"ON E PARA DIGMI DELLA VERITA IN PL ATONE
= la più in ordine inverso rispetto al dettato del Timeo). Parlare di mano
100
: di
ARI
derno
Interpretare Platone con "mano leggera"
In alcune occasioni pubbliche mi è capitato di suggerire l'idea
che l'opera di Platone debba essere interpretata con "mano leggera" .
Per spiegare che cosa voglio dire, sarà opportuno accennare breve-
mente a che cosa intendo per "interpretazioni condotte con mano
pesante". Esemplari di questo stile esegetico sono, da un lato, le let-
ture di Platone proposte nell'antichità dai filosofi medioplatonici e
poi (soprattutto) neoplatonici; d'altro lato, sia pure con metodi ed
obiettivi radicalmente diversi, una analoga mano pesante è ben per-
cepibile anche in numerose analisi condotte da studiosi contempo-
ranei. Per quanto riguarda l'esegesi antica me la caverò con un paio
di esempi. Un caso davvero tipico di pesantezza interpretativa è il
modo in cui i filosofi neoplatonici hanno spiegato la seconda parte
del Parmenide, facendo corrispondere alle varie ipotesi dei ben precisi
livelli ontologici. La pesantezza, qui, è fuori discussione, perché
l'ubriacante arabesco della dialettica e della logica platonica viene in
questo modo pietrificato in un monolite che sembra davvero aver
poco a che fare con le intenzioni dell'autore (quali esse siano). Ma vo-
glio citare anche un caso più limitato, che forse proprio per questo è
ancora più significativo. Commentando il celebre passo del Timeo
(28 e 4) in cui si parla del «padre e creatore » (1tOtT\'tl]Y JCaÌ 1tmÉ.pa)
del cosmo, Proclo cita l'opinione di Numenio (303, 27-9 = fr. 21
Des Places) secondo cui il "padre" e il "creatore" sarebbero due divi-
nità distinte, e disposte gerarchicamente l'una sopra l'altra (per di
13 1
pesante, a questo proposito, sarebbe addirittura riduttivo: sembra
quasi che N umenio faccia passare sul testo platonico il pesante far-
dello delle sue tesi teologiche al modo di uno schiacciasassi .
Fin qui, si potrebbe dire, l'ironia è sin troppo facile. Che dire
invece dei moderni? La faccenda è in effetti un po' più complicata.
Ma poiché non posso parlarne diffusamente in questa sede, cercherò
di mostrare in modo approssimativo quello che intendo dire. Da un
primo punto di vista la mano pesante si mostra all'opera quando si
cercano nel testo di Platone risposte lineari e coerenti a problemi di
cui non abbiamo affatto la certezza che si tratti davvero di "problemi
platonici" 1• Ecco un esempio . Aristotele racconta che Socrate ha
inaugurato la ricerca sugli universali ma che solo Platone li ha pensa-
ti come entità a se stanti (metaph. B 2. 997 b 1 sgg.). Su questa base
gli interpreti identificano due tipi distinti di entità concettuali, il
primo denominabile come "universale socratico" e il secondo come
"idea platonica"; poi setacciano il testo platonico per trovare le con-
tromarche adatte a significare la differenza, e infine classificano caso
per caso i concetti generali che vi si trovano nell'una o nell'altra cate-
goria. Ma l'impresa, come si può ben immaginare, è piuttosto arri-
schiata (oltre che di dubbio interesse), e almeno per due ragioni: 1)
Platone costruisce la propria nozione di idealeidos proprio mettendo
in luce le premesse che a suo parere erano implicite nell'argomentare
socratico, per cui è molto ingenuo tentare di capire precisamente do-
ve finisce l'uno e dove inizia l'altra; 2) il Socrate di cui si parla è qua-
si sempre il Socrate di Platone, per cui occorre anche ritagliare il
Socrate/Socrate dal Socrate/Platone, mettendosi così alla ricerca di
altre contromarche forse ancora più introvabili delle prime 2 •
1
Il primo interprete ad avviare un'operazione di questo tipo è, a mio avviso, Aristo-
tele. Ne ho parlato in Sui caratteri distintivi della "metafisica" di Platone (a partire dal 'Par-
menide'), «Méthexis», XVI (2003) pp. 43-63, e Esiste, seconda Aristotele, una "dottrina platoni-
ca delle idee"?, «ivi », XX (2007) pp. 159-80.
2
Anche su questo problema rinvio a cose che ho già scritto: Alcune considerazioni ge-
nerali sul SOlrate di P!atone, «Rivista di storia della filosofia», LI (1996) pp. 895-906; ll 'Te-
eteto' di DavidSedley, «ivi », LXIII (2008) pp. 61-73.
132 PARADIGMI DELLA VERITA IN PLATONE
L'idea che sta alla base di questi tentativi consiste in generale
nel presupporre che un filosofo degno di questo nome debba poss~-
dere una teoria (o una serie di teorie) articolata e coerente: per cui,
ove i testi in oggetto presentino una conformazione ben diversa,
l'interprete si prende il carico di mettere in luce l'organicità latente,
e di rispondere con il suo ingegno a tutte le domande che nel testo
platonico non trovano risposta. È sul fondamento di questi presup-
posti, ad esempio, che è stata individuata in Platone una "teori~ delle
idee" e che la si è considerata come la base portante d1 tutto 11 suo
pensiero: quando non sembra vera né l'una né l'altra cosa\ Oppure,
non importa quale sia l'ambito di interesse, si cercano nei dialoghi
pezzi di teoria da ricucire poi insieme per stilare un q_uadro coer~nte,
non senza una larga ed eroica profusione di energie mtellettuah per
individuare imponderabili linee di sviluppo, ovvero per attenuare
differenze di punti di vista, contraddizioni, o anche semplicement~
difformità di tematiche e di intenzioni. O ancora: si suppone che 1
problemi sollevati in alcuni dialoghi trovino soluzione in altri, sen~a
accorgersi che questo non avviene praticamente mai (a volte sempli-
cemente non si tratta dello stesso problema, come nel caso del tema
dell'errore tra Teeteto e Sofista4 ). Non si vuole vedere, inoltre, che una
larghissima parte delle cosiddette "teorie" di Platone sono dei _veri e
propri hapax /egomena 5 : cosicché non solo i richiami mtertestuah son~
spesso impossibili da individuare, ma anche la stessa noz10ne d1
"teoria platonica" ne risulta fortemente indebolita. . come il Teeteto, dovrebbero essere usati piuttosto per sollevare in
Infine - ma si potrebbe continuare a lungo - l'effetto neganvo
a mio avviso più grave di questo tipo di metodologia è che l'inter-
prete di mano pesante, che usa tale metodo perché convinto di non
3 Sulla precaria esistenza di qualcosa come una "dottrina platonica delle idee" cfr.
p GoNZALEZ Perché non esiste una "teoria platonica delle idee", in M. BONAZZI-F.
TRA.BATIONI (a cura di), Platone e la tradizione platonica. Studi di filosofia antica, Milano
2003,pp. 31-67. Per quanto riguarda l'ipotesi che sia_ la base portante d1 tutta la filosofia
di Platone basterebbe verificare le occorrenze quanmauve d1 quesa supposta teona nei
dialoghi: nelle Leggi, ad esempio, non se parla mai. . , , . . .
4 Ho discusso brevenente questo problema m Il Teeteto dz Davzd Sedley, Clt., pp.
69-70.5 . . . .. . .. c. . . 66
Per una lista appra;s1mauva d1 queste teone c,r. zvz, p. .
PARADIGMI DELLA VERITA IN PLATONE 133
aver assolto correttamente il suo compito se non è riuscito a indivi-
duare con precisione complessi dottrinali come l'ontologia o l'episte-
mologia di Platone, fa cadere come una mannaia i risultati della sua
indagine su tutto quanto non sembra rientrare nello schema in tal
modo identificato. Casi emblematici di testi "ghigliottinati" da que-
sta mannaia sono a mio avviso il Teeteto e la VII Lettera. Il Teeteto rap-
presenta per gli interpreti di mano pesante una crux ricorrente e sol-
lecita non a caso un lavoro di lettura e rilettura infinito. È possibile,
si chiede l'interprete di mano pesante, che Platone, forte della "dot-
trina epistemologica" coerente e precisa fissata nella Repubblica, scriva
poi un dialogo in cui pare non riuscire a trovare una definizione a-
deguata di ÈmcrTI]µT]? Si risponde che non è possibile. Ed ecco il pro-
fluvio di inchiostro per mostrare dove e come Platone risolve effetti-
vamente il problema, e perché questa soluzione non compare nel
Teeteto. Così la coerenza della "dottrina epistemologica" di Platone
rimane salva. Per quanto riguarda invece la VII Lettera, il problema è
costituito ovviamente dal cosiddetto excursus filosofico. Ora, è ben
possibile che tutta la Lettera, o anche il solo excursus, non siano au-
tentici. Ma certo non è sufficiente, per stabilire che non lo sono, os-
servare che l'epistemologia relativamente debole dell'excursus sarebbe
in contrasto con la supposta "dottrina epistemologica di Platone":
perché tale dottrina è stata individuata proprio grazie alla mano pe-
sante di cui sto dicendo, e dunque l'excursus della VII Lettera, così
proposito qualche ragionevole dubbio.
Dunque, meglio usare una mano leggera. Il che non significa,
beninteso, che si debba diluire il significato filosofico dell'opera di
Platone, in accordo con i rappresentanti più estremi del cosiddetto
dialogica! approach, all'interno di considerazioni storiche, sociologiche,
letterarie, o - peggio - narratologiche. L'impegno dell'interprete
deve a mio avviso puntare sempre a ricostruire il significato filosofico
degli scritti di Platone, ma procedendo dialogo dopo dialogo, se-
guendo le nervature del testo, analizzando le strategie dialogiche e
retoriche messe in atto di volta in volta, tenendo conto degli intenti
particolari di ciascuna opera; e soprattutto senza pretendere di poter
giungere a una dottrina interdialogica provvista delle caratteristiche
134 PARADIGMI DELLA VERITA IN PLATONE
distintive di una teoria intesa in senso stretto e rigoroso. Questo
non implica che non si possa parlare di coerenza. Ma si tratta di una
coerenza più leggera, percepibile a livello di quadro di insieme, più
che di una coerenza fondata su ben precisi decorsi argomentativi.
Non dobbiamo immaginare la filosofia di Platone come una casa, e i
testi che la compongono come le sue varie parti. Piuttosto dobbia-
mo intendere questi testi come fotografie degli stessi oggetti presi
da differenti punti di vista. E in questo caso nessuno può stupirsi
che gli oggetti rappresentati appaiano così spesso, almeno sotto il
profilo delle evidenze immediate, tanto diversi (si provi a guardare il
Cervino prima da Zermatt e poi da Cervinia, e si avrà una discreta
rappresentazione di quello che voglio dire).
Perché questa lunga premessa? Perché a mio avviso i lavori pla-
tonici di Casertano, compreso quello di cui sto parlando ora, rappre-
sentano degli esempi eccellenti, esegeticamente sottili e filosofica-
mente fruttuosi, di questo modo leggero (ma ovviamente profondo)
di interpretare Platone. Per capire ciò che intendo dire occorrerebbe
esporre e riassumere l'intero volume. Ma questo non si può fare. Per
cui preferisco prendere in considerazione un caso che, a mio avviso, è
altamente indicativo. Gli interpreti di mano pesante non hanno al-
cun dubbio nel sostenere che un pezzo importante della "dottrina
epistemologica" di Platone è costituito dal fatto che esiste un modo
di conoscenza chiamato È1ttCT'tT\µTI e che questo modo di conoscenza si
differenzia nettamente dalla M!;a. Il che non tiene conto, a mio avvi-
so, di controfatti assolutamente decisivi, tra cui la complessa polise-
micità della nozione di M!;a in Platone. Ma sono temi di cui ho par-
lato molto spesso, per cui qui non aggiungo nulla. Sia come sia, una
delle evidenze testuali a sostegno di questa tesi è il passo del Menone
(98 B 1- 5) in cui Socrate dice di sapere per certo, e non come con-
gettura (où m:ivu µot 001(0) "CO'U'tO EtKasEt v) che òp9ii M!;a ed bttcr'tT\µT\
sono cose diverse. L'interprete di mano pesante legge questa frase, il
cui tono assertivo pare collimare assai bene con i suoi assunti, come
se volesse dire che qui Platone esprime la certezza che il filosofo possa
accedere ad una scienza superiore alla M!;a. Ma Casertano, assai giu-
stamente, ritiene che se si interpreta il passo in modo globale, se-
guendone tutte le sfaccettature, gli esiti sono radicalmente diversi. Il
PARADIGMI DELLA VERITA IN PLATONE 135
passo in questione inizia con Socrate che dice di parlare come uno
che non sa, ma parla appunto per congettura (ooç 01)1( eioooç [... ] à')..),à
eiKaçcov). Ora, spiega Casertano (p. 46), questa circostanza indub-
biamente segnala un duplice atteggiamento di Socrate, da un lato
rivolto a ciò che sa con certezza, dall'altro a ciò che può soltanto con-
getturare. Quello che sa con certezza, prosegue l'autore, è che l'òp9ii
M!;a differisce dall'bttcr'tT\µT\. Ma allora che cos'è che Socrate conget-
tura? Perché mai Platone mette in bocca a Socrate la forte dichiara-
zione della differenza tra M!;a ed bttcr'tT\µT\ all'interno di una battuta
in cui questa certezza è contrapposta ad una incertezza? A che cosa si
riferisce questa incertezza? L'ipotesi di Casertano, a mio avviso asso-
lutamente corretta, è che Socrate può dire con sicurezza che c'è una
netta differenza tra òp9ii oo!;a ed È1ttcrTI1µT\, ma quanto alla reale na-
tura dell'bttcr'tT\µT\ può solo fare congetture. Socrate « può sapere la
caratteristica formale del sapere certo, e cioè che è un sistema organiz-
zato di verità connesse da ragionamenti causali concatenati, ma non
conosce quale sia questo sistema» (p. 46).
Ma potremmo anche aggiungere un 'altra considerazione. Il
tratto distintivo dell'È1ttcrTI1µT\, per Platone, è di essere infallibile (cfr.
resp . 477 E). Anzi, potremmo porre la cosa in questo modo: chia-
miamo con il nome È1ttcrTI1µT\ quel tipo di sapere la cui caratteristica
fondamentale è quella di essere infallibile. Detto questo, per ora di
tale sapere non sappiamo nulla: né in che cosa consista, né come si
sviluppi, né se sia realmente acquisibile dall'uomo. Ma tanto basta a
stabilire, con tutta la forza possibile, che l'òp9ii M!;a e ·l'È1ttcrTI1µT\ so-
no due cose diverse. Infatti si tratta di un ovvio, e infruttuoso, giu-
dizio analitico, poiché la oo!;a è per definizione conoscenza fallibile
mentre l'È1ttcrTI1µT\ è per definizione conoscenza infallibile. L'analiti-
cità del giudizio è l'esatta ragione per cui il Socrate platonico, in
forma piuttosto inconsueta, formula una sua opinione in modo de-
cisamente assertivo. Ora, solo un'interpretazione di mano leggera,
ossia attenta più alle nervature del testo che agli eventuali pieces of
theory che se ne potrebbero ricavare, è in grado di scoprire il gioco
letterario che Platone mette in opera in questo caso. La forza inusita-
ta dell'asserzione, messa in bocca a Socrate, secondo cui c'è una netta
differenza tra òp9ii M!;a ed Èmcr'tT\µT\, non deve trarre in inganno il
136 PARADIGMI DELLA VERITA IN PLATONE
lettore; perché se è vero che questo è inoppugnabile, è anche vero che
tale asserzione non è per niente utile a mostrare che Platone credeva
di conoscere con certezza in che cosa consista questa ÈmcrTijµTJ, e come
sia praticabile dall'uomo. Il passo, correttamente interpretato, signi-
fica infatti l'esatto contrario: ossia che circa l'ÈmcrTijµTJ è facile lanciarsi
in affermazioni formali e di principio (è infallibile, è superiore alla
86/;a, ecc.), assolutamente inoppugnabili ma anche praticamente
inutili; mentre è molto difficile individuare quello che sarebbe dav-
vero utile sapere, ossia che cosa essa è, in che cosa si differenzi dalla
86/;a, e come sia praticabile. E questo esito si collega perfettamente
con quanto risulta dal Teeteto, ossia che è molto difficile, se non im-
possibile, individuare qualcosa come un'bttcrTIJµTJ esente da errore e
separarla nettamente dalla 86/;a.
Spero in questo modo di aver proposto un esempio significati-
vo delle ragioni per cui trovo veramente efficace il metodo esegetico
adottato da Casertano. Chiudo questo breve intervento elencando,
molto cursoriamente, una serie di sottolineature tematiche che mi
vedono in perfetta sintonia con le sue ricerche, e menzionando
l'unico vero motivo di dissenso che ho nei suoi confronti. Tra i temi
che mi sono cari rilevo, fra gli altri, l'idea che la verità per Platone sia
soprattutto nei discorsi (pp. 51, 167), che la piena e perfetta cono -
scenza delle idee si ottenga solo dopo la morte (p. 48), il nesso assai
stretto che l'autore individua tra verità, retorica e persuasione (pp.
21, 43, 61), e - soprattutto - il principio secondo cui per Platone la
verità raggiungibile dall'uomo è sempre incompleta e approssimati-
va, in forza della distanza radicale che esiste tra la sophia degli dei e la
philo-sophia degli uomini (pp. 107, 187, 189, 256 , 262, 264).
Quanto allo spunto critico, riguarda il rapporto tra Platone e i sofi-
sti. Anch'io ritengo, e in parte perché ho appreso molto proprio dai
lavori di Casertano, che la distanza tra Platone e i sofisti sia assai mi-
nore di quanto le letture tradizionali tendono a sostenere. Non pos-
so tuttavia essere d'accordo sul fatto che la vera differenza riguardi
solo la diversità di motivazioni e di intenzioni etiche. Infatti l'etica
platonica, a mio avviso, è scarsamente distinguibile dall'etica socrati-
ca, per cui è interamente dominata dal binomio sapienza/ignoranza.
L'uomo virtuoso, in altre parole, non è colui che agisce in base ad
PARADIGMI DELLA VERITA IN PLATONE 137
una intenzione buona (questa sarà la lettura del socratismo, a mio
avviso scorretta, proposta dagli Stoici), ma colui che dispone del sa-
pere migliore in vista della realizzazione del bene e della vita buona.
Di conseguenza, se è vero che tra Platone e i sofisti c'è differenza sul
piano morale, in termini platonici questa differenza è comunque il
segnale di una differenza in termini di sapere. Se il filosofo non riesce
a dimostrare che è più sapiente del sofista, non può nemmeno pro-
vare che è più virtuoso .
FRANCO TRABATTONI
Università di Milano
Regimi di verità in P!atone
1. Il libro di Casertano si articola in undici saggi che analizzano
un'ampia gamma di dialoghi platonici . Essi risultano unificati non
tanto dalla "dimostrazione" sistematica di assunti interpretativi,
quanto dall'unità tematica dell'interrogazione sulla questione della
verità, e dal profilo ricorrente di una serie di risposte a questa inter-
rogazione, che viene fatto progressivamente emergere dalla lettura
ravvicinata dei testi. Il libro si offre dunque a un, doppio livello di
fruizione: per la posizione del tema della verità, da un lato, e per la
comprensione dei singoli dialoghi dall'altro. In questo secondo sen-
so, vorrei citare come esemplare - per finezza di lettura e profondità
di interpretazione - l'analisi che Casertano offre del Gorgia, di cui
viene messa in luce la tragicità dialogica, nello scontro non mediabile
fra due forme di vita oltre e più che di pensiero.
Per venire però al tema centrale del libro, mi sembra che se ne
possano indicare alcune tesi di fondo, benché, come si diceva, esse
non vengano enunciate in forma sistematica: può essere utile formu-
larne una sorta di indice ragionato .
a) È per Platone essenziale e necessario credere nell'esistenza di
verità oggettive, e anche, ma come vedremo non è la stessa cosa,