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Tracce di totemismo nel dialetto romagnolo

1
"Ogni studioso parte da certe premesse, che esistevano in lui prima che egli si accingesse
al lavoro."

V.Je.Prop
p

2
Indice

 Introduzione.........................................................................pag.5

1. CAPITOLO PRIMO. Totemismo..............................................

 1a. La paternità dei nomi parentelari........................................

 1b. Antropomorfismo pagano...................................................

 1c. Antropomorfismo cristiano.................................................

2. CAPITOLO SECONDO. Folklore romagnolo..........................

 2a. La koinè dialettale romagnola.............................................

 2b. Frammenti di folklore romagnolo.......................................

 b1. Il calendario.............................................................

 b2. Il culto dei morti......................................................

 b3. La vecchia.................................................................

 b4. L'uccisione mascherata del carnevale..........................

 b5. Sant'Antonio Abate: Signore degli animali...............

 2c. Un caso singolare................................................................

3
3. CAPITOLO TERZO. Nomi dialettali romagnoli........

 3a. Premesse.................................................................

 3b. Zoonimi dialettali romagnoli..................................

 3c. Fitonimi dialettali romagnoli...................................

 3d. Meteronimi dialettali romagnoli.............................

 3e. Miconimi dialettali romagnoli.................................

 3f. Comparazioni...........................................................

4. CAPITOLO QUARTO. Conclusioni............................

4
Introduzione

Soffermandomi con attenzione ad esaminare alcune voci appartenenti al dialetto


della mia regione d'origine, l'Emilia Romagna, ho subito notato alcune particolari
caratteristiche morfologiche e semantiche che mi hanno convinto della
permanenza, all'interno di particolari termini, di tracce e sedimenti relativi ad un
passato totemico. Come dimostrato da Mario Alinei in alcuni dei suoi più brillanti
studi, la presenza all'interno di voci dialettali e non di forme e motivazioni
linguistiche ricollegabili ad uno stadio arcaico, legato a concezioni magico-
religiose di tipo sciamanico e totemico, rappresentano un'opportunità per tutti gli
studiosi che vogliano tentare di ricostruire il percorso evolutivo che ha portato alla
formazione delle lingue e delle culture Europee. Cercando di svincolarci da quei
pregiudizi che troppo spesso hanno reso capziose molte ricerche nell'ambito della
linguistica storica e dell'etimologia, voglio cercare in questa sede di contribuire
all'ampliamento dell'orizzonte di ricerca dialettale ai fini di una più completa
analisi comparativa. La direzione intrapresa dagli studi di Alinei muove verso un
orizzonte di collaborazione interdisciplinare, spiegandoci come una più attenta
analisi delle fonti linguistiche, che sia anche in grado di tener conto delle più
recenti acquisizioni di altre discipline quali l'archeologia, l'etnologia e la ricerca
storica, potrebbe guidarci verso una più consapevole coscienza rispetto al nostro
passato storico e linguistico. Come ci viene fatto notare all'interno degli atti del
IX convegno della Società Italiana di Filologia Romanza, occorre allargare
l'orizzonte nel quale si muovono gli studiosi di questa materia; cercando di
instaurare un rapporto dialogico tra tutte quelle discipline che affrontano da
prospettive diverse lo stesso problema sostanziale1. L'approccio sempre più
specialistico e insensibile alla contaminazione disciplinare, infatti, non solo ha

1Benozzo Francesco - Alinei Mario, Dalla linguistica romanza alla linguistica neoitalide, in F
Benozzo et al. (ed.) Culture, livelli di cultura e ambienti nel medioevo occidentale. Atti del xi
convegno della Società Italiana di Filologia Romanza (Bologna 5-8 ottobre 2009), pp. 165-203,
Roma, Aracne, 2012, pp. 165-168.

5
portato ad una concezione di linguaggio come realtà a sé stante2, ma ha anche
contribuito a far perdere prestigio a tutta una serie di studi - linguistici, filologici e
letterari più in generale - oggi generalmente visti come un ̔colto perder tempo ̓. Le
numerose ricerche sorte attorno al Paradigma della Continuità Paleolitica, hanno
evidenziato, attraverso lo spoglio di molteplici reperti (linguistici, archeologici,
folklorici, iconomastici, ecc.), le strategie di sopravvivenza di forme mentali
antichissime e la sostanziale continuità nei processi evolutivi che hanno
interessato popoli, lingue e culture. La ricerca più recente ha evidenziato
l’esistenza, nei dialetti d’Europa – e tra questi, in particolare, nei dialetti romanzi
– di parole e aspetti semantico/cognitivi attribuibili con sicurezza a visioni del
mondo preistoriche e ignoti al Latino, da cui tali dialetti dovrebbero invece
derivare: ad esempio, gli aspetti totemici e tabuistici dei nomi degli animali e dei
fenomeni atmosferici"3. Inoltre, il tessuto di miti e credenze che costituiscono il
folklore variegato e multiforme del nostro paese è fortemente intriso di elementi
che ritornano con cadenza ritmica quasi a indicarci la strada da percorrere per
provare a intravedere le forme mentali, gli usi e i costumi di un tempo molto
lontano.
L'analisi di questi particolari referenti linguistici e folklorici ci permette di
inquadrare la ricerca filologica, linguistica ed etimologica all'interno di un
orizzonte che si apre al dialogo con discipline quali l'etnologia e l'antropologia,
ambiti di studio all'interno dei quali l'idea che il totemismo rappresenti lo stadio
religioso più arcaico e primitivo per ogni tipologia sociale umana è ormai
confermata. Se è vero, però, che anche molti etnologi hanno cercato di non vedere
la fin troppo evidente relazione del totemismo "con le religioni successive e con lo
sviluppo socio economico che sottende e spiega la trasformazione di una religione
zoomorfica in una antropomorfica"4- e per ciò che riguarda questo aspetto ci basti
pensare alla critica di Lévi-Strauss alla metodologia d'indagine applicata da Propp
2ibidem.
3ibidem.
4Alinei Mario, Dal totemismo al cristianesimo popolare, Sviluppi semantici nei dialetti italiani ed
europei, Alessandria, Edizioni dell'orso, 1984, pp. v.

6
-, non sarà difficile immaginare quali e quante resistenze dovrà superare lo
studioso che cerchi di muoversi all'interno di una comparazione analitica di questo
tipo con l'intento di mettere in discussione l'assunto genetico derivativo della
romanistica tradizionale.
Bisogna forse specificare che la volontà di mettere in discussione visioni
dogmatiche legate ad un passato disciplinare ormai del tutto superato non è il
riflesso di una concezione aprioristica, quanto il tentativo di riconfigurare tutta
una serie di studi all'interno di un orizzonte scientificamente più vasto e moderno.
Che i dialetti e le loro parole siano uno strumento utile al filologo per la
ricostruzione di etimologie è un dato di fatto, riconosciuto anche dagli studiosi più
tradizionalisti5. Partendo da questo assunto cercherò di analizzare alcuni fitonimi,
zoonimi e meteronimi dialettali romagnoli comparandoli con voci appartenenti ad
altri dialetti italiani e cercando di far emergere aspetti comuni che possano aiutarci
ai fini di un indagine di tipo genetico.
Dato che questa ricerca è ispirata e si riallaccia a tutta una serie di studi
spiccatamente etnofilologici, sarà opportuno provare a tracciare con più chiarezza
il senso di questo termine:

"...l'etnofilologia consiste nella ricerca di un metodo per interpretare i reperti testuali e i


documenti antichi anzitutto come esperienze di comunicazione tra esseri umani...intesa in questo
senso... rinuncia a una definizione aprioristica del proprio campo di studio e a una preselezione
della tipologia di documenti da utilizzare: oltre ai tanto amati manoscritti, sono infatti di sua
pertinenza tutti quei reperti ( di tipo orale, onomastico, folklorico, gestuale, iconografico,
archeologico, materiale, ecc.) che si configurano, nella loro risonanza e nell'intersezione di
categorie ad essi sottesi, come codificazioni formali e mnemotecniche di immagini, parole e
credenze analizzabili da un punto di vista cognitivo."6.

5Benozzo Francesco - Alinei Mario, Dalla linguistica romanza alla linguistica neoitalide, in F
Benozzo et al. (ed.) Culture, livelli di cultura e ambienti nel medioevo occidentale. Atti del xi
convegno della Società Italiana di Filologia Romanza (Bologna 5-8 ottobre 2009), pp. 165-203,
Roma, Aracne, 2012, pp. 170.
6Benozzo Francesco, Etnofilologia, "Ecdotica" 4, pp. 208-230, 2007, pp. 212-213.

7
Chiedersi qual'è l'origine di determinate parole, capaci di trattenere immagini
lontane, è un pò come domandarsi quali siano le origini delle fiabe e, - come ci
faceva notare Tolkien all'interno di uno dei suoi più brillanti saggi sulla fiaba - "
domandarsi quale sia l'origine delle storie (comunque le si qualifichi), vuol dire
domandarsi qual'è l'origine del linguaggio e della mente"7.

7Tolkien Jhon Ronald Reuel, Il medioevo e il fantastico, Milano, Bompiani, 2004, pp. 180.

8
CAPITOLO PRIMO

1. Totemismo

9
1a. Aspetti totemici dei nomi parentelari.

Per meglio comprendere l'origine delle fiabe, e dei processi di sedimentazione che
ne hanno conservato inalterati alcuni aspetti fondamentali nel tempo, occorre
interrogarsi su quali elementi all'interno del racconto siano il riflesso più o meno
consapevole di forme culturali relative a comunità del passato8. Queste le
premesse di Propp rispetto al problema dell'individuazione dell'origine delle fiabe,
nello specifico degli archetipi legati al racconto di fate. Mario Alinei ha proposto
di recente l'applicazione delle metodologie messe in luce da Propp all'interno del
campo degli studi di linguistica e dialettologia così come di quelli legati alle
scienze etimologiche. Come le fiabe, infatti, anche le parole trasportano attraverso
i secoli forme e motivazioni di significato appartenenti ad un passato molto
remoto. Questi elementi, se inseriti in un contesto comparativo diacronico e
geograficamente allargato, possono aiutarci a indagare la genesi di determinati
termini e delle forme culturali ad essi soggiacenti. La nuova cronologia proposta
da Alinei nella sua trattazione relativa alla Tesi (oggi Paradigma) della Conituità
Paleolitica ci consente di ricollocare tutta una serie dati etimologici
contestualizzabili ora all'interno di precise dinamiche culturali legate ai processi
d'insediamento ed interazione umana che si sono succeduti dalla preistoria ad
oggi. La luce che si propaga da questo ampliato arco cronologico ci permette di
osservare con maggiore chiarezza moltissime voci che riflettono preistoriche
concezioni religiose.

8Propp Vladimir Ja., Le radici storiche dei racconti di fate, Editore Boringhieri, Torino, 1972
, pp. 25-26.

10
Il totemismo, inteso come complesso di credenze fondato sull'idea di stretta
relazione tra una o più persone e uno o più totem - molto spesso animali e in
alcuni casi piante-, è considerato, dalla maggior parte degli etnologi e degli
antropologi, come il primo grande sistema classificatorio e religioso dell'umanità9.
Solo recentemente, grazie alle acquisizioni cronologiche a cui ho accennato,
l'eredità totemica è stata analizzata anche da un punto di vista linguistico e di
semantica storica. Non è un caso che sia proprio Alinei a proporci per la prima
volta un' indagine in cui “dati esclisivamente linguistici" sono interpretati "come
espressioni di un sistema magico-religioso vero e proprio"10. La sua ricerca muove
i primi passi partendo dalle riflessioni del Riegler11 - studioso che ha
"interpretato...gli zoonimi parentelari come riflessi di totemismo"12 -
focalizzandosi quindi sull'identificazione dei nomi di questo tipo all'interno delle
parlate dialettali italiane ed europee. Proprio la presenza di zoonimi parentelari
all'interno di voci dialettali ( presenza attestata in dialetti provenienti da paesi di
lingua romanza e non) rappresenta uno dei segnali che indicano l'esistenza di
forme mentali appartenenti ad un’epoca preistorica, legata a concezioni magico-
religiose primordiali e ancora svincolata dalla dinamica classista sviluppatasi in
seguito all'evoluzione delle diverse tipologie sociali13. All'interno di un ipotetico
contesto culturale primitivo i fenomeni naturali, le cui leggi sono sconosciute
all'uomo, si presentano come forze incontrollabili ed invisibili e sono esse stessse
in grado di determinare un approccio rituale nei loro confronti. All'interno di un
simile sitema di credenze, tipico di gruppi la cui organizzazione sociale non è
ancora basata sulle differenziazioni di classe, particolare importanza è svolta dal

9Lévi-Strauss Claude, Antropologia strutturale, Il Saggiatore, Milano, 2009.


10Alinei Mario, Dal totemismo al cristianesimo popolare, Sviluppi semantici nei dialetti italiani
ed europei, Alessandria, Edizioni dell'orso, 1984, pp. viii.
11Riegler Richard, Zoonimia popolare, in "Quaderni di semantica", II, n. 2, pp. 305-324. &
Riegler Richard, Lo zoomorfismo nelle tradizioni popolari, in "Quaderni di semantica", II, n. 2, pp.
325-361
12Alinei Mario, Dal totemismo al cristianesimo popolare, Sviluppi semantici nei dialetti italiani
ed europei, Alessandria, Edizioni dell'orso, 1984, pp. 1
13Donini Ambrogio, Lineamenti di storia delle religioni, Editori riuniti, Roma, 1964

11
rapporto di parentela. Imparentarsi con l'ente che rappresenta il dio della tribù
significa, infatti, assicurarsene la protezione14; da ciò l'evidente l'importanza che i
nomi parentelari, riscontrabili ancora oggi all'interno dei dialetti, acquisiscono
all'interno di un'indagine spiccatamente etnofilologica. La concezione dell'animale
totem come parente o addirittura come vero e proprio genitore non è estranea alle
culture tribali primitive che ancora oggi possiamo osservare in loco. Molto spesso
credenze di questo genere appaiono evidentemente legate ad una concezione
limitata e primordiale del mondo e delle sue motivazioni. La scoperta
relativamente tardiva del ruolo dell'uomo nella procreazione (presumibilente
grazie all'osservazione degli animali da parte dei primi allevatori preistorici)
presuppone un lungo lasso temporale in cui l'unica risposta plausibile all'enigma
della nascita fosse rappresentata dall'intervento di esseri sovrannaturali, misteriose
divinità naturali. Un esempio moderno di tale fenomeno è rappresentato dalle
credenze di alcune Tribù di aborigeni (caratterizzate da uno “stile di vita” tipico
dei cacciatori/raccoglitori) che, non essendo in grado di collegare logicamente in
una dinamica causa/effetto il piacere del rapporto sessuale con il dolore del
travaglio, ignorano completamente il concetto di paternità. All'interno di una
simile concezione non è difficile immaginare come l'animale o la pianta Totem
possano venire identificati come veri e propri genitori. Appare con chiarezza
l'importanza delle funzione svolta dal totem, da un punto di vista sia psicologico
che cognitivo, perchè permette all'uomo "primitivo" di inquadrare per la prima
volta tutta una serie di problematiche all'interno di un orizzonte mentale in grado
di spiegarne il mistero. Poco importa che quella spiegazione sia una spiegazione
magica e non logica, poiché stiamo parlando di un preciso momento evolutivo
dell'uomo in cui soprannaturale e naturale sono concetti sovrapposti, indistinti,
probabilmente nemmeno identificati15. La cosa davvero importante è la
constatazione del fatto che un preciso referente, il totem, è in grado di instaurare,
nel cervello umano, una serie complessa di rapporti semantici il cui segno è

14ibidem, pp. 16-28.


15Ibidem

12
rimasto impresso in alcune parole e concezioni che sono ancora alla portata di
tutti. Alla luce di queste valutazioni si può affermare con una certa sicurezza che i
nomi parentelari presenti nelle parlate dialettali rappresentano un reperto di
grande importanza perché ci permettono di osservare uno degli stadi finali di quel
processo di cristallizzazione linguistica che ha condensato, sublimandoli in una
parola, usi e credenze passate. Precisi elementi ricorrenti in diverse perlate ci
permettono, inoltre, di produrre comparazioni schematicamente pertinenti oltre ad
aiutarci a ricostruire l'area di diffusione di determinati miti. Possiamo mettere in
relazione nomi e contesti tradizionali differenti, contraddistinti da una o più
caratteristiche comuni, cercando di inquadrare dinamiche legate a precisi processi
di trasmissione e sopravvivenza culturale. I nomi parentelari ci danno così la
possibilità di osservare i riflessi di un periodo arcaico del tutto legato a
un'ideologia religiosa di tipo totemico in cui l'essere soprannaturale, il totem,
svolge una serie di funzioni molto importanti all'interno del contesto culturale
primordiale. Innanzi tutto si configura come mediatore tra l'uomo e la natura, dal
momento che è esso stesso un elemento del mondo naturale assunto a divinità
genitrice, permettendo così una prima appropriazione linguistica da parte
dell'uomo rispetto a tutta una serie di fenomeni incontrollabili. In quanto divinità
legata ad un'idea di parentela di tipo matrilineare, rappresenta inoltre
un'importante motivazione soprannaturale che come si è già visto permette
all'uomo "primitivo", ancora ignaro rispetto a tutta una serie di conoscenze oggi
scontate, di spiegarsi determinati fenomeni che sarebbero altresi indecifrabili. La
primitiva concezione del rapporto parentelare tra gli uomini e il totem rappresenta
la fase iniziale del processo evolutivo che ha caratterizzato la formazione delle
religioni e delle culture ad esse soggiacenti. La coincidenza tra gli animali parenti
rinvenibili all'interno di voci dialettali europee e gli animali magici che
riscontriamo in tradizioni totemiche recenti o delle quali abbiamo precise
attestazioni antropologiche, rappresenta una prova più che evidente della
veridicità di tali affermazioni. L'unico modo per spiegare il rapporto strutturale tra
l'animale magico e il suo nome parentelare, é infatti, il totemismo: quella

13
particolare forma religiosa primordiale che "pone gli animali al centro della realtà,
come antenati e parenti prossimi, creatori del mondo, demiurghi, protettori
dell'individuo e del clan, dominatori degli elementi"16.

16Alinei Mario, Dal totemismo al cristianesimo popolare, Sviluppi semantici nei dialetti italiani
ed europei, Alessandria, Edizioni dell'orso, 1984

14
1b. Antropomorfizzazione del totem.

La periodizzazione relativa alla preistoria è strettamente legata alle innovazioni


tecnologiche. Non è un caso che le diverse epoche siano identificate come età
della pietra (paleolitico, mesolitico, neolitico) e dei metalli (rame, bronzo, ferro).
Grande importanza è attribuita in ambito archeologico alle innnovazioni
teconologiche, in quanto quelle innovazioni rappresentano con buona probabilità
la causa e/o il risultato di un mutamento presumibilmente sociale e culturale. Il
passaggio dalle tribù nomadi di cacciatori raccoglitori, all'insediamento stabile dei
primi villaggi di agricoltori e pastori sino alla costruzione delle grandi città è oggi
convenzionalmente inserito all'interno di una griglia temporale che ci permette
una visone lineare di questi fenomeni. Come sappiamo l'avvvento di nuove
tecnologie e il coneguente mutamento dei contesti abitativi è in grado di
sconvolgere l'orizzonte culturale religioso e sociale. Ci è possibile oggi identifcare
una progressiva antropomorfizzazione della divinità Totem avvenuta nel corso di
un lungo arco di tempo e le cui più importanti mutazioni sono state identificate
come il risultato del passaggio da una società nomade ad una sedentaria. Da una
prima fase (1)totemica (paleolitico medio e superiore), passiamo ad un
(2)antropomorfa pagana (dal neolitico sino all'età dei metali) ed infine ad una
(3)antropomorfa cristiana (dall'avvento del cristianesimo ad oggi).

Quei nomi che impostano una relazione semasiologica tra referenti totemici
(animali, piante o fenomeni atmosferici) ed esseri antropomorfici (folletti, streghe
o esseri soprannaturali), con buona probabilità sono il risultato di una

15
sedimentazione di immagini e credenze relativi ad una fase successiva a quella di
zoomorfismo iniziale17. Appare inevitabile che le epoche "pagane", precedenti al
periodo di evangelizzazione dei popoli europei, siano state caratterizzate da un
lento processo di metamorfosi che ha portato gli animali totemici a diventare degli
esseri soprannaturali antropomorfi. Questo dovuto in particolar modo alla presa di
consapevolezza rispetto al ruolo del maschio nella procrezione. Molto spesso
caratterizzati da attributi che sono in tutto e per tutto quelli del Dio, questi esseri si
differenziano sostanzialmente rispetto all'animale/pianta totem poichè
rispecchiano una concezione del mondo che lentamente elabora la distinzione tra
soprannaturale e naturale. Dico lentamente perchè altrettanto evidente è la
compresenza all'interno degli elementi che caratterizzano questi esseri
soprannaturali di caratteristiche in grado di identificarli come benevoli o meno nei
confronti dell’uomo. Questa ambiguità, spesso rintracciabile anche
nell'iconografia delle loro rappresentazioni successive, è una di quelle
caratteristiche che maggiormente riemergono quando affrontiamo pagine che
riguardano il nostro folklore, popolare e regionale. Tutto ciò non deve stupirci
però poiché anche il periodo successivo di "antropomorfismo cristiano" conserva
quella valenza ambigua che da sempre accompagna le concezioni del sacro.
L'evoluzione delle tipologie sociali e la differenziazione delle stesse, ha
sicuramente contribuito a modificare l’approccio conoscitivo nei confronti del
mondo, delle sue motivazioni e dei suoi misteri. La schematizzazione proposta ci
consente solo di prefigurarci un orizzonte più definito ma non di inquadrare
completamente la complessa situazione che deve aver caratterizzato i diversi
processi evolutivi. Come si diceva, è essenziale focalizzarsi su quegli elementi che
continuamente tornano in forme simili tra loro e ancor di più su quelli che
rimangono gli stessi nonostante gli scivolamenti e le associazioni che li
caratterizzano. Lo stadio antropomorfico pagano che possiamo intravedere
scorrendo nomi di piante quali, "fiore del drago", "capelli delle streghe", "mani di

17Ibidem.

16
fata"e tanti altri, ci fa riflettere immediatamente sul fatto che le forme soggiacenti
non mutano o se mutano è in seguito a ibridazioni con forme consimili e a precise
strategie di sopravvivenza che ci appaiono del tutto inconsapevoli. Seguendo le
schematizzazioni di Alinei ci troviamo di fronte ad una situazione in cui un
significato, l'animale, viene lentamente e sempre più frequentemente associato
linguisticamente ad un significante che è quello che chiamiamo essere magico
pagano. Si può osservare che l'identificazione degli animali totemici con esseri
magici antropomorfici - e inseguito esseri cristiani - rafforza la concezione pagana
e permette la sopravvivenza di dinamiche di culto che rimangono inalterate fino
ad oggi. I significanti, che si sovrappongono all'animale archetipico,
rappresentano inoltre delle vere e proprie motivazioni; ed è all'interno dei nomi, i
quali si basano sulla scelta di uno tra i tanti aspetti motivanti dell'oggetto, che
possiamo riscontrare tali motivazioni.

17
1c. Evoluzione stadiale dei nomi magici.

La grande varietà di fitonimi, zoonimi e meteronimi ci permette di individuare


diversi stadi evolutivi del rapporto tra l'uomo e il soprannaturale18. Tra le tipologie
elencate, i nomi parentelari non sono gli unici; sono infatti rappresentativi dello
stadio più arcaico all'interno del processo di formazione culturale ed è necessario
analizzarli comparandoli con le altre tipologie di nomi magici che possiamo
provare ad individuare per inquadrarli meglio. Alle tre fasi di evoluzione
ideologica e religiosa di cui ho parlato all'inizio del capitolo precedente possiamo
accostare tre differenti stadi riguardanti l'evoluzione dei nomi relativi alla divinità.
1) Uno totemico, appartenente a un periodo che - se accettiamo le tesi del Donini -
è precedente alla formazione delle classi sociali e che è caratterizzato dalla
mancanza di distinzione tra ciò che è naturale e ciò che è soprannaturale. 2) A
seguire un secondo stadio antropomorfico pagano nel quale i nomi parentelari
totemici vengono sostituiti con nomi di esseri come streghe, fate, folletti ecc. 3)
Infine uno stadio antropomorfico cristiano che vede nomi relativi al "pantheon"
cattolico e protestante prendere il posto dei nomi antropomorfici pagani. L’idea
che il culto dei santi, presente all'interno del sistema cattolico, sia un residuo di
culti animistici e pagani precedenti all'evangelizzazione di determinati territori, è
ormai un dato di fatto. Basta notare quali e quante somiglianze si possono trovare
tra le divinità pagane che abitavano un tempo boschi, montagne, caverne, laghi e
fiumi - ove sia possibile rintracciarne oggi la presenza - e i nostri odierni santi per
renderci conto che il culto di questi "semidei" cristiani è stato un passaggio
18Ibidem

18
obbligato che ha permesso al cattolicesimo di aderire ad un corpus di credenze
vecchio di millenni. Attraverso l'individuazione dei rapporti semasiologici relativi
a determinati soggetti linguistici, possiamo ripercorrere questi stadi evolutivi e
provare ad individuare alcuni elementi di continuità. Quello che ha maggiormente
attirato la mia attenzione, a questo punto, è la conservazione, all'interno di
tradizioni folkloriche di diverso genere, di caratteristiche ambigue relative a molte
figure di santi. Se è vero che il periodo di sovrapposizione cristiana è stato
caratterizzato da una capillare operazione di copertura è anche però vero che tale
periodo non è stato preceduto da un totale sradicamento dei precedenti culti
(operazione che tra l'altro si sarebbe rivelata pressoché impossibile). Appare
evidente che la capacità di ricalcare le forme precedenti ha costituito uno dei
mezzi più importanti per il radicamento del cristianesimo e la sua evoluzione. Dal
momento che ci soffermeremo in seguito ad analizzare più nel dettaglio singoli
termini ed episodi appartenenti a tradizioni folkloriche, mi sembra utile
sottolineare ora l'importanza che rappresenta per questo tipo di ricerca ogni tipo di
relazione onomasiologica che colleghi un determinato referente a diversi nomi di
evidente derivazione magica. Non è un caso che spesso, animali caratterizzati da
queste relazioni onomasiologiche, non appartengano alla sfera domestica e non
siano quindi ricollegabili ad una fase legata alla pastorizia e all'agricoltura, così
come non è un caso che molti tra questi animali siano insetti, larve, serpenti;
animali cioè che con buona probabilità hanno rappresentato una fonte di
sostentamento alimentare per i gruppi di uomini appartenenti alla categoria dei
cacciatori/raccoglitori. Ricollegandoci a quando detto nel paragrafo precedente,
possiamo osservare come i nomi di Santi che vengono utilizzati per definire
determinati animali siano perfettamente iscirtti all'interno di quel lento processo di
evoluzione e ibridazione che interessa i referenti totemici. Per ciò che riguarda i
fitonimi parentelari Alinei, pur menzionando la loro attestazione in altre lingue,
non fa riferimento a rinvenimenti linguistici di questo tipo per ciò che riguarda
l'areale della sua ricerca. Nonostante questo risulta difficile credere che durante
l'ampio arco di tempo che va dal paleolitico al neolitico non vi siano mai stati in

19
territorio italiano, uomini il cui incontro con piante di vario genere abbia prodotto
concezioni totemiche ad esse legate.

20
CAPITOLO SECONDO

2. Folklore romagnolo

21
2a. La koinè dialettale romagnola.

Prima di proseguire nell'esposizione degli episodi più interessanti tratti dal


repertorio folklorico romagnolo, è importante sottolineare alcune caratteristiche
del dialetto di questa area geografica provando a delineare un quadro sintetico per
ciò che riguarda le sue varianti. Molti studiosi hanno già posto l'accento sul fatto
che all'interno dei dialetti gallo-padani quello romagnolo rappresenta una delle
parlate più conservatrici, in quanto trattiene parole che da molto tempo sono
scomparse nei dialetti affini19. Anselmo Calvetti propone una spiegazione per
questo conservatorismo ipotizzando che tale complesso fenomeno sia il risultato
di un più o meno consapevole processo di tutela etnica e culturale adottato oltre
duemila anni fa dalle tribù dei Senoni e dei Lingoni per non scomparire in seguito
all'incalzante romanizzazione20. Sicuramente, prima dell’insediamento romano, la
colonizzazione gallica aveva influito con forza sulle parlate padane determinando
la distinzione, che si sarebbe potuta osservare in seguito, tra i dialetti gallo-italici
e i restanti idiomi interni alla nostra penisola. Riscontrabile sopratutto nell'accento
"forte", che ha lentamente determinato la caduta delle vocali in finale di parola,
l'influenza di queste lingue "celtiche" si può riscontrare anche "ad orecchio"
notando somiglianze e coincidenze tra il nostro dialetto e la lingua Francese. Il
lungo periodo di dominazione Bizantina, inoltre, ha lasciato tracce all'interno del
dialetto in questione, soprattutto per ciò che concerne numerosi termini
evidentemente derivati dal greco. Quando si parla di dialetto Romagnolo però, o
meglio quando si cerca di parlare dei dialetti in genere, è sempre utile tenere a
19Calvetti Anselmo, Antichi miti di Romagna, Folletti, spiriti delle acque e altre figure magiche
nelle tradizioni romagnole, Rimini, Maggioli Editore, 1987.
20Ibidem.

22
mente che si sta operando una semplificazione. Non esiste un solo dialetto
romagnolo, semmai una stratificata varietà di parlate compresenti all'interno di
una stessa area linguistica21. La situazione dialettale romagnola, ancora oggi,
ricorda molto da vicino la Koinè linguistica dell'antica Grecia. Come in quel caso,
infatti, anche qui ci troviamo di fronte ad una realtà linguistica variegata e
multiforme dove, all'interno delle diverse varianti cittadine per non dire rionali,
possiamo riscontrare determinati elementi comuni (di solito relativi alla
grammatica e alla sintassi soggiacenti) e altri elementi (spesso di tipo fonetico)
molto diversi tra loro. Per questo motivo il fatto che all'interno di un'area
linguistica così multiforme parlanti di diverse varianti dialettali riescano - quasi
sempre - a comprendersi perfettamente, rappresenta una particolarità degna di
menzione. Detto questo è utile puntualizzare che questa ricerca non tenta di
determinare quali e quante differenze o somiglianze intercorrono tra le
numerosissime parlate dialettali romagnole, ma individuare quegli elementi che,
emergendo in singole situazioni o mostrando la loro presenza all'interno di più
varietà, si possono ricollegare a un periodo totemico, antropomorfico pagano o
cristiano. Occore però tenere sempre a mente la situazione riassunta per non
incorrere nell'errore che compie spesso chi si relaziona a questo tipo di materiali
"popolari", i quali non condividono la fissità e l'immobilità dei testi.

21Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del


Girasole, Ravenna, 1994

23
2b) Frammenti di folklore romagnolo.

b.1 Il calendario

Scorrendo le poche ma valide pagine relative alle tradizioni folkloriche di questa


parte romagnola della regione appare subito evidente la stretta relazione tra le
diverse festività (ancora presenti in una veste che è solo superficialmente quella
cattolica) e le concezioni legate alle varie fasi del nostro passato storico circa la
data di inizio dell'anno. Il periodo legato all'avvento dell'anno nuovo, infatti, non
fu sempre lo stesso anche se è possibile individuare tre periodi ricorrenti in vari
tipi di civiltà e popolazioni: il solstizio invernale; il periodo di fine febbraio inizio
marzo e l'inizio di novembre. Con buone probabilità queste tre differenti
concezioni si possono facilmente ricollegare a tre canoni di scansione temporale
primitivi: il primo legato al ciclo solare, il secondo al ciclo vegetativo e il terzo ad
un possibile ciclo pastorizio.22 Come possiamo notare si tratta di tre tipologie che
rispecchiano visioni del mondo differenti. Il ciclo del sole appartiene,
probabilmente, ad un periodo precedente agli altri due ed è il riflesso di una
cultura primitiva ancora legata all'osservazione dei fenomeni più evidenti come lo
spostamento dell'astro solare nel cielo. Il secondo, relativo ad una concezione
agricola del mondo, rispecchia invece una fase seriore, ancora legata
all'osservazione dello spostamento solare ma già inserita in un ottica di

22Baldini Eraldo, Alle radici del folklore romagnolo. Origine e significato delle tradizioni e
superstizioni, Ravenna, 1986

24
apprendimento di tecniche avanzate di sopravvivenza. La terza, che possiamo
ancora ritrovare riflessa in tutta una serie di particolarità nella moderna festa dei
morti (31 ottobre), ci riporta invece ad una dimensione di possible derivazione
pastorizia. Ci interessa specificare che queste tre concezioni sono tutte reperibili
all'interno del folklore romagnolo e che molto spesso intercorre tra loro un
rapporto sincretico. Nonostante la loro natura sostanzialmente differente e la
paternità attribuibile a periodi storici spesso molto distanti tra loro, questi tre
capodanni ideali sembrano aver preso ognuno il suo posto naturale all'interno
della moderna concezione di calendario. Anche se le forme soggiacenti sono
differenti, tra loro non mancano forti elementi di continuità. Sembra che ogni
capodanno, infatti, fosse legato, in un modo o in un altro, all'idea di ritorno dei
morti e che venisse identificato come un periodo di passaggio, un lasso di tempo
all'interno del quale una "lacerazione" nel tessuto della realtà permetteva agli
spiriti di tornare dall'adilà nel mondo dei vivi. Questa particolare caratteristica, la
quale è riscontrabile in tutte e tre le tipologie analizzate, ci riporta a concezioni
preistoriche di tipo totemico, in cui l'animale/totem è una figura all'interno della
quale confluiscono l'idea di genitore e di parente defunto e che riesce a trattenere
in se l'ambiguità che da sempre caratterizza le figure alle quali vengono dedicati
culti religiosi. Le concezioni del mondo legate ai tre capodanni sopra citati sono
reperti folklorici molto importanti perché rappresentano i cardini attorno ai quali
sono imperniate molte delle leggende tradizionali romagnole e perché sono,
inoltre, un ipotetico punto d'origine dal quale si sono propagate antichissime
credenze le cui forme si possono intravedere ancora oggi.

25
b.2 Il culto dei morti

Questa tipologia di culto, ampiamente diffusa tra i popoli caratterizzati dallo


svolgimento di mansioni principalmente agricole, prefigura un'ideologia che vede
i defunti come custodi "sotterranei" delle sementi, della vegetazione ma sopratutto
della fertilità e della fecondità della terra. Legata spesso al periodo invernale,
quando i terreni agricoli sono spogli e i raccolti sono ancora "sotto terra", questa
credenza è attestata diffusamente in tutta la Romagna e mantiene in tutto il
territorio delle caratteristiche comuni che variano di poco tra loro. Essa è il chiaro
riverbero di antiche concezioni, relative a società agrarie primitive23, secondo le
quali i morti continuerebbero a vivere nel sottosuolo, alimentando i raccolti in
"incubazione" e influenzando le raccolte future. In Romagna l'evidente riaffiorare
di pratiche legate al culto dei morti in periodi concomitanti con i tre "capodanni"
sopraelencati, evidenzia lo stretto legame che intercorre tra il concetto di fine
dell'anno (e inizio dell'anno nuovo) e quello di vita oltre la morte. I giorni di
passaggio tra un anno e l'altro, gli ultimi giorni dell'anno che finisce, e i primi di
quello che arriva, sono considerati giorni di confine che non appartengono del
tutto né al mondo dei vivi né a quello dei morti. Vedremo, infatti, come svariati
periodi festivi, derivati da precedenti festività legate all'inizio del nuovo
calendario, siano caratterizzati da pratiche che rispecchiano totalmente un
approccio rituale di venerazione dei defunti. Dal momento che l'analisi di queste
caratteristiche permette di identificare la credenza relativa al ritorno in vita dei
morti per mezzo della crescita delle piante, è possibile affermare che l'agricoltura
23Propp Vladimir Ja., Feste agrarie russe, Dedalo, Bari, 1978, pp. 58.

26
costituì per le popolazioni primitive una rivelazione circa l'unità fondamentale
della vita organica24. Le credenze sul ritorno dei morti, in occasioni quali la notte
di Natale e quella del giorno di San Giovanni, festività cattolica che ha rivestito
superficialmente il più antico giorno delle streghe, sono illuminanti in quanto ci
permettono di identificare la metamorfosi tradizionale dei defunti, in esseri
antropomorfici soprannaturali come, le streghe. La tradizione, attestata in
Romagna e in molte altre regioni italiane ed europee, legata all'idea che le streghe,
nelle notti di San Giovanni di Natale e altre festività consimili, si incontrino nei
crocicchi delle strade, sembra strettamente connessa alla convinzione che in
determinati giorni, spesso gli stessi, i morti possano tornare in vita. Molto
interessante in questo senso è l'attestazione dell'usanza, presente fino a poco
tempo fa nella città di San Leo e nei territori limitrofi, di recarsi nei crocicchi la
notte delle streghe muniti di un ramo di fico biforcato; amuleto apotropaico che
veniva appoggiato contro alla gola come protezione dagli esseri soprannaturali.
Poco importa che questa usanza sia diventata nel corso degli anni una pratica
scherzosa in quanto trattiene in se evidenti riferimenti a un passato in cui la
credenza relativa all'utilizzo di una pianta sacra come amuleto apotropaico era
considerata molto seriamente. I defunti appaiono nella tradizione folklorica come
caratterizzati da un’ambiguità di fondo relativa al loro rapporto con i vivi.
Possiamo riscontrare un'attitudine di venerazione nei confronti dei morti
considerati benevoli, cioè quelli il cui trapasso è avvenuto in modo più o meno
naturale, e un approccio timoroso nei confronti di quelli considerati malevoli,
come ad esempio accade per i giovani defunti, le donne in stato interessante e per
i suicidi. Risulta presente nel repertorio tradizionale romagnolo un’antica pratica
rituale, attestata da Luciano de Nardis, relativa alla consacrazione del tesoro. Si
credeva, infatti, che uccidendo una persona nei pressi del nascondiglio questa
sarebbe rimasta a custodirla in eterno25. Molto interessante anche l'attestazione

24Baldini Eraldo, Alle radici del folklore romagnolo. Origine e significato delle tradizioni e
superstizioni, Ravenna, 1986.
25De Nardis Luciano, L'ombra accanto al tesoro, "La Pié", n. 1-1927, pp.2-3.

27
della credenza relativa al pane come principale oggetto apotropaico contro
l'eventuale minaccia rappresentata dai defunti, attestazione preziosa perchè legata
ad un simbolismo ,relativo alla principale fonte di sostentamento all'interno di
un'economia contadina, riscontrabile anche all'interno di altre tradizioni orali
regionali. Importante inoltre all'interno di questo orizzonte tradizionale risulta
essere il focolare. Questo era infatti considerato, durante periodi legati all'idea di
ritorno dei morti, come un collegamento astrale tra il cielo, casa degli spiriti, e
l'abitazione, rifugio dei vivi. Attraverso questo condotto, si pensava potessero
passare gli spiriti degli antenati - spiriti benevoli che in determinate circostanze
offrivano la loro protezione ai membri della famiglia. Oltre all'evidente legame tra
questa credenza e le leggende ancora oggi vive e pulsanti relative alla Befana e a
Babbo Natale, si può notare una somiglianza rispetto alla tradizione dei numi
tutelari domestici latini. Questa somiglianza è molto importante perchè le
popolazioni di estrazione contadina, molto spesso, furono del tutto refrattarie alla
colonizzazione culturale romana e rimasero pertanto rimaste ignare rispetto a
tradizioni in uso tra i ceti popolari più attivamente partecipi alla vita culturale e
sociale delle civiltà egemoni. La tradizione di bruciare il ceppo natalizio, derivata
quasi sicuramente da una pratica magico-simpatica per aiutare il sole nei giorni
più bui dell'anno e successivamente tradotta in un ottica votiva nei confronti degli
antenati, e anch’essa legata alle credenze sul ritorno dei morti e al simbolismo del
focolare domestico. Importante anche il fatto che il fuoco domestico fosse
considerato come un vero e proprio nume tutelare della famiglia. Inerentemente a
quest'ultima credenza è utile sottolineare che, fino a poco tempo fa, era ancora
attestabile la pratica di consacrazioni rituali di animali domestici, ospiti o neonati
di fronte al focolare. Il nume tutelare del focolare spesso si antropomorfizza
trasformandosi in fata maga o strega (felda, mega, striga), creatura caratterizzata
da forti caratteri di tipo manistico. Si tratta di un antropomorfizzazione che
incarna in se l'ambiguità tipica degli esseri magici pagani in quanto l'essere, sia
che si tratti di una fata di una strega o di una maga, incute timore e rispetto ed è
generalmente considerato essere di natura vendicativa. Gli antenati e la loro

28
metamorfosi successiva ricoprono lo stesso ruolo di protezione/propiziazione
rispecchiando perfettamente le caratteristiche del "genius loci".

29
b.3 La Vecchia.

La figura della Vecchia, in Romagna, rappresenta uno di quei simboli all'interno


dei quali sono confluite tante diverse concezioni riguardanti il soprannaturale. Dal
culto della terra madre a quello dei morti in generale, passando per quello degli
antenati e in seguito degli esseri antropomorfici soprannaturali, si arriva infine alla
codificazione di un personaggio/simbolo che ha fortemente interessato il folklore
della regione conservando caratteristiche relative ad alcune delle credenze
riassunte precedentemente. La vecchia per antonomasia, nell’odierno folklore
romagnolo, è la befana. Risulta peculiare l'importanza che questo essere magico,
così come la festività ad esso legata, riveste ancora nella tradizione dell'Emilia
Romagna. Ritornando sul concetto di dialetto romagnolo come dialetto
conservatore, e cercando di allargare questo concetto dalla sfera linguistica a
quella etnologica e antropologica, si può ritrovare questa peculiarità anche
nell'importanza che viene attribuita ancora oggi alla festa dell'epifania. Basterà
osservare quante credenze imperniate sulla figura della vecchia befana sono
ancora oggi reperibili nel tessuto a fitte maglie della leggende popolari, per
rendersi conto dell'evidente derivazione di questo soggetto dalle credenze e
concezioni sopraelencate. A parte l'evidente collegamento con il concetto di
focolare/portale - basti richiamare alla mente l'idea che la befana passa attraverso
la cappa del camino per lasciare i propri doni - è molto importante l'attestazione
delle pasquelle, canti eseguiti di casa in casa durante il periodo dell'epifania come
augurio di prosperità e buona raccolta. Questo rappresenta un chiaro collegamento
tra l'epifania e le feste dei morti in quanto ricorda molto da vicino pratiche volte
ad ingraziarsi il favore dei "defunti" e a scongiurare la loro rabbia. Non a caso
simili usanze sono attestate anche in periodi quali Natale, capodanno e carnevale.
Molto interessante anche l’espresso divieto di filare durante le notti dei periodi

30
sopraelencati, riflesso di una credenza relativa al fatto che le anime dei morti, in
particolari giorni dell'anno, tendono a rifugiarsi nelle matasse e nel filato. Se
inoltre ci soffermiamo ad osservare il rituale che in Romagna viene chiamato
"segavecchia", che consiste nella pratica di trasportare un fantoccio a forma di
vecchia nella piazza della città, al quale viene in seguito segato il ventre da cui
escono frutti cibo e monete, sembra obbligato il collegamento con tutte quelle
tradizioni relative alla cacciata della morte per mezzo di un "capro espiatorio",
rappresentato da un icona sotto forma di manichino, il cui sacrificio è messo in
scena durante una festa popolare. Tracce di questo genere sono rintracciabili
anche nella tradizione della pentolaccia, in cui una pentola riempita di dolci e
regali viene appesa e battuta con dei bastoni fino alla rottura. Questi evidenti
processi di trasformazione sembrano provare l'esistenza di precise strategie
attraverso cui tradizioni e concezioni antichissime continuano a essere veicolate,
per mezzo della cultura popolare, e finiscono molto spesso fagocitate da quel
miscuglio di simboli, ideologie, tradizioni e leggende che è la cultura moderna.
Non è un caso che immagini tramandate da lungo tempo dalla tradizione orale
siano entrate spesso a far parte dell'immaginario collettivo moderno, passando
dalla fiaba alla più moderna fiction. La loro permanenza è la dimostrazione che
forme mentali antichissime, sotterranee alle nostre culture, continuano ad
esercitare sugli uomini un fascino ambiguo e ambivalente. Sono simboli legati ad
un primordiale approccio conoscitivo nei confronti del mondo, ad una primitiva
concezione di realtà, che ancora oggi conservano una forza e un fascino non
comuni e che, a dispetto delle continue trasformazioni operate dall'uomo, sono
ancora in grado di stupirci e di affascinarci.

31
b.4 L'uccisione mascherata del carnevale

Secondo Propp le maschere zoomorfe fanno probabilmente parte di un rito di


fecondità che trae origine dal concetto di forza animale. L’importanza di tale
specificazione non può essere sottovalutata. La vecchia, in questo senso, rientra
nuovamente di diritto all'interno di un processo di metamorfosi che la vede come
stadio finale, o quasi, rispetto ad un essere zoomorfo di partenza, del quale
possiamo rintracciare alcune caratteristiche nella tradizione romagnola relativa al
"Cervulo". Questo essere, rappresentato durante il periodo carnevalesco da uomini
travestiti per mezzo di una maschera sovrastata da corna da cervo o da bove, è
perfettamente identificabile con il defunto e si ricollega simbolicamente alla sfera
di credenze relative al rapporto di parentela tra l'animale/totem e l'essere umano.
Detto questo è facile immaginare come la distinzione tra parente, animale cornuto
e vecchia si sia fatta sempre più labile nell'arco dei secoli poiché, tutti e tre questi
simboli, sono rimasti presenti all'interno della tradizione, molto spesso collegati
tra loro da un punto di vista semantico. Rintracciare nell'elemento delle corna un
richiamo all'idea di fertilità non è difficile ripercorrendo un processo di
sedimentazione che, partendo da un passato "totemico", passa attraverso la
cristallizzazione di una concezione familiare la quale, seppur inscrivendosi
perfettamente all'interno dell'ambito rurale che la include, si evolve trasfigurando
le proprie radici simboliche. La morte dell'inverno e la nascita dell'anno nuovo
erano messe in scena fino a poco tempo fa bruciando un pupazzo che incarnava
in se l'essenza della stagione passata. Il rito, che sembra appartenere ad
un'iconografia di tipo agrario26, presupponeva l'utilizzo delle ceneri del pupazzo
carbonizzato come fertilizzante per i campi, inducendo alcuni studiosi a credere
che si trattasse di una rappresentazione della morte/rinascita della vegetazione27 e

26Frazer James George, Il Ramo d'oro: studio sulla magia e la religione, Grandi Tascabili
Economici Newton, Roma, 1992, pp.456.
27Propp Vladimir Ja., Feste agrarie russe, pp. 58, Dedalo, Bari, 1978

32
dell'espulsione dei morti dal regno dei vivi al termine dei periodi "magici"28. Il
fantoccio era molto spesso presentato in forma quasi vegetale: si trattava di una
figura di forma umana molto spesso ricoperta di foglie o frasche e la cui
discendenza totemica appare evidente. Questo è molto importante ai fini di questa
ricerca perchè si ricollega direttamente all'ipotesi che anche tra le piante fossero
presenti figure considerate dall'uomo come totem. Sembra, inoltre, che alla base
della festa del carnevale vi sia l'esigenza di abolire il tempo passato e di ristabilire
un periodo magico, legato alla crescita e alla comparsa della vita, e questo è
confermato dalle tradizionali feste che interessavano il periodo carnevalesco in
Romagna e che erano caratterizzate da banchetti sontuosi seguiti da rituali di tipo
orgiastico. Sembra che si possa intravedere un antico strato di credenze secondo le
quali, per compensare la povertà della "vita" dei defunti, si sentisse il bisogno di
mettere in scena tutta una serie di manifestazioni di vitalità, abbondanza e
sessualità atte ad annullare il tempo per consentirne il rinnovamento. Una
concezione, questa, che è ancora riscontrabile all'interno di società di
cacciatori/raccoglitori, e che continua a sopravvivere in pratiche rituali, ormai
prossime alla scomparsa, che ne trasportano inconsapevolmente le vestigia. Non
occorre però attraversare l'oceano e confrontarsi per forza con popolazioni
primitive esotiche per ritrovare queste consonanze. Molte feste ancora in voga nei
paesi che considerati culturalmente civilizzati, conservano nelle proprie forme
dinamiche del tutto simili a quelle riscontrabili presso le festività rituali di cui
abbiamo parlato. Gli esempi sono così chiari e numerosi che ripeterli sarebbe
solamente una perdita di tempo.

28Frazer James George, Il Ramo d'oro: studio sulla magia e la religione, Grandi Tascabili
Economici Newton, Roma, 1992, pp.456

33
b.5. Sant'Antonio Abate: Signore degli animali.

La figura di S. Antonio Abate rappresenta un esempio perfetto di sovrapposizione


tra simboli appartenenti a diversi periodi storici i quali riflettono ombre e luci di
concezioni del mondo differenti ma non contrapposte. Eremita tentato dal
Demonio, dispensatore di ricchezze e fertilità per i contadini, da sempre figura
ambigua il cui stretto rapporto con un animale quale il maiale ha destato
interrogativi singolari tra gli studiosi, S. Antonio Abate è una figura la cui
filiazione da un archetipico "Signore degli animali" non è da considerarsi poco
probabile. La festività legata al giorno di S. Antonio Abate oggi non riveste più
l'importanza di un tempo all'interno del folklore romagnolo. Risulta però
interessante constatare che questa festa rappresenta ancora un evento di discreta
importanza in molte località rurali, collinari o montane che sono situate cioè ai
confini della regione romagnola. Come spesso accade per le lingue, infatti, le
compagini territoriali più esterne sono quelle che meglio conservano voci che
tendono a scomparire nelle parlate centrali. Si può immaginare che qualcosa di
molto simile accada anche con le tradizioni legate a leggende, riti o concezioni
mistico/religiose. La divinità archetipica pagana alla quale si è fatto riferimento
poco sopra, il "Signore degli animali, è, per le popolazioni di cacciatori
raccoglitori, l'essere soprannaturale da cui dipendono l'esito della caccia,
dell'agricoltura e più in generale la qualità della vita umana. Nelle svariate
rappresentazioni di S. Antonio Abate in conflitto con il Demonio è possibile
osservare la scomposizione degli elementi negativi e di quelli positivi
ipoteticamente riconducibili al Signore degli animali. La valenza del santo è
spesso ambigua, inoltre, perchè le sue tentazioni e la sua influenza protettrice nei

34
confronti del maiale, sembrano porsi in un rapporto diretto con i riti agresti
relativi all'inizio di una stagione, riti all'interno dei quali è forse riscontrabile la
preesistenza di personaggi demoniaci e appartenenti al mondo infero29. Per
cercare di risolvere l'arcano circa il collegamento tra S. Antonio Abate e il Maiale,
Eraldo Baldini prova a rispondere dicendo che è possibile che il santo "sia stato
posto dalla chiesa, attorno al 1100, ad affrancare il maiale, che già da tempo
immemore aveva rappresentato una teofania, un tramite rituale e sacrificale in
forme di culto arcaiche proprie di società di cacciatori prima, allevatori poi, e
infine agricoltori-allevatori; e questo proprio per "cristianizzare" le reliquie di
quel culto"30. Se a questo aggiungiamo che il giorno del santo in questione era
ritenuto, dalle popolazioni contadine, il giorno più adatto per l'uccisione del
maiale possiamo ritenerci d’accordo con Baldini quando dice che questa festività
cristiana potrebbe essersi sovrapposta ad un primitivo capodanno dedicato alla
"raccolta" dell'animale. Le caratteristiche del giorno che in Romagna viene
chiamato "Nozze del porco", infatti, ricordano molto da vicino quelle di un rituale
in cui l'uccisione e l'ingestione della carne dell'animale sono una rappresentazione
dell'unione mistica tra i membri della comunità ed il Signore degli animali. Sono
inoltre attestate, sia in Romagna che in altre regioni, pratiche legate alla
decapitazione dell'animale e alla conservazione della testa come oggetto dotato di
potere apotropaico. Sempre in Romagna ed anche in veneto, fino a poco tempo fa
si conservavano le unghie e le setole del maiale per poterle usare come oggetto di
protezione; da lasciare nel porcile o sul tetto dell'abitazione. Questi oggetti
feticcio rappresenterebbero degli amuleti in grado di conservare la forza
dell'animale. Ritornando alla data della ricorrenza della festività legata al santo, il
17 gennaio, sappiamo che in buona parte della Romagna fino a poco tempo fa si
credeva che durante la notte di S. Antonio Abate gli animali fossero in grado di
parlare e di predire il futuro. Il divieto di filare e lavorare a maglia è attestato
29Di Nola Alfonso M., Gli aspetti magico religiosi di una cultura subalterna italiana, Bollati
Boringhieri, Torino, 1976, pp. 221.
30- Baldini Eraldo, Alle radici del folklore romagnolo. Origine e significato delle tradizioni e
superstizioni, Ravenna, 1986, pp. 100.

35
anche in questo momento dell'anno accompagnato dall'usanza di offrire cibo allo
spirito. Sembra insomma che la figura di S. Antonio Abate, posta dalla chiesa
come patrono di questo giorno, sconti l'eredità demoniaca del Signore degli
animali, assorbendone le doti di elargitore e propiziatore e mantenendo intatte
certe primitive funzioni da lui svolte. La sua immagine, immancabile nelle stalle,
negli ovili, nei porcili e nei pollai, è ritenuta in grado di proteggere dal fuoco e dai
fulmini e questo appare ancora più interessante perchè, come vedremo, le
credenze circa le qualità apotropaiche di una pianta dal nome dialettale molto
esplicativo "Erba de Fug", cioè l'Erba del fuoco conosciuta anche come Barba di
Giove o Guardacasa, ricordano molto da vicino quelle che interessano l'icona del
Santo. Ci si trova qui di fronte ad un elemento che permette di individuare strati
relativi a epoche diverse tra loro e può contribuire ad analizzare con maggiore
chiarezza le modalità di sopravvivenza e sedimentazione della tradizione. Gli
elementi che non scompaiono, infatti, mutano di poco la propria valenza e
resistono in quanto riescono ad assecondare precisi bisogni umani che, anche con
l'evolversi della società, probabilmente rimangono quasi inalterati. Il caso di
Sant'Antonio non rappresenta un episodio isolato, sono tantissime le figure di
Santi che, nell'iconografia e nella tradizione agiografica, conservano preziosi
indizi in grado di guidare un'indagine genetica di questo genere. Naturalmente
questo fenomeno non caratterizza solo penisola italiana ma pressoché tutti i paesi
di religione cattolica all'interno dei quali sia ravvisabile una particolare
predisposizione nei confronti del culto legato ai santi. Sembra evidente che queste
figure, a metà tra l'uomo e il divino, ambigue e spesso temute, la cui santa
ricorrenza all'interno del calendario è spesso legata a eventi che ricalcano antiche
festività rituali, siano molto più antiche di quanto sembri in apparenza.

2c. Un caso singolare

36
All'interno di un volume che riassume alcuni miti romagnoli, Anselmo calvetti
riporta una versione della fiaba di Cappuccetto Rosso narratagli da un'anziana
signora (Angelina Testa, 1899, Santa Maria in Fabriago, Ravenna) nel 1974. La
fiaba ricorda a grandi linee la versione più comunemente diffusa ma presenta
alcune differenze molto importanti. Ciò che colpisce maggiormente leggendo le
pagine scritte da Calvetti è il fatto che, in questa versione, Cappuccetto rosso
venga indotta con l'inganno dal lupo a mangiare parti del corpo della Nonna.
Durante il secolo scorso la rivista francese "Melusine" pubblicò cinque versioni
molto simili, sopratutto per quello che riguarda la parte relativa al "banchetto"
della fanciulla, le quali si aggiungono alle attestazioni analoghe che erano già state
registrate in Trentino31 e in territorio abruzzese32 qualche anno prima. Calvetti
avanza l'ipotesi che questa favola rappresenti un "relitto" di un'antica narrazione,
in seguito censurata dalla maggior parte dei narratori:

" Questo relitto fa pensare che la fiaba di cappuccetto rosso possa essere derivata dal racconto
giustificativo (aition) di un rito, nel corso del quale un giovanetto veniva incolpato di aver
mangiato brani di un proprio parente, era sottoposto a tormenti, ingoiato dal simulacro di un
mostro e, infine, liberato dal ventre del mostro e riportato in vita. Tale liturgia corrisponde, a
larghe linee, ai riti di iniziazione giovanile, praticati fino ai tempi recenti dalle popolazioni
primitive, dall'Africa all'America e all'Oceania, e che, in epoca preistorica, dovettero essere

praticati anche dalle comunità di cacciatori insediate in Europa."33.

Seguendo le indagini di Propp ,che tentano di svelare i riti iniziatici sottesi alle
strutture delle fiabe, Calvetti individua alcuni dati etnografici che permettono di
inquadrare l'intera narrazione all'interno di un orizzonte che sembra giustificare
l'ipotesi citata sopra. Paragonando questi elementi estrapolati dalla struttura della
31Schneller C., Märchen and Sagen ans Wälchtirol, Innsbruck, 1867, n° 6, "El cappellino rosso",
pp.9-10.
32Di Domenicantonio G. & Profeta G., Tradizioni orali non cantate, a cura di A.M. Cirese, L.
Serafini, A. Milillo, Roma, Ministero Beni Culturali e Ambientali, 1975, pp. 82, 333 AT
33Calvetti Anselmo, Antichi miti di Romagna, Folletti, spiriti delle acque e altre figure magiche
nelle tradizioni romagnole, Rimini, Maggioli Editore, 1987, pp. 30.

37
narrazione con pratiche religiose rituali registrate tra popolazioni che ancora oggi
vivono ad uno stadio di caccia e raccolta, lo studioso individua tutta una serie di
consonanze molto interessanti. Primi fra tutti quegli elementi che potremmo
chiamare paesaggistici i quali, se consideriamo valida l'ipotesi della genesi di
questo racconto come giustificazione, sono tutt'altro che secondari. La foresta, ad
esempio, è in più di una tradizione luogo designato come meta obbligata durante il
periodo dedicato all'iniziazione dei giovani i quali, dopo essere stati introdotti da
un maestro o sacerdote ai segreti della tribù, sono spesso sottoposti a mutilazioni o
incisioni dolorose, inseriti in una capanna costruita spesso con la forma di un
animale ( nel quale è possibile identificare la raffigurazione simbolica dello spirito
totemico che incarna in se la foresta o il Signore degli animali) e infine tratti in
salvo dallo stesso foro d'entrata oppure attraverso un varco aperto nel "ventre" del
simulacro34. In questo modo i membri della tribù inscenano la morte e la rinascita
simboliche del neofita che entra a far parte di diritto dell'elite adulta. Molto
importante è la simbologia legata all'ingestione rituale che rappresenta l'unione tra
l'individuo e l'animale sacro. Con Propp siamo inclini a pensare che questa
ingestione possa essere sia attiva che passiva poiché, anche se non sappiamo con
precisione se l'iniziando mangiasse parti dell'animale o della pianta sacri prima o
durante la cerimonia, notiamo che all'interno dei miti e delle favole questo è un
aspetto che si ripresenta spesso. Calvetti ipotizza che l'inserimento nel corpo
dell'animale, la permanenza all'interno dello stesso e la conseguente espulsione
rappresentino "la fecondazione - per via orale secondo le più antiche credenze -
dello Spirito" e "la gestazione e la nascita - per espulsione orale, uterina o anale -
dell'iniziato quale figlio dello spirito"35. Viste in questa ottica le mutilazioni
possono benissimo rappresentare una simbolica sostituzione dell'organo umano
con quello dell'animale/totem - ipotesi che aiuterebbe a comprendere meglio le

34Propp Vladimir Ja., Le radici storiche dei racconti di fate, Editore Boringhieri, Torino, 1972
35Calvetti Anselmo, Antichi miti di Romagna, Folletti, spiriti delle acque e altre figure magiche
nelle tradizioni romagnole, Rimini, Maggioli Editore, 1987, pp.34

38
mutilazioni di alcune divinità indoeuropee messe in risalto da Dumezil36 - e il
dialogo tra l'iniziato e il sacerdote, il quale presta la propria voce all'essere
totemico, come una "contemplazione/lode" degli attributi che l'ingestione
dovrebbe trasferire dall'animale sacro al giovane. L'autore del capitolo riassunto e
analizzato fa notare che, col passare del tempo, il significato del rito deve essere
mutato poiché, la pratica delle mutilazioni, la probabile ingestione di sostanze
psicotrope, la reclusione all'interno del simulacro non solo "ottenebravano la
coscienza del neofita e contribuivano a fargli credere di essere morto e poi
resuscitato"37 ma necessitavano di una giustificazione in grado di spiegare perchè
fosse necessario sottoporre il giovane ad una prova così terribile, giustificazione
che, probabilmente, consisteva nell'attribuire all'iniziato una qualche colpa.
Questo spiegherebbe il perché dell’esistenza di un racconto giustificativo in
grado di trasmettere alle future generazioni le conoscenze tradizionali legate a
questi rituali. Oltre ai collegamenti fin troppo chiari con le credenze relative ad
una colpa innata dei fedeli presenti in alcune religioni tra le più diffuse oggi -
ennesima consonanza riscontrabile tra pratiche di tipo totemico e concezioni
dogmatiche odierne - gli elementi identificati fanno ragionare sul fatto che, la
versione della fiaba in questione, potrebbe essere realmente un relitto di un
racconto giustificativo appartenente a questo grado di evoluzione del processo
rituale. Tra i tanti elementi che Calvetti presenta per rafforzare la sua ipotesi
alcune considerazioni che riguardano la natura del nome "cappuccetto rosso" e
l'attributo iconografico al quale il nome fa riferimento mi hanno colpito
profondamente. Riallacciandosi al dibattito tra l'etno-botanico R.E. Schultes e
l'antropologo W. La Barre, l'autore si ritiene d'accordo con il secondo sul fatto che
" lo sciamanesimo è profondamente radicato nelle esperienze estatiche e
trascendentali " e " mentre nella maggior parte dell'Eurasia le profonde
trasformazioni ... portarono allo sradicamento dell'estasi sciamanica ... nel Nuovo
36Dumézil Georges, Mythe et épopèe, III, Histoires romaines, Gallimard, Paris, 1973, pp. 271-
276.
37Calvetti Anselmo, Antichi miti di Romagna, Folletti, spiriti delle acque e altre figure magiche
nelle tradizioni romagnole, Rimini, Maggioli Editore, 1987, pp. 34.

39
Mondo ... il culto sopravvisse e riuscì a svilupparsi"38. Questo porta Calvetti a
presumere che anche in territorio europeo fossero presenti, in epoche in cui il
sistema religioso delle civiltà tribali si stava evolvendo dall'animismo sciamanico
al politeismo sacerdotale, pratiche relative all'estasi ricercata tramite l'uso di
piante psicotrope. Riallacciandosi agli studi di Wasson, il quale credeva che il
Soma Vedico39 fosse identificabile con l'Amanita Muscaria - fungo tossico non
mortale con spiccate proprietà allucinogene utilizzato nell’arco di millenni a
scopo inebriante dalle popolazioni che abitavano le foreste eurasiatiche40 - Calvetti
si immagina che, dati gli effetti relativi a questo particolare tipo di ingestione i
quali sembrano adattarsi perfettamente al rito di cui sopra, l'identificazione
dell'iniziato con l'agarico muscario ( il cappuccetto rosso) possa essere un'ipotesi
del tutto valida. Forse sarebbe meglio dire che una delle possibili varianti del
rituale iniziatici, le cui caratteristiche sono riscontrabili all'interno di questa
versione della fiaba, potrebbe essere legata a pratiche di questo tipo. Sicuramente
ci troviamo di fronte ad un'ipotesi ardita che permette però di osservare da una
prospettiva leggermente diversa problemi che solitamente vengono affrontati con
metodi comparativi tradizionali. All'interno di un’ottica continuista, infatti, l'idea
che pratiche riscontrabili oggi in luoghi remoti del pianeta possano rappresentare
un'utile strumento per ipotizzare quali usi caratterizzassero le popolazioni
primitive "nostrane", appare del tutto plausibile. A questo punto un altro elemento
della fiaba fa riflettere circa la possibile veridicità di queste affermazioni. Nella
versione romagnola, così come nelle altre versioni che presentano l'episodio del
banchetto, Cappuccetto Rosso si ferma più volte nel bosco a raccogliere dei fiori e
in tutte le occasioni è intercettata dal Lupo che le intima di consegnargli parte dei
cibi e delle bevande contenute nel cestino datole dalla madre. Il fatto che la
38La Barre W., Old and New World Narcotics: A statistical Question and an Ethnological Reply,
"Economic Botany", 24°, 1970, riportato da P.T Furst, Allucinogeni e cultura, pp.130, Ciapanna,
Roma, 1981, pp.13.
39 Il Soma è una pianta presentata negli inni dei Rig-Veda indiani come un fiore senza foglie né
radici e che veniva utilizzato nella preparazione di una bevanda sacra.
40Wasson Robert Gordon, Soma, Divine Mushroom of Immortality. Ethno-Myco-Sabina and her
Mazatec Mushroom Velada, New York, Harcourt Brace Jovanovich, 1968

40
protagonista non scappi di fronte al mostro e che questi non la divori subito
nonostante l'occasione, secondo l'autore, "potrebbero essere dovuto a difficoltà di
adattare lo svolgimento narrativo della fiaba ai riferimenti dell'aition intorno alla
cerimonia iniziatica"41. Tale cerimonia, ricostruita per via ipotetica attraverso
l’osservazione di rituali ancora oggi praticati dagli Huichol dell Sierra Madre
messicana42, consisterebbe nella marcia all'interno della foresta verso il luogo
deputato alla cerimonia, l'incontro di uno sciamano mascherato da animale/pianta
totem - il quale pretenderebbe un'offerta simbolica di cibo da parte dei neofiti ai
quali successivamente sarebbe richiesta la raccolta di una pietanza sostitutiva - e
la successiva ingestione rituale all'interno del simulacro seguita dalla rinascita,
anch'essa simbolica, dell'iniziato. Oltre all'interesse che questa variante della
favola di Cappuccetto Rosso è in grado di destare, dati gli elementi dalle forti
connotazioni totemiche, sembra che questa ipotesi sia guidata da un giusto metodo
comparativo e che, nonostante le possibili confutazioni, rappresenti un tentativo di
approccio quanto meno originale, in grado di fare luce su aspetti di continuità che
sono riscontrabili ancora oggi. Anche Mario Alinei all'interno del libro sopra
citato menziona questo particolare fungo identificandolo come una delle "piante"
più frequentemente legate a pratiche rituali di questo genere. Egli sottolinea il
fatto che L'amanita Muscaria "viene identificato come il principio stesso
dell'esperienza religiosa da genti che vanno dall'altipiano iranico al mediterraneo
occidentale e si è trovato al centro di culti primitivi che vanno dall'Asia
settentrionale e centrale alle due Americhe" e inoltre "la sua immagine stilizzata,
dai caratteristici connotati fallici, s'incontra in raffigurazioni che vanno dall'arte
primitiva al tardo medio evo"43. Tali dati non rappresentano prove certe per ciò
che riguarda il riscontro relativo all'ipotesi di calvetti, ma sono elementi che

41Calvetti Anselmo, Antichi miti di Romagna, Folletti, spiriti delle acque e altre figure magiche
nelle tradizioni romagnole, Rimini, Maggioli Editore, 1987, pp. 48.
42Furst P. T., Allucinogeni e cultura, Ciapanna, Roma,1981

43Alinei Mario, Dal totemismo al cristianesimo popolare, Sviluppi semantici nei dialetti italiani
ed europei, Alessandria, Edizioni dell'orso, 1984, pp. 97-98.

41
sottolineano come questo tipo di analisi, se affrontate seriamente senza il piglio
ghignoso di cui fanno mostra gli studiosi più conservatori quando si parla di simili
argomenti, possono essere molto feconde. Occorre però spendere due parole
sull'argomento di cui sopra. Quando si parla di elementi che sono riconducibili
alla sfera semantica delle sostanze stupefacenti è quasi impossibile evitare, nel
nostro contesto di studi tutto italiano, reazioni più o meno ironiche e poco serie.
Bisogna però tenere conto che un'indagine che cerchi di avvicinarsi al problema di
come eravamo durante periodi storici che non ci hanno tramandato testi scritti,
difficilmente potrà essere esaustiva senza un'attenta valutazione del rapporto che
l'uomo intercorre con le sostanze inebrianti e con le pratiche dell'estasi.

CAPITOLO TERZO

3. Nomi dialettali romagnoli

42
3.a Premesse

43
Per riportare la nostra ricerca ad una dimensione più pratica si cercherà di
sottoporre all'attenzione del lettore alcuni termini estrapolati da varie parlate
dialettali romagnole, i quali sembrano essere caratterizzati dagli stessi elementi
individuati da Alinei nei capitoli del libro " Dal Totemismo al Cristianesimo
popolare". Innanzi tutto occorre specificare che l'autore di cui stiamo parlando
individua tre aspetti folclorico-mitologici e due linguistici per ciò che concerne gli
zoonimi parentelari. In primo luogo pone l'attenzione sul fatto che molti studiosi
intendono questa tipologia di nomi come scherzosi, un aspetto secondario che è
superficialmente riscontrabile in denominazioni quali, ad esempio, "frate" o
"prete" per animali o insetti di colore nero, facendo notare che tali denominazioni,
essendo effettivamente in uso come termini di parentela reali all'interno di società
primitive, sono il risultato di una concezione del mondo secondo cui gli animali
sono considerati davvero dei parenti. In seconda istanza viene ripetuto che gli
zoonimi parentelari non sono gli unici nomi magici a costituire un elemento di
interesse e anzi vanno messi in relazione con tutti quei tipi zoonimici individuati
ed elencati dal Riegler44. Molto importanti quelli basati su motivazioni inerenti a
credenze relative a esseri antropomorfici soprannaturali come le "streghe" e le
"fate", quelli legati a una concezione di animali come traghettatori delle anime dei
defunti e come esseri in grado di prevedere il futuro. Alinei sottolinea che
applicando il metodo strutturale allo studio di queste terminologie esse si possono
organizzare in uno schema oppositivo di tipo bene/male riuscendo in questo modo
ad individuare quegli elementi in grado di indicarci il procedimento che, partendo
dalla nozione iniziale di animale totem, si biforca rispecchiando un'opposizione
ideologica. Ritorna il discorso di Donini sull'evoluzione del sistema di credenze in
relazione all'avvento dei primi "abbozzi" di società di classe perchè è evidente che
"la nozione di ... totem protettore ... strettamente condizionato da svariati Tabù ...
contiene in sé i germi dell'opposizione fra “bene” e “male” , ma lo
sdoppiamento vero e proprio, la biforcazione tra i due valori contrapposti, e

44Riegler Richard, Zoonimia popolare, in "Quaderni di semantica", II, n. 2, pp. 305-324

44
sopratutto la loro reificazione in esseri corporei indipendenti, non possono aver
luogo se non quando all'interno della comunità stessa non avviene uno
sdoppiamento che pone alcuni uomini al di sopra di altri"45. Queste valutazioni si
riassumono in uno schema che individua, in relazione ad un animale-parente-
totem, tre tipologie di nomi: quelli che si riferiscono a un essere appartenente
all'area semantica del del "bene", quelli che si riferiscono a un essere maligno e, al
centro, quelli che stanno a rappresentare forme ambigue, che cioè intrattengono
rapporti con entrambe le sfere. Attraverso l'evidenza schematica si evidenzia
come, da un punto di vista "linguistico e semantico ... gli oggetti collocati ... non
sono solo significati, ma anche e sopratutto motivazioni, cioè significanti
(trasparenti), che diventano termini classificatori di un'altra porzione della realtà,
assieme alla quale essi formano il vero e proprio campo semantico."46. Le
categorie presenti nello schema inoltre non sono le uniche dato che anche i
referenti che questi termini rappresentano contribuiscono a formare questa varietà
così eterogenea. All'interno di questo sistema di classificazione tutti gli oggetti,
dal momento che sono intercambiabili tra loro, rappresentano la stessa cosa e
possono essere considerati delle varianti casuali di un oggetto archetipico che
contiene in se tutti gli aspetti fondamentali. Secondo Alinei questo archetipo è il
totem, l'animale parente, che nel corso dei millenni si trasforma in essere
antropomorfo neutro, positivo o negativo; ed è sopratutto in ambito linguistico che
questo complesso fenomeno di metamorfosi presenta aspetti formali ben
riscontrabili. Il terzo aspetto importante a livello folklorico-mitologico è la
presenza all'interno di fiabe dell'idea di animale come parente. Le attestazioni di
questo tipo sono abbondanti e il riscontro di termini parentelari all'interno di simili
narrazioni sembra confermare le ipotesi di Propp e, nello specifico, la sua teoria
secondo la quale le fiabe risalgono, per ciò che concerne i più importanti elementi
costitutivi, a riti di iniziazione totemica. L'attestazione di nomi parentelari

45Alinei Mario, Dal totemismo al cristianesimo popolare, Sviluppi semantici nei dialetti italiani
ed europei, Alessandria, Edizioni dell'orso, 1984, pp. 11.
46Ibidem. pp.12.

45
all'interno del repertorio fiabesco mondiale è ancora più utile ai fini di questa
ricerca, in quanto permette di ripercorrere ipoteticamente il processo di
evoluzione che li ha interessati e di mettere in luce il carattere preistorico e
spiccatamente totemico/iniziatico del contesto che li ha visti nascere. La fiaba
inoltre può essere utile per comprendere meglio le accezioni scherzose che spesso
viengono attribuite agli zoonimi parentelari, le quali potrebbero essere un riflesso
del tricksterismo ( la capacità di risolvere situazioni pericolose o difficili con l'uso
dell'intelletto e dell'inganno) che è una delle caratteristiche tipiche degli eroi
totemici delle leggende, delle saghe epiche e delle fiabe. Per ciò che riguarda gli
aspetti linguistici messi in risalto da Alinei, molto importante è il fatto che, tra i
parentelari, siano di gran lunga più attestati quelli di tipo femminile e, anche
quando ci si trova di fronte a parentelari maschili, spesso si tratta di figure
riconducibili al ramo matrilineare. Questo aspetto fondamentale è impossibile da
decifrare a meno che non lo si collochi all'interno di un contesto culturale
"primitivo", caratterizzato da strutture di parentela all'interno delle quali la
funzione procreatrice dell'uomo è ancora ignota e, quindi, i rapporti "uterini" sono
gli unici riconosciuti. L'ultimo aspetto linguistico fondamentale è la quasi totale
assenza, tra i referenti caratterizzati da nomi magico/totemici, di animali
domestici o da allevamento. Questo fa presupporre che gli zoonimi non siano nati
in un periodo caratterizzato da un modello sociale basato sulla pastorizia e
l'agricoltura, bensì in uno stadio storico arretrato, presumibilmente quello del
paleolitico e mesolitico, quando i primi gruppi di uomini cacciatori/raccoglitori
vagando per le terre inospitali, non potendo incontrare altro che animali e piante
selvatici, cercarono di inserirli all'interno di un sistema classificatorio magico nel
tentativo di favorirne la caccia e la raccolta. Questi aspetti sono utili per capire la
reale importanza di uno studio comparativo su questi termini e sopratutto sono in
grado di indirizzare le future ricerche verso quei punti focali d'interesse che
occorre osservare con più attenzione e più da vicino. Fanno inoltre ragionare sul
fatto che, in determinate circostanze, i dialetti e le tradizioni popolari possono
veicolare oggetti - e simboli ad essi sottesi - provenienti da epoche molto lontane.

46
In questo senso si possono considerare terreni di scavo all'interno dei quali è
possibile riscontrare giacenze appartenenti a periodi molto più antichi rispetto a
quelle reperibili all'interno di un contesto classico. Sarà utile ricordare ancora una
volta che, come sottolinea Donini, dall'inferiorità di alcuni ceti popolari spesso
deriva un'incomunicabilità nei confronti di porzioni più abbienti della
popolazione, con la conseguente formazione di vere e proprie camere a tenuta
stagna che permettono la conservazione di reperti altrimenti destinati a essere
irrimediabilmente perduti. Chiaramente per ciò che concerne la datazione
oggettiva il repertorio classico al quale si può attingere rimane la fonte più sicura,
ma per quello che riguarda le ricerche sul fattore "ideologico", l'indagine sulle
motivazioni archetipiche che hanno generato forme e miti, interrogare la
tradizione e le lingue dialettali risulta molto più indicato. Rimane il problema
dell'instabilità di questo tipo di materiali che, soggetti ad ogni genere di
intemperie atmosferica, possono mutare radicalmente aspetto e forma.

3.b.Zoonimi dialettali romagnoli

47
Ispirato dalle ricerche di Alinei, ho cercato di individuare quei termini dialettali
relativi a nomi di animali che, all'interno del dialetto romagnolo, presentano delle
caratteristiche ricollegabili agli aspetti sopraelencati. Come evidenziato anche
nelle pagine riassunte, spesso si tratta di nomi appartenenti ad animali selvatici e
molto spesso si tratta di nomi che presentano referenti linguistici riconducibili a
una delle tre "fasi" identificate da Alinei elencate all'interno del primo capitolo. Di
seguito sarà presentato il nome dell'animale in lingua italiana seguito dalle varie
attestazioni dialettali. Ben lungi dall'essere completi ed esaustivi, questi miei
rilievi vogliono rappresentare un primo approccio di ricerca etnofilologica
all'interno di un repertorio dialettale e folklorico tra i più studiati. Sarà quindi
facile, per chi voglia approfondire questo tema, individuare discrepanze e varianti.
A proposito, infatti, occorre tenere sempre presente la situazione linguistica
riassunta per sommi capi, ricordandosi che i dialetti, quello romagnolo in
particolar modo, sono caratterizzati da variazioni che insorgono a breve distanza
tra loro.

- Per ciò che riguarda i nomi relativi alla Coccinella, animale "il cui culto ha
continuato a sopravvivere inconsapevolmente in una enorme quantità di
formulette infantili"47, ho riscontrato i seguenti: Lusì, Lusin, Luzì, Luzia, Luzlin,
Marì, Mariola, Santaluzi 48 e Borda49. Tra i più interessanti i referenti relativi ai
santi (Maria, Santa Lucia), che rappresentano la trasformazione del referente
totemico in essere antropomorfico cristiano, così come anche Borda, nome che
designa la strega tradizionale romagnola. Altrettanto importanti, a mio avviso,
sono anche Luzì e Luzia. Questi ultimi, infatti, potrebbero essere la contrazione
del nome Lucia, e in questo modo rifletterebbero con precisione il processo di
trasformazione che interessa l'essere magico in questione all'interno di un
47Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp 132.
48Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994
49Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp 252-253.

48
momento di transizione dall'antropomorfismo pagano a quello cristiano, ma
potrebbero al contempo rappresentare un parentelare. La somiglianza con la voce
dialettale Zej = Zio50 potrebbe essere un indizio in grado di guidarci verso una
ricostruzione di questo tipo. I nomi parentelari relativi a questo animale presenti
in altre parlate regionali, Lola = Nonna a Modigliano (Firenze) e Nannacola =
Nonno Nicola in sicilia, sembrano essere un'evidente conferma di questa mia
ipotesi. Importante a riguardo anche il fatto che i parentelari Sposo e Sposa
rappresentino "un tipo assai diffuso per animali "magici" come libellula, o
coccinella"51. Nomi di questo tipo sono stati, infatti, attestati in Sardegna
(Isposella, Ispusedda o anche Dunzella, Zunzella52), in Corsica (Signorella53), a
Potenza (Signorina54) a Sinisgaglia (Sposina55) e a Montepulciano (Damigella56).
Se si tiene conto, inoltre, che molto spesso gli esseri ai quali erano dedicati culti
totemici erano caratterizzati da una profonda ambiguità, apparirà evidente come
nomi quali Gallineta del Diàolo = gallina del diavolo (Verona)57, Gallinella del
diàolo = gallina del diavolo (grosseto)58 e Gaddinedda di lu Diàvulu = gallina del
diavolo (Marsala)59, tutti e tre relativi alla coccinella, siano interpretabili in questa
direzione. "L'animale che traffica con l'adilà, che ha poteri divinatori, che può
portare fortuna, è spesso un animale parente"60. Appare molto interessante, anche
se non strettamente collegata con la nostra proposta l'attestazione di una specie di
50Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994
51Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp 90
52Wagner M.L., Dizionario etimologico sardo, Heidelberg 1960-64
53Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp 90
54Ibidem
55Ibidem
56Ibidem
57Ratti E., Entomologia popolare veneta. Le denominazioni degli insetti nei dialetti veneti e delle
Venezie, Roma 1990.
58Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp 192.
59Pitré G., Giuochi fanciulleschi siciliani, Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane, Palermo
1883, rist. Bologna 1969, pp.343-344

49
collirio in uso durante il medioevo il quale aveva nome Santa Lucia61. Questa
denominazione sembra essere il riflesso della tradizione ampiamente diffusa
secondo la quale la Coccinella sarebbe un animale privo di vista. Tutto questo
lascia supporre che la coccinella fosse un animale considerato sacro molto prima
dell'avvento del cristianesimo.

- Per quello che riguarda la libellula i nomi riscontrati sono i seguenti: balarén,
frè, signurena62. Il referente frè = frate, rispecchierebbe, ancora una volta, il
periodo antropomorfico cristiano il quale è il più riscontrabile nelle voci estratte
dal repertorio dialettale. Questo nome, legato ad un essere antropomorfico
cristiano, si aggiunge alle numerosissime attestazioni reperibili in territorio
italiano. La libellula, infatti, ha nome Pretino a Oristano, Pretarello nel
Salernitano, Capelan in Friuli e Monega a Verona63. Peculiari anche le voci
reperibili nei dialetti del basso Ticino e del Biellese - le quali esauriscono tutta la
serie delle figure religiose.64 Il nome Ammazzapreti, riscontrabile in Liguria,
sarebbe un ulteriore elemento in grado di sottolineare la natura ambigua
dell'animale in questione65. Molto più interessante il nome signurena = signorina
nel quale è forse ravvisabile un vero e proprio parentelare. La diffusione di
tipologie quali sposa, sposina e comare, nomi che in tutta Europa sono spesso
utilizzati per denominare l'insetto in questione, sembra un'ulteriore prova a favore
di questa tesi. Anche la libellula, come altri animali quali il pipistrello e il
rondone, è spesso ritenuta pericolosa perché considerata essere demoniaco. Il
detto abruzzese riferito ad una persona che è sempre in movimento( "pare lu

60Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp 193
61Zanetti Z., La medicina delle nostre donne, Foligno, 1978, pp 173.
62Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994
63Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp. 24.
64Ibidem.
65Ibidem.

50
cavalle de le streghe"66) è solo un esempio tra tanti. L'ambiguità del tutto
manifesta che riguarda le concezioni relative ad animali sacri si lascia intravedere
con molta chiarezza quando leggiamo alcune delle denominazioni europee relative
a questo insetto. Nomi come diavolo, martello del diavolo, diavolo volante,
strega, strega dell'acqua e uccello delle streghe67, se confrontati a voci del tipo
frate, prete, monaca ecc., non possono che sottolineare la duplice natura delle
credenze legate a questo animale. Molto importante a riguardo sottolineare il fatto
che "l'opposizione binaria è certamente una griglia per classificare il reale, un
principio di simmetria, che è della mente umana, e dunque proprio del sistema
linguistico"68.

- Evidente caso di parentelare, invece, è quello che caratterizza uno dei referenti
dell' Aphya vera, pesce di fiume che si può trovare in molti corsi fluviali italiani.
Oltre ad essere conosciuto in Italiano come nonnato ,infatti, questo pesce è
chiamato in dialetto nòn = nonno69. Questo rappresenta un esempio abbastanza
chiaro di nome parentelare. Se infatti si pensa alle dinamiche di caccia e raccolta
che caratterizzano la vita di popolazioni ad uno stadio sociale primitivo non è
difficile immaginare come questo animale, che può essere considerato una perfetta
fonte di sostentamento, possa diventare oggetto di culto ed essere considerato a
tutti gli effetti un totem.

- Caratterizzato da una grande varietà di nomi simili nei vari dialetti italiani è
l'Onisco ( armadillum volgare), particolare invertebrato, reperibile in quasi tutto il
territorio italiano, il quale può assumere forma sferica nelle situazioni di pericolo.
I nomi romagnoli ad esso relativo sono: Purzlen' d Sant Antoni e Antoni70.

66Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp. 22.
67Ibidem, pp. 203.
68Ibidem, pp. 251.
69Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994
70Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994

51
Ancora una volta un nome riferibile al terzo stadio di trasformazione. Spesso
interpretato in maniera scherzosa e poco seria, questo nome reca in se la traccia
dell'ultima stratigrafia. Il nome del santo, infatti, è per forza una motivazione che
si inserisce in una fase seriore e che aderisce senza forzature ad una concezione
sacra dell'animale in questione. Altri nomi reperibili in territorio italiano sono
frate di san Luigi, nonno71 e le voci comasche diaulin e diavolin. Queste ultime
sono importanti perchè, come già visto per gli animali di cui abbiamo parlato poco
sopra, sono sintomatiche della doppia valenza dell'animale. Inoltre il morfema
significatore che compone parte del nome (porco) è già in sé e per sé un elemento
che dovrebbe fare riflettere.

- Un altro esempio di nome legato ad un essere antropomorfico cristiano è quello


del Regolo Cristato, il quale è chiamato Sanvizinzen = San Vincenzino 72Anche
qui ci si trova di fronte ad una motivazione legata al terzo stadio di evoluzione
culturale. Può essere utilie menzionare il fatto che in territorio bresciano questo
animale sia chiamato micheli. Tale nome, infatti, è senza dubbio di natura
parentelare.

- Possibili parentelari, di non sicura attribuzione data la particolarità fonetica di


alcune parlate dialettali romagnole che tendono a trasormare la palatale sorda "c"
in palatale sonora "z", sono i nomi relativi ad alcuni volatili: il Germano chiamato
Zizon73, il Passero chiamato Zilgot74, lo Strillozzo chiamato Zimmaren75
(conosciuto anche come predicatur = predicatore in Piemonte), la Cesena

71Nome reperibile nelle parlate dell'Isola d'Elba. cfr Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo,
Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino, Giulio Einaudi editore, 1995, pp 80.
72Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994
73Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994
74Masotti Adelmo, Vocabolario Romagnolo Italiano, Zanichelli, San Lazzaro di Savena
(Bologna), 1996
75Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994

52
chiamata Zizes-ca76 e, infine, il Beccamoschino chiamato Zizi77. Dal momento che
il mome dialettale locale per zio è zej, anche se come specificato questa potrebbe
essere solo una delle difformi attestazioni reperibili in territorio romagnolo,
sembra quantomeno plausibile che questi nomi siano ricollegabili a concezioni di
tipo parentelare..

- Un altro caso di attribuzione incerta riguarda anche la lumaca, il cui referente


dialettale é Zamlunghena78. Questo nome mi fa subito pensare a "zia lumachina"
e il fatto che si tratti di un invertebrato che ancora oggi solca le tavole dei nostri
nonni e dei nostri padri, e che con buona probabilità rappresentava un'importante
fonte di sostentamento proteico per le popolazioni di cacciatori/racoglitori
stanziatesi in questa zona, non mi sembra un aspetto poco importante. In
quest'ottica non mi pare un caso che i tipi monachella, monaco e monaca siano
"diffusissimi nel centro-Sud e in Sardegna per designare la chiocciola
mangereccia"79. Va inoltre ricordato che questo animale, ritenuto sacro in
molteplici contesti culturali tradizionali, appare all'interno di molte filastrocche
come il destinatario di offerte di cibo.

- Un caso a parte è il baco da seta che viene chiamato Cavalir80 e che viene
ricollegato da molti detti popolari al giorno di San Giorgio. Non posso evitare di
avanzare l'ipotesi, il cui ardimento spero mi si potrà perdonare data la natura
sperimentale della ricerca, che questo collegamento sia da identificarsi nello
stretto rapporto che intercorre tra il verme e la figura mitica del drago. Basterà
ricordare in questo senso alcuni degli studi di Alinei sull'arcobaleno per
evidenziare che tale rapporto è riscontrabile in moltissime tradizioni popolari. In

76Ibidem.
77Ibidem.
78Masotti Adelmo, Vocabolario Romagnolo Italiano, Zanichelli, San Lazzaro di Savena
(Bologna), 1996
79Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp. 24.
80Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994

53
questo caso, seguendo l'ipotesi postulata, si tratterebbe di uno scivolamento
semantico dall'essere interessato ad una sua motivazione, potremmo dire,
accessoria. Altri nomi riscontrabili per questo animale sono Frate (Toscana),
Fratin-a (Piemonte) e Munia (Sant'Albino)81.

3.c. fitonimi dialettali romagnoli

Molto più interessanti degli zoonimi sono i fitonimi emersi dai rilievi effettuati.
Principalmente perchè alcuni di loro sono, in parte, riconducibili a concezioni
parentelari relative agli stessi, ma anche perchè, soprattutto in Romagna, il
folklore legato al mondo delle erbe e delle piante sembra essere ancora in grado di
81Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp 25.

54
accattivarsi l'attenzione dei parlanti. La maggior parte delle piante i cui nomi
elencherò di seguito sono, inoltre, realmente caratterizzate da proprietà medicinali
e psicotrope. Si tratta quindi di elementi naturali con i quali l'uomo può aver
intrapreso un rapporto più complesso rispetto a quello instaurato con l'animale
totemico. Se l'animale totemico, infatti, è principalmente legato all'uomo da una
necessità di sostentamento alimentare, la pianta è spesso utile all'uomo anche in
quanto ingrediente "magico", in grado di curare molteplici mali di natura
differente. Sembra inoltre importante sottolineare il fatto che, precedentemente
all'avvento della pastorizia, il rapporto tra uomo e animale era unicamente
caratterizzato da una dinamica legata alla caccia per la sopravvivenza. L'animale
poteva certo essere fonte di sostentamento, ma era solo in seguito alla sua
uccisione da parte dell'uomo che ciò diveniva possibile. Molto prima dell'avvento
dell'agricoltura, invece, è lecito pensare che determinate popolazioni conoscessero
già piante e frutti utili, e che li raccogliessero periodicamente senza per questo
trovarsi nella necessità di distruggerle o rovinarle. L'incontro tra l'uomo e le piante
(commestibili, medicinali e psicotrope), forse, potrebbe essere stato un primo
momento di riflessione sui ritmi della vita e sul volgere delle stagioni.

- Tra i nomi riguardanti le piante e le erbe sicuramente spiccano quelli dell'Iperico,


pianta medicinale utilizzata ancora oggi in erboristeria come blando
antidepressivo: Erba'd Sa'Pir e Erba'd Sa'Zvan82. Erba di San Pietro ed erba di
San Giovanni, infatti, oltre ad essere riconducibili a quel terzo stadio che come
più volte ripetuto è quello caratterizzato dal maggior numero di attestazioni
linguistiche, rispecchiano una concezione legata ad una sfera che si potrebbe
chiamare del "bene" relativa a piante il cui effetto è da tempo immemore
riconosciuto per la sua utilità. Il secondo nome romagnolo relativo a questa pianta
rappresenta anche l'attestazione più diffusa in tutta Europa. Altri nomi relativi
all'Iperico sono fiore o erba di santa Maria (Sardegna), Erba di san Rocco
(Parma), scopa di santa Margherita (Castel Giorgio), fiore di Nostra Signora o
82Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994

55
della Vergine Maria (Francia), santa caterina (Belgio) e erva da malaria
(Calabria)83. Di grande interesse il fatto che "nell'Europa cristiana l'epiteto
"perforato" discende dalla credenza che il diavolo, in un momento d'ira, avesse
bucherellato le foglie di questa pianta"84. Beccaria evidenzia inoltre che "leggende
germaniche raccontano che l'iperico era cresciuto nella notte del solstizio d'estate
dal sangue del dio della giustizia Baldr, altre lo dicono cresciuto dal sangue di
Odino, padre di Baldr; la cristianizzazione successiva produsse le leggende
sull'iperico nato da gocce del sangue di Cristo sulla croce ... o cresciuto dal sangue
di San Giovanni decapitato"85. Probabilmente legati a leggende e credenze di
questo tipo sono i nomi relativi alla pianta in questione riscontrabili pressoché in
tutta Italia quali: (s)cacciadiavoli (Piemonte), fugademoni, diavularie (Friuli),
rosa, erba delle streghe (Val di Fiemme), scacciademonie (Abruzzo)86. Già
attestata nella nomenclatura medievale la denominazione fuga daemonium.

- Interessanti i nomi relativi al Giusquiamo (Hyoscyamus niger) e alla Linaria


(Linaria vulgaris), di cui la prima è una solanacea caratterizzata da proprietà
analgesiche, spasmolitiche e narcotiche, piante conosciute in Romagna col nome
Erba dal Strig = erba delle streghe87. Incappiamo qui per la prima volta in un
referente riconducibile al secondo stadio, quello antropomorfico pagano. Appare
molto interessante che una pianta come il Giusquiamo, caratterizzata da effeti
benefici, sia finita all'interno di una di quelle sfere normalmente interpretabili
come negative. Questa pianta, infatti, "ebbe fama nell'antichità e per tutto il
medioevo di erba magica, usata come narcotico o in complicate pratiche per
ottenere la pioggia"88, ma è altrettanto vero che, insieme all' atropo belladona e

83Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp. 213.
84Ibidem.
85Ibidem.
86Ibidem.
87Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994
88Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp. 64

56
alla datura strammonium, questa era utilizzata nella preparazione di un composto
chiamato "unguento delle streghe", balsamo "i cui principi tossici penetrano nel
corpo attraverso i pori della pelle, determinando allucinazioni"89. Non dobbiamo
dimenticarci, inoltre, quanto detto nel secondo capitolo circa la figura della
vecchia, la quale è forse un essere antropomorfico pagano nel quale sono confluite
figure diverse e che perciò, ancora oggi, conserva forti tratti di ambiguità. Un
procedimento simile può aver caratterizzato l'evoluzione delle credenze e di
conseguenza degli usi linguistici legati a questa pianta.

- Un caso simile è quello che riguarda la Valeriana (Valeriana officinalis),


anch'essa caratterizzata da proprietà sedative e calmanti. Questa è chiamata in
Romagna Mazaprit = ammazzapreti90, nome relativo ad uno stadio
antropomorfico cristiano che però reca in sé i segni di un'ambivalenza molto forte.
Si tratta, infatti, di una pianta dagli effetti del tutto benefici, ancora utilizzata nella
preparazione di rimedi erboristici, che reca un nome del tutto negativo, se lo si
intende nella sua accezione più trasparente. Se si cerca di intravedere nella figura
del prete la metamorfosi lenta e continua di una figura antropomorfica pagana
ambigua, magari legata a concezioni tabuistiche di paternità totemica, ecco che la
motivazione sottesa al nome in questione appare in tutta la sua chiarezza.
Un'ulteriore ipotesi a riguardo è quella avanzata da Beccaria che osserva come fra
i nomi europei di questa pianta siano anche presenti tipologie quali Erba delle
streghe, Merda del Diavolo, Artiglio del Divolo e Morso del Diavolo. Secondo la
sua opinione si tratterebbe di una tipologia vegetale apartenente a quelle erbe
benefiche delle quali il Diavolo stesso, secondo un'ipotetica credenza folklorica,
sarebbe invidioso91.

89Ibidem, pp. 211.


90Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994
91Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp. 221-222.

57
- Riconducibili al secondo stadio di trasformazione e caratterizzati
dall'appartenenza alla sfera del positivo sono i nomi delle piante seguenti: la
Biondella centaurea minore chiamata Erba'd la Madona = erba della
Madonna92; la Passiflora chiamata Pasiòn = passione93, pianta originaria
dell'America del sud nel cui fiore probabilmente i primi missionari hanno voluto
riconoscere elementi iconografici relativi alla crocifissione94; la Cipolla bianca
romagnola chiamata Zola' d Sa' Zvan = cipolla o zolla di San giovanni95, nome
che si ricollega perfettamente alla tradizione attestata in Val di Susa relativa alla
convinzione che l'aglio e la cipolla selvatici, raccolti durante la notte di San
Giovanni e in seguito appesi al collo dei bambini, proteggessero dal verme
solitario96; la Pervinca chiamata Viola' d Sa Jusef = viola di San Giuseppe97,
pianta che in molteplici contesti tradizionali era considerata, oltre che medicinale
particolarmente adatto ai bovini, un ingrediente perfetto per la preparazione dei
filtri d'amore98; l'Achillea conosciuta come Erba' d Sa Ròc = erba di San
Rocco99, santo considerato protettore delle piaghe e delle ferite; infine la Felce
maschio chiamata Sa Zvan = San Giovanni100 il cui seme, secondo una tradizione
folklorica molto diffusa, cadeva e germogliava nella notte del giorno dedicato al
Santo. Una menzione a parte va fatta per il Fico, pianta che abbiamo già
incontrato durante il nostro excursus folklorico del secondo capitolo come oggetto

92Masotti Adelmo, Vocabolario Romagnolo Italiano, Zanichelli, San Lazzaro di Savena


(Bologna), 1996
93Ibidem.
94Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp. 56.
95Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994
96Ruggiero M., Tradizioni e leggende della Valle di Susa, Torino, 1970, pp. 38.
97Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994
98Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp. 112.
99Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del
Girasole, Ravenna, 1994
100Ibidem.

58
apotropaico in grado di proteggere dalle streghe, i cui frutti giovani sono detti
fichi sampieri101. In questo caso si osserva un referente che è possibile inserire,
grazie al raffronto con la tradizione, all'interno di un complesso reticolato di
credenze relative alla valenza protettiva di tale pianta.

-Apparentemente appartenente allo stadio di trasformazione


antropomorfico/pagano è il referente del cosiddetto Dragoncello o Estragone
(Artemisia dracunculus) che è Gola' d SerpentI = gola di serpente102. Oltre al
fatto che il nome relativo all'essere magico, il drago, è presente anche nel nome
attualmente in uso e nel referente latino sembra evidente che tale pianta, ancora
oggi utilizzata come condimento, sia stata interessata da fenomeni di natura
totemica.

- Si può dire lo stesso anche per ciò che concerne il Gigaro (Arum italicum),
pianta velenosa che è conosciuta in romagna con il nome di Pàn dal bes = pane
delle bisce103, utilizzata in passato per trarre auspici sull'andamento dei raccolti.

- Di possibile paternità parentelare è il nome del Radicchio, Ragazol =


ragazzuolo104. Come accade per quei parentelari accessori, cioè non direttamente
ricollegabili a nomi di parentela, il ragazzuolo potrebbe essere rappresentante di
un familiare giovane. Inoltre, anche se improbabile, il parentelare che indica un
personaggio di età non ancora adulta potrebbe stare a rappresentare un simbolico
referente totemico relativo alla figura dell'iniziato, evidenza che potrebbe
confermare alcune delle osservazioni di Calvetti in merito alla fiaba di Capuccetto
rosso.

- Possibili ma improbabili parentelari potrebbero essere inoltre i nomi dialettali


relativi al Giglio (Lilium) e al Ginepro (Juniperus oxycedrus). Il primo è

101Ibidem.
102Ibidem.
103Ibidem.
104Ibidem.

59
conosciuto in romagna come Zej voce che è foneticamente identica a Zej = Zio,
mentre il secondo è identificato come Zanevan, Zarevan105.

- Infine va fatta una distinzione per ciò che riguarda la pianta chiamata Barba di
Giove (Anthyllis barba-jovis). La barba di giove è infatti da tempo immemore
oggetto utilizzato come amuleto apotropaico contro il pericolo rappresentato dai
fulmini e dagli incendi. Non a caso il suo nome dialettale romagnolo è Erba de
fug = erba del fuoco106. Come per altre piante caratterizzate da un nome simile
"non è certo possibile in termini perentori stabilire se si tratta di un nome colto
passato al popolare o viceversa. Colto e popolare", infatti, " sono strettamente
connessi come provano gli erbari107.

Anche all'interno di questo elenco è facile constatare che non ci si trova quasi mai
d'innanzi a piante domestiche, legate alla vita agricola, bensì a piante selvatiche
delle quali alcune oggi rientrano nella categoria di erba medica.

3.d meteronimi dialettali romagnoli

Come sottolineato da Alinei, uno dei risultati più soprendenti dello spoglio
operato è la vistosa sopravvivenza di una concezione zoomorfica e
antropomorfica dei fenomeni atmosferici. Secondo l'autore, che si rifà ancora una
volta agli studi di Donini, "anche questa concezione si lascia collegare con il

105Ibidem.
106Ibidem.
107Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp. 66.

60
totemismo, e più precisamente, ..., con l'ultima fase del totemismo, quando la
società ha sviluppato tecniche di produzione più avanzate e più coscientemente
collegate con fattori atmosferici e stagionali"108. Anche per i meteronimi è
possibile individuare referenti provenienti dalle tre fasi di cui abbiamo
ampiamente parlato. Alinei mette in risalto il fatto che,"per quanto riguarda i suoi
rapporti con la terminologia parentelare, la categoria dei fenomeni meteorologici
si rivela seconda, in ordine di importanza, solo rispetto a quella degli animali"109.
Dal momento che le parentele meteoronimiche sono prevalentemente di tipo
maschile e patrilineare, diversamente da ciò che si è osservato per quelle
zoonimiche, è lecito pensare che esse siano relative a sedimenti provenienti
dall'ultima fase totemica, probabilmente caratterizzata da una crisi delle
concezioni matrilineari110. Alla luce di queste considerazioni Alinei propone la
seguente ricostruzione relativa all'evoluzione stadiale:

1: stadio totemico-animale, preclassista e matrilineare;

1 bis: fase secondaria totemico-vegetale, preclassista e matrilineare;

1 ter: fase totemico-meteorologica, zoomorfica e preclassista ma non più


prevalentemente matrilineare;

2a: stadio iperantropomorfico-meteorologico a carattere dominante;

2b: stadio iperantropomorfico-meteorologico a carattere subalterno111.

Per ciò che concerne il dialetto Romagnolo ho riscontrato solo poche voci delle
quali almeno due sono ricollegabili a concezioni di tipo parentelare.

108Alinei Mario, Dal totemismo al cristianesimo popolare, Sviluppi semantici nei dialetti italiani
ed europei, Alessandria, Edizioni dell'orso, 1984, pp. 102.
109Ibidem, pp. 119.
110Ibidem, pp. 122.
111Alinei Mario, Dal totemismo al cristianesimo popolare, Sviluppi semantici nei dialetti italiani
ed europei, Alessandria, Edizioni dell'orso, 1984, pp. 123.

61
- Il nome dialettale del lampo, identificato anche come baleno, è Zei112. Come già
riscontrato per il giglio il referente nominale è del tutto identico, foneticamente,
alla parola dialettale per zio. Uno degli aspetti più interessanti legati a questo
termine è il fatto che, una sua variante italiana (baleno), ha come determinante un
essere zoomorfo cetaceo. Il significato della parola in questione è delfino, animale
il cui carattere totemico, secondo l'interpretazione etimologica di Alinei, sarebbe
riscontrabile nel nome, il quale può essere tradotto come "fratello uterino" (
delphus = utero, adelphos = fratello)113. In territorio italiano, un'area cioè occupata
prevalentemente da lampo e baleno, vi sono diverse realtà linguistiche che
accolgono la variante delfino: il Trentino (dalfi(n)), il Bresciano (dalfi, delfi, dolfi
e delfena), il Mantovano (dalfina) e la Lucania (talfinu)114. Con buona probabilità
"l'origine della rappresentazione zoomorfica non è dovuta a fantasia popolare, ...
bensì al fatto che (balena) - delfino ... non sono animali qualsiasi, ma hanno
ricoperto sin da tempi antichissimi e ancora nella tradizione popolare di secoli a
noi più vicini il ruolo di animali dotati di poteri particolari"115. Senza riassumere i
molteplici riferimenti al collegamento tra Dio e lampo, presenti all'interno di un
cospicuo numero di testi religiosi, ci basti dire, facendo riferimento a un orizzonte
più vicino a noi, che nella tradizione biblica Dio si manifesta nel lampo e nel
tuono (Geremia x, 13; Giobbe xxxvii, 3-4). Tutto questo ci spinge a presumere che
una concezione totemica-zoomorfica legata a questo animale sia del tutto
probabile.

-Ricollegabile ad un periodo antropomorfico pagano è in vece il nome che in


dialetto romagnolo identifica il vortice di vento, la cosiddetta tromba d'aria. Il

112Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del


Girasole, Ravenna, 1994
113Alinei Mario, Dal totemismo al cristianesimo popolare, Sviluppi semantici nei dialetti italiani
ed europei, Alessandria, Edizioni dell'orso, 1984, pp. 135.
114Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp. 66-68.
115Ibidem, pp. 68.

62
Fulèt o Fulét = folletto romagnolo116, infatti, sembra rispecchiare tutta una serie di
antiche credenze che identificavano il vento e i fenomeni atmosferici ad esso
dovuti, come elemento naturale degli spiriti e dei fantasmi. Secondo una
concezione che è attestata in tutta Italia, l'aria è l'elemento di cui sono costituiti gli
spiriti e quello che questi sono maggiormente in grado di influenzare117. Molteplici
le attestazioni di credenze secondo le quali, determinati tipi di fenomeni
atmosferici sono da ritenersi responsabili per ciò che concerne tutta una serie di
malattie, soprattutto di tipo psicotico. Voci simili, sempre legate all'identificazione
di fenomeni atmosferici di tipo violento, sono riscontrabili sia in territorio italiano
che nel resto dell'Europa. Abbiamo, infatti: fuletun, fultun e fulet in Piemonte,
folletto a Biennate (milano), oltre ad una serie di nomi affini appartenenti a tutta
l'area gallo romanza118.

- Infine la voce dialettale per lampeggiare/balugginare che ricorda molto da vicino


quella per lampo/baleno, la quale sembra l'aggettivazione di tale nome, appare
come perfettamente inquadrata nell'ipotetico orizzonte totemico/parentelare. Il
lemma romagnolo relativo è, infatti, Zièr119 che personalmente tradurrei come
"ziare", cioè fare le veci dello zio.

116Ercolani Libero, Vocabolario Romagnolo - Italiano / Italiano - Romagnolo, Edizioni del


Girasole, Ravenna, 1994
117Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995
118Ibidem, pp. 154.
119Masotti Adelmo, Vocabolario Romagnolo Italiano, Zanichelli, San Lazzaro di Savena
(Bologna), 1996

63
3.e. Miconimi dialettali romagnoli.

Dal momento che nell'onomastica non è presente un nome relativo al regno dei
funghi, mi permetto in questa sede di coniare un neologismo che sia in grado di
aiutarci in una più scorrevole rappresentazione testuale delle particolarità
linguistiche relative al mondo micologico da me registrate. Uno dei problemi
principali, quando ci si avvicina ai miconimi, è il fatto che molto spesso i parlanti
di lingue dialettali, ignorando del tutto la nomenclatura scientifica degli oggetti a

64
cui si riferiscono con particolari referenti linguistici, sono portatori di una
conoscenza esclusivamente tradizionale. Risulta quindi molto difficile, per il
linguista che si ponga in relazione con questo contesto culturale, ricollegare i
nomi emersi dai rilievi a precisi referenti. In particolar modo questo discorso si
può applicare ai funghi la cui conoscenza, nella maggior parte dei casi, è
trasmessa con modalità del tutto svincolate dalle dinamiche di trasmissione tipiche
degli ambiti scientifici o presunti tali. Mi sembra importante, inoltre, menzionare
una delle teorie che, a mio avviso, è più illuminante per ciò che concerne il
rapporto tra esseri umani e miceti. Secondo Wasson, infatti, le popolazioni umane,
a seconda del particolare rapporto intrattenuto con i membri appartenenti al regno
dei miceti, si possono dividere secondo uno schema che ne individua alcune come
"micofobe" e altre come "micofile". Secondo lo studioso sopra citato popolazioni
"micofile" sarebbero quelle che, circondate da un ambiente ostile all'interno del
quale sia difficile reperire fonti di sostentamento, si sarebbero adattate nel corso
della storia ad intrattenere un rapporto culinario più tranquillo con molte tipologie
diverse di funghi. Le popolazioni "micofobe" sarebbero invece quei ceppi che,
stanziatisi in territori rigogliosi e fertili, non avrebbero approfondito il rapporto
con questo cibo così spesso tossico e mortale. Appare chiaro che le popolazioni di
origine indeuropea, stanziatisi nei territori corrispondenti all'attuale Europa del
Sud (Italia, Francia, Spagna; Portogallo, Grecia), rappresenterebbero un ceppo del
tutto "micofobo". Secondo Wasson, inoltre, la micofobia è riscontrabile oggi
all'interno di una serie di atteggiamenti e comportamenti nei confronti dei funghi
da parte delle popolazioni interessate. Basti pensare all'estrema cautela con cui il
raccoglitore di funghi nostrano si approccia alla raccolta delle specie da lui
conosciute o la pratica di distruggere i funghi tossici, velenosi e mortali che si
incontrano durante la ricerca di quelli eduli, per evitare che gli incauti possano
raccoglierli. Mi è capitato personalmente di poter constatare che questa furia
"micofoba" si riscontra sopratutto nei confronti delle specie di Amanita. Detto
questo mi sembra di aver ampiamente descritto le motivazioni per cui una ricerca
sui miconimi non possa essere scevra da errori e fraintendimenti. Penso però che

65
una tale ricerca possa rappresentare un punto di svolta molto interessante perchè
costringe a relazionarsi direttamente con un sostrato culturale popolare impedendo
di ritornare, come spesso si fa in queste occasioni, sul sentiero delle attestazioni
sicure. Detto questo occorre però anche precisare che questo spoglio va preso con
estrema cautela e che le ipotesi che avanzerò in questa sede vanno soppesate con
estrema attenzione. Troppo spesso, infatti, simili ricerche hanno condotto autori
troppo convinti delle proprie asserzioni a riscontrare ciò che essi volevano trovare.
Preferisco pensare a queste pagine come ad un abbozzo che solo il dialogo con
altre ricerche ed altri studiosi potrà contribuire a definire con più chiarezza o a
cancellare definitivamente. Per ciò che riguarda i rilievi effettuati personalmente,
principalmente nel territorio del Montefeltro, occorre fare un'ulteriore
specificazione. La maggior parte delle persone da me intervistate, infatti, sono
adulti che hanno appreso le conoscenze relative al riconoscimento dei funghi eduli
da parenti più anziani e, a differenza di questi, non parlano dialetto. I nomi che ho
incontrato possono considerarsi come delle vere e proprie traduzioni dal dialetto
all'Italiano e nonostante abbiano perduto quegli elementi fonetici e morfologici
importanti ai fini di una ricerca etimologica accurata, hanno conservato le
caratteristiche "ideologiche" legate all'ipotetica genesi totemica.

- Apparentemente caratterizzate da un nome parentelare, forse il nome parentelare


per antonomasia, la Armillaria tabescenses e la Armillaria mellea sono meglio
conosciute con il nome di famigliole120. Un aspetto importante, che potrebbe sia
confermare che rigettare la tesi proposta, riguarda il fatto che suddetto nome non è
presente solo in area romagnola ma quasi in tutta la nostra penisola.

- Un altra tipologia di fungo da me incontrta durante le ricerche effettuate sul


campo è il Fratino121 o Frattino122. Purtroppo non sono riuscito, date le mie scarse
conoscenze micologiche, ad identificare il nome scientifico di tale specie, ma ho

120Voce raccolta durante un intervista con Marina Sirotti (Pennabilli).


121Ibidem.
122Ibidem.

66
potuto riscontrare la sua raccolta da parte di molti micofili della zona di Carpegna
e Pennabilli. Il nome di questo miceto è presumibilmente legato al terzo stadio di
evoluzione dato che il riferimento ad una figura religiosa potrebbe essere, come
attestato in altri casi, la trasformazione di un essere magico antropomorfico
pagano che in epoche "primitive" era forse identificato con questo fungo.

- Un fungo di cui ci siamo già occupati in questa tesi ed al quale anche Alinei
dedica un piccolo paragrafo nella sezione relativa ai fitonimi all'interno del quarto
capitolo del suo libro "Dal totemismo al cristianesimo popolare" è l'Amanita
Muscaria. Senza volerci risoffermare sulle sue particolari qualità e sugli aspetti
legati ai culti sorti attorno all'uso di questo fungo nell'arco della storia dell'uomo,
basti dire che i nomi fungo del diavolo123 e uovo malefico124 si possono riscontrare
sia in territorio romagnolo che nel resto delle regioni della penisola.

3f. Comparazioni

Per poter inquadrare i nomi elencati nei paragrafi precedenti all'interno di una
struttura che ne consenta l’analisi, occorre specificare quali sono le relazioni
onomasiologiche che collegano tra loro i diversi referenti. La relazione che
collega un referente con i suoi vari nomi è una relazione onomasiologica. Questa
relazione, "in genere, non è casuale, e di conseguenza ha già un carattere
strutturale in quanto le diverse motivazioni che servono a designare lo stesso
referente debbono avere una relazione strutturale e non casuale con la

123Ibidem.
124Ibidem.

67
rappresentazione concettuale del referente stesso ... Tuttavia per poter parlare di
struttura onomasiologica in senso stretto occorre che tale relazione
onomasiologica ricorra più volte, e quindi coinvolga non singoli referenti e
singole motivazioni, ma classi di referenti e classi di motivazioni"125. Solo la
ricorrenza di tale associazione ci permette di parlare di una struttura che collega
animali, parenti, esseri magici religiosi cristiani ed esseri magici religiosi pagani.
Essa va intesa come una relazione d'identità vera e propria perché i termini che la
interessano possono essere sia referenti che nomi personali. L'analisi di tali
strutture permette di osservare con chiarezza la direzione delle trasformazioni che
interessano i referenti in questione e di individuare una relazione ancora più
importante ai fini di questa ricerca: quella ideologica. Si può affermare, infatti,
che sono sempre le credenze e le concezioni del mondo a determinare
l'affermazione di una relazione d'identità. Di conseguenza il fine della ricerca dei
collegamenti onomasiologici è sempre la scoperta di associazioni di tipo
ideologico. Se nella struttura onomasiologica solo l'animale è inteso come
referente vero e proprio - mentre i nomi ad esso associato ci appaiono come
motivazioni - all'interno di una schema ideologico non esiste questa distinzione.
Lo studio dei rapporti diacronici, storico/evolutivi, permette di inquadrare la
relazione ideologica all'interno di una visione dinamica, in grado di spiegarne i
passaggi di conversione. Detto questo è utile ripetere che "la metodologia
linguistica dev'essere vista come un mezzo, come un procedimento euristico, e
non come il fine della ricerca. Il fine è la scoperta della relazione ideologica ...
dobbiamo partire dalle "cose" e non dalle "parole" anche se, in apparenza,
cominciamo con le parole e non con le cose"126. Spiegando in cosa consiste lo
spoglio semasiologico, cioè la ricerca e la rappresentazione schematica dei nomi
relativi alle quattro categorie di cui sopra, Alinei spiega che solo un'analisi di
questo tipo, in grado di partire da uno qualunque dei referenti, può individuare

125Alinei Mario, Dal totemismo al cristianesimo popolare, Sviluppi semantici nei dialetti italiani
ed europei, Alessandria, Edizioni dell'orso, 1984
126Ibidem.

68
con chiarezza quali oggetti linguistici rappresentano realmente un oggetto di
interesse. Per quello che riguarda i nomi da me individuati è necessario
specificare che, dato il campo d'indagine ristretto ad una sola parlata regionale, le
relazioni semasiologiche presentano spesso degli spazi vuoti. Questi però possono
essere facilmente colmati attraverso il confronto con altri spogli di questo genere.

Elenco 1. Semasiologia dei nomi magico/religiosi cristiani

A. Animali:

Maria: Coccinella,

Santa Lucia: Coccinella

Frate: Libellula

Sant'Antonio: Onisco

San Vincenzo: Regolo Cristato

San Giorgio: Baco da seta (?)

B.Piante:

Maria: Biondella centaurea minore

San Piero: Iperico, Fico,

San Giovanni: Iperico, Cipolla, Felce

69
San Giuseppe: Pervinca

San Rocco: Achillea

Prete: Valeriana officinalis

C.Funghi:

Frate: fungo del montefeltro di specie non precisata

Diavolo: Amanita Muscaria

Elenco 2. Semasiologia dei nomi magico/religiosi pagani

A. Piante :

Strega: Giusquiamo, Linaria

Drago: Dragoncello

Giove: Barba di Giove

B.Fenomeni atmosferici e naturali:

Folletto: Tromba d'aria

Elenco 3. Semasiologia degli zoonimi

70
A.Piante:

Serpente: Dragoncello, Gigaro

Elenco 4 . Semasiologia dei nomi parentelari

A.Animali:

Zio/Zia: Coccinella, Lumaca, Germano (?), Passero (?), Strillozzo (?), Cesena (?),
Beccamoschino

Nonno: Nonnato

B.Piante:

Zio: Giglio, Ginepro (?),

Ragazzuolo: Radicchio

C.Fenomeni atmosferici:

Zio: Lampo, baleno.

d).Miconimi:

Famiglia: Famigliole

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Riassumendo i risultati ottenuti possiamo notare cosa si è osservato.Partendo dai
nomi cristiani abbiamo ottenuto le seguenti categorie : i) animali ii) piante
iii)funghi.

Partendo dai nomi pagani le seguenti: i) piante ii) fenomeni atmosferici e naturali

Attraverso lo spoglio degli zoonimi abbiamo ottenuto: i) piante ii) parentele

I nomi di parentela hanno invece messo in mostra le categorie seguenti: i) animali


ii) piante iii) fenomeni atmosferici e naturali iiii) funghi.

Le quattro categorie ottenute (piante, animali, fenomeni atmosferici e naturali e


funghi), ci aiutano ad abbozzare parzialmente l'universo magico/religioso
preistorico al quale questi nomi si riferiscono. Se pensiamo ad esempio che il
nome relativo ad un essere religioso cristiano, Maria, può designare almeno un
animale e una pianta, senza contare le attestazioni di altre regioni, "questo
significa che l'orizzonte magico/religioso popolare di"127 questa figura "si estende
a tutti questi oggetti o classi di oggetti"128. L'aspetto più interessante è che da
qualunque punto di partenza ci si muova i risultati rimangono gli stessi. Il fatto
che le categorie ottenute rappresentino l'orizzonte magico/religioso della nostra
preistoria, il quale coincide con l'universo stesso (animali, piante, fenomeni
atmosferici, rapporti di parentela, funghi), è un'ulteriore prova della validità della
tesi del Donini129. Se proviamo a comparare i dati emersi tramite la nostra ricerca
con quelli presenti negli schemi che appiono nell'opera di Alinei possiamo
osservare come gli spazi vuoti di cui sopra si lascino facilmente colmare.
Applicando il metodo utilizzato da Alinei sono partito dallo spoglio semasiologico
delle quattro categorie che chiameremo primarie e ho ottenuto sette strutture
onomasiologiche. Molto interessante è il fatto che oltre alle quattro categorie di
partenza ( esseri cristiani, esseri pagani, animali e parentele) sono state

127Ibidem.
128Ibidem.
129Ibidem.

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evidenziate almeno tre categorie di significati comuni: piante, fenomeni
atmosferici e naturali, funghi. Osservando la tabella n° 1, all'interno della quale le
X designano le caselle piene e le / quelle vuote, possiamo notare come le piante
siano l'unico referente che intrattiene relazioni con tutte e quattro le categorie di
motivazioni. Dall'osservazione di questi spogli è facile desumere che, all'interno
di ognuno degli stadi di cui abbiamo parlato (totemico, antropomorfico pagano e
cristiano), siamo di fronte ad un identico sistema classificatorio. Simili sistemi di
classificazione, i quali sono stati più volte riscontrati durante l'osservazione di
contesti sociali "primimitivi", rappresentano per il nostro contesto europeo una
scoperta inattesa130. Mi sembra inoltre di vitale importanza sottolineare come le
categorie di referenti prodotte dal nostro spoglio non siano le uniche. Ulteriori
studi dialettali e comparazioni più ampie, che siano in grado di osservare un'area
geograficamente e diacronicamente più vasta, saranno con buona probabilità in
grado di produrre nuovi e insperati riscontri.

Tabella n°1

Referenti Esseri Esseri Animali Parentele


cristiani pagani

Esseri cristiani / X X /

Esseri pagani / / X /

Animali X / / X

Parentele / / X X

130Ibidem.

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Piante X X X X

Fenomeni atmosferici e naturali / X / X

Funghi X X / X

Come già detto sopra le piante sono l'unico referente che intrattiene rapporti con
tutte e quattro le categorie e che, quindi, rappresenta sicuramente uno dei punti di
maggiore interesse. In primo luogo perchè attraverso la comparazione e la
schematizzazione dei nomi che lo riguardano è possibile evidenziare l'insieme
delle relazioni onomasiologiche che risultano dallo spoglio - oltre alla direzione
evolutiva dell'orizzonte mentale in esso riflesso. In seconda istanza perché queste
attestazioni sono un'ulteriore conferma della probabile esistenza di culti totemici
vegetali legati a referenti appartenenti al mondo delle piante.

CAPITOLO QUARTO

Conclusioni

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Nei capitoli precedenti si è cercato di fornire uno spaccato del nostro folklore
tradizionale, tentando di mostrare come la permanenza di forme e tratti culturali
appartenenti ad un passato preistorico sia rintracciabile ancora oggi nel nostro
linguaggio. Il materiale linguistico da me preso in analisi rappresenta però
solamente una piccolissima porzione del vocabolario dialettale romagnolo. Resta
un compito molto arduo, per il parlante che non possegga la acapacità di
comunicare in dialetto, reperire termini appartenenti a questo tipo di linguaggio.
Oltre alla diffidenza che si può incontrare nell'approcciarsi a studi di questo
genere, bisogna anche tenere conto del fatto che il dialetto è un realtà linguistica
che sta lentamente sparendo. A poco valgono i tentativi, seppur encomiabili, di

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quanti cercano di redarre vocabolari dialettali più o meno completi poichè, come
abbiamo più volte ripetuto, il dialetto è una lingua instabile, soggetta a variazioni
morfologiche e fonetiche le quali si possono riscontrare a brevissima distanza tra
loro, e che resistono ad ogni tentativo di schematizzazione e classificazione. Lo
studioso che decide di inoltrarsi all'interno di un terreno di questo tipo non solo
rischia di perdere di vista l'obbiettivo che sta cercando di conseguire, sempre che
ve ne sia uno in particolare, ma rischia anche e sopratutto di perdere se stesso.
Quando si cerca di osservare, con uno sguardo scevro da pregiudizi, il fenomeno
dell'analogia universale dei soggetti folkloristici e linguistici ci si accorge ben
presto che "quest'analogia è assai più ampia e più profonda di quanto appaia ad
occhio nudo"131 ed è molto difficile non lasciarsi andare a conclusioni troppo
affrettate. Inoltre, anche se studi di questo genere esistono già da diverso tempo,
questo tipo di approccio è ancora nuovo e deve fare i conti con l'assenza di una
vera e propria epistemologia. Dobbiamo essere grati a tutte quelle opere che,
seppur appartenenti ad ambiti di studio non sempre propriamente filologici, ci
hanno saputo indicare un metodo comparativo che fosse in grado di rispondere
alle esigenze specifiche di una disciplina come la nostra. Penso sopratutto
all'opera più volte citata in cui Propp tenta di analizzare le fiabe e i racconti di fate
studiandone le analogie piuttosto che le differenze. Così anche l'opera di Donini,
che ci aiuta a comprendere la matrice pragmaticamente economica e sociologica
di tutta una serie di fenomeni altrimenti di difficile traduzione e interpretazione.

Quando tentiamo di muoverci all'interno di simili ricerche occorre non


dimenticare mai che le parole, le leggende e i miti sono collegati tra di loro in
maniera indissolubile. Mi sembra molto importante puntualizzare che "tutti i nomi
legati alle categorie del sacro, nomi di animali-demoni, nomi di piante dotate di
un qualche potere, hanno operato congiuntamente alla edificazione di una realtà
spirituale, e non dobbiamo soltanto descriverli nella loro semplice

131Propp Vladimir Ja., Le radici storiche dei racconti di fate, Editore Boringhieri, Torino, 1972

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giustapposizione in rapporto a una serie di credenze"132. Non possiamo sperare di
poter operare una semplice operazione deduttiva partendo da un elemento per
poter arrivare ad un altro. Non possiamo e non dobbiamo in alcun modo cercare di
appiattire o livellare il materiale che vogliamo analizzare anche se il lavoro si
rivelerebbe di gran lunga più facile. Non possiamo soprattutto lasciare che le
acquisizioni date per accertate dalla linguistica tradizionale divengano un dogma
incontrovertibile. Proprio per questo, soprattutto quando si analizzano le analogie,
occorre stare molto attenti affinché l'entusiasmo non inquini un proposito di tipo
scientifico. Occorre avere sempre a mente che la leggenda non è solo finzione,
così come il linguaggio non è solamente una forma mentale che proietta la sua
ombra sul mondo. Le difficoltà che affrontiamo quando tentiamo di ricostuire una
storia genetica delle credenze popolari sono innumerevoli. L'impossibilità di
reperire, nella maggior parte dei casi, stratigrafie precise relative alla trasmissione
culturale ci impedisce di comprendere come si intersecano e si sovrappongono la
cultura cosiddetta “dotta” e quella popolare. Questo mi sembra particolarmente
importante dato che stiamo parlando principalmente di leggende, termini e
tradizioni che provengono quasi sempre da una tradizione orale, impalpabile, non
scritta, un tradizione che è molto spesso del tutto popolare. Occorre inoltre
ricordare che quei nomi, quelle leggende e quelle credenze non sono un semplice
addobbo applicato alla realtà, ma sono, in tutto e per tutto, una rappresentazione
interpretativa del reale. Per questo siamo grati di prendere a prestito
dall'Etnografia e dall'Antropologia quell'approccio culturale scevro da pregiudizi
di tipo intellettuale. Non importa se una determinata credenza riflette un costume
preistorico che definiremmo barbaro o se una concezione legata alle
manifestazioni naturali è la diretta conseguenza di un'ignoranza di tecnico-
scientifica. Troppo a lungo simili pregiudizi hanno tenuto lontano gli studiosi che
si muovono in ambito linguistico da terreni di scavo ancora inesplorati e ricchi di
tesori. Penso inoltre che il lavoro svolto su simili materiali ci aiuti a riflettere sulla

132Beccaria Gian Luigi, I nomi del mondo, Santi, demoni, folletti e le parole perdute, Torino,
Giulio Einaudi editore, 1995, pp. 55.

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condizione in cui versa buona parte della moderna ricerca in ambito umanistico,
vincolata com'è dall'autoreferenzialismo di determinate mentalità disciplinari e
costellata da un numero imprecisato di materie che sembrano antiche rovine sulle
quali non si può fare a meno di arroccarsi. Ci aiuta soprattutto a riflettere sui
nostri limiti, quelli umani, e sul fatto che solo la collaborazione tra studiosi di
materie affini e non potrà guidarci verso una visione più realistica da un punto di
vista scientifico.

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