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Fattori che favoriscono l’incidenza educativa dell’insegnamento di filosofia.

Riconosciuto che l’insegnamento della filosofia abbia un’indubitabile rilevanza nello sviluppo delle capacità logico-
argomentative e di giudizio degli allievi e, piu in generale, degli strumenti per comprendere e valutare la tradizione
storico-culturale alla quale appartengono (ciò che non è scontato e che sarebbe meritevole di una specifica
tematizzazione), si tratta di esaminare, prima ancora che con quali metodi, attraverso quale tipo di approccio alla
disciplina questa incidenza possa essere meglio favorita.

1. Un’impostazione storica
Non ci sono motivi adeguati per abbandonare l’impostazione storica ereditata dalla tradizione gentiliana:
 E’ un dato oggettivo che la filosofia non sia una “scienza unitaria”, nel senso che non esiste tra i filosofi, se non in
misura assai parziale, un accordo sul suo statuto epistemologico, sui suoi oggetti e sui suoi metodi.
 L’approccio per temi, anche se attento alla dimensione storica, non consentirebbe di cogliere la profondità della
tradizione filosofica e impoverirebbe negli studenti la capacità di orientarsi sul piano storico. Esemplificando:
l’immagine di Aristotele che lo studente svilupperebbe incontrandone separatamente le tesi in metafisica, in ambito
etico e in quello logico sarebbe più sfuocata di quella che potrebbe formarsi analizzando sistematicamente l’autore,
cosa che potrebbe minare la comprensione delle stessi tesi metafisiche, etiche, logiche, ecc. Conseguentemente
verrebbe meno l’apporto che lo studio degli autori dà a quella formazione storica a cui attingono e contribuiscono
(oltre ovviamente alla storia) tutte le discipline di impostazione storica (storia dell’arte, storia della letteratura,
lingue).
 La presentazione sistematica di una filosofia (ad esempio il realismo neotomista), anche se “forte” sul piano
categoriale, comporterebbe il rischio di operazioni ideologiche e potrebbe non dare ai discenti sufficienti strumenti
per il confronto con la cultura contemporanea e per lo sviluppo di una capacità di giudizio.
E’ vero però che l’approccio storico, oltre al pregiudizio idealistico (“storicità del Vero”), che comunque a nostro
avviso risulta oggi poco pericoloso, deve difendersi dal più grave rischio di corroborare la tendenza relativistica
dominante che riduce l’educatività della filosofia al semplice sviluppo della capacità di “problematizzare”, “dialogare”,
nella completa indifferenza alla verità di ciò di cui si discute.

2. Priorità del “perché” sul “che”


Proprio per evitare questi rischi è indispensabile che nella presentazione storica della filosofia la preoccupazione
informativa (completezza dell’informazione su un autore o su un’epoca storica) non diventi dominante fino al punto da
far perdere di vista la specificità filosofica:
 Non ha senso presentare le tesi dei filosofi senza mostrarne le origini e le basi.
 Tali basi fanno costante riferimento al contesto storico-culturale ma sono eminentemente logico-argomentative.
Annacquare la dimensione teoretica in quella storica, fa perdere incisività all’insegnamento della storia della filosofia
che si trasforma in una generica “storia delle idee”. Paradossalmente è meglio che una storia della filosofia sia
filosofica, anche a danno dell’esattezza del dato storico.

3. Una storia con una “trama”


E’ indispensabile che il filo conduttore del discorso storico non sia appena la successione cronologica. Occorre che il
percorso sia sorretto da una trama di carattere teoretico. Nella storia del pensiero succede qualcosa che non è il puro
succedersi di diversi contesti culturali, né il rincorrersi di bizzarre ed originali personalità. Non si tratta semplicemente
di evidenziare collegamenti o temi ricorrenti, ma di delineare uno svolgimento, di illuminare un possibile senso. E’ una
operazione rischiosa, perché si presta alla produzione di semplificazioni e a parzialità nelle interpretazioni. Ma è utile
sul piano educativo, anche al di là e nonostante i suoi limiti: una cattiva ipotesi (purché sia una ipotesi e non un
pregiudizio) è meglio che nessuna ipotesi. Sempre rimanendo sul piano del paradosso potrebbe essere di maggior
interesse, nell’ambito di un discorso storico, l’esame delle implicazioni di una certa interpretazione “classica” dello
scettismo che non stabilire “quello che realmente ha affermato” Pirrone di Elide.

4. Una tensione all’immedesimazione


La comprensione di un autore, però, non può esaurirsi al sapere che cosa ha detto, in che contesto storico e su che basi
teoretiche. Rischia di essere superficiale, anche se analitica e circostanziata, se non tenta di diventare un cogliere “che
cosa è in gioco” per il pensatore che si è posto certi problemi e ha tentato di risolverli. Occorre favorire
l’immedesimazione con la posizione, umana e teoretica, dei filosofi. I problemi della filosofia sono certamente massime
questioni imprescindibili per l’uomo, ma non sempre la modalità del loro proporsi nella storia risulta interessante e
comprensibile per lo studente. La gravità oggettiva delle questioni non è, di per sé, una garanzia del loro imporsi come
tali agli occhi di chi studia filosofia.

5. Un tentativo di giudizio
Uno degli aspetti più diseducativi della maggior parte dei testi di filosofia è la loro presunta obiettività e imparzialità
(ovviamente presunta, perché, più o meno implicitamente, giudizi di valore vengono formulati). Ma quale può essere
l’interesse e l’utilità di uno studio che prende in esame un susseguirsi di tesi che riguardano questioni importanti senza
mai discuterne il valore? Lo studente può solo ricavarne l’idea che su quelle questioni sia impossibile raggiungere una
soluzione e che ciascuno si debba orientare “secondo coscienza”, ossia secondo quello che l’istintività controllata dai
condizionamenti mediatico-sociali suggerisce, e che la filosofia non sia un vero sapere, perché alla fin fine, discute,
discute ma non conosce niente.
Sembra invece determinante, sin dai primi passi, abituare i discenti al giudizio su quanto studiano. Le affermarzioni dei
filosofi, più volte contraddittorie, non possono essere tutte vere: chi ha ragione? Occorre superare le remore sulla
incompetenza degli allievi. La gran parte di loro competenti non lo saranno mai; in realtà non lo siamo nemmeno noi
insegnanti. E’ chiaro che non si può fomentare la presunzione di saper tutto misurare o di potere facilmente squadrare,
con le nostre corte vedute, le più alte vette raggiunte dallo spirito umano. D’altra parte, tuttavia, non è umano scontrarsi
con argomentazioni che riguardano le questioni fondamentali senza confrontarsi con esse. Bisogna forse essere eruditi
italianisti per avere il diritto di parlare della bellezza della poesia di Dante?
Il giudizio riguarda due aspetti: la coerenza logico-argomentativa e il valore, ossia il paragone con l’esperienza
elementare. Entrambi i momenti sono importanti e non possono essere isolati senza cadere negli atteggiamenti limitanti
di un razionalismo che riduce il pensiero a puro rigore logico, o nel sentimentalismo spontaneistico di un “cuore” che
non va in cerca di “ragioni”.
La tensione al giudicare non deve impedire la comprensione e l’ìmmedesimazione con l’autore studiato, divenendo pre-
giudizio. Ciò può ottenersi, per esempio, separando esplicitamente il momento dell’ascolto e della comprensione da
quello della valutazione e del giudizio. Non si deve favorire la tendenza alla gioco della confutazione, che facilmente si
può sviluppare negli adolescenti. Occorre educare uno sguardo valorizzatore che miri a evidenziare “che cosa c’è di
vero” più che “che cosa c’è di falso”.

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