ÂM x

In base all’ordinamento di preferenza sociale x è preferito a y e y è preferito a


z. Il presupposto della transitività vorrebbe che x fosse a sua volta preferito a z.
In questo caso x sarebbe il vincitore di Condorcet. Ma, come si rileva, esiste una
maggioranza che preferisce z a x. L’ordinamento sociale non è transitivo e, come
conseguenza, non c’è un’alternativa preferita a tutte le altre. Non c’è un vincitore
di Condorcet. Pertanto, la regola del voto a maggioranza, espresso su coppie di
alternative, può portare a scelte sociali contraddittorie.
Questo risultato è noto come Paradosso del voto a maggioranza o Paradosso di
Condorcet.

Il paradosso di Condorcet
Proposizione 5.2 (Paradosso di Condorcet). Pur in presenza di preferenze in-
dividuali complete e transitive, il voto a maggioranza può condurre a un ordina-
mento di preferenza sociale intransitivo.
Questo risultato, dovuto a Marie Jean Antoine Nicolas de Caritat, meglio noto
come marchese di Condorcet (1743-1794), mostra che, anche se le preferenze
dei singoli votanti rispetto alle varie alternative sono complete e transitive, la
votazione a maggioranza può produrre un ordinamento sociale circolare, in cui
ciascuna delle tre alternative è in grado di vincere su tutte le altre (si veda la
Figura 5.2).
Poichè la votazione a maggioranza su più di due alternative è un sistema
largamente applicato in assisi locali, nazionali e sovranazionali, l’interesse del
paradosso è evidente.
70 C APITOLO 5

y
*

j
x ¾ z
Figura 5.2 Ordinamento sociale circolare.

Paradosso di Condorcet e unimodalità delle preferenze È opportuno esam-


inare i motivi della mancata esistenza di un vincitore globale nel voto a maggio-
ranza.
Si supponga che le alternative in votazione siano rappresentabili lungo un’unica
dimensione, dal valore più piccolo a quello più grande, oppure graficamente da
sinistra verso destra. Si pensi, per esempio, a livelli via via crescenti di spesa
pubblica, oppure a quantità diverse di bene pubblico da produrre. Si supponga
pure che sia possibile parlare di distanza tra le diverse alternative: data una coppia
di alternative {x, y}, sia d (x, y) la distanza tra x e y. È possibile ora introdurre le
definizioni di politica ideale e di preferenze unimodali.
Definizione 5.3 (Alternative ideali). L’alternativa x ∈ X è l’alternativa ideale
per l’individuo i se e solo se, ∀y 6= x ∈ X, x Âi y.
Definizione 5.4 (Preferenze unimodali). Un ordinamento di preferenza  su un
insieme di opzioni X è unimodale se e solo se, data l’alternativa ideale x ∈ X,
per ogni coppia di alternative y, z ∈ X e tali che:
(i) y < x e z < x oppure
(ii) y > x e z > x,

d (x, y) > d (x, z) ⇔ z  y (5.4)


Per esempio un ordinamento di preferenza è unimodale quando esiste una alter-
nativa ideale, e le altre alternative sono classificate in base alla distanza rispet-
to a questa. Un profilo di preferenze è unimodale se tutti gli individui hanno
preferenze unimodali.
Le Figure 5.3 e 5.4 riportano, rispettivamente, casi di preferenze unimodali e
multimodali.
La unimodalità delle preferenze individuali appare ipotesi del tutto plausibile
in alcuni contesti, estremamente improbabile in altri. In particolare, la multi-
modalità delle preferenze è frequente nei casi in cui lo spazio politico sia mul-
tidimensionale - ciascuna opzione rappresenta in verità una pluralità di aspetti e
dimensioni da valutare - ovvero nel caso si tratti di politiche distributive. Nel
seguito sono riportati due esempi atti a esemplificare i due casi.

Esempio 5.1 (Preferenze unimodali). Nel primo esempio, si consideri il voto su


una questione politica unidimensionale: la spesa pubblica per la difesa. Vi siano
Economia delle scelte pubbliche 71

I A

II B

III C

-
0 x y z

Posizioni Votanti
A B C
I x y z
II y x y
II z z x

Figura 5.3 Esempio di preferenze unimodali.

tre possibili livelli di spesa, (100, 50, 30) , e si ipotizzi che l’intero corpo elet-
torale sia diviso in tre gruppi. La politica ideale del primo gruppo sia 100, quella
del secondo sia 50, quella del terzo sia infine 30. Appare del tutto ragionevole
ipotizzare che l’ordinamento completo del I gruppo sarà 100 Â 50 Â 30, quella
del II gruppo 50 Â 30 Â 100, quella del III infine 30 Â 50 Â 100.
Il voto a maggioranza su coppie di alternative permetterà di ottenere un ordi-
namento sociale completo e un vincitore di Condorcet, la politica di spesa uguale
a 50.

Esempio 5.2 (Preferenze non unimodali). Si considerino tre individui (A, B, C)


i quali debbano dividersi una somma pari a 100. Si supponga vi siano tre opzioni
possibili (x, y, z), corrispondenti a tre diverse ipotesi distributive: Assumendo
monotonicità e razionalità delle preferenze individuali, il profilo di preferenze di
questa collettività per le tre opzioni sarà il seguente:

• Preferenze di A : x Âa y Âa z
• Preferenze di B : y Âb z Âb x
72 C APITOLO 5

I A

II B

III C

-
0 x y z

Posizioni Votanti
A B C
I x y z
II z x y
II y z x

Figura 5.4 Esempio di preferenze multimodali.

• Preferenze di C : z Âc x Âc y

Votando a maggioranza si otterrà il seguente risultato: x ÂM y, y ÂM z e


z ÂM x! Le preferenze sono multimodali e il voto a maggioranza porta agli
esiti paradossali previsti da Condorcet.

Opzioni Individui
A B C
x 50 20 30
y 30 50 20
z 20 30 50

Il seguente teorema stabilisce la rilevanza della unimodalità delle preferenze e


generalizza il risultato dei due esempi precedenti.

Teorema 5.1 (D. Black, 1948). Se le preferenze sono unimodali, allora esiste un
vincitore di Condorcet.
Economia delle scelte pubbliche 73

Si noti che la unimodalità del profilo di preferenze è una condizione sufficiente ma


non necessaria per l’esistenza di un Vincitore di Condorcet. Se vi è unimodalità,
certamente non vi saranno cicli. Se non vi è unimodalità, è probabile, ma non
certo che vi sia un ciclo. Quanto è probabile? La probabilità che vi sia un ciclo
aumenta con il numero delle politiche (alternative). D’altronde, a parità di nu-
mero di politiche, maggiore l’omogeneità delle preferenze individuali , minore la
possibilità di cicli.

Il teorema dell’elettore mediano Data un’assemblea e un insieme di opzioni


rappresentabili lungo una dimensione, si definisce elettore mediano l’elettore tale
che la metà dei componenti l’assemblea preferisce opzioni a sinistra e la metà
opzioni a destra rispetto a quella da lui preferita.
Definizione 5.5 (Elettore mediano). Sia dato un insieme di politiche unidimen-
sionali X e un ’assemblea N composta da n individui; sia x∗i ∈ X la politica
ideale di un generico individuo i appartenente all’assemblea N e sia X ∗ l’in-
sieme delle politiche ideali. Si consideri ora un individuo m ∈ N , la cui politica
ideale è indicata da xm . Sia NR il numero di individui la cui politica ideale
è maggiore di xm ∈ X ∗ (in formule, NR = |{i ∈ N : x∗i ≥ xm }|) e sia NL
il numero di individui la cui politica ideale è minore di xm ∈ X ∗ (in formule,
NL = |{i ∈ N : xm ≥ x∗i }|). L’individuo m ∈ N è l’elettore mediano se e solo
se NR ≥ n2 e NL ≥ n2 .
Teorema 5.2 (Teorema dell’elettore mediano). Dato uno spazio politico unidi-
mensionale e un profilo di preferenze unimodali, la politica ideale dell’elettore
mediano sarà la politica vincente con la regola della maggioranza.
Per illustrare il teorema, si consideri un’assemblea di 15 individui che debba de-
cidere la quantità ottimale di un bene pubblico da produrre. Il costo medio di
produzione CM , che si assume essere costante, sarà diviso in parti uguali tra i
componenti l’assemblea: sia CMi = CM 15 il costo medio procapite, coincidente
con il costo marginale individuale. Per ciascun individuo la quantità ottima sarà
individuata dall’uguaglianza tra costo marginale CMi e beneficio marginale. Sup-
poniamo esistano 5 gruppi di individui nell’assemblea, ciascun gruppo caratteriz-
zato da una uguale funzione del beneficio marginale. La struttura dei gruppi è la
seguente:
Gruppi I II III IV V
Numero componenti 2 3 2 1 7

La Figura 5.5 riporta le funzioni di benefico marginale individuale per ciascun


gruppo. Le intersezioni con la curva del costo marginale individuale
permettono di individuare le quantità ottimali per ciascun gruppo di elettori:
(xI , xII , xIII , xIV , xV ). Per ciascun individuo, la quantità ottimale corrisponde
all’uguaglianza tra beneficio e costo marginale: allontanandosi progressivamente
dal punto di ottimo, si allarga la forbice tra costi e benefici unitari e dunque si
riduce il surplus. Le preferenze degli agenti sono quindi di tipo unimodale.
74 C APITOLO 5

costi 6
benefici costo medio
6
BMV (7)

BMIV (1)
6
BMIII (2)
6
BMII (3)
6
BMI (2)
6
6

?
costo medio
N
-
0 xI xII xIII xIV xV quantitá

Gruppi Alternative sottoposte al voto


xI xII xIII xIV xV
I (2 componenti) si no no no no
II (3 componenti) si si no no no
III (2 componenti) si si si no no
IV (1 componenti) si si si si no
V (7 componenti) si si si si si
Totale favorevoli 15 13 10 8 7
Totale sfavorevoli 0 2 5 7 8

Figura 5.5 Teorema dell’elettore mediano.

Supponiamo ora si voti per decidere la quantità di bene pubblico da produrre.


Ci sono diverse modalità di applicazione della regola della maggioranza, le quali
però portano a risultati equivalenti. Supponiamo si voti su incrementi succes-
sivi di produzione: si inizia votando sulla opportunità di produrre la quantità xI ,
quindi si prosegue con la votazione su xII , e cosı̀ via. Ciascun elettore valuterà
positivamente la proposta fino a quando il beneficio marginale supera o eguaglia il
costo marginale. Dunque, la prima proposta sarà approvata all’unanimità: in cor-
rispondenza di xI tutti gli individui hanno beneficio marginale maggiore o uguale
al costo marginale; la seconda (il passaggio da xI a xII ) sarà approvata dai gruppi
II, III, IV e V ma avrà il voto contrario del gruppo I: dunque la proposta passerà
con una maggioranza di 13 contro 2. È agevole verificare che saranno accettati a
maggioranza tutti gli incrementi fino alla quantità XIV . L’ultima votazione riguar-
da il passaggio da xIV a xV : voteranno contro i membri dei gruppi I, II, III, e
Economia delle scelte pubbliche 75

IV; voteranno a favore i membri del gruppo V. Dunque la proposta sarà battuta
con una maggioranza di 8 contro 7. In definitiva, sarà scelta la quantità xIV . Una
procedura alternativa consiste nel mettere in votazione a maggioranza le diverse
quantità di bene pubblico a due a due, individuando cosı̀ il vincitore globale: lo
studente potrà verificare che xIV risulta essere l’unica alternativa che batte tutte
le altre nei confronti di coppia. In sintesi, con il voto a maggioranza prevale
l’alternativa xIV , che è l’alternativa preferita dall’unico componente del grup-
po IV: l’elettore mediano, cioè quell’elettore che occupa la posizione mediana
nella distribuzione delle preferenze per il bene pubblico tra i componenti l’assem-
blea. Risulta cioè dimostrata la prevalenza dell’elettore mediano: pur in assenza
di votazione o di simulazione della votazione, il teorema dell’elettore mediano
avrebbe potuto indicarci i risultati del voto.
Si rilevi la differenza tra alternativa preferita dall’elettore mediano e alternati-
va mediana. Nell’esempio precedente l’alternativa preferita dall’elettore mediano
è la quantità xIV , l’alternativa mediana invece è xIII .

Esempio 5.3. Si consideri una società in cui gli individui abbiano delle preferenze
unimodali intorno al livello di spesa pubblica. Nella tabella seguente per ciascun
gruppo di elettori è riportata la numerosità del gruppo e la politica ideale.
Votanti per gruppo 3 3 3 2 1 1 2 1 2 1 1
Spesa pubblica ideale 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10

Il vincitore di Condorcet corrisponderà all’alternativa preferita dall’elettore medi-


ano, cioè la politica 3. L’alternativa mediana invece è 5.

Il teorema dell’elettore mediano ha una estrema importanza per analisi di carattere


predittivo. Data un’assemblea elettorale e un insieme di politiche possibili, sarà
sufficiente conoscere la politica ideale dell’elettore mediano per prevedere l’esi-
to di un voto a maggioranza. Rimarrebbe la difficoltà di conoscere le politiche
ideali di tutti i componenti l’assemblea, al fine di individuare l’elettore mediano.
Tuttavia, queste informazioni non sono sempre necessarie: la posizione medi-
ana è individuabile spesso sulla base di altre variabili individuali osservabili. Un
esempio servirà a illustrare il punto.
Supponiamo si tratti di decidere la quantità di risorse pubbliche da destinare
alle politiche sociali, e supponiamo che il livello ideale di spesa sociale sia, per
ogni individuo, funzione decrescente del reddito: i più ricchi preferiranno meno
spesa sociale, e viceversa. Per conoscere il livello di spesa sociale che sarà votato
a maggioranza non è necessario simulare le votazioni; sarà sufficiente conoscere
la politica ideale che occupa la posizione mediana tra le politiche ideali dei com-
ponenti la società. Ma, data la relazione tra livello del reddito e preferenze sulla
spesa sociale, la posizione mediana tra le politiche ideali coinciderà con la politica
preferita dall’individuo che occupa la posizione mediana nella distribuzione dei
redditi della società. Sarà quindi sufficiente conoscere la distribuzione dei redditi,
e le preferenze dell’individuo che occupa la posizione mediana, per prevedere il
livello di spesa sociale che sarà votato a maggioranza.
76 C APITOLO 5

5.2.3 L’intensità delle preferenze


Nella descrizione del voto a maggioranza le decisioni collettive si sono basate su-
gli ordinamenti di preferenza degli individui. In altre parole, la base informativa
esclusiva delle decisioni di gruppo è stata costituita dalle preferenze individua-
li. Ora, un ordinamento di preferenza traduce la desiderabilità individuale (o il
benessere individuale) delle diverse opzioni in informazioni di carattere esclu-
sivamente ordinale. Ogni informazione circa l’intensità delle preferenze viene
esclusa alla radice. Questa parsimonia informativa può condurre un’assemblea
ad assumere decisioni altamente indesiderabili. Illustriamo il problema con un
esempio.

Esempio 5.4. Supponiamo che si debba votare tra due opzioni x e y, e che le
utilità di tre individui (A, B, C) componenti la collettività siano le seguenti:
x y
Benefici A 1000 200
Benefici B −400 100
Benefici C −500 −400
Benefici sociali 100 −100

In questo caso se si votasse a maggioranza tra x e non x, x verrebbe rigettata


anche se il beneficio netto è positivo; se si votasse tra y e non y, y verrebbe
accettata anche se il beneficio netto è negativo. Inoltre, se si dovesse scegliere tra
x e y, secondo la votazione a maggioranza si sceglierebbe y anche se x comporta
un beneficio netto maggiore. La ragione di queste potenziali inefficienze del voto
a maggioranza risiede nel carattere puramente ordinale delle informazioni regi-
strate con questa modalità di voto. Esiste una regola attraverso cui tener conto di
informazioni di natura cardinale sulla desiderabilità delle diverse opzioni?

5.2.4 Il logrolling
Un metodo indiretto per rivelare l’intensità delle preferenze, dunque estrarre in-
formazioni di natura cardinale, è il log-rolling, ossia lo scambio di voti. È stato
suggerito che, allo stesso modo in cui nei mercati privati l’intensità delle prefe-
renze viene rivelata mediante il meccanismo del prezzo, si potrebbe tener conto
dell’intensità delle preferenze mediante la compravendita del voto.
Supponiamo ci siano tre individui A, B e C che debbano scegliere tra: x, pro-
durre un bene che beneficia B (oppure no); e y, produrre un bene che beneficia C
(oppure no). Supponiamo che il costo sia di 600 euro e sia egualmente distribuito,
200 euro a testa, e i benefici siano pari a 700 euro. Avremo dunque:
x non x y non y
Benefici A -200 0 -200 0
Benefici B 500 0 -200 0
Benefici C -200 0 500 0
Benefici sociali +100 0 +100 0
Economia delle scelte pubbliche 77

Dunque, sia x che y implicano un beneficio sociale positivo, ma sarebbero bocciati


dal voto a maggioranza. Si suggerisce dunque che se B e C potessero “barattare”
il voto, si rifletterebbe l’intensità delle preferenze e si otterrebbero decisioni più
efficienti: B voterebbe Si per y e C voterebbe Si per x, poichè il loro vantaggio
netto sarebbe di 300 euro, e si raggiungerebbe la scelta efficiente.
Tuttavia, anche il logrolling può portare a scelte inefficienti. Lo scambio del
voto impone infatti un costo agli altri individui non coinvolti nello scambio, e
che non viene considerato nelle scelte individuali (si tratta di una esternalità). In
particolare, non vi è nessuna garanzia che il vantaggio dello scambio di voto tra
B e C superi il costo imposto a A. Supponiamo per esempio che il costo del bene
sia di 900 invece di 700:

x y
Benefici A -300 -300
Benefici B 400 -300
Benefici C -300 400
Benefici sociali -200 -200

Il beneficio netto per B e C nel caso sia x che y vincano è sempre positivo, +100,
ma il benefico totale netto è negativo, quindi lo scambio del voto ha portato a una
decisione inefficiente.
Il logrolling può portare a costi elevatissimi di inefficienza nelle decisioni
pubbliche, specialmente quando si debba decidere tra progetti il cui costo sia
diviso tra molte parti.
Un secondo limite del logrolling concerne la stabilità dell’equilibrio. Il log-
rolling non risolve il problema dei cicli.
Si consideri l’esempio precedente:

x non x y non y
Benefici A -200 0 -200 0
Benefici B 500 0 -200 0
Benefici C -200 0 500 0
Benefici sociali +100 0 +100 0

Ora si supponga abbiano luogo gli scambi.

Scambi Coppia Coppia Votanti che Benefici A Benefici B Benefici C


vincente perdente scambiano
1 x,y non x, non y BeC -400 300 300
2 x, non y x,y AeB -200 500 -200
3 non x, non y x, non y AeC 0 0 0

La situazione di partenza è data dalla coppia (non x, non y).


Poichè (x, y) Â (non x, non y), lo scambio n.1 sarà effettuato. Tuttavia, la coppia
(x, non y) è preferita alla coppia (x, y), dunque un secondo scambio sarà effettua-
to. Infine, (non x, non y) Â (x, non y), quindi un terzo scambio sarà effettuato.
78 C APITOLO 5

Ma (non x, non y) era la situazione di partenza, dominata dalla coppia (x, y):
(x, y) Â (non x, non y). Si è in presenza di un ciclo!
Dunque, il sistema di voto a maggioranza semplice, anche attraverso il log-
rolling, può generare cicli e quindi può risultare nell’assenza di un vincitore.
Rivolgiamo ora la nostra attenzione a delle regole di voto che assicurino
sempre un vincitore.

5.2.5 Il voto a maggioranza sequenziale


Una possibile soluzione al paradosso di Condorcet è rappresentata dal voto a
maggioranza sequenziale: secondo questa regola, dopo il voto a maggioranza
su una coppia di alternative, l’alternativa sconfitta viene eliminata, mentre la
vincente viene opposta a un’altra; questo processo continua fino a quando non
siano esaurite le opzioni disponibili. Evidentemente, un aspetto decisivo in questa
procedura è l’ordine di votazione.

Esempio 5.5. Le preferenze di tre individui {A, B, C} su tre alternative {x, y, z}


sono sintetizzate nella tabella seguente:

Posizione Individui
A B C
I x y z
II y z x
III z x y

Si considerino ora i tre possibili ordini di voto, individuando i relativi vincitori:


1. Ordine del giorno 1: x contro y, il vincente contro z.
• x contro y : x ÂM y → y eliminata
• x contro z : z ÂM x → x eliminata
• Risultato finale : vince z.
2. Ordine del giorno 2: x contro z, il vincente contro y.
• x contro z: z ÂM x → x eliminata
• z contro y: y ÂM z → z eliminata
• Risultato finale : vince y.
3. Ordine del giorno 3: z contro y, il vincente contro x.
• z contro y: y ÂM z → z eliminata
• x contro y: x ÂM y → y eliminata
• Risultato finale : vince x.

Un problema di questa regola è l’arbitrarietà del risultato o “dipendenza dal sen-


tiero”: a seconda dell’o.d.g. adottato, tutte le opzioni potrebbero risultare vincitri-
ci. Dunque la scelta dipende dal caso oppure dall’abilità di chi gestisce l’o.d.g, nel
Economia delle scelte pubbliche 79

caso conosca le preferenze individuali. Tipicamente, le opzioni votate per ultime


hanno minor probabilità di essere battute e quindi eliminate: il presidente della
commissione, cioè chi decide l’ordine del giorno, è incentivato a far votare la pro-
pria opzione preferita alla fine. Questo risultato spiega in parte l’importanza delle
battaglie procedurali che hanno luogo nelle assemblee sull’ordine delle votazioni.
La dipendenza del risultato dall’ordine di votazione non è l’unico limite di
questa regola decisionale.

Esempio 5.6. Supponiamo ci siano 4 alternative (x, y, z, s), e il seguente profilo


di preferenze:

Posizione Individui
A B C
I x z y
II y x s
III z y z
IV s s x

Supponiamo si voti con il seguente ordine del giorno: prima x contro y, il vin-
cente contro z, il vincente contro s. L’opzione socialmente preferita, dato il pro-
filo di preferenze, sarebbe s. Si noti tuttavia che y è preferita a s da tutti e tre
gli individui: la regola della maggioranza sequenziale viola il principio Pare-
tiano o dell’unanimità! Tutti preferiscono y a s, e tuttavia questa regola conduce
l’assemblea a scegliere s.

Sembra proprio che il paradosso di Condorcet non lasci scelta. O si votano tutte
le alternative una contro l’altra, e allora può succedere che nessuna ottenga la
maggioranza. Oppure si votano le varie alternative in un certo ordine, e allora
la vincitrice dipende dall’ordine scelto. Come se ciò non bastasse, un particolare
ordine di votazioni può permettere a un’alternativa di vincere anche quando ne
esista un’altra che le è unanimemente preferita.
Un ulteriore problema del voto a maggioranza sequenziale è il seguente. Si
consideri il caso dell’Esempio 5.6, e si assuma il seguente ordine del giorno: y
contro z, il vincente contro x, il vincente contro s.
Se tutti i votanti votassero sinceramente, x vincerebbe. Consideriamo ora il
votante C. Per C, x è la peggiore opzione possibile; se votasse per z invece che
per y nel primo voto, alla fine vincerebbe s, che egli preferisce a x. L’individuo C
ha incentivo a votare in maniera strategica, cioè a votare in maniera non sincera.
In questo caso si dice che il sistema a maggioranza sequenziale non è a prova di
strategia (strategy-proof ): non c’è un incentivo per gli individui a votare secondo
le loro vere preferenze.

Definizione 5.6. Una regola di voto è a prova di strategia quando ogni agente ha
incentivo a rivelare correttamente le proprie preferenze.
80 C APITOLO 5

5.2.6 Il sistema maggioritario a turno unico


Con questo metodo, si presentano tutte le alternative simultaneamente, ciascun
votante dichiara la propria alternativa preferita, e vince quella che riceve il mag-
gior numero di voti. A differenza dei metodi precedenti, in cui era richiesta la
conoscenza dell’intero ordinamento di preferenza di ciascun elettore, in questo
caso è sufficiente conoscere l’insieme delle alternative ideali.
Questo sistema garantisce l’esistenza di un vincitore, il quale risulta essere
indipendente dall’ordine seguito nella votazione. Inoltre è soddisfatto il criterio
dell’unanimità.
Anche questo sistema, tuttavia, presenta dei limiti rilevanti. In primo luogo il
vincitore con il maggioritario potrebbe non essere il vincitore di Condorcet, cioè
l’opzione che batte tutte le altre in confronti diretti a maggioranza.

Esempio 5.7. Si considerino quindici votanti, che debbano scegliere rispetto alle
alternative x, y e z. Supponiamo che gli ordini di preferenze individuali siano i
seguenti:

• 6 votanti preferiscono x a y, e y a z;
• 4 votanti preferiscono y a z, e z a x;
• 5 votanti preferiscono z a y, e y a x.

Posizione N. votanti
6 4 5
I x y z
II y z y
III z x x

Quando si pongano in votazione le alternative con il maggioritario a turno unico,


x vince su z per 6 a 5, e z vince su y per 5 a 4: è scelta l’alternativa x. Quando
invece si pongano in votazione le alternative a maggioranza, allora y vince su z
per 10 a 5, z vince su x per 9 a 6, e coerentemente y vince su x per 9 a 6: è scelta
l’alternativa y. I due sistemi di votazione producono dunque ordinamenti sociali
diversi, e diversi vincitori.

Un secondo limite del sistema maggioritario a turno unico risiede nella possibilità
che risulti vincitrice un’opzione che è fra le meno preferite dagli elettori.

Esempio 5.8. Si considerino diciassette votanti, che debbano scegliere rispetto


alle alternative (x, y, z, s, t) . La tabella seguente riporta le preferenze per i diversi
gruppi.
Economia delle scelte pubbliche 81

Posizione N. votanti
5 2 3 3 4
I x y z s t
II y z y y y
III z s s z z
IV s t t t s
V t x x x x

Il sistema maggioritario sceglie x. Ma x è giudicata l’opzione peggiore da 12


votanti su 17! Per ogni altra alternativa, vi è una maggioranza che la preferisce
ad x. In generale, i limiti dei sistemi maggioritari dipendono dal fatto che nel-
la votazione si considera soltanto una parte dell’informazione contenuta nei vari
ordini di preferenza individuali: precisamente, l’alternativa ideale. In effetti, il
sistema maggioritario è indicato solo nel caso di due alternative. Questa consid-
erazione porta a formulare il prossimo meccanismo di voto.

5.2.7 Il sistema maggioritario a doppio turno


Con questo metodo, nel primo turno ciascun individuo vota per un’unica alter-
nativa. Se esiste un’alternativa con una maggioranza superiore al 50% dei voti,
questa è l’alternativa vincente. Altrimenti, si vota una seconda volta a maggio-
ranza semplice per le due opzioni che nel primo turno hanno ottenuto il maggior
numero di voti. Il vincitore di questo secondo turno vince l’elezione.
Anche questo sistema garantisce l’esistenza di un vincitore, il quale risulta essere
indipendente dall’ordine seguito nella votazione. Inoltre è soddisfatto il criterio
dell’unanimità.
Anche con il maggioritario a doppio turno il vincitore potrebbe non coin-
cidere con il vincitore di Condorcet, cioè l’opzione che batte tutte le altre in con-
fronti diretti a maggioranza. Nel caso dell’Esempio 5.8 il sistema maggioritario a
doppio turno porterebbe a sceglie t invece di y).
Il maggioritario a doppio turno può, inoltre, dar luogo al paradosso descritto
dall’Esempio 5.9:

Esempio 5.9. Si considerino diciassette votanti, che debbano scegliere rispetto


alle alternative (x, y, z). La tabella seguente riporta le preferenze per i diversi
gruppi.

Posizione N. votanti
6 5 4 2
I x z y y
II y x z x
III z y x z

Al primo turno le opzioni x e y ricevono il massimo numero di voti; al secondo


turno si vota tra x e y e vince x.
82 C APITOLO 5

Supponiamo ora che le preferenze dei due elettori dell’ultimo gruppo cambi-
no, diventando le seguenti: x  y  z.
Votando, x e z vincerebbero la prima tornata, e z la seconda. Dunque, nono-
stante la gente abbia cambiato le proprie preferenze in favore di x rispetto di y, x
non vince più e invece vince y. Non è rispettata la seguente proprietà.

Monotonicità: se l’opzione x vince secondo una certa regola elettorale, e l’in-


tensità della preferenza per x aumenta per qualche elettore senza diminuire per
nessun altro, x deve continuare a vincere.

Infine il sistema maggioritario non è a prova di strategia: con riferimento all’E-


sempio 5.9, i due votanti dell’ultimo gruppo avrebbero incentivo a scegliere come
nel primo caso, ammesso che le vere preferenze siano come nel secondo.

5.2.8 Il metodo di Borda


Il metodo di Borda è il più semplice tra i sistemi di voto ponderato, sistemi che
permettono l’espressione della intensità delle preferenze individuali sulle diverse
alternative attraverso l’esplicita attribuzione di pesi.
Supponiamo ci siano n alternative. Ciascun votante, classificando le alterna-
tive in base alle proprie preferenze, attribuisce alla prima in classifica n punti, alla
seconda n − 1 punti, alla terza n − 3, e cosı̀ via. Vince l’alternativa che registra il
maggior punteggio.

Esempio 5.10. Le preferenze di tre agenti {A,B,C} rispetto a 4 alternative {x, y,


z, s} sono:

• Preferenze di A : x Âa y Âa z Âa s;
• Preferenze di B : y Âb z Âb s Âb x;
• Preferenze di C : z Âc s Âc x Âc y.

Ora vediamo il punteggio attribuito alle 4 alternative con il metodo di Borda:

x y z s
A 4 3 2 1
B 1 4 3 2
C 2 1 4 3
Totale 7 8 9 6

In questo caso vince l’alternativa z.

Il metodo di Borda non è a prova di strategia. Nel caso dell’esempio precedente,


l’individuo A ha incentivo a mentire: dichiarando (strategicamente) di preferire y
a x e s a z, farebbe vincere y invece di z.
Economia delle scelte pubbliche 83

Supponiamo ora che le preferenze dell’individuo A cambino effettivamente e


diventino le seguenti: y Âa x Âa s Âa z. L’esito di questo cambiamento sarà che
ora il vincitore è y invece di z. Si noti che la preferenze di tutti gli individui - e in
particolare dell’individuo A - tra y e z non è cambiata: è cambiata la posizione di
y e di z rispetto ad altre alternative, ma non è cambiata in alcun modo la preferen-
za tra le due. E tuttavia l’ordinamento sociale tra y e z è cambiato. Si può ritenere
che questa proprietà sia indesiderabile. Quando si verifica questo caso allora la
regola di voto non rispetta la seguente proprietà:

Indipendenza dalle Alternative Irrilevanti (IAI): la preferenza sociale tra due


alternative x e y deve dipendere solo dalle preferenze individuali su tali alterna-
tive.
paragrafi precedenti hanno dimostrato la difficoltà di disegnare una regola di
I voto soddisfacente. Tutte le regole di voto considerate, pur presentando pregi
di rilievo, si caratterizzano per limiti e difetti.
In questo paragrafo si seguirà un percorso inverso: si formuleranno delle
proprietà eticamente desiderabili (assiomi), e ci si porrà la seguente domanda:
quale regola (o quale insieme di regole) di voto soddisfa queste proprietà di base?
Si tratta cioè di dedurre, attraverso un processo logico, il meccanismo di decisione
collettiva da alcuni principi largamente condivisibili.
Il metodo assiomatico, introdotto nella teoria delle scelte collettive da Arrow
[1951], scompone una regola di voto in un insieme di assiomi elementari, ottenen-
do in tal modo due diversi risultati: rende trasparenti i giudizi di valore impliciti in
una regola di voto; rende chiaro e rigoroso il confronto tra meccanismi di voto al-
ternativi. È dunque un contributo molto ricco alla riflessione logica e al confronto
ragionato.

5.3 L’approccio assiomatico deduttivo


5.3.1 Il teorema dell’ impossibilità di Arrow
Si tratta del risultato più importante nella teoria delle scelte collettive, sia per il
metodo assiomatico per la prima volta introdotto in questo campo di studi, sia per
il risultato sorprendente e paradossale messo in luce.
Il modello è quello già utilizzato nelle pagine precedenti: una assemblea N
composta da n individui deve scegliere tra m politiche alternative, appartenenti
all’insieme X. Ciascun individuo i in N è dotato di un ordinamento di preferen-
za, completo e transitivo, sull’insieme X. Âi è l’ordinamento di preferenza del-
l’elettore i, {Â1 , ..., Ân } il profilo di preferenze individuali e ÂS l’ordinamento
di preferenza sociale. Una regola di voto è una funzione la quale, per qualsiasi in-
sieme di politiche X, associ un ordinamento di preferenza sociale ÂS a un profilo
di preferenze individuali.
Arrow [1951] formula il seguente problema: esiste una regola di voto la quale
soddisfi contemporaneamente un insieme di proprietà desiderabili?
84 C APITOLO 5

Le proprietà desiderabili (assiomi) proposti da Arrow sono i seguenti:

1. Completezza e transitività dell’ordinamento di preferenza collettivo ÂS ;


2. Dominio non ristretto: ammissibilità di qualsiasi ordinamento di preferenza
individuale, purchè completo e transitivo;
3. Unanimità: se per tutti gli individui x è preferito a y, allora anche per la società
x deve essere preferito a y;
4. Assenza di dittatura: non esiste alcun individuo i in N il cui ordinamento
di preferenza Âi su X coincide sempre e comunque con l’ordinamento sociale
ÂS ;
5. Indipendenza dalle alternative irrilevanti: la preferenza sociale tra due alter-
native x e y deve dipendere solo dalle preferenze individuali su tali alternative.

Arrow [1951] dimostra che i 5 assiomi precedenti sono tra loro incompatibili.
Teorema 5.3 (Teorema di Impossibilità di Arrow [1951]). Non esiste alcuna
regola di voto la quale soddisfi le condizioni 1-5.
Per una semplice dimostrazione, si veda Dardanoni (2002).
Dunque, non esiste alcuna regola di voto la quale possa soddisfare contem-
poraneamente le cinque proprietà formulate. Ogni regola di voto, secondo Arrow,
deve necessariamente violare almeno una di queste proprietà. Per esempio, la re-
gola dittatoriale, in cui un individuo sceglie per tutti, rispetterebbe tutte le altre
condizioni.
Il teorema svela l’esistenza di una difficoltà profonda dei sistemi democratici,
rendendo tra l’altro manifesta l’esistenza di un conflitto tra esigenze di rappresen-
tatività democratica delle regole di voto (espresse dagli assiomi 3 e 4) ed esigenze
di decisività delle stesse (espresse dagli assiomi 1 e 2). Si tratta di un risultato cer-
tamente negativo. Tuttavia, il senso dei risultati assiomatici di impossibilità non è
quello di suggerire la rinuncia alle richieste di fondo che sottendono le proprietà
formulate. Un risultato di impossibilità individua il limite estremo cui è possibile
spingersi con le diverse richieste espresse dagli assiomi. Indebolendo uno o più
assiomi, soluzioni positive sono possibili. E in effetti la ricchissima letteratura
nata dal teorema di Arrow ha dimostrato come, indebolendo uno qualsiasi degli
assiomi originari, è possibile ottenere risultati positivi, cioè regole elettorali. Il
teorema però permette di individuare in maniera rigorosa a cosa si sta rinuncian-
do con una qualsiasi delle regole di voto possibili. È quindi da interpretare come
una paradigma di riferimento: ogni regola di voto è ora confrontabile con qualsiasi
altra in un’unica griglia interpretativa.

Il teorema di Arrow e il benessere sociale Il risultato dimostrato con il teo-


rema di Arrow, e in genere la teoria delle scelte collettive, è suscettibile di una
interpretazione diversa da quella discussa fino a ora. Piuttosto che di analisi dei
processi decisionali che hanno luogo in una assemblea di individui, il problema
formulato da Arrow può essere interpretato nel senso di una modalità per ag-
gregare gli interessi individuali in una espressione dell’interesse collettivo. Una
Economia delle scelte pubbliche 85

regola di voto sarebbe, in questa interpretazione, una funzione che permette di


passare dai livelli di interesse o benessere individuale a un livello di benessere
collettivo: ossia una funzione del benessere sociale welfarista e individualista (si
veda Longobardi-Peragine, 2005, cap.II). In questa interpretazione, il teorema
segnalerebbe una difficoltà nella costruzione di una nozione robusta e coerente di
benessere sociale. Tuttavia, sotto questo profilo interpretativo gli assiomi proposti
da Arrow appaiono meno cogenti. Appare in particolar modo discutibile l’ulti-
mo degli assiomi di Arrow, l’Indipendenza dalle Alternative Irrilevanti. Questo
assioma in buona sostanza sancisce la parsimonia informativa della regola di vo-
to. Con l’assioma IAI non solo si esclude che la regola possa andare al di là di
informazioni meramente ordinali circa le preferenze degli individui; si esclude
anche, in maniera decisiva, che sia possibile confrontare le posizioni dei diversi
individui. Come dimostrato da Sen (1970), se si traduce la teoria di Arrow nel lin-
guaggio delle utilità individuali, l’assioma IAI stabilisce che le utilità individuali
siano ordinali e non confrontabili. Ora, evitare il confronto ed eventualmente la
compensazione tra le posizioni dei diversi individui può apparire scelta plausibile
nelle regole di voto democratico. Tuttavia, questa scelta appare moto più dis-
cutibile quando si tratti di aggregare gli interessi individuali in un’unica nozione
di bene o utilità collettiva. In questo campo, infatti, la nozione di bene collet-
tivo nasce - deve nascere - da uno sforzo di mediazione e di sintesi di interessi
diversi. Ma rinunciando ai confronti inter-personali (con l’assioma IAI), si rin-
uncia esattamente alla mediazione degli interessi; non stupisce quindi che in un
contesto informativo talmente povero risulti impossibile una nozione di benessere
collettivo che sia sintesi degli interessi individuali.
Dunque, se interpretato nel senso del benessere sociale, il teorema di Arrow
non dimostrerebbe l’impossibilità di una definizione coerente e condivisa di be-
nessere collettivo. Piuttosto, sarebbe una prova della impossibilità di basare la
nozione di benessere sociale su di una classe di informazioni individuali limitata.
In aggiunta, il teorema mostra che la determinazione di che cosa sia possibile e
che cosa no può dipendere in modo cruciale da quelle che sono le informazioni di
cui si tiene effettivamente conto nel prendere decisioni sociali.

5.3.2 Il teorema dell’ impossibilità di Gibbard-Satterthwaite


Utilizzando lo stesso modello proposto da K. Arrow, Gibbard [1973] e Satterth-
waite [1975] propongono i seguenti assiomi:

1. Decisività dell’ordinamento di preferenza collettivo ÂS : si richiede semplice-


mente l’esistenza di un vincitore, e non di un ordinamento completo tra tutte le
alternative sub-ottimali;
2. Dominio non ristretto;
3. Assenza di dittatura;
4. A prova di strategia.

Teorema 5.4 (Teorema di Gibbard- Satterthwaite). Non esiste alcuna regola


di decisione collettiva la quale soddisfi le condizioni 1-4.
86 C APITOLO 5

Il teorema di Gibbard-Satterthwaite ha aperto la strada a una letteratura scientifi-


ca molto ampia, nel campo dell’economia pubblica, in cui si cerca di disegnare
regole e meccanismi pubblici in grado di incentivare gli agenti privati, individui e
imprese, che in diversi contesti hanno rapporti con il settore pubblico, a rivelare
correttamente le informazioni di cui dispongono.

5.3.3 Il teorema di May


Utilizzando lo stesso modello proposto da K. Arrow, May [1952] propone i seguen-
ti assiomi:
1. Simmetria: le identità degli individui sono irrilevanti;
2. Neutralità: il nome delle alternative non altera il risultato (qualsiasi permu-
tazione applicata a tutte le preferenze individuali determina la stessa permu-
tazione della preferenza sociale);
3. Monotonicità.
Teorema 5.5 (Teorema di May). Il voto a maggioranza semplice è l’unica regola
di voto che soddisfa le proprietà 1-3.
Suggerimenti per ulteriori letture

I testi classici, già citati nel testo, rimangono: Arrow [1951], Buchanan and
Tullock [1962], Gibbard [1973], May [1952], Satterthwaite [1975] e Sen [1970].
Si consiglia anche la lettura dei seguenti testi: Dardanoni [2002], Roemer [2001]
e Sen [1986].
88
Bibliografia

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Individual Values. 2nd ed. 1963. Economic Theory, (10):187–217.
Wiley, New York. Sen, A. K. (1970). Individual choice
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University of Michigan Press, Ann Sen, A. K. (1977). “On Weights and
Arbor. Measures: Informational Constraints
Dardanoni, V. (2002). “A pedagog- in Social Welfare Analysis”. Econo-
ical proof of Arrow’s impossibili- metrica, (45). Traduzione italiana in
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Gibbard, A. (1973). “Manipulation Sen, A. K. (1986). Scelta, benessere,
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