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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE

DIPARTIMENTO DI STUDI STORICI GEOGRAFICI ANTROPOLOGICI

STUDI E RICERCHE / 
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Comitato scientifico

Mario Belardinelli, Sofia Boesch, Alfredo Breccia, Francesca Cantù,


Vincenzo Cappelletti, Ilaria Luzzana Caraci, Giuliana Di Febo,
Fabio Fabbri, Maria Gemma Grillotti, Sergio La Salvia,
Roberto Morozzo della Rocca, Andrea Riccardi,
Francesco Paolo Rizzi, Roberto Rusconi, Pietro Stella

Segreteria di redazione
Marco Guarracino, Rossana Vandro

E-mail: redazione@uniroma.it
Tel. / –  – Fax /

I lavori vengono pubblicati in lingua originale

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possono rivolgersi direttamente a:
Carocci editore
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 Roma,
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Benedetta Calandra

La memoria ostinata
H.I.J.O.S., i figli dei desaparecidos argentini

Carocci editore
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Copia omaggio non destinata alla vendita

Il testo è disponibile sul sito Internet di Carocci editore

a edizione, dicembre 


© copyright  by
Carocci editore S.p.A., Roma

Realizzazione editoriale: Studioagostini, Roma

Finito di stampare nel dicembre 


dalla Litografia Varo (Pisa)

ISBN ---

Riproduzione vietata ai sensi di legge


(art.  della legge  aprile , n. )

Senza regolare autorizzazione,


è vietato riprodurre questo volume
anche parzialmente e con qualsiasi mezzo,
compresa la fotocopia, anche per uso interno
o didattico.
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Indice

Presentazione 
di Estela Barnes de Carlotto

Prefazione 
di Chiara Vangelista

Introduzione 

Fonti e metodologia 

. Irruzioni 

.. La nascita del movimento 


.. Gli anni Novanta come “irruzioni della memoria” 
.. L’eredità di madri e nonne 

. Identità 

.. H.I.J.O.S.: la struttura 


.. Frattura e ricostruzione: Identità 
.. Homenajes: il presente come storia 
.. L’anello mancante: memorie della desaparición 

. Dissonanze 

.. Padri e figli 


.. Memorie divise e conflittuali 
.. Giustizia: il percorso verso l’impunità 
.. Perdono individuale e riconciliazione nazionale 


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. Spazi 

.. “Se non c’è condanna legale ci sarà condanna sociale”:


escrache 
.. Oltreoceano: i figli dell’esilio 
.. “El corazón partido por la mitad”: le ripercussioni indi-
viduali 

Conclusioni 

Fonti e bibliografia 

Indice dei nomi 


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El miedo seca la boca, moja las manos y mutila.


El miedo de saber nos condena a la ignorancia.
El miedo de hacer nos reduce a la impotencia.
La dictadura militar, miedo de escuchar, miedo de decir,
nos convirtió en sordomudos.
Ahora la democracia, que tiene miedo de recordar,
nos inferma de amnesia.
Pero no se necesita ser Sigmund Freud para saber
que no hay alfombra que pueda ocultar
la basura de la memoria.
Eduardo Galeano, El libro de los abrazos
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Presentazione

Nell’ambito dell’interesse dedicato alla storia contemporanea del-


l’America Latina, e in particolare quella relativa ai paesi del Cono
Sud, è per me emozionante confrontarmi con l’iniziativa di questa
giovane donna italiana, centrata sullo studio delle nostre faccende
politiche, culturali e sociali, e sul loro vincolo con la questione dei
diritti umani.
Ho conosciuto Benedetta Calandra a Roma, nell’ambiente uni-
versitario, durante uno dei tanti viaggi che in qualità di abuela de
Plaza de Mayo ho realizzato in Italia: un paese che considero la mia
seconda patria, anche se solo una piccola parte del mio sangue pro-
viene da una bisnonna che fa di cognome Mazza.
L’autrice di La memoria ostinata possiede la sensibilità propria
della sua generazione, che costruisce e rafforza un legame di fra-
tellanza con l’America Latina, là dove tanti immigranti hanno fon-
dato i nostri giovani paesi.
Partecipe della drammatica storia recente di violazione dei di-
ritti umani, compiuta dalla dittatura militare (-) che assume
arbitrariamente il potere in Argentina, con il suo lavoro l’autrice
vuole sfidare l’oblio, a cui tutti noi esseri umani siamo portati, e ali-
mentare la memoria collettiva come forma di difesa e conservazio-
ne della dignità umana.
Nonostante la mia età (sono nata nel ) la storia del mio pae-
se scorre nitidamente nei miei ricordi come un film visto da una
poltrona in una sala cinematografica. Ma diverso è per il lasso di
tempo che va dal  al , quello della violenza esercitata dal
terrorismo di Stato. Il sequestro e l’omicidio di mia figlia Laura
Estela a causa della sua militanza studentesca e il rapimento, fino
a oggi, del suo piccolo Guido, hanno cambiato la mia vita radical-


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mente, proprio come è successo a centinaia di donne con le quali,


sfidando l’indifferenza, continuiamo a cercare ancora oggi verità e
giustizia.
Benedetta Calandra rappresenta in qualche modo la forza e la
convinzione dei . scomparsi per motivi politici che l’Argen-
tina porta come stimmate.
La sua determinazione di esprimere con questo testo la lotta di
un popolo per la propria libertà ci arricchisce e consegna la storia
veramente accaduta alle generazioni attuali e future, cosicché per
i giovani diventi prioritario non dimenticare e partecipare con for-
za al cambiamento. Solo questo permetterà loro di non essere le
prossime vittime di un sistema ingiusto, dove solo alcuni possie-
dono quel che è di tutti.

ESTELA BARNES DE CARLOTTO


Abuelas de Plaza de Mayo


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Prefazione

Nel fiume li gettarono.


Divenne la loro tomba inesistente.
Marcelo Brodski

Madri, nonne, figli. Nell’Argentina contemporanea le relazioni di


parentela si trasformano in segni di lotta politica; gli intrecci affet-
tivi primari si addensano attorno a un’assenza, di persone e di luo-
ghi: morti senza corpo, tombe inesistenti.
Madri, nonne, figli disegnano e difendono i confini della me-
moria in una società che, a livello nazionale e globale, tende alla ri-
mozione del ricordo, alla pacificazione senza l’elaborazione dei
conflitti, alla riconciliazione senza giustizia. Le madri, le nonne, i
figli, con associazioni nazionali e internazionali, e nonostante le di-
visioni interne, anche profonde, mantengono ostinatamente la me-
moria della generazione dei cittadini mancanti, i desaparecidos.
Una parte, se pure minoritaria, dell’attuale Argentina vive co-
sì in modo specifico e originale la dimensione nazionale di quel
processo di transizione dagli autoritarismi alle democrazie che,
con diacronie diverse, si è sviluppato in molti paesi dell’Occiden-
te durante la seconda metà del Novecento e che ha generato mec-
canismi multiformi di controllo politico e sociale della memoria e
dell’oblio.
Le madri, le nonne e i figli, in quanto attori sociali e al tempo
stesso icone di un’assenza, attingono alla tradizione latinoamerica-
na della politica simbolica, iniziata con i movimenti femminili e
femministi degli anni Settanta. Anche in questo diverso contesto,
l’appartenenza di genere ha svolto un ruolo determinante. La de-
nuncia dell’assenza, infatti, si è trasformata rapidamente in azione
politica proprio mediante il ricorso a un’asciutta retorica primor-
diale, che fa riferimento all’archetipo classico e cristiano della “ma-
dre dolorosa”: sono le madri – in seguito le nonne, ma con strate-
gie diverse – che per prime manifestano in piazza. Di fatto, il lutto


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negato e rifiutato, la denuncia delle migliaia di morti inconcluse,


sospese nell’oblio collettivo, si sono trasformati in azione politica
attraverso l’esclusione dei padri. La visibilità mediatica è stata co-
sì raggiunta grazie a un’artificiale separazione di genere del dolo-
re, rivendicata anche nella successiva costruzione della memoria
del gruppo.
Nel caso dei figli, la frattura di genere si ricompone, l’assenza
prende nuove forme e nuovi contenuti, nel dialogo faticosamente
costruito tra la generazione del futuro – giovani argentini alla ri-
cerca di una identità – e i genitori scomparsi.
Il libro di Benedetta Calandra si occupa di questo aspetto re-
cente dell’eredità di morte e di risentimento che una generazione
di militari argentini ha lasciato al proprio paese. L’analisi si con-
centra su di un’associazione di figli di desaparecidos, la Hijos por la
Identitad y la Justicia, contra el Olvido y el Silencio, il cui acronimo
– H.I.J.O.S. – ribadisce la continuità di intenti con le associazioni
delle Madri e delle Nonne, rimandando ai contenuti e alle azioni
della politica simbolica.
Non si tratta però di una semplice ripetizione di consolidate
strategie del ricordo: le madri, le nonne e questi figli – i figli del-
la H.I.J.O.S. –, pur avendo l’obiettivo comune di rivendicare la
memoria di una generazione assente, agiscono in modi e su pia-
ni diversi.
Scegliendo la difficile strada della storia del presente, l’autrice
raccoglie, costruisce e analizza con rigore un ampio insieme docu-
mentale. Opere di memorialistica e di narrativa, periodici, pièces
teatrali, documentari, film e altre fonti iconografiche, insieme alla
documentazione di organizzazioni non governative e a un’ampia
bibliografia, vengono ricomposti in un discorso interpretativo ba-
sato sull’analisi di interviste a schema aperto: undici figli di scom-
parsi e di sopravvissuti, incontrati a Roma, Parigi e Madrid, le ca-
pitali dell’esilio argentino, raccontano la loro storia.
Testimoni di giovane età, inusuali nelle ricerche di storia orale,
sono intervistati da una giovane storica. Non poteva essere diver-
samente. Per creare quel particolare rapporto interattivo capace di


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P R E FA Z I O N E

produrre fonti orali significative, nello spazio di confine tra diver-


se sensibilità disciplinari, la storica che interrogava, che ascoltava,
che indagava sul loro ancor breve vissuto non poteva essere ana-
graficamente coetanea alla generazione degli scomparsi.
Torna dunque ancora una volta il tema della generazione, ri-
corrente nelle interpretazioni storiche e sociali dell’Argentina, qua-
si una chiave interpretativa, che ha trovato, nella prima metà del se-
colo scorso, conferma e ispirazione nel pensiero di José Ortega y
Gasset (-). In un paese che, diversamente dal resto dell’A-
merica Latina, ha costruito la sua peculiarità nazionale sull’assenza
di lignaggi di antica data, la generazione come agente trasformato-
re del corso degli eventi ha assunto il ruolo di elemento esplicativo
non solo dei cambiamenti sociali, ma anche dei processi storici.
Se leggiamo il libro di Calandra in questa prospettiva, l’enfasi
sulle terminologie di parentela adottate dalle associazioni delle ma-
dri, delle nonne e dei figli, assume un significato che va oltre la con-
temporaneità. La frammentazione dei legami di parentela, che ren-
de ancora più visibile l’assenza di una generazione, sottolinea un
vuoto non solo nel presente, ma nella storia, contrapposto simbo-
licamente alla generazione precedente – delle madri/nonne, ma
anche dei carnefici – e a quella successiva.
La peculiarità del caso argentino offre così un nuovo apporto
cognitivo alle delicate relazioni tra storia e memoria, così bene ana-
lizzate da Benedetta Calandra, e ripercorse sino a risalire al nucleo
iniziale e imprescindibile della Shoah. L’apparizione dei figli nel
coro tragico attorno alle vittime del regime militare assume il ruo-
lo di ricomporre le singole solitudini degli orfani in una identità –
e in una rivendicazione – generazionale. In altre parole, la com-
parsa dei figli sottolinea l’inclusione dei desaparecidos e dei perse-
guitati nel corso della storia nazionale: dopo le diverse generazio-
ni dei fondatori e rifondatori dell’Argentina, viene delineata la ge-
nerazione dei cittadini mancanti, con la stessa carica esplicativa
delle precedenti, se pure segnata dall’assenza.
In effetti, le singole storie dei figli, analizzate in questo libro
per indagare memorie e identità complesse che si costruiscono e si


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trasformano nella società attuale, trascendono l’individualità (co-


munque importante, nell’impegno di ricordare i nomi, le vite dei
morti, le scelte dei sopravvissuti) per offrire materiale di riflessio-
ne sulle qualità di una nuova generazione, depositaria di un futu-
ro possibile.
È questo uno dei significati che si possono attribuire all’anali-
si puntuale, che Benedetta Calandra conduce, di un arduo per-
corso, che inizia con la Commissione di Identità – all’interno del-
la quale gli aderenti alla H.I.J.O.S. ricompongono “i frammenti di
una identità infranta” – sino ad arrivare all’organizzazione tran-
snazionale dell’associazione e all’individuazione di specifiche for-
me di denuncia, come l’escrache. L’indagine del presente pone
nuove questioni, relative al futuro di un paese, l’Argentina, ma an-
che di una società globale che sempre più spesso deve affrontare,
sotto diverse latitudini, il problema della riconciliazione e della
giustizia.
Le strategie e le azioni degli H.I.J.O.S., infatti, possono essere as-
similate a dinamiche politiche e sociali presenti anche in altre aree
del continente americano e del mondo; alla diffusione e al conso-
lidamento di una “politica dei testimoni”, che si prefigge lo scopo
di colmare i vuoti creati da incompiute e talvolta illusorie riconci-
liazioni nazionali, giungendo al limite della delegittimazione delle
istituzioni democratiche.
Una politica-testimonianza, insomma, che, in una prospettiva
globale, può persino attribuirsi un ruolo arbitrale, al di fuori e al
di sopra delle dinamiche politiche tradizionali, e sulla quale è im-
portante che si rivolga, tra gli altri, anche lo sguardo dello storico,
con la sua specifica capacità di analizzare insiemi documentali
compositi e di collocare le testimonianze del lutto, sociale e perso-
nale, nei processi di trasformazione dell’età contemporanea. Un
impegno che Benedetta Calandra assume con competenza e re-
sponsabilità; perché, per parafrasare Ricoeur, il ricordo è un do-
vere, ma anche un lavoro.

CHIARA VANGELISTA
Università degli Studi di Torino


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Introduzione

Il  marzo del  le forze armate argentine presero il potere. Per l’en-
nesima volta nel XX secolo. Pochi protestarono, nessuno si sorprese. In
fondo, gran parte dell’America Latina era sotto il tallone militare e la vio-
lenza politica che lacerava il paese rendeva il golpe prevedibile. Per mol-
ti, addirittura auspicabile. Si aprì allora il cosiddetto Proceso de reorgani-
zación nacional e con esso la guerra sporca che avrebbe imposto al lin-
guaggio universale un nuovo, lugubre termine: desaparecido.

La presenza di uomini forti e governi autoritari sono tratti ricor-


renti nella storia contemporanea argentina. Se già il caudillo Juan
Manuel Rosas, paradigma del primo periodo repubblicano, go-
verna con pugno di ferro dal  al , colpi di Stato e giunte mi-
litari caratterizzano ripetutamente il percorso di questo paese nel-
l’arco del XX secolo. Nel  il generale Uriburu rovescia il go-
verno del radicale Yrigoyen, mettendo fine a una fase di relativa
stabilità politico-istituzionale. Altri due interventi delle forze ar-
mate, rispettivamente nel  e nel , determinano l’ascesa e la
caduta del carismatico leader che segna in profondità, prima con
la sua presenza diretta, poi attraverso i retaggi dell’immaginario
collettivo, tutta la seconda metà del Novecento: il populista Juan
Domingo Perón.
Anche i primi anni Sessanta sono caratterizzati da golpes, in
particolare quelli del  e del , quando il generale Onganía
depone il leader radicale Illia. È in questa fase che si delinea una
serie di dinamiche repressive che per molti versi anticipano la vio-
lenza della dittatura degli anni -, costituendone la matrice
profonda. Durante il regime del generale Onganía, infatti, la Dot-
trina della sicurezza nazionale – elaborata all’inizio della guerra
fredda nei centri di addestramento dei quadri militari latinoameri-


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cani in regolare contatto con quelli statunitensi – inizia a essere


esplicitata nel discorso pubblico dei militari e con essa si consoli-
da un concetto dalle radici antiche, quello di “nemico interno”.
Sotto questo appellativo vengono compresi tutti coloro che si fan-
no portatori di “ideologie esotiche”, contrarie ai valori “cristiani e
occidentali”, prima tra tutte il marxismo. Contenere la minaccia di
un’espansione del socialismo nel continente, divenuta concreta
dopo la rivoluzione cubana del , assume priorità assoluta. I mi-
litari al potere presentano il proprio operato come una sorta di
missione salvifica, che prevede la sistematica espulsione dal “cor-
po sociale” del paese di qualsiasi forma di dissidenza. Attraverso
una retorica improntata a una concezione organicistica dello Sta-
to, si fa di frequente riferimento a «curare la nazione dal cancro so-
cialista», a «espellere il corpo estraneo», a «liberarsi di una peri-
colosa alterità». Per rimanere nel solco delle riflessioni di Frank
Graziano, si può parlare di uno spostamento ideale dei confini fi-
sici della guerra, «che da esterna diviene interna, da armata a ideo-
logica, e rivolta a un nemico che, in molti casi, assume connotati
immaginari più che reali». La missione dei militari si estende dun-
que oltre il compito che viene loro storicamente attribuito, pro-
teggere cioè i confini dello Stato dall’invasione esterna, per coinci-
dere da questo momento con la cosiddetta guerra sucia, la guerra
sporca che prevede la radicale e sistematica eliminazione di ogni
elemento di disturbo per il regime.
La repressione operata nel  dalla giunta militare del gene-
rale Jorge Rafael Videla, che subentra all’instabilità economica e
sociale del governo di “Isabelita” Perón – succeduta in carica al
marito dopo un breve periodo di governo seguito all’esilio in Spa-
gna – segue pertanto un modello in parte già consolidato. Basti
pensare, ad esempio, all’operato della famigerata Triple A (Alian-
za Anticomunista Argentina), costituita da squadroni paramilitari,
attiva già dal  sotto l’egida di José López Rega, ministro del
Bienestar social.
A partire dal  marzo del  la giunta dà inizio al Proceso de
reorganización nacional. I militari sciolgono il Congresso, bandi-


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INTRODUZIONE

scono l’attività di partiti e sindacati, impongono la censura pre-


ventiva su tutta la stampa, dichiarano priorità assolute la promo-
zione dello sviluppo economico, lo sradicamento della corruzione
e l’eliminazione degli “individui sovversivi”. Oltre agli esponen-
ti della dissidenza armata, afferenti a un ampio spettro politico che
comprende tanto movimenti di stampo trotzkista come l’ERP, Ejér-
cito Revolucionario del Pueblo, quanto l’eterogenea forza organiz-
zata dei Montoneros, non vengono risparmiati cittadini comuni –
e non sempre politicamente attivi – tra cui ebrei, cattolici, studen-
ti, intellettuali, artisti, operai, avvocati, giornalisti, professionisti di
ogni tipo, classe sociale ed estrazione culturale: il “nemico inter-
no” poteva essere chiunque.
La repressione organizzata su vasta scala come prodotto di una
sistematica pianificazione delle forze armate non è un fenomeno li-
mitato all’Argentina, bensì caratterizza il percorso di molti paesi
latinoamericani a partire dalla metà degli anni Sessanta del Nove-
cento. Si pensi al colpo di Stato in Brasile nel , in Cile e Uru-
guay nel , nel Salvador nel : una fase definita, secondo ca-
tegorie analitiche mutuate dalla politologia, come la “terza ondata
autoritaria” del secolo ventesimo, successiva agli esperimenti degli
anni Trenta e Cinquanta. La congiuntura latinoamericana sembra
dunque presentare una ideale, forse paradossale conferma di
quanto sostiene Norberto Bobbio a proposito delle diverse gene-
razioni di diritti, storicamente acquisiti e che non seguono, nella
loro affermazione, percorsi necessariamente lineari né progressi-
vi. In paesi che, sotto molti aspetti, sono considerati “vicini” alle
conquiste democratiche del mondo occidentale, per un’ampia fa-
scia della popolazione il diritto alla vita, all’integrità fisica e psi-
chica, alla libertà di espressione e di associazione, sono in questo
momento quotidianamente minacciati.
La comunità internazionale utilizza per la prima volta in ma-
niera esplicita la formula “violazione dei diritti umani” riguardo al
contesto latinoamericano, tanto per il livello di progettazione ra-
zionale dell’eliminazione del dissenso, quanto per la portata quan-
titativa delle vittime, che varia, a seconda dei casi presi in esame,


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tra le migliaia e le decine di migliaia di individui. All’interno di


questo particolare contesto, diversi movimenti di familiari delle
vittime reagiscono con pubbliche azioni di protesta per denuncia-
re la tortura, gli omicidi, le famigerate scomparse forzate, le desa-
pariciones. Tra questi, una componente attiva e visibile è rappre-
sentata dai gruppi di donne: madri, mogli, sorelle e figlie degli
scomparsi.
Com’è facile intuire, il retaggio della violenza di Stato non si
esaurisce con il ritorno formale dei regimi democratici, proces-
so che, a partire dalla metà degli anni Ottanta del Novecento,
investe con ritmi e specificità proprie tutti i paesi del Cono Sud
latinoamericano: l’Argentina nel , l’Uruguay e il Brasile nel
, il Cile nel . Questioni complesse, che gravitano attor-
no a verità, memoria, giustizia, rimangono nodi insoluti nella
sfera pubblica latinoamericana. Afferma Gabriela Fried, specia-
lista nel campo della sociologia della memoria per il contesto
uruguaiano:

La fine dei regimi autoritari del XX secolo ha rivelato l’esistenza di un in-


sospettato pericolo: i sistematici tentativi dei regimi di transizione di con-
trollare ciò che la collettività deve ricordare o dimenticare. I governi po-
stautoritari, attraverso provvedimenti di Realpolitik cercano di ignorare,
cancellare, nascondere o trasformare le tracce del passato. A ogni modo,
dovunque i retaggi dell’autoritarismo hanno messo un veto sul passato
mantenere vivo il ricordo è divenuta una forma di contenzioso tra le vit-
time e gli oppositori.

Il caso argentino è in questo senso emblematico. Dopo una pri-


ma fase di processi esemplari ai militari incriminati per atti com-
messi durante il Proceso del -, in seguito alla transizione
alla democrazia si è consolidata una decisa tendenza verso l’im-
punità, supportata da un preciso apparato di leggi che ha pro-
gressivamente scagionato i colpevoli. Alcuni provvedimenti –
che l’attuale presidente, Nestor Kirchner, sta tentando di di-
chiarare incostituzionali – hanno fatto sì che, fino a oggi, la mag-
gioranza dei militari siano considerati liberi cittadini a tutti gli


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INTRODUZIONE

effetti, e anzi occupino in molti casi posizioni di prestigio all’in-


terno della società.
A partire dall’estate del  si è infatti aperta una reale possi-
bilità di giustizia, che vede, per il momento, una serie di passaggi
di carattere legislativo ancora in fase di evoluzione.
Non sorprende, dunque, come il contesto argentino degli an-
ni Ottanta e Novanta veda la compresenza, tanto nella sfera pub-
blica quanto in quella privata, di “politiche della memoria e del-
l’oblio”, intese come riconoscimento o rimozione delle violenze
del passato, che stimolano riflessioni teoriche sui diversi soggetti
coinvolti nel ricordo o, al contrario, nella cancellazione delle vec-
chie ferite. Il dibattito – di particolare rilevanza in tutti i contesti
che, emergendo da lunghi periodi di trauma collettivo, vivono og-
gi dinamiche di democratizzazione e ricomposizione identitaria
– viene alimentato dalla produzione di analisi centrate sui proces-
si di costruzione di significato di questi attori sociali, ed è a sua vol-
ta strettamente legato a quello sulla memoria collettiva. Un tema,
quest’ultimo, che vede il contributo di diversi approcci disciplina-
ri, non separati tra loro da rigidi confini. Com’è noto, lo studio del-
la memoria rappresenta un crocevia di interessi, identificato da Pa-
trick Hutton come «la quintessenza dell’interesse interdisciplina-
re, un tema sul quale nessun approccio può, di fatto, esercitare pre-
tese di esclusività». Gli studi su memoria e identità collettiva nel
Cono Sud latinoamericano raccolgono pertanto riflessioni da so-
ciologia, antropologia, storia, politologia e letteratura.
Nell’ambito delle riflessioni sui processi di transizione demo-
cratica nel Cono Sud (Cile, Argentina, Uruguay), questo saggio in-
tende privilegiare il caso dell’Argentina postautoritaria quale si-
gnificativa esperienza di trasmissione di memoria attraverso tre ge-
nerazioni di attivisti per i diritti umani: nonne, madri e figli delle
vittime del regime. Sono questi i protagonisti di una sorta di “la-
voro collettivo del lutto”, per riprendere l’espressione della stori-
ca francese Annette Wieviorka a proposito dell’emergere e del
consolidarsi della figura del testimone nella storia della Shoah: un
carico che, simbolicamente diviso lungo l’arco generazionale sopra


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descritto, risponde di fatto all’imperativo morale che Paul Ricoeur


definirebbe il “dovere” o la “responsabilità” della memoria.
Protagonista di questa storia è un’associazione di ragazzi, fi-
gli di scomparsi, assassinati o esiliati del regime, dal nome
H.I.J.O.S., acronimo di Hijos por la identidad y la justicia, contra el
olvido y el silencio (Figli per l’identità e la giustizia, contro l’oblio
e il silenzio).
La presenza dei figli, paradigma di “memorie incorporate”,
incarnate cioè nella fisicità di questi attori sociali, trova il suo sen-
so in un ideale percorso di continuità rispetto alle associazioni di
nonne e madri degli scomparsi, le Madri e Nonne di Plaza de
Mayo. Testimoni indiretti che intendono recuperare la drammati-
ca e recente storia nazionale, i figli argentini si fanno così portato-
ri di una “memoria ostinata” – con le parole del regista cileno Pa-
tricio Guzmán a cui si deve l’idea del titolo di questo volume – at-
tiva e persistente. Sergio Guelerman commenta così la particola-
rità della loro funzione sociale:

I fatti non assumono lo stesso significato per le persone; la memoria si


evoca – si assume – secondo modalità diverse. I discendenti si fanno ca-
rico del dovere della memoria; i sopravvissuti, dell’incubo. I sopravvis-
suti devono imparare a dimenticare per continuare a vivere; i discenden-
ti devono imparare a ricordare per continuare a vivere. […] Figura stra-
na, questa degli H.I.J.O.S.: né solamente discendenti, né puramente so-
pravvissuti. Sopravvivono ai loro genitori, essendo stati, al tempo stesso,
oggetto diretto del terrore. Sono il residuo della carneficina, la macchia
di sangue sul tappeto che la società non è riuscita a pulire. Caricano sul-
le proprie spalle il dovere del discendente e l’incubo del sopravvissuto.
Protagonisti involontari di due racconti complementari che riuniscono
nella loro essenza il valore della memoria e quello dell’oblio (devono di-
menticare per vivere, devono ricordare per vivere). Le persone coinvolte
nella dinamica di H.I.J.O.S. non sono solamente gli adulti: anche i loro coe-
tanei si vedono impediti a domandare una trasmissione che è stata loro
sistematicamente negata.

Dato l’inscindibile legame affettivo con la generazione dei padri,


il recupero del ricordo, di cui i figli si assumono il carico, si rive-


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INTRODUZIONE

la a volte contraddittorio, non privo di ambiguità e conflitti in-


terni. Il rapporto che i ragazzi hanno con la storia recente viene
infatti comprensibilmente mediato dalla loro memoria, intesa co-
me matrice di significati mai statici. H.I.J.O.S. rappresenta inoltre
un caso emblematico di memorie condivise, ma anche divise, da-
te le diverse eredità di cui si fanno portatori. Un coro a più voci,
che nelle dissonanze, ancor più che nelle assonanze, esprime tut-
ta la sua ricchezza.
Il lavoro è articolato in quattro capitoli. Nel primo, Irruzioni,
si intende delineare il contesto e l’insieme delle congiunture in cui
il movimento entra in scena. Attraverso una sintetica descrizione
del profilo dell’associazione, da una parte si fa riferimento agli ele-
menti di novità rispetto alle dinamiche attivate dai gruppi in dife-
sa dei diritti umani della generazione precedente, in particolare le
donne che, sottolineando in maniera originale la valenza “eversi-
va” della maternità, si sono rese per prime protagoniste della de-
nuncia. Dall’altra, si sottolineano invece gli aspetti di continuità,
le “eredità immateriali”, di cui i figli si fanno portatori consape-
voli. Il titolo di questa prima parte viene suggerito dalle riflessio-
ni di Alexander Wilde sulle irruptions of memory, le “irruzioni
della memoria”, «eventi pubblici che fanno breccia nella coscien-
za nazionale evocando associazioni con simboli, personaggi, idea-
li legati a un passato politico che è ancora presente nel vissuto di
gran parte della popolazione», sempre più ricorrenti nei paesi
del Cono Sud di recente coinvolti in processi di transizione alla
democrazia. “Irruzioni” si riferisce dunque sia a un momento in
cui diverse coincidenze risvegliano l’attenzione dell’opinione
pubblica sulla questione della violenza di Stato durante la ditta-
tura, sia al carattere di novità, all’elemento di rottura, prodotto
dalla presenza dei figli nel panorama di associazioni di familiari
delle vittime.
Con la seconda parte si entra più direttamente nel merito dei
criteri, dei valori, delle strategie sottese al funzionamento delle di-
verse commissioni di H.I.J.O.S. Il capitolo Identità prende il nome
dal primo gruppo di lavoro in cui, in un percorso immaginario di


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

partecipazione nell’associazione, si verrebbe idealmente accolti.


Allude, da un lato, al processo di ricostruzione di memorie e per-
cezioni individuali dei giovani partecipanti, tessere di un mosaico
che, in molti casi, viene parzialmente ricomposto dal confronto
con gli altri membri. Dall’altro, il termine identità evoca un retag-
gio particolarmente inquietante della dittatura, i figli dei prigio-
nieri politici adottati illegalmente sotto falso nome dai militari,
che, in alcuni casi, sono stati riconosciuti dall’associazione delle
Nonne di Plaza de Mayo, e sul cui destino rimane aperta la com-
plessa e delicata questione dell’eventuale restituzione alle famiglie
d’origine. Un ultimo spazio di riflessione di questa parte verte in-
fine sulla presenza-assenza di una delle categorie di vittime che
rappresenta la quintessenza delle politiche repressive della ditta-
tura: i desaparecidos. Questa “generazione di cittadini mancanti”,
come li definisce Alyson Brysk, implica molteplici forme di rap-
presentazioni e di rielaborazioni, tanto a livello politico-istituzio-
nale quanto a livello individuale e simbolico.
Il titolo del terzo capitolo, Dissonanze, rimanda a molteplici
elementi di conflitto. Da una prospettiva interna al gruppo, ci ri-
porta alla complessità dei rapporti tra la generazione dei padri e
quella dei figli, caratteristica ricorrente nelle rappresentazioni col-
lettive di H.I.J.O.S., e alle “memorie divise” dell’associazione, in
parte rispondenti alle diverse eredità ricevute dai genitori e inte-
riorizzate come proprie. All’interno di un quadro di riferimento
più generale, invece, cioè il contesto nazionale in cui i figli argen-
tini si muovono, il richiamo a un suono disarmonico è legato alla
conflittualità e all’ambiguità inerente al processo di “riconcilia-
zione nazionale” proposto dalle presidenze Alfonsín (-) e
Menem (-). Una dimensione, questa, strettamente in-
trecciata alle dinamiche dell’impunità che, almeno fino alla presi-
denza Kirchner del , hanno in molti casi rafforzato le barrie-
re tra vittime e carnefici.
Anche gli “spazi” menzionati nel quarto capitolo racchiudo-
no una molteplicità di significati. Da una parte, attraverso la de-
scrizione degli escraches (manifestazioni diffamatorie di fronte al-


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INTRODUZIONE

le case dei responsabili delle violazioni dei diritti umani), si vuo-


le riflettere su come i figli occupino in maniera nuova e origina-
le lo spazio urbano, in un momento in cui l’Argentina è chiama-
ta a riflettere sul senso dei luoghi e sulla costruzione di lieux de
mémoire. Nell’ambito dello spazio pubblico inteso in senso lato,
invece, si vede come questo viene usato dalla generazione dei fi-
gli attraverso, ad esempio, l’attività di testimonianza nelle scuo-
le. Altro tipo di spazio – su cui vengono elaborate le considera-
zioni finali del lavoro – è quello geografico dell’esilio argentino,
appartenente allo stesso tempo al vissuto dei singoli. Emerge in
quest’ultima parte la memoria della fuga dal paese, talvolta spe-
rimentata direttamente, talvolta ereditata dai genitori. La memo-
ria dell’esilio è certo parte di un processo collettivo e politico, ma
a sua volta può anche essere intesa come spazio dell’anima, luo-
go di rielaborazione del sentire dell’individuo: l’ultima tessera di
un mosaico identitario di cui l’associazione H.I.J.O.S. rappresenta
soltanto uno spaccato.

Fonti e metodologia

Lo studio del rapporto dei figli argentini col recente passato na-
zionale implica dinamiche piuttosto complesse, che rispecchiano
in parte anche la difficoltà – vista in termini generali – di produr-
re analisi storica di “eventi caldi”, nella doppia accezione di trau-
matici e recenti. Nell’esaminare processi violenti e inseriti in una
prospettiva temporale relativamente vicina a noi, come la dittatu-
ra argentina del -, è possibile accennare a una serie di limiti,
e al tempo stesso di sfide, che la ricerca storica può incontrare lun-
go il suo percorso. Le sue categorie interpretative rischiano infatti
di rimanere mute o inadeguate a esprimere tali realtà.
Un primo grosso nodo inerente a questa ricerca verte dunque
sulla possibilità concreta di analizzare eventi “caldi” intesi come
recenti. La scarsa distanza cronologica di eventi e processi è, come
è noto, una questione affrontata da diversi studiosi, sia all’interno
di un confronto specifico con storici medievisti e modernisti, sia


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

nell’ambito degli stessi “storici della contemporaneità”. Come af-


ferma Giovanni De Luna,

le maggiori perplessità epistemologiche (l’assenza di una adeguata “di-


stanza cronologica” e i “falsi pregiudizi” che ne derivano) addensatesi sul-
la storia contemporanea scaturiscono proprio dalla sua stretta contiguità
con questo presente: da un lato, la mancanza del necessario distacco tra lo
storico e l’oggetto della sua analisi, dall’altro l’assenza di una prospettiva
sufficientemente solida, perché il processo storico è ancora in atto, non si
è ancora concluso, sono i due elementi tradizionalmente invocati da chi
giudica fallaci e inattendibili le sue ricerche e le sue conclusioni.

De Luna muove parte delle proprie riflessioni dalla definizione di


“storia immediata” o “storia del tempo presente” a partire dalle
provocazioni intellettuali lanciate da storici come Pierre Nora o
Jacques Le Goff sulla scia di quel profondo rinnovamento, tanto
sul piano metodologico che su quello contenutistico, proposto dal-
la scuola francese delle “Annales”. Dense di significato, a questo
proposito, le considerazioni proposte da Nora nel suo saggio de-
dicato alla complessità dell’“avvenimento”:

Se è vero che la storia comincia solo quando lo storico pone al passato, in


funzione del proprio presente, domande di cui i contemporanei non po-
tevano avere la minima idea, chi ci potrà dire – già oggi – quale inquie-
tudine si nasconde dietro questo bisogno di avvenimenti. […] Quale av-
venimento fondamentale della nostra civiltà esprime la costruzione di
questo vasto sistema di avvenimenti che costituisce l’attualità? È a causa
dell’incapacità di dominare l’avvenimento contemporaneo, di cui non si
conoscono le “conseguenze”, che i positivisti, per fondare una scienza
della storia, condannavano il presente a una debolezza di principio. Og-
gi che l’intera storiografia ha conquistato la sua modernità cancellando
l’avvenimento, negandone l’importanza e dissolvendolo, l’avvenimento
ritorna e con esso forse la stessa possibilità di una storia propriamente
contemporanea.

È importante sottolineare, allora, come per attribuire senso ai


processi analizzati si è vista la necessità di fare ricorso a una mol-


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 27

INTRODUZIONE

teplicità di strumenti, sia per quanto riguarda le fonti che le pro-


cedure d’indagine. Una dinamica, questa, che di fatto ha portato
a interrogarsi, seppur sommariamente, sulla possibilità per la me-
todologia storica di ampliarsi, flettersi, favorire osmosi con ap-
procci diversificati per cercare di gettar luce sull’opacità del rea-
le. A questo studio hanno contribuito tanto l’uso di fonti diversi-
ficate quanto i suggerimenti metodologici derivanti da discipline
“altre”, sia per la contestualizzazione dell’oggetto di studio, che
per l’individuazione di chiavi di lettura appropriate. Si propone
allora una breve riflessione che vede strettamente intrecciati il pia-
no della molteplicità delle fonti e quello delle indicazioni di me-
todo adottate.
Per ricostruire questo frammento di “storia del tempo pre-
sente” si è fatto ricorso, in parte, a documenti appartenenti agli
archivi privati o familiari dei ragazzi: corrispondenza personale,
resoconti delle singole commissioni di lavoro dell’associazione
H.I.J.O.S., relazioni delle assemblee plenarie, certificati di bilan-
cio e gestione finanziaria, rassegne e comunicati stampa com-
mentati dai membri. Altre fonti sulle attività dei movimenti per
i diritti umani nel Cono Sud provengono dall’archivio del Segre-
tariato Internazionale di Amnesty International a Londra, pres-
so l’Americas Program (AMR), nella specifica sezione Chile and Ar-
gentina . Luogo ricco di informazioni si è rivelato inoltre l’ar-
chivio dell’ufficio Human Rights Defenders, “Difensori dei dirit-
ti umani”, anch’esso afferente all’Americas Program: un gruppo
di lavoro centrato sulla protezione e la difesa di attivisti che tal-
volta vedono la loro incolumità personale minacciata, tra i quali
gruppi di figli, dal Guatemala fino alla punta estrema del Cono
Sud latinoamericano.
Tra le fonti a stampa, la rivista a periodicità variabile “H.I.J.O.S.”
ha fornito la maggior parte delle informazioni dirette sulla perce-
zione e rielaborazione della storia nazionale recente da parte dei fi-
gli, e sui nessi che questi ultimi stabiliscono con gli avvenimenti del-
la cronaca. Articoli tratti da quotidiani e settimanali a tiratura loca-
le e nazionale, come “El Clarín”, “Página ”, “Brecha”, “El litoral”,


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 28

L A M E M O R I A O S T I N ATA

“El Nacional”, o da riviste come “Resumen”, “Puentes”, e “SIC”,


hanno inoltre fornito diversi elementi di contesto sul clima politico
e culturale dell’Argentina degli anni Novanta.
Informazioni utili a cogliere il senso complessivo di un decen-
nio così denso per la storia argentina del periodo postautoritario
provengono inoltre da materiale audiovisivo – in parte realizzato
direttamente da membri dell’associazione H.I.J.O.S. – e da film, mo-
stre fotografiche e rappresentazioni teatrali realizzate in Italia sui
desaparecidos. Oltre alle suggestioni derivanti da film ormai piut-
tosto noti al pubblico italiano, come La notte delle matite spezzate
di Héctor Olivera, La storia ufficiale di Luis Puenzo, Garage Olim-
po, o H.I.J.O.S., di Marco Bechis, si vuole segnalare che un momen-
to importante di sintesi e di riflessione sulla recente produzione ar-
gentina nel nostro paese si è verificato durante I giorni del Condor.
Videofestival sui diritti umani in America Latina, tenutosi a Milano
dal  maggio al  giugno  grazie alla collaborazione di diversi
organismi non governativi e centri studio italiani. Nel corso del
 e  sono state inoltre presentate in Italia la mostra foto-
grafica Archeologia dell’assenza. H.I.J.O.S., figli dei desaparecidos ar-
gentini, realizzata da Lucila Quieto, che ha costruito montaggi di
fotografie dei padri desaparecidos con immagini recenti dei figli, e
Buena memoria, di Marcelo Brodski, dedicata alle giovani vittime
del Colegio nacional de Buenos Aires, noto liceo della capitale ar-
gentina.
Nell’ordine di riflessioni problematiche che necessariamente
accompagnano l’analisi di eventi e processi “caldi”, questa volta
intesi nel senso di violenti e traumatici, si può far cenno anche al
ruolo delle fonti letterarie e paraletterarie che, nell’ambito di que-
sta ricerca, hanno talvolta suggerito chiavi di lettura, contribuen-
do a dare senso e costruire nessi laddove alla storia questi sembra-
no negati, o quanto meno temporaneamente incomprensibili o in-
decifrabili. Forse proprio perché, come afferma De Luna, l’ap-
proccio letterario «sa cogliere e risolvere più intuitivamente quel-
lo che altre elaborazioni di pensiero sono più lente a metabolizza-
re e a formulare compiutamente».


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 29

INTRODUZIONE

Questo tipo di fonti, comprendenti la memorialistica, la nar-


rativa, l’inchiesta giornalistica, hanno aiutato a cogliere il signi-
ficato e fornire una prima elaborazione dei processi in questione.
Storici come Maria Ferretti, ad esempio, nel suo studio sulla me-
moria collettiva degli orrori dello stalinismo nella Russia contem-
poranea, sostengono che si può ricorrere alla letteratura laddove
la storia è carente, sottoposta a censura, o “semplicemente” inca-
pace di fornire interpretazioni, modelli o descrizioni esaustive
della realtà. Il romanzo, il racconto, l’autobiografia, in altri termi-
ni, tentano di riempire i vuoti lasciati dalle rappresentazioni sto-
riografiche:

Nel momento in cui gli storici restano silenziosi e si ammette ufficial-


mente che non esistono studi capaci di rispondere alle questioni più in-
quietanti […] è la letteratura ad assumersi il compito di ricostituire il pas-
sato, a farsi memoria. […] Spiega Natalija Ivanova: «Se in questi ultimi
decenni la scienza storica non ha potuto dare alla società la possibilità di
capire se stessa e il suo passato, se fino a oggi quasi non si pubblicano do-
cumenti, se fino a oggi c’è una fame acutissima di lavori di ricerca sulla
storia obiettiva del Partito, dello Stato, se fino a oggi si tengono sotto
chiave gli archivi della guerra civile, i dati sulla collettivizzazione, sui la-
ger, sulle prigioni e le deportazioni, se fino a oggi il popolo non conosce
nemmeno le cifre dei morti negli anni del terrore, allora la letteratura è
costretta ad assumersi la funzione extraletteraria di ricerca e autoco-
scienza storica».

È questa anche l’ipotesi centrale di Fernando Reati, che analizza il


corpus di produzione letteraria elaborata in Argentina tra il  e
il , proponendo come nucleo centrale di riflessione proprio la
difficoltà di nombrar lo innombrable, “nominare l’innominabile”.
Ci si chiede dunque com’è possibile rappresentare la violenza,
esprimere l’orrore e il dolore, narrare esperienze che esulano dagli
archetipi tradizionali del vissuto umano, come la desaparición, la
tortura e i campi di detenzione clandestina. La stessa arte mimeti-
ca, si sostiene, si trova in difficoltà, e dunque la finzione intervie-
ne laddove la realtà non rientra più in categorie interpretative ra-


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 30

L A M E M O R I A O S T I N ATA

zionali o lineari, ma è dominata anzi dal parossismo: non è un ca-


so, infatti, che nei primi anni Ottanta del Novecento il tema del-
l’irrazionale, della schizofrenia, del doppio, dominano il panorama
della produzione artistica a Buenos Aires.
Alla luce di queste riflessioni si comprende allora come una ri-
cerca sulla memoria della violenza della dittatura attraverso le di-
verse generazioni, per la quale la storia contemporanea è discipli-
na di riferimento essenziale, incontri potenziali difficoltà non solo
per ragioni di carattere pratico, legate al reperimento delle fonti
(l’assenza o carenza di prove documentarie).
Da una parte infatti, è indubbio che il cosiddetto Proceso de
reorganización nacional operato dai militari argentini negli anni
- ha implicato, soprattutto nei primi anni del regime, la
censura, la disinformazione o la mistificazione degli avvenimen-
ti. Nonché, per definizione, la sistematica assenza di cataloga-
zione e ordinamento di documenti d’archivio che potessero in
qualche modo testimoniare le dinamiche con cui operava la re-
pressione politica. Nel caso dei campi di detenzione clandesti-
na, ad esempio, i casi di ritrovamento dei cosiddetti “archivi del
terrore” sono ancora molto recenti e in via di catalogazione,
dunque non sempre di agevole accesso. Dall’altra, vale sottoli-
neare un problema di comprensione, e ancor più di espressione,
della sfera della violenza politica. È in questo caso che l’uso di
fonti e metodi diversificati, ad esempio afferenti alle discipline
letterarie, costituisce un potenziale strumento per favorire que-
sto processo. La letteratura s’insinua “nelle frammentarie zone
opache” della storia, consentendo così una parziale approssi-
mazione alla complessità del reale. Queste considerazioni ri-
sultano ad esempio particolarmente pertinenti quando si tenta
di «raccogliere in un solo fascio significati sparsi», per ripren-
dere le parole di Pierre Nora, di dare senso e nessi alla memoria
della violenza nella specifica accezione della desaparición, ricor-
rente nelle testimonianze e nel vissuto di alcuni figli argentini e
filtrata attraverso il ricordo dei padri, come emerge nel secondo
capitolo, Identità.


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INTRODUZIONE

Memorie e testimonianze hanno giocato un ruolo importante


per ricostruire gli eventi e i processi in questione, nonché i percorsi
biografici individuali e collettivi dei protagonisti dei movimenti ar-
mati dei primi anni Settanta. Allo stesso modo, queste fonti si ri-
velano utili anche per comprendere le molteplici sfumature del
processo dell’esilio, inteso non solo come dimensione esistenziale
e privata, ma anche come tassello mancante di un dibattito com-
plessivo sul percorso nazionale argentino, che vede in questo stes-
so periodo la radicalizzazione di movimenti politici e viene per-
tanto naturalmente associato all’origine dell’orrore.
Sulla base di queste riflessioni è bene fornire inoltre alcune
precisazioni sull’uso delle testimonianze orali, strumento privile-
giato in questa ricerca per coniugare al plurale memorie e iden-
tità complesse. Oggetto di questo studio è infatti il vissuto e la
soggettività dei diretti protagonisti, i figli degli scomparsi, e la lo-
ro percezione della recente storia argentina ne costituisce un
aspetto essenziale.
Nel prendere in esame queste fonti sono emersi diversi nodi
problematici, come ad esempio i meccanismi di trasmissione in-
tergenerazionale di memorie postraumatiche. Il binomio memo-
ria-violenza ricorre infatti nelle modalità con cui esperienze limite
vissute dai genitori (come la detenzione clandestina o la scompar-
sa forzata) vengono elaborate e successivamente tramandate,
“consegnate” ai figli. Il senso di tale operazione si coglie allora al-
l’interno di una riflessione più complessiva sui modi in cui le ge-
nerazioni più giovani interiorizzano, e successivamente esprimo-
no, la memoria della repressione.
Fonte privilegiata è dunque la testimonianza individuale. Sul-
la base di diverse considerazioni di carattere teorico e metodolo-
gico sulle fonti orali maturate nel corso del seminario Tra storia e
memoria: i diritti umani in America Latina, nato all’interno del-
l’insegnamento di Storia dell’America Latina dell’Università Roma
Tre, nel corso del  e del  sono state realizzate quindici in-
terviste, di cui undici a ragazzi e quattro a persone adulte. Al pri-
mo gruppo appartengono i figli di assassinati o scomparsi (quat-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

tro), e di prigionieri politici sopravvissuti alla repressione ed esi-


liati (sette), di passaggio in Italia, o attualmente residenti nelle
capitali dell’esilio argentino in Europa, essenzialmente Parigi e
Madrid. Su richiesta di alcuni testimoni, i cognomi sono stati
omessi, mentre alcuni nomi sono stati sostituiti da pseudonimi.
Il secondo gruppo comprende invece persone relativamente
note, attualmente impegnate nel campo dei diritti umani in Ar-
gentina o all’estero, di cui viene riportato il nome per esteso. Il
giornalista Horacio Verbitsky, che con diverse inchieste ha contri-
buito a tener viva l’attenzione dell’opinione pubblica, in partico-
lare sul fenomeno delle desapariciones; Estela Carlotto e Matilde
Artés, rispettivamente presidente ed esponente dell’associazione
delle Nonne di Plaza de Mayo; Julio Santucho, ex rappresentante
per l’estero di gruppi di esiliati dell’Ejército Revolucionario del
Pueblo (ERP), e parte di una organizzazione non governativa che
oggi si dedica alla produzione di video e documentari sui diritti
umani nel Cono Sud.
Le testimonianze si sono configurate attraverso il metodo del-
l’intervista a schema aperto, con un andamento libero della narra-
zione, stimolato da domande che, soprattutto all’inizio, seguivano
cronologicamente la vita del testimone. Nel caso dei ragazzi, i vis-
suti che ne emergono sono frutto di un intreccio costante. Da una
parte il ricordo del percorso biografico del genitore, scandito da
momenti topici come l’inizio della militanza politica, la prigionia,
l’eventuale scomparsa, e, per chi ne fosse stato coinvolto, l’esilio e
il rientro in Argentina. Dall’altra la narrazione del proprio percor-
so individuale, che rievoca la percezione della violenza durante
l’infanzia, l’incontro con l’associazione H.I.J.O.S., le dinamiche che
si sono sviluppate al suo interno, il significato attuale della parte-
cipazione al gruppo, i progetti e le aspettative per il futuro.
Le interviste non hanno seguito questionari prestabiliti, né so-
no state eccessivamente strutturate in precedenza, sulla base di
ipotesi precise e definite in attesa di verifica. S’intendeva piuttosto
“riscattare” la soggettività individuale dei testimoni e le loro mo-
dalità di rappresentazione del passato recente.


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 33

INTRODUZIONE

L’antropologo Pietro Clemente ci rammenta come l’analisi del-


la testimonianza biografica si collochi idealmente in una sorta di
territorio di frontiera tra antropologia, etnologia, sociologia, sto-
ria, linguistica:

La testimonianza è legata essenzialmente al lavorio dell’esistenza indivi-


duale e alla pratica del linguaggio esercitata nell’uso funzionale della co-
municazione, e anche nell’uso narrativo di questa. La “forma” lingua par-
lata che ci troviamo di fronte (e che può certamente avere differenze as-
sai profonde tra un testimone e l’altro, tra un uomo e una donna, tra clas-
si di età, anche a seconda del grado di competenza narrativa che si pos-
siede) è insieme un prodotto narrativo, linguistico, dialettologico, stori-
co e antropologico. Ed è rilevante che questi aspetti si intreccino come in
un territorio di confine, e, ad esempio, l’antropologo non possa capire ap-
pieno la testimonianza biografica senza apprezzarne gli aspetti narrativi
ed estetici. Il ricordo raccontato della vita innesca insieme il valore antro-
pologico e quello narrativo, e sebbene essi siano separabili per diverse fi-
nalità conoscitive, restano connessi nel testo, raccontato con quella co-
mune valenza elementarmente umana per cui il ricordare ha “gusto”,
“colore”, “sapore”.

Tuttavia, anche se si prende atto di una necessaria elasticità tra


confini disciplinari che la testimonianza individuale in un certo
senso ci impone, vale accennare alle specificità con cui questa fon-
te viene utilizzata in storia contemporanea. La memoria della vio-
lenza è stata coniugata al singolare e la narrazione è stata essen-
zialmente funzionale alla valorizzazione del vissuto degli individui,
piuttosto che alla ricerca di modelli astratti o generalizzanti, come
a volte si verifica nell’ambito delle scienze sociali.
Un altro nodo emerso nel corso della decodificazione di que-
ste fonti, la percezione della categoria della temporalità, ha richie-
sto inoltre una particolare flessibilità. Il filo della narrazione se-
guito dai testimoni, infatti, sembrava costantemente rimettere in
gioco la percezione di un tempo lineare, stimolando di fatto una
costante attenzione sull’intreccio tra «i cicli della vita individuale
e la temporalità esterna, tra scadenze precise e progressività linea-
ri». Come suggerisce lo storico Maurizio Gribaudi,


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 34

L A M E M O R I A O S T I N ATA

la struttura del racconto autobiografico non è casuale: la selezione e l’in-


serimento dei momenti di vita insieme alla forma con cui vengono narra-
ti è sempre dettata da modelli narrativi a cui ciascun individuo fa riferi-
mento e che portano impressi i caratteri e le scelte culturali del gruppo di
provenienza. Da un lato traspaiono specificità culturali attraverso la sin-
tesi stessa del racconto. Dall’altro, l’andamento narrativo, i silenzi e le di-
latazioni si spiegano solamente a partire dall’esigenza di rispettare al mas-
simo, attraverso le forme del racconto, le gerarchie di rilevanze espresse
dal singolo o dal gruppo.

In questa molteplicità di tempi emerge di frequente una sorta di


sfida a discernere il dato storico da quello più intimo e privato, l’a-
spetto narrativo da quello più strettamente informativo e conosci-
tivo, il “dato” e il “fatto” rispetto alla percezione soggettiva.
La sola trascrizione della testimonianza non può certamente
rendere la complessità e le molteplici sfumature presenti nel mo-
mento dell’inter-vista, intesa letteralmente, con le parole di Ales-
sandro Portelli, come incontro di sguardi, come scambio dialogi-
co e privato tra ricercatore e fonte orale. Tuttavia, nell’impossi-
bilità di riprodurre il documento sonoro, si è deciso di introdurre
nel testo i passaggi più rilevanti per dare sostegno a parte delle ri-
flessioni presenti nella ricerca.
Le citazioni riportate, nella maggior parte dei casi, sono frut-
to di traduzioni dalla lingua spagnola. Fanno eccezione i figli di
esiliati in Italia (Julián C., Nicolás M., Natalia L., Matilde K.),
con i quali la conversazione si è svolta in una continua altalena
tra la lingua italiana e quella spagnola, specchio dei loro due uni-
versi di appartenenza. Le trascrizioni dei documenti sonori han-
no seguito a grandi linee le indicazioni metodologiche suggerite
da storici oralisti come Giovanni Contini e Alfredo Martini. I
brani provengono essenzialmente da testi “normalizzati” dal-
l’autore, ovvero corredati talvolta di osservazioni aggiuntive al-
l’interno di parentesi quadre; in alcuni casi si è intervenuto an-
che con modifiche grammaticali, sintattiche o lessicali rispetto al-
la versione originaria, per facilitare la lettura. Con il segno […]
si indicano le omissioni di parti della narrazione, perché non spe-


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INTRODUZIONE

cificamente pertinenti alle problematiche analizzate, o su richie-


sta del testimone stesso; il grassetto è stato invece utilizzato, se-
condo una modalità piuttosto diffusa, per sottolineare l’enfasi
nella voce dei testimoni.
Un’ultima riflessione sul lavoro svolto riguarda gli studi con-
sultati. Le biblioteche e i centri studio più frequentati a questo fi-
ne sono stati l’Institute of Latin American Studies (ILAS) dell’Uni-
versità di Londra, la Library of Congress di Washington e la bi-
blioteca dell’Instituto de Cooperación Iberoamericana (ICI) di Ma-
drid. In assenza di un dibattito storiografico maturo e articolato
sulle dinamiche generali della dittatura argentina, si è vista la ne-
cessità di esplorare le indicazioni presenti nella produzione criti-
ca esistente, essenzialmente centrata su studi politologici, socio-
logici e antropologici, elaborata in particolare dalla metà degli an-
ni Ottanta del Novecento. Solo per citare i lavori più noti, pen-
siamo alle analisi di Luis Roniger, Mario Sznajder o Alyson Brysk
a proposito della dimensione della cittadinanza, negata durante
l’autoritarismo, ricostruita e rielaborata nella fase di transizione
democratica. Elizabeth Jelin, studiosa di sociologia della me-
moria, ha fornito al dibattito latinoamericano un contributo si-
stematico. In una prima fase, attraverso una riflessione sul ruolo
svolto dai movimenti dei familiari degli scomparsi, in chiave di
denuncia e provocazione civile durante la dittatura, e di attivi
“custodi di memoria” dopo la transizione democratica. In un
momento successivo, Jelin si è fatta carico di una vasta opera di
raccolta e sistematizzazione di studi, raccolti nella collana Me-
morias de la represión, all’interno della quale si ricordano ad
esempio analisi sulla costruzione dei “luoghi della memoria”,
centrati sul nesso tra utilizzazione dello spazio pubblico e co-
struzione di identità collettiva.
La lettura di testi dedicati alla memoria della Shoah, come le
memorie di Simon Wiesenthal o gli studi di Annette Wieviorka,
più volte presenti nel testo, come in filigrana, hanno permesso di
arricchire la riflessione su nodi di grande densità, sia di caratte-
re teorico che metodologico. Non ultimo è quello del binomio


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

memoria-violenza e della relazione tra il testimone e lo storico,


con tutte le tensioni e le contraddizioni implicite che si creano
nell’incontro tra un approccio scientifico da un lato, volto al di-
stacco dal proprio oggetto di studio e, dall’altro, la descrizione
emotiva e partecipe dell’orrore. Si chiede a questo proposito
Wieviorka:

Come fa lo storico a esprimere l’indignazione, o a descrivere l’orrore…


Usando il tono giusto? Come scrivere una storia che abbia il giusto gra-
do di distanziamento, ma che non impedisca allo stesso tempo di prova-
re empatia per le vittime, né orrore per un sistema complesso che ha pro-
dotto la morte di massa? Questa operazione in parte manda in frantumi
i criteri universalmente stabiliti della scrittura accademica della storia. In
questo senso, è il sintomo di un’attuale crisi della storia della nostra epo-
ca, che si manifesta innanzitutto nell’ambito del genocidio degli ebrei, ma
che tocca anche altri settori, come la storia del comunismo o quella della
Resistenza. La storia ideale – irrealizzabile, poiché sarebbe contempora-
neamente insopportabile e troppo lunga – consisterebbe nel resoconto
individuale di sei milioni di vittime.

Da contesti storici e geografici distanti, nello spazio o nel tempo,


provengono inoltre numerosi suggerimenti sul multiforme rap-
porto tra storia e memoria, in particolar modo sulle rappresenta-
zioni collettive, i ricordi, gli oblii e i silenzi dopo lunghi periodi
di repressione politica e di censura. Particolarmente ricco di
spunti, ad esempio, si è rivelato l’approccio teorico usato da Ma-
ria Ferretti nel suo saggio sulla memoria dello stalinismo duran-
te la prima fase della perestroika gorbacioviana. Vengono qui
esplicitate e distinte, in un contrappunto continuo, le esigenze e
le urgenze della storia e della memoria, a volte complementari, a
volte divergenti:

Questo libro non è una storia dello stalinismo: è una storia del modo in
cui è stato vissuto e rielaborato dalle rappresentazioni che ne sono emer-
se trent’anni dopo la morte del tiranno. Storia e memoria raramente coin-
cidono, perché, pur nutrendosi entrambe del passato, nascono da esi-
genze diverse. La memoria collettiva, situata al crocevia tra memoria in-


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 37

INTRODUZIONE

dividuale e memoria storica, è spesso il prodotto di un lavorìo sotterra-


neo dell’inconscio collettivo, che, come quello dei singoli, manipola i ri-
cordi per renderli accettabili o per autogiustificarsi. La storia vuole esse-
re, in misura minore o maggiore, una lettura “oggettiva” del passato, in
cui la soggettività dello storico, condizionato dall’ambiente ideologico
che lo circonda, è limitata all’interpretazione dei fatti, alla loro selezione.
Quando la tragedia dello stalinismo si è imposta sulla scena, era l’ora del-
la memoria, e non della storia. Gli storici sono rimasti ai margini del di-
battito sul passato in parte perché compromessi con la storia ufficiale, in
parte perché la fredda razionalità del discorso storico non era in grado di
esprimere l’emotività di cui la società aveva bisogno.

Numerosi sono i debiti di gratitudine con le persone che hanno re-


so possibile questa ricerca. Ringrazio tutti gli hijos che hanno di-
mostrato disponibilità ed entusiasmo nel fornire la loro testimo-
nianza: Lucía, Matilde, Julián, Nicolás, María Paula, Pablo, Nata-
lia, Susana, Francisco, Carla e Natalia, nonché Horacio Verbitsky,
Julio Santucho, Estela Carlotto e Matilde Artés, costantemente at-
tivi nel campo dei diritti umani in Argentina. Riconoscenza è anche
verso lo staff e i docenti dell’Institute of Latin American Studies di
Londra, in particolare Rachel Sieder e Maxine Molyneux, e verso
Gabriella Chiaramonti dell’Università di Padova. Un ringrazia-
mento particolare va alla costante guida scientifica e umana di Ma-
ria Rosaria Stabili e all’iniziativa di Alfredo Breccia e tutto il Di-
partimento di Studi Storici Geografici Antropologici dell’Univer-
sità Roma Tre, grazie ai quali è stato possibile proseguire il percor-
so di studio una volta rientrata in Italia. Nell’autunno del  si è
creato un utile spazio di riflessione nell’ambito di un seminario su
memoria e diritti umani presso l’Università di Milano, organizzato
su iniziativa dei colleghi e amici del LARAL (Laboratorio di Ricerca
sull’America Latina), in seguito all’invito di Daniele Pompejano.
Allo stesso modo, le iniziative riguardo a Nonne e Madri di
Plaza de Mayo svoltesi all’interno del corso multidisciplinare uni-
versitario del comitato UNICEF Italia, grazie alla disponibilità di Su-
sanna Bucci e Silvia Antonini, hanno costituito un altro importan-
te momento di confronto.


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 38

L A M E M O R I A O S T I N ATA

Fondamentali sono stati i commenti critici di Maria Rosaria Sta-


bili, Sergio De Santis, Loris Zanatta, Alessandro Portelli e la pre-
ziosa revisione di Camilla Cattarulla e Chiara Vangelista sulla pri-
ma stesura del lavoro; si ringrazia inoltre di cuore Michela Fusaschi
per il sostegno nel corso del processo di pubblicazione, Silvia Sal-
vatici per i suggerimenti sulla versione finale del testo, Marina Fran-
co per la parte relativa alla memoria dell’esilio, Mercedes e Cateri-
na per l’ospitalità e il calore a Parigi e Madrid, nonché l’attenta let-
tura di Marco, Gaia, Annalisa, Eligio e l’insostituibile Carla.
Le ricerche presso l’Institute of Latin American Studies di
Londra si sono svolte nell’anno accademico -, durante
un corso di Master frequentato grazie a una borsa di studio di per-
fezionamento all’estero dell’Università di Padova. Per la raccolta
di testimonianze orali e la successiva stesura del lavoro si è invece
usufruito di un assegno di ricerca biennale del Dipartimento di
Studi Storici Geografici Antropologici dell’Università Roma Tre,
nel corso del quale si è partecipato attivamente al laboratorio me-
todologico sulle fonti orali afferente alla cattedra di Storia dell’A-
merica Latina, Tra storia e memoria: i diritti umani in America La-
tina. Una serie di riflessioni emerse in questo laboratorio sono sta-
te poi consolidate durante il corso estivo Oral History in Contem-
porary Contexts: Documenting Narratives of War, Conflict and Di-
splacement in the Era of Globalization dell’Oral History Research
Office della Columbia University di New York, grazie all’entusia-
smo e alla professionalità di Mary-Marshall Clark, Jessica Wie-
dehorn e Ronald Grele.
Si ringrazia inoltre Giovanni Mignoli e Pia T’Lam della SEG per
aver facilitato la riproduzione della foto di copertina, gentilmente
autorizzata dall’autrice, la fotografa argentina Lucila Quieto, e Jor-
ge Ithurburu per i consigli sulla traduzione della presentazione di
Estela Carlotto.

Note

. Cfr. L. Zanatta, Il prezzo della “nazione cattolica”. La Santa Sede e il colpo di Sta-
to argentino del  marzo , in “Ricerche di storia politica”, IV, , , p. .


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INTRODUZIONE

. Per quanto riguarda i lineamenti generali di storia contemporanea argentina,


cfr. i seguenti testi. In lingua spagnola: D. Rock, Argentina -. Desde la coloni-
zación española hasta Alfonsín, Alianza, Madrid ; A. Rouquié (comp.), Argentina
hoy, Siglo XXI, Ciudad de México ; L. A. Romero, Breve historia contemporánea
de la Argentina, Fondo de Cultura Económica, Buenos Aires ; Id., Argentina. Cró-
nica total del siglo XX, Aguilar, Buenos Aires ; C. Floria, C. García Belsunce, Hi-
storia política de la Argentina contemporánea -, Alianza, Madrid ; J. Corra-
di, The fitful Republic: Economy, Society and Politics in Argentina, Westview Press,
Boulder  (trad. it. Una repubblica in bilico. Economia, società e politica in Argenti-
na, Unicopli, Milano ). In lingua italiana si segnala inoltre F. Fiorani, I paesi del
Río de la Plata, Giunti, Firenze . Per saggi di approfondimento complessivo sulla
storia argentina del XX secolo all’interno di L. Bethell (ed.), The Cambridge History of
Latin America, Cambridge University Press, Cambridge , cfr. D. Rock, Argentina
from the First World War to the Revolution of , V, pp. -; Id., Argentina, -
, VIII, pp. -; J. C. Torre, L. De Riz, Argentina since , VIII, pp. -.
. Per un approfondimento delle dinamiche che caratterizzano l’ascesa al potere
e il successivo declino dei governi radicali, cfr. D. Rock, Politics in Argentina, -.
The Rise and Fall of Radicalism, Cambridge University Press, Cambridge ; R.
Falcón (comp.), Democracia, conflicto social y renovación de ideas (-). Nueva hi-
storia argentina, Sudamericana, Buenos Aires ; P. Smith, Argentina and the Fai-
lure of Democracy: Conflicts among political elites, University of Wisconsin Press, Ma-
dison ; L. A. Romero et al., El radicalismo, Carlos Pérez Editores, Buenos Aires
; S. Mc Gee Deutsch, Counterrevolution in Argentina, -. The Argentine Pa-
triotic League, Lincoln, London ; L. Alén Lascano, La Argentina ilusionada, -
, La Bastilla, Buenos Aires ; D. Cantón, J. L. Moreno, A. Ciria, Argentina. La
democracia constitucional y su crisis, Paidós, Buenos Aires .
. Il corpus di produzione scritta sulla figura di J. D. Perón è ampio e articolato.
Ci si limiterà pertanto a indicare gli studi più noti: F. Luna, Perón y su tiempo, Suda-
mericana, Buenos Aires -; C. Buchrucher, Nacionalismo y Peronismo. La Ar-
gentina en la crisis ideológica mundial (-), Sudamericana, Buenos Aires ; P.
Waldman, El Peronismo (-), Hyspamérica, Buenos Aires ; T. H. Donghi,
The Peronist Revolution and its Ambiguous Legacy, Institute of Latin American Stu-
dies Paper, n. , London ; R. Walter, The Right and the Peronist, in S. Mc Gee
Deutsch, R. Dolkart (eds.), The Argentine Right. Its History and Intellectual Origins:
 to the Present, Scholarly Resources Books, Wilmington (Delaware) ; A. Ciria,
Política y cultura popular. La Argentina Peronista. -, Ediciones de la Flor, Bue-
nos Aires . Per un affresco complessivo della società della prima epoca peronista,
cfr. G. Germani, Política y sociedad en una época de transición: de la sociedad tradicio-
nal a la sociedad de masas, Paidós, Buenos Aires ; Id., Tradizioni politiche e mobi-
litazione sociale alle origini di un movimento nazionalpopolare: il peronismo, in L. Gar-
ruccio (a cura di), Momenti dell’esperienza politica latinoamericana, il Mulino, Bolo-
gna .
. Sui regimi militari in Argentina a partire dalla metà degli anni Sessanta del No-
vecento, un testo classico di riferimento rimane G. O’Donnell, -. El Estado bu-
rocrático-autoritario.Triunfos, derrotas y crísis, Editorial Belgrano, Buenos Aires .
Cfr. anche il precedente El juego imposible. Competición y coalición entre partidos polí-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

ticos en la Argentina, -, in G. O’Donnell (ed.), Modernization and Bureucratic


Authoritarianism. Studies in South American Politics, University of California Press,
Berkeley ; L. de Riz, La política en suspenso. -, Paidós, Buenos Aires ;
William C. Smith, Authoritarianism and the Crisis of the Argentine Political Economy,
Stanford University Press, Stanford ; N. Botana, R. Braun, C. Floria, El regimen
militar, -, Buenos Aires ; R. Perina, Onganía, Levingston, Lanusse. Los mi-
litares en la política argentina, RIAL – Grupo Editor Latinoamericano, Buenos Aires
; A. Graham-Yoll, Tiempo de tragedia, Ediciones de la Flor, Buenos Aires .
. Sulla nascita, evoluzione e consolidamento di questo concetto, caposaldo del-
le giustificazioni ideologiche della repressione operata dai militari, cfr. B. Loveman,
For la Patria. Politics and the Armed Forces in Latin America, Scholarly Resources Inc.,
Wilmington (Delaware) , pp.  ss.; B. Loveman, T. M. Davies (eds.), The Politics
of Antipolitics, University of Nebraska Press, Nebraska . Tra le analisi sulla cam-
pagna anticomunista degli Stati Uniti in America Latina ricordiamo A. Armony, La Ar-
gentina, los Estados Unidos y la cruzada anticomunista en América Central, Universi-
dad Nacional de Quilmes, Buenos Aires .
. Non essendo possibile in questa sede entrare nel merito della genesi e dell’e-
voluzione di un concetto così complesso, si consiglia, come possibile punto di partenza
per approfondimenti successivi e più completi riferimenti bibliografici, la consulta-
zione del numero monografico di “Storia e problemi contemporanei”, XVII, , gen-
naio-aprile , dedicato al “nemico interno”. Cfr. in particolare il saggio a cura di
L. Zanatta, La sindrome del cavallo di Troia: l’immagine del nemico interno nella storia
dell’America Latina, e quello a cura di A. Botti, Il “nemico interno” e le sue icone: cen-
ni storici e questioni storiografiche.
. Cfr. a questo proposito le riflessioni sulla costruzione dell’alterità e del nemico
durante l’ultima dittatura argentina proposte nell’intervento di Marina Franco, Exilio
y otredad: la costrucción del enemigo bajo el terrorismo de Estado, ponencia presenta-
da al Primer Congreso Historia y Memoria, Facultad de Humanidades, Universidad
Nacional La Plata, Abril , p. .
. F. Graziano, Divine Violence. Spectacle, Psychosexuality and Radical Christia-
nity in the Argentine “Dirty War”, Westview Press, London , p. .
. Tra gli studi sul ruolo giocato dai militari sul lungo periodo nel subconti-
nente, ricordiamo A. Lowenthal e J. Fitch (eds.), Armies and Politics in Latin Ame-
rica, Holmes & Meier Publishers, New York  e F. Nunn, The Time of the Gene-
rals. Latin American Professional Militarism in World Perspective, University of Ne-
braska Press, Lincoln & London . Nello specifico del caso argentino cfr. R. Po-
tash, The Army and Politics in Argentina, -. Yrigoyen to Perón, Stanford Uni-
versity Press, Stanford  (trad. sp. El ejército y la política en la Argentina, -
, Sudamericana, Buenos Aires , e El ejército y la política en la Argentina, -
, Sudamericana, Buenos Aires ); A. Rouquié, Pouvoir militaire et société po-
litique en Republique Argentine, Presses de la Fondation Nationale des Sciences Po-
litiques, Paris  (trad. sp. Poder militar y sociedad política en la Argentina, I: Ha-
sta , Emecé, Buenos Aires , e II: -, Emecé, Buenos Aires ). Una
sintesi di lungo periodo sul medesimo tema è A. Rouquié, The Military in Latin Ame-
rican Politics since , in Bethell, The Cambridge History of Latin America, cit., VI,
pp. -; Hegemonía militar, estado y dominación social, in A. Rouquié (comp.),


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INTRODUZIONE

Argentina hoy, Siglo XXI, Ciudad de México . Cfr. anche M. Cavarozzi, Autori-
tarismo y democracia (-), CEAL, Buenos Aires ; Id., Autoritarismo y demo-
cracia (-). La transición del Estado al mercado en la Argentina, Ariel, Buenos
Aires . Altri studi di riferimento sono G. O’Donnell, Modernization and Mili-
tary Coups: Theory, Practise, and the Argentine Case, in A. Lowenthal (ed.), Armies
and Politics in Latin America, Holmes & Meier Publishers, New York  e D.
Cantón, La política de los militares argentinos, -, Siglo XXI, Buenos Aires .
Nell’ambito della produzione scritta in Italia, un testo classico rimane G. Pasquino,
Militari e potere in America Latina, il Mulino, Bologna .
. Testi di approfondimento sul ritorno di Perón al potere nel  sono: G. Di
Tella, Perón-Perón: -, Sudamericana, Buenos Aires ; L. de Riz, Retorno y
derrumbe. El último gobierno peronista, Folios, Ciudad de México ; S. Amaral,
M. Ben Plotkin (comp.), Perón del exilio al poder, Cantaro Editores, Buenos Aires
; T. Halperín Donghi, La larga agonía de la Argentina peronista, Ariel, Buenos
Aires .
. Per diverse analisi sui cambiamenti di carattere sociale, economico e politico
indotti dal Proceso de reorganización nacional inaugurato dalla giunta militare argenti-
na a partire dal , cfr. P. Waldmann, E. Garzón Valdez (comp.), El poder militar en
Argentina, -, Vervuert, Francoforte ; E. Groisman, Poder y derecho en el
“Proceso de reorganización nacional”, CISEA, Buenos Aires ; Id., La Corte Suprema
de Justicia durante la dictadura (-), CISEA, Buenos Aires ; H. Quiroga, El
tiempo del “Proceso”. Conflictos y coincidencias entre políticos y militares, -,
Ediorial Fundación Ross, Rosario ; O. Oslak (comp.), “Proceso”, crisis y transición
democrática, CEAL, Buenos Aires ; A. Abós, Las organizaciones sindicales y el poder
militar (-), CEAL, Buenos Aires ; D. García (comp.), Los cambios en la so-
ciedad política (-), CEAL, Buenos Aires ; C. Acuña (comp.), La nueva ma-
triz política argentina, Nueva Visión, Buenos Aires .
. La produzione storiografica argentina sui movimenti di lotta armata costitui-
tisi dalla metà degli anni Sessanta del Novecento è piuttosto recente. Tra gli studi di
sintesi sull’ampio spettro di affiliazioni politiche si ricorda R. Baschetti (comp.), Do-
cumentos (-). De la guerrilla peronista al gobierno popular, De la Campana, La
Plata ; Id., Documentos (-). De Campora a la ruptura, De la Campana, La
Plata . O. Anzorena, Tiempo de Violencia y Utopía. (-), Editorial Contra-
punto, Buenos Aires , poi ampliato nell’edizione Tiempo de Violencia y Utopía. Del
golpe de Onganía () al golpe de Videla (), Colihue, Buenos Aires .
Uno spazio più consistente viene invece occupato dalla produzione scritta di ca-
rattere memorialistico, o di inchiesta giornalistica, come ad esempio il testo di E. An-
guita, M.Caparrós, La voluntad. Historia de la militancia revolucionaria en la Argenti-
na -, Grupo Editorial Norma, Buenos Aires  e quello di C. A. Brocato, La
Argentina que quisieron, Sudamericana, Buenos Aires . Cfr. anche Los setenta. Una
mirada desde los noventa, BsAs, Istituto Histórico de la Ciudad de Buenos Aires, Bue-
nos Aires . Per una ricostruzione della genesi, evoluzione e declino dell’ERP sono
d’aiuto: J. Santucho, Los últimos guevaristas. Surgimento y eclipse del Ejército Revolu-
cionario del Pueblo, Puntosur Editores, Buenos Aires ; P. Pozzi, “Por las sendas ar-
gentinas”… el PRT-ERP. La guerrilla marxista, EUDEBA – Editorial Universitaria de Bue-
nos Aires, Buenos Aires . Per quanto riguarda invece i Montoneros, un testo clas-


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 42

L A M E M O R I A O S T I N ATA

sico di riferimento è R. Gillespie, Soldiers of Perón. Argentina’s Montoneros, Claren-


don Press, Oxford , mentre testimonianze dirette dei protagonisti sono: G. L.
Cháves, J. O. Lewinger, Los del . Memoria Montonera, De la Campana, La Plata ;
E. B. Méndez, Confesiones de un Montonero (La otra cara de la historia), Sudamerica-
na, Buenos Aires  e E. El Kadri, J. Rulli, Diálogos en el exilio, Editorial Foro Sur,
Buenos Aires . Per una ricostruzione del movimento dei giovani peronisti attra-
verso testimonianze dirette, cfr. O. Anzorena, Historia de la Juventud Peronista (-
), Ediciones del Cordon, Buenos Aires ; S. Amaral, M. Ben Plotkin (comp.),
Perón del exilio al poder, Cantaro Editores, Buenos Aires .
. Cfr. J. Hartlyn, Democracy in Latin America since , in Bethell, The Cambrid-
ge History of Latin America, cit., VI, pp. -.
. «Dal punto di vista teorico ho sempre sostenuto, e continuo a sostenere,
confortato da nuovi argomenti, che i diritti dell’uomo, per fondamentali che siano, so-
no diritti storici, cioè nati in certe circostanze, contrassegnate da lotte per la difesa di
nuove libertà contro vecchi poteri, gradualmente, non tutti in una volta, e non una vol-
ta per sempre. Il problema, su cui sembra che i filosofi siano chiamati a dare la loro
sentenza, del fondamento, assoluto, irresistibile, inoppugnabile, dei diritti dell’uomo,
è un problema mal posto» (N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino , p. XIII).
. Sintetiche considerazioni di carattere quantitativo sulle vittime delle dittature
militari sono presenti in B. Calandra, I diritti umani in America Latina, in “Storia, po-
litica e cooperazione internazionale”, bimestrale dell’area internazionale, Diparti-
mento di Studi Storici Geografici Antropologici dell’Università Roma Tre, n. , mag-
gio , pp. -. Per una ricostruzione complessiva di metodologie e tecniche re-
pressive dei militari nel Cono Sud, cfr. W. Heinz, Motives for “Disappearances” in Ar-
gentina, Chile and Uruguay in the ’s, in “Netherlands Quarterly of Human Rights”,
XIII, , , pp. -; P. Weiss Fagen, Repression and State Security, in J. Corradi, J.
Weiss, M. A. Garretón (eds.), Fear at the Edge. State, Terror and Resistance in Latin
America, University of California Press, Berkeley ; M. Feitlowitz, A Lexicon of Ter-
ror. Argentina and the Legacies of Torture, Oxford University Press, Oxford .
. Testi di riferimento sui processi di transizione alla democrazia nel Cono Sud
nella metà degli anni Ottanta, provenienti essenzialmente da studi politologici, sono:
G. Pridham (ed.), Transitions to Democracy. Comparative Perspectives from Southern
Europe, Latin America and Eastern Europe, Aldershot, Dartmouth ; J. Linz, Y.
Shain, Between States. Interim Governments and Democratic Transitions, Cambridge
University Press, Cambridge .
. Cfr. G. Fried, On Remembering and Silencing the Past: the Adult Children of
the Disappeared of Argentina and Uruguay in Comparative Perspective, intervento pre-
sentato al convegno della Latin American Studies Association (LASA), Miami, marzo
, p. .
. Il  agosto  il Senato argentino ha approvato la legge . – promulga-
ta dal presidente della Repubblica il  settembre  – di annullamento delle leggi di
Punto Final () e Obediencia debida (), leggi di amnistia il cui contenuto e si-
gnificato verranno più diffusamente spiegati nel corso di questo lavoro. La decisione
del Senato conferma di fatto la decisione della Camera, lasciando alla Corte suprema
la decisione finale sulla possibilità di realizzare nuovi processi per i crimini contro l’u-
manità. Il  settembre  la Corte suprema ha rimesso alla Cámara nacional de Ca-


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INTRODUZIONE

sación penal la documentazione, ritenendo che sia in primo luogo il giudice penale a
doversi esprimere sull’eventuale annullamento.
. Cfr. T. G. Ashplant, G. Dawson, M. Roper (eds.), The Politics of War, Memory
and Commemoration, Routledge, London .
. P. Hutton History as an Art of Memory, University Press of New England, Ha-
nover , p. . L’idea originaria di Hutton era di realizzare uno studio sull’uso di
schemi mnemonici ripresi dalla tradizione rinascimentale e rielaborati in età contem-
poranea. Progressivamente il lavoro ha assunto il carattere di un’indagine conoscitiva
sulla relazione tra esercizio della memoria e uso della storia e su come l’interazione tra
le due ha acquisito uno spazio crescente all’interno della storiografia contemporanea.
Hutton ricostruisce il cambiamento del concetto di memoria nella tradizione storica,
scegliendo alcuni momenti significativi (lo storicismo di Vico, la critica postmoderna
di Hawlbachs, la critica della tradizione degli storici francesi della scuola delle “Ann-
nales”, come Bloch, Ariès, Febvre, la “contromemoria” di Foucault) e conclude af-
fermando: «La ricerca sulla natura e l’uso della memoria viene oggi condotta con una
nuova forma di interesse e intensità. […] Ha aggiunto una nuova dimensione alla sto-
riografia rivelando la miriade di possibilità secondo cui la memoria ispira e conduce il
corso della ricerca storica» (p. xxv).
. Alcuni degli studi più recenti e significativi sono: L. Roniger, M. Sznajder, The
Legacy of Human Rights Violations in the Southern Cone. Argentina, Chile and Uruguay,
Oxford University Press, Oxford ; A. Brysk, The Politics of Human Rights in Ar-
gentina. Protest, Change, Democratisation, Stanford University Press, Stanford ; E.
Jelin, The Politics of Memory. The Human Rights Movements and the Construction of De-
mocracy in Argentina, in “Latin American Perspectives”, XXI, , pp. -; E. Jelin, S.
Kaufman, Layers of Memories. Twenty Years after in Argentina, in T. G. Ashplant, G.
Dawson, M. Roper (eds.), The Politics of War, Memory and Commemoration, Routled-
ge, London ; E. Jelin, Los trabajos de la memoria, Serie memorias de la represión,
Siglo XXI, Madrid ; P. Di Cori, La memoria pubblica del terrorismo. Parchi, musei e
monumenti a Buenos Aires, in F. Remotti (a cura di), Memoria, terreni, musei. Contribu-
ti di antropologia, archeologia, geografia, Dell’Orso, Alessandria , pp. -; L. da
Silva Catela, No habrá flores en la tumba del pasado. La experiencia de reconstrucción del
mundo de los familiares de desaparecidos, Ediciones al Margen, La Plata .
. Nell’analisi dei processi del ricordo di eventi traumatici nel Cono Sud dell’A-
merica Latina è ricorrente il riferimento alla letteratura sulla Shoah, vero e proprio pa-
radigma interpretativo anche riguardo a fenomeni di stretta attualità. Scrive Wie-
viorka: «Tale riflessione è oggi indispensabile, non solo per quanto concerne il geno-
cidio. Essa dovrebbe permettere di chiarire altri processi all’opera rispetto ad altri epi-
sodi storici. Poiché, se Auschwitz è diventata la metonimia del male assoluto, la me-
moria della Shoah è diventata, bene o male, il modello della costruzione della memo-
ria, il paradigma a cui quasi ovunque si fa riferimento per analizzare il passato o per
tentare di installare nel cuore stesso di un evento storico che si svolge sotto i nostri oc-
chi, come di recente il caso della Bosnia, e che non è ancora divenuto storia, le basi del
futuro racconto storico» (A. Wieviorka, L’era del testimone, Raffaello Cortina Edito-
re, Milano , p. ).
. Ricorda Paul Ricoeur, nel corso di alcune lezioni su memoria e oblio presso
l’Università autonoma di Madrid, come «il ricordo e la memoria possono considerar-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

si per certi versi come un lavoro, come un compito o un dovere di fronte all’oblio. Una
delle grandi difficoltà che pone il problema del ricordo consiste nell’equilibrare la pas-
sività con l’attività e anche la responsabilità della memoria» (P. Ricoeur, La lectura del
tiempo pasado: memoria y olvido, Arrecife, Madrid , p. ).
. Espressione dell’antropologo Jonathan Boyarin, in Di Cori, La memoria pub-
blica del terrorismo, cit., p. .
. Chile, la memoria obstinada, video documentario sulle percezioni, i ricordi, le
lacerazioni della società cilena contemporanea rispetto al periodo della dittatura del
generale Pinochet. È una produzione franco-canadese-cilena presentata a Santiago del
Cile per la prima volta in occasione del Primer festival internacional de cine documen-
tal. Primera retrospectiva del cine documental chileno, realizzato presso il Goethe In-
stitut di Santiago nel mese di maggio del .
. Cfr. S. Guelerman, Escuela, juventud, genocidio, in Id. (comp.), Memorias en
presente. Identidad y transmisión en la Argentina posgenocidio, Grupo Editorial Nor-
ma, Buenos Aires , pp. -.
. Wilde ripercorre alcune azioni di forte impatto simbolico realizzate dal primo
governo democratico cileno dopo i diciassette anni di dittatura del generale Pinochet
(-). Ad esempio, il nuovo presidente Patricio Aylwin organizza un evento con le
mogli degli scomparsi presso lo Stadio Nazionale, luogo in cui, come i mass media di
tutto il mondo hanno mostrato, venivano raccolti in massa e torturati i prigionieri po-
litici nei giorni immediatamente successivi al golpe dell’ settembre . Recupera le
spoglie del presidente socialista Salvador Allende, morto quel giorno, e con un solen-
ne corteo le riporta presso il cimitero nazionale. Esprime pubblicamente le sue scuse
per aver inizialmente legittimato l’azione dei militari, in quanto esponente della de-
mocrazia cristiana. Nonostante si tratti di riflessioni centrate sul contesto cileno, si è
scelto di riprenderne l’essenza poiché esprimono dinamiche in un certo senso para-
digmatiche anche per quanto riguarda altri paesi del Cono Sud, in particolare l’Ar-
gentina, recentemente coinvolti in processi di transizione alla democrazia. Cfr. A. Wil-
de, Irruptions of Memory: Expressive Politics in Chile’s Transition to Democracy, in
“The Journal of Latin American Studies”, , , pp. -.
. Cfr. G. De Luna, La passione e la ragione. Fonti e metodi dello storico con-
temporaneo, La Nuova Italia, Milano , p. .
. Cfr. P. Nora, Il ritorno dell’avvenimento, in J. Le Goff, P. Nora (a cura di), Fa-
re storia, Einaudi, Torino , pp. -.
. Particolarmente ricchi di documenti sulla gestione dell’associazione, sia a Bue-
nos Aires che in altre sedi argentine, o per i gruppi all’estero, sia in America Latina
che in Europa, si sono rivelati gli archivi privati di Maria Paula H. (Caracas), Susana
S. (Parigi), Lucia F. (Madrid). Ci si riferisce soprattutto al materiale estrapolato da
I.M.P.R.O.L.H.I.J.O.S., Internalización de material periodístico relacionado o ligado a Hijos
por la identidad y la justicia, contra el olvido y el silencio, Santa Fe -, e
INFORMH.I.J.O.S. . Cfr. anche l’Informe del IV encuentro nacional de delegados de
H.I.J.O.S., Cahueta (Mendoza), - de junio e il Documento preparatorio a la asamblea
en Rosario,  giugno .
. Questo organismo non governativo con sede a Londra ha prodotto, fin dai
primi anni Settanta, una serie di documenti di ricerca-azione come Action files o Ur-
gent actions relativi al caso argentino, attraverso i quali si fornivano notizie sulle vio-


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INTRODUZIONE

lenze in atto (ad esempio sulla situazione dei prigionieri nei campi di detenzione
clandestina) e si invitavano i soci a sostenere le diverse campagne di solidarietà or-
ganizzate in Europa. Per questa ricerca, si è scelto tuttavia di consultare prevalen-
temente actions files o comunicati stampa a partire dalla metà degli anni Novanta,
quando il problema dell’impunità diviene parte integrante dell’agenda di molti or-
ganismi non governativi esteri, e risulta inoltre possibile stilare primi bilanci com-
plessivi sull’operato di gruppi di familiari di vittime della dittatura di formazione re-
cente come quello dei figli. Ci si riferisce in particolare ai documenti contenuti o ci-
tati nei files: Amnesty International, International Secretariat, Americas Program
(AMR), Latin America. Crime without Punishment. Impunity in Latin America. A sta-
tement by Amnesty International, October , AI index: AMR //, distr.:
SC/GO/GR; Latin America. Crime without Punishment. Impunity in Latin America, AI
index: AMR //, distr.: SC/GO/GR; Trials in Spain against Humanity under Mili-
tary Regimes in Argentina and Chile, AI index: AMR //; Investigation into “Di-
sappearances” – a Step Towards Settling Outstanding Debt from “Dirty War”, AI in-
dex: AMR //.
. Amnesty International, International Secretariat, Americas Program (AMR),
Human Rights Defenders Team, More Protection, Less Persecution. Human Rights De-
fenders in Latin America, AI index: AMR //, distr.: SC/GR/CC; Amnistía Interna-
cional, Defensores de los derechos humanos en Latinoamérica. Más protección, menos
persecución, EDAI – Editorial Amnistía Internacional, Madrid , AI index: AMR
///s.; Amnesty International, International Secretariat, Americas Program
(AMR), Human Rights Defenders Team, Action file H.I.J.O.S. Children for Identity and
Justice against Forgetting and Silence, AI internal, December . Action Ref.: AF /;
Amnistía Internacional, Guatemala H.I.J.O.S. Justicia para la nueva generación, octubre
, AI indice: AMR ///s.
. A seconda della situazione finanziaria dell’associazione, la rivista “H.I.J.O.S.”
ha avuto talvolta una periodicità trimestrale, altre volte quadrimestrale. Si è procedu-
to allo spoglio dei numeri compresi tra il , quando ha origine questa pubblicazio-
ne, e il .
. I giorni del Condor. Videofestival sui diritti umani in America Latina, Milano,
 maggio- giugno , Provincia di Milano – Settore cultura, Centro studi proble-
mi internazionali (CESPI), Fondazione cineteca italiana, (CESVI).
. Archeologia dell’assenza. Hijos, figli dei desaparecidos argentini, di Lucila
Quieto, Assemblea Teatro, Edizioni Angolo Manzoni, Torino .
. Buena memoria. Un racconto fotografico di Marcelo Brodski, Associazione cul-
turale Ponte della Memoria, SEG, Roma .
. Considerazioni di carattere generale sulla letteratura di testimonianza e il ruo-
lo del “nuovo giornalismo” nell’America Latina contemporanea, con particolari rife-
rimenti al caso argentino, sono fornite in J. Rodríguez-Luis, El enfoque documental en
la narrativa ispanoamericana. Estudio taxonómico, Fondo de Cultura Económica, Ciu-
dad de México .
. M. Ferretti, La memoria mutilata. La Russia ricorda, Corbaccio, Milano ,
pp. -.
. Cfr. F. Reati, Nombrar lo innombrable. Violencia política y novela argentina,
Editorial Legasa, Buenos Aires .


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

. Fanno eccezione, ad esempio, El Archivo de la represión a La Plata, in Argen-


tina, scoperto per un caso fortuito, da cui possiamo evincere una serie di dati sulle mo-
dalità di gestione di questi centri in base agli effetti personali dei detenuti, nonché spe-
cifiche schede informative compilate dagli stessi militari, o El Archivo del terror para-
guaiano, ritrovato nei pressi della capitale Asunción, un corposo archivio della polizia
segreta della dittatura del generale Stroessner (-). Alcune organizzazioni volon-
tarie europee hanno finora catalogato oltre quattro tonnellate di materiale (compren-
denti liste collettive, schede individuali, fotografie e oggetti appartenenti ai prigionie-
ri politici) ed è tuttora in corso il processo di digitalizzazione delle informazioni in es-
so contenute.
. Riflessioni simili possono essere formulate anche relativamente al contesto eu-
ropeo, come sostiene ad esempio De Luna nel suo saggio di metodologia storica. Ri-
flettendo sui filoni narrativi sulla Resistenza, questo studioso ricorda in particolare l’o-
pera di Beppe Fenoglio: «Tutta la complessità del reale, ostinatamente negatasi alla co-
noscenza degli storici, sembra invece offrirsi nella maniera più dispiegata all’indagine
letteraria, lasciando affiorare una molteplicità di percorsi esistenziali difficilmente ri-
conducibili a un’uniformità segnata dalle grandi sintesi politiche e ideologiche. Anche
in romanzi come Il sentiero dei nidi di ragno di Calvino ci sono grandi intuizioni dal
punto di vista storiografico» (De Luna, La passione e la ragione, cit., p. ).
. Cfr. S. Jensen, Nadie habrá visto esas imágenes, pero existen. A próposito de las
memorias del exilio en la Argentina actual, VII Jornadas interescuelas Departamento de
Historia, Universidad de Salta, septiembre , e M. Franco, El exilio argentino en-
tre la memoria y la historia. Primeras aproximaciones, II Jornadas interescuelas, cit.
. Non essendo possibile in questa sede esprimere considerazioni di carattere
generale sulle fonti orali, ci si limiterà, a seconda dei momenti e dei problemi affron-
tati nel corso del lavoro, a fornire indicazioni bibliografiche puntuali. Per quanto ri-
guarda la valenza, l’uso, il percorso di queste fonti compiuto all’interno del dibattito
storiografico contemporaneo, si segnala in particolare, all’interno della pubblicistica
italiana, C. Bermani (a cura di), Introduzione alle fonti orali, I: Storia, conservazione del-
le fonti e problemi di metodo, II: Esperienze di ricerca, Odradek, Roma -. Per
quanto riguarda la produzione scritta in lingua inglese, altro volume collettaneo di am-
pio respiro è D. Dunaway, W. Baum (eds.), Oral History. An Interdisciplinary Antho-
logy, Altamira Press, New York-Oxford .
. Nei mesi di marzo-maggio  gli studenti di Storia dell’America Latina
della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Roma Tre partecipano a un mo-
dulo monografico dal titolo Tra storia e memoria: le dittature militari. Divisi in grup-
pi per approfondire le dinamiche che hanno caratterizzato le dittature brasiliana, ci-
lena, argentina e stimolati dall’intervento finale su “memoria, oralità, testimonian-
za” tenuto da Alessandro Portelli, gli studenti sollecitano la docente, Maria Rosaria
Stabili, a fornire maggiori approfondimenti di carattere teorico e metodologico sui
temi trattati per l’anno accademico successivo. Nasce così l’idea di organizzare un
vero e proprio laboratorio di riflessione. Da allora, nel secondo semestre di ogni an-
no (,  e ) si svolge un ciclo di incontri, a scadenza bisettimanale, della
durata di due ore l’uno. Vi partecipano laureandi e biennalisti in Storia dell’Ameri-
ca Latina, più altri interessati ad approfondire un discorso sull’uso delle fonti orali,
a prescindere dal contesto geografico su cui indirizzare la ricerca di tesi. Per una ri-


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INTRODUZIONE

flessione complessiva sull’esperienza di questo laboratorio cfr. M. R. Stabili, B. Ca-


landra, Tra storia e memoria: i diritti umani in America Latina. Un’esperienza di la-
boratorio sulle fonti orali all’Università Roma Tre, all’interno degli Atti del convegno
nazionale su “Le fonti orali nella storia. Memoria di classe. Contributi per lavorare a
scuola con le fonti orali, uno strumento per leggere il mondo contemporaneo”, tenu-
tosi a Roma nel marzo  a cura del CESP (Centro studi per la scuola pubblica), in
collaborazione con il Circolo “Gianni Bosio” di Roma, l’Istituto “Ernesto de Mar-
tino” di Sesto Fiorentino, il Centro di documentazione di Pistoia, la Società di Mu-
tuo soccorso “Ernesto de Martino” di Venezia, in corso di pubblicazione presso la
casa editrice Massari di Roma.
. Intervista con Pablo D., Ferrara,  febbraio , archivio personale. Intervi-
sta con Carla A., Madrid,  ottobre , archivio personale. Intervista con Susana
S., Parigi,  ottobre , archivio personale. Testimonianza di Matilde K., Roma, 
giugno , archivio del Dipartimento di Studi Storici Geografici Antropologici del-
l’Università Roma Tre.
. Intervista con Julián C., Roma,  maggio , archivio personale. Intervista
con Lucía F., Milano,  giugno , archivio personale. Intervista con Nicolás M., Mi-
lano,  giugno , archivio personale. Intervista con María Paula H., Caracas,  lu-
glio , archivio personale. Intervista con Francisco S., Roma,  ottobre , ar-
chivio personale. Intervista con Natalia S., Madrid,  ottobre , archivio persona-
le. Intervista con Natalia L., Parigi,  ottobre , archivio personale.
. Si segnala in particolare H. Verbitsky, Il volo. Le rivelazioni di un militare pen-
tito sulla fine dei desaparecidos, Feltrinelli, Milano .
. Intervista con Julio Santucho, Milano,  giugno , archivio personale. In-
tervista con Horacio Verbitsky, Roma,  giugno , archivio personale. Intervista
con Matilde Artés, Madrid,  ottobre , archivio personale. Intervista con Estela
Carlotto, Roma,  novembre , archivio personale.
. Cfr. P. Clemente, Autobiografie al magnetofono. Una introduzione, in Io so’ na-
ta a Santa Lucia. Il racconto autobiografico di una donna toscana tra mondo contadino e
società d’oggi, Società storica della Valdelsa, Castelfiorentino . In gran parte anco-
ra attuali, sebbene elaborate in una fase iniziale del dibattito italiano, le riflessioni nel-
lo speciale numero monografico di “Quaderni storici”, Oral History: tra antropologia
e storia, maggio-agosto , tra le quali si segnala B. Bernardi, C. Poni, A. Triulzi (a
cura di), Oral History: tra antropologia e storia, in “Quaderni storici”, XII, , maggio-
agosto . Un testo base di metodologia storica sulla tradizione orale, ancora di-
scusso all’interno degli storici oralisti rimane J. Vansina, La tradizione orale. Saggio di
metodologia storica, Officina Edizioni, Roma .
. A proposito della «molteplicità di tempi, molteplicità di sensi, e la costante tra-
sformazione e cambiamento degli attori», sempre in gioco in questa dimensione di
temporalità complessa e niente affatto lineare, cfr. le riflessioni di M. Gribaudi, Storia
orale e struttura del racconto autobiografico, in “Quaderni storici”, , settembre-di-
cembre , pp. -.
. Ivi, p. .
. Cfr. G. Contini, Il ruolo centrale dell’intervistatore, in G. Contini, A. Martini
(a cura di), Verba manent. L’uso delle fonti orali per la storia contemporanea, Nuova Ita-
lia Scientifica, Roma , pp.  ss.; Id., Il ruolo di chi intervista, relazione al conve-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

gno Le fonti orali come fonti per la storia del XX secolo: raccolta, descrizione, conserva-
zione e uso, Associazione Nazionale Archivi Italiani, Roma ; C. Vangelista, Terra,
etnie, migrazioni. Tre donne nel Brasile contemporaneo, Il Segnalibro, Torino , pp.
-; United States Holocaust Memorial Museum, Oral History Interview Guidelines,
VII: Conducting the Interview, pp. -; VIII: Technical Guidelines for Audio Inter-
views, pp. -, Washington .
. Cfr. in particolare A. Martini, Il documento sonoro e la sua trascrizione, in Con-
tini, Martini, Verba manent, cit., pp. -.
. Cfr. le distinzioni tra “testo base”, “adattato”, “normalizzato”, “tradotto”,
a seconda del tipo di intervento operato sul testo al momento della trascrizione, ivi,
pp. -.
. Roniger, Sznajder, The Legacy of Human Rights Violations in the Southern Co-
ne, cit.; Brysk, The Politics of Human Rights in Argentina, cit.
. Jelin, The Politics of Memory, cit.
. La collana in dodici volumi Memorias de la represión, con contributi di auto-
ri vari sul Cile, l’Argentina, l’Uruguay, il Perù, è in corso di stampa presso la casa edi-
trice Siglo XXI di Madrid.
. Wieviorka, L’era del testimone, cit., pp. -.
. Ferretti, La memoria mutilata, cit., pp. -.


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Irruzioni

.
La nascita del movimento

Buenos Aires,  marzo : sono passati esattamente vent’anni


dal colpo di Stato militare, e questa data, come l’ settembre per
il Cile, o il  marzo per il Brasile, condensa per l’Argentina una
molteplicità di significati in profondo conflitto tra di loro. Tanto
nell’arena pubblica quanto in quella privata la natura della memo-
ria, delle ricorrenze e delle commemorazioni si vincola stretta-
mente a pratiche sociali e politiche, risvegliando, in questo caso,
un avvenimento di carattere traumatico. Frammenti di passato
vengono incorporati o messi a tacere, rielaborati o rimossi, in fun-
zione di fattori ideologici, generazionali, culturali o storici, e, a se-
conda dei momenti, diversi attori sociali tendono ad autorappre-
sentarsi come portavoci autorizzati del significato dell’anniversa-
rio. Come ci ricorda lo studio di Federico Guillermo Lorenz, du-
rante la dittatura del - il  marzo veniva solennemente ce-
lebrato dalle sfilate dei tre corpi delle forze armate – la marina, l’e-
sercito e l’aeronautica – sotto «la protezione della bandiera argen-
tina e del Creatore». Dalla seconda metà degli anni Ottanta, inve-
ce, diviene sempre più evidente la presenza di una versione anta-
gonista, quella degli organismi di familiari delle vittime, che a que-
sta data conferiscono una sfera di significati profondamente di-
versi: non più il momento spartiacque del ristabilimento dell’ordi-
ne e della lotta alla sovversione, bensì l’inizio del terrorismo di Sta-
to. È un giorno conteso, dunque, denso di simboli, che, come so-
stiene Paola Di Cori, acuisce il senso di appartenenza o di rifiuto
nei confronti del passato recente, risveglia tensioni all’appropria-
zione di determinati eventi. L’occasione del ventennale si rivela


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

scenario privilegiato di memorie molteplici, «divise, sommerse,


non assimilabili», «spesso antagoniste alla narrazione storiografica
prevalente», che sfidano gli storici alla ricerca della pluralità di vo-
ci e delle rappresentazioni collettive.
Il  marzo del , di fronte alla casa Rosada, sede del go-
verno, sfilano i familiari delle vittime, chiedendo verità e giustizia
per le violazioni ai diritti umani compiute dal regime. In testa al
corteo spiccano le Madres e le Abuelas (madri e nonne) di Plaza de
Mayo, le prime a mobilitarsi già dai primi mesi successivi al golpe
alla ricerca dei loro parenti scomparsi. È un’immagine conosciu-
ta: è da quasi mille giovedì che le madri circolano in silenzio nella
piazza, nel primo pomeriggio, senza aver mai mancato a un ap-
puntamento. L’anniversario viene commemorato nelle principali
città del paese con una serie di dinamiche che Alexander Wilde de-
finisce “irruzioni della memoria”, momenti particolarmente cari-
chi di significato in cui si occupa lo spazio pubblico e si stimola la
società civile a ripensare alla violenza di Stato.
Un nuovo attore si affaccia questa volta sulla scena: un gruppo
di ragazzi, di età media attorno ai vent’anni. Il nome dell’associa-
zione, riportato a chiare lettere su uno striscione, è H.I.J.O.S., acro-
nimo di Hijos por la identidad y la justicia, contra el olvido y el si-
lencio (Figli per l’identità e la giustizia, contro l’oblio e il silenzio).
Il movimento è composto sostanzialmente da figli di desaparecidos,
detenuti, assassinati o esiliati dal regime militare.
H.I.J.O.S. persegue due obiettivi essenziali. Da un lato, la ri-
composizione dell’identità individuale dei membri, spesso in-
franta dalla scomparsa di un genitore, a volte celata per anni dai
loro stessi parenti sopravvissuti, o dall’esilio. Dall’altro, la de-
nuncia nei confronti dell’impunità che oggi – forse non ancora a
lungo, dati i provvedimenti avviati dall’attuale presidente – pro-
tegge i colpevoli dei crimini della dittatura. H.I.J.O.S. costituisce
un testimone vivente, una “memoria incorporata”, il simbolo di
una terza generazione di attivisti per i diritti umani che esprime
pubblicamente la propria voce. La sua presenza segna una tappa
ulteriore di un percorso ideale che i movimenti di prima e se-


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. IRRUZIONI

conda generazione – in particolare quello di nonne e madri –


hanno intrapreso per mantenere viva la memoria delle violenze
commesse.
L’associazione nasce dopo alcune commemorazioni pubbli-
che, nelle quali i figli iniziano progressivamente a riconoscersi. La
prima occasione si verifica il  novembre , quando la facoltà
di Architettura dell’Università di La Plata realizza una giornata
(Recuerdo, Memoria y Compromiso) in memoria degli ex alunni as-
sassinati dalla Triple A (Alianza Anticomunista Argentina). Per
l’occasione vengono convocati circa cento figli di scomparsi.
Quest’esperienza dolorosa e coinvolgente sul piano personale ob-
bliga, in un certo senso, a mettere in gioco il loro vissuto comune,
ciò che Carina Perelli definisce memorias de sangre, “ricordi di
sangue”, per molti di loro sigillati dal tempo o dagli stessi mec-
canismi difensivi della memoria. Ricorda Ernesto, figlio di esilia-
ti in Europa:

Ho sentito qualcosa di molto forte quando è stato reso omaggio ai de-


saparecidos nella Facoltà di Architettura di La Plata. Ho pianto moltis-
simo… non conoscevo nessuno dei ragazzi che erano lì, ma sapevo la
storia dei loro genitori attraverso i racconti dei miei, che durante l’esi-
lio, come adesso, mi parlavano dei loro compagni. Mi ha emozionato
sentirli parlare con orgoglio dei loro genitori. Molti non li conoscevo,
ma alcuni sì. Ad esempio, il papà di uno dei ragazzi era stato il mio pe-
diatra fino a che la Tripla A non lo ha ucciso. Dunque… quando ho vi-
sto salire quel ragazzo, non sono potuto andare a salutarlo… ero lì, in
piedi davanti a lui, ma non ho avuto il fegato di dirgli: “tuo padre era il
mio pediatra”.

L’imbarazzo iniziale viene però superato e si creano successivi mo-


menti d’incontro: nella settimana di Pasqua del , durante un
campeggio nella zona di Córdoba, si stabilisce il nome ufficiale del-
l’associazione, composta all’inizio da settanta partecipanti. Nel-
l’arco di pochi mesi il movimento registra una rapida espansione,
arrivando a  membri e quattordici sedi nel paese; si espanderà
poi, come vedremo, anche al di fuori dei confini argentini.


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

.
Gli anni Novanta come “irruzioni della memoria”

Lo sviluppo del movimento s’inserisce in un momento della storia


argentina che, dopo fasi alterne di ricordo e rimozione, vede l’opi-
nione pubblica intensamente sollecitata al dibattito sulle ferite del
passato recente. Nel marzo del , infatti, un ex capitano della
marina, Adolfo Francisco Scilingo, confessa in una lunga intervista
col giornalista Horacio Verbitsky di aver partecipato ai “voli della
morte”. Con questa pratica, regolarmente diffusa, tra i duemila e i
tremila prigionieri politici sono stati storditi e poi gettati vivi dagli
elicotteri nel Río de la Plata. Il capitano fornisce inoltre informa-
zioni sul grado di complicità delle autorità ecclesiastiche, spiegan-
do come al rientro dei voli alcuni cappellani rivolgessero parole di
conforto ai militari. Altro caso rilevante di connivenza sono i con-
tatti tra il nunzio apostolico Pio Laghi e importanti esponenti delle
forze armate. In un articolo apparso nell’aprile  sul quotidiano
“Página ”, si dichiara infatti come l’illustre rappresentante del Va-
ticano fosse a conoscenza delle tecniche repressive della polizia, e
come avesse inoltre fornito consulenze personali all’ammiraglio
Massera – ai vertici della giunta militare al potere – sull’opportunità
di uccidere alcuni prigionieri politici. Le dichiarazioni scatenano
una forte commozione politica e riaprono un dibattito a lungo so-
pito sulle atrocità commesse dal regime. Si innesca così un proces-
so di confessioni a catena, che coinvolge ufficiali e sottufficiali del-
le forze armate implicati in torture e omicidi. A meno di tre setti-
mane dalla trasmissione di Verbitsky, il capo di Stato Maggiore del-
l’Esercito, generale Martín Balza, fornisce in televisione diversi ele-
menti su dinamiche, responsabilità e modalità di gestione della re-
pressione organizzata.
La Chiesa cattolica, dopo un primo momento di silenzio, annun-
cia, a nome dell’Episcopato, che membri influenti della gerarchia ec-
clesiastica chiederanno pubblicamente perdono «per non essersi
adoperati sufficientemente in quel periodo», nominando «rimorsi
dovuti a infedeltà, incongruenze, risposte a lungo rimandate». È la


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. IRRUZIONI

prima volta che questa istituzione, forte di una relazione complessa e


articolata con le forze armate nel lungo periodo, rilascia simili di-
chiarazioni. In questo clima di denuncia e autoanalisi vengono inol-
tre rivalutate alcune figure che durante il governo militare si erano
opposte apertamente agli abusi della dittatura: monsignor Miguel
Hesayne, Enrique Angelelli – vescovo de la Rioja, assassinato il 
agosto  – Jorge Novak e Jaime de Nevares.
L’impatto emotivo dei “voli della morte” coinvolge anche il
mondo della cultura e dell’arte, come è evidente, ad esempio, dal-
la mostra fotografica Buena memoria, a cura di Marcelo Brodski
(di pochi anni successiva all’inchiesta di Verbitsky), che proprio ai
voli dedica una specifica sezione. Recita così una poesia a com-
mento dei pannelli raffiguranti l’oceano argentino:

Freddo.
Qualcuno mi sta strappando i vestiti.
Freddo. Nausea.
Qualcuno mi trascina. Mani mi spingono verso il vuoto. Mi afferro al ba-
vero di una divisa. Non riesco ad aprire gli occhi. Sono troppo debole e
il militare si libera facilmente.
Mi lascerà in ricordo la zaffata del suo alito. Carne e vino rosso. Il rancio
degli eroi.
L’aria ghiacciata mi straccia i polmoni. Cado nel vuoto. Non riesco ad
aprire gli occhi.
Non riesco ad urlare.
Mi piacerebbe urlare. Sto per morire e vorrei annunciarlo al mondo.
Invece divento burattino dai movimenti scomposti. Non riesco a preci-
pitare con dignità.
Tra qualche istante l’impatto. Le ossa si frantumeranno all’istante e le
schegge mi trafiggeranno il cuore. La morte sarà istantanea. L’acqua gon-
fierà il corpo. I pesci lo aggrediranno a piccoli morsi.
Eccola qui la storia della mia ribellione. […]
Tonfi terribili sotto di me. I corpi dei miei compagni si schiantano come
automobili contro muri di cemento. Non riesco ad aprire gli occhi ma
sento gli spruzzi dell’acqua che si levano alti per ricadere su se stessi.
L’acqua dovrebbe accoglierti come una madre. Invece le leggi della fisi-
ca moltiplicano pesi per velocità e il risultato è l’orrore. […]


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

Cosa devo fare? Gridare? E cosa? Viva la patria obrera, oppure Adiós.
Oppure frantumarmi in silenzio, uno dei tanti. Come si fa a lasciare un
segno della propria morte? Riesco solo a scalciare nel vuoto. Come un im-
piccato.
Sento l’odore del mare.
Sopra di me l’aereo che aumenta la potenza dei motori allontanandosi ve-
locemente.
Carne e vino rosso. Il rancio degli eroi.

Il mese di marzo  viene definito da alcuni intellettuali argentini


«un periodo di incontro e ricostruzione della memoria senza prece-
denti in tredici anni di democrazia», un momento spartiacque per la
fucina del ricordo. Affiora alla mente, da un contesto “altro”, che
però ha vissuto anch’esso significative “irruzioni di memoria”, la ci-
tazione introduttiva di Roginskij nello studio di Maria Ferretti sulla
memoria dello stalinismo durante i primi anni di Gorbačëv:

C’è chi tenta di cambiare il mondo con le rivoluzioni, con le sparatorie,


col terrore, oppure con i dibattiti parlamentari. Da noi invece la società
rinasce grazie alla storia ritrovata, grazie alla memoria. La perestroika non
è cominciata con gli spari, ma con i ricordi. Prima ancora delle manife-
stazioni, prima delle elezioni dei nuovi deputati, sui giornali sono appar-
se numerosissime pubblicazioni, sono venuti alla luce milioni di fatti di-
menticati. La gente ha cominciato a ricordare, a pensare. È stato il primo
grande passo verso il processo di democratizzazione. La rinascita della
Russia è cominciata con la rinascita del passato storico.

Un fenomeno su cui riflettere, oltre alla diffusa partecipazione al


corteo del  marzo, è una prima produzione storiografica e audio-
visiva centrata sui movimenti armati degli anni Settanta, sintomo di
un nuovo sforzo di comprensione della storia recente. Vengono in-
fatti pubblicati studi che ricostruiscono le dinamiche di organizza-
zioni come le Fuerzas Armadas Revolucionarias (FAR), i Montoneros,
il Partido Revolucionario de los Trabajadores (PRT), l’Ejército Revo-
lucionario del Pueblo (ERP). Inoltre, per la prima volta viene
proiettato pubblicamente Cazadores de utopías di David Blaustein,
film documentario che riporta le testimonianze di  militanti Mon-


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. IRRUZIONI

toneros, ripercorrendo la storia del movimento. Per riprendere l’e-


spressione di Wieviorka, usata relativamente al significato che il
processo Eichmann riveste per l’elaborazione e la diffusione della
memoria collettiva della Shoah, sembra crescere sensibilmente la
“domanda sociale di testimonianze” dei protagonisti della repres-
sione scientificamente pianificata.
È forse legittimo chiedersi se queste “irruzioni di memoria”
non siano destinate a spegnersi nel breve periodo, per lasciare spa-
zio a nuovi flussi di amnesia. Forse, proprio come afferma Maria
Ferretti, ricordo e oblio possono essere pensati in termini di cate-
gorie naturalmente interdipendenti, che vivono un processo di
osmosi permanente  . Potrebbero essere lette, dunque, come
realtà che convivono nelle naturali dinamiche della società, e che
non seguono, nel loro alternarsi, un percorso lineare né progressi-
vo. Non esiste oggi una risposta evidente per quanto riguarda il
contesto argentino, trattandosi di un processo ancora in fieri, in
corso di evoluzione. Tuttavia, ci si può limitare a osservare che, no-
nostante alle dichiarazioni del capitano Scilingo non seguano
provvedimenti giudiziari, a livello simbolico il  segna una svol-
ta importante. Alla luce della comparsa del movimento dei figli,
pochi mesi dopo, questo può essere considerato come momento
periodizzante per quanto riguarda la percezione collettiva delle ge-
nerazioni più giovani, poco o male informate sugli abusi dei mili-
tari. Dopo anni di silenzio si crea un clima propizio per un ascol-
to diffuso sulla portata dei crimini del passato, e anche i testimoni
indiretti della dittatura iniziano in un certo senso un processo di
apprendimento collettivo. Nel gruppo dei figli, in particolare,
emerge una rinnovata consapevolezza di un’ideale eredità quali
“custodi del ricordo” ricevuta dalle generazioni precedenti.

.
L’eredità di madri e nonne

L’associazione dei figli rappresenta l’ultima fase di un percorso idea-


le di dissenso organizzato contro la violenza, che affonda le sue radi-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

ci nell’avvento dell’ultimo regime militare. I mesi successivi al golpe


vedono infatti la rapida formazione di associazioni in difesa dei dirit-
ti umani. Alcune sono frutto di una tradizione precedente al colpo di
Stato, come la Liga Argentina por los Derechos del Hombre, creata nel
 dal Partito comunista, la Comunità ebraica, centrata sul proble-
ma dell’antisemitismo, diverse organizzazioni per i diritti degli indi-
geni, il Servicio de Paz y Justicia (SERPAJ), la Asamblea Permanente por
los Derechos Humanos (APDH). Altre costituiscono invece la rispo-
sta immediata dei familiari delle vittime alla repressione politica.
All’interno di questo eterogeneo movimento è possibile rin-
tracciare due matrici essenziali. Da una parte, le istanze di coloro
che vengono colpiti direttamente, parenti di persone uccise o fat-
te sparire dal regime, come le Madres e Abuelas de Plaza de Mayo,
o la Asociación de familiares de detenidos desaparecidos. Dall’altra,
l’attività di centri di studio e documentazione, diretti da avvocati,
giornalisti ed esperti di diritto, come il Centro de Estudios Legales
y Sociales (CELS), la Asamblea Permanente por los Derechos Huma-
nos, il Movimiento Judío por los Derechos Humanos (MJDH), il Con-
cilio mondiale delle chiese, il Servicio de Paz y Justicia. Durante la
dittatura queste si adoperano su diversi versanti: forniscono soste-
gno ai parenti delle vittime attraverso la consulenza legale, la rac-
colta e la diffusione di informazioni sulle violazioni commesse; or-
ganizzano manifestazioni di dissenso; si appellano all’opinione
pubblica dei paesi stranieri per tentare di mettere in discussione la
legittimità del regime a livello internazionale.
La componente più rilevante e attiva all’interno del movimen-
to sono le associazioni di donne, in particolare le madri di desapa-
recidos. Come ci ricorda Elizabeth Jelin, le loro motivazioni inizia-
li «non hanno nulla di eroico». Le donne, spesso di umile estra-
zione e prive di una specifica sensibilità politica, si mobilitano ini-
zialmente perché spinte dall’angoscia per la scomparsa dei loro ca-
ri. Dichiara ad esempio Hebe de Bonafini, storica leader del mo-
vimento di madri argentine:

Noi siamo donne che hanno vissuto in un mondo isolato, un mondo che
finiva sulla porta delle nostre case. Ci hanno insegnato a stirare, lavare,


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. IRRUZIONI

cucinare, badare ai bambini, e che la politica era un affare da uomini.


Non avevo mai viaggiato da nessuna parte, solo a Buenos Aires, e anche
lì solo in occasioni particolari. A parte quello, il mio viaggio più lungo è
stato a quattro isolati da casa ogni domenica. Quando sei abituata a vi-
vere così, tu non conosci i tuoi diritti, non sai che esistono le Nazioni Uni-
te, che esiste un Amnesty International, un habeas corpus, non capisci nul-
la, è tutto un altro mondo!

La prima apparizione pubblica delle Madres argentine avviene il


 aprile del . Un gruppo di quattordici donne – tra i  e i 
anni circa – conosciutesi nelle sale d’attesa dei commissariati, del-
le parrocchie, negli uffici di rappresentanza, in cerca di informa-
zioni riguardo ai loro figli, decide come forma di protesta di mar-
ciare nello spazio del potere per antonomasia, il luogo-simbolo
delle istituzioni militari: la Plaza de Mayo, sede del governo. Tra-
scendendo dunque la dimensione privata del loro dolore, scen-
dono in piazza con energiche manifestazioni di dissenso al regi-
me, raccolgono prove sulle sparizioni, rivendicano giustizia. La
loro esibizione di maternità in senso “pubblico” e “politico” si
contrappone idealmente ad altre rivendicazioni di associazioni
femminili, come la Liga de madres de familia, che, all’insegna di
uno spettro di valori di segno opposto, corrispondenti alla retori-
ca militare, chiede invece alla giunta «una più energica protezio-
ne dei valori familiari».
Diana Taylor, in un’analisi centrata sulle molteplici rappre-
sentazioni di genere nell’Argentina della dittatura, propone al-
cune riflessioni sulla teatralità della marcia delle Madri di Plaza
de Mayo: circolare, silenziosa, informale, espressione di una ma-
trice femminile, appartenente alla società civile, idealmente con-
trapposta alla parata militare, lineare, spesso accompagnata da
musica fragorosa, espressione dell’universo maschile e del siste-
ma di valori dei militari. Anche l’abbigliamento esprime una
molteplicità di significati: da una parte, i militari, con le loro
uniformi; dall’altra, le mamme con i fazzoletti bianchi sulla nu-
ca, a rievocare il panno di cotone che si avvolge attorno ai bam-
bini appena nati.


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

Non è questa l’unica espressione di “politica simbolica” eser-


citata dai movimenti femminili in America Latina negli anni Set-
tanta. Alcune studiose hanno analizzato dinamiche simili in altri
paesi, che vedono l’uso di oggetti evocativi come candele, fiori, fo-
tografie dei parenti scomparsi, e altri strumenti carichi di signifi-
cato per «contrapporre a una cultura di morte la celebrazione di
una cultura della vita». Ricordiamo a questo proposito i garofa-
ni delle Comadres di El Salvador, i fischietti della Confederación
nacional de viudas guatemalteche, le catene con le quali le donne
della Agrupación de familiares de detenidos desaparecidos si legano
al cancello del palazzo presidenziale de La Moneda a Santiago del
Cile, i fazzoletti bianchi e le sagome dei desaparecidos, tracciate in
terra col gesso.
L’iniziale risposta della giunta militare al movimento delle
madri argentine è di sostanziale indifferenza, fondata di fatto su
una sottovalutazione del gruppo in qualità di soggetto politico:
vengono chiamate las locas, le pazze, della Plaza de Mayo. Que-
sta tendenza, però, si inverte a partire dal : è l’anno del cam-
pionato mondiale di calcio, e il governo argentino, sotto i riflet-
tori della stampa internazionale, si dimostra particolarmente at-
tento a proiettare un’immagine compatta, priva di incrinature nel
consenso al regime. Espulse dalla Plaza de Mayo, dopo alcuni
mesi le madri decidono di costituirsi ufficialmente in associazio-
ne, con Hebe de Bonafini come presidente. Ma è proprio grazie
al campionato di calcio che il gruppo cattura l’attenzione dei
mass media, stimolando così la creazione di gruppi di sostegno
sia in Europa che negli Stati Uniti. L’anno successivo, nel set-
tembre del , la Commissione interamericana per i diritti
umani, in missione dagli Stati Uniti, considera ormai il movi-
mento come interlocutore ufficiale. Da quel giorno del , tut-
ti i giovedì alle  e  le madri hanno continuato a sfilare in un
rito che, ancora oggi, si ripete nella Plaza de Mayo di Buenos Ai-
res. Nel corso degli anni, tuttavia, il gruppo risentirà di una serie
di tensioni interne che sfoceranno, una volta terminata la transi-
zione alla democrazia, in una scissione.


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. IRRUZIONI

Studiosi come Marisa Navarro si sono interrogati sulle moti-


vazioni profonde che spingono un gruppo di donne come la ma-
dri argentine, scarsamente politicizzate e niente affatto abituate a
comparire nella sfera pubblica, a calcarne le scene con tale deter-
minazione. La risposta si colloca con tutta probabilità in un cro-
cevia di diversi approcci disciplinari. Se volessimo riprendere il fi-
lo del ragionamento di María del Carmen Feijoo, ad esempio, do-
vremmo essenzialmente camminare nel solco del pensiero del ma-
ternal thinking, e cogliere il senso della presenza delle Madres in
fattori che trovano una spiegazione piuttosto nel campo della bio-
logia e della psicologia, che risiedono dunque nell’essenza stessa
della maternità:

La ricerca sui movimenti femminili ha evidenziato una matrice comune


di comportamento: l’attenzione alle istanze relative alla sussistenza e alla
pace. La capacità femminile di concepire e dare luce alla vita, e dunque
la loro maggiore predisposizione alla difesa di quest’ultima, è stata offer-
ta come spiegazione ricorrente di tali dinamiche.

Secondo quest’ottica, l’atteggiamento delle Madres non avrebbe


nulla di “nuovo” o di originale, cioè non relazionato in maniera
specifica al contesto socio-politico argentino. Le sue radici, piut-
tosto, andrebbero cercate in matrici profonde, tendenze compor-
tamentali su cui, in parte, anche l’antropologia può fornire model-
li di interpretazione:

La lotta per la vita risale a uno dei miti fondamentali della cultura oc-
cidentale: Antigone e il suo rifiuto al potere totalizzante dello Stato, la
sua ricerca di un degno luogo di sepoltura per le spoglie del fratello in
un contesto che la bandisce come sovversiva… e dunque, paradossal-
mente, ciò che appare come nuovo potrebbe in realtà essere riproposi-
zione del vecchio.

Questo modello di lettura si vedrebbe tra l’altro confermato anche


dal ruolo giocato dalle donne nell’ambito delle organizzazioni di
quartiere dedite alla sussistenza alimentare, in contesti nazionali


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

come il Cile del generale Pinochet (-). La “socializzazione


della maternità” delle pobladoras cilene, ad esempio, ha fatto sì che
durante la dittatura intere zone periferiche della capitale venisse-
ro letteralmente sfamate nonostante la scarsità di alimenti e la de-
nutrizione generate dalle politiche economiche di carattere rigida-
mente neoliberista adottate dal governo. Orti comunitari, pento-
loni comuni, gruppi d’acquisto di prodotti, campagne di raccolta
di avanzi nei mercati, nelle fabbriche, nei sindacati, sono esempi
minimi della mobilitazione tutta al femminile che anima le perife-
rie di Santiago del Cile in quegli anni.
Gli studi di Diana Taylor e Marisa Navarro sulla partecipa-
zione delle madri argentine sottolineano, invece, la presenza di
fattori esplicativi di carattere contingente e di ordine essenzial-
mente pratico. L’osservazione empirica porta infatti a considera-
re come durante la dittatura militare per gli uomini fosse più dif-
ficile dedicare del tempo alla protesta sociale, perché maggior-
mente impegnati rispetto alle loro mogli, figlie o compagne, in at-
tività lavorative, e perché più facilmente individuabili come atto-
ri politici organizzati, dunque potenziale oggetto di repressione
immediata.
Le madri argentine, sottolineano queste studiose, sono carat-
terizzate da una sorta di “invisibilità politica” che, in una prima fa-
se, ne garantisce l’incolumità. Las locas, “le pazze” di Plaza de
Mayo, non vengono percepite come offensive, ma anzi, si concede
loro uno spazio altrimenti difeso e precluso ad altri soggetti orga-
nizzati. Allo stesso tempo, queste sono oggetto di grande “visibi-
lità metaforica”, in quanto simboli, incarnazioni del culto della ma-
ternità: una fonte di legittimità – in un paese latino e cattolico co-
me l’Argentina – che viene in parte utilizzata ed enfatizzata dalle
stesse Madres. In questo senso la Taylor ci ricorda come la presi-
dentessa Hebe de Bonafini esibisce talvolta i simboli dell’immagi-
nario cristiano della mater dolorosa, come chiodi o altri oggetti che
hanno lo scopo di evocare il corpo trafitto dalla sofferenza. Joe
Fisher richiama la nostra attenzione sulla capacità delle madri di
sfidare l’immagine tradizionalmente attribuita alla maternità di


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. IRRUZIONI

soggetto passivo e apolitico, rendendo invece il loro ruolo «la ba-


se di una condanna dal punto di vista etico della società e dei suoi
valori fondanti», tanto che il loro atteggiamento non violento co-
stituisce un modello di riferimento per altre associazioni di fami-
liari di vittime in America Latina.
Per quanto riguarda l’estensione delle rivendicazioni di que-
sti movimenti femminili dalla sfera del privato a quella del pub-
blico, in rari casi il dolore individuale, oltre a essere elaborato
sotto forma di coscienza politica, si trasforma in consapevolezza
di genere. Fanno eccezione, ad esempio, il movimento di vedove
salvadoregne (Comadres), e guatemalteche (Conavigua), che,
sulla base del doloroso vissuto della violenza sessuale razional-
mente pianificata dai militari come forma di annientamento fisi-
co e morale, matura una critica articolata della condizione fem-
minile in Centro America.
Sul piano concettuale, tuttavia, è importante non confondere
la dimensione delle “donne che lottano per i diritti umani” con
quella dei “diritti umani delle donne”, come se fossero necessaria-
mente complementari. Questa nuova frontiera del diritto interna-
zionale, che tenta di combinare l’universalità dei diritti umani con
la differenza di genere, cioè con «le specificità dei diversi ruoli so-
ciali, culturali e biologici delle donne», appartiene a una storia
per molti versi autonoma.
L’analisi di Elizabeth Jelin si rivela preziosa, a questo proposi-
to, nel dissezionare il binomio “donne e diritti umani” in America
Latina. La storia sociale del subcontinente è stata effettivamente
caratterizzata, nel corso degli ultimi trent’anni, da due lotte che
hanno seguito un corso parallelo. Da una parte, la battaglia per i
diritti delle donne, rappresentata dalla storia del movimento fem-
minista; dall’altra, l’espansione delle organizzazioni per i diritti
umani, al cui interno un ruolo chiave, come si è visto, è stato gio-
cato dalla presenza femminile. Nasce dunque spontanea la do-
manda: esiste un punto ideale di intersezione tra le due? E se esi-
ste, dove si colloca? È possibile dunque parlare del ruolo dei mo-
vimenti di donne nella difesa dei diritti umani, o dei diritti umani


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

delle donne? Dal punto di vista teorico la risposta non è immedia-


ta né lineare.
La prima di queste due storie vede protagoniste le rivendica-
zioni delle femministe latinoamericane e registra diversi preceden-
ti nella prima metà del Novecento, in particolare nel contesto del
Cono Sud, ma si dipana essenzialmente dalla fine degli anni Ses-
santa, quando cresce la visibilità internazionale del movimento
femminista nei paesi del “Nord del mondo”. Da quel momento,
secondo Sonia Alvarez e Francisca Miller, le sfide volte a modifi-
care profondamente la struttura patriarcale dei paesi latinoameri-
cani raccolgono una forma inedita di adesione. I movimenti fem-
ministi articolano le loro rivendicazioni attorno alla sfera della vio-
lenza domestica, la sessualità riproduttiva, il riconoscimento di
uguali diritti nel mercato del lavoro.
La seconda storia, quella delle donne direttamente impegnate
nei movimenti in difesa dei diritti umani, corre in parallelo, ma oc-
casionalmente, in maniera puntuale e non costante, si sovrappone
alla prima. La presenza di donne nelle associazioni di familiari del-
le vittime delle dittature, in altri termini, non implica necessaria-
mente che queste si vedano impegnate nella rivendicazione dei di-
ritti delle donne.
Per meglio spiegare la sovrapposizione concettuale tra le due
storie, che non di rado si tende a formulare, è importante tenere a
mente una singolare coincidenza cronologica. Nel momento in cui
la violazione dei diritti umani diviene un fenomeno diffuso e quo-
tidiano nel continente latinoamericano, anche il movimento inter-
nazionale femminista acquisisce una visibilità senza precedenti sul-
lo scenario mondiale, e nuove occasioni di incontro si verificano
tra femministe europee e nordamericane, da un lato, e latinoame-
ricane dall’altro. Esempio pregnante è il , dichiarato dalle Na-
zioni Unite Anno internazionale della donna e inaugurato con una
conferenza a Città del Messico. In quest’anno Brasile, Uruguay, Ci-
le e Guatemala si trovano già nella morsa di regimi fortemente re-
pressivi, mentre l’Argentina, nel giro di pochi mesi, seguirà lo stes-
so percorso. L’incontro tra le femministe del Nord e quelle del Su-


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. IRRUZIONI

damerica avviene, a sua volta, in una cornice non priva di ambi-


guità e contraddizioni.
Riprendendo il filo delle riflessioni della storica Maria Rosaria
Stabili nel suo saggio sulla genesi e l’evoluzione dei movimenti di
madri in America Latina, infatti,

un elemento da tener presente perché, in un certo senso, complica l’ana-


lisi, si riferisce alla collocazione, direi “ambigua”, dell’America Latina
nello scenario internazionale. Essa condivide con altre realtà extraeuro-
pee situazioni di “ritardo” nel proprio sviluppo e di dipendenza politica
ed economica tanto da essere inclusa nel novero dei paesi definiti “terzo
mondo” ma è, allo stesso tempo, parte integrante dell’Occidente. Negli
ultimi cinque secoli della sua storia essa è stata partecipe sia delle elabo-
razioni teoriche sia dei processi politici in atto in Europa e ha funziona-
to da specchio delle diverse identità nazionali e statuali europee resti-
tuendone un’immagine, in alcuni casi semplicemente deformata, in altri
diversa e ricca di elementi di novità. Dall’Ottocento in poi, liberalismo,
democrazia, socialismo, autoritarismo, femminismo, hanno rappresenta-
to un terreno di incontro e di scontro per i due continenti che si ritrova-
vano sulle sponde opposte dell’Oceano Atlantico.
Le donne latinoamericane, con ritmi e specificità proprie, hanno per-
corso e percorrono gli stessi sentieri delle donne europee e nordamerica-
ne nella conquista dei diritti civili, politici e sociali, esprimendo, in alcu-
ni casi con ritardo, in altri con un certo anticipo rispetto a elaborazioni
teoriche e situazioni organizzative europee e statunitensi. Parlare delle
donne latinoamericane significa dunque parlare anche un po’ di noi, don-
ne europee. Allo stesso tempo però, nel contesto politico e sociale lati-
noamericano, le differenze di genere s’intrecciano, si sovrappongono ed
entrano in conflitto con le differenze etniche e di classe, in modo tanto
complesso da renderle di difficile lettura e comprensione.

L’istintivo parallelo spesso tracciato tra donne latinoamericane in


difesa dei diritti umani e attiviste latinoamericane per i diritti del-
le donne risiede dunque anche in questa particolare congiuntura
stabilita dalla storia.
Nel quadro delle associazioni di donne argentine è essenziale
ricordare inoltre la presenza delle Abuelas de Plaza de Mayo. Da un


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

gruppo di dodici donne in cerca dei loro nipoti scomparsi nasce


nel  l’associazione delle nonne, in parte come necessaria ema-
nazione delle Madres. Molti prigionieri politici sono infatti donne
giovani in stato d’attesa, che i militari, secondo una modalità mu-
tuata dal regime nazista, fanno partorire nei campi di detenzione
clandestina, per poi appropriarsi dei figli appena nati attraverso
adozioni illegali. Centinaia di bambini in Argentina sono cresciuti
sotto falso nome, a partire dal , presso le famiglie degli stessi
militari, o di conoscenti e amici della polizia segreta.
Un’esponente delle Abuelas de Plaza de Mayo di cui si è raccol-
ta la densa testimonianza è Matilde Artés, che usa il nome di batta-
glia “Sacha” da quando è entrata a far parte dell’associazione. Piut-
tosto nota nel panorama degli attivisti per i diritti umani in Argen-
tina, Sacha è stata prigioniera in carcere e torturata in quanto mili-
tante dell’Ejército de liberación nacional fondato dal “Che” Gueva-
ra in Bolivia, poi esiliata a Cuba dove ha subito un’operazione di
riabilitazione e ha ripreso così a camminare. Madre di una desapa-
recida, Graciela, anch’essa combattente armata in Bolivia, presa pri-
gioniera incinta e uccisa, ha dedicato molti anni della sua vita alla
ricerca della nipote nata in un campo di detenzione clandestina e
poi adottata illegalmente. La sua storia, culminata nel ritrovamen-
to della bambina, Carla, in Bolivia, viene riportata in un’autobio-
grafia pubblicata dalla casa editrice Espasa. Dal  risiede sta-
bilmente a Madrid, e ha fornito dichiarazioni di sostanziale impor-
tanza per l’inchiesta del giudice spagnolo Baltasar Garzón a pro-
posito dell’Operazione Condor, piano di collaborazione tra le giun-
te militari di Cile, Argentina, Bolivia, Paraguay e Brasile durante gli
anni Settanta del Novecento.
Nella sua testimonianza, registrata durante un incontro priva-
to a Madrid nell’ottobre del , Sacha ricorda gli obiettivi, le
spinte ideali che le hanno consentito di sostenere emotivamente
una ricerca così complessa. Inizialmente, infatti, tra Madri e Non-
ne di Plaza de Mayo non esiste una particolare distinzione. Nel gi-
ro di alcuni mesi, invece, le madri delle ragazze prese prigioniere
in gravidanza sentono l’esigenza di dedicarsi con maggiore deter-


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. IRRUZIONI

minazione al ritrovamento dei bambini. Attraverso un racconto


che, ancora una volta, conferma la presenza di un panorama non
sempre uniforme e armonico tra i familiari delle vittime, Sacha ri-
sale alle origini della sua partecipazione come nonna:

Perché madri e nonne si sono divise? All’inizio tutte eravamo madri, ma


quando Hebe inizia ad allontanarsi, con la sua retorica… con i suoi in-
sulti di piazza, non permettendoci… perché solo lei doveva parlare, e
nessun altro! Comunque… è successa una cosa molto più importante,
che non tutti sanno, e cioè come si forma Abuelas. Abuelas, anche que-
sta fatta di madri, perché non c’era un’altra associazione, un altro orga-
nismo per i nipoti. E insomma io dico a Hebe De Bonafini, quando dal-
la Spagna torno in Argentina, e inizio a impegnarmi con loro… io già le
conoscevo dal Venezuela [le nonne]… avevo dato loro l’autorizzazione
affinché a mio nome potessero gestire tutte le faccende inerenti a mia fi-
glia, a mia nipote… tutto in segreto, rischiando tutto sulla propria pel-
le, e avvicinandosi al nemico sempre più… a volte anche con dinamiche
inefficaci… quando vado a Buenos Aires a salutare Hebe, mi dice «ma
come, te ne vai con le altre? Invece di rimanere con me?» e io rispondo
«ma no…»… «sai che ti succederà? Ti dimenticherai di tua figlia per cer-
care tua nipote!» mentre io le rispondo «Hebe, se tu non capisci che i
bambini sono… come dire… il filo conduttore… per sapere… chi vera-
mente ha fatto sparire i nostri figli… non sapremo mai che cosa è suc-
cesso ai nostri figli!».
E dunque noi, le nonne… in quel momento ero qui, ma loro… an-
davano a cercare [informazioni] nelle caserme, nei commissariati, e
non risparmiavano gli asili nido, gli ospedali per bambini, i riformato-
ri… Fino a che un giudice onesto, la dottoressa De Jenaute, giudice di
minori di La Plata, chiama quella che all’epoca era la prima presiden-
tessa di Abuelas, Chicha Mariani… […] E le dice «perché non forma-
te un’associazione con una struttura giuridica sufficiente per poter re-
clamare i bambini?», dei quali veniva a sapere tramite il suo ufficio…
Casi di cui, a volte, ignorava la provenienza, mentre altre volte invece
si conosceva perfettamente, ma che doveva per forza mandare agli asi-
li nido… O [presso] altre strutture di accoglienza per l’infanzia, per-
ché certo è che non c’era altro modo di reclamarli, ovvio! Per di più,
in piena dittatura, ma chi li avrebbe richiesti? I genitori erano stati as-
sassinati, o erano fuggiti, o… per questo si è sentita l’esigenza di for-


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mare questa associazione. Perché Hebe de Bonfini non ha voluto as-


solutamente che si formasse una commissione all’interno della sua as-
sociazione. E ci siamo decise… Le Abuelas si sono formate a ottobre
del ’. Stiamo per compiere …  anni!

Emergono con forza, nel corso della narrazione, le ragioni


profonde che la spingono a dedicarsi alla ricerca della bambina,
la “strategia emotiva” secondo la quale Sacha decide di dare
priorità a questa ricerca piuttosto che a quella della figlia desa-
parecida, all’interno di quel contesto di disarticolazione sociale e
psicologica generato dalla repressione di Stato. Un processo che
passa attraverso l’annientamento fisico e morale dei prigionieri.
Da notare, a questo proposito, il riferimento alla tortura, e alle
sue devastanti conseguenze psichiche, particolarmente evidenti
anche nel “non detto”, nella pausa del linguaggio che, come ci ri-
corda Luisa Passerini, a volte esprime più di quanto invece non
facciano le parole:

E così è nata. E quindi ovvio, i miei interessi… quello che avevo per mia
figlia, non c’è dubbio ma… mi viene in mente… non so perché, chi lo
sa, per come ognuno di noi è fatto, per quello che ognuno di noi ha vis-
suto… Io utilizzo molto la logica… i pro e i contro… E allora, analiz-
zando freddamente, con tutto il dolore possibile nel cuore… che cosa ri-
maneva di tutta questa catastrofe, di tutto questo genocidio, con possi-
bilità di vita… Possibilità! I nostri figli erano morti o… impazziti [lun-
ga pausa] o scomparsi. E i bambini? Le nostre figlie erano state portate
via… Molte di loro, con un pancione di otto… quasi partorivano! Altre
invece… di due o tre mesi. Prendendo l’esempio terribile dei nazisti, dei
campi di concentramento, non… si sapeva di niente altro di simile, os-
sia di usare i bambini come bottino di guerra! È lì che va il nostro sfor-
zo, centrato sulla ricerca dei nipoti, è da lì che cominciamo… abbiamo
iniziato benissimo!

Anche Estela Carlotto, attuale presidentessa dell’associazione


Abuelas de Plaza de Mayo, ha espresso attraverso la sua testimo-
nianza una pluralità di riferimenti alla disgregazione familiare e so-
ciale prodotta dalla dittatura. In questa narrazione i protagonisti


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. IRRUZIONI

sono invece i figli dei desaparecidos cresciuti nelle loro famiglie di


origine, dove in molti casi un alone di mistificazione circonda il
reale destino dei genitori nelle versioni fornite loro dai parenti:

Se consideriamo il fatto che la dittatura ha lasciato orfani centinaia di


bambini… al di là di quelli rubati, che è stata una cosa sistematica, ma…
esaminiamo la situazione dei ragazzi che sono rimasti senza genitori. E…
cosa abbiamo concluso? Ebbene, si sa, con situazioni familiari in cui la
nonna, o i nonni, si sono fatti carico di questo nipote, o a volte il papà da
solo quando la madre è desaparecida, o al contrario, solo con la mamma
e senza il padre, si crea una… frustrazione a livello familiare, perché ri-
mane una famiglia incompleta. Per questo motivo abbiamo ragazzi orfa-
ni che sono stati cresciuti dai nonni, dagli zii o da altri, con buona parte
della famiglia in esilio… che hanno vissuto o con il padre, o con la ma-
dre, e con storie molto difficili alle spalle, difficili da… digerire… e mol-
to difficili da capire per loro. Col passare degli anni, trovandoci di fron-
te a queste situazioni, noi nonne abbiamo visto che in alcune famiglie la
scomparsa dei genitori era un segreto di famiglia per i nonni, un tabù…
qualcosa che… non si poteva dire! Una delle nostre nipoti racconta che
quando il nonno e la nonna materna l’hanno cresciuta le dicevano sem-
pre che suo padre e sua madre erano fuori, in viaggio, per cui lei per an-
ni guardava su in cielo ogni volta che un aereo passava… perché magari
i suoi genitori erano lì! Fino a che si è resa conto della realtà, e crescen-
do le è stato detto… in altri casi nemmeno nel momento in cui sono di-
ventati adulti è stata loro raccontata la verità. Il padre era sempre andato
all’estero a cercare lavoro, era fuori, era al Sud… e un giorno sarebbe tor-
nato. È una storia che… non erano in grado di raccontare! Non bisogna
riversare la colpa… piuttosto… diciamo che ogni famiglia ha risolto il te-
ma della desaparición… come ha potuto, ognuno a modo suo! Alcuni di-
cendo la verità, altri occultandola.

Tuttavia, questo quadro apparentemente desolato si chiude con


una nota di speranza, che sottolinea, in questo caso, un invisibile
filo conduttore, un senso di ritrovata appartenenza tra le diverse
generazioni:

E arriva un momento in cui noi nonne, mentre cerchiamo i nostri nipoti,


diciamo: saranno loro che, un giorno, ci verranno a cercare! Quando sa-


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ranno cresciuti, e rifletteranno, e… avranno dei dubbi. La stessa cosa è


avvenuta con i figli dei desaparecidos allevati dalle loro famiglie. Sono cre-
sciuti, e sono loro, adesso, a cercare i loro genitori! Il cammino verso di
noi, i nonni… l’hanno fatto i figli. E dunque nasce questa associazione. È
stata una cosa… molto spontanea, nasce, come saprai, nella città di La
Plata, quando s’inaugura un monumento, e si guardano negli occhi, si ve-
dono, e iniziano a rendersi conto delle cose in comune… molte doman-
de, molti dubbi, molte angosce da risolvere! Per noi, quando ci siamo re-
se conto della nascita formale del gruppo è stato un momento… di gran-
de allegria, perché ci siamo dette: non finisce con noi. Adesso ci sono lo-
ro, loro che ricominciano, che vanno avanti!

La comparsa del movimento dei figli argentini trova dunque il suo


senso all’interno del tracciato appena descritto. Obiettivo prima-
rio dell’associazione è la conservazione della memoria della vio-
lenza, in linea con le associazioni di cui raccolgono simbolica-
mente l’eredità. I loro sforzi sono tesi acché il ricordo divenga par-
te integrante del patrimonio nazionale, e non qualcosa destinato
a morire con gli attivisti più anziani. In questa prospettiva, si rile-
va una forte tensione verso il riscatto morale dei desaparecidos, in-
tesi come “generazione di cittadini mancanti”: individui che, si af-
ferma, con le loro specifiche individualità avrebbero oggi potuto
dare un contributo alla società argentina, cambiandone forse il
profilo. Dice Lucía:

Noi partiamo dal rivendicare la lotta dei nostri genitori. La loro assenza
costituisce un vuoto nella nostra società. Coloro che oggi non sono fisi-
camente nelle nostre case sarebbero i professori, i conducenti di autobus,
i muratori, gli avvocati, gli impiegati, i medici che vivevano tra di noi…
siamo convinti che se oggi fossero in vita, il nostro sarebbe un paese di-
verso. In qualche modo siamo tutti figli di desaparecidos. Per questo ci sia-
mo presi l’impegno di conoscere e raccontare la storia, per dimostrare
che non si sono portati via i nostri sogni con loro. Li facciamo nostri, e
per questo lottiamo.

A proposito di questo invisibile ma tenace legame intergenerazio-


nale, affiorano alla mente le considerazioni di Wieviorka a propo-


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. IRRUZIONI

sito della redazione dei “libri del ricordo” da parte dei testimoni
diretti della Shoah:

La compilazione di questi libri del ricordo corrisponde alla volontà o al-


la necessità di ricordarsi, di far rinascere attraverso le parole stampate un
mondo annientato. È il lavoro collettivo del lutto, che, con i racconti e le
fotografie, mira a ricostruire sulla carta l’oggetto perduto e a descriverne
l’agonia. […] I libri del ricordo pubblicati, circa quattrocento, formano
un corpus omogeneo: sono un insieme di racconti e testimonianze di
un’esperienza vissuta, talvolta resa mitica, da una collettività viva, di fat-
to sopravvissuta. Ogni società funziona malgrado e contro la morte. Ma
esiste solo attraverso, con e nella morte. La sua cultura, un patrimonio
collettivo di saperi, di norme, di forme, di organizzazione, ha senso solo
perché le vecchie generazioni muoiono e perché essa deve essere tra-
smessa alle nuove generazioni. […]
I libri dei ricordi, con le loro litanie di nomi volevano essere un mo-
do per salvare i morti dal nulla. Coloro che redigevano questi libri ono-
ravano un testamento implicito che deve essere compreso nel senso ebrai-
co del Patto: non patto con Dio, ma il patto dei vivi con i morti e dei mor-
ti con i vivi. La specificità di un individuo non esiste mai da sola: è il grup-
po a conferirla. Riscoprire la dimensione singolare significa ricostruire ta-
le collettività e la sua cultura attraverso i materiali del ricordo. Anche in
questo caso, l’individuo si colloca nel collettivo.

Per quanto riguarda l’effettiva incisività dell’operato del movi-


mento per i diritti umani sulla fine della dittatura e l’avvio del
processo di transizione democratica, passata la fase dell’emer-
genza e della denuncia immediata, gli studiosi hanno fornito
ipotesi piuttosto discordanti. Un aspetto su cui invece si rileva
maggior consenso nello studio di questi attori sociali, definiti
dalla Brysk “riserva morale della nazione”, riguarda proprio la
funzione svolta nella costruzione di memoria e identità colletti-
va, in particolar modo nel periodo successivo al regime militare.
Margareth Keck e Kathrin Sikkink evidenziano ad esempio la
valenza della loro “politica simbolica”, definita come «capacità
di richiamarsi a simboli a cui un’audience mediamente restia o
addirittura impaurita risulta invece sensibile». Aspetto essen-


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ziale di questa dinamica diviene allora la promozione di un sen-


so inclusivo di cittadinanza, che attraverso i media, l’opinione
pubblica e i programmi educativi, ricordi oggi gli scomparsi co-
me “cittadini invisibili”. Nel discorso pubblico portato avanti da
questi movimenti, pertanto, i desaparecidos sono rappresentati
come una generazione perduta, un buco nero per l’intera so-
cietà: «Un’identità sociale democratica è storica e inclusiva. La
comunità politica è composta da tutti i cittadini, passati e pre-
senti. Come ci ha spiegato un dirigente sindacale che ha perso
suo figlio, “senza memoria, non c’è democrazia”».
Gruppi come H.I.J.O.S., Madres o Abuelas de Plaza de Mayo ri-
vendicano una chiara assunzione di responsabilità delle istituzio-
ni sui crimini del passato: un processo che, come si vedrà in se-
guito, non è avvenuto affatto seguendo un corso lineare né pro-
gressivo, per lo meno fino ai recenti sviluppi voluti dalla presi-
denza Kirchner a partire dall’estate del . Non a caso diversi
studiosi dell’Argentina contemporanea definiscono i diritti uma-
ni “il debito interno” (la deuda interna), in contrasto con il debi-
to estero, fenomeno che affonda le proprie radici nella storia ar-
gentina ancor prima del XX secolo, ed esplode drammaticamente
a partire dal dicembre .

Note

. Cfr. A. Candina Polomer, El día interminable. Memoria e instalación del  de


septiembre de  en Chile (-), in E. Jelin (comp.), Las conmemoraciones: las
disputas en las fechas “in-felices”, Serie memorias de la represión, Siglo XXI, Madrid
, pp. - e, sempre nello stesso volume, A. Carvalho e L. da Silva Catela,  de
marzo de  en Brasil: memorias deshilachadas, pp. -.
. Cfr. E. Jelin, S. Kaufman, Layers of Memories. Twenty Years after in Argentina,
in T. G. Ashplant, G. Dawson, M. Roper (eds.), The Politics of War, Memory and Com-
memoration, Routledge, London  e K. Lacy Rogers, S. Leydesdorff, G. Dawson
(eds.), Trauma and Life Stories, Routledge, London .
. Cfr. F. G. Lorenz, ¿De quién es el  de marzo? Las luchas por la memoria del
golpe de , in Jelin, Las conmemoraciones, cit., pp. -.
. Ivi, pp.  ss.
. «La memoria si anima e si trasforma in componente attiva del senso di appar-
tenenza di ciascuno a una specifica tradizione storica e culturale, soprattutto quando
diventa oggetto di contesa, quando la spinta tendente a deformare il passato o ren-


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. IRRUZIONI

derlo inoffensivo s’interrompe, o è sottoposta a minacciose interferenze» (cfr. Di Co-


ri, La memoria pubblica del terrorismo, cit., p. ).
. Le citazioni provengono da uno studio di Paolo Pezzino, storico che per mol-
ti anni si è dedicato al rapporto tra storia e memoria delle stragi naziste in Italia. Se-
guendo la sua ipotesi di fondo «lo storico studioso della memoria ha oggi il dovere
di portare alla luce non tanto la memoria egemonica (quella che sostiene la versio-
ne comunemente accettata dei fatti, ovvero la narrazione storiografica prevalente),
quanto quella vera e propria battaglia per (o sulla) memoria che è sempre in atto nei
processi di definizione di identità collettive. Si tratta di partire dal carattere intrin-
secamente conflittuale delle costruzioni sociali e dalla consapevolezza della plura-
lità delle identità, senza sentirsi obbligati a privilegiarne alcuna a scapito di altre»
(P. Pezzino, Memorie divise e riconciliazione nazionale. Il ruolo dello storico, in C.
Fiammingo, A. Pocecco [a cura di], Westfalia si complica. Organizzazioni mondiali
ed individuo come produttori di globalizzazione e riconciliazione, Franco Angeli, Mi-
lano , pp. -).
. Cfr. M. Navarro, The Personal is Political. Las Madres de Plaza de Mayo, in S.
Eckstein (ed.), Power and Popular Protest, University of California Press, Berkeley
; J. Fisher, Out of the Shadows. Women, Resistance and Politics in South America,
Latin American Bureau, London ; M. R. Stabili, Il movimento delle madri in Ame-
rica Latina, in S. Bartoloni (a cura di), A volto scoperto: donne e diritti umani, Mani-
festolibri, Roma , pp. -; R. Arditti, Searching for Life. The Grandmothers of
the Plaza de Mayo and the Disappeared Children of Argentina, University of Califor-
nia Press, Berkeley ; M. Carlotto, Le irregolari. Buenos Aires horror tour, Edizio-
ni e/o, Roma .
. Cfr. la ricostruzione delle origini di questa istituzione in No todo comenzó
en ’. La Triple A (Alianza Anticomunista Argentina), in “H.I.J.O.S.”, , estate ,
pp. -.
. “H.I.J.O.S.”, , , p. .
. Cfr. C. Perelli, Memorias de sangre: Fear, Hope, Disenchantment in Argentina,
in J. Boyarin (ed.), Space, Time and the Politics of Memory, Minnesota Press, Minnea-
polis .
. “Resumen”, aprile , p. .
. “El litoral”,  ottobre , p. .
. Cfr. M. Walker, Una herida abierta. Una relectura de la historia oficial, in “SIC”,
, , p. . Il resoconto dettagliato delle dichiarazioni di Scilingo è stato tradot-
to anche in Italia: cfr. H. Verbitsky, Il volo. Le rivelazioni di un militare pentito sulla fi-
ne dei desaparecidos, Feltrinelli, Milano .
. Ivi, pp. -.
. Un testo che analizza nel lungo periodo il ruolo della Chiesa in Argentina, de-
dicando gli ultimi capitoli al periodo della dittatura del - è L. Zanatta, R. de Ste-
fano, Historia de la iglesia argentina, Grijaldo Mondadori, Buenos Aires . Sulle
relazioni tra chiesa argentina e Santa Sede durante il Proceso de reorganización nacio-
nal, cfr. Zanatta, Il prezzo della “nazione cattolica”, cit.
. Roniger, Sznajder, The Legacy of Human Rights Violations, cit., p. .
. Cfr. M. Carlotto, Hercules, in Buena memoria. Un racconto fotografico di Mar-
celo Brodski, Associazione culturale Ponte della Memoria, SEG, Roma .


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

. E. Jelin, Memorias en conflicto. Debate: entre el pasado y el presente, in “Puen-


tes”, I, , agosto , pp. -.
. Ferretti, La memoria mutilata, cit., p. .
. Cfr. Baschetti, Documentos (-), cit., seguito poi da Id., Documentos
(-), cit.; un anno più tardi uscirà Anguita, Caparrós, La voluntad, cit.
. Cfr. Gillespie, Soldiers of Perón, cit.; Cháves, Lewinger, Los del ’, cit. Per ul-
teriori riferimenti bibliografici di carattere essenzialmente testimoniale, cfr. la nota 
dell’Introduzione a questo testo.
. «A partire dall’evento, comunque, nell’ambito di una memoria di un gruppo
chiuso, che potrebbe essere identificato con la famiglia, viene a costituirsi una memo-
ria individuale. Ma tale memoria non appartiene allo spirito del tempo e non viene
usata politicamente. Affinché l’espressione del ricordo dello Hurbn penetri il corpo
sociale è necessario che la configurazione politica cambi, che la testimonianza assuma
un peso che superi l’esperienza individuale, che alcuni settori della società si facciano
carico di essa. Ciò avverrà con il processo Eichmann. […] Il processo Eichmann ha li-
berato la parola dei testimoni, creando così una domanda sociale di testimonianze, co-
me accadrà più tardi in Francia con altri processi, quello a Klaus Barbie, a Paul Tou-
vier o Maurice Papon» (cfr. Wieviorka, L’era del testimone, cit., pp.  e ).
. Sostiene infatti questa studiosa riguardo alla nuova fase di oblio e la nuova on-
data di silenzi che invade la Russia a partire dal , intensificandosi dopo il  in
seguito all’ascesa dei democratici di Eltsin: «Nascono nuovi silenzi, nuove zone d’om-
bra, nuove amnesie: l’oblio è parte della memoria collettiva, proprio perché questa è
costruzione e autorappresentazione e non esiste, quindi, in sé, scissa dal sistema so-
ciale che la produce. […] Strappata all’oblio del potere sovietico, rivissuta dolorosa-
mente dalla società, la memoria dello stalinismo, dopo gli anni della perestrojka, no-
nostante l’apertura degli archivi e la costruzione di monumenti rischia di essere di nuo-
vo dimenticata. Memoria scomoda, perché inscindibile dalla colpa collettiva, esige un
pentimento che la giovane democrazia russa sembra troppo fragile per poter compie-
re: l’affermarsi delle forze democratiche, nel , avvenuto in nome della negazione
incondizionata e totale della Rivoluzione d’ottobre, ha portato a una nuova rimozio-
ne dello stalinismo» (cfr. Ferretti, La memoria mutilata, cit., pp.  e ).
. Jelin, The Politics of Memory, cit., pp. -.
. Da un’intervista a Hebe de Bonafini in Fisher, Out of the Shadows, cit., p. .
. Sull’“uso politico” della maternità diversi spunti provengono dall’analisi del-
la situazione cilena: cfr. P. Chuchryk, Subversive Mothers: the Women’s Opposition to
the Military Regime in Chile, in S. E. Charlton, J. Everett, K. Staudt (eds.), Women,
the State and Development, State University of New York Press, New York ; cfr.
anche l’analisi di Stabili, I movimenti di madri in America Latina, cit.
. «Ai nostri governanti chiediamo una legislazione che protegga e difenda la fa-
miglia, il pilastro della nostra società. Provvedimenti a favore di un’educazione che as-
sicuri i valori cristiani della tradizione, come mezzi necessari per diffondere cultura e
svaghi sani» (Avellaneda in Taylor, Disappearing Acts, cit., p. ).
. Taylor, Disappearing acts, cit., pp.  ss.
. Cfr. J. Schirmer, Those Who Died for Life Cannot be Called Dead. Women
and Human Rights Protests in Latin America, in “Feminist Review”, , Summer
, pp. -.


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. IRRUZIONI

. Cfr. M. Agosin (ed.), Surviving, beyond Fear. Women, Children and Human Ri-
ghts in Latin America, White Pine Press, New York .
. Si stima infatti che  persone siano state fatte sparire forzatamente nei pre-
parativi dell’evento, e almeno  durante lo svolgimento dello stesso. Cfr. Navarro,
The Personal is Political, cit., p. .
. Nel  alcune madri decidono di separarsi dal gruppo originario, dando vi-
ta alle Madres de Plaza de Mayo, Linea Fundadora. L’origine della scissione è fondata
essenzialmente sul disagio crescente nei confronti di una posizione che non contem-
pla il dialogo con il governo, non accetta risarcimenti di carattere finanziario né rico-
nosce la possibilità del ritrovamento dei corpi dei loro parenti. Lo slogan aparición con
vida (“li vogliamo vedere vivi”) lascia di fatto insoddisfatta la parte più propensa alla
mediazione con le istituzioni politiche. Per un’articolazione ulteriore delle motivazio-
ni della frattura, cfr. Fisher, Out of the Shadows, cit.
. Cfr. M. Feijoo, M. Gogna, Women in Transition to Democracy, in E. Jelin (ed.),
Women and Social Change in Latin America, United Nations Research Institute for So-
cial Development, Ginevra , p. .
. Ivi, p. .
. Il caso cileno è in questo senso emblematico. Per una ricostruzione più detta-
gliata delle iniziative di sussistenza a Santiago del Cile durante la dittatura di Pinochet,
cfr. B. Calandra, Le strategie del sommerso. Economia informale e popolare in Cile du-
rante e dopo il regime di Pinochet, Edizioni Lavoro, Roma ; M. R. Stabili, Fame e
libertà: ollas comunes a Santiago del Cile -, in “Latinoamerica”, , , pp. -
; L. Jansana, El pan nuestro. Las organizaciones populares para el consumo, PET, San-
tiago ; B. Gallardo, El redescubrimiento del carácter social del hambre: las ollas co-
munes, in F. Chateau, B. Gallardo, E. Morales, J. Piña (comp.), Espacio y poder. Los
pobladores, FLACSO, Santiago . Per quanto riguarda invece il complesso delle or-
ganizzazioni popolari, cfr. C. Hardy, Organizarse para vivir. Pobreza urbana y organi-
zación popular, PET, Santiago  e L. Razeto Migliaro, Las organizaciones económicas
populares -, PET, Santiago .
. Taylor, Disappearing acts, cit., p. .
. Fisher, Out of the Shadows, cit., p. .
. Cfr. J. Schirmer, The Seeking of Truth and the Gendering of Consciousness. The
Comadres of El Salvador and the Conavigua Widows of Guatemala, in S. Radcliffe, S.
Westwood (eds.), Viva! Women and Popular Protests in Latin America, Routledge,
London .
. Cfr. C. Scoppa, I diritti delle donne sono diritti umani, in Bartoloni, A volto
scoperto, cit., pp.  ss. Per un excursus sulle politiche di genere all’interno degli or-
ganismi internazionali volti alla difesa dei diritti umani cfr., sempre all’interno dello
stesso volume collettaneo, il saggio di Bartoloni, Introduzione. Politiche e genere nelle
Nazioni Unite, pp. -.
. Cfr. E. Jelin, Women, Gender, and Human Rights, in E. Jelin, E. Hershberg
(eds.), Constructing Democracy. Human Rights, Citizenship and Society in Latin Ame-
rica, Wesview Press, San Francisco , pp. -.
. Ci si riferisce, tra i vari esempi possibili, al caso cileno, che vede la formazio-
ne del MEMCH (Movimiento de Emancipación de la Mujer Chilena) a partire dal .
Per una sintetica ricostruzione dei movimenti femministi in questo paese, cfr. A. Froh-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

man, P. Valdés, Democracy in the Country and in the Home. The Women’s Movement
in Chile, FLACSO, Doc. de trabajo, Serie Estudios Sociales n. , Santiago .
. Cfr. F. Miller, Latin American Women and the Search for Social Justice, Uni-
versity Press of New England, Hanover e London ; N. Saporta Sternbach, M.
Navarro, P. Chuchryk, S. Alvarez, Feminism in Latin America: from Bogotá to San
Bernardo, in A. Escobar, S. Alvarez (eds.), The Making of Social Movements in La-
tin America, Westview Press, San Francisco . Sulla storia del movimento fem-
minista in America Latina e sul coinvolgimento di movimenti di donne nelle asso-
ciazioni in difesa dei diritti umani, cfr. anche J. Jaquette, The Womens’ Movement
in Latin America. Participation and Democracy, Westview Press, San Francisco 
e S. Westwood, S. Radcliffe, Viva! Popular protests in Latin America, Routledge,
London . Una sintesi sulla partecipazione politica delle donne in America La-
tina in una visione di lungo periodo è fornita da A. Lavrín, Women in twentieth-
century Latin American Society, in Bethell, The Cambridge History of Latin Ameri-
ca, cit., VI, pp. -.
. Stabili, Il movimento delle madri in America Latina, cit., pp. -.
. Arditti, Searching for Life, cit., pp. -. Una raccolta di testimonianze diret-
te delle Nonne di Plaza de Mayo sulla ricerca e il ritrovamento dei nipoti, è J. E. No-
siglia (comp.), Botín de guerra, Editorial La Página, Buenos Aires .
. Cfr. M. Artés (“Sacha”), Crónica de una desaparición. La lucha de una Abuela
de Plaza de Mayo, Espasa, Madrid . Matilde attualmente vive a Madrid con la ni-
pote e le due bisnipoti (una si chiama Graciela, come la figlia scomparsa). Nel 
fugge in Spagna in seguito a diverse minacce. Nel , dopo le elezioni del democra-
tico Alfonsín, torna a vivere in Argentina. Non vi rimarrà per più di tre anni, perché
profondamente a disagio rispetto a molti retaggi di autoritarismo che, a partire dal
comportamento della polizia che la scorta, ostacolano il normale svolgimento della sua
quotidianità e di quella della nipote. Pertanto ri-sceglie la condizione dell’esilio, e dal
 risiede stabilmente in Spagna.
. Sui meccanismi di funzionamento di questo piano di collaborazione tra le for-
ze armate di Cile, Argentina, Uruguay, Paraguay e Brasile che prevedeva, ad esempio,
l’intercettazione e lo scambio di prigionieri politici, cfr. la recente inchiesta della gior-
nalista cilena Patricia Verdugo, Il Condor nero, Sperling & Kupfer, Milano . Cfr.
anche E. Cuya (comp.), La operación Condor. El terrorismo de estado de alcance tran-
snacional, pubblicato sul sito web della ONG spagnola Equipo Nizkor: www.dere-
chos.org.
. Intervista con Matilde Artés, Madrid,  ottobre , archivio personale.
. Sui silenzi, gli scarti, i “non detti” che emergono dalle fonti orali, considera-
zioni dense di significato emergono in L. Passerini, Fonti orali: utilità e cautele, in “Sto-
rie e Storia”, Roma, aprile ; Id., Sull’utilità e il danno delle fonti orali, in Id., Sto-
ria orale. Vita quotidiana e cultura materiale delle classi subalterne, Rosenberg & Sel-
lier, Torino .
. Intervista con Matilde Artés, cit.
. Intervista con Estela Carlotto, Roma,  novembre , archivio personale.
. Ibid.
. In “Resumen”, aprile , p. .
. Cfr. Wieviorka, L’era del testimone, cit., p. .


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. IRRUZIONI

. Si oscilla tra chi sostiene una diretta e visibile influenza sul declino della le-
gittimità del regime e chi invece considera quasi nullo il loro apporto, evidenziando
altre dinamiche come fattori determinanti, come ad esempio i mutati equilibri di for-
za tra potere civile e militare dopo la sconfitta nella guerra per le isole Falkland-Mal-
vinas del , come si vedrà più dettagliatamente nel capitolo III. Due esempi di po-
sizioni discordanti: Brysk, The Politics of Human Rights in Argentina, cit., cap. X e D.
Pion Berlin, To Prosecute or to Pardon? Human Rights Decisions in the Latin America
Southern Cone, in N. J. Kritz (ed.), Transitional Justice. How Emerging Democracies
Reckon with Former Regimes, United States Institute for Peace, Washington DC ,
pp.  ss.
. M. Keck, K. Sikkink, Activists Beyond Borders. Advocacy Network in Interna-
tional Politics, Cornell University Press, Ithaca , pp. -.
. Brysk, The Politics of Human Rights in Argentina, cit., p. .
. Per una sintesi agevole sulle cause del tracollo dell’economia argentina sul lun-
go periodo, cfr. L. A. Romero, Le radici storiche del crollo argentino, in “Contempo-
ranea. Rivista di storia dell’ e del ’”, VI, , aprile , pp. -.


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Identità

.
H.I.J.O.S.: la struttura

H.I.J.O.S. non possiede una struttura gerarchica. Le decisioni vengo-


no prese in sede di assemblea plenaria, che si riunisce di norma una
volta a settimana, con alcune eccezioni a seconda delle sedi regiona-
li. Le varie attività si articolano in distinte commissioni di lavoro, va-
riabili da provincia a provincia.
A Buenos Aires, la Commissione Finanze gestisce i modesti fon-
di dell’associazione, che è prevalentemente autofinanziata, e usu-
fruisce occasionalmente di donazioni di persone esterne, spesso stu-
denti universitari. La Commissione Stampa si occupa di archiviare
sistematicamente tutte le notizie pubblicate sulla questione dei di-
ritti umani violati durante la dittatura. Nella Commissione Arte e
cultura si dà libero sfogo alla creatività attraverso laboratori di tea-
tro, pittura e fotografia. Emblematica, a questo proposito, è la mo-
stra fotografica Arqueología de la ausencia (Archeologia dell’assen-
za) di Lucila Quieto, esposta a Torino nel mese di maggio  e at-
tualmente itinerante in Europa. Sono foto in bianco e nero, frutto
di montaggi di fotografie di padri e figli, introdotte da questa breve
premessa da parte dell’autrice:

Mi mancavano foto dei miei genitori insieme, foto dei miei con me, vole-
vo vedere come sarebbe venuta la nostra immagine insieme, e quindi ho
deciso di crearla. La tecnica è un prodotto sperimentale, in realtà è solo
la prima fase di un lavoro che è allo stesso tempo una ricerca sulla mia
identità e che mi piacerebbe trasmettere anche ai miei compagni.

A commento della sua foto, sovrapposta a una vecchia immagine


del padre proiettata sul muro, Lucila aggiunge:


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

Negli occhi di mio padre vedo l’oceano. Lavorava nel porto di Buenos
Aires. Faceva politica nel barrio di Mataderos. Era un Montonero. L’han-
no sequestrato il  agosto del . Si chiamava Carlos Alberto Quieto.
Io mi chiamo Lucila. Ho  anni. Sono una fotografa. Nelle mie opere
unisco il passato al presente per non dimenticare. Il presente al futuro per
rivendicare giustizia.

Di seguito, alcune delle problematiche attinenti al funzionamento


delle varie commissioni dell’associazione, partendo dal gruppo di
lavoro che ne rappresenta, in un certo senso, la porta d’entrata.

.
Frattura e ricostruzione: Identità

Com’è evidente dai ricordi di Ernesto sulla giornata di comme-


morazione organizzata presso l’Università di La Plata nel ,
molti figli hanno avuto fin dal primo momento la sensazione di po-
ter condividere con gli altri – seppur con fatica e superata la prima
fase di diffidenza – parti essenziali del proprio vissuto. Per descri-
vere le sensazioni provate negli incontri iniziali, particolarmente
appropriata sembra la metafora dello specchio. Lo specchio come
strumento del riconoscersi, di prospettiva sugli altri, e, soprattut-
to, su una parte di se stessi a lungo celata.
Altra immagine utilizzata più volte è quella dello sguardo. L’ar-
ticolo di apertura del numero  della loro rivista è intitolato, ap-
punto, La mirada:

Cosa vedi quando mi vedi. Quando la bugia è verità. Le nostre storie so-
no diverse. Le nostre vite sono state diverse. Ma lo sguardo è lo stesso.
Chiudiamo gli occhi e iniziamo a guardarci dentro. Vediamo i ricordi co-
me foto, cartoline di un tempo che è rimasto congelato. Nel freezer del-
la nostra memoria.

Pensando a H.I.J.O.S. come significativo esempio di socializzazione


di memorie individuali, immaginiamo il funzionamento della com-
missione che in molti casi i membri frequentano nella prima fase


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. IDENTITÀ

di partecipazione all’associazione, la Commissione Identità. Si par-


te dal racconto dei singoli partecipanti, esposto al gruppo: ognu-
no narra la propria storia e inizia così a rompere il silenzio. Come
si deduce dai commenti presenti nella rivista, nelle riunioni i ra-
gazzi raccontano talvolta cose che non hanno mai avuto il corag-
gio di dire, o vengono a sapere dai compagni di vicende che erano
state loro taciute, magari da un ambiente familiare troppo protet-
tivo o spaventato dal ricordo, com’è emerso con evidenza dalla te-
stimonianza di Estela Carlotto.
A questo proposito vale la pena ricordare la narrazione di Pa-
blo, incontrato a Ferrara in occasione di un festival sui diritti uma-
ni in Argentina per portare la sua testimonianza come figlio di de-
saparecidos e membro attivo dell’associazione H.I.J.O.S. di Buenos
Aires. Il padre, ex militante dell’Ejército Revolucionario del Pue-
blo (ERP) e attivo nel sindacato di una grande impresa metallurgi-
ca, viene sequestrato, e poi desaparecido a opera della Triple A nel
novembre del , diversi mesi prima del colpo di Stato, quando
già la violenza politica è imperante. La madre, anch’essa militan-
te dell’ERP, viene prelevata dalla polizia segreta del regime mentre
tenta di fuggire verso la frontiera brasiliana. Pablo era con lei in
quel momento, aveva circa quattro anni, e di quell’episodio ri-
corda molto poco. Da come racconta la dinamica del preleva-
mento forzato del padre, si evince come sia venuto a conoscenza
della sua drammatica vicenda familiare. Secondo la sua versione,
questo non avviene prima degli undici anni, e attraverso una mo-
dalità confusa, in cui s’intrecciano elementi di verità e mistifica-
zione, speranze e proiezioni ideali. Tutti elementi che rispecchia-
no di fatto – proprio come racconta la Carlotto – le soluzioni adot-
tate all’interno di ogni famiglia argentina, che ha dovuto affron-
tare e si è fatta carico di trasmettere “a modo suo” la realtà delle
scomparse forzate: soluzioni, come si è visto, non sempre coeren-
ti e lineari. Dice Pablo:

No… non ricordo bene ma… o mi avevano detto che i miei genitori era-
no morti… o… non ricordo! Mi ricordo che avevo sette o otto anni e…
è incredibile, non ricordo bene, ti giuro… beh, non è poi così incredibi-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

le ma… ricordo che dicevo ai bambini del mio quartiere che i miei lavo-
ravano in Francia ma sai, ero un bambino strano… molto introverso…
[abbassa la voce].

La confessione della nonna, che avviene in un momento apparen-


temente banale, inaspettato, inserito nella quotidianità familiare, si
rivela eccezionale e allo stesso tempo incomprensibile per l’adole-
scente Pablo. Dall’intimità familiare, il ragazzo si trova, in un cer-
to senso, improvvisamente “aggredito dalla storia”:

Ero arrabbiato, un po’ arrabbiato, ero molto introverso, stavo… in un


mondo tutto mio! Però ricordo che mia nonna me lo ha detto. Questo
sì, lo ricordo bene, sono uscito dal bagno e me lo ha detto. Mi stavo
asciugando, esco dal bagno e mia nonna… me lo racconta. Io non capi-
vo, gliel’ho chiesto un’altra volta, non ricordo ma… credo che non ca-
pissi questa faccenda dei desaparecidos, me lo doveva ripetere… E cre-
do che… Non riuscivo a capire, era come se… immagino che ci sarà sta-
ta una forma di rimozione… ma anche mia nonna ha fatto confusione,
perché lei fino al … non so quando, fino all’, ’, stava ancora
aspettando… proprio così!
Certo, posso immaginare il perché della confusione con i desapare-
cidos. Mia nonna fino all’, ’, io avevo… tredici, tredici anni, e mia
nonna, ancora in quegli anni, pensava che i desaparecidos potessero es-
sere vivi, potessero tornare! […] Perché vedi, in molti pensavano che i
desaparecidos sarebbero tornati. Che potevano essere prigionieri, e ma-
gari li avrebbero liberati, che erano da qualche parte, oppure che li ave-
vano tenuti prigionieri in qualche carcere chissà dove… e mia nonna
credeva… non so se credeva, ma sicuramente aveva la speranza che…
sicuramente tutto questo mi è arrivato, con tutta la confusione annessa
e connessa!

Attraverso la partecipazione alla Commissione Identità, i figli ini-


ziano così a ricomporre i frammenti di un’identità infranta. La si-
militudine dei vissuti infonde loro coraggio, li aiuta a dare una for-
ma propositiva e attiva al dolore.
Matilde ha fornito la sua testimonianza presso l’Università
Roma Tre, all’interno del modulo monografico I diritti umani in


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. IDENTITÀ

America Latina tra storia e memoria, nel giugno del , in qua-
lità di figlia di una vittima del regime. Originaria di La Plata, cit-
tadina universitaria a poche decine di chilometri dalla capitale
federale, è figlia di una studentessa di filosofia attiva nell’ambi-
to dell’università e di un avvocato, impegnato fin dall’adole-
scenza nel comitato giovanile della Unión Cívica Radical, poi
membro influente del partito e avvocato attivo nella CGT (Con-
federación General de Trabajadores), uno dei maggiori sindacati
argentini. Tra i suoi compiti principali c’è dunque la difesa dei
lavoratori, compresi i numerosi prigionieri politici. Il padre di
Matilde è una figura decisamente scomoda al regime, che infat-
ti lo sequestra e lo uccide pochi mesi dopo il colpo di Stato. In
seguito a questo episodio, la madre si rifugia in Venezuela assie-
me alle due figlie piccole, e lì trascorrono diversi anni in esilio,
fino a che, dopo una breve parentesi di rientro in Argentina in
seguito alle elezioni democratiche del , vengono a vivere in
Italia per motivi di lavoro.
Matilde ricorda a proposito dell’associazione H.I.J.O.S., a cui ha
sporadicamente partecipato durante i suoi soggiorni argentini:

Diciamo che quest’associazione è nata con l’idea… [si schiarisce la voce]


non era assolutamente un movimento politico, inizialmente, ma è nata
con l’idea di ricostruire, di aiutare ognuna delle persone che faceva par-
te di questo gruppo a… ricostruire il proprio puzzle. L’idea iniziale era
questa, ed era un’idea… bellissima. Un’idea importantissima.

La Commissione Identità rappresenta, a detta dei membri, una


sorta di porta d’entrata, un luogo in cui si condividono in un lega-
me unico istanze politiche e affettive, il dire, il fare, il sentire. Que-
sta fase del tutto intima e privata precede dunque l’azione pubbli-
ca e collettiva. Il parziale recupero dei vissuti individuali funziona
in un certo senso da “ricomposizione del puzzle”.
La finalità di questa commissione, tuttavia, non è solo quella di
costituire una sorta di psicoterapia di gruppo, come forse verreb-
be istintivo pensare, un luogo in cui si condividono vissuti doloro-
si e si assume coscienza delle profonde conseguenze di tali espe-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

rienze nelle vite dei singoli. Esiste infatti un versante pubblico di


questo lavoro, rappresentato da Hermanos (Fratelli), un sotto-
gruppo di Identità che collabora con le Nonne di Plaza de Mayo
nella ricerca dei nipoti scomparsi.
L’ostinata ricerca delle nonne, animata da quella che Rita Ar-
ditti definisce una methodology of hope, “metodologia della spe-
ranza”, porta infatti durante il governo del radicale Raúl Alfonsín
(-) al ritrovamento di oltre cinquanta bambini. Questi
vengono individuati con una tecnica di riconoscimento che per-
mette di stabilire con un margine di certezza del , % la pater-
nità di un individuo mediante l’utilizzo di informazioni genetiche
provenienti dalla nonna, anche in assenza del genitore. Le Abue-
las riescono infatti a entrare in contatto con un gruppo di ricer-
catori dell’Università di Berkeley, in California, che perfeziona
questa tecnica, e nel  ottengono l’istituzione di una banca da-
ti a livello nazionale. Questo luogo manterrà le informazioni ge-
netiche delle nonne fino al . Chiunque lo desideri potrà quin-
di sottoporsi al test, e stabilire con certezza la propria origine.
Nel corso di questi anni, inoltre, le nonne collaborano con diver-
se agenzie delle Nazioni Unite, in particolare quella per i diritti
dei bambini, l’UNICEF, e contribuiscono così anche alla stesura di
alcuni articoli della Convenzione sui diritti dell’infanzia. Ricor-
diamo in particolare la prima parte, l’articolo , che si riferisce al
diritto del minore all’identità:

. Gli Stati parti si impegnano a rispettare il diritto del fanciullo a pre-


servare la propria identità, ivi compresa la sua nazionalità, il suo nome e
le sue relazioni familiari, così come riconosciute dalla legge, senza inge-
renze illegali.
. Se un fanciullo è illegalmente privato degli elementi costitutivi della
sua identità o di alcuni di essi, gli Stati parti devono concedergli adegua-
ta assistenza e protezione affinché la sua identità sia ristabilita il più ra-
pidamente possibile.

Consapevole della visibilità acquisita a livello internazionale nel


corso degli anni, Sacha ricorda con una punta di orgoglio:


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. IDENTITÀ

Quest’anno siamo state candidate al Premio Nobel, e lo dico con orgo-


glio: ce lo meritavamo, veramente, per… tutti questi anni di lavoro! E
un lavoro che… è utile, è stato utile, e continuerà a essere utile per l’u-
manità! Per la questione dei bambini: nella Dichiarazione dei diritti
umani del bambino c’è l’articolo , sull’identità… questo è per tutti i
bambini del mondo! È lì, ed è stato fatto dalle Abuelas… anche lo svi-
luppo di quello che oggi si conosce come DNA, è stato grazie alle Abue-
las de Plaza de Mayo. Lo sviluppo della genetica... […] per prima cosa
si è cominciato con le analisi di istocompatibilità. Le nonne hanno se-
tacciato il mondo scientifico per cercare chi poteva scoprire qualcosa
che ci aiutasse a riconoscere l’identità di un nipote o una nipote che…
non conoscevamo. L’hai letto da qualche parte? È stata la dottoressa
Mary Claire, dell’Istituto per lo Sviluppo della Scienza… ebbene, que-
sto è successo grazie alla lotta delle nonne. E poi, questa scoperta del-
l’analisi di istocompatibilità ha preso sempre più corpo, sempre più…
fino ad arrivare a quello che oggi si chiama DNA, che ora non serve so-
lamente nel campo della scienza ma anche nel campo della giustizia.
Oggi lo usano gli investigatori di polizia… Quindi, pensa bene a che
contributo… enorme, abbiamo dato!

La questione dei nipoti scomparsi ha avuto eco presso diversi


centri europei di solidarietà. Un esempio significativo è il grup-
po francese ACAT, Associazione Cristiana per l’Abolizione della
Tortura, che verso la metà degli anni Ottanta ha prodotto nume-
rosi dossier di riflessione, cercando di sensibilizzare un ampio
pubblico. Dopo una lunga battaglia giudiziaria, a partire dal
 l’associazione delle nonne ottiene l’obbligatorietà del test in
tutti i casi di paternità incerta, e venti bambini sono restituiti al-
la loro famiglia biologica. Alcune centinaia di casi rimangono an-
cora in sospeso, poiché il reato di sottrazione di minori non è co-
perto dalle leggi generali di indulto che, come si vedrà nel terzo
capitolo, vengono emanate dal presidente Menem (-). La
costituzione delle nonne come parte civile ha aperto dunque una
nuova breccia nel muro di impunità che, fino al , ha protet-
to i colpevoli in questo paese.
Sul complesso nodo delle eventuali restituzioni dei nipoti al-
le famiglie di origine, l’opinione pubblica argentina è stata divi-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

sa per anni, a volte commossa, altre scandalizzata. Numerosi in-


contri collettivi organizzati dalle Abuelas hanno costituito a que-
sto proposito un terreno di confronto importante, accogliendo i
contributi incrociati di diverse figure professionali. In questa se-
de, è scaturito infatti un intenso dibattito tra psicologi dell’età
evolutiva, giuristi, familiari delle vittime, militanti delle associa-
zioni per i diritti umani. Qual è il confine tra il diritto delle fa-
miglie biologiche a riavere i propri nipoti e raccontare loro la ve-
rità, e la possibilità, invece, di creare un ulteriore trauma allon-
tanandoli dal nucleo che, seppur nella mistificazione, li ha effet-
tivamente cresciuti per anni?
Sull’eventuale legittimità della restituzione riflette ancora Sa-
cha in un continuo contrappunto tra il nosotras, “noi”, pronome
plurale che sta a rimarcare la sua appartenenza al gruppo di Abue-
las, e il yo pienso, yo creo que, sintomo di una rielaborazione pri-
vata di un nodo così complesso:

Si è creata una rivoluzione anche nel campo della psicologia… noi non-
ne abbiamo mantenuto contatti con le associazioni di genitori adottivi,
soprattutto con quelle svedesi. Perché… a differenza di altri paesi, lì i
ragazzi si possono emancipare all’età di  anni. Quindi la disperazione
di questi genitori adottivi era che quando i bambini, arrivati a una cer-
ta età, si rendevano conto di esser stati adottati, se ne andavano di ca-
sa! E volevano l’appoggio del governo. […] Ma perché i nostri bambi-
ni hanno avuto una reazione completamente diversa da loro? Ebbene,
le conclusioni a cui si arriva dopo anni di tante ricerche… con un’e-
quipe di psicologi venuti da tutte le parti del mondo… è stata che noi
nonne dicevamo la verità! E che sempre… insomma, si è trattato di
un’adozione legittima, corretta… un gesto d’amore. Perché adottare un
bambino… che non è frutto… e lo adotti come tuo è un gesto di amo-
re meraviglioso! E proprio perché è un atto d’amore… deve esser fon-
dato sulla verità. E al bambino, una volta arrivato a una certa età… che
si tratti di genitori adottivi o meno, bisogna dire da dove viene. Indi-
pendentemente dal fatto che, in questo caso, forse non si sa chi è la ma-
dre né il padre! E viene la sindrome dell’abbandono, perché? Perché
sono bambini abbandonati. La differenza con i nostri bambini è che
quando si dice loro la verità, fondata sulla giustizia, sanno… che non


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. IDENTITÀ

sono stati abbandonati. E che c’è sempre stata dietro di loro una fami-
glia che li cercava, per cui non soffrono questo processo di abbandono.
Vengono crisi di altro tipo, piuttosto….

Di certo, per quanto espressione di una posizione ferma sulle con-


quiste ottenute, la narrazione di Sacha fa trapelare il senso della fa-
tica, le contraddizioni, la complessità nel ristabilire un rapporto
umano e affettivo con il nipote ritrovato:

Avvengono continuamente cambiamenti molto, molto profondi… Ti di-


cevo, nel caso di mia nipote, che sì, ha voluto venirsene con me… questo
non vuol dire che mi abbia accettato… meravigliosamente! Ci sono vo-
luti anni… e quando dico anni… uno, due anni, non di meno, perché mi
accettasse… perché all’inizio mi diceva “signora”. No, all’inizio niente.
Poi ero “signora”, e un bel giorno mi ha detto abue . E ancora oggi io so-
no abue. Hai capito? Questi bambini, che abbiamo cercato per il mondo
intero, e amato… senza conoscerli… perché sono i figli dei tuoi figli… La
differenza però, rispetto ad altri bambini… è che arrivi tu, di colpo, e gli
cadi lì, come da un paracadute! Una nonna di cui non avevano la mini-
ma idea. Ti rendi conto? È terribile per loro!

Tuttavia, per quanto riguarda i rari casi dei ragazzi che, venuti a co-
noscenza della loro vera origine, hanno preferito rimanere presso
le famiglie adottive, non trapela nessun tipo di comprensione,
quanto piuttosto la profonda avversione per quelli che lei defini-
sce “gli aguzzini”:

E adesso torniamo al momento attuale: perché si rifiutano. […] Non


si può far finta, per quanto questo ci costi, separare… l’ambiente, il cir-
colo dove questo nipote o questa nipote è cresciuto… al cento per cen-
to in mani fasciste! Vale a dire: o direttamente implicati o… ideologi-
camente affini. Ed è proprio questa ideologia che i più piccoli… vivo-
no. Questi ragazzi sono stati cresciuti con l’idea che il comunismo…
Tra l’altro, altra cosa che… io credo che l’Argentina è il posto con me-
no comunisti al mondo... [e ride] perché dopo il , quando si crea il
Partito comunista argentino… non è affatto come per gli altri. Co-
munque, l’ambiente di questi bambini è tremendo. E quando al bam-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

bino si dice che non è figlio di quelli che pensava essere i suoi genito-
ri… c’è una reazione violenta, contraddittoria… che con il tempo si va
metabolizzando… Perché alcuni di loro (sono la minoranza) non sono
voluti andare a vivere con la famiglia biologica, altri sì, altri hanno ac-
cettato una famiglia intermedia… altri ancora sono ritornati con gli
aguzzini. […] Ma… nel caso di quelli che sono tornati, comunque, nes-
suno ci è rimasto più di un anno. Il caso dei gemelli Miara, uno dei ca-
si maggiormente manipolati dalla destra… quello che ha scelto di tor-
nare… se n’è andato via, prima ancora che finisse l’anno. E poi se n’è
andato anche l’altro. E certo è curioso che, al di là dell’aspetto econo-
mico, che certamente conta… c’è anche una parte che ha a che vedere
più con l’inconscio, col subconscio e… insomma tutti e due sono an-
dati a riscuotere i risarcimenti finanziari per i loro genitori! E poi
ognuno se n’è andato via.

Le risposte a questo delicatissimo nodo problematico – da cui è


nato in Argentina uno specifico filone di psicologia dell’età evo-
lutiva – sono ovviamente molteplici: provengono dal mondo del-
la politica, della cultura, della psicoanalisi, dell’arte, e variano
decisamente a seconda dei casi particolari. Troviamo ad esempio
suggerimenti interessanti nel film La historia oficial di Luis
Puenzo, Oscar al miglior film straniero , o H.I.J.O.S. Figli, del
regista italo-argentino Marco Bechis (). Sulla questione na-
sce inoltre un filone di narrativa, sia per bambini che per adul-
ti, e di inchiesta-denuncia, come il libro del giornalista Italo
Moretti, che ha vissuto in prima persona il dramma argentino ri-
portandone le dinamiche all’opinione pubblica italiana con
grande lucidità. Nella raccolta di riflessioni e racconti brevi
Memoria del fuego, anche lo scrittore Eduardo Galeano offre il
suo contributo, narrando sinteticamente la storia di una bambi-
na ritrovata:

. Lima. Tamara vola due volte.


Rosa era stata torturata, sotto il controllo del medico, che di tanto in tan-
to interrompeva i militari, violentata e fucilata con pallottole fittizie.
È stata otto anni in carcere, senza processo e senza nessuna spiega-
zione, fino a che, l’anno scorso, viene espulsa dall’Argentina. Adesso, nel-


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. IDENTITÀ

l’aeroporto di Lima, aspetta. Dalla cima delle Ande, sua figlia Tamara le
viene incontro volando.
Tamara viaggia accompagnata da due nonne che l’hanno ritrovata.
Divora tutto ciò che le viene servito in aereo, senza lasciare né una bri-
ciola di pane né un granello di zucchero.
A Lima, Rosa e Tamara si scoprono. Si guardano allo specchio, in-
sieme, e sono identiche: gli stessi occhi, la stessa bocca, gli stessi nei ne-
gli stessi posti.
Quando cala la sera, Rosa fa il bagno alla figlia. Nel metterla a letto,
sente un odore dolciastro, di latte; e le fa il bagno di nuovo. E di nuovo.
Ma per quanto sapone possa usare, non c’è modo di toglierglielo da dos-
so. È un odore strano… e d’un tratto capisce. È l’odore dei bebè non ap-
pena finiscono la poppata: Tamara ha dieci anni e questa sera profuma di
bambino appena nato.

L’azione della Commissione fratelli di H.I.J.O.S. s’inserisce dun-


que in questo contesto, sostenendo le azioni legali delle Abuelas
attraverso la raccolta di informazioni sui casi sospetti ed eserci-
tando una diffusa opera di sensibilizzazione al tema. Un volanti-
no da loro distribuito nelle strade di Buenos Aires, raffigurante
il volto di un ragazzo con un velo che gli viene strappato dagli oc-
chi, così recita:

Ci sono  ragazzi scomparsi, che ancora non conoscono la propria


identità.
Tu potresti essere uno di loro.
Tu potresti conoscerne uno.
Aiutaci a trovarti!

Si tratta di un lavoro capillare, lento e complesso, esteso sul terri-


torio della vasta provincia argentina, laddove la repressione ha col-
pito non meno duramente, ma a volte è passata più inosservata ri-
spetto alla capitale. Ricorda Estela Carlotto:

Il nostro impegno era molto ben focalizzato al ritrovamento dei bambini


scomparsi. Oltre a esigere verità e giustizia, e indagare su cosa è succes-
so ai loro genitori, il punto è trovare i fratelli, i nipoti che ancora manca-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

no all’appello. Per questo si forma un gruppo, e a questo aderiscono i ra-


gazzi della provincia argentina per stimolare la ricerca dei nipoti. Perché
l’Argentina è enorme, e per questo in ogni singola provincia il gruppo di
H.I.J.O.S. con il sottogruppo Hermanos si vede impegnato nel ricevere de-
nunce, portare avanti le ricerche, corroborare l’esistenza di quelli su cui
già pende una denuncia. È una forma di collaborazione molto importan-
te, e periodicamente quando si riuniscono in assemblea noi andiamo, an-
diamo lì da loro o loro vengono nella nostra sede, dall’interno, dalla pro-
vincia, fanno migliaia di chilometri per venire… a raccontarci il loro per-
corso di ricerca, sempre riferito a un caso specifico, che può essere uno
dei nipoti di cui siamo in cerca….

.
Homenajes: il presente come storia

Altro compito della Commissione Identità è l’organizzazione di


homenajes, giornate di commemorazione in ricordo dei genitori
scomparsi e delle associazioni nelle quali, in diversi casi, questi mi-
litavano durante gli anni Settanta. Anche questa attività pubblica
è il frutto di un processo maturato precedentemente in forma pri-
vata, che passa attraverso il recupero del ricordo del genitore de-
saparecido, assassinato o esiliato. Un’esigenza condivisa da tutti i
membri di H.I.J.O.S., come si evince dalla loro rivista. Fin dall’in-
contro presso la Facoltà di Architettura di La Plata, infatti, si no-
ta come il collocare nello spazio e nel tempo i genitori sia una ne-
cessità essenziale per intraprendere un percorso di militanza. Ri-
corda un partecipante:

[Durante quell’incontro]… per la prima volta qualcuno ci diceva «tuo


papà era il più tranquillo, tua mamma era la prima a parlare nelle assem-
blee»….

E ancora, dice Matilde:

Tornando in Argentina ho preso parte al comitato studentesco del liceo,


perché sono arrivata a fare i primi sei mesi del liceo lì. Tra l’altro, sono
andata nella scuola dov’era stato mio padre, quindi questo cognome… Si


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. IDENTITÀ

conosceva, no? E lì ho iniziato a inserirmi. Andavo anche nella sezione


principale dell’UCR, del Partito radicale, andavo sempre a sentire che suc-
cedeva… effettivamente non sono mai entrata così tanto… ero molto gio-
vane. Ed era… andavo molto più per una questione emotiva, e affettiva.
Era molto bello andare in un posto dove mi parlavano… di mio padre.
E… mi dicevano chi era stato, cosa aveva fatto… C’è sempre questo bi-
sogno di andare da qualcuno per sapere cosa è successo, che ti può rac-
contare, che ti può aggiungere qualcosa a quel fatto… a quel puzzle che
tu man mano fai….

Il riscatto dell’identità passa dunque essenzialmente attraverso


due fasi. Quella del percorso individuale di ogni ragazzo, me-
diante il confronto con le storie di vita altrui; quella dell’identità
dei genitori, grazie al racconto familiare e alla documentazione
pubblica, processo che sfocia nell’organizzazione di giornate col-
lettive di ricordo.
Ma quale tipo di ricordo? Esistono tanti modi di ricordare, so-
stengono i figli, diverse possibilità di recuperare l’immagine della
“generazione di cittadini scomparsi”. All’interno di quella com-
plessa trama di rapporti tra memoria e potere, come ci ricorda lo
storico Jacques Le Goff, i ricordi, gli oblii, le manipolazioni, s’in-
trecciano costantemente:

Da ultimo, psicologi e psicoanalisti hanno insistito, sia a proposito del ri-


cordo, sia a proposito dell’oblio, sulle manipolazioni, consce o inconsce,
esercitate sulla memoria individuale dall’interesse, dall’affettività, dall’ini-
bizione, dalla censura. Analogamente, la memoria collettiva ha costituito
un’importante posta in gioco nella lotta per il potere condotta dalle forze
sociali. Impadronirsi della memoria e dell’oblio è una delle massime oc-
cupazioni delle classi, dei gruppi, degli individui che hanno dominato e
dominano le società storiche. Gli oblii, i silenzi della storia sono rivelato-
ri di questi meccanismi di manipolazione della memoria collettiva.

Nel terreno di confronto che Paul Ricoeur definirebbe la dialetti-


ca esistente tra memoria e oblio all’interno dello spazio politico,
le autorità argentine hanno elaborato – secondo ciò che si legge
nella rivista dei figli – “politiche di amnesia istituzionalizzata” e


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 90

L A M E M O R I A O S T I N ATA

cancellato il ricordo delle vittime. Oppure, sostengono i ragazzi,


quando il ricordo c’è stato, è avvenuto all’interno di una massa
anonima e indistinta di “vittime della democrazia”, meccanismo
considerato altrettanto pericoloso. Secondo questa visione, rite-
nuta semplicistica e mistificante, durante la dittatura i desapareci-
dos non sono mai esistiti – o comunque sono stati meno di quelli
reali – mentre dopo la transizione essi sono stati ricordati come
martiri generici della violenza.
Obiettivo di H.I.J.O.S. è invece riscattarli nelle individualità di
ognuno, in quanto portatori di istanze specifiche, ovvero quelle dei
movimenti di affiliazione passata. L’associazione intende in questo
modo andare in controtendenza rispetto a un processo collettivo
che potrebbe essere definito, in un certo senso, di doppia rimo-
zione: quella degli scomparsi, nella loro fisicità di individui, e quel-
la dei percorsi intellettuali e ideologici che, singolarmente, li ave-
vano condotti alla militanza.

Per sapere chi siamo e per svolgere un ruolo nella società dobbiamo en-
trare dentro la storia, dobbiamo entrare dentro la memoria, i nostri geni-
tori sono una generazione che oggi non esiste come tale. Vogliamo svol-
gere un lavoro nella società? Conclusione: sapere specificamente che co-
sa hanno fatto i nostri genitori.

Nel corso di un’intervista svoltasi a Parigi, Natalia, figlia di esilia-


ti, ricorda che l’obiettivo degli Homenajes non era quello di rico-
struire una memoria generica, bensì puntuale, documentata:

[Volevamo capire] che tipo di memoria e… che cosa voleva dire essere
militanti in quel momento… concretamente. Che si diceva sull’econo-
mia, che dicevano, che si diceva alle riunioni, dei mezzi, dei metodi, di
come prendere il potere, se si doveva prendere il potere, che cosa vole-
vano fare, che cosa volevano creare… nel paese. Per dire, volevano pren-
dere il mondo, certo ma… che cosa ne volevano fare?

Durante la quarta assemblea nazionale, nel giugno del , i


membri di H.I.J.O.S. stabiliscono una Agenda de la memoria, una


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. IDENTITÀ

sequenza di date-simbolo in cui realizzare commemorazioni.


L’intenzione dichiarata di queste giornate è avviare una ricostru-
zione dell’operato dell’organizzazione dove il tale scomparso o
assassinato, con un nome, un cognome e un’identità ben precisa,
aveva militato. In altri casi, i giorni prescelti coincidono invece
con momenti particolarmente significativi per la recente storia
argentina.
Un esempio comprensibile a molti, dato il successo in Italia del
film dedicato a questa vicenda, è il  settembre, la “notte delle ma-
tite”. Ogni anno, i figli ricordano gli otto studenti catturati nel 
a La Plata in seguito alle proteste per ottenere uno sconto sul tra-
sporto pubblico, reclusi in un centro di detenzione clandestina e
torturati per diversi giorni. Sette di questi sono desaparecidos, ne
rimane vivo solo uno, che dopo un periodo di silenzio si decide a
rendere pubblica la vicenda. Alla sua testimonianza si sono ispi-
rate alcune produzioni artistiche. In particolare, ricordiamo il film
di Héctor Olivera, La notte delle matite spezzate, uscito in Italia nel
, e recentemente messo in scena nella rappresentazione teatra-
le Zota!, di Laura de Stroebel.
Sulla base di documenti audiovisivi, è possibile affermare
che questo particolare homenaje risulta di forte impatto emoti-
vo, anche a causa dell’identificazione spontanea che si viene a
creare con gli H.I.J.O.S. data la giovane età in comune. Questo
omaggio, tuttavia, non viene reso solamente a sette giovani vit-
time della violenza, bensì a sette militanti della Unión de Estu-
diantes Secundarios (UES): un’organizzazione di studenti della
scuola superiore di ascendenza peronista affine all’ideologia
montonera. Nata nel , quando il peronismo torna al potere
dopo diciotto anni di proscrizione, questa si dichiara esplicita-
mente «antirepressiva, antimperialista, per l’organizzazione po-
polare […] contro la politica repressiva, la cultura della dipen-
denza, che intende lottare per una scuola e una cultura naziona-
le e popolare al servizio dei lavoratori». Precedenti di questa as-
sociazione sono infatti la Agrupación Evita Montonera e la Agru-
pación Movimiento de Acción Secundaria . E all’interno di tale


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

contesto si ricorda il loro sciopero, pretesto ufficiale della cat-


tura.
Riscatto della memoria. Ma di una memoria puntuale, docu-
mentata, non generica, vaga o pietistica. I soggetti vengono ricor-
dati, dunque, nella specificità della loro storia. All’interno di una
riflessione complessiva sul significato della militanza dei primi an-
ni Settanta, sul senso di un recupero di tali messaggi o, al contra-
rio, sulla negazione e la rimozione che ha investito la società inte-
ra, tanto verso la repressione di tali gruppi di attivisti politici,
quanto dei percorsi ideologici che li avevano condotti alla militan-
za, ricordiamo nuovamente le considerazioni di Paul Ricoeur.
Conclude infatti dopo alcune considerazioni sulle similitudini tra
memoria e immaginazione, viste entrambe come proiezione di co-
se assenti:

A proposito della memoria collettiva, credo che lo storico non debba so-
lamente riabilitare ciò che ha avuto luogo, ma anche i progetti delle per-
sone nel passato. Raymond Aron nella sua Introduzione alla filosofia del-
la storia, un libro del  che a mio giudizio rimane uno dei migliori li-
bri contemporanei di filosofia della storia, insiste, nell’epoca in cui si tro-
vava sotto l’influenza di Sartre e dell’esistenzialismo, che la storia deve ri-
vivere le “promesse incompiute”, vale a dire, quello che la gente sognava
di realizzare. Detto in altra maniera: nel loro futuro c’è stato qualcosa che
non hanno potuto fare.

.
L’anello mancante: memorie della desaparición

In una ricerca sui figli argentini, Susana Kaiser descrive una dinami-
ca di grande potenza evocativa che si verifica nel giugno del , in
occasione della commemorazione dei “mille giovedì” delle madri. In
testa al corteo camminano le donne, in coda i figli, al centro uno spa-
zio vuoto di vari metri, a simboleggiare l’invisibile presenza dei desa-
parecidos, l’anello generazionale mancante, ma emotivamente pre-
sente, tra di loro: una delle ferite aperte della società argentina, che
forse si potrà rimarginare solo lungo un arco temporale molto esteso.


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. IDENTITÀ

Si è accennato nell’Introduzione come, nell’ambito della ricer-


ca storica, l’analisi della memoria della violenza, coniugata in que-
sto caso nella particolare accezione della desaparición, presenta
una serie di sfide, che gravitano attorno a diversi ordini di proble-
mi: dalla difficoltà oggettiva di reperimento della documentazione
alle possibilità espressive del vissuto di un’esperienza di tale por-
tata. Gli strumenti analitici della storia contemporanea rischiano
in questo senso di rivelarsi muti, o quanto meno inadeguati a espri-
mere la complessità di questa realtà. Difficile è infatti documenta-
re la realtà delle scomparse forzate, veri e propri vuoti di senso, bu-
chi neri, nella loro essenza più profonda, «il crimine perfetto per-
ché è invisibile ai più, con l’eccezione delle vittime e dei loro pa-
renti». Suggestive, a questo proposito, le considerazioni di Maria
Ferretti sulle scomparse durante il terrore staliniano e le reazioni
dei parenti delle vittime:

Lettere dolenti dei sopravvissuti alla furia staliniana, anime in pena in


cerca di un segno, una traccia, che permetta loro di ritrovare gli amati,
di ritrovare la loro identità; figli a cui i genitori sono stati strappati via
di notte quando erano ancora in tenera età, rimasti senza una fotogra-
fia, un oggetto personale – diari, quaderni, libri (la confisca dei beni,
che colpiva i nemici del popolo); figli condannati a subire anche l’umi-
liazione dell’oblio forzato, ad accontentarsi delle laconiche dichiara-
zioni rilasciate in occasione della riabilitazione, dove è indicato sempli-
cemente che, a seguito della revisione del processo, la condanna è sta-
ta annullata. Senza una parola sulle motivazioni della condanna, né sul-
la data della morte, né sul luogo in cui questa era avvenuta. A volte, non
è rimasto neanche questo.

E ancora:

Costretta al silenzio la società sovietica, sconvolta dal Grande terrore,


perde anche il diritto alla memoria. La distruzione sistematica della me-
moria invade l’intimità della vita privata. Gli arrestati vengono portati via
di notte, le loro case sequestrate, devastati archivi e album di famiglia.
Ana Michailovna Larina, moglie del “traditore della patria” Bucharin, era
riuscita a tenere con sé, nascondendola, la fotografia del figlioletto Jurij.


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

[…] La letteratura ci ha tramandato gli effetti devastanti di questa am-


nesia imposta: uomini scomparsi nella notte, code infinite di donne da-
vanti ai kafkiani sportelli della macchina giudiziaria alla ricerca dispera-
ta di una notizia, un segno. Arroganza di funzionari, sportelli che sbatto-
no. […] Un baratro oscuro inghiotte mariti, figli, congiunti, distruggen-
do affetti senza lasciare traccia .

È questa una dimensione d’indagine paradossale: la ricerca del-


l’assenza. Si chiede a questo proposito Annette Wieviorka:

In quale modo scrivere la storia quando un mondo è scomparso, quan-


do non esiste alcuna possibilità di stabilire una continuità tra il mon-
do di prima e quello abitato dallo storico? Ogni storia è contempora-
nea, interroga il passato a partire dal presente. Ma quando il presente
non esiste più, quali sono le domande che lo storico può porre al pas-
sato?

Una ricerca che in parte verte sui “silenzi della storia” non è dun-
que esente da una paradossale sfida, così efficacemente sintetiz-
zata da Le Goff in un noto saggio sulla memoria e sul carattere
multiforme della documentazione storica necessaria per rico-
struirla:

Si noti anche che la riflessione storica oggi si applica altresì all’assenza di


documenti, ai silenzi della storia. Michel de Certeau ha sottilmente ana-
lizzato gli “scarti” dello storico verso le “zone silenziose”, delle quali dà
come esempio la stregoneria, la follia, la festa, la letteratura popolare, il
mondo dimenticato del contadino, l’Occitania. Ma egli parla dei silenzi
della storiografia tradizionale, mentre ritengo si debba andare più lonta-
no: interrogare la documentazione storica sulle sue lacune e interrogarsi
sugli oblii, i vuoti, gli spazi bianchi della storia. Bisogna fare l’inventario
degli archivi del silenzio, e fare la storia a partire dai documenti e dal-
l’assenza di documenti.

Per cogliere il senso delle procedure con cui si elaborano pro-


cessi violenti e traumatici come quelli sopra descritti, la ricerca
storica si vede quindi obbligata, in un certo senso, a ricorrere a


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. IDENTITÀ

strumenti analitici afferenti ad altre discipline. Tra le analisi pro-


dotte sulla percezione sociale di questo fenomeno è importante
allora ricordare lo studio di Ludmila da Silva Catela che, se-
guendo i canoni della ricerca antropologica, parte dal seguente
problema: in che modo gli attori sociali elaborano un’esperien-
za che consiste, di fatto, in una situazione-limite? La scomparsa
forzata viene vista come una forma di vissuto estremo, una si-
tuazione che sembra «scombussolare l’ordine naturale del quo-
tidiano, del culturale, del politico, del religioso». Si approfon-
disce dunque come la categoria del desaparecido viene introdot-
ta, elaborata, e in quali contesti questa viene richiesta, prodotta
e consumata. La riflessione si dipana attraverso l’intersezione di
azioni collettive e pratiche individuali, la dimensione istituzio-
nale e quella simbolica, al cui interno si articolano processi di
costruzioni di senso condivisi socialmente e culturalmente.
La scomparsa, secondo questa lettura, si definisce come espe-
rienza al limite della condizione umana in base a tre elementi fon-
damentali: l’assenza di un corpo, di un momento del lutto, e di
un luogo di sepoltura. Da molteplici punti di vista, quindi, la de-
saparición impone rituali completamente estranei alle modalità
con cui si vive e si rappresenta la morte in Occidente. Sostiene
lo storico francese Michel Vovelle in un’opera complessa che, at-
tingendo a piene mani anche dalle categorie analitiche dell’an-
tropologia storica, riflette nella lunga durata sul sistema delle
rappresentazioni collettive della morte, intese come specchio di
intere civiltà:

Senza voler portare acqua al nostro mulino, in questo complesso retico-


lo la storia della morte ha un valore esemplare e specifico. Nell’avventu-
ra degli uomini, ecco, si può dirlo senza peccare di umorismo macabro,
un’invariante ideale… ed essenziale. Invariante d’altro canto molto rela-
tiva: i rapporti degli uomini con la morte sono cambiati, e così pure il mo-
do in cui essa li colpisce. Ma l’esito finale rimane lo stesso. È per questo
che la morte al termine di ogni avventura umana rimane un rivelatore par-
ticolarmente sensibile: si è potuto dire, in un certo modo, che tutte le so-
cietà si misurano, o si valutano, dal loro sistema di morte. Ma il comple-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

tamento dialettico di questa valorizzazione, o di quest’enfasi posta sul-


l’ultimo passaggio, è certamente che, più di ogni altro, questo momento
“privilegiato” della nostra esistenza è circondato da tutta una serie di ma-
scheramenti, di elusioni, di tabù… e, inversamente, di creazioni fanta-
smatiche, di comportamenti magici, di sistemi esplicativi di ordine reli-
gioso e ideologico. L’immagine riflessa degli uomini rinviataci dalla sto-
ria della morte è un’immagine singolarmente deformata, di cui è neces-
sario decifrare i significati.

La desaparición, intesa come “morte inconclusa”, implica una


trasformazione radicale della maniera di “vivere la morte in Oc-
cidente”. Non esiste un corpo che “condensa la morte”, la “ad-
domestica”, “la rende concreta, definitiva, presente, individua-
le, identificata”, che ne sintetizza l’essenza con un limite, con un
punto.
Il corpo rappresenta inoltre l’essenza dell’individuo, mentre la
massa di cadaveri non identificati delle fosse comuni, dove, in mol-
ti casi, sono stati ritrovati molti scomparsi, sono l’esatta negazione
di questo processo. Il desaparecido incarna l’assenza di un vissuto,
di un nome e di una storia individuale negati. Un mistero dentro
al mistero, quando già la morte stessa – come ci ricorda l’altro no-
to storico francese che si è dedicato allo studio del culto dei morti
in Occidente dal Medioevo a oggi, Philippe Ariès –, tanto più ci
avviciniamo alla contemporaneità e al secolo XX, tanto meno viene
nominata. È invece paradossalmente rappresentata dall’assenza, è
ciò che non si nomina, che non si dice, che non è:

Così, durante l’ultimo terzo del secolo, si è verificato un fenomeno im-


ponente, che si comincia appena a intravedere: la morte, questa compa-
gna familiare, è scomparsa dalla lingua: il suo nome è diventato tabù. Al
posto delle parole e dei segni che i nostri avi avevano moltiplicato, si è
creata un’angoscia diffusa e anonima. La letteratura, con Malraux, Ione-
sco, ricomincia a darle il suo vecchio nome, cancellato dall’uso, dalla lin-
gua parlata, dalle convenzioni sociali. Nella vita di tutti i giorni, la mor-
te, un tempo così loquace, così spesso rappresentata, ha perduto ogni ca-
rattere positivo, non è che il contrario o il rovescio di ciò che è realmen-
te visto, conosciuto, parlato.


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. IDENTITÀ

Non è probabilmente un caso, dunque, che negli atti di comme-


morazione dei figli argentini vengano nominati ad alta voce i no-
mi e i cognomi degli scomparsi, secondo un modello ereditato
dalle associazioni di familiari di generazione precedente. Que-
sto gesto esprime la volontà di ridare un nome, un volto e una
storia a tutti coloro che sono stati inghiottiti in una massa ano-
nima di vittime.
È questa l’“intimità della storia”, cioè salvare l’individuo dalla
massa, distinguere percorsi individuali all’interno di “una sola
morte numerosa”, come la definisce la scrittrice Nora Strejlevic pa-
rafrasando un’espressione di Tomás Eloy Martínez: «Dal , il
mio paese si è trasfigurato in una sola morte numerosa che all’ini-
zio sembrava intollerabile, ma che poi è stata accettata con indif-
ferenza fino all’oblio».
Il voler dare un nome e un cognome, l’“intimità della storia”,
sembra essere del resto un obiettivo condiviso anche in altri con-
testi di faticoso e deliberato recupero del ricordo in seguito a pro-
cessi di trauma e rimozione collettiva. Anche la storica Maria Fer-
retti, nel suo saggio La memoria mutilata ricorda come uno degli
slogan più ricorrenti dell’associazione Memorial, nata tra il  e
il  attorno all’idea di costruire un monumento alle vittime del
terrore staliniano, è proprio quello di “chiamare tutti per nome”.
Cita a questo proposito i versi della poetessa Achmatova: «Avrei
voluto chiamare tutti per nome / ma hanno portato via la lista, e
non so come fare». Questa dinamica è evidente, ad esempio, an-
che in alcuni video realizzati dai figli argentini dove, al termine de-
gli homenajes, i nomi e cognomi degli scomparsi vengono pronun-
ciati, seguiti dal grido: “Presente!”.
Tra i protagonisti di Panzas!, di Laura Bodelevski, compare Na-
talia S., figlia di due militanti del Partido Revolucionario de los Tra-
bajadores (PRT), fuggita in esilio con i genitori. In un’intervista rea-
lizzata a Madrid Natalia ricorda come, nella quotidianità della ca-
pitale spagnola dove lei e la sorella vivono ormai da molti anni, il ri-
cordo degli scomparsi, ex compagni di militanza dei genitori, è sta-
to costantemente tenuto vivo nel “lessico familiare”:


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

I… compagni desaparecidos sono sempre stati molto presenti. Anche nel-


la nostra vita quotidiana, noi volevamo… volevamo conoscerli, sapere di
loro e… è proprio così. Erano e… sono molto presenti! Perché questo
era il nostro modo di… incorporarli alla vita!

E alla domanda se il ricordo non fosse talvolta eluso, o minimizza-


to, afferma ancora:

No! Esattamente il contrario! Non… non lo permettevano! Specialmen-


te mia madre, che con questa faccenda è sempre stata… è come se lo aves-
se tenuto ancora più in mente, era… anche noi, siamo cresciute sapendo
chi erano, per cosa avevano lottato e perché non c’erano più. […] Io rin-
grazio molto i miei genitori… veramente, ho profonda gratitudine nel fat-
to che sia andata così e… sono contenta che… questo sia diventato così
importante anche per me, per la mia vita, e sono cosciente che… è un mo-
do… il tema della lotta per la memoria è un modo anche per dare un con-
tributo al periodo della dittatura, insomma dire va bene, voi li avete fatti
sparire, volevate che non esistessero più ma… loro ci sono ancora.

È come se “i trentamila” – così li definisce con una sintetica e dif-


fusa formula che sta a indicare l’entità numerica del fenomeno se-
condo le stime dei parenti – facessero ormai parte di una famiglia
più estesa. Non possiedono un luogo fisico di sepoltura ma viene
loro attribuita l’appartenenza a una comunità ideale.
L’assenza del corpo genera inoltre uno spazio aperto che
non permette di fissare la morte in un locus specifico, e implica
modificazioni profonde anche nel modo di percepire le catego-
rie spazio-temporali. Non esiste un momento del lutto che in-
tensifichi sentimenti, sensazioni, stati corporali: è un tempo-
spazio che «non può concentrarsi, si estende per anni, si me-
scola alla vita quotidiana, si disperde o si concentra in momen-
ti che non sono direttamente legati al momento della morte.
Non emergono rappresentazioni di uno spartiacque, di un pri-
ma e di un dopo».
Sempre seguendo le parole di Ariès, nonostante il culto dei
morti non registri più i parossismi del XIX e dell’inizio del XX se-


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. IDENTITÀ

colo, prima della grande guerra, bensì si sia “stabilizzato, raffred-


dato, calmato”, è pur vero che la complessità del vissuto del lutto
finisce per identificarsi con una parte essenziale dell’essere e del-
l’esperienza umana, con la modalità stessa di vivere il dolore:

Abbiamo visto in che modo la società moderna ha privato l’uomo della


sua morte, e gliela restituisce solo se egli non se ne serve per turbare i vi-
vi. Reciprocamente, proibisce ai vivi di apparire commossi per la morte
degli altri, non permette loro di piangere i trapassati, né di avere l’aria di
rimpiangerli. Eppure il lutto è stato, fino ai nostri giorni, il dolore per
eccellenza, la cui manifestazione era legittima e necessaria. Il dolore da-
vanti alla morte di un familiare era l’espressione più violenta dei senti-
menti più spontanei. Nell’alto Medioevo, i guerrieri più coriacei o i so-
vrani più illustri si gettavano sui corpi dei loro amici o parenti, come tan-
te donne, diremmo oggi, e donne isteriche. Qui il Re Artù sviene parec-
chie volte di seguito, si batte il petto, si scortica il viso “in modo che il
sangue colava a fiotti”.

La desaparición coincide, per i parenti delle vittime, con un per-


corso di modificazione profonda di identità individuale.
Nella decodificazione delle fonti orali, questa dinamica si
esplicita con chiarezza. È evidente, ad esempio, nella narrazione
di Susana S., figlia di uno scomparso e di una ex prigioniera po-
litica, nata in carcere e residente da vari anni a Parigi sulla scia
dell’esilio materno. La singolarità del suo caso, a differenza di
molti altri, sta nel fatto che – dopo diciannove anni di ricerche –
il corpo del padre viene ritrovato, in gran parte grazie a una ri-
cerca condotta dalla sorella maggiore. Dalla sua testimonianza,
raccolta a Parigi nell’ottobre del , emergono nodi di caratte-
re identitario molto complessi. In particolare, in questo contesto,
è possibile riflettere su come il vissuto della scomparsa paterna
abbia marcato, in maniera profonda e indelebile, tanto lo svilup-
po della sua personalità come individuo, quanto la percezione
della situazione politica e sociale dell’Argentina contemporanea.
La scoperta dei resti del padre, che passa dalla condizione di de-
saparecido a quella di morto, viene vissuta come una linea spar-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

tiacque, che segna nettamente un “prima” e un “dopo”. Stando


alle sue stesse parole, la condizione di “figlia di desaparecido”,
più che di “figlia di esiliata politica”, ha inciso in maniera così
profonda sulla sua identità che, anche al momento dell’intervista
– dunque già diversi anni dopo il ritrovamento del corpo –, Su-
sana continua a considerarsi tale:

Se… potessi dare un consiglio a qualcuno, per quanto riguarda la ri-


cerca del padre… sì, è qualcosa che raccomando. Credo che… perché
c’è un prima e un dopo. A me, per esempio, se mi domandano tu chi
sei, io rispondo che sono figlia di un desaparecido, non ti dico di no.
Perché ritengo che mio padre sia un desaparecido che è stato ritrovato,
nient’altro… Perché la scomparsa l’abbiamo vissuta per diciannove
anni, e sappiamo bene cosa vuol dire, non ci si può mettere un punto
all’improvviso. Penso che… il lutto del ritrovamento me lo sono vis-
suto, il lutto della scomparsa no. E penso siano due problemi diversi,
non si possono mescolare, non è che trovi il corpo e… subito, tutto,
tutti i tuoi pensieri, tutto ciò che hai vissuto, tutta la tua infanzia… si
possono, di colpo… no, non si possono cancellare. Ma almeno metti
un punto rispetto alla scomparsa, a questo sì. Per di più io, in seguito,
riflettendo un po’ su tutta questa storia mi sono resa conto che… non
so, che… alla fine, quando ho ritrovato mio padre, è come se la mia vi-
ta avesse perso senso, perché… tutto quello che io avevo fatto era in
previsione del suo ritorno. Tutta la mia vita era stata intrecciata a que-
sta cosa!

Il parente dello scomparso, come sostiene la da Silva Catela, ha bi-


sogno di reinventare continuamente forme e strategie per ricorda-
re il corpo assente. Ricorda ancora Susana:

Io credo che si tratti di… è questo, è questo il potere della desaparición!


Non è possibile che tu… dica… sì, è morto. E che significa è morto? È
qualcosa di razionale, molto bene, ma… nei tuoi sentimenti, nel tuo vis-
suto, nei tuoi sogni, io sempre… per esempio, in tutti i miei sogni fino a
quel momento [il ritrovamento del corpo], e anche i sogni dopo quel mo-
mento, per questo te lo racconto, mio padre era sempre vivo. Nei miei so-
gni non mi è mai successo di andare… al funerale di mio padre, nei miei


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. IDENTITÀ

sogni era vivo, sempre, era vivo, era vivo… e aveva  anni, non era un
uomo vivo di quaranta! Lui è scomparso quando aveva  anni….

Le strategie di sopravvivenza dei familiari si giocano costantemen-


te a cavallo tra la dimensione pubblica e quella privata. La scoper-
ta del corpo determina infatti un’altra dinamica. Quando la sorel-
la ritrova i resti del padre:

Lei ha dato… era come se avesse restituito l’identità a mio padre. Era co-
me tornare a ciò che lui realmente era, dirlo all’Argentina intera, dirlo a
tutto il mondo! Che i desaparecidos erano morti, che stavano lì… e chiu-
dere la bocca alla società intera! […] È stato veramente molto intenso. E
infatti è come se, all’improvviso… per esempio, Hebe, le madri di He-
be non sono d’accordo con il ritrovamento dei corpi. Per non parlare di
tutto quello che è rimasto in sospeso per la faccenda della giustizia… e
insomma, voleva dire andare contro un mare di cose in Argentina… e…
allo stesso tempo voleva dire dare un senso personale [cala il tono di vo-
ce] a tutta la storia della sepoltura. […]
E proprio tutte queste cose, legate alla vita quotidiana, fanno sì che…
l’inquietudine della desaparición continui a funzionare. La società argen-
tina è completamente presa da questo. Completamente presa perché non
c’è mai… La desaparición è presente, è lì, si sente! E non solo per i fami-
liari, ma per tutta la società. Ed è per questo che… non è stato assimila-
to bene in Argentina. La gente non ha le idee chiare. Ma sente il peso del
desaparecido, che è presente.

Quando Susana parla di «chiudere la bocca alla società intera» ci


riporta a una riflessione complessiva su come le pratiche indivi-
duali degli attori protagonisti, come in questo caso, intendono sim-
bolicamente far breccia, incidere su un sistema compatto di rap-
presentazioni mistificanti che si creano all’interno del discorso
pubblico elaborato dai militari intorno alla figura degli scomparsi.
Si tratta di una mitologia sottile, che talvolta tende a sovrapporli
alla categoria degli esiliati. Dice ancora:

Per di più, in Argentina sono state create un sacco di storie attorno ai de-
saparecidos. C’è stata tutta una politica della dittatura nel creare… pro-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

prio perché non volevano che la società avesse dubbi, che pensasse che li
avevano uccisi, ma anzi, [che pensasse] che i desaparecidos erano vivi…
proprio così. Inoltre, c’era tutta una parte della… retorica militare che in-
duceva a pensare proprio così: i desaparecidos sono all’estero, i desapare-
cidos sono pieni di soldi, i desaparecidos… insomma, tutta una serie di leg-
gende su di loro che… beh, che la società ha capito in pieno.

La categoria del desaparecido, “differenziata, polisemica” rac-


chiude dunque un intero sistema di pratiche e di convinzioni.
Come ci ricorda Marina Franco, la costruzione dell’identità del
nemico durante la dittatura militare si delinea all’interno di un
progetto coerente di espulsione dell’“alterità”, che utilizza, anche
nella retorica verbale, immagini aderenti a una concezione orga-
nicistica dello Stato. Parola d’ordine diviene “estirpare il cancro
della nazione”, per cui «l’estraneità ideologica coincideva con la
lontananza fisica, e i sovversivi, sconfitti, si trovavano nei loro “ri-
fugi dorati” all’estero». Certamente più coerente con il discorso
pubblico, pertanto, era diffondere l’idea che i dissidenti si trovas-
sero in Brasile, magari in case lussuose vicino alla spiaggia, piut-
tosto che sottoterra, senza un segno che ne ricordasse il nome né
la presenza.
Come per tutti i processi di oggettivazione di una categoria so-
ciale, ci troviamo di fronte a un percorso di definizione piuttosto
complesso. Lo studio dell’antropologa Virginia Vecchioli suggeri-
sce a questo proposito una utile chiave di lettura. La sua ricerca
è centrata su una dinamica di carattere essenzialmente pratico e
istituzionale: la scelta dei nomi da parte di una commissione di
esponenti politici, familiari delle vittime e rappresentanti di orga-
nismi per la difesa dei diritti umani, da incidere in lastre di grani-
to nero, che figureranno sul Monumento a las víctimas del terrori-
smo de Estado, nella città di Buenos Aires, in uno spazio situato sul-
le rive del Río de la Plata. Il monumento attualmente è ancora in
via di costruzione; tuttavia, più che i risultati dell’opera, sono si-
gnificative per l’autrice le strategie elaborate dai diversi attori che
entrano nel processo di definizione delle “vittime del terrorismo di
Stato”. Ovvero, le dinamiche secondo cui si tracciano i confini so-


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. IDENTITÀ

ciali di questa categoria, i criteri differenziati che, a seconda dei di-


versi rappresentanti della commissione, verrebbero utilizzati per
stabilire chi sono le vittime. Non si tratta dunque di una categoria
“autoevidente”, tanto che, sempre secondo questa studiosa, non
esiste una relazione necessaria tra la desaparición di un individuo e
la sua inclusione tra le vittime ufficialmente riconosciute dal go-
verno. La categoria “vittime del terrorismo di Stato” può essere in-
tesa in un senso più ampio come in uno più restrittivo, e la sua le-
gittimazione diviene quindi uno spazio conteso e conflittuale, non-
ché scenario privilegiato di una dinamica più generale: la creazio-
ne di una divisione sociale tra vittime e non vittime, che risulta cru-
ciale nella formulazione di un’interpretazione della storia politica
recente in Argentina. Un esempio pregnante riguarda coloro che
sono morti combattendo nella lotta clandestina prima del , che
si è proposto di denominare “compagni morti in combattimento”,
piuttosto che “vittime”; distinzione tutt’altro che neutrale, poiché,
di fatto, implica una netta demarcazione tra militanti dell’ERP – at-
tivi soprattutto nel periodo - – dai Montoneros, che di fatto
non compiono azioni armate fino al .
Anche all’interno della definizione di desaparecido, tuttavia,
che sembrerebbe rappresentare la vittima per antonomasia, esi-
stono interstizi di ambiguità e spazi grigi: ad esempio, tra le per-
sone di cui è stata ufficialmente certificata la scomparsa e quelle
per cui, invece, non si è mai sporta denuncia. Allo stesso modo,
molto complesso è definire lo status di coloro che rientrano nelle
sparizioni temporanee e limitate nel tempo. Altra categoria poco
chiara sono coloro i cui corpi vengono recuperati dopo una lunga
fase di desaparición, che entrano dunque a tutti gli effetti a far par-
te degli assassinati politici. È difficile, in diversi casi, stabilire in
termini precisi il lasso di tempo in cui avviene il passaggio da una
condizione all’altra. I confini tra le categorie di “prigioniero poli-
tico”, “desaparecido” e “assassinato” sono pertanto mobili, ambi-
gui, controversi, e animano lo scenario politico e sociale di molti
paesi del Cono Sud latinoamericano, che al momento attuale di-
battono animatamente su tali questioni.


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La testimonianza di Susana presenta una certa coerenza con


questa linea di ragionamento. Quando riflette sulle problematiche
vissute dalla madre in qualità di fuoriuscita dal carcere, dice:

Durante gli anni Ottanta… non si trattava certo solo di mia madre! Era
un movimento collettivo, non riguardava mica solo lei… In questa fase,
già dagli anni Ottanta, si è cominciato a parlare dei prigionieri politici…
non era certo un suo delirio personale! Il prigioniero politico ha una sua
identità a livello nazionale, e dato che le persone sono scomparse… cer-
to è che mancano ancora studi sistematici, studi approfonditi, più… dal-
l’interno. Forse si parlerà dei sopravvissuti ai campi clandestini o degli
esiliati. Perché vedi, si tratta di figure molto diverse tra di loro, non è una
sola storia, sono molte storie, e ognuna… anche se la desaparición pre-
senta anche un problema comune: per esempio, cosa si elabora di una
persona che è stata desaparecida per tre giorni? Non si può chiamare de-
saparecido. Per quello che la scomparsa comporta… e quindi ci sono…
ci sono dei gruppi all’interno di quella che è stata la repressione che non
si sono mai realmente definiti, e che… Per esempio, H.I.J.O.S. è stato uno
dei primi a dare la parola ai sopravvissuti, perché ad esempio le madri…
li considerano come mezzi traditori. Non… non c’è stato spazio per i so-
pravvissuti dei campi! E il prigioniero politico poi è ancora un’altra sto-
ria, il prigioniero politico è come… non è come il sopravvissuto del cam-
po, il sopravvissuto del campo è una persona che è stata con i desapare-
cidos ma che non è desaparecido… E la prima cosa che viene in mente è:
perché lui no e gli altri sì?

Vale notare, come è già emerso nel corso di questo lavoro, come
dinamiche di appartenenza, o al contrario di rifiuto rispetto a de-
terminate categorie di vittime, provocano spaccature, a volte insa-
nabili, all’interno del movimento per i diritti umani, ai nostri occhi
forse idealmente percepito come una realtà uniforme negli obiet-
tivi e nei metodi. Ricorda un’altra testimone, Lucía F., figlia di
un’attivista politica temporaneamente desaparecida:

Ce ne sono di sopravvissuti! Anche nel mio documentario la… hija che


compare, suo padre non è desaparecido. È stato detenuto… è stato an-
che desaparecido per un periodo, poi lo hanno trasferito [a condizione


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. IDENTITÀ

di prigioniero legalmente riconosciuto], e nemmeno su questo c’è mai


stata una vera spiegazione. Non conosceva nessuno, ma proprio nessu-
no, ma come lei stessa dice… la tematica dei sopravvissuti è parte di…
come dire, di un piano deliberato dei militari, di un loro atto cosciente,
di lasciarli in vita. Dopo essere stati liberati, gli stessi militari li accusa-
vano di… per esempio, di essere dei traditori, del fatto che avessero
parlato, e [dicevano che] per questo li avevano lasciati in libertà. E
quindi… non è una situazione per niente facile! Non puoi mai sapere,
è una mentalità che… pensa che ci sono state persino delle persone,
molte persone, che sono state detenute per tutta la dittatura, torturate,
fatte a pezzi, ma che non sono state uccise. Ma poi… sai, rimani così da
solo, ti rimane addosso, nella tua vita… gli stessi sopravvissuti lo dico-
no, ti rimane addosso il senso di colpa di essere sopravvissuti. Perché io
sono sopravvissuto e… gli altri no!

Lasciare vivi alcuni e non altri, non necessariamente sulla base


di un criterio preciso, è parte della strategia repressiva dei mili-
tari. Una totale, a volte assoluta incomprensibilità del perché si
viene rilasciati, secondo alcune testimonianze orali, può essere
vista quindi come un aspetto complementare alle dinamiche di
tortura psicologica. Una sorta di “autotortura”, come la defini-
sce Natalia L., figlia di un ex desaparecido poi rilasciato senza
motivazioni apparenti. Queste dinamiche s’inseriscono nel fit-
to mistero dei campi di detenzione clandestina, realtà di diffici-
le comprensione per le abituali categorie analitiche umane. Par-
te del senso, dei nessi e dei meccanismi inerenti a questo mon-
do è stata ricostruita grazie a uno specifico filone di letteratura
di denuncia, fiorito nei primi anni Ottanta grazie all’opera di
giornalisti e letterati, come ad esempio Miguel Bonasso. La di-
mensione infernale della realtà di “vita tra la morte” di uno dei
centri di detenzione più tristemente noti, la Escuela mecánica de
la armada (ESMA), viene descritta in Recuerdo de la muerte di Bo-
nasso. È la lucida e allo stesso tempo allucinata descrizione di al-
cuni prigionieri che, sotto forma di racconto autobiografico,
narrano la paura e l’orrore, alludendo – pur senza mai menzio-
narla esplicitamente – alla pratica della tortura. Quest’opera


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rappresenta di fatto una commistione di generi, poiché l’autore


intreccia nella trama dello stesso racconto autobiografico, come
in filigrana, precisazioni di carattere storico che intervengono a
chiarire eventi specifici. Il racconto di questa livida quotidia-
nità viene nella grande maggioranza dei casi affidato a testimo-
ni che hanno vissuto questa esperienza sulla propria pelle. Un
esempio ne è l’opera di Pilar Calveiro, che partendo dal raccon-
to autobiografico – narrato in terza persona, quasi a conferire un
apparente distacco –, propone con Poder y desaparición un’ana-
lisi delle diverse forme di rappresentazione dell’universo con-
centrazionario elaborate dalla società argentina. L’autrice ri-
flette dunque sulla percezione, il giudizio o l’eventuale rimozio-
ne che la società civile esprime nei confronti di queste istituzio-
ni; analizza inoltre le diverse forme di interiorizzazione di que-
sta esperienza, l’atteggiamento di critica, consenso, apatia, di-
sinteresse, paura o passività che emerge a seconda dei diversi
momenti.
Ultimo aspetto che rende la desaparición una situazione al li-
mite delle categorie di comprensione umana è l’assenza di un luo-
go dove vivere la sepoltura.
L’assenza del corpo comporta la mancanza di un luogo del
culto: una situazione paradossale, che va contro tutti i presup-
posti della ritualità occidentale attorno alla morte, perché, come
ci ricorda nuovamente Philippe Ariès, «non esistono tumuli sen-
za cadaveri, né cadaveri senza tumuli». Riflette questo storico a
proposito del rito della sepoltura e della scelta del luogo dove
edificare i cimiteri nella Francia di fine Settecento, in un conti-
nuo oscillare tra la dimensione pubblica e quella più strettamen-
te intima e privata, legata a emozioni e sentimenti individuali.
Luogo di libera espressione della sofferenza per il legame reciso,
il cimitero

è infine il luogo in cui si verrà per raccogliersi e pensare ai morti, per


farli vivere nel ricordo. Lo sposo si abbandonerà senza timore a tutta
la dolcezza del suo dolore e potrà visitare [si noti bene l’uso della pa-
rola “visitare”] l’ombra della sua sposa adorata. Il padre, che un pian-


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. IDENTITÀ

to giusto e duraturo richiamerà nei luoghi dove riposano le ceneri del


figlio, sarà libero di versar lacrime sulla sua tomba. Quelli, infine, che
sono legati da cari ricordi alla memoria dei loro benefattori, troveran-
no un luogo di pace in quest’asilo consacrato al raccoglimento e alla
gratitudine.

Quanto più ci avviciniamo all’età contemporanea, il locus scelto


per la sepoltura condensa la dimensione di unità familiare, tra-
scende l’idea della contingenza e della temporalità. Attraverso
tale chiave di lettura, si spiegherebbero con maggiori elementi le
ragioni per cui la pratica dei voli della morte, venuti alla luce con
l’inchiesta del giornalista Horacio Verbitsky e le deposizioni del
generale Scilingo, abbiano tanto impressionato la collettività di
un paese latino e profondamente cattolico come l’Argentina. Ri-
flette ancora Ludmila da Silva Catela sulle reazioni emotive ge-
nerate dalla presa di coscienza di questi corpi gettati nel mare:

È molto difficile che si possa accettare l’idea di un parente gettato nel


fiume, anche se in molti casi si sa che questa è stata la sua destinazione
finale. La terra, al di là della possibile identificazione, è molto impor-
tante. Questa rappresentazione per lo meno permette di pensare ai cor-
pi che “riposano” in uno spazio che è possibile localizzare del tutto.
L’acqua, il fiume, segna un vuoto intangibile, estremo, della scomparsa
dei corpi.

Ricordiamo a questo proposito anche l’impatto visivo della mostra


fotografica di Marcelo Brodski, Buena memoria, che si apre con un
pannello raffigurante le acque rossastre del Río de la Plata. La di-
dascalia che accompagna l’immagine recita: «Nel fiume li gettaro-
no. Diventò la loro tomba inesistente».

Note

. L. Quieto, Archeologia dell’assenza. H.I.J.O.S., figli dei desaparecidos argentini,


Assemblea Teatro, Edizioni Angolo Manzoni, Torino .
. In “H.I.J.O.S.”, , , p. .
. Quieto, Archeologia dell’assenza, cit.


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

. In “H.I.J.O.S.”, , , p. .
. Il contatto con il testimone è avvenuto nell’arco di tre incontri. In una prima
fase, in occasione della proiezione del film H.I.J.O.S. di Marco Bechis, Pablo inaugura
a Ferrara il Festival per i diritti umani in Argentina, facendo cenno anche alla propria
vicenda personale. Un secondo contatto si è verificato in un liceo classico, dove è sta-
to invitato a portare agli studenti dell’ultimo anno riuniti in assemblea la propria te-
stimonianza e il senso complessivo dell’azione di H.I.J.O.S. Una terza volta, nel corso
di un colloquio privato, avviene invece l’intervista propriamente detta.
. Intervista con Pablo D., Ferrara,  febbraio , archivio personale.
. Ibid.
. Argentine. Deux dirigeants du Parti radical sont assassinés, in “Le Monde”, 
settembre  e E. Anguita, M. Caparrós, La voluntad. Historia de la militancia revo-
lucionaria en la Argentina -, Grupo Editorial Norma, Buenos Aires , pp.
- e .
. Testimonianza di Matilde K., Roma,  giugno .
. Per ulteriori dati di carattere quantitativo e qualitativo sui ritrovamenti, cfr.
Asociación Abuelas de Plaza de Mayo, Niños desaparecidos, jóvenes localizados en la
Argentina de  a , Temas Grupo Editorial, Buenos Aires .
. Una dettagliata ricostruzione della ricerca delle nonne e della loro azione di
lobbying attraverso il contributo di diversi attori internazionali, in particolare alcuni
membri della comunità scientifica statunitense, è fornita da Keck, Sikkink, Activists
beyond Borders, cit., pp.  ss.
. La Convenzione sui diritti dell’infanzia, approvata dall’Assemblea generale
delle Nazioni Unite il  novembre , viene ratificata dall’Italia con legge del 
maggio , n.  e depositata presso le Nazioni Unite il  settembre .
. UNICEF, Convenzione sui diritti dell’infanzia, Comitato italiano per l’UNICEF
Italia, Roma , Parte I, articolo , pp. -.
. Intervista con Matilde Artés (“Sacha”), cit.
. Cfr. Courrier de l’ACAT (Association de Chrétiens pour l’Abolition de la Tor-
ture), équipe de parrainages, Les Enfants disparus en Argentine. Dossiers, Paris, no-
vembre ; Id., Parrainage d’un enfant disparu, Paris, novembre ; Id., Las Abue-
las de la Plaza de Mayo, Paris, juin ; Id., Enfants disparus. Pour qu’ils ne soient pas
les oubliés de la memoire, n. , Paris, mai .
. Nell’aprile del , ad esempio, si organizza a Buenos Aires un convegno dal
titolo Filiación, Identidad, Restitución. Vi partecipano oltre  persone, inclusi espo-
nenti della cultura (Adolfo Pérez Esquivel, Premio Nobel per la Pace e rappresentan-
te del Centro per i diritti umani delle Nazioni Unite; Graciela Fernández Mejide,
membro direttivo della Asamblea Permanente por los Derechos Humanos – APDH), rap-
presentanti della chiesa cattolica dissidente (monsignor Jorge Novak, vescovo della
diocesi di Quilmes, attivo militante per i diritti umani), e del mondo giuridico inter-
nazionale (Eugenio Zaffaroni, giudice della Camera nazionale federale argentina e al-
tri avvocati).
. Intervista con Matilde Artés (“Sacha”), cit.
. Diminutivo affettuoso dallo spagnolo abuela, “nonna”.
. Ibid.
. Ibid.


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. IDENTITÀ

. Cfr. M. Carlotto, Il giorno in cui Gabriel scoprì di chiamarsi Miguel Angel, Edi-
zioni EL, Trieste ; E. Osorio, I vent’anni di Luz, Guanda, Milano .
. Cfr. I. Moretti, In Sudamerica. Trent’anni di storie latinoamericane dalle dittatu-
re degli anni Settanta al difficile cammino verso la democrazia, Sperling & Kupfer, Mila-
no ; Id., I figli di Plaza de Mayo. La tragedia di un’identità ritrovata: storia dei figli
dei desaparecidos adottati dai carnefici dei loro genitori, Sperling & Kupfer, Milano .
Per ulteriori riferimenti sui casi dei bambini che hanno voluto rimanere con le famiglie
dei militari che li hanno adottati, cfr. in particolare il caso presentato nelle pp. -.
. E. Galeano, Memoria del fuego, III: El siglo del viento, Siglo XXI, Madrid ,
pp. -.
. Intervista con Estela Carlotto, cit.
. In “H.I.J.O.S.”, , , p. .
. Testimonianza di Matilde K., Roma,  giugno .
. J. Le Goff (a cura di), Memoria, in Enciclopedia Einaudi, VIII, Torino , p.
.
. «Il potere della memoria deve necessariamente confrontarsi col potere stabi-
lito ideologicamente, che può arrivare a prescrivere e limitare lo spazio possibile del
ricordo. Le relazioni di potere dello spazio politico influiscono inevitabilmente nella
dialettica esistente tra memoria e oblio» (cfr. P. Ricoeur, La lectura del tiempo pasado:
memoria y olvido, Arrecife, Madrid , p. ).
. “I.M.P.R.O.L.H.I.J.O.S. – Internalización de material periodístico relacionado o
ligado a Hijos por la identidad y la justicia, contra el olvido y el silencio”, ,  e
“H.I.J.O.S.”, , , p. .
. Intervista con Natalia L., Parigi,  ottobre , archivio personale.
. Tra le date scelte si ricordi il  marzo (giorno del colpo di Stato), il  giugno
(legge di Obbedienza dovuta), il  agosto (massacro a Trelew di alcuni militanti di
gruppi guerriglieri), il  ottobre (assunzione al potere di Domingo Bussi, ex tortura-
tore e attualmente governatore di provincia), il  dicembre (giornata internazionale
per i diritti umani), il  dicembre (legge di indulto). Cfr. INFORMH.I.J.O.S., Informe del
IV encuentro nacional de delegados de H.I.J.O.S., Cahueta (Mendoza), - de junio .
. M. Seoane, H. Ruiz Núñez, La notte dei lapis, Editori Riuniti, Roma .
. Gillespie, Soldiers of Peron, cit., pp.  ss.
. In “H.I.J.O.S.”, , , pp. -.
. Ricoeur, La lectura del tiempo pasado: memoria y olvido, cit., p. .
. Cfr. S. Kaiser, Outing Torture in Post Dictatorship Argentina, in “NACLA Re-
port on the Americas”, XXXIV, , July/August , pp. -.
. Stabili, Il movimento delle madri in America Latina, cit., p. .
. Ferretti, La memoria mutilata, cit., p. , corsivo dell’autore.
. Ivi, pp. -, corsivo mio.
. Wieviorka, L’era del testimone, cit., p. .
. J. Le Goff (a cura di), Storia, in Enciclopedia Einaudi, XIII, Torino , p. .
. L. da Silva Catela, No habrá flores en la tumba del pasado. La experiencia de
reconstrucción del mundo de los familiares de desaparecidos, Ediciones al Margen, La
Plata , pp. -.
. Cfr. P. Ariès, Essais sur l’histoire de la mort en Occident du Moyen Age jusqu’à
nos jours, Seuil, Paris  (trad. it. Storia della morte in Occidente: dal medioevo ai gior-


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 110

L A M E M O R I A O S T I N ATA

ni nostri, Rizzoli, Milano ); Id., L’homme devant la mort, Seuil, Paris  (trad. it.
L’uomo e la morte dal Medioevo ad oggi, Laterza, Roma-Bari ). Altro testo classico
di riferimento per quanto riguarda la storiografia francese è M. Vovelle, La morte e
l’Occidente: dal  ai giorni nostri, Laterza, Roma-Bari .
. Vovelle, La morte e l’Occidente, cit., p. VI.
. Ariès, Storia della morte in Occidente, cit., p. .
. Cfr. Wieviorka, L’era del testimone, cit., p. .
. «Desde , todo mi país se transfiguró en una sola muerte numerosa que al
principio parecía intolerable y que luego fue aceptada con indiferencia y hasta olvi-
do», citato in N. Strejlevic, Una sola muerte numerosa, North South Center Press, Uni-
versity of Miami .
. L. Bodelevski, Panzas!, , proiettato durante I giorni del Condor. Videofe-
stival sui diritti umani in America Latina, Milano,  maggio- giugno , Provincia
di Milano – Settore cultura, Centro studi problemi internazionali (CESPI), Fondazione
cineteca italiana, CESVI.
. Intervista con Natalia S., Madrid,  ottobre , archivio personale.
. Ibid.
. Da Silva Catela, No habrá flores en la tumba del pasado, cit., p. .
. Ariès, Storia della morte in Occidente, cit., p. .
. Intervista con Susana S., Parigi,  ottobre , archivio personale.
. Ibid.
. Hebe de Bonafini, ex presidentessa delle Madri di Plaza de Mayo.
. Ibid.
. Ibid.
. Cfr. da Silva Catela, No habrá flores en la tumba del pasado, cit., pp.  ss.
. M. Franco, Exilio y otredad: la costrucción del enemigo bajo el terrorismo de
Estado, ponencia presentada al Primer congreso historia y memoria, Facultad de Hu-
manidades, Universidad Nacional La Plata, abril , p. . Cfr. anche M. Osiel, La
creazione della sovversione nella guerra sporca d’Argentina, in M. Flores (a cura di), Sto-
ria, verità e giustizia. I crimini del XX secolo, Mondadori, Milano , pp. -.
. Cfr. V. Vecchioli, Políticas de la memoria y formas de clasificación social. ¿Quié-
nes son las víctimas del Terrorismo de Estado en la Argentina?, in B. Groppo, P. Flier
(comp.), La imposibilidad del olvido: recorridos de la Memoria en Argentina, Chile y
Uruguay, Ediciones al Margen, La Plata , pp. -.
. Cfr. ad esempio, per quanto riguarda il caso cileno, le riflessioni in A. García
Castro, ¿Quiénes son? Los desaparecidos en la trama política chilena (-), in
Groppo, Flier, La imposibilidad del olvido, cit., pp. -.
. Intervista con Susana S., cit.
. Intervista con Lucía F., cit.
. Intervista con Natalia L., Parigi,  ottobre , archivio personale.
. Si segnalano a questo proposito, anche se relativi al contesto cileno, alcuni stu-
di di psicologia clinica. In particolare cfr. E. Lira, E. Weinstein, Psicoterapia y repre-
sión política, Siglo XXI, Ciudad de México .
. In Recuerdo de la muerte le storie di vita delle ex detenute sono spesso arric-
chite da note esplicative che spiegano in maniera precisa e puntuale il contesto in cui
si verificano determinati avvenimenti – soprattutto per quanto riguarda la cattura di


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. IDENTITÀ

esponenti della guerriglia – riportando il lettore da un’atmosfera rarefatta e sofferen-


te a una fredda oggettività. Tradotto in molte lingue, si segnala qui l’edizione italiana:
M. Bonasso, Ricordo della morte, Mondadori, Milano .
. Cfr. P. Calveiro, Poder y desaparición. Los campos de concentración en Argen-
tina, Colihue, Buenos Aires .
. Ariès, Storia della morte in Occidente, cit., p. .
. «Nel XIX secolo, e all’inizio del XX, e ancor oggi nelle classi popolari, i fran-
cesi testimoniano un grande attaccamento a queste tombe di famiglia in cui spesso ri-
posano tre o quattro generazioni. In un mondo che si trasforma, in una società mobi-
le, la tomba è diventata la vera casa di famiglia. In una località della periferia parigina,
solo pochi anni fa, una vecchia lavandaia aveva comprato in fretta, mentre era ancora
in vita, la sua tomba, come un principe del Rinascimento. Aveva destinato questa tom-
ba anche ai suoi figli. Un giorno, litigò col genero. Allora, per punirlo, lo scacciò dal-
l’unico luogo che considerasse come suo perpetuo: “gli ho detto che non sarà mai se-
polto nella mia tomba!”. […] Il bisogno di riunire in perpetuo, in un luogo riservato
e chiuso, i morti della famiglia, corrisponde a un nuovo sentimento che si è poi este-
so a tutte le classi sociali del XIX secolo: l’affetto che lega i membri viventi della fami-
glia è riversato sui morti» (ivi, pp. -).
. Da Silva Catela, No habrá flores en la tumba del pasado, cit., p. .
. Buena memoria. Un racconto fotografico di Marcelo Brodski, cit.


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Dissonanze

.
Padri e figli

Tra le varie attività di cui si fa carico la Commissione di lavoro


Identità, la pratica degli homenajes, come si è visto, viene nor-
malmente dedicata alla generazione dei padri.
Relativamente al ricordo dei genitori si aprono diversi ordi-
ni di problemi, primo tra i quali quello della ricostruzione sto-
rica. Parte del progetto di rivalutazione individuale dei militan-
ti degli anni Sessanta e Settanta prevede l’elaborazione di sche-
de per la rivista dei figli, frutto di una mirata attività di ricerca
e di raccolta di documentazione. A questo scopo, in quasi tutte
le sedi regionali di H.I.J.O.S. esistono delle apposite commissio-
ni: Archivio e Studio. Un obiettivo a lungo termine, dichiarato
ripetutamente, è dunque contribuire alla realizzazione di un af-
fresco complessivo dell’associazionismo militante prima del
golpe. Nella loro elaborazione del passato, i figli sono stati tal-
volta accusati dall’opinione pubblica di idealizzare la genera-
zione precedente, di mancare di obiettività e spirito critico. Non
è forse un caso che, preso atto di queste critiche, nella loro rivi-
sta si legga:

Vogliamo dimostrare che gli uomini e le donne di quella generazione non


erano demoni assetati di sangue, né martiri, né eroi perfetti con progetti
perfetti. Erano persone che avevano deciso di impegnarsi, organizzarsi e
darsi completamente al loro ideale.

Nella rivista si possono rintracciare diversi esempi di rilettura


critica del percorso compiuto dai genitori, come ad esempio nel


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

numero dell’estate del . È il ventennale della morte di Ma-


rio Roberto Santucho, leader noto in tutto il continente latinoa-
mericano, di cui vale la pena accennare molto sinteticamente il
percorso politico-ideologico per la rilevanza che questo ha avu-
to nella storia di molti movimenti guerriglieri. Santucho inizia la
sua militanza nel Fronte Indoamericano Popular, nel , e in se-
guito alla morte di Ernesto “Che” Guevara consolida la sua pro-
pensione alla lotta armata. Fonda pertanto nel  l’Ejército Re-
volucionario del Pueblo (ERP), braccio armato del Partido Revo-
lucionario de los Trabajadores, nato nel . Preso prigioniero
nel , pianifica la fuga con altri  compagni dal carcere di
Trelew, al sud dell’Argentina, ma l’impresa riesce solo a cinque
di essi, che fuggono in Cile. Gli altri, compresa la sua compagna
Ana María Virreinal, vengono fucilati. Negli anni immediata-
mente precedenti alla dittatura del , con l’apparizione della
Tripla A, l’ERP passa alla clandestinità. Il golpe del  marzo ac-
celera la svolta repressiva, così come la reazione della guerriglia
guevarista. Il  luglio , giorno in cui era stata programmata
la fuga all’estero, in contemporanea a una riunione tra rappre-
sentanti Montoneros ed ERP, Mario Roberto viene catturato e uc-
ciso. Rimane sconosciuto il luogo in cui riposano le sue spoglie.
A vent’anni dalla morte, a questo personaggio viene dedicato
nella rivista “H.I.J.O.S.” un lungo inserto, comprendente la testi-
monianza di due dei suoi figli. Alla domanda se ha critiche da ri-
volgere all’immagine di combattente ideale di suo padre, ri-
sponde Mario, vissuto in esilio a La Havana fino a diciannove
anni, poi tornato a vivere in Argentina:

Sì, ma non precise. Definirle sarà un processo lungo… [sorride] Forse


proprio perché per tutta la vita mi hanno raccontato quali erano le virtù
di quella generazione, adesso m’interessano soprattutto le critiche. Ana-
lizzare quali sono state le concezioni politiche errate, che hanno portato
a commettere errori. Di solito si puntualizza: nel ’ si è commesso quel-
lo sbaglio, nel ’ quell’altro, ma… quali concezioni politiche hanno por-
tato a quegli errori? È difficile incontrare oggi persone che portino argo-
mentazioni valide….


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. DISSONANZE

Nell’intervista successiva Ana, figlia di Mario Roberto e Ana María


Virreinal, morta nel massacro di Trelew, risponde così:

Deve essere stato molto difficile per lui. Anche se credo che abbia avu-
to un acume politico molto particolare per la sua epoca, provo a non
mitizzarlo. Idealizzare troppo una persona vuol dire anche spogliarla
di tutto il suo contenuto umano. A volte si crede che un leader sia una
persona diversa dagli altri, in grado di resistere a tutto, e mio padre non
era così.

Posizioni individuali così critiche ed equilibrate sembrano mo-


strare un preciso distacco tra la dimensione affettiva e nostalgica e
l’esigenza di ricostruzione obiettiva del passato, di ciò che la lotta
armata ha rappresentato per la storia recente del paese. A livello
collettivo e corale, sono probabilmente il frutto di un percorso tor-
tuoso, un dibattito che si è consolidato negli anni durante le as-
semblee settimanali dell’associazione. Ma non è raro, allo stesso
modo, trovare affermazioni che sembrano essere al confine con la
celebrazione:

Abbiamo cominciato guardandoci gli uni negli occhi degli altri. E ades-
so vogliamo guardare tutti insieme verso la stessa direzione, verso lo stes-
so futuro. Costruire tutti insieme questo futuro. Quello che i nostri geni-
tori avevano sognato per noi. […]
Per molti anni nessuno ci ha chiamati “figli”. Volevano che fossimo
figli di nessuno. Oggi siamo dei combattenti, figli di combattenti. I nostri
genitori marciano con noi.

Pablo D., figlio, come si è visto, di membri dell’ERP, ricorda di-


versi episodi della militanza politica della madre. Tra quelli che
più sono rimasti vivi nel patrimonio familiare c’è un’azione ar-
mata, quella di “Monte Cingolo”: un’operazione ad alto rischio,
data la presenza di un infiltrato che, si ipotizza, avvisa le forze
armate, provocando così una clamorosa sconfitta dei combat-
tenti. Per una serie di circostanze la madre di Pablo ne viene
esclusa, salvando così la vita. Singolare è vedere come, dalla fu-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

cina della memoria del figlio, più che la gratitudine dello scam-
pato pericolo, emerge l’orgoglio della militanza vissuta al limite
del rischio estremo:

Mia madre, che faceva parte della sezione di contrainteligencia, possede-


va questa informazione che non… non ricordo bene, ma di certo… lo sa-
pevano, ed erano in dubbio se portare avanti l’azione o meno. Certo mia
madre sapeva bene come stavano le cose, più di ogni altro! Contrainteli-
gencia, capisci? Forse c’erano degli infiltrati, forse no… lei era stata pro-
posta per partecipare come combattente all’azione di Monte Cingolo e…
ci voleva andare! Invece una sua compagna, una sua responsabile, che era
anche una sua amica… ha chiesto alla dirigenza di non mandarcela. In-
fatti non l’hanno mandata, e mia madre… si è arrabbiata! Ti rendi con-
to? Io lo racconto sempre, sembra una pazzia, ma… per la… per quel-
l’epoca… lei sapeva… sapeva che sarebbe andata in un luogo dove tutto
poteva andare storto, dove poteva morire, dove… insomma, un’azione
che poteva essere già stata rivelata da un infiltrato, ci poteva essere qual-
cuno lì in attesa, ci avrebbero potuti uccidere, e nonostante tutto… pre-
scinde da tutto questo! Tutto ciò risponde a una logica del tutto… pro-
pria di quel periodo….

Lo stesso meccanismo si verifica quando si affronta – sempre se-


condo il ricordo del figlio – il nodo del vissuto della maternità e
delle relazioni familiari più estese. Avere un bambino, gli viene
chiesto, non rappresentava per lei un’eventuale deterrente sui
rischi da correre? Non seminava per lo meno il dubbio sulla pos-
sibilità di interrompere un tale livello di partecipazione alla lot-
ta armata? Non costituiva un motivo di scontro con i nonni? A
tutte queste domande il ragazzo risponde, sorridendo:

[E per di più] con un figlio! Una volta mia nonna mi ha raccontato che
le ha detto «Ehi, Marta, ma perché ti sei coinvolta in tutto questo, con
un figlio!». […] E infatti, dopo che mio padre era stato sequestrato ed
era desaparecido… proprio da lì mia nonna ha cominciato a dire a mia
madre… ha iniziato a dire «ahi, ma perché si è cacciata in questa fac-
cenda, se ha un bambino» e così via… mia nonna lo racconta come qual-


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. DISSONANZE

cosa di brutto, ma a me fa sentire bene! [sorride] Mia nonna mi racconta


di come… lei ha risposto: «Io faccio tutto questo proprio perché ho un
figlio! Perché voglio che cresca in un paese libero»… Ha legato questo
discorso a tutta la sua militanza!

Pablo, inoltre, è a conoscenza del fatto che suo padre facesse uso
di armi. Dal racconto non emerge nessun tipo di giudizio in me-
rito, quanto piuttosto la percezione di una violenza diffusa,
“normalizzata”. Comprensibile, nel suo metro di valutazione,
perché commisurata alla tensione politica e sociale del momen-
to, che investiva in maniera capillare tutto il mondo del lavoro,
non escluso quello della fabbrica in cui il padre svolgeva attività
politica.

A livello personale, mah, non so… sì, all’inizio mi sembrava una cosa mi-
tica, sai? [sorride]… L’eroe… poi no, ma allo stesso tempo non credo
che… voglio dire, è normale, per quel periodo, che un militante sinda-
cale girasse armato, non era necessariamente per andare a dare l’assalto
alle caserme… sicuramente lo faceva perché venivano le squadre di po-
lizia sindacale! Lui era un militante del PRT… e il PRT ha cercato di rag-
giungere un certo livello di adesioni nella classe operaia. […] Lavorava
nel settore metallurgico… il PRT cercava consenso nella classe operaia,
ma c’erano anche i militanti sindacali peronisti, quelli di sinistra che…
certamente andavano più o meno d’accordo con loro, però la maggio-
ranza erano sicuramente militanti peronisti di destra, e questi erano ti-
pi… che magari arrivavano lì, ti prendevano e ti davano uno scossone, o
venivano alle assemblee armati, per questo era… molto comune portare
armi con sé, data l’epoca! Quindi non mi sembra una cosa così… voglio
dire, mi sembra che le armi… compresa la difesa personale… è qualco-
sa di… in un periodo così. Poi, se lui ha partecipato ad azioni più… im-
pegnate, ad… azioni armate [abbassa la voce] non lo so e… non so co-
sa penserei a riguardo. […] Mi piacerebbe sapere bene cosa… cosa ha
fatto, e cosa no… lui è stato coinvolto, ma non si è mai saputo bene il
perché, in un attacco che ha organizzato l’ERP a Catamata, nel ’, li han-
no presi tutti, vivi, e poi li hanno fucilati, è stata una cosa terribile, ed è
stato un grandissimo errore da parte dell’ERP perché ha dissolto… han-
no perso gente di grande valore!


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

Questa tensione tra la ricostruzione e l’imitazione, la critica e la no-


stalgia, rappresenta un nodo importante per capire le modalità con
cui i figli fanno “uso pubblico della storia”. Un problema di non
facile e univoca soluzione, che, in termini generali, pone una serie
di questioni che di fatto trascendono il contesto nazionale argenti-
no, e costituisce uno dei temi forti all’interno di diverse tendenze
storiografiche contemporanee. Per rimanere nel solco delle cate-
gorie interpretative di studiosi italiani come Nicola Gallerano, ad
esempio, vediamo come l’“uso pubblico” della storia si definisce
attraverso l’intreccio tra dibattito storiografico e riflessione civile,
e s’identifica con

tutto ciò che si svolge fuori dai luoghi deputati alla ricerca scientifica in
senso stretto, della storia degli storici, che è invece scritta di norma per
gli addetti ai lavori e un segmento molto ristretto di pubblico. […] Alla
luce di questa definizione estrinseca, partecipano all’uso pubblico della
storia anche opere concepite e realizzate come lavori scientifici e che tut-
tavia hanno un impatto pubblico che trascende di gran lunga la cerchia
degli addetti ai lavori.

La produzione di un dossier, ma ancor più l’organizzazione di un


homenaje, rivolto a una molteplicità di persone, comportano inol-
tre per ogni ragazzo un percorso di conoscenza di sé e del passato
nazionale estremamente complesso e non privo di profonde, forse
insolubili ambiguità. Dense di significato, a questo proposito, so-
no le ultime considerazioni del figlio di Mario Roberto Santucho:

Bilanci approfonditi di periodi storici significativi come questo li fanno


le forze sociali, non i sopravvissuti. E soprattutto quando i sopravvissuti
sono il prodotto di una sconfitta sociale enorme. Noi, da H.I.J.O.S., lavo-
riamo per recuperare la memoria, dando così un contributo a tale pro-
cesso. Ma ovviamente non riusciremo a ottenere la sintesi; non tra uno,
due, e nemmeno tre anni. Quando penso a un homenaje per mio padre,
uno dei pensieri dominanti è, per esempio, quanto superiori potevano es-
sere gli uomini e le idee dell’epoca comparati a questo periodo storico.
[…] Per questo la sfida è come si fa a rivendicare, o almeno parlare, di
quell’epoca. Penso sia fondamentale parlare di persone concrete, delle lo-


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. DISSONANZE

ro storie di vita, di chi erano, demistificandoli, umanizzandoli, anche se


il politico non può essere separato dall’umano.

C’è dunque consapevolezza di muoversi tra il “timore” e il “dove-


re” di operare una ricostruzione storica, come afferma una testi-
mone.
Con tutta probabilità, a ogni modo, le variazioni nella perce-
zione del genitore costituiscono un ulteriore esempio di come,
per dirla con Alessandro Portelli, la memoria non vada intesa co-
me deposito di informazioni che sedimentano per poi invecchia-
re e morire, ma come matrice attiva di significati in continua evo-
luzione, mai uguale a se stessa. È la “memoria come evento”,
che proprio attraverso una variegata gamma di possibili scarti, in-
venzioni, “errori”, esprime il suo significato più profondo. Se
infatti, come afferma Karen Fields, è vero che «la memoria sba-
glia; notoriamente, la memoria commette errori, lascia vuoti, e
collabora con forze effettivamente separate dal corso effettivo
dei fatti», ugualmente si può dire che «la memoria vince, tutta-
via. Enormemente e profondamente; perché è fondamentale per
la vita umana, per non dire sinonimo di essa». E dunque rivela
il proprio insostituibile valore nel riscattare la percezione indivi-
duale e soggettiva di eventi e processi, al di là della presunta di-
namica “oggettiva” dei fatti.
Se si considera H.I.J.O.S. quale esempio di “memoria incarna-
ta”, “evento” che vive di dinamiche proprie, allora non è rilevante
verificare quanto le elaborazioni prodotte relativamente al recen-
te passato nazionale corrispondano all’effettiva dinamica dei fatti.
Al contrario, paradossalmente, quante più invenzioni e celebra-
zioni incontriamo nella loro produzione scritta e orale, tanto più
esse si rivelano significative e interessanti.
Queste dinamiche possono essere lette, inoltre, all’interno di
una complessa trama di relazioni tra passato e presente che – co-
me suggeriscono ipotesi recenti formulate nel campo della socio-
logia della memoria, superando in parte le teorie dello studioso
che, forse più di tutti, ha segnato la parte centrale del Novecento,
Maurice Halbwachs – propongono modelli innovativi di intera-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

zione. Non si guarda dunque “semplicemente” alla rielaborazione


del passato in funzione dei bisogni del presente, né si legge il pre-
sente esclusivamente in funzione dei bisogni del passato, bensì si
evidenzia la relazione sempre dinamica, interattiva, tra queste due
dimensioni temporali, in particolare nel caso di memorie trauma-
tiche. Afferma a questo proposito Gabriela Fried, studiosa di so-
ciologia della memoria presso l’Università di Los Angeles, in uno
studio comparativo sui processi di elaborazione del ricordo dei fi-
gli di desaparecidos in Argentina e Uruguay:

Gli studi sulla memoria collettiva stanno acquistando un’importanza cre-


scente nelle scienze sociali, e la maggior parte della produzione contem-
poranea tende a sottolineare la malleabilità della memoria. Se, come emi-
nenti teorici sociali della memoria quali Halbwachs, Mead, e più recen-
temente Hobsbawm e Ranger sostengono, i ricordi vengono costruiti a
partire dai bisogni del presente, questo implicherebbe che la memoria è
in balia del potente controllo dei regimi politici. Tuttavia, recenti studi
sul trauma sociale suggeriscono che i ricordi possono rivelarsi estrema-
mente resistenti a determinate condizioni (Perelli, Rapaport, Schudson,
Schwartz, Olick). In questo studio analizzo i tentativi di questi gruppi nel
mantenere vivi i ricordi della repressione e nel cercare di ricostruire cosa
è successo in quel periodo – “la verità” –, nell’ambito di due diversi con-
testi istituzionali e processi di “regolazione di conti”, considerandoli ca-
si esemplari di resistenza della memoria di fronte al potere di un passato
irrisolto e non elaborato che tuttavia tormenta il presente, impedendo
dunque una piena manipolazione del passato stesso. La mia ipotesi è che
i ricordi traumatici pongono una sfida alle teorie che presentano argo-
mentazioni integralmente costruzioniste o “presentiste”, e hanno il po-
tenziale di mostrare i loro limiti nella comprensione del passato e la com-
plessità dei livelli su cui la memoria (e la conoscenza del passato in ogni
caso) agisce nei gruppi, nelle comunità e nelle società. Anche se il passa-
to è necessariamente filtrato attraverso la visione del presente, questa vi-
sione è a sua volta colorata da interpretazioni e significati del passato
(Olick, Rapaport). Rifacendomi a Schwartz, Olick e Prager, concludo
pertanto sostenendo che una teoria più vasta della memoria collettiva,
comprendente la mutua interpenetrazione di passato e presente, è uno
strumento analitico estremamente necessario a illuminare tutti i processi
sociali relativi al ricordo nella loro piena complessità e dinamismo.


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. DISSONANZE

In termini generali inoltre, come ci ricorda Luisa Passerini a pro-


posito della conflittualità della memoria individuale e del suo rap-
porto con il potere,

che la memoria non sia pacificata una volta per tutte è segno di una sua
originaria conflittualità. L’opera di selezione e di formazione che presie-
de al ricordo ha spesso a che fare con il potere, sia quello formale e cen-
tralizzato sia quello diffuso e sotterraneo, proprio delle relazioni inter-
personali. E così anche nella famiglia, anche nella coppia – di amanti o di
amici – dove il rammemorare incontri, ricorrenze, relazioni, assume ri-
lievo celebrativo o deprecatorio, andando a costituire memoriali privati.

Una riflessione a parte, dunque, può essere adesso dedicata alle


potenziali, infinite ambiguità e conflitti di cui si fa carico la fucina
della memoria dell’associazione dei figli al suo interno.

.
Memorie divise e conflittuali

La cosa fondamentale è che gli H.I.J.O.S. erano gli hijos di… persone di-
versissime! Sicuramente non si sarebbero mai uniti, i loro genitori, non
avrebbero mai fatto parte dello stesso gruppo. C’erano persone i cui ge-
nitori facevano parte dell’ERP, persone i cui genitori… militavano nei
Montoneros, altri erano dell’Azione cattolica! Persone… i cui zii erano
stati monaci, o suore [sorride]. Altri genitori avevano invece fatto parte
di… erano avvocati, o… partecipavano a partiti politici… quindi, vera-
mente, questo creava una serie di discussioni… che io… ricordo, ore e
ore. Perché… quando andavo in Argentina, ogni due anni circa, cercavo
sempre di partecipare a queste riunioni che erano… infinite!

Questo è il ricordo di Matilde, testimone occasionale delle assem-


blee dell’associazione, dove vengono periodicamente impostate le
linee di lavoro e discusse le varie iniziative.
H.I.J.O.S. possiede, come si è visto, una struttura orizzontale e
non gerarchica, che consente a tutti i membri la libera espressione
delle proprie opinioni e la regolare alternanza di rappresentanti
per le dichiarazioni ai media e agli incontri pubblici. Tuttavia, que-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

sta struttura pone una serie di problemi, parte dei quali emergono
con evidenza dalla testimonianza appena riportata.
H.I.J.O.S. comprende infatti quattro componenti essenziali: fi-
gli di scomparsi, di esiliati e di assassinati dal regime, più un
gruppo di sostegno di ragazzi che, pur non avendo subito le vio-
lenze del regime militare direttamente nelle loro famiglie, aderi-
scono al movimento. A questo quadro, già di per sé variegato,
partecipano i figli di una militanza estremamente eterogenea, ac-
comunati dalla perdita di genitori che forse – proprio come af-
ferma Matilde – non si sarebbero mai uniti, in vita. È noto, d’al-
tronde, che la tragedia argentina non ha risparmiato tipologie di
dissidenti, classi sociali o appartenenze religiose. Ha inoltre coin-
volto individui che non militavano in nessuna organizzazione, ma
avevano a volte come unica colpa quella di comparire sull’agen-
da telefonica di persone sospette al regime. Come spesso si veri-
fica nelle guerre, siano esse dichiarate a un nemico interno o
esterno, lo spettro delle vittime è ampio, indefinito, talvolta per-
sino casuale. Affiorano alla mente, a questo proposito, le consi-
derazioni di Alessandro Portelli sull’eterogeneità delle vittime
delle Fosse Ardeatine:

Trecentotrentacinque persone vogliono dire ormai tre generazioni di al-


trettante famiglie, parenti stretti, parenti lontani; per ognuno di loro vo-
gliono dire amici, compagni di lavoro, di partito, di sindacato, di scuo-
la, di chiesa, e vicini di quartiere: il racconto delle Fosse Ardeatine è un
seguito di anelli concentrici che si espandono fino a pervadere lo spazio
della città. […] Le Fosse Ardeatine sono il simbolo della tragedia italia-
na perché lì si è radunato tutto, tutti sono stati rappresentati… Alle Fos-
se Ardeatine muoiono cattolici, ebrei, atei. Comunisti di diversa forma-
zione, socialisti, liberali, azionisti, monarchici, apolitici; militari, civili.
Sono aristocratici, operai, artigiani, commercianti, professionisti. Ven-
gono da un impegno attivo e rischio coscientemente assunto nella resi-
stenza, o sono stati presi per caso e per fare numero, per essersi trovati
nel luogo sbagliato o per non aver rinnegato la religione o l’identità
ebraica. «Di fronte alla Fosse Ardeatine – ha scritto Vittorio Foa – le mie
ispirazioni sono… quasi naturalistiche, la convergenza dei percorsi vita-
li… si uccidevano gli ebrei perché erano ebrei, non per quello che pen-


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. DISSONANZE

savano o facevano… si uccidevano gli antifascisti per quello che pensa-


vano e facevano, si uccidevano uomini che non c’entravano nulla solo
perché erano dei numeri da completare per eseguire l’ordine». […] Al-
le Fosse Ardeatine arrivano da tutti i quartieri e borgate di Roma, Tra-
stevere e Montesacro, Torpignattara e Trionfale, Portico d’Ottavia e
Centocelle, Testaccio, la Storta. Molti sono nati a Roma. Ma a Roma è
venuta gente da tante parti, e alle Fosse Ardeatine finiscono vite comin-
ciate in Abruzzo, in Puglia, a Torino, nei Castelli romani – e in Lussem-
burgo, Ungheria, in Turchia, Ucraina….

All’eterogeneità delle vittime della violenza di Stato corrisponde,


in maniera simmetrica e speculare, l’eterogeneità dei testimoni del
ricordo della medesima violenza, come ci suggerisce anche Wie-
viorka sulla figura del testimone nella ricostruzione della storia
della Shoah. Riporta infatti le considerazioni di Gideon Hausner,
il grande regista dietro le quinte del processo all’ufficiale nazista
Adolf Eichmann, tenutosi a Gerusalemme nel :

La scelta dei testimoni compiuta da Gideon Hausner obbedisce, inoltre,


a un duplice imperativo, storico e sociologico al contempo: «Volevo far
conoscere ciò che era accaduto in ogni luogo occupato dai nazisti e che
la storia fosse raccontata da un campione rappresentativo dell’intero po-
polo: professori, domestici, artigiani, scrittori e contadini, commercianti,
dottori, funzionari e operai. Di qui la diversità dei testimoni. Appartene-
vano a tutti i gradi della scala sociale com’essa si presentava nel momen-
to in cui la catastrofe si era abbattuta sull’intera nazione».

Nella rivista “H.I.J.O.S.” si afferma che i partecipanti sono «figli di


peronisti, di marxisti-leninisti, di trotzkisti, di maoisti, di militanti
cristiani, di anarchici e di molte altre ideologie, persone che lotta-
vano per un paese giusto». Non a caso, i primi due homenajes
organizzati a Buenos Aires sono dedicati a personaggi ideal-
mente molto distanti tra loro nel panorama dei movimenti poli-
tici dell’epoca: Envar “Cacho” El Kadri (Peronismo de base e
Fuerzas Armadas Peronistas) e Mario Roberto Santucho (Ejérci-
to Revolucionario del Pueblo e Partido Revolucionario de los Tra-
bajadores). Le rispettive commemorazioni, secondo i figli, ri-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

spondono alla precisa strategia di non privilegiare un progetto


politico dell’epoca piuttosto che un altro, ma di valorizzarlo nel-
la sua essenza di voce di dissenso rispetto al progetto ideologico
imposto dai militari. L’obiettivo di fondo è rendere omaggio ai
padri non in quanto scomparsi, ma piuttosto per le lotte che es-
si hanno sostenuto attraverso le associazioni di appartenenza, ri-
vendicando contemporaneamente «il singolo e i trentamila, tut-
ti e ciascuno, e riscattare le individualità, i processi, le storie, i
contributi di ogni singola organizzazione».
Caratteristica saliente dell’organizzazione è la “pluridiscorsi-
vità”, termine che lo storico Bruno Cartosio riprende dall’analisi
testuale di Bachtin, e utilizza come categoria interpretativa nello
studio di memorie collettive e individuali. È possibile immagina-
re H.I.J.O.S. come un coro a più voci. Un coro in cui non è sempre
evidente quali siano i solisti, e che ci lascia in dubbio su quale me-
moria venga rappresentata. La memoria di gruppo o le memorie
individuali? Pur non entrando nel merito della complessa relazio-
ne tra memorie individuali e memoria collettiva – come il nucleo
forte delle teorie di Halbwachs ci suggerirebbe – tuttavia è possi-
bile chiedersi: quali individui si prende in considerazione? I lea-
ders, se ce ne sono, o i semplici partecipanti?
Si tratta di voci non sempre armoniche, anzi a volte disso-
nanti, espressione di memorie condivise, ma anche divise al loro
interno. Quello della “memoria divisa” o, più correttamente, del-
la pluralità di memorie, è un nodo su cui hanno riflettuto anche
diversi storici contemporaneisti che si sono occupati della me-
moria delle stragi nazifasciste in Italia. Le loro riflessioni sulle
“divaricazioni, dissonanze e oblii” con cui le stragi sono state
percepite all’interno delle comunità colpite suggeriscono in que-
sto senso alcune potenziali chiavi di lettura anche per il caso ar-
gentino.
La “memoria ufficiale” di H.I.J.O.S. si delinea dunque come un
insieme magmatico, multiforme, non sempre nettamente definito,
vista la struttura orizzontale e le eredità fortemente eterogenee di
cui i figli, in maniera più o meno consapevole, si fanno portatori.


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 125

. DISSONANZE

Un esempio significativo è costituito dalle posizioni espresse in se-


de assembleare sull’opportunità di riproporre o meno la lotta ar-
mata. Secondo alcune fonti orali si tratta di una questione che ha
fatto emergere atteggiamenti tra i più diversi all’interno del movi-
mento. Lucía, ad esempio, racconta come il tema sia stato ogget-
to di lunghe discussioni, a volte durate fino a tarda notte, nell’in-
tento di trovare una posizione comune. Tra le varie voci che si so-
no espresse a riguardo, ricordiamo nuovamente quella di Pablo.
La dimensione della violenza politica assume nella sua narrazione
un carattere originale, che vede, tra i vari aspetti, una netta de-
marcazione tra la fase precedente al colpo di Stato e quella della
dittatura militare:

Ho l’impressione che all’inizio degli anni Settanta, quando crescono le


organizzazioni e la lotta armata, tutto questo era pienamente legittimo,
e… non solo perché in quel momento c’erano le dittature militari, ma an-
che perché si trattava di qualcosa come la quinta dittatura militare… il
peronismo era bandito, era in atto un processo di repressione, di pro-
scrizione, di chiusura verso i canali istituzionali della partecipazione po-
litica che… non so, in quel momento mi sembrava legittima! Ed era le-
gittimo soprattutto perché non era… come dire… fuori contesto, non era
qualcosa che facevano solo quattro illuminati, al contrario, la scelta della
violenza in quel momento in Argentina, e questa è la mia opinione, chia-
ramente discutibile, ci potremmo discutere sopra fino alle quattro di not-
te. […] Dicevo, il tema della violenza in Argentina, in quella fase, credo
che… fosse vista da un ampio settore del popolo come uno strumento le-
gittimo di trasformazione. Credo sia stato proprio così. Questa, per esem-
pio, è una delle cose che mi interessa comunicare: perché oggi sembra che
la violenza sia una categoria di analisi “trans-storica”, che attraversa il
tempo e la storia… ed è… sempre così! Quindi: è sempre sbagliata, sem-
pre… Per cui, diciamo che tutta la violenza politica che si è scatenata in
quel momento, tutta l’esperienza della lotta armata, si butta nella spazza-
tura, con questa visione. E per questo mi sembra che… è qualcosa su cui
si deve lavorare, con determinazione! Credo che un vasto settore del po-
polo argentino… lo vediamo ad esempio quando si studiano queste or-
ganizzazioni, come il movimento Cura del Tercer Mundo [preti per il Ter-
zo mondo, N.d.A.], ebbene, alcuni dei membri di questa associazione


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 126

L A M E M O R I A O S T I N ATA

hanno fatto parte di organizzazioni armate! E loro, ad esempio, diceva-


no di non volere la violenza, però la violenza degli oppressi… era legitti-
ma di fronte alla violenza degli oppressori, dunque mi sembra che… il te-
ma della violenza fosse… legittimo. Per questo dico che il tema della lot-
ta armata non va separato da questo contesto.

Diversa è invece la situazione dopo il colpo di Stato, sostiene Pa-


blo, quando la base sociale della militanza politica è già intaccata
alle fondamenta:

Mi sembra ci sia una differenza, perché dopo, quando inizia la repressio-


ne alla fine del ’, all’inizio del ’, con la Tripla A, il perfezionamento
dei metodi repressivi, e poi dopo con il colpo di Stato, il tema della vio-
lenza si trasforma in qualcosa di… come dire, ho l’impressione che… non
mi piace parlare di “base”, ma è come se la gente… hai presente quando
dicevano che la guerriglia doveva muoversi come un pesce nell’acqua?
Beh, mi sembra che quest’acqua si fosse… prosciugata, ecco! La guerri-
glia, invece di finirla, invece di rendersi conto che non aveva più il con-
senso della gente, non prende in considerazione questa situazione.

Da questo racconto emerge dunque un chiaro desiderio di rifles-


sione e di analisi critica sugli eventuali “errori”, le “mancanze”, le
forzature, i meccanismi del consenso, o al contrario di mancata
adesione della società civile nei confronti dei movimenti armati
dell’epoca:

Credo che la violenza come scelta legittima, in questo momento non…


[la gente] ha molta paura, è stanca della violenza, un gran colpo al siste-
ma è stato mostrare una violenza che tre anni prima costituiva uno stru-
mento legittimo di trasformazione, e invece… gli è stata tolta completa-
mente legittimità, dunque la gente si è stancata, diciamo così, di tante spa-
ratorie, di tanta violenza… non so che cosa si sarebbe dovuto fare, non
sto dicendo che fossero tutti matti ma… mi sembra che la scelta di ar-
marsi in questa circostanza, la scelta di… raddoppiare in un certo senso
la scommessa, e decidere lo scontro, secondo me li lascia… come dire…
non è stata la cosa giusta, non so cosa si sarebbe potuto fare, ma sicura-
mente qualche altra cosa.


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 127

. DISSONANZE

È come se dopo il ’ ci fossero apparati armati uno contro l’altro…


io non credo nella teoria dei due demoni, non voglio dire questo ma…
dopo il ’ è stato un po’ così. […] Ed è come se questo in parte avesse
legittimato la teoria dei due demoni! Ho l’impressione che… era arriva-
to il tempo di fare qualcos’altro, rendersi conto del fatto che… non so,
cercare di passare all’azione politica, cercare di… non so… non credo
fosse il momento di pianificare lo scontro, sentire l’onnipotenza delle ar-
mi, credere che si sarebbe potuto… vincere!

Rispetto all’uso delle armi o della violenza, le dichiarazioni uffi-


ciali dell’associazione sono chiare. Un documento preparatorio
dell’assemblea del giugno  a Rosario, ad esempio, si riferisce
esplicitamente alla necessità di lavorare all’interno della legalità,
affermando che «H.I.J.O.S. si prefigge la lotta per il raggiungi-
mento dei suoi obiettivi facendo uso solamente degli strumenti
che il sistema legale e politico vigente mette a disposizione; non
si responsabilizza come organizzazione di atti indipendenti di
nessuno dei suoi membri».
Tuttavia, è possibile che questa posizione collettiva sia il pro-
dotto di un percorso maturato nel tempo e di tensioni forse non
ancora del tutto risolte. Nel corso degli anni, infatti, secondo un
percorso non lineare né progressivo, prevalgono a fasi alterne at-
teggiamenti più o meno radicali. Alla domanda se, secondo la
sua percezione, H.I.J.O.S. non abbia ammorbidito le proprie po-
sizioni negli ultimi anni, Pablo risponde:

Credo di sì, in qualche misura ci sono stati segni di maturazione, il


punto di svolta è quando H.I.J.O.S. smette di essere un… gruppetto di
ragazzi arrabbiati col mondo e… che crede di avere la verità in mano,
e si mette a lavorare… un po’ più seriamente dal punto di vista politi-
co, credo! Per cui, certo, diviene un referente nelle proteste naziona-
li… nei quartieri… si articola in commissioni che tendono ad avere una
visione critica delle organizzazioni, dove molte delle cose che sembra-
vano… oooh! Tremende! Per così dire… quando invece anche orga-
nizzazioni dell’epoca facevano cose di questo tipo… […] ad esem-
pio… ne faccio uno: stabilire alleanze tattiche con forze che non era-
no rivoluzionarie, con forze politiche più riformiste… tanto per fare


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 128

L A M E M O R I A O S T I N ATA

un esempio, no? Tutto questo purismo, questa stretta adesione ai prin-


cipi credo che l’abbiamo un po’… smussato! I principi sono impor-
tanti ma… credo anche che… se l’altro la pensa diversamente da te,
comunque ci puoi costruire qualcosa assieme, e… nel fare politica que-
sto mi sembra fondamentale!

È possibile immaginare che le appartenenze dei genitori giochino


un ruolo determinante, facendo sì che i ragazzi seguano in un cer-
to senso l’eredità ricevuta, assumendo e interiorizzando in un cer-
to senso una tensione, più o meno radicale, rivolta verso il cam-
biamento. Altra ipotesi da verificare è se l’assenza dei genitori – e
con questa la mancata possibilità di un’evoluzione verso posizio-
ni meno drastiche – possa determinare a sua volta l’atteggiamen-
to del figlio nel presente. In assenza di uno o entrambi i genitori,
dunque, a detta di alcuni testimoni potrebbero verificarsi due di-
namiche distinte: da una parte, una maggiore voglia di riscatto ri-
spetto al trauma subito e dunque l’assunzione di atteggiamenti
più rigidi; dall’altra, una sorta di attaccamento a quella che era la
posizione del genitore stesso, rimasta tale nella memoria dei figli
e senza possibilità di evolversi, magari di attenuarsi. Rimangono
quindi diverse questioni in sospeso, che è possibile forse conden-
sare in due punti nodali: si può affermare che la mancanza di ela-
borazione del lutto, magari con l’aiuto di uno dei due genitori so-
pravvissuto, abbia portato all’assunzione di posizioni più nette e
radicali nel figlio di oggi? È plausibile immaginare, inoltre, una
sorta di mandato ideale, che determina, in un certo senso, una
corrispondenza tra il progetto politico del genitore e le modalità
attuali di protesta del ragazzo?
Le opinioni dei figli intervistati sono piuttosto diverse in meri-
to. Anche in questo caso, è probabile che la moltitudine di voci e
di percezioni distinte rimanga un elemento costante, di cui si deve
prendere atto. Piuttosto che impegnarsi nella ricerca di una im-
possibile memoria unica, omogenea, uguale a se stessa nel tempo,
ci si troverà anzi ad apprezzare proprio le infinite sfumature, le dif-
ferenze di toni, la ricchezza degli scarti e le dissonanze all’interno
della polifonia.


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 129

. DISSONANZE

.
Giustizia: il percorso verso l’impunità

Una voce unica e compatta del gruppo risuona invece nel rivendi-
care giustizia per i militari incriminati di violazioni dei diritti uma-
ni durante la dittatura e via via scagionati negli anni successivi alla
transizione democratica. Un preciso apparato di leggi elaborate
negli anni - – che l’attuale presidente Kirchner sta facendo
dichiarare incostituzionali dal Parlamento – ha fatto sì che la mag-
gioranza dei colpevoli circoli oggi a piede libero. Il fenomeno del-
l’impunità, probabilmente giunto oggi a un punto di svolta, è il
frutto di un processo che si potrebbe tentare di riassumere grosso
modo a partire dalla presidenza del radicale Raúl Alfonsín, eletto
democraticamente nel dicembre del .
Pochi mesi dopo l’assunzione del suo incarico, il presidente isti-
tuisce una specifica commissione d’inchiesta, la Commissione na-
zionale sulla scomparsa di persone (Comisión Nacional sobre la De-
saparición de Personas – CONADEP), il cui esito, dopo settimane di
intenso lavoro, è il rapporto Nunca Más, “mai più”. Il documen-
to, . pagine vendute rapidamente in . copie, riporta in
appendice  nomi di carnefici, provenienti dalle forze armate e
dalle forze di sicurezza, e sancisce ufficialmente la sparizione di
 persone. Una cifra che, secondo diverse fonti, e in particolare
le stime delle associazioni di familiari, non rappresenta che la pun-
ta dell’iceberg della reale entità del fenomeno: “i trentamila”. La
CONADEP non viene concepita come corte di giustizia, bensì come
commissione di studi, dal limitato compito di far luce su una parte
dei crimini di Stato. Tuttavia, al rapporto Nunca Más segue una se-
rie di processi esemplari a diversi ufficiali, compresi coloro che ave-
vano rivestito incarichi di potere durante il golpe. Solo per citare i
casi più clamorosi, che risentono anche di un grande impatto me-
diatico, il generale Jorge Rafael Videla – ex capo di Stato – e l’am-
miraglio Emilio Massera sono sottoposti a giudizio nel .
Negli anni successivi si verifica invece un’inversione di ten-
denza e una politica di crescente compromesso con le forze arma-


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 130

L A M E M O R I A O S T I N ATA

te. Nel  Alfonsín promuove la legge di Punto final, “punto fi-
nale”, che stabilisce un periodo di sessanta giorni per presentare
denunce di violazioni dei diritti umani, oltre il quale nessun recla-
mo viene più preso in considerazione. Alcune rivolte militari nel-
l’aprile del  vengono inoltre seguite dalla legge di Obediencia
debida, “obbedienza dovuta”: una parziale amnistia per i colpevo-
li, sollevati dalle loro responsabilità sulla base del fatto che gli uf-
ficiali di rango minore erano tenuti a obbedire agli ordini, senza
possibilità di rifiuto.
La giustificazione ideologica di questo processo risiede so-
stanzialmente nella “teoria dei tre livelli di responsabilità”, se-
condo la quale lo stesso presidente distingue i colpevoli in tre ca-
tegorie. In primo luogo, gli esponenti delle forze armate che ave-
vano pianificato l’insieme delle metodologie repressive. In se-
condo luogo, coloro che erano stati accusati di commettere “ec-
cessi” nella loro applicazione. Infine, quelli che si erano limitati
a eseguire tali ordini. Altre dimostrazioni di forza di una fran-
gia dell’esercito (i cosiddetti carapintadas, letteralmente “facce
dipinte”), nel , incentiva un’ulteriore negoziazione da parte
del governo.
L’atteggiamento del presidente Carlos Saul Menem, espo-
nente del Partido justicialista eletto nel , non differisce so-
stanzialmente da quello del suo predecessore, e consolida di fat-
to la tendenza all’impunità. Nell’ottobre  anche alti ufficiali
– contrariamente ai criteri dei livelli di responsabilità stabiliti in
precedenza – vengono scagionati, e si eliminano così pretesti per
indagini future; gli ufficiali dei carapintadas che si erano ribellati
ad Alfonsín godono inoltre di una amnistia generale. Questo pro-
cesso culmina nel dicembre  con la promulgazione delle leg-
gi di indulto per tutti i membri della giunta militare sottoposti a
sentenza penale nel . In seguito a tale provvedimento, non un
singolo militare colpevole di violazioni dei diritti umani deve ren-
dere conto alla giustizia, a eccezione del reato di sottrazione di
minori, che, fino al , ha costituito di fatto l’unico escamota-
ge giudiziario per incriminare parte dei colpevoli. L’amnistia


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 131

. DISSONANZE

viene realizzata in un momento storico in cui, secondo inchieste


pubbliche, l’ % della popolazione non è favorevole a questo
provvedimento. Il  dicembre, nonostante una giornata di piog-
gia scrosciante e un’organizzazione frettolosa, . persone
manifestano il loro dissenso a Buenos Aires. Nell’agosto del
, su iniziativa del presidente Kirchner, il Senato argentino si
è dichiarato a favore dell’annullamento delle leggi di Punto fina-
le e Obbedienza dovuta; a partire da settembre, la Corte suprema,
cui era stato rimesso il verdetto finale, ha rimesso alla Cámara na-
cional de casación penal tutta la documentazione relativa all’an-
nullamento delle leggi. Sta ora al giudice penale pronunciarsi in
maniera definitiva e sancire così, eventualmente, l’inizio di una
decisa inversione di tendenza.
Le diverse ipotesi fornite dagli studiosi su questo percorso,
che fino all’elezione del nuovo presidente ha marcato il conte-
sto argentino all’insegna dell’impunità, si collocano in un com-
plesso crocevia di approcci disciplinari, cui è possibile solo far
cenno in questo contesto. Se è vero che gli storici sono portati
a ragionare in termini di analisi sul lungo periodo, centrata es-
senzialmente sulla “negoziabilità della giustizia” latinoamerica-
na come retaggio di ancien régime, politologi come David Pion
Berlin analizzano invece queste dinamiche alla luce della teoria
del balance of power, “rapporto di forza”, quel mutevole equi-
librio tra potere civile e militare che, a seconda dei momenti e
dei contesti, si rivela determinante nel tracciare il profilo com-
plessivo del processo di transizione democratica. Economisti
come Colin Lewis e Nissa Torrents sottolineano piuttosto come
il processo di iperinflazione della metà degli anni Ottanta abbia
visibilmente motivato il presidente Menem a prevenire l’aper-
tura di ulteriori fronti di potenziale instabilità, cercando una
mediazione con le frange più aggressive delle forze armate. La
profonda crisi economica dell’Argentina, di cui particolarmen-
te evidenti si sono rivelati gli effetti nel , si aggrava infatti
dalla metà degli anni Ottanta. Nel - si innesca una spira-
le di iperinflazione, con tassi che raggiungono in determinati


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

momenti il %, nonostante ripetuti tentativi di stabilizza-


zione. La ricerca di questi due studiosi mette inoltre in eviden-
za il legame tra la crisi e l’anticipata elezione di Carlos Saul Me-
nem. Cinque mesi prima della naturale scadenza del mandato
costituzionale di Alfonsín, infatti, in una fase di irrequietezza
sociale su vasta scala (si stima la presenza di circa un terzo del-
le famiglie argentine sotto la linea di povertà), il candidato del
partito giustizialista viene eletto col  % dei voti. Studiosi co-
me Guillermo O’Donnell forniscono un’interpretazione com-
plessiva del modello di democrazia argentina, definendola “de-
mocrazia delegativa”. In termini estremamente sintetici, questa
formula sta a indicare un apparato istituzionale ancora imma-
turo – se comparato con le moderne democrazie occidentali –
in quanto caratterizzato da numerosi retaggi di autoritarismo.
Elementi peculiari del sistema politico argentino sono ad esem-
pio l’enfasi sul presidenzialismo, la rappresentatività verticale
tra il leader e gli elettori, l’attribuzione di una sorta di “aura sal-
vifica” al presidente nei momenti di crisi o instabilità economi-
ca, politica o sociale.
Queste teorie suggeriscono uno spunto di riflessione comu-
ne a proposito di diversi contesti nazionali latinoamericani. Vie-
ne istintivo in primo luogo domandarsi quanto il cammino verso
l’impunità non sia stato in un certo senso un prezzo necessario
alla transizione stessa, nell’ambito di una democrazia fragile e re-
lativamente pattuita con le forze armate. Nonostante la sconfitta
nella guerra delle Falkland-Malvinas del , episodio che san-
cisce la fine della dittatura, questa istituzione mantiene di fatto
un prestigio ancora piuttosto radicato nella percezione comune
dei cittadini. Dense di significato sono le dichiarazioni del pre-
sidente Raúl Alfonsín, rilasciate nel corso di una lunga intervista
pubblicata in Italia alla fine degli anni Ottanta:

Ricordo di avere detto una volta che il popolo argentino non ha preso
la Bastiglia. Non c’è stata nessuna vittoria o sconfitta di carattere rivo-
luzionario. La nostra democrazia non è una di quelle che si costruisco-
no sulle rovine di un’istituzione militare distrutta. Vogliamo avanzare


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 133

. DISSONANZE

verso la democrazia insieme alle forze armate che, grazie alla moder-
nizzazione che abbiamo avviato, saranno in grado di svolgere efficace-
mente il loro ruolo costituzionale. Il conflitto sorto a causa del gran
numero di processi a carico di membri delle forze armate come conse-
guenza della diversità di criteri applicati dai giudici, non solo minava
la possibilità di realizzare importanti riforme che sono necessarie per
stabilire il loro nuovo profilo e le loro nuove funzioni, ma cospirava an-
che contro la pace e l’unità che il processo di transizione istituzionale
richiede.

Analisi come quella di Brysk stimolano una riflessione su come


i concetti di “unità” e “riconciliazione nazionale”, così ricor-
renti nella retorica governativa di Alfonsín e di Menem, possa-
no assumere connotazioni imprecise, potenzialmente insidiose
nelle loro implicazioni politiche. Un esempio interessante si può
evincere ancora dalle parole di Alfonsín, laddove invita a un’in-
distinta unità nazionale, al di là “dei particolarismi, degli inte-
ressi individuali”, in nome di ideali e valori comuni, e del supe-
ramento di “inutili rancori”. In particolare, il presidente insiste
ripetutamente sul carattere di fondazione del nuovo governo da
lui presieduto a partire dal . Si riferisce dunque alla costru-
zione di una nazione nuova, unita e in controtendenza rispetto
ai meccanismi corporativi che fino ad allora avevano prevalso
nella storia argentina, alle “fazioni politiche irrimediabilmente
opposte”:

Ciò che si deve fondare è una nazione. Il popolo argentino, a mio pare-
re, non ha compiuto tutti i passi necessari per costituire effettivamente
un’entità nazionale integrata. Una nazione si costruisce a partire da ele-
menti etnici, politici, sociali e culturali che all’inizio sono dispersi e sle-
gati e che in un momento si uniscono in un grande progetto comune.
[…] Credo che il significato della fase di fondazione, che noi argentini
stiamo vivendo dal  dicembre , vada attribuito a una grande vo-
lontà collettiva di essere finalmente una nazione profondamente inte-
grata e salda e non un conglomerato di micronazioni o di microargenti-
ne, ciascuna delle quali è impegnata a essere l’espressione esclusiva del-
la nazione intera.


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 134

L A M E M O R I A O S T I N ATA

.
Perdono individuale e riconciliazione nazionale

In termini generali, il concetto di riconciliazione nazionale solleva


una serie di questioni complesse e al giorno d’oggi ancora irrisol-
te, tanto in Argentina quanto in altri contesti geografici coinvolti
in processi di transizioni democratiche in seguito a governi autori-
tari, come hanno evidenziato, ad esempio, gli studi comparativi di
Marcello Flores. Senza la minima pretesa di esaustività, è possi-
bile grosso modo tentare di riassumere tali problematiche a parti-
re da due livelli essenziali.
Il primo, qui solamente accennato, riguarda alcuni temi af-
frontati negli ultimi anni da studiosi che indagano sui processi di
democratizzazione nel Cono Sud, e in Cile in particolare, conden-
sati per grandi linee nelle seguenti domande: può esistere compa-
tibilità tra giustizia e stabilità politica? Posizioni estreme, come
condannare o perdonare, possono realmente contribuire alla crea-
zione di una vita democratica stabile? Qual è il rapporto tra im-
punità e riconciliazione, e come viene percepito da una società ci-
vile colpita nella sua interezza? Intellettuali argentini come Hora-
cio Verbitsky esprimono un deciso scetticismo sulla valenza della
“riconciliazione”:

Questo concetto di riconciliazione in Argentina è una mera copertura di


coloro che vogliono l’impunità. […] Non c’è riconciliazione possibile
con… gli assassini, questo è assolutamente escluso. Soltanto loro parlano
di questa riconciliazione, non hanno… il minimo inserimento e consenso
nella società, non hanno appoggi di nessun settore importante per questo
discorso. […] In Argentina riconciliazione è quasi sinonimo di impunità…
e questo è conseguenza dell’azione decisa, chiara, persistente dei movi-
menti per i diritti umani che per tanti anni hanno rifiutato queste… tenta-
zioni che costantemente vengono offerte, di riconciliazioni, amnistie ecc..

In secondo luogo, esiste un altro aspetto problematico, che po-


trebbe essere definito come il versante “privato” della riconcilia-
zione nazionale, ovvero il perdono individuale delle vittime. Il con-


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 135

. DISSONANZE

fine tra la dimensione privata e pubblica del perdono si rivela sfu-


mato, labile, e mette continuamente in gioco il singolo e la collet-
tività, le vittime e i colpevoli.
Sul concetto di perdono e riconciliazione, diversi riferimenti
di carattere teorico, ma anche legato al vissuto dei protagonisti,
provengono dalla produzione scritta sulla Shoah. In particolare,
il libro autobiografico di Simon Wiesenthal, Il girasole, analizza in
chiave problematica il dilemma dell’eventuale assoluzione dei col-
pevoli. Wiesenthal, intellettuale ebreo sopravvissuto all’esperien-
za di tredici campi di concentramento nazista, viene convocato da
un soldato tedesco morente per ottenere il perdono, ma rimane
muto di fronte alla sua richiesta. L’angoscia di questa decisione lo
accompagnerà per anni. Propone dunque la problematicità di ta-
le scelta a intellettuali provenienti da tutto il mondo per avere una
risposta, e ne raccoglie i commenti. È questo un tema dalle mol-
teplici sfumature, che per definizione si pone in un ideale croce-
via tra la politica, la psicologia, la teologia, la morale. Secondo al-
cuni autori presenti nel testo, si tratta di «uno dei problemi mo-
rali più appassionanti che siano mai emersi dalla Seconda guerra
mondiale».
Gli interventi nel Girasole suggeriscono elementi potenzial-
mente utili per riflettere sul caso argentino. Ad esempio, riguardo
al difficile e controverso rapporto tra crimine, perdono e memo-
ria: fino a che punto è possibile l’oblio al fine del perdono? L’e-
ventuale assoluzione può essere definita tanto in termini indivi-
duali quanto collettivi. E la colpa? E inoltre: chi può avere vera-
mente il diritto di perdonare, e a nome di chi? È moralmente cor-
retto arrogarsi il diritto di perdonare per conto altrui? O non bi-
sogna piuttosto riconoscere l’esclusività del diritto di perdonare
solo a chi ha subito l’offesa?

Simon non era forse certo se fosse giusta la sua risposta alla SS morente,
ma una cosa invece era certa: non avrebbe mai potuto dimenticare i de-
litti commessi. […] Dimenticare i delitti sarebbe stato peggio che perdo-
nare il criminale alla ricerca del perdono; perché dimenticare i delitti si-
gnifica svalutare l’umanità perita in seguito a quelle atrocità. Come giu-


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 136

L A M E M O R I A O S T I N ATA

stamente hanno osservato i suoi compagni, Simon non aveva il diritto di


perdonare a nome delle vittime. Ecco dove entrano in gioco i problemi
di colpa collettiva o individuale e della situazione di vittima. […] Chi ha
il diritto di parlare a nome delle vittime? E si deve dimenticare, prima di
perdonare? […] La questione del perdono va definita in termini indivi-
duali e collettivi, esattamente come la colpa.

Perdono, riconciliazione, memoria e giustizia rappresentano dun-


que quattro poli ideali e intrecciati di riflessione, tanto per gli stu-
diosi quanto per i protagonisti di tali vicende. Molteplici analisi so-
no state prodotte su queste tematiche, anche relativamente a con-
testi storico-geografici distanti dal Cono Sud latinoamericano, ma
che tuttavia possono suggerirci spunti di riflessioni utili. Afferma
ad esempio Paolo Pezzino sulla frattura e riarticolazione della so-
cietà civile italiana dopo la Seconda guerra mondiale:

Le vicende di guerra, e l’adesione al fascismo e al nazismo da parte di mol-


ti cittadini dei paesi occupati dalle potenze fasciste ha attraversato, in ma-
niera più o meno ampia, tutti i paesi europei, contribuendo a segmenta-
re la memoria nazionale dopo la fine delle ostilità. Ciò ha portato, nel se-
condo dopoguerra, alla elaborazione di politiche sanzionatorie, ma anche
di cancellazioni più o meno radicali, collaborazioni e collusioni con gli
occupanti nazisti, alle quali hanno corrisposto specifiche politiche della
memoria, ognuna nutrita di rimozioni, oblii, parzialità. Da questo punto
di vista si può considerare l’amnistia, cioè una misura di natura collettiva
che annulla la punibilità degli atti di collaborazione e cancella così il cri-
mine e la pena, una sorta di “amnesia indotta per legge”.

Altro quesito di non facile e univoca soluzione verte su quanto l’e-


ventuale applicazione della giustizia possa facilitare la riconcilia-
zione e il perdono. Può un sistema giudiziario efficiente accelera-
re la riconciliazione all’interno della società civile? O non rischia
piuttosto di alimentare meccanismi di rancore interminabile, eri-
gendo permanenti barriere tra vittime e carnefici? Sul complesso
rapporto tra perdono, riconciliazione e giustizia, si esprime in ter-
mini molto precisi anche la studiosa Rita Arditti, autrice di una
monografia sulle Nonne di Plaza de Mayo:


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. DISSONANZE

All’insegna della “riconciliazione” e della “pacificazione” in Argentina è


fiorita la cultura dell’impunità. I crimini di regime lasciati impuniti han-
no creato un clima in cui i cittadini assistono alla violenza della polizia,
alla mancata indipendenza del sistema giudiziario, alla corruzione ende-
mica nel governo come un fenomeno normale, tutti aspetti quotidiani
della vita pubblica argentina. Com’è stato più volte dimostrato in altri
paesi del mondo, l’impunità è il nemico della democrazia, perché impe-
disce la riconciliazione sociale. Quando i prerequisiti per un’autentica ri-
conciliazione – verità e giustizia, riconoscimento dei crimini commessi e
castigo – non sono presenti, il perdono è impossibile. La riconciliazione
non può essere dettata dall’alto.

Estremamente critici sono anche alcuni esponenti della chiesa pro-


gressista argentina, come monsignor Jaime de Nevares, che nell’a-
gosto del , poco prima che il presidente Menem concedesse
l’indulto, afferma:

Non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia nell’impunità. L’impunità
provoca il debilitamento delle istituzioni e apre la porta alla dittatura. Da
questo si deduce chiaramente, fratelli, che è nostro dovere di cristiani e
argentini, di patrioti, richiamarci per combattere contro questa infame
istituzione traballante chiamata indulto.

Diverse soluzioni sono state trovate all’interno di contesti nazio-


nali che hanno vissuto problematiche simili: significativo, ad esem-
pio, è il caso del Sudafrica, dove la Commissione per la Verità e la
Riconciliazione (Truth and Reconciliation Commission – TRC), pre-
sieduta dall’arcivescovo Desmond Tutu, ha ottenuto che i colpe-
voli confessassero i loro crimini senza il deterrente della punizio-
ne. Le dichiarazioni hanno fornito un quadro complessivo degli
abusi commessi e i familiari delle vittime sono stati risarciti. Dalle
riflessioni di Tutu emergono vari punti di confronto ideale con l’A-
merica Latina. Non a caso la Commissione Verità e Riconciliazio-
ne cilena è stata parzialmente utilizzata come modello per quella
sudafricana, ed esperti dal Cile sono stati invitati a creare uno spa-
zio ufficiale di dialogo tra le diverse istituzioni. Tuttavia, nono-
stante una serie di similitudini, a detta dell’arcivescovo, le moda-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

lità con cui il suo paese ha vissuto il perdono, tanto a livello indi-
viduale quanto collettivo, presentano specificità tali che lo rendo-
no un modello unico, in un certo senso irripetibile. Modalità che
risiedono nelle strutture di pensiero sudafricano e nel rapporto tra
individuo e comunità:

[Il giornalista] Gli ho chiesto di parlarmi del perdono. È possibile che un


intero paese, un intero gruppo razziale, perdoni, oppure questa capacità
risiede solo nel singolo individuo? [L’arcivescovo Tutu] ha risposto: noi
africani siamo diversi da voi europei. Abbiamo un senso più forte della
comunità. Voi siete fondamentalmente degli individualisti, […] per noi
una persona è solo una persona in mezzo agli altri, l’individuo solitario è
una contraddizione in termini. Quello che succede a un individuo, qui, si
riflette sull’intera comunità.

È il concetto di ubuntu, umanità, che significa anche perdono:

Noi sosteniamo che esiste un altro tipo di giustizia, la giustizia restitu-


tiva, a cui era improntata la giurisprudenza africana tradizionale. Il nu-
cleo di quella concezione non è la punizione o il castigo. Nello spirito
dell’ubuntu, fare giustizia significa innanzitutto risanare le ferite, cor-
reggere gli squilibri, ricucire le fratture dei rapporti, cercare di riabili-
tare tanto le vittime quanto i criminali, ai quali va data l’opportunità di
reintegrarsi nella comunità che il loro crimine ha offeso. […] Perdona-
re non significa solo essere altruisti, è il modo migliore di agire nel pro-
prio interesse: perdonare rende le persone più flessibili, più capaci di
sopravvivere mantenendo la propria umanità malgrado tutti gli sforzi
per disumanizzarla.

Tuttavia, il rischio di ricreare meccanismi di rancore collettivo può


essere relazionato non solo alla pratica della giustizia, ma anche a
quella del ricordo. È l’interrogativo che si pongono gli storici Wa-
chtel e Valensi nello studio Memorie ebraiche, un minuzioso affre-
sco realizzato sulla base di storie di vita di ebrei esiliati in Francia
da paesi europei, nordafricani e asiatici, nel corso del Novecento.
Anche questa volta la produzione relativa alla Shoah e, in questo
caso, all’identità ebraica in senso lato, ci suggerisce spunti di ri-


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. DISSONANZE

flessione preziosi. Nelle comunità ebraiche italiane, secondo gli


autori, la memoria ha preso il posto della speranza nel processo di
costruzione di identità: la memoria ebraica italiana è una memoria
“china su se stessa, senza speranza”. Nel vissuto degli ebrei fran-
cesi, invece, la memoria,

aprendosi alla speranza, non coincide solo ed esclusivamente con la no-


stalgia. […] La Shoah, il genocidio, non proietta la sua fosca luce sul re-
sto, non condiziona la visione d’insieme, che è solare – per luminosità –
e circolare – per forma –: memoria ricca di speranze, non memoria lacri-
mosa, lamento.

Una questione centrale sembra dunque essere se e in quali termi-


ni può esistere una memoria senza speranza. Un problema aperto,
che è opportuno riprendere attraverso la storia dei figli argentini.
La voce di H.I.J.O.S. nei confronti delle molteplici contraddi-
zioni insite al concetto di riconciliazione nazionale si percepisce
in questo senso uniforme. Ma quanti di loro, a livello individuale
e privato, avranno perdonato? È ovviamente difficile dare una ri-
sposta univoca. Alcuni sostengono che il percorso privato e fami-
liare si rivela determinante. È possibile, anche se piuttosto com-
plesso, esprimersi in merito, ipotizzare che dove più radicale è sta-
ta la perdita (ad esempio uno o tutti e due i genitori) meno c’è sta-
ta possibilità di rielaborazione del rancore. Il vissuto individuale
sembra comunque pesare molto, al di là della scelta collettiva, e
rende difficile qualsiasi tentativo di generalizzazione.
Anche sul problema dell’accettazione di eventuali risarcimen-
ti l’associazione dei figli lascia la libertà di scelta ai singoli ade-
renti. Le parole di Matilde possono giocare, in questo senso, co-
me sintesi e conclusione di un grosso nodo:

Il fatto è che in Argentina credo, in generale, o almeno per me… c’è sta-
ta inculcata questa cosa: non era l’Argentina che ci aveva privato. Era un
gruppo di persone ben precise. Questa è una cosa che sicuramente dob-
biamo a mia madre… erano i militari… non voglio dire parolacce [sorri-
de]. Erano… loro che avevano fatto fuori mio padre, i militari. Non una


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

nazione. L’Argentina non c’entrava quasi niente, anzi. L’Argentina era vit-
tima di questa giunta militare. […] Rimane una mancanza di riconcilia-
zione… profondissima, in Argentina. Veramente profondissima. E… la
maggior parte dei figli delle persone scomparse non hanno un pensiero
positivo nei confronti dell’Argentina. C’è da dire anche che la maggior
parte di questi figli non hanno avuto genitori. Io… avevo mia madre, al-
meno, ma molti figli sono vissuti senza genitori perché erano scomparsi
sia la madre che il padre, e quindi [hanno vissuto] in un ambito familia-
re che magari non c’entrava assolutamente nulla con la politica, con l’im-
pegno politico, nulla. Magari zii che non ne volevano sapere niente, o
nonni, ancora peggio. Questo scarto generazionale… che non voleva
neanche parlare del fatto che c’era un dittatore nel loro paese, pronto a
sterminare una nazione.

Note

. In “H.I.J.O.S.”, , , pp. -. Questa dichiarazione è stata confermata anche


da diverse testimonianze orali. Afferma ad esempio Lucía F., giovane regista, autrice
del documentario H.I.J.O.S. de la memoria, vincitore del primo premio al Videofestival
sui diritti umani in America Latina (I giorni del Condor), tenutosi a Milano nell’estate
, che gli homenajes vengono ideati «non allo scopo di idealizzare i militanti della
generazione precedente, bensì per ricostruirne le singole personalità, compresi gli er-
rori» (cfr. l’intervista con Lucía F., cit.).
. Trelew è divenuto tra i luoghi simbolo della repressione delle forze armate ar-
gentine nel periodo precedente al golpe del . Un testo che ripercorre le dinamiche
del massacro che da lì prende il nome, tra l’opera di carattere letterario, il documen-
tario e l’inchiesta giornalistica, è T. Eloy Martínez, La pasión según Trelew, Planeta,
Espejo de la Argentina, Buenos Aires .
. Cfr. Anguita, Caparrós, La voluntad, cit., pp. - e -.
. In “H.I.J.O.S.”, , , p. .
. Ivi, p. .
. Ibid.
. Intervista con Pablo D., cit.
. Ibid.
. Ibid.
. Una breve osservazione sulla genesi di questo concetto. “Uso pubblico della
storia” è una definizione utilizzata per la prima volta da Jürgen Habermas nel  e
applicata alla Historikerstreit, la “disputa fra gli storici tedeschi”, come ci ricorda Mar-
co Grispigni, quello scontro «etico, politico e culturale sulla memoria e sulla ricostru-
zione delle vicende della Germania nazista e sull’unicità dello sterminio degli ebrei».
Una durissima polemica che «prese il via dall’intreccio di alcune letture storiche di
quegli avvenimenti con una spinta più immediatamente politica, tesa alla ricostruzio-
ne di un passato pienamente spendibile nella formazione di un’identità nazionale».


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. DISSONANZE

Con questa formula Habermas si riferisce essenzialmente a un dibattito di carattere


sia etico che politico sul passato, in cui la discussione e il confronto non si limitano ai
luoghi normalmente deputati all’accademia, bensì ne oltrepassano i confini, coinvol-
gendo anche personaggi della politica e della cultura, oltre agli storici di professione.
Una disputa, dunque, che non riguarda solo l’ambito scientifico, bensì un contesto più
generale, e che mette in gioco «identità individuali e collettive, giudizi politici sul pre-
sente e sul futuro», dove «il passato viene trasformato in un’arena dei conflitti politi-
ci del presente». Cfr. J. Habermas, L’uso pubblico della storia, in G. Rusconi (a cura
di), Germania: un passato che non passa. I crimini nazisti e l’identità tedesca, Einaudi,
Torino , pp.  ss.; M. Grispigni, L’uso pubblico della storia senza gli storici. La
memoria comune degli anni dell’azione collettiva, in N. Gallerano (a cura di), L’uso pub-
blico della storia, Franco Angeli, Milano , p.  e la Prefazione di N. Gallerano in
cui introduce il significato dei vari contributi.
. Gallerano, L’uso pubblico della storia, cit., p. .
. In “H.I.J.O.S.”, , , p. .
. Intervista con Natalia L., Parigi,  ottobre , archivio personale.
. Cfr. A. Portelli, La forma narrativa delle fonti orali e i problemi dell’interpreta-
zione, intervento presentato al convegno Le fonti orali come fonti per la storia del XX
secolo: raccolta, descrizione, conservazione e uso, Roma, novembre .
. Cfr. in particolare il saggio The Death of Luigi Trastulli. Memory and Event, in
The Death of Luigi Trastulli and other Stories. Form and Meaning in Oral History, Sta-
te University of New York Press, Albany , pp. - (trad. it. La memoria e l’even-
to. L’uccisione di Luigi Trastulli, in Bermani, Introduzione alle fonti orali, II: Esperien-
ze di ricerca, cit., pp. -). Cfr. anche le sintetiche considerazioni di A. Stille, La sto-
ria e la memoria, in “la Repubblica”,  marzo , poi riprese in maniera più siste-
matica in Le deformazioni della storia orale conducono alla verità, in Bermani, Intro-
duzione alle fonti orali, II: Esperienze di ricerca, cit., pp. -.
. K. Fields, What one Cannot Remember Mistakenly, in J. Jeffrey, G. Edwall
(eds.), Memory and History. Essays on Recalling and Interpreting Experience, Papers
Presented at a Conference Sponsored by the Baylor University Institute for Oral Hi-
story in , University Press of America, Lanham , p. .
. Gli studi di Maurice Halbwachs (-) incidono profondamente sul di-
battito tra storia e memoria nel corso del Novecento e rimangono ancora oggi un
punto di riferimento essenziale nella discussione di questi temi. Formatosi presso la
scuola di Durkheim, costante riferimento epistemologico e metodologico, Halbwa-
chs subisce in parte anche l’influsso di Bergson, suo professore al liceo. Ma, al con-
trario di quest’ultimo, che concepisce la memoria collettiva come un’insieme di me-
morie individuali, che si crea ex post, Halbwachs ritiene che la memoria collettiva
sia «il quadro logicamente antecedente che consente il funzionamento stesso della
memoria del singolo». All’interno del corpus dei suoi studi, opere fondamentali so-
no Les cadres sociaux de la mémoire () e La mémoire collective (, pubblicato
postumo). L’ipotesi di fondo, a cui, in questa sede, è consentito solo un sintetico ri-
ferimento, è che la memoria permane solo in quanto contesti sociali più o meno so-
lidi o stabili la mantengono in vita. Portato alle estreme conseguenze, questo vuol
dire che le memorie individuali del passato sono solo provvisorie; di fatto, sono le
comunità a stabilire i parametri, i confini entro i quali ricordare. Di conseguenza,


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

più un ricordo è duraturo, maggiore è la forza del gruppo sociale che lo tramanda.
Senza la conferma del gruppo, i ricordi del singolo non hanno sostanzialmente mo-
tivo di esistere, per cui questi comprendono sempre una dimensione sociale, sono
frutto di un passato acquisito e condiviso socialmente. Sono i cosiddetti “quadri so-
ciali” della memoria, nei quali il ricordo dell’individuo, secondo l’autore, trova la
sua sistemazione. Una teoria che si presenta dunque in netto antagonismo con quel-
la di Freud, secondo la quale il ricordo viene preservato nell’inconscio della psiche
individuale.
Con Les cadres sociaux de la mémoire, viene esposta la tesi della “ricostruzione del
passato”, secondo la quale questa dimensione temporale “non si conserva affatto, ma
si ricostruisce” a partire dai bisogni del presente e del gruppo sociale di appartenen-
za. Ricordare, dunque, corrisponde a riattualizzare la memoria del gruppo, mentre l’o-
blio consisterebbe sostanzialmente nella mancata possibilità di entrare in rapporto con
una “corrente di pensiero collettiva”, propria di un gruppo determinato. La memoria
diviene dunque «il risultato di un lavoro permanente nel corso del quale i suoi conte-
nuti vengono di volta in volta conservati o abbandonati da gruppi umani concreti», e
ogni forma di memoria è una ricostruzione parziale e selettiva del passato, i cui punti
di riferimento sono forniti dagli interessi e dalla conformazione della società presen-
te. Pertanto «la memoria appare così come un fattore della coesione tra gruppi, e la
memoria individuale non esprime che i rapporti che esistono tra l’individuo e i grup-
pi di cui fa parte. La memoria individuale è così soggetta alle regole di formazione del-
la memoria collettiva e spesso non fa altro che esprimere i bisogni ideali di questo
gruppo». Per quanto riguarda l’edizione italiana di La mémoire collective, si segnala
M. Halbwachs, La memoria collettiva, UNICOPLI, Milano  (Prefazione a cura di P.
Jedlowski, Postfazione a cura di L. Passerini).
. G. Fried, Memorias que insisten. La intersubjetividad de la memoria y los hijos
de desaparecidos por la dictadura militar argentina (-), in Groppo, Flier, La im-
posibilidad del olvido, cit., pp. -.
. Passerini, Postfazione a Halbwachs, La memoria collettiva, cit., p. .
. Testimonianza di Matilde K., Roma,  giugno .
. A. Portelli, L’ordine è già stato eseguito. Roma, le Fosse Ardeatine, la memoria,
Donzelli, Roma , p. .
. Wieviorka, L’era del testimone, cit., p. .
. In “H.I.J.O.S.”, , , p. .
. Ibid.
. Cfr. B. Cartosio, The Meaning of Memory. Individual and Collective, Public
and Private in the History of the Oppressed Groups in the United States, intervento
presentato al convegno Public and Private in American History. Family, Subjectivity
and Public Life in the Twentieth Century, Torino, maggio , p. , pubblicato nel
volume R. Baritono et al., Public and Private in American History, Otto Edizioni, To-
rino .
. Solo per citare alcuni esponenti del nostro contesto nazionale, si pensi agli
studi di Paolo Pezzino, Gabriella Gribaudi, Giovanni Contini. Nel quadro di una
rinnovata attenzione storiografica sulle violenze contro i civili durante la Seconda
guerra mondiale in Italia, ci si riferisce in particolare ai risultati del progetto di ri-
cerca nazionale Guerra ai civili. Per un atlante delle stragi naziste in Italia, una col-


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. DISSONANZE

laborazione tra diverse unità operative comprendenti le università di Bologna, Na-


poli e Pisa. Un primo momento ha visto nascere una discussione all’interno del pa-
nel Guerra ai civili e resistenza tra storia e memoria, presso il convegno Cantieri di
Storia contemporanea. Primo incontro SISSCO sulla storiografia contemporaneistica in
Italia, Urbino, settembre , coordinato da Paolo Pezzino. Una sintesi articolata
dei risultati della ricerca è stata invece esposta durante il convegno internazionale
Guerra ai civili. Stragi, violenza e crimini di guerra in Italia e in Europa durante la Se-
conda guerra mondiale: i fatti, le memorie, i processi, Bologna, giugno . Si segnala
in particolar modo, all’interno della sessione Le stragi naziste: il caso italiano e l’Eu-
ropa, l’intervento a cura di Paolo Pezzino, Guerra ai civili. Le stragi tra storia e me-
moria, e, nella sessione Memoria e memorie della violenza, quello di Gabriella Gri-
baudi, Tra retorica pubblica e memorie private: divaricazioni, dissonanze e oblii. Le
stragi naziste in Campania. Per i risultati complessivi della ricerca sul fronte meri-
dionale, cfr. G. Gribaudi (a cura di), Terra bruciata. Le stragi naziste sul fronte me-
ridionale, L’ancora del Mediterraneo, Napoli . Anche Giovanni Contini si è de-
dicato allo studio della memoria comunitaria delle stragi nazifasciste in Italia, cu-
rando in particolar modo l’area della Toscana. Sulla difficoltà di produrre storia nel-
l’ambito di queste “situazioni calde”, cfr. le considerazioni espresse nell’Introdu-
zione a G. Contini, La memoria divisa, Rizzoli, Milano , parzialmente riviste dal-
l’autore in Il ruolo di chi intervista, relazione al convegno Le fonti orali come fonti
per la storia del XX secolo: raccolta, descrizione, conservazione e uso, Associazione Na-
zionale Archivi Italiani, Roma .
. Intervista con Pablo D., cit.
. Ibid.
. Si riferisce a un’espressione ricorrente nel discorso pubblico successivo alla
dittatura, secondo la quale il periodo autoritario sarebbe stato caratterizzato da una
sorta di guerra civile, una contrapposizione frontale tra due opposte fazioni, ugual-
mente armate (la guerriglia e la polizia paramilitare), i “due demoni”, appunto.
. Ibid.
. Documento preparatorio a la asamblea en Rosario,  de junio de , archivio
personale di María Paula H., Caracas.
. Intervista con Pablo D., cit.
. Ed. it. Nunca Más. Rapporto della Commissione nazionale sulla scomparsa di
persone in Argentina, EMI, Bologna .
. Cfr. Roniger, Sznajder, The Legacy of Human Rights Violations, cit., pp.  ss.;
N. J. Kritz (ed.), Transitional Justice. How Emerging Democracies Reckon with Former
Regimes, United States Institute for Peace, Washington DC , p. ; Navarro, The
Personal is Political, cit., pp.  ss.
. Cfr. C. Feld, Del estrado a la pantalla. Las imágenes del juicio a los ex coman-
dantes en Argentina, Siglo XXI, Madrid .
. A. Barahona de Brito, Truth, Justice, Memory and Democratisation in the
Southern Cone, in A. Barahona de Brito, C. Gonzalez Enríquez, P. Aguilar (eds.), The
Politics of Memory. Transitional Justice in Democratising Societies, Oxford University
Press, Oxford , pp.  ss.
. R. Alfonsín, Il caso Argentina. Pablo Giussani a colloquio col presidente della
Repubblica argentina, Editori Riuniti, Roma , pp. -.


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 144

L A M E M O R I A O S T I N ATA

. Barahona de Brito, Truth, Justice, Memory and Democratisation, cit., pp.
-.
. Cfr. Queja de Abuelas por un fallo que pone punto final, in “Página ”,  lu-
glio .
. Brysk, The Politics of Human Rights in Argentina, cit., p. .
. Pion Berlin, To Prosecute or to Pardon, cit., pp.  ss.
. Cfr. C. Lewis, N. Torrents, Argentina in the Crisis Years (-) from Alfon-
sín to Menem, Institute of Latin American Studies, London , p. .
. Cfr. C. Larkins, The Judiciary and Delegative Democracy in Argentina, in
“Comparative Politics”, XXX, , , pp.  ss.; F. Panizza, Beyond Delegative Demo-
cracy. “Old Politics” and “New Economics” in Latin America, in “The Journal of Latin
American Studies”, XXXII, , October , pp. -.
. Il caso cileno, uruguaiano e argentino presentano a questo proposito alcune
differenze, laddove l’esperienza cilena è l’esempio più significativo di transizione
“concessa” dalle forze armate. In Cile i militari non vengono debilitati dal plebiscito
del , che stabilisce la non rielezione di Pinochet alla presidenza e dà avvio alle pri-
me elezioni democratiche; sono anzi coesi e compatti, protetti da precise norme co-
stituzionali e da una maggioranza di estrema destra nelle Camere. Cfr. M. R. Stabili,
Verità e perdono. La riconciliazione incompiuta nel Cile degli anni Novanta, in Fiam-
mingo, Pocecco, Westfalia si complica, cit., pp. -; J. Correa, Dealing with Past Hu-
man Rights Violations. The Chilean Case after Dictatorship, in “Notre Dame Law Re-
view”, , , pp. -; M. A. Garretón, Human Rights in Process of Democratisa-
tion, in “The Journal of Latin American Studies”,  (), , pp. -.
. Alfonsín, Il caso Argentina, cit., p. .
. Ivi, p. .
. Una completa raccolta di analisi centrate su transizioni democratiche, me-
moria e giustizia in seguito a governi autoritari e traumi sociali, comprendente contri-
buti da diverse aree geografiche, dalla Spagna dopo il franchismo, all’Italia dopo la Se-
conda guerra mondiale, al Sudafrica all’Argentina, in Flores, Storia, verità e giustizia,
cit. Per ulteriori riflessioni, cfr. anche I. Zanchini (a cura di), Dopo la battaglia. Nove
modi di fare i conti con i conflitti civili, Indice Internazionale, Roma .
. Intervista con H. Verbitsky, Roma,  giugno .
. Cfr. S. Wiesenthal, Il girasole. I limiti del perdono, Garzanti, Milano ; Giu-
stizia attraverso la memoria. Wiesenthal: come tenere viva la testimonianza, in “La
Stampa”,  aprile .
. Wiesenthal, Il girasole, cit., p. .
. Pezzino, Memorie divise e riconciliazione nazionale, cit., p. .
. Arditti, Searching for Life, cit., p. .
. La Iglesia cómplice y la Iglesia del pueblo, Colihue, Buenos Aires , p. .
. Certamente anche il processo di riconciliazione sudafricano è stato caratte-
rizzato da numerose contraddizioni e aspetti problematici. Al di là della lineare posi-
zione di Tutu, diversi intellettuali hanno espresso visioni critiche di tali dinamiche. Cfr.
C. Fiammingo, Ubuntu: al di là del New South Africa Vernacular, in Fiammingo, Po-
cecco, Westfalia si complica, cit., pp. -; C. Villa-Vicencio, Vivere sulla scia della
Commissione per la verità e riconciliazione del Sudafrica. Una riflessione retroattiva, in
Flores, Storia, verità e giustizia, cit., pp. -; R. Wilson, Justice and Legitimacy in


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 145

. DISSONANZE

South African Transition, in Barahona de Brito, Gonzalez Enríquez, Aguilar, The Po-
litics of Memory, cit., pp. -; B. Bozzoli, Giustizia e riconciliazione: il caso di
Alexandra, Sudafrica, intervento presentato al convegno Memoria e Violenza. IV Semi-
nario internazionale su Costruzioni etniche e violenza politica, Fondazione Feltrinelli,
Cortona, giugno ; D. Franchi, L. Miani, La verità non ha colore. Aguzzini e vitti-
me dell’apartheid testimoniano alla Commissione per la verità e riconciliazione sudafri-
cana, Edizioni Comedit , Milano .
. O’Hagan, Sudafrica. Una commissione per ricordare, in Zanchini, Dopo la bat-
taglia, cit., pp.  e .
. D. Tutu, Non c’è futuro senza perdono, Feltrinelli, Milano , p. .
. N. Wachtel, L. Valensi, Memorie ebraiche, Einaudi, Torino , pp. V-VII.
. Tra le varie strategie di riconciliazione nazionale, i governi di transizione de-
mocratica Alfonsín e Menem avviano un programma di compensazioni finanziarie per
i parenti delle vittime come sorta di risarcimento simbolico. L’accettazione da parte di
alcuni familiari genera forti polemiche all’interno del movimento per i diritti umani:
nel caso dell’associazione delle Madres, come si è detto, costituisce uno dei fattori de-
terminanti della scissione del gruppo in Linea fundadora e quella di Hebe de Bonafi-
ni. A metà degli anni Novanta il programma si è esteso a circa  famiglie, a cui il
governo provvede, per un totale di  milioni di dollari, all’insegna della motivazione
ufficiale di “detenzione avvenuta per errore” (cfr. Los desaparecidos. Una pesadilla en
la conciencia de los argentinos, in “El Nacional”,  aprile ).
. Testimonianza di Matilde K., cit.


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Spazi

.
“Se non c’è condanna legale
ci sarà condanna sociale”: escrache

“ NO OLVIDAMOS , NO PERDONAMOS , NO NOS RECONCILIAMOS ”,


“non dimentichiamo, non perdoniamo, non ci riconciliamo”. È
la scritta che a caratteri cubitali compare sugli striscioni dell’as-
sociazione H.I.J.O.S. in occasione di una delle prime uscite in pub-
blico, nell’autunno del . Il  ottobre, anniversario della no-
mina di Domingo Bussi a governatore della provincia di Tu-
cumán, viene dichiarato “giorno di vergogna nazionale”. A Bue-
nos Aires la dinamica è di forte impatto visivo: la Piramide de
Mayo, nell’omonima piazza, viene listata a lutto, avvolta da gran-
di nastri neri; contemporaneamente, a Tucumán, di fronte alla re-
sidenza di Bussi, una marcia culmina in una particolare manife-
stazione di dissenso, l’escrache.
Escrache è un neologismo coniato dai figli di Buenos Aires e
la sua definizione letterale rimanda a una duplice matrice di si-
gnificati. Dal nuovo dizionario del lunfardo, il linguaggio dei
quartieri poveri della capitale, si deduce infatti come da una par-
te escrachar indica “lanciare qualcosa con forza, dare colpi o fru-
state. Espettorare”, mentre escrache è sinonimo di «fotografia di
una persona, soprattutto del viso, generalmente con accezione
negativa; persona brutta e sgradevole». In senso lato, questa
espressione si potrebbe anche tradurre con “smascheramento”.
A partire da questa giornata, specifiche commissioni “di con-
danna morale e ricostruzione storica” organizzano attività simili
con periodicità variabile in tutta l’Argentina, all’insegna di una
stessa dichiarazione di intenti: «Non possiamo far nulla per cam-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

biare il passato. Ma possiamo far qualcosa per cambiare il presen-


te. Possiamo e dobbiamo. Rendere ogni casa in cui vive un assas-
sino una prigione».
Escrachar vuol dire definire un obiettivo, generalmente militari
di alto rango, e manifestare sotto la sua casa in modo visibile e chias-
soso, in modo da richiamare l’attenzione del maggior numero di
persone. Gli escraches non sono eventi casuali o improvvisati, ma
preparati con cura al fine di raggiungere ampia risonanza. Di fronte
alle case degli ex torturatori i figli marciano con fischietti e tambu-
ri, gridano al vicinato “attenzione, qui vive un assassino!”, distri-
buiscono volantini con nome, indirizzo e fotografia della persona in
questione, assieme ai dettagli dei crimini commessi. Con questa ope-
razione i ragazzi si riappropriano delle strade in cui il libero movi-
mento era così limitato durante il Proceso de reorganización nacional.
Rompono il silenzio, complice dell’orrore durante la dittatura. Si-
gnificative in proposito sono le osservazioni della psichiatra Judith
Herman, riportate nello studio di Rita Arditti:

Per sfuggire alle responsabilità i colpevoli faranno tutto ciò che è in loro
potere per far dimenticare alla società. Il segreto e il silenzio sono la loro
arma e difesa principale. Dopo ogni atrocità commessa siamo sicuri di
sentire sempre le stesse scuse: non è mai successo; la vittima si sbaglia; la
vittima mente; la vittima si inventa le cose; la vittima esagera, è istrionica;
e in ogni caso, è tempo di dimenticare il passato e andare avanti.

L’obiettivo è demolire lo scudo di anonimato che protegge i col-


pevoli, mostrando ai vicini chi vive alla porta accanto, e magari sor-
ride loro ogni mattina al bar. Un esempio di come gli H.I.J.O.S.
informano il vicinato, attraverso un linguaggio provocatorio, dis-
sacrante, sono i testi dei pamphlet distribuiti in un quartiere alcu-
ni giorni prima dell’operazione. Un volantino diffuso nel bar più
vicino alla casa di Alfredo Astiz, “l’angelo biondo”, caso recente-
mente archiviato nei processi italiani per i cittadini scomparsi in
Argentina, diceva: «Attenzione, signora, non beva il suo caffè così
tranquilla… Un assassino potrebbe essere seduto al suo fianco! Al-
fredo Astiz, via XXX, numero XXX… citofono, telefono… ecc.».


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. S PA Z I

La dinamica preparatoria degli escraches è evidente nel video


Panzas! di Laura Bodelevski, presentato a Milano nel giugno 
in occasione del Videofestival I Giorni del Condor. Rassegna di
film e video sui diritti umani in America Latina. I muri del quar-
tiere vengono ricoperti con grandi foto dell’obiettivo scelto, sot-
totitolate «TORTURATORE A PIEDE LIBERO». Sui pali della luce e gli
alberi della strada che conduce alle loro abitazioni, a distanza va-
riabile, vengono affissi cartelli metallici con su scritto: «Atten-
zione! Assassino a  m.», «Attenzione! Assassino a  m.» e
così via, fino al portone di casa. Una volta arrivati, l’operazione
culmina con musica, percussioni, spettacoli di teatro di strada,
marionette, pagliacci, attori comici e satire, manifestazioni di for-
te impatto sonoro. A volte, quando il controllo della polizia non
è troppo serrato, i muri della casa sono ricoperti di graffiti colo-
rati o macchiati con abbondanti quantità di vernice rossa, a ri-
cordare il sangue versato. Infine, con un gesto che richiama evi-
dentemente dinamiche di generazioni precedenti, attorno al pe-
rimetro della casa si tracciano col gesso delle sagome, in ricordo
dei desaparecidos.
Sulla base di quanto appena descritto è possibile riflettere su
come gli escraches esprimano fondamentalmente una doppia va-
lenza. Da una parte si rivelano strumenti per conferire visibilità
al movimento attraverso i mezzi di comunicazione di massa in
tempi piuttosto brevi, e sono stati talvolta visti come una mani-
festazione nuova, originale e creativa, che per molti aspetti li di-
stingue da modalità di protesta già sperimentate dalle organizza-
zioni di familiari di scomparsi. Dall’altra, i gesti con cui di fre-
quente culminano le operazioni, come il disegnare le sagome,
rappresentano evidentemente la ripresa fedele delle “politiche
simboliche” di madri e nonne durante la dittatura. Come ci ri-
corda lo studio della da Silva Catela, la pratica di portare in stra-
da le silhouettes dei desaparecidos, a grandezza naturale, nasce
proprio dalla volontà di nonne e madri di «portare gli scompar-
si in strada»; verrà poi gradualmente sostituita dalle fotografie,
corredate della data di desaparición.


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

Riguardo alle modalità di occupazione dello spazio pubblico,


è significativo riportare il pensiero di un’altra testimone, Natalia
L., figlia di esiliati, rientrata in Argentina per un periodo dopo la
formazione dell’associazione, e protagonista in prima persona di
diversi escraches. Su un filo di ragionamento che vede soppesare gli
elementi di continuità col passato, da una parte, e quelli di rottu-
ra, dall’altra, la sua narrazione si rivela particolarmente ricca di
spunti di lettura:

È vero che non siamo sorti dal niente! Ma gli H.I.J.O.S., per esempio, han-
no detto che la Plaza de Mayo è lo spazio de Las Madres ed eventual-
mente… de Las Abuelas. E da lì infatti prendono il nome: Las Madres de
Plaza de Mayo. Hebe de Bonfini ha cercato di mettersi gli H.I.J.O.S. sotto
l’ala, e dire “adesso facciamo un po’ quello che dico io, tutti insieme”, ma
gli H.I.J.O.S. le hanno risposto no, non è… con le madri tutto bene, ma noi
abbiamo… delle cose specifiche, dunque, anche il nostro spazio. Il no-
stro è… il paese intero! Il nostro, appunto, non è uno spazio fisso, è uno
spazio mobile!
È diverso, lo spazio mobile. Quello degli escraches è uno spazio mo-
bile, è uno spazio che si crea ogni volta che si vuole andare a fare gli
escraches, davanti alle case, e questo è un modo… assolutamente diver-
so, non è… la Plaza de Mayo, il posto del potere, è uno spazio… per
noi è ponerle la cara, mettersi in una posizione di confronto. È lo spa-
zio di confronto per eccellenza… [la loro] è una forma di confronto col
potere fisso, un confronto col potere… là dov’è il potere… mentre noi
usiamo uno spazio mobile, li andiamo a cercare! È uno spazio mobile.
Quindi questo, per esempio, è molto diverso. […] Li andiamo a cerca-
re! Questa è la novità.

I figli sembrano dunque ritagliarsi un loro luogo fisico e concreto


di proiezione di memoria collettiva, un quadro spaziale su cui, per
dirla con Maurice Halbwachs, «disegnare sul terreno la propria
forma», conferire significati, condensare il ricordo. All’interno di
una contrapposizione ideale tra spazio fisso, legato alle generazio-
ni precedenti, e spazio mobile, creato e inventato dai ragazzi, Na-
talia sottolinea dunque la valenza originale, creativa, di questa di-
namica, e mette in evidenza, più che l’eredità ricevuta, la novità.


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. S PA Z I

Dall’altro versante, invece, commenta l’attuale presidentessa delle


Nonne di Plaza de Mayo Estela Carlotto, con un velo d’ironia:

Già da sei anni [i figli] si sono formati come movimento, hanno una
struttura molto interessante, e sono ogni giorno più organizzati… ora si
sono inventati per la gente, per le persone, per la società, e questo sì che
richiama l’attenzione… il famoso escrache! L’escrache è una cosa loro, io
dico sempre che li accompagniamo tutte insieme… non tanto le nonne,
perché negli escraches, in genere, ci possono essere delle corse, arriva la
polizia e noi… [sorride] non abbiamo molta leggerezza nella corsa,
quindi cerchiamo di rimanere un po’ lontano [sorride di nuovo]. Ma so-
no loro che fanno l’escrache, con un metodo inventato da loro… per met-
tere in evidenza che lì vive un assassino, e che la gente lo sappia, che è
necessaria la condanna! La condanna sociale, perché la condanna lega-
le ancora non esiste.

Questo continuo oscillare tra generazioni passate e future costi-


tuisce un aspetto peculiare dell’organizzazione e si manifesta tan-
to su un piano simbolico quanto concreto. Nonne e nipoti si mo-
strano spesso fisicamente vicini in pubblico, nelle manifestazioni e
nei convegni pubblici. In più di un’occasione, inoltre, le nonne
hanno preso con decisione la difesa degli H.I.J.O.S., ad esempio in
seguito a violente rappresaglie. Riportiamo la risposta delle Abue-
las, pubblicata sul sito Internet della ONG Equipo Nizkor dopo l’ir-
ruzione di agenti in borghese nella sede di H.I.J.O.S. a Buenos Ai-
res, alla fine del :

Ai vigliacchi che minacciano gli H.I.J.O.S.: dall’ombra, come autentici abi-


tanti delle nebbie, senza mostrare il volto, senza prendere responsabilità
della vostra bassezza, minacciate gli H.I.J.O.S. proprio come quando sfon-
davate le porte a calci ed entravate con violenza nelle case dei nostri fi-
gli… a parole, ipocrite e codarde, “la polizia e i servizi vigilano”. Ma non
era finita questa situazione? È per questo che ci sono così tanti assalti in
strada: se “i custodi dell’ordine” si occupano di “vigilare” gli oppositori
come durante i peggiori anni della dittatura… noi Abuelas de Plaza de
Mayo abbiamo già dimostrato che l’impunità non è qualcosa di invulne-
rabile e dunque vi diciamo state attenti. Alle spalle degli H.I.J.O.S. ci sono


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molte persone disposte a difenderli e noi, che ci sentiamo le nonne di tut-


ti, siamo decise a scoprire gli autori di questa azione anonima e ottenere
giustizia. Il popolo ha già detto MAI PIÙ.

Il rapporto con le nonne vive dunque anche di una forte parte af-
fettiva, di un’intimità talvolta non priva di aspetti contraddittori,
proprio come nelle relazioni più strette. La testimonianza di Este-
la Carlotto, ad esempio, esprime un disagio nei confronti delle ten-
denze più o meno radicali che, a seconda dei momenti, emergono
nel discorso pubblico dell’associazione:

E dunque noi [sentivamo] sempre l’impegno di stimolarli, di… esserci!


Ma poi ci siamo rese conto che invece dovevamo rimanere dietro di loro,
e stare a guardare. E che loro sapessero che noi eravamo lì per aiutarli,
ma solo quando ne avessero avuto bisogno. Certo non per imposizione.
Comunque devono capire che loro hanno tutto il diritto ma… non
sono gli unici! La loro comparsa non può cancellare… la nostra storia,
perché… non vengono a rimpiazzarci, né a insegnarci qualcosa, bensì
vengono a imparare. E in questo devono essere umili. E lo sono. All’ini-
zio non tanto… noi gli vogliamo molto bene, moltissimo, li aiutiamo e…
li stiamo accompagnando. Sempre d’accordo col ruolo di una nonna.
Non siamo mica figli, siamo nonne! E se una nonna deve… [sorride] rim-
proverare… lo fa, no? Certo che lo fa! È completamente sano… bisogna
fare così. Perché è parte dell’aiuto di cui loro hanno bisogno, no?

Al momento attuale il tema dei luoghi del ricordo, rispetto al


quale diverse intuizioni derivano da studi sulle commemorazioni
della Shoah, è intensamente dibattuto nella sfera pubblica ar-
gentina. Da una parte, il complesso delle suggestioni storiografi-
che della scuola francese, come la monumentale opera di Pierre
Nora sui lieux de mémoire, o quella di Jacques Le Goff sul si-
gnificato sociale degli spazi, sia fisici che metaforici, alimenta
una nuova produzione di carattere teorico in ambito accademi-
co. Dall’altra, si consideri un acceso dibattito sulla realizzazio-
ne di musei e monumenti, che verte sulle dinamiche concrete di
costruzione o allestimento degli stessi. Esiste oggi una riflessione
di carattere “circolare”, di carattere transnazionale, sulla proget-


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. S PA Z I

tazione e l’uso dei luoghi della memoria in contesti postraumati-


ci, che vede, ad esempio, i suggerimenti di diversi architetti ap-
plicati a contesti distanti nello spazio, ma che molto hanno da im-
parare l’uno dall’altro per quanto riguarda le modalità di elabo-
razione del lutto collettivo. Sono realtà come lo Yad Vashem di
Tel Aviv, il Museo dell’Olocausto di Berlino, il museo Te Papa
sulla storia dei Maori in Nuova Zelanda, esperienze che, a loro
volta, hanno avuto non pochi riflessi sulle ipotesi per la ricostru-
zione dello spazio del Ground Zero a New York.
Situazione emblematica per quanto riguarda Buenos Aires è il
Parque de la memoria, oggetto di uno studio della storica Paola Di
Cori sul legame tra utilizzo dello spazio pubblico e costruzione di
memoria e identità collettiva nell’Argentina postautoritaria. Tra le
questioni affrontate, ancora del tutto aperte al dibattito, emergo-
no i mutamenti profondi nel modo di intendere il rapporto tra
pubblico e privato dopo eventi traumatici che annullano violente-
mente i confini tra queste due dimensioni, e le eventuali ripercus-
sioni che può questa metamorfosi avere nella riformulazione di
una nuova identità nazionale democratica.
Anche il monumento previsto all’interno del Parque, dedicato
alle “vittime del terrorismo di Stato”, come ci rammenta la ricerca
dell’antropologa sociale Virginia Vecchioli, è stato oggetto di me-
moria contesa e di acceso confronto; ha rappresentato un percor-
so carico di simboli e di attribuzione di significati. La sistema-
zione di questo spazio, preceduto da un concorso di scultura, è
stata infatti caratterizzata da lunghe e animate discussioni all’in-
terno di una commissione, formata essenzialmente da deputati, pa-
renti delle vittime, compagni di militanza politica, rappresentanti
di organismi per i diritti umani, sopravvissuti e funzionari pubbli-
ci. Questo eterogeneo insieme di persone si è assunto il carico di
sottrarre le vittime dall’anonimato e dalle nebbie del ricordo indi-
stinto, definire i loro nomi e farli incidere, su lastre di granito ne-
ro, in uno spazio situato sulle rive del Río de la Plata.
I monumenti del ricordo del terrore, luoghi dove s’immagina
che «le contraddizioni tra la pietà e la rabbia si possano ricompor-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

re», sono di fatto teatro di continue dispute. Durante il primo an-


niversario della distruzione del World Trade Center di New York
si è commentato: «L’attacco ha unito la città come forse solo una
grande tragedia può fare, ma la ricostruzione è destinata inevita-
bilmente a dividerci».
Pensando invece all’uso dello spazio pubblico inteso in senso
lato, è bene ricordare che, tra le varie attività, i figli argentini man-
tengono anche regolari contatti con scuole medie e superiori at-
traverso seminari e dibattiti con insegnanti e alunni, e talvolta or-
ganizzano iniziative più complesse come concorsi di disegno o di
scrittura a tema.
Una riflessione complessiva sull’“uso pubblico della storia” di
cui i figli si fanno carico non prescinde allora dai luoghi in cui que-
sta viene in un certo senso “prodotta” e “consumata”. Storici come
Gallerano, ad esempio, ci ricordano che un nodo centrale rimane
definire la pluralità di contesti in cui si articola il confronto tra il
mondo della storia e quello della comunicazione. All’uso pubblico
della storia contribuiscono infatti non solo i mezzi di comunicazio-
ne di massa, ma anche le arti, la letteratura, i musei, le scuole, i mo-
numenti, gli spazi urbani, le associazioni culturali, politiche, etni-
che, religiose. E attraverso questo contatto si definiscono pertanto
– con esiti diversi a seconda dei momenti e dei contesti – gli even-
tuali confini tra gli storici di professione e gli altri produttori di sto-
ria; ad esempio, tra gli operatori dei media e gli insegnanti di scuo-
la, tra ricerca scientifica e divulgazione.
Nel caso dei figli argentini la scuola rappresenta, fin dai primi
mesi successivi alla formazione dell’associazione, un contesto in
cui si acquisisce visibilità. Dopo una serie di perplessità iniziali, co-
me si evince dalle loro pubblicazioni, i membri di H.I.J.O.S. deci-
dono di accettare gli inviti di alcuni istituti superiori della capita-
le, e si cimentano in un esperimento che, a detta di diversi testi-
moni, si rivela invece piuttosto gratificante. Nelle scuole, si af-
ferma, si registra un clima di rispetto, di ascolto, in un certo senso
di riconoscimento del ruolo che questi si autoattribuiscono, di te-
stimoni e attivi custodi di memoria.


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. S PA Z I

Si apre qui un altro possibile capitolo di riflessione, che ver-


te di fondo su un problema efficacemente sintetizzato da Wie-
viorka sulla scia di precedenti studi storiografici: il rapporto dia-
lettico tra lo storico e il testimone, tra la storia “fredda”, e la te-
stimonianza “calda”. Sulla diversa valenza da attribuire al cam-
po della storia e della testimonianza, talvolta complementari, tal-
volta in opposizione o conflitto nel documentare temi recenti e
traumatici come la Shoah, scrive infatti questa studiosa, ripren-
dendo le considerazioni di Geoffrey Hartman, docente presso
l’Università di Yale e fondatore degli archivi audiovisivi Fortu-
noff dei sopravvissuti:

Nemmeno lui pone in discussione l’importanza degli archivi […] ma, a


suo avviso, le testimonianze ci danno proprio quello che non ci può es-
sere dato dal racconto storico fondato sulle analisi degli archivi, poiché
«l’immediatezza dei racconti in prima persona ha l’effetto del fuoco in
quella gelida stanza che è la storia». C’è la stessa immagine, quella del fuo-
co, e la stessa volontà di fare appello all’emozione opposta al carattere
“freddo” della storia scritta a partire dagli archivi.

Dense di significato, se pensiamo soprattutto alle difficoltà di re-


lazione che, secondo alcune testimonianze orali, i figli hanno tal-
volta nel rapporto con gli insegnanti, sono ancora le considerazio-
ni di questa studiosa sulla “competitività pedagogica” tra la figura
dello storico e quella del testimone:

L’attuale contrasto talvolta percepibile tra i testimoni e gli storici deriva,


molto probabilmente, in larga misura dall’intrecciarsi delle scene in cui es-
si sono presenti e dai ruoli che vengono loro imposti. Storici e testimoni
vengono oramai chiamati negli stessi luoghi: aule di tribunali, televisione,
radio, scuole. Sono, dunque, spesso in competitività tra loro. Il “dovere
della memoria” assegna al testimone e alla sua testimonianza una finalità
che va ben oltre il racconto di un’esperienza vissuta. Per esempio, il fine
esplicitamente assegnato alle testimonianze dalla Survivors of the Shoah Vi-
sual History Foundation è molto ambizioso: «L’archivio verrà utilizzato co-
me mezzo per l’intera educazione sull’Olocausto e per educare alla tolle-
ranza razziale, etnica e culturale. Conservando le testimonianze, la Fon-


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dazione permetterà alle future generazioni di apprendere le lezioni di que-


sto periodo devastante della storia umana da coloro che sono sopravvis-
suti a esso». […] Non tutti i testimoni, che sono comunque uomini e don-
ne, con le loro vanità umane, hanno lo stesso rigore di Primo Levi. Come
resistere al fatto di impartire ai giovani lezioni di storia? La maggior par-
te delle volte, il testimone esce dal proprio ruolo, spiega agli studenti l’a-
scesa del nazismo e le sue molteplici malversazioni. […] Alcuni insegnan-
ti preferiscono, infatti, sostituire le lezioni con la proiezione di un film o
col dibattito di un testimone, mentre un buon metodo pedagogico esige-
rebbe che ci fosse sia la lezione sia la testimonianza.

Dopo aver riflettuto sulla complessità relazionale tra queste due fi-
gure, Wieviorka conclude:

La testimonianza si stacca così dalla storia, si allontana ancor più dall’e-


vento, un po’ come le onde di un sisma che si propagano a partire dal-
l’epicentro. Leggendo e ascoltando la voce di questi testimoni […] si im-
parano molte cose sull’umanità, sulla violenza di certi traumi e sul loro
carattere irreparabile. Ma s’impara qualcosa dalla Storia? L’eco degli
eventi informa sulla potenza dell’evento, ma non rende conto di ciò che
è stato. […] Qual è allora il dovere degli storici, di coloro che produco-
no un racconto storico, e quello degli insegnanti di storia che iniziano i
giovani a tale racconto? Devono forse, come talvolta li vediamo fare og-
gi, dichiarare guerra alla memoria e ai testimoni e contendere il loro spa-
zio editoriale, mediatico e associativo, con il rischio di dedicare a ciò una
parte importante della loro energia? Non credo. Lo storico ha un unico
dovere, quello di fare il proprio mestiere, anche se i risultati del suo la-
voro alimentano il dibattito pubblico o la memoria collettiva o vengono
strumentalizzati dall’istanza politica. E ciò perché, quando il tempo sco-
lorisce le tracce, resta l’iscrizione degli eventi nella storia che è l’unico
avvenire del passato.

È possibile rintracciare un filo comune in attività così diverse co-


me il “lavoro da formichine” – come loro stessi definiscono le at-
tività di testimonianza a studenti e insegnanti – da un lato, e le vi-
sibili provocazioni civili degli escraches, dall’altro: obbligare in
un certo senso la società civile a prendere posizione rispetto al

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comune atteggiamento dell’“io non sapevo cosa stesse succeden-


do allora”. La dimensione dell’impunità viene dunque percepita
dai figli non solo come forma di legalità elusa, ma anche come una
vera e propria cultura diffusa: più sottile, forse, ma certo non me-
no gravida di conseguenze. L’azione di H.I.J.O.S. si prefigge di sti-
molare nella società civile l’acquisizione di consapevolezza sugli
abusi commessi: un processo che avviene tanto rivelando nomi e
cognomi, volti, luoghi di residenza degli assassini, quanto dedi-
cando impegno al dibattito nelle scuole. Si no hay condena legal hay
condena social, “se non c’è condanna legale ci sarà condanna so-
ciale”, recita lo slogan della Commissione di condanna morale e ri-
costruzione storica.
Sulla base della valutazione delle attività nelle scuole, emersa
nella rivista dei figli, si evince quanto la storia recente e la memo-
ria della violenza non sia sentita dagli studenti come bagaglio cul-
turale “proprio”: interessanti a questo proposito le reazioni smar-
rite di fronte alla proiezione di film sui movimenti rivoluzionari dei
primi anni Settanta come Cazadores de utopías .
L’attività dell’associazione si inserisce infatti in un tessuto di
percezioni collettive frammentato, contraddittorio, che, dopo l’ef-
fetto disgregante ottenuto dalla dittatura, tende alla rimozione di
questioni dolorose e complesse. Scrive Paolo Pezzino a proposito
della profonda frattura e successiva, complessa riarticolazione del-
la società civile in Italia dopo eventi traumatici come il secondo
conflitto mondiale:

Come ricostituire quel minimo di coesione sociale necessario al funzio-


namento di ogni sistema politico? Come pensare, nei rituali civili, me-
moria e oblio del passato, entrambi necessari perché la società nazionale
voglia guardare al futuro? La risposta che viene a queste domande è a sua
volta condizionata da fattori storici di lunga durata, attinenti alla natura
e alla forza dei legami identitari rotti con la guerra. Il tema della guerra
civile richiama infatti fondamentalmente quello dell’identità. La guerra
civile manifesta rottura di identità profonde, che sembravano acquisite e
invece vengono sconvolte: identità etniche, nazionali, linguistiche, ma an-
che solidarietà familiari, di parentela, di gruppo.

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A ideale chiusura del ragionamento sul senso di scissione e di iden-


tità nazionale divisa, molto eloquenti sono le considerazioni
espresse dalla poetessa Antije Krog rispetto a un altro lungo, do-
loroso, contraddittorio processo di riconciliazione nazionale: quel-
lo del Sudafrica, una società scissa e disarticolata quale effetto di
una strategia studiata scientificamente:

La memoria non è mai stata complementare al futuro del Sudafrica, non


ha mai avuto un posto nell’identità nazionale, contribuendo così a evita-
re che vecchi errori venissero ripetuti con tanta facilità. Il regime dell’a-
partheid è stato così efficace nel dividerci che praticamente nessun suda-
fricano può appropriarsi di ricordi che non siano quelli presenti nel suo
compartimento stagno. La gente faceva la sua vita, ignara che fatti terri-
bili stavano accadendo nella casa accanto.
Ognuno di noi ha una memoria dimezzata.

.
Oltreoceano: i figli dell’esilio

H.I.J.O.S. non rimane un fenomeno nazionale, limitato ai confini ar-


gentini. Pochi anni dopo la sua nascita, reti reali e virtuali nascono
in Cile, Uruguay, Venezuela, Francia, Spagna, Italia, Messico, Cu-
ba, Paesi Bassi, Svizzera, Svezia e Stati Uniti, in molti casi sulla scia
dell’esilio.
In un’analisi sulle reti transnazionali di attivisti per i diritti uma-
ni in America Latina, Margareth Keck e Kathrin Sikkink sottoli-
neano come uno dei tratti caratterizzanti di questi attori sociali è
l’abilità di produrre velocemente informazioni fruibili a livello po-
litico (Information Politics) che esulano dai canali di comunicazio-
ne tradizionali. Sin dalla fine degli anni Ottanta, sostengono queste
studiose, «è iniziata una fitta rete di scambi Nord-Sud, facilitata
dalle nuove tecnologie. Computer, fax ed e-mail hanno fornito un
grande aiuto a queste organizzazioni, dimostrando essenzialmente
che oramai i governi non possiedono più il monopolio del flusso
delle informazioni, come succedeva fino a pochi anni fa». Questa
affermazione ben corrisponde alla realtà organizzativa di H.I.J.O.S.,
una volta valicata la frontiera di origine: notizie sulle attività, sugli


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. S PA Z I

obiettivi, e talvolta modifiche dei rispettivi statuti, circolano rego-


larmente attraverso una rete telematica transnazionale.
Il sito svedese è particolarmente ricco di link sulle iniziative
degli altri paesi, e costituisce un punto di riferimento essenziale
per lo scambio di articoli, informazioni sulle attività in corso, ag-
giornamenti sui processi a carico dei militari e sull’andamento
delle battaglie giudiziarie per il recupero dei nipoti, in collabora-
zione con altre organizzazioni per i diritti umani. Ad esempio, è
evidente il nesso con la ONG Equipo Nizkor, che riporta sul pro-
prio website le dinamiche dei processi a Madrid sulle sparizioni
di cittadini spagnoli durante le dittature argentina e cilena. Il
ruolo protagonista della Svezia può essere con tutta probabilità
attribuito a una lunga tradizione di accoglienza e di propensione
verso la solidarietà internazionale che durante gli anni Settanta e
Ottanta del Novecento – come in altri paesi dell’Europa del Nord
– favorisce un consistente flusso di immigrazione politica da Cile,
Uruguay, Bolivia, Colombia e Argentina. HIJ@S-Svezia (che ha vo-
luto integrare il simbolo @, a sottolineare la presenza di una spe-
cifica istanza di genere, oltre alle tradizionali rivendicazioni del-
l’associazione) nasce due anni dopo il gruppo argentino. In un
breve arco di tempo richiama la partecipazione di figli di scom-
parsi e di esiliati politici da diversi paesi latinoamericani; una re-
te regionale di attivisti si è stabilita tra Uppsala, Stoccolma, Gö-
teborg, Lund, Malmö e Västerås.
In Francia, H.I.J.O.S. è prevalentemente composto da figli di
esuli argentini e cileni, che arrivano in Europa già dalla fine degli
anni Sessanta. Come evidenzia lo studio di María Oliveira-Cézar,
coinvolta in prima persona in questa vicenda, esistono infatti di-
versi precedenti di migrazione forzata verso questo paese, antece-
denti al Proceso de reorganización nacional del generale Videla.
Una fase decisiva è la dittatura del generale Onganía del -,
regime fortemente autoritario che, come si è accennato nell’intro-
duzione, per la sua violenza repressiva anticipa largamente sotto
molti punti di vista le dinamiche della dittatura del . Durante
la “Rivoluzione argentina” di Onganía, infatti, l’ambiente univer-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

sitario viene duramente colpito (rimane tristemente nota, ad esem-


pio, la “notte dei lunghi bastoni”) col risultato che all’incirca 
esponenti del mondo accademico, in gran parte appartenenti al
campo delle scienze esatte, si vedono costretti a lasciare il paese,
prediligendo mete come gli Stati Uniti e la Francia.
Nel caso di quest’ultima destinazione, la maggior parte degli ac-
cademici argentini trovano un inserimento lavorativo presso il CNRS,
l’Istituto nazionale per gli studi e le ricerche, divenendo così la mi-
noranza di stranieri più consistente nell’ambito di questa prestigiosa
istituzione. In questi anni nasce a Parigi il Comité de Défense des Pri-
sonniers Politiques Argentins, integrato da note personalità del mon-
do della cultura, come Simone de Beauvoir, Jean-Paul Sartre, Régis
Debray, e gli intellettuali gravitanti attorno alla rivista “Esprit”. A
ogni modo, la gran parte degli esuli si concentra negli anni -.
Com’è evidente dallo studio di Oliveira-Cézar, non è semplice forni-
re dati quantitativi precisi di questo fenomeno su suolo francese. In
primo luogo perché non tutti chiedono od ottengono lo status di ri-
fugiato politico. Per questo motivo, anche i dati provenienti dall’Of-
fice Français de Protection des Refugiés Apatrides (OFPRA) registrano
una parte, ma non la totalità di questa presenza. Alcuni fanno parte
di coloro che, tramite parentela di prima o seconda generazione, pos-
sono riscattare la nazionalità francese, o vivono clandestinamente,
rinnovando per anni, di tre mesi in tre mesi, precari visti turistici. Al-
tri ancora sono giovani studenti universitari, che non rientrano per-
tanto nella categoria di cittadini lavoratori. Alla fine degli anni Set-
tanta si costituiscono nella capitale francese diversi gruppi di solida-
rietà per l’Argentina. Si ricorda in particolare:
. il Centre Argentin d’Information et Solidarité (CAIS), senza una
dichiarata affiliazione partitica né politica ma di fatto, sempre se-
guendo l’ipotesi di Oliveira-Cézar, con una prevalenza di una com-
ponente peronista di sinistra, più consistente rispetto ai trotzkisti;
. il Comité de Solidarité des Familles des Disparus et Prisonniers
Politiques (COSOFAM), originariamente fondato da religiose, dove
si riuniscono inizialmente le sinistre non peroniste e alcuni trotzki-
sti che non partecipano al CAIS;


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. S PA Z I

. la Commission Argentine des Droits de l’Homme (CADHU), le-


gata alla rappresentanza di Madrid, con forte componente peroni-
sta. Queste si riuniscono, a principio degli anni Ottanta, nel GPR
(Grupo Pro Retorno).
Per completare il quadro dell’articolazione raggiunta sul terri-
torio dagli esiliati argentini in Francia ricordiamo inoltre l’esistenza
di altri raggruppamenti, di natura a volte più contingente e meno du-
raturi nel tempo. In ricordo delle dimostrazioni di solidarietà con
il popolo argentino – che intellettuali francesi come Marguerite Du-
ras o politici come Lione Jospin erano soliti esibire durante gli anni
Ottanta – ogni  marzo H.I.J.O.S. di Parigi organizza manifestazioni
di fronte all’ambasciata argentina, chiedendo pubblicamente giusti-
zia per i militari coinvolti nell’Operazione Condor. In più occasioni,
inoltre, nel corso del  si organizzano nei cinema della città
proiezioni del film Garage Olimpo di Marco Bechis.
Tra le destinazioni privilegiate dell’esilio argentino in Europa ri-
sulta la Spagna, forte di un intenso legame linguistico e culturale con
il Cono Sud latinoamericano, nonché di un percorso migratorio in-
verso, consolidatosi nell’arco di tutto il XX secolo. Precedenti mi-
gratori dell’ondata dei primi anni Settanta vanno cercati, diversa-
mente dal caso francese, ancor prima della dittatura del generale
Onganía. Lo storico Guillermo Mira, ad esempio, attualmente re-
sponsabile di un progetto di ricerca internazionale sul tema, sotto-
linea di fatto come già gli anni Cinquanta siano da considerare pe-
riodo spartiacque e inizio di una tendenza che, con momenti di ac-
celerazione e decelerazione, ha segnato tutto il percorso storico ar-
gentino contemporaneo nelle relazioni con questo paese. È dunque
dalla cosiddetta “fuga di cervelli” di tecnici, professionisti, studenti,
desiderosi di ampliare o perfezionare le possibilità lavorative, che bi-
sogna partire, secondo la sua analisi, per comprendere il senso del-
la presenza in Spagna di argentini in fuga dalla dittatura del .
Per quanto riguarda stime di carattere quantitativo, anche per la
penisola iberica, come per il caso francese, è piuttosto difficile arri-
vare a una cifra precisa. Secondo dati forniti dagli stessi protago-
nisti, ad esempio, attorno al  si registra la presenza, tra Madrid e


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

Barcellona, di un numero compreso tra i . e i . argen-


tini. Dalle statistiche ufficiali dei rispettivi paesi la cifra reale sem-
brerebbe essere considerevolmente minore, mai comunque inferio-
re alle . persone. Ragionando quindi anche su ipotesi di pre-
senza approssimate per difetto, è questa una cifra che corrisponde a
quattro volte il numero degli esiliati in Messico, secondo paese di de-
stinazione dopo la Spagna. È bene ricordare, a ogni modo, che il
flusso dell’esilio si intensifica negli anni immediatamente preceden-
ti al golpe, in particolare dal , anno in cui la Tripla A registra già
decine di vittime.
Gli attori sociali coinvolti sono prevalentemente persone gio-
vani, di età compresa tra i  e i  anni, provenienti soprattutto da
Buenos Aires, La Plata, Córdoba, Bahía Blanca, Rosario e Mar del
Plata, tutte sedi universitarie. Molti di questi sperimentano infatti
la militanza politica all’interno delle rispettive facoltà e si vedono
poi costretti ad abbandonare il paese senza ancora aver terminato
il percorso di studi. Per quanto riguarda la loro estrazione, Mira
sostiene che

anche se non si può parlare di assenza totale di altre tipologie sociali, co-
me leader e militanti sindacali, la maggior parte di coloro che cercano ri-
fugio in Spagna provengono dalla densa, stratificata e multiforme classe
media argentina. Questo spiegherebbe perché nelle liste dei desapareci-
dos stilate dagli organismi per i diritti umani gli operai occupino il primo
posto, di gran lunga al di sopra di studenti, maestri e altre figure profes-
sionali legate all’insegnamento. Se è vero che la repressione colpisce in di-
versi settori, questi ultimi dispongono delle risorse economiche per fug-
gire e salvare la vita.

I centri di aggregazione di esiliati nelle principali città spagnole


ricalcano in buona parte la matrice di quelli francesi. Tuttavia, ol-
tre al Comité de Solidaridad con el Pueblo Argentino (COSPA) e al-
la Comisión Argentina de Derechos Humanos (CADHU) – gruppi
di attivisti specificamente centrati su attività di denuncia e soli-
darietà con il popolo argentino –, la capitale spagnola ospita a
partire da marzo del  la realtà della Casa Argentina. Com’è


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. S PA Z I

evidente dallo studio di Mira, il progetto viene inizialmente ap-


poggiato da un buon numero di simpatizzanti e sostenitori: circa
, al momento dell’inaugurazione ufficiale. La Casa si fa cari-
co di organizzare attività come feste, grigliate, tornei di scacchi,
giochi da tavola, giochi per bambini, feste di compleanno, corsi
di fotografia, di storia argentina, mostre fotografiche, dibattiti
sull’attualità e conferenze.
Molto importante si rivela lo spazio di aggregazione e con-
fronto che si viene a creare all’interno di questa istituzione: gli esi-
liati non sono immuni da un pesante senso di sconfitta, a livello in-
dividuale, ma anche a livello collettivo, politico, generazionale in
senso lato. La Casa viene sentita pertanto come un punto di riferi-
mento culturale e affettivo: per mitigare la nostalgia della patria
lontana, nonché per riflettere sul processo che li ha condotti alla
fuga. Le sofferenze degli esiliati includono, a volte, le conseguen-
ze fisiche e psicologiche della tortura o, nel migliore dei casi, il sen-
so di straniamento che sempre accompagna la condizione dell’esi-
lio, come risulta da gran parte della memorialistica sul tema e che
si ritrova, elaborato in forme e modalità differenti, nel vissuto dei
figli. L’obiettivo diviene allora creare uno spazio di incontro cul-
turale, umano, affettivo, all’interno del quale esprimere, e in mol-
ti casi condividere, proiezioni, aspettative, forme di legame con la
madrepatria. La Casa Argentina costituisce

il progetto più ambizioso intrapreso dagli esiliati argentini presso la ca-


pitale spagnola al fine di istituzionalizzare la presenza di migliaia di
compatrioti che arrivavano in fuga dalla dittatura, creare un punto di
aggregazione e cercare di mitigare, attraverso l’incontro, il dialogo e la
riflessione teorica, l’evocazione della patria lontana, il dramma di es-
sersene dovuti andare a vivere – contro la propria volontà – in una cul-
tura diversa.

L’esilio rappresenta infatti un processo complesso, in cui prendo-


no parte attiva «mentalità, atteggiamenti e aspettative individuali,
sentimenti personali profondi, a volte insondabili (e inconsci), la
multiforme elaborazione dell’esperienza sofferta».


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

Un fattore da non sottovalutare, sempre secondo questo sto-


rico, è l’intento sotterraneo di «capitalizzare l’esperienza della
guerra civile spagnola del -, attraverso la promozione di
una riflessione critica sulle circostanze che avevano provocato
l’espulsione forzata di così tante persone». Si intende dunque
avviare una riflessione critica sugli errori, le debolezze, le incoe-
renze della generazione che aveva militato in Argentina nei pri-
mi anni Settanta, radicandosi in movimenti di diverso orienta-
mento politico. La denuncia non sembra essere, quindi, l’obiet-
tivo principale di questa istituzione. Sul piano operativo la prio-
rità diviene piuttosto rivendicare presso il governo spagnolo mi-
gliori condizioni lavorative per gli esuli, un diverso riconosci-
mento di carattere legale, l’accesso ai servizi di base come il ser-
vizio sanitario per tutte la famiglie e quello scolastico per i figli.
L’esperimento dura circa tre anni (dal  al ), dissolvendo-
si grosso modo in concomitanza con le elezioni democratiche in
Argentina.
Per una curiosa forma di ciclicità storica, è singolare – e forse
non così imprevedibile, ci fa notare Mira – pensare che anche la
reazione di fuga dal tracollo finanziario del dicembre  abbia
visto nuovamente la Spagna come meta privilegiata. Un’inchiesta
del novembre , quando la crisi ormai si percepisce nitida-
mente per le strade di Buenos Aires, rivela infatti che il  % del-
le persone intervistate pensano a questo paese come prima even-
tuale destinazione. I passaporti concessi dal consolato nel 
raggiungono le . unità: una cifra che, nel , arriva a
.. «Le strade di Madrid, Barcellona e della Galizia assisto-
no allo sbarco di questi nuovi “esiliati economici”. Il circolo si
chiude. Non sorprende il fatto che la Spagna oggi costituisca la
destinazione privilegiata degli argentini».
Nel  figli di esiliati nati in Italia, o qui giunti a pochi an-
ni di età, organizzano sedi di H.I.J.O.S. a Roma e Milano. Anche
l’Italia rappresenta, infatti, un polo significativo dell’esilio ar-
gentino. Intellettuali e attivisti prediligono il nostro paese in
virtù delle loro origini, che facilitano dal punto di vista buro-


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. S PA Z I

cratico l’inserimento. Un’esperienza significativa si rivela in par-


ticolare l’accoglienza di gruppi di ex militanti del Partido Revo-
lucionario de los Trabajadores (PRT), ed ex partecipanti al suo
braccio armato, l’Ejército Revolucionario del Pueblo (ERP). In al-
cune località del Nord Italia, come Sarzana (La Spezia), Na-
viante (Cuneo), Brescia, Ivrea, si organizzano corsi di riflessio-
ne teorica della durata di un anno. Lezioni di storia, economia e
filosofia vengono impartite ai militanti dell’ERP al fine di avvia-
re un percorso di revisione autocritica del processo che li ha
condotti all’esilio.
Nicolás M., ad esempio, nasce nel  a Farigliano, in Pie-
monte, perché i suoi genitori, entrambi militanti del PRT di Bue-
nos Aires, vengono ospitati presso una di queste strutture. Di
norma il luogo viene scelto sulla base di conoscenze personali,
generalmente contatti privilegiati con rappresentanti delle giun-
te locali, nella maggior parte dei casi esponenti del partito co-
munista o di gruppi extraparlamentari. Molto forte, a detta di Ni-
colás, è il legame di solidarietà che si viene a creare con la comu-
nità locale. Secondo quanto afferma, parte del motivo risiede nel-
l’identità antinazista e partigiana che questa si è costruita duran-
te la Resistenza. La percezione di calda accoglienza registrata da
Nicolás viene confermata da Julio Santucho, rappresentante all’e-
stero di PRT ed ERP, vissuto in Italia per alcuni anni con il compito
di coordinare i corsi di studio. Gli esuli argentini vengono nutriti
per mesi dalle cooperative, dai sindacati, dalle fabbriche, a volte
anche dalle parrocchie, che mettono loro da parte razioni di cibo.
Ivrea in particolare – l’ultimo esperimento – si rivela un vero e pro-
prio laboratorio di solidarietà incrociata tra Partito comunista e
Chiesa cattolica. Ricorda Julio:

Soprattutto a Ivrea, l’ultima esperienza, si sono raggiunti i livelli istitu-


zionali più alti: la casa l’aveva offerta direttamente il PC… il partito, la fe-
derazione, ma c’erano anche rapporti col vescovo, monsignor Bettazzi.
[…] Il Comune di Ivrea aveva una villa con giardino, e un parco di sua
proprietà, e lo dava agli argentini… C’era un gruppo di preti lì vicino che
facevano il vino, lo donavano agli argentini. Commovente.


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

La solidarietà non si manifesta solo attraverso la donazione di beni


di prima necessità, ma anche con l’organizzazione di eventi cultura-
li. I laboratori teatrali, in particolare, costituiscono in questo senso
un interessante esperimento di cooperazione a livello locale, ancora
vivo nella memoria di molti abitanti del luogo. Ricordiamo ad esem-
pio laboratori come Teatro libre, Teatro nucleo, e poi l’esperienza di
Ferrara e Ivrea, in cui nascono attività nel Teatro comunale e si or-
ganizza un Festival dell’Unità appositamente per finanziare il viag-
gio degli esuli in Messico, luogo di intensa affluenza per gli attivisti
politici nonché tappa preparatoria al ritorno in Argentina.
Dai colloqui con i figli dell’esilio emerge un senso di profonda
gratitudine per questa sorta di rete protettiva che si viene a creare
attorno alle famiglie. D’altronde, il senso di insicurezza e di preca-
rietà e il conseguente bisogno di una struttura recettiva forte sem-
bra essere una caratteristica ineluttabile, comune a tutti loro. La
sensazione di transitorietà diviene di fatto componente strutturale
delle personalità di molti ragazzi, quasi un’eredità ricevuta incon-
sapevolmente dalla fuga dei genitori, che ancora oggi, in diversi ca-
si, rende loro piuttosto faticoso stabilire radici in qualsiasi luogo.

.
“El corazón partido por la mitad”:
le ripercussioni individuali

Maria Luisa Luján Leiva definisce la “seconda generazione” del-


l’esilio come

i giovani nati da uno o due genitori di origine latinoamericana e/o che


hanno vissuto in questo paese la maggior parte dei loro anni di forma-
zione, l’infanzia e l’adolescenza. Sono figli dell’esilio, la cui infanzia è
marcata dal desiderio del ritorno dei genitori, inseriti nel sistema sociale
ed educativo del paese di accoglienza dentro la comunità latinoamerica-
na, con le sue pratiche culturali e politiche, impregnate di un passato di
utopie che risiedono in America Latina. […] Parte della loro apparte-
nenza è vincolata al ricordo e al racconto dei padri, i viaggi occasionali in
America Latina, i progetti di studi universitari in America Latina, le visi-


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. S PA Z I

te di amici e familiari, gli incontri durante festival latinoamericani, la dif-


fusione di radio comunitarie….

Dalle narrazioni dei figli dell’esilio emergono più volte riferi-


menti a processi di frammentazione e successiva ricostruzione di
identità. Rottura e ricomposizione avvengono quindi attraverso
due generazioni, padri e figli, e due luoghi, l’Argentina e il paese
dell’esilio.
Una prima osservazione evidente dalla decodificazione del-
le fonti orali è che i ricordi dei testimoni riflettono una matrice
di “confusione identitaria” ereditata che, nel caso dei figli di
persone impegnate nella lotta armata (buona parte dei testimo-
ni), si rifà alla militanza politica dei genitori. La frequente so-
vrapposizione tra nomi veri e nomi “di battaglia”, la continua
miscela di verità e dissimulazione, spesso insita nello stato della
clandestinità, costituiscono parte delle tessere di un complesso
mosaico costitutivo della personalità individuale, le cui caratte-
ristiche sono state analizzate, tra le varie discipline, dalla psico-
logia sociale.
Julián da oltre vent’anni risiede a Roma, a seguito dell’esilio
materno. Durante un lungo colloquio svoltosi tra lo spagnolo e l’i-
taliano, simboli dei suoi due universi mentali, ricorda a proposito
del padre, ex militante dell’ERP:

Mio padre era clandestino prima del golpe. Perché… la sua colonna ha
sequestrato e ucciso un generale. Dopodiché se ne sono andati a Rosario.
Hanno dissolto la parte rosarina dell’ERP, mio padre è andato a Buenos
Aires, ha conosciuto mia madre ed è rimasto lì. […] È rimasto nascosto…
sotto un altro nome, e con questo mi ha fatto, ma non poteva avere un
passaporto con un documento falso… insomma tant’è che non mi ha ri-
conosciuto… e tutto questo io l’ho scoperto tre anni fa… eh sì, perché…
parlando con mio cugino lui mi dice: “come sta Marcos?”, ed io: “e chi è
Marcos?”, “ma come chi è?”, “è tuo padre!”… Hai capito, mio cugino
lo ha conosciuto per tutta la vita sotto un altro nome… e io, ad esempio,
non sapevo che si chiamava Marcos, o… non mi ricordo, sì, credo si chia-
masse Marcos….


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

La contingenza, l’urgenza e l’imprevedibilità sono caratteri neces-


sariamente inerenti alla lotta clandestina, e anche la fuga lascia die-
tro di sé un reticolo di tracce a volte indecifrabili o prive di senso.
Nel caso di Susana, ad esempio, memoria paradigmatica della de-
saparición, tutto questo rende molto più complicato il ritrovamen-
to del corpo del padre. In un primo momento, quando la sorella
va in Argentina per trovare indizi utili:

Lei ha fatto la ricerca tutta da sola… è un caso unico… e proprio perché


l’ha fatto da sola, quando è andata in Argentina non è che sapesse anco-
ra… non conosceva bene tutte le varie associazioni, non sapeva quali da-
ti possedessero, e quindi che faceva? Andava presso ognuna di queste e
prendeva una marea di appunti, perché ne aveva bisogno, la sua era una
ricerca, come dire… era come un puzzle perché all’epoca… ognuno ave-
va nomi di battaglia, e anche più di uno! Per questo motivo ognuno co-
nosceva mio padre con un nome diverso. Ognuno aveva vari nomi, e per
questo ricostruire il puzzle era complicatissimo. Quindi lei andava in
quelle associazioni a incontrare persone che ne conoscevano altre di quel
periodo, persone che… erano della zona sud di Buenos Aires.

E in un secondo momento, dopo che ne hanno effettivamente ri-


trovate le spoglie:

È successo più volte che mentre facevamo… tutte le pratiche per la se-
poltura di papà… mio padre era stato sepolto con un nome falso… cioè,
con il vero nome, ma con due errori. E per questo non lo avevano rico-
nosciuto nel certificato di decesso. […] Quando andavo a presentare
questo certificato, non era l’atto di decesso di mio padre… e quindi ab-
biamo dovuto avviare tutta una pratica legale per… rifare l’atto col suo
cognome. Per sette anni siamo state lì a dire no! E poi, delirante, per-
ché ci danno… ci danno il corpo… pensando che si tratta di… mio pa-
dre. E dunque in quel momento avrebbero dovuto modificare il tutto
perché… il giudice non ti dà certo il corpo pensando che non si tratti
di tuo padre!

Altro aspetto fondamentale del processo di costruzione identita-


ria dei figli dell’esilio è rappresentato da quell’intricato insieme di


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. S PA Z I

ricordi, aspettative, sensazioni, nei confronti del paese d’origine.


Nel caso di Susana, come si è accennato nelle riflessioni sull’as-
senza di un momento del lutto circoscritto, implicito nella desa-
parición, il ritrovamento del corpo del padre segna anche un ri-
trovamento simbolico, un riappropriarsi dell’Argentina, e un ri-
considerare, profondamente, il senso di appartenenza rispetto al
paese ospitante, nel suo caso la Francia, nonché la valenza dell’e-
silio nel suo complesso:

Per quanto riguarda l’esilio, io so che il ritrovamento di mio padre… me


lo ha trasformato. È come se di colpo… tornare in Argentina, seppellire
mio padre, io prima ero… piuttosto ben integrata nella società francese,
ma è stato, d’un tratto, come un rifiuto totale verso tutta la società fran-
cese, e un amore per l’Argentina… perché se è vero che ne parlavo sem-
pre male, allo stesso tempo….

Alla domanda riguardo eventuali intenzioni di tornare in Argenti-


na, Susana risponde:

Certo! Dal ’ al ’ tutti gli anni dicevo “voglio andare in Argentina, vo-
glio andare in Argentina, voglio andare”… e ci andavo tutti gli anni, un
mese, o due, ed è stato proprio come… di colpo… appartenere a qual-
cosa che è tuo. Per di più, l’esilio ti segna… ti segna… è come se… d’un
tratto non appartieni più a quello spazio. Allo spazio argentino. Che ti ac-
coglie… sempre che ti accolga… ad esempio, io non avevo mai avuto im-
magini negative dell’esilio qui in Francia, né l’avevo rifiutato o, che ne so,
non mi è mai successo che mi facessero sentire una straniera, non è mai
successo, piuttosto è stato come un auto… un autoesilio mio, no? Voglio
dire… in quel momento io l’ho vissuto come… è come se d’un tratto aves-
si capito che cosa significava l’esilio. Tornando in Argentina… è stato
molto forte, è stato come un momento in cui di colpo tu dici no, questo
ci è stato imposto, questo… è stato prodotto dalla dittatura, è come se in
quel momento ne inizi a vedere l’aspetto politico.

Da segnalare, nel caso particolare di quest’unità discorsiva, il ri-


cordo e la percezione dello “spazio argentino”. Susana ricorda in-
fatti come, nei primi mesi dal suo arrivo in Francia,


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non ci piaceva la Francia, neanche per sogno! Noi vivevamo nella Pam-
pa, a La Barría, un posto di campagna… beh è ovvio, è stato un cambia-
mento drastico, ci siamo ritrovate in un luogo… nei dintorni di Parigi,
l’appartamento era bello, ma in quel momento era come… per di più…
noi lì stavamo con i cavalli, andavamo avanti e indietro, facevamo tantis-
sima attività fisica, e tutto d’un tratto, arrivare qui… mia madre guada-
gnava il salario minimo, e certo non ci poteva pagare tutte le cose che…
insomma il livello di vita che avevamo là.

La narrazione riflette, come ci ricorda lo studio di Vásquez e


Araujo, una dinamica tipica del senso di straniamento prodotto
dall’esilio: all’interno delle profonde modifiche dei sistemi di rife-
rimento, dell’universo dei valori, si assiste infatti a una restrizione
degli spazi. Da una parte degli spazi fisici, poiché quelli europei ri-
sultano sempre più angusti, dall’altra anche di quelli affettivi, da-
to che da una dimensione di famiglia allargata, non così rara pres-
so diverse realtà latinoamericane degli anni Settanta, si passa a vol-
te bruscamente a quella mononucleare.
L’Argentina è il luogo dove si mescolano desideri e proiezioni
della generazione dei genitori, ma che vive allo stesso tempo di una
rielaborazione originale dei figli. Questo paese, dove i ragazzi non
hanno mai vissuto l’infanzia, o ne hanno vissuto solo la prima par-
te, è sentito a volte come luogo dell’onirico, a ogni modo proprio.
Sul desiderio di ritorno, riflette nuovamente Susana:

L’idea del ritorno era come… non so… la mia immagine dell’Argentina
era come… un paradiso, e, allo stesso tempo, qualcosa di irraggiungibi-
le, e tutta la mia infanzia, tutta l’adolescenza era come qualcosa… un luo-
go che… non so, non avevo molte immagini per descriverlo, ma era il mio
posto! Era come… un sogno… e quando sono tornata, dopo aver vissu-
to qui dodici anni, mi sono resa conto che… io avevo moltissimi modi di
fare particolari, che erano molto argentini… e che non capivo… per-
ché… gli amici di qui non ce li avevano! Mi sentivo una specie di strano
animaletto… Io mi sono sempre sentita uno strano animale rispetto a…
non so, i rapporti umani di base, e quando sono arrivata in Argentina è
come se avessi trovato… anche con le persone che non avevano avuto
nulla a che vedere con la militanza, né con la dittatura… i miei amici d’in-


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. S PA Z I

fanzia. Ho scoperto che proprio lì, nell’argentino più comune, e non so-
lamente nella militanza c’era qualcosa… che io ero! In tutti. In tutto il po-
polo argentino. C’era qualcosa che trascendeva… ed è stato lì che sono
diventata matta, perché sono tornata in Francia e ho detto “questo no,
non mi piace”, non… mentre ero in Argentina, invece, ho avuto per la
prima volta la sensazione di stare in un luogo mio.

Il tema del ritorno è continuamente vivo e presente: a volte inte-


riorizzato come desiderio proprio, ma proveniente di fatto dal ge-
nitore, a volte eredità più consapevole, è un elemento costante nei
racconti dei figli dell’esilio; l’Argentina rimane per loro il paese so-
gnato con nostalgia dove, prima o poi, torneranno a stabilirsi.
Julián sogna ancora il ritorno in un’Argentina che esiste, in
parte, nella sua fantasia. Come lui stesso afferma, coincide con
l’ipotesi di un paese costruito su un complesso equilibrio di ri-
cordi, aspettative, proiezioni dell’immaginario. Significativa, a
questo proposito, un’enorme mappa affissa alla parete accanto
alla porta di casa, e significativo anche il mate, offerto non appe-
na inizia l’intervista, come preciso simbolo di appartenenza. Di-
ce ancora:

Io… conosco un’Argentina che vive solo nel mio immaginario… oggi,
che sono cresciuto, sono in grado di vedere la differenza tra la vera Ar-
gentina e l’Argentina dell’adolescenza, quella che avrei voluto vedere, il
paese dove tutti… erano compagni, dove tutti… avevano una formazio-
ne politica, invece è un paese qualsiasi, ma dato che io sono cresciuto con
gli esiliati, e lì tutti erano… diciamo che per me il massimo delle discus-
sioni potevano essere tra peronisti e guevaristi! […] Perché io sono cre-
sciuto… la mia Argentina è stata quella degli esiliati. E io lo so che que-
sta Argentina non esiste, naturalmente, che non esiste un’Argentina de-
gli anni Settanta, diciamo, no? Penso di averla idealizzata per anni e an-
ni… […] Non… non cerchi una casa che ti duri dieci anni! Un contrat-
to di affitto di dieci anni… perché ti dici sempre, tanto magari tra cinque
torno in Argentina!

E aggiunge Sofia, sorella di Matilde, che si trovava in casa di Julián


il giorno dell’incontro e non ha potuto fare a meno di intervenire


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

nella conversazione: «Ma è anche, è anche… per esempio: non ti


compri un frigorifero nuovo perché pensi che tanto tra un anno te
ne vai!». Julián commenta allora: «Eccome: noi abbiamo avuto il
televisore in bianco e nero fino al novantadue!».
Il senso di provvisorietà sembra divenire condizione perma-
nente e distintiva della personalità dei figli dell’esilio. La tensione
verso il rientro, di conseguenza, sembra dunque non far mai pie-
namente vivere il paese in cui ci si trova:

Molte volte tu non arrivi a sentirti a casa tua mai più nella tua vita! Sei
sempre provvisorio. […] Se io potessi guardarmi da fuori, se Julián fos-
se un mio amico direi “questo ragazzo sta male! È proprio malato, è fuo-
ri di testa”… Perché io cambio casa almeno due volte l’anno! Anche per
ragioni economiche, quello sì ma… ma anche perché… non so, non…
non vado mai in un posto per rimanerci. Con mia madre, da che siamo
arrivati, dal , e fino al … , fino a che sono vissuto con mia
madre, avremo cambiato qualcosa come venti case!

Ricorrenti, come emerge da alcuni colloqui con gli argentini adul-


ti, alcuni punti di contatto ideali con gli esiliati spagnoli della guer-
ra civile. In particolare, alcuni riferimenti del vissuto dell’esilio co-
me condizione interna, come percezione che filtra tutta l’esisten-
za, possono essere presi dalla letteratura relativa alla Spagna degli
anni Trenta. Significative a questo proposito sono le riflessioni sul-
l’esodo verso la Francia e l’attraversamento della frontiera, intesa
come spazio della memoria per antonomasia, luogo ideale di riela-
borazione di identità.
Altre utili suggestioni provengono una volta ancora da studi
sulla diaspora ebraica: affiora nuovamente alla memoria l’anali-
si di Wachtel e Valensi, Memorie ebraiche, un lungo racconto che
si snoda attraverso le voci narranti di uomini e donne giunti in
Francia nel corso del Novecento da tutte le sponde del Medi-
terraneo e dall’Asia Minore. Nel capitolo L’esilio e il lutto, in
particolare, vengono riportati ricordi molto intensi del senso
della migrazione forzata e della perdita di parte della propria
identità.


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. S PA Z I

Anche dall’intervista con Matilde emerge con forza il proble-


ma dell’assenza di radici, caratteristica primaria dell’esilio e sorta
di marchio indelebile nella costruzione della sua personalità:

Questo problema delle radici è una parte di me, mi accompagna sempre.


Non solo per quanto è successo… a mio padre, ma anche per il fatto che
sono vissuta… in tanti posti diversi, e mai nello stesso. Questa domanda
m’insegue da sempre, quali sono le mie radici e dove sono. Sicuramente
se per radici chiami questo desiderio di mantenere vivo il diritto… delle
persone a vivere, a vivere ciò che pensano, e a lottare per il bene, sicura-
mente questa… è una delle mie radici. […] Sicuramente mi mancano ra-
dici fisiche, non ci sono! In assoluto. Non so bene… a quale paese ap-
partengo, né a quale città, né a quale casa, né a quale cittadinanza. Sono
argentina, ho una cittadinanza italiana, mi è stata concessa dopo tanti an-
ni di residenza a Roma, e forse mi sento un po’… cittadina del mondo.

Questo senso di scissione, di sentirsi sempre a cavallo tra due mon-


di, viene confermato anche dalle parole di Julián, Sofia e Lucía, in-
tervistati in tempi e luoghi diversi; nonostante l’assenza di contat-
to diretto, il loro universo emotivo si esprime a volte in termini
molto simili. Dice Julián: «Come figlio di esiliati ho sempre cerca-
to di trovare la mia vera identità tra italiano e argentino, la mia
identità nazionale, culturale, la mia». Alla domanda se si sente ar-
gentino, risponde:

Sì, ma non… fino in fondo perché… è così: quando sono in Argentina mi


sento il più tano di tutti i tanos… il più italiano… ma quando sono qui
mi sento argentino! [e ride]. È una cosa strana, continui a essere… Né
chicha né limonata, boh. Non siamo… Io non mi sento né di qua né di
là […] quando si gioca Argentina-Italia… E questo l’abbiamo messo co-
me punto di riunione per H.I.J.O.S... insomma la faccenda è che quando
si gioca Argentina-Italia… E tu sei cresciuto qui in Italia, e parli italiano
tutti i giorni, e tifi per l’Argentina, insomma… credo proprio ci sia un
problema! [e ride].

Lucía utilizza invece l’espressione “il cuore diviso in due” (el co-
razón partido por la mitad), per esprimere questa sensazione di la-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

cerazione, così sintomatica e diffusa nella memorialistica dell’esi-


lio. Anche per lei, il tema del ritorno racchiude una pluralità di si-
gnificati. Dopo essere nata e vissuta in Spagna, a quindici anni tor-
na in Argentina per esaudire il desiderio della madre. Complesso,
tra l’altro, l’intreccio e la sovrapposizione di piani identitari in que-
sto momento: si iscrive, anche per ragioni pratiche di accettazione,
alla scuola ebraica, riprendendo dunque il filo dell’identità mater-
na (che proprio in virtù delle sue origini ebraiche era stata inizial-
mente esiliata in Israele lavorando in un kibbutz prima di recarsi
in Spagna). Dopo aver concluso le scuole superiori, sceglie nuova-
mente la Spagna come luogo di appartenenza e si trasferisce a Ma-
drid per seguire corsi universitari.
Al momento attuale vive a Madrid, ma, come si può dedurre
dalla sua narrazione, afferma di non aver ancora compreso a qua-
le luogo sente di appartenere profondamente per costruire un
progetto di vita. Davanti alla domanda su dove vede il suo futu-
ro, risponde:

Mi sono resa conto che ho tempo per decidere… può darsi che io sia in
tutti e due i luoghi… dovresti vedere un film, proprio l’altro giorno l’han-
no proiettato, si chiama Pasaportes, sui figli degli esiliati, l’ho visto ed
era… ogni cosa che diceva era… proprio così! Proprio quello che mi suc-
cedeva. È così, sentire due luoghi e… il cuore diviso in due.

Piuttosto diversa è invece la percezione di Natalia, che, come si è


visto nel capitolo precedente, arriva in Spagna a due anni con la
madre esule. Quando, già piuttosto grande, ritorna in Argentina
per un periodo relativamente lungo sente che:

Il ritorno è… uno choc in più, perché… [sorride] ci sono… è come se


uno passasse il suo tempo a fantasticare mille cose, che poi… non hanno
niente a che vedere con quello che… oppure sono completamente diver-
se! Quindi… a volte è difficile, è anche bello perché… scopri veramente
com’è, però… non so, si tratta di cose molto diverse, sentimenti, sensa-
zioni, che non so bene come spiegare ma… immagino che in realtà que-
sto succeda sempre quando sei lontano dal tuo paese, e poi fa sì che…


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Molte volte io mi sono sentita un’estranea. In Argentina. Mi sentivo un’e-


stranea, quando invece per me, da sempre, l’Argentina era sempre stata
qualcosa di mio, di molto mio e… a livello profondo! Quindi arrivare e
sentire che… beh insomma, in fin dei conti io… sono cresciuta qui, in
Spagna, che non ha nulla a che vedere, che… ci sono altre cose qui, altre
situazioni, altri modi di fare e… anche se rimane un rapporto con l’Ar-
gentina… è diverso!

L’Argentina ritrovata sembra dunque non corrispondere all’ipote-


si di paese costruita e cresciuta per anni attraverso i sogni, perso-
nali e familiari. Un legame, come sostiene Natalia L., altra figlia
dell’esilio, «alimentato dalla musica, dai libri, dalle foto, dalle let-
tere dei parenti…». Forse proprio perché, come afferma la
scrittrice Maruja Torres,

la maggior parte di noi si porta dentro, da sempre, un viaggio, che non è


una semplice visita o vacanza, ma un sogno. E va crescendo a poco a po-
co, costruendosi una delicata architettura. È un’amabile malinconia, che
sviluppiamo con un complicato processo: dalle palpebre verso dentro.
Un viaggio di questo tipo si alimenta di letture, cartoline illustrate, carte
geografiche, fotografie, persone che arrivano con delle notizie, avventu-
re vissute da altri e di cui uno si sente partecipe, nell’oscurità di una sala
cinematografica, o a casa, soli davanti al televisore. Un pezzetto dopo l’al-
tro prende forma il paesaggio che riproduce una realtà che non si può
toccare, ma forte come il vincolo che unisce il corteggiatore alla sua
amante segreta. Credo sia una sorta di pellegrinaggio che ha a che vede-
re con il luogo a cui, per motivi misteriosi, sedimentati nei geni, sentiamo
di voler appartenere. A volte succede che il destino, ed è stato il mio ca-
so da quando ho cominciato a lavorare come inviata speciale, ti conduca
fino lì. Ti introduce, come Alice, nel sogno. E si arriva a credere, tornan-
do, che è la vita di tutti i giorni, il proprio paese, gli amici di qui, quello
che si sta sognando.

Il legame di questa hija con l’Argentina si manifesta dunque at-


traverso canali “altri”, che non passano necessariamente per il
contatto diretto con il paese. Il linguaggio, ad esempio, è un
elemento verso cui Natalia dimostra una particolare sensibilità.


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

Alcuni studi affermano che proprio attraverso l’apprendimento


della lingua, la seconda generazione dell’esilio definisce un pro-
cesso di differenziazione rispetto al genitore. La lingua del pae-
se d’accoglienza s’identifica di fatto con lo strumento della so-
cializzazione, e, per questo motivo, quella d’origine viene rele-
gata a un ruolo marginale. Nel caso di H.I.J.O.S. Madrid, inve-
ce, la ripresa di modi di dire, dell’intonazione, della pronuncia
dello spagnolo parlato in Argentina rappresentano una sorta di
percorso ideale di riappropriazione di “argentinità”, che viene
generato, per molti figli dell’esilio, a partire dall’entrata nell’as-
sociazione. Nel racconto di come si sono evoluti i legami con gli
altri membri del gruppo, Natalia racconta, non senza tradire una
certa emozione:

Sono arrivati i primi compagni… e ce n’erano alcuni che… avevano


mantenuto un contatto più diretto con l’Argentina, mentre altri… per
loro… era come una riscoperta! […] Per alcuni il contatto era diretto…
mentre altri non avevano niente a che vedere, ovvero, i loro genitori an-
davano in Argentina, ma loro non si erano mai sentiti tali, e dunque…
recuperavano la loro argentinità! Magari i loro genitori non gli aveva-
no parlato molto dell’Argentina… o non nel quotidiano, e… è succes-
sa una cosa molto divertente, lo racconto sempre… non so bene co-
me… [sorride] viene vista dai ragazzi, immagino un po’ come la vedo
io, ma… ce n’erano molti che… per noi il contatto con l’Argentina im-
plicava che parlassimo argentino in casa! E poi, con gli spagnoli… par-
lavamo spagnolo.

La grammatica di base tra lo spagnolo europeo e quello che si par-


la in America rimane fondamentalmente la stessa, ma c’è tutta una
serie di “modismi”, di espressioni sintattiche e verbali, nonché, na-
turalmente, fonetiche, che marcano la differenza rispetto alla lin-
gua parlata in Argentina:

L’unica cosa che cambiava… [era] l’accento e alcuni… codici, qualche


parola. Non molto di più, ma in questo… non ho merito! [arrossisce]
Però vedi… non succede poi così tanto spesso, no? Vale a dire, che si
parli con alcune persone in un modo, e con altre no… invece per noi


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. S PA Z I

era naturale, per me e i miei fratelli era naturale, perché a casa avevamo
sempre parlato così, e con i nostri amici spagnoli… avevamo sempre
parlato in spagnolo. [lo comunica con forte accento madrileno]. Forse
anche perché erano i primi anni… all’inizio dell’esilio stavamo tutto il
tempo con altri argentini! Per questo… non si parlava solo in casa ma…
si faceva tutto con gli argentini. Per la militanza, per tutte le campagne
in corso, e per i compagni che… erano lì presenti. Ci sono stati quindi
molti figli di compagni, beh, in realtà non molti, non siamo mai stati
molti [sorride].

E prosegue:

Saremmo stati circa dieci, o quindici, a seconda del momento. Vedi,


per esempio c’erano alcuni che avevano sempre parlato spagnolo e
d’un tratto iniziavano a parlare argentino! [ride, con orgoglio] È qual-
cosa di molto… sintomatico, insomma, ti dà l’idea di quanto fosse spe-
ciale, per ognuno… per noi! Era un po’ come… recuperare un’iden-
tità propria, un luogo, sentirci parte di una storia che, fino a quel mo-
mento (ne parlavo proprio l’altra volta con i compagni di H.I.J.O.S. ar-
gentini) era come se… avessimo vissuto di più la storia dei nostri ge-
nitori, sì… la sentivamo, ora, come nostra! Immagino che anche
H.I.J.O.S. a sua volta ci facesse sentire un ruolo, ci facesse sentire che…
anche noi eravamo parte di questa storia. Comunque questa storia del-
l’accento era molto divertente, era come se uno spagnolo si fosse mes-
so a parlare argentino! Certo, alcuni erano già cresciuti con le espres-
sioni e il tono dei genitori ma… con questa faccenda dell’accento si so-
no creati momenti divertenti.

Sulla base delle testimonianze orali è possibile formulare inoltre al-


cune sintetiche considerazioni finali sui rapporti tra i componenti
di H.I.J.O.S. nella “vecchia Europa” e i loro compagni oltreoceano.
Un certo margine di ambivalenza, secondo la percezione di diversi
testimoni, caratterizza i rapporti tra i figli argentini dislocati ai due
lati dell’Atlantico. Alle rivendicazioni e obiettivi comuni – memo-
ria e giustizia per i crimini della dittatura – s’intrecciano e si so-
vrappongono memorie divise, difformi, certo non meno di quanto
non si sia già osservato all’interno del gruppo in Argentina.


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La dimensione dell’estraneità, della distanza, si riflette da una


parte a livello individuale, nel complesso delle dinamiche di acco-
glienza dei membri europei nei loro primi contatti con la sede di
Buenos Aires. Si tratta di distanze fisiche, ma anche emotive, che
gradualmente si vanno riducendo. Ricorda Susana a proposito del-
le sue prime riunioni in visita a Buenos Aires:

Era tutto… così strano! A me, ad esempio, mi chiamavano “la francese”


quando andavo alle commissioni di lavoro, e io… mi dava un fastidio,
hmmmm! [fa un segno di indignazione con la bocca] Gli dicevo di no,
che non ero francese, che ero argentina e che con questo paese schifoso
io non avevo nulla a che vedere…
Però quando sono stata dagli H.I.J.O.S. nel ’, e qualcuno mi ha det-
to «ah, è arrivata la francese!», mi ha fatto veramente un piacere enorme
il fatto che non sono stata io a dire «no, non sono francese!», ma un com-
pagno che ha detto «ma dai, non la salutare così!» era come se… non do-
vevo più essere io, ad affrontarli, erano gli stessi figli adesso che… erano
parte della stessa storia, non mi rifiutavano più.

È evidente, tuttavia, come questo problema vada inserito in una


prospettiva complessiva fatta di molteplici tensioni e nodi irrisolti
all’interno della percezione degli esiliati nell’immaginario colletti-
vo argentino: una questione delicata, a volte spinosa, forse priva di
soluzioni nel breve periodo. Come si è visto per i desaparecidos, an-
che l’oggettivazione di questa categoria sociale di vittime implica
dinamiche complesse, a volte contraddittorie. Basti pensare al fat-
to che la sua definizione non segue criteri omogenei nemmeno al-
l’interno degli stessi protagonisti dell’esilio.
La testimonianza di Natalia è in questo senso significativa: seb-
bene senta di appartenere del tutto a questo insieme di attori socia-
li, li considera al tempo stesso oggetto di violenza relativa, di fronte
ai “trentamila”. E alla domanda se non ritenga prioritario per la so-
cietà civile argentina riscattare una memoria dell’esilio, risponde:

Sì, ma non credo che questo sia compito esclusivo di H.I.J.O.S., no? Piut-
tosto, per la società argentina nel suo complesso esiste un… sentimento,
che la dittatura sia stata… l’esilio, ma che, evidentemente l’assenza più


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. S PA Z I

terribile rimane quella dei trentamila! Per questo la lotta è sempre stata
molto più centrata su questo e… per certi versi è completamente logico,
no? E deve essere così, perché gli esiliati, sì, certo, hanno vissuto delle sto-
rie tremende, di lacerazioni e… tutto ciò che vogliamo, ma… per fortu-
na sono ancora qui, no? E dunque… non è che sia qualcosa di più lieve,
ma… certo che di fronte all’assenza terribile dei trentamila questo è un
tema… secondario!

Inevitabilmente, sembrano manifestarsi gerarchie di rilevanze, e


non solo tra los que se fueron y los que se quedaron, “quelli che so-
no rimasti e quelli che se ne sono andati”, per riprendere Mario
Benedetti. Piena di senso è a questo proposito la narrazione di
Susana, in cui emergono criteri distintivi a seconda delle diverse ti-
pologie di esiliati:

Rimangono molti dubbi sull’esilio. Ci sono vari tipi di esilio, c’è quello
che se l’è data a gambe levate, quello che ha preso l’aereo il primo gior-
no dopo il golpe e ha mandato tutto all’aria… c’è invece quello che…
si è vissuto il golpe dall’interno, che era clandestino, nascostissimo, e
che alla fine ne è uscito… ci sono molti tipi di esilio. Ci sono persone
che se ne sono andate prima del golpe, e quindi su questi rimani con
molti dubbi. […]
Il tema dell’esilio è molto complicato, certo non si risolve così
[schiocca le dita] come del resto nessuno di questi argomenti… ma…
non so, la persona che è stata torturata, la persona che è stata prigionie-
ra del campo di detenzione, la loro storia si può spiegare, si conosce, è
qualcosa che la società argentina ha elaborato molto!
L’esiliato no, anche perché l’esiliato… per esempio, per molti anni
gli esiliati che se ne sono andati via di corsa sono stati visti come… co-
me la persona che se ne va quando… quando tutto è ancora in gioco. Per
esempio, i miei genitori. Loro… avrebbero potuto lasciare il paese. Ma
non se ne sono andati. Non se ne sono andati perché… ritenevano che
il loro posto fosse lì, che dovevano continuare a lottare… per di più, lo-
ro scompaiono molto presto. Nel ’ non era ancora tutto perduto. In-
vece, per esempio, la gente che scompare nel ’… che si mette in gio-
co, che rimane, che se ne va alla fine di quella che è la sua militanza…
ebbene, a queste persone non puoi attribuire lo stesso profilo di quello
che se ne va, arriva il golpe e se ne scappa! Anche a livello della militan-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

za, su tutti questi livelli… perché una persona che… ha rischiato la vita,
e l’ha rischiata fino all’ultimo, è come se… non bisogna fare una gerar-
chia, ma… è molto difficile sapere quali sono gli spazi che possono oc-
cupare alcuni, e quali altri.

Al momento attuale, la memoria dell’esilio costituisce “un’altra


grande assente” nel dibattito sulla violenza di Stato, e secondo di-
versi studiosi, riveste oggi un ruolo di “memoria silenziosa”, scis-
sa da una riflessione più complessiva sul senso della partecipazio-
ne politica in Argentina durante gli anni Settanta.
Sarebbe importante, magari in altra sede e con maggiori possi-
bilità di approfondimento, individuare fino a che punto questa se-
parazione – le cui ripercussioni sono evidenti anche nel processo
di definizione dell’esilio come categoria storiografica – non venga
prodotta anche dagli stessi protagonisti di questa vicenda. Per ora,
ci si è limitati a riportare solo alcune voci dei figli dell’esilio, che
rientrano anch’esse nel coro di H.I.J.O.S., e contribuiscono ad au-
mentarne la complessità.

Note

. Per maggiori dettagli sul profilo di questo personaggio, così come di tutti i
principali militari argentini incriminati, di utile consultazione è il website: www.de-
saparecidos.org/arg/tort.
. Da Silva Catela, No habrá flores en la tumba del pasado, cit., p. .
. In “H.I.J.O.S.”, , , p. .
. Arditti, Searching for Life, cit., p. .
. Per una ricostruzione della dinamica degli escraches, cfr. Kaiser, Outing Tor-
ture in Post Dictatorship Argentina, cit., pp. -.
. Da Silva Catela, No habrá flores en la tumba del pasado, cit., pp. -.
. Dallo spagnolo: “esporsi”.
. Intervista con Natalia L., Parigi,  ottobre , archivio personale.
. L’opera postuma di Halbwachs La memoria collettiva dedica una parte con-
sistente alle modalità con cui le pratiche dei gruppi sociali si traducono in termini
spaziali, e al senso che il gruppo conferisce agli spazi. L’autore riflette inoltre sul-
l’aderenza del gruppo al proprio luogo, sui gruppi apparentemente privi di basi
spaziali, sullo spazio giuridico dei diritti, sullo spazio religioso, e conclude infine
con alcune sintetiche considerazioni che sembrano aderire particolarmente al caso
dei figli argentini: «Riassumendo tutto ciò che precede, possiamo dire che la mag-
gior parte dei gruppi, non solo quelli che risultano dalla vicinanza permanente dei


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. S PA Z I

loro membri, dentro una città, una casa o un appartamento, ma anche molti altri,
in qualche modo disegnano sul terreno la propria forma, e ritrovano i propri ri-
cordi collettivi nel quadro spaziale così definito» (Halbwachs, La memoria collet-
tiva, cit., p. ).
. Intervista con Estela Carlotto, Roma,  novembre , archivio perso-
nale.
. Irruzioni armate da parte di gruppi paramilitari in borghese sono avvenu-
te anche presso la sede di H.I.J.O.S. di Città del Guatemala, come è documentato
presso l’archivio del programma Human Rights Defenders del Segretariato Inter-
nazionale di Amnesty International a Londra. Cfr. Amnesty International, Inter-
national Secretariat, Campaign Program (CP), Human Rights Defenders Team, Ac-
tion File H.I.J.O.S. Children for Identity and Justice against Forgetting and Silence,
AI Internal, December , AF /; Amnistía Internacional, Guatemala H.I.J.O.S.
Justicia para la nueva generación, octubre , Indice AI: AMR ///s.
. Cfr. www.nodo.org/hijos.
. Intervista con Estela Carlotto, cit.
. Nell’ambito della produzione scritta sulla progettazione e l’allestimento di
monumenti alla memoria della Shoah, si segnala E. J. Young, The Texture of Me-
mory. Holocaust Memorials and Meaning, Yale University Press, New Haven .
. Lo storico francese Pierre Nora, tra i protagonisti del dibattito storiogra-
fico contemporaneo, dedica una monumentale opera ai “luoghi della memoria”,
intesi come matrice profonda di significati, in grado di forgiare l’identità naziona-
le francese. I Lieux de mémoire (-), opera in più volumi curata con la colla-
borazione di  storici, ripercorre la storia delle commemorazioni in Francia at-
traverso rappresentazioni immaginarie. Attraverso le sezioni in cui è articolato
questo studio, Nora riflette su come, in epoca contemporanea, i luoghi della me-
moria non vengano più visitati come nel XIX secolo, l’epoca per antonomasia de-
dita alle commemorazioni. Nel XX secolo, al contrario, i luoghi della memoria
scompaiono e la storia si vede dunque costretta ad abbandonare il suo ruolo di me-
diatrice privilegiata tra passato e futuro. La storia, quindi, viene intesa come mo-
derna arte della memoria, laddove i luoghi rappresentano veri e proprio esempi di
“archeologia di identità nazionale” francese. Cfr. P. Nora, Les lieux de mémoire,
Gallimard, Paris  (trad. ingl. Realms of Memory. Rethinking the French Past,
I: Conflicts and Divisions, II: Traditions, III: Symbols, Columbia University Press,
New York , , ).
. Sulla scia delle riflessioni avviate dalla scuola storiografica delle “Anna-
les”, Jacques Le Goff dedica parte di un suo noto saggio sulla memoria ai luoghi,
sia fisici che metaforici, suddividendoli idealmente in base al valore e all’uso che
li caratterizzano agli occhi della collettività. Scrive infatti: «I “luoghi” della me-
moria collettiva: luoghi topografici, come gli archivi, le biblioteche e i musei. Luo-
ghi monumentali, come i cimiteri o le architetture. Luoghi simbolici, come le com-
memorazioni, i pellegrinaggi, gli anniversari o gli emblemi. Luoghi funzionali, co-
me i manuali, la autobiografie o le associazioni: questi monumenti hanno la loro
storia. Ma non si dovrebbe dimenticare i veri luoghi della storia, quelli in cui non
cercare l’elaborazione, la produzione, ma i creatori e i dominatori della memoria
collettiva. Stati, ambienti sociali e politici, comunità di esperienze storiche o di ge-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

nerazioni spinte a costituire i loro archivi in funzione dei diversi usi che essi fanno
della memoria» (cfr. Le Goff, Memoria, cit., p. ).
. Si segnala a questo proposito un nuovo volume della collana Memorias de
la represión, a cura di E. Jelin della casa editrice Siglo XXI in preparazione per il
 proprio sul tema dei luoghi della memoria nel Cono Sud latinoamericano po-
stautoritario. Cfr. V. Langland, E. Jelin (comp.), Monumentos, memoriales y marcas
territoriales, Siglo XXI, Madrid -.
. Cfr. le riflessioni presenti in La tragedia e la memoria. Berlino ricorda l’O-
locausto, in “la Repubblica”,  settembre .
. Di Cori, La memoria pubblica del terrorismo, cit., pp.  ss.
. Cfr. Vecchioli, Políticas de la memoria y formas de clasificación social, cit.
. Per maggiori informazioni sul percorso di presentazione e selezione dei 
progetti per il monumento alla memoria delle vittime della dittatura, una fonte det-
tagliata è il catalogo del concorso, sponsorizzato dal Gobierno de la Ciudad de Bue-
nos Aires, la Legislatura de la Ciudad Autónoma de Buenos Aires, la Universidad
de Buenos Aires e la Comisión Monumento a las Víctimas del Terrorismo de Esta-
do. Cfr. Comisión Monumento a las Víctimas del Terrorismo de Estado, Escultura
y memoria.  proyectos presentados al concurso en homenaje a los detenidos desa-
parecidos y asesinados por el terrorismo de Estado en la Argentina, Editorial Uni-
versitaria de Buenos Aires, .
. Il muro del pianto d’America. I nomi di tutte le vittime in un monumento al-
la memoria, in “la Repubblica”,  settembre .
. La paura di parlarne troppo, in “la Repubblica”,  settembre .
. Cfr. H.I.J.O.S., Cuentos para soñar trotamundos. Concurso de literatura in-
fantil y juvenil, Colihue, Buenos Aires .
. Gallerano, L’uso pubblico della storia, cit., p. .
. Per alcune valutazioni complessive sull’attività nelle scuole, cfr. “H.I.J.O.S.”,
I, , luglio , p.  e I.M.P.R.O.L.H.I.J.O.S., Internalización de material periodístico re-
lacionado o ligado a Hijos por la identidad y la justicia, contra el olvido y el silencio,
Santa Fe, , junio . Per riflessioni di carattere metodologico sull’insegnamento
della storia argentina degli ultimi trent’anni nelle scuole, cfr. invece I. Dussel, S. Fi-
nocchio, S. Gojman (comp.), Haciendo memoria en el país de Nunca Más, EUDEBA,
Buenos Aires .
. È questa una formula usata da Wieviorka sul valore della comparsa del te-
stimone per la ricostruzione della storia della Shoah dopo il processo Eichmann:
«Al centro di questa nuova identità, al sopravvissuto viene attribuita una nuova
funzione: il testimone è portatore di storia. In tal modo, l’avvento del testimone tra-
sforma profondamente le condizioni stesse della scrittura della storia del genoci-
dio. Con il processo Eichmann e l’emergere del testimone, uomo-memoria che at-
testa che il passato è stato ed è sempre presente, il genocidio diventa un succeder-
si di esperienze individuali con cui il pubblico è supposto identificarsi. […] Alla
volontà di intervenire nella storia, si contrappone l’idea di costruire una memoria
ricca di lezioni per il presente e per il futuro» (cfr. Wieviorka, L’era del testimone,
cit., pp. -).
. Ivi, p. .
. Ivi, pp. -.


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. S PA Z I

. Ivi, pp. -.


. Cfr. l’appendice relativa alle fonti audiovisive e cinematografiche.
. Pezzino, Memorie divise e riconciliazione nazionale, cit., p. .
. O’Hagan, Sudafrica, cit., p. .
. Senza la minima pretesa di esaustività rispetto alla vasta memorialistica,
saggistica e narrativa prodotta sul tema, si intende segnalare alcuni testi di riferi-
mento: A. Graham Yool, A Matter of Fear. Portrait of an Argentinian Exile, Junc-
tion Books, London , in seguito arricchito e ampliato nella versione spagnola
Memoria del miedo. Retrato de un exilio, Editorial de Belgrano, Buenos Aires ;
D. Parcero, M. Helfgot, D. Dulce, La Argentina exiliada, Centro Editor de Amé-
rica latina, Buenos Aires ; J. Blanco Amor, Exiliados de memoria, Tres Tiem-
pos, Buenos Aires ; C. Brocato, El exilio es el nuestro. Los mitos y los heroes
argentinos. ¿Una sociedad que no se sincera?, Sudamericana/Planeta, Buenos Aires
. Per quanto concerne l’esilio uruguaiano, un testo iniziale di riferimento può
essere S. Sosnowski, L. Popkin (eds.), Repression, Exile and Democracy. Uru-
guayan Culture, Duke University Press, Durham .
. Keck, Sikkink, Activists beyond Borders, cit., p. .
. Http://www.angelfire.com/az/hijossuecia/index.html.
. Cfr. www.derechos.org/nizkor.
. Cfr. G. Mira, El exilio argentino en España y la crisis actual de Argentina.
Resignificaciones del pasado, identidades y memorias en transición, intervento pre-
sentato al Tercer congreso de latinoamericanistas – CEISAL. Cruzando fronteras en
América Latina, Amsterdam, luglio .
. Cfr. M. Oliveira-Cézar, El exilio argentino en Francia, in “Les cahiers
ALHIM”, , , pp. -.
. È possibile, a ogni modo, riflettere a grandi linee su questo ordine di ci-
fre: tra il  e il  si registrano  richieste di asilo politico (delle quali  ac-
colte), di cui circa cento hanno recuperato la nazionalità francese. Una stima ap-
prossimativa comprenderebbe dunque - persone adulte, la metà delle
quali residenti a Parigi e dintorni (ivi, pp.  ss.).
. Ci si riferisce in particolare alla Association Solidarité Paysans d’Amerique
Latine (ASPAL), con membri provenienti dalle cooperative agricole francesi; al Tra-
bajadores y Sindicalistas Argentinos en el Exilio (TYSAE), sindacato di lavoratori di
base con aspirazione internazionalista, che integra vari esponenti della sinistra; al
Círculo Argentino para el Socialismo (CAS). Inoltre, a partire dal , si crea in
Francia la SOLMA, filiale delle Madres a Parigi. Mentre nel novembre del  la
Asociación Internacional en Defensa de los Artistas (AIDA) organizza una grande
marcia di solidarietà nel Quartiere latino, capeggiata da Cortázar e Jospin (ibid.).
. Lo studio più completo, al momento attuale, sull’esilio argentino in Spa-
gna, con una specifica attenzione alla regione della Catalogna, è S. Jensen, La hui-
da del horror no fue olvido. El exilio político argentino en Cataluña, -, M. J.
Bosch – Comisión de Solidaridad con Familiares de Desaparecidos en Argentina,
Barcelona . Tra i possibili testi di riferimento per approfondire invece il pro-
cesso migratorio inverso – dalla Spagna all’Argentina – in particolare durante la
guerra civile del - si segnala D. Schwarzstein, Entre Franco y Perón. Memo-
ria y identidad del exilio republicano español en Argentina, Crítica, Barcelona .


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

. Cfr. Recepción y consecuencias del exilio argentino y uruguayo en la España


de la transición, progetto BHA -, finanziato dal MEC di Madrid.
. Per considerazioni mirate sulle fonti statistiche dell’esilio argentino in
Spagna, cfr. Jensen, La huida del horror no fue olvido, cit., pp. -.
. M. Del Olmo Pintado, La construcción cultural de la identidad, Madrid,
Universidad Complutense, , pp. -, citato in Mira, El exilio argentino en
España y la crísis actual de Argentina, cit.
. Ibid.
. Solo per accennare ad alcune delle molteplici testimonianze, racconti e au-
tobiografie che tentano di esprimere il disagio connaturato alla condizione dell’e-
silio, ricordiamo O. Bayer, Todo es ausencia, in J. Boccanera, Tierra que anda. Los
escritores en el exilio, Ameghino editores, Buenos Aires , pp. -; J. Martini,
Naturaleza del exilio, in “Cuadernos Hispánicos”, -, julio-septiembre ,
pp. -; H. Salas, Duro oficio el exilio, in “Cuadernos Hispánicos”, -, cit.,
pp. -; M. Brodski, The Condition we call Exile, in J. Glad (ed.), Literature in Exi-
le, Duke University Press, Durham , pp. -; W. Glass, The Philosophical Si-
gnificance of Exile, in Glad, Literature in Exile, cit., pp. -; Aa. Vv., Filosofías del
exilio, Edeval, Valparaíso ; J. L. Bernetti, M. Giardinelli, México: el exilio que
hemos vivido. Memoria del exilio argentino en México durante la dictadura, -,
Universidad nacional de Quilmes Editorial, Buenos Aires ; Blanco Amor, Exi-
liados de memoria, cit.; Brocato, El exilio es el nuestro, cit.; Id., La Argentina que
quisieron, Sudamericana/Planeta, Buenos Aires ; A. Graham-Yoll, Memoria del
miedo. Retrato de un exilio, Editorial de Belgrano, Buenos Aires ; El Kadri, Rul-
li, Diálogos en el exilio, cit.; Parcero, Helfgot, Dulce, La Argentina exiliada, cit.; C.
Ulanovsky, Seamos felices mientras estamos aquí. Crónicas de exilio, Editorial Suda-
mericana, Buenos Aires ; P. Yankelevich (comp.), En México, entre exilios. Una
experiencia de sudamericanos, Plaza y Valdés, Ciudad de México .
. G. Mira, ¿Sobrevivir o vivir en Madrid? Exiliados argentinos del ’, inter-
vento presentato al VII congreso internacional y castellano-leonés Antropología ibe-
roamericana. Emigración e integración cultural, Salamanca, febbraio .
. Ibid.
. Ibid.
. El éxodo en cifras, in “El Clarín”,  de febrero .
. Mira, ¿Sobrevivir o vivir en Madrid?, cit.
. Cfr. Intervista con Nicolás M., Milano,  giugno .
. Cfr. C. Chiarma, D. Milano (a cura di), Esperienze e solidarietà interna-
zionali. Esuli argentini sulle Langhe, in Dogliani. Una città rimasta paese. Note e do-
cumenti, storia, politica e cultura locale, PCI Dogliani, X Festa dell’Unità, Stampe-
rie Rodolfo, Carrù, settembre , pp. - e R. Viotto, Naviante. Appunti per una
storia, La Società di Naviante Editore, Naviante , pp.  ss. Diverse riflessioni
sulla situazione psicologica degli esuli argentini in Piemonte in L. Huberman, Al-
cune considerazioni sui processi psicosociali della recente immigrazione argentina in
Italia (Piemonte-Langhe), in V. Blengino, E. Franzina, A. Pepe (a cura di), La Ri-
scoperta delle Americhe. Lavoratori e sindacato nell’emigrazione italiana in Ameri-
ca Latina -. Atti del convegno storico internazionale promosso dalla Camera
del Lavoro territoriale/CGIL di Brescia, Brescia novembre , pp. -.


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. S PA Z I

. Intervista con Julio Santucho, Milano,  giugno .


. Il Messico rappresenta per il continente latinoamericano un paese di im-
portanza cruciale per l’esilio politico. Per analisi e racconti biografici di esperien-
ze e vissuti in questo paese, cfr. E. Sandoval Forero, Migración y identidad. Expe-
riencias del exilio, Facultad de Ciencias políticas y Administración pública, Uni-
versidad autónoma del Estado de México, Toluca ; Ulanovsky, Seamos felices
mientras estamos aquí, cit.; Yankelevich, En México, entre exilios, cit.; Bernetti,
Giardinelli, México: el exilio que hemos vivido, cit.
. M. L. Luján Leiva, Jóvenes latinoamericanos en Suecia. Memoria e identi-
dad, in “Histoires et mémoires des migrations en Amérique latine. Travaux et do-
cuments ”, , Université Paris , Vincennes-Saint Denis , pp. -.
. Importante ricordare innanzitutto A. Vásquez, A. M. Araujo, El exilio here-
dado. Los niños y los adolescentes, in La maldición de Ulises. Repercusiones psicológi-
cas del exilio, Editorial Sudamericana, Santiago de Chile , pp. -. È uno stu-
dio di due psicologhe, una cilena l’altra uruguaiana, esiliate a Parigi, condotto sulla
base di circa venti bambini e adolescenti, seguiti nel corso di oltre dieci anni, e com-
parato con progetti di ricerca e assistenza simili in altri paesi europei. In termini mol-
to sintetici, emergono da questa ricerca le dinamiche secondo cui i bambini assumo-
no il ruolo involontario di “cassa di risonanza” dell’angoscia dei loro genitori. Que-
sti costituiscono talvolta un esempio di “memorie traumatiche”. Solo per citare una
delle situazioni più ricorrenti, si trovano a vivere periodi in cui nascondono il proprio
nome, la propria identità e l’attività dei propri genitori per garantire la sopravviven-
za fisica. La dimensione della mistificazione identitaria, pertanto, che in alcuni casi
viene prolungata anche per degli anni, produce evidentemente diversi effetti anche
in età adulta. Ancor più significative sono le fasi di clandestinità, in cui i riferimenti
spazio-temporali devono essere necessariamente modificati, impedendo perciò al
bambino tutta la ritualità e la reiterazione, così importante nei primi anni di vita. Per
citare alcuni tra gli studi più noti di psicologia sociale sull’esilio, ricordiamo: L. Grin-
berg, R. Grinberg, Psicoanálisis de la migración y del exilio, Alianza Editorial, Madrid
 e Aa. Vv., Jornada internacional. Consecuencias psicosociales de las migraciones y
el exilio, Universidad Autónoma Metropolitana, Ciudad de México .
. Intervista con Julián C., cit.
. Intervista con Susana S., cit.
. Ibid.
. Ibid.
. Ibid.
. Ibid.
. Cfr. Vásquez, Araujo, El exilio heredado, cit., pp.  ss.
. Intervista con Susana S., cit.
. Alcuni spunti di riflessione sulla questione del reinserimento degli esilia-
ti nei paesi di origine del Cono Sud in: L. Marmora, J. Guerrieri, Return to Río de
la Plata. Response to the Return of Exiles to Argentina and Uruguay, Hemispheric
Migration Project, Center for Immigration Policy and Refugee Assistance, Geor-
getown University, Washigton DC .
. Un lavoro di tesi di laurea molto denso sul tema dei figli degli esiliati ar-
gentini a Roma, elaborato anche sulla base delle riflessioni emerse nel corso del la-


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

boratorio metodologico I diritti umani in America Latina tra storia e memoria, pres-
so la cattedra di Storia dell’America Latina dell’Università Roma Tre, è quello di F.
Martellini, Argentini di Roma. Memorie da altrove, luglio : «Il tentativo è quel-
lo di analizzare il modo in cui si costruiscono e vengono elaborate le memorie dei
figli di una generazione che ha condiviso molto, in termini di esperienze, di emo-
zioni, di destini; come queste memorie si strutturano e prendono vita, diversamen-
te, attraverso luoghi diversi; come si costruisce il mito dell’Argentina in chi è cre-
sciuto qui, quali sono i riti dell’identità, qual è il ruolo della lingua. L’idea origina-
ria è dunque quella di cercare di ricostruire un percorso della memoria attraverso
due generazioni e due luoghi diversi: i genitori e i figli, l’Argentina e Roma».
. Ibid.
. Ibid.
. Ibid.
. Intervista con Julián C., cit.
. Cfr. G. Di Febo, Memorialistica dell’esilio e protagonismo femminile degli
anni Trenta, in G. Di Febo, C. Natoli, Spagna anni Trenta. Società, cultura, istitu-
zioni, Franco Angeli, Milano ; G. Di Febo, Un espacio de la memoria. El paso
de la frontera francesa de los exiliados españoles. La despedida del presidente Azaña,
in Literatura y cultura del exilio español de  en Francia, AEMIC-GEXEL, Barcelo-
na ; A. Soriano, Exodos. Historia oral del exilio republicano en Francia, -
, Crítica, Barcelona .
. Cfr. Wachtel, Valensi, Memorie ebraiche, cit., p. IX; A. Memmi, La Terre
intérieure, Gallimard, Paris .
. Testimonianza di Matilde K., cit.
. Termine che indica cittadini italiani o discendenti di italiani che risiedono
in Argentina.
. Bevanda tipica latinoamericana, derivante dalla fermentazione del mais.
. Intervista con Julián C., cit.
. Intervista con Lucía F., cit.
. Intervista con Natalia S., cit.
. Ibid.
. M. Torres, Amor America. Un viaggio sentimentale in America Latina, Fel-
trinelli, Milano , p. .
. Vásquez, Araujo, El exilio heredado, cit., pp.  ss.
. Intervista con Natalia S., cit.
. Ibid.
. Ibid.
. Intervista con Susana S., cit.
. Intervista con Natalia S., cit.
. Cfr., ad esempio, le riflessioni su los de adentro y los de afuera, “quelli che
son rimasti e quelli che sono andati”, in M. Benedetti, Cultura entre dos fuegos, Uni-
versidad de la República – División publicaciones y ediciones, Montevideo ,
pp. -. Si tratta di considerazioni che, sebbene attinenti soprattutto alla situa-
zione degli artisti, gli intellettuali e gli scienziati espulsi dall’Uruguay, valgono co-
me metafora delle fratture, delle lacerazioni, delle incomprensioni prodotte dal
processo dell’esilio latinoamericano.


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. S PA Z I

. Intervista con Susana S., cit.


. Cfr. Franco, El exilio argentino entre la memoria y la historia, cit., pp. -;
Jensen, La huida del horror no fue olvido, cit., pp. -; Id., Nadie habrá visto esas
imágenes, pero existen, cit., pp. -.


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Conclusioni

A oltre vent’anni dalla fine dell’ultima dittatura militare (-),


l’Argentina costituisce oggi un caso esemplare dello stretto rap-
porto esistente tra le politiche della memoria e la tutela dei diritti
umani, tra ricordo e giustizia, tra coscienza del passato e costru-
zione di un nuovo senso della cittadinanza. Come anche presso al-
tri contesti coinvolti in processi di ricomposizione di identità in-
frante o atomizzate nel periodo dell’autoritarismo – tanto a livello
nazionale quanto individuale –, è oggi in corso un intenso dibatti-
to sulla memoria della repressione e i retaggi della violenza, i cui
riflessi sono evidenti nella produzione accademica latinoamerica-
na dalla metà degli anni Ottanta del Novecento.
La scelta di questo paese è derivata essenzialmente dal deside-
rio di analizzare una singolare esperienza di elaborazione del lutto
collettivo attraverso diversi gruppi di familiari delle vittime della
dittatura: un vero e proprio “laboratorio intergenerazionale di me-
moria”, che vede nonne, madri e figli degli scomparsi attivi e con-
sapevoli custodi del ricordo. La categoria analitica della memoria,
costantemente oscillante tra la dimensione pubblica e quella pri-
vata, viene in questa ricerca “incarnata” dai ricordi, i racconti, le
percezioni individuali e le rappresentazioni collettive dell’associa-
zione H.I.J.O.S., testimoni indiretti della storia recente ed esempio
di socializzazione di memorie dei singoli.
Le loro narrazioni hanno stimolato una riflessione su diversi
nodi problematici, inerenti, in termini più complessivi, alle moda-
lità con cui le società civili si relazionano al proprio passato nel
processo di transizione da un regime militare autoritario a uno de-
mocratico. La dimensione “privata” della memoria, da un lato, e
quella “pubblica”, dall’altro, costituiscono i due piani di analisi,


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

costantemente intrecciati tra di loro, su cui si è articolato il per-


corso di ricerca.
Parte del senso dell’appartenenza all’associazione H.I.J.O.S.
può essere ritrovato, infatti, nel tentativo di ricomporre un’iden-
tità personale, per anni confusa o nascosta, percorso non scisso, al-
lo stesso tempo, da una tensione verso la ricostruzione di un’iden-
tità collettiva, che veda i desaparecidos idealmente inclusi nella sfe-
ra della cittadinanza. Il ricordo dei genitori scomparsi rientra allo-
ra in un’operazione complessiva di restituzione di senso a un’inte-
ra generazione di cittadini mancanti, i “trentamila”.
Questa ricerca sui figli si è rivelata di fatto un utile pretesto per
ragionare su diversi ordini di problemi. A un primo livello, si è ve-
rificato come l’analisi del vissuto personale e soggettivo possa for-
nire efficaci elementi di comprensione di dinamiche di tipo politi-
co-istituzionale. I percorsi, i ricordi, le percezioni individuali del-
le diverse generazioni s’intrecciano continuamente a questo com-
plesso capitolo della storia argentina, permettendo di arricchire e
sfumare la descrizione di eventi e processi collettivi. Come sostie-
ne Luisa Passerini nella Postfazione alla traduzione italiana del vo-
lume di Maurice Halbwachs La memoria collettiva:

Se per comprendere il movimento storico si valutano essenziali i muta-


menti della soggettività, l’individuo assume un ruolo molto più determi-
nante che se si tengono presenti solo i fenomeni di ordine politico ed eco-
nomico. Ma anche in tal caso un’operazione così radicale […] sarebbe ac-
cettabile solamente su un piano metastorico, e forse anche metapsicologi-
co. Per la storia è vero quanto scrive Halbwachs all’inizio di questo libro,
che «non siamo mai soli», che «ciascuno di noi porta sempre con sé e den-
tro di sé una quantità di persone distinte». In altri termini, lo storico non
può indagare il ruolo dell’individuo nella storia senza tener conto in qual-
che modo delle aggregazioni sociali, anche sul piano della soggettività.

Un altro spunto di riflessione è derivato dall’“uso pubblico della


storia” che l’associazione compie nelle sue modalità di riscatto del
recente passato nazionale, tematica al confine tra la ricerca storica
e la costruzione dell’opinione pubblica.


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CONCLUSIONI

Pensando in termini di “uso pubblico”, allora, l’azione di


H.I.J.O.S. può richiamare la nostra attenzione su quello che, in ter-
mini più complessivi, può essere l’uso, l’abuso, le eventuali mani-
polazioni della storia recente nella cultura diffusa, all’interno dello
specifico percorso nazionale argentino. Attività come quelle degli
homenajes, giornate del ricordo e della ricostruzione del passato,
inoltre, suggeriscono potenzialmente nuove prospettive con cui in-
dagare la complessità e la varietà di soluzioni adottate nel coniuga-
re, in termini più generali, il piano della storia con quello della me-
moria. Un rapporto fatto di prestiti, scambi, conflitti, contraddi-
zioni non sanate. Particolare attenzione, pertanto, è stata data al
tentativo di riscattare questo intreccio costante tra i due piani, piut-
tosto che cercare di delimitarne i confini. Un problema, questo, che
costituisce di per sé un nodo ampiamente dibattuto all’interno de-
gli storici di professione. Sostiene Patrick Hutton in History as an
Art of Memory, analisi diacronica del rapporto tra storia e memoria
nell’ambito delle tendenze storiografiche contemporanee, a propo-
sito dell’operazione concettuale compiuta da Philippe Ariès:

Per gli storici delle politiche delle commemorazioni, la storia inizia do-
ve finisce la memoria. Ma per Ariès, il compito principale non è distin-
guere la storia dalla memoria, quanto riconoscere gli scambi che si ven-
gono a creare. […] È il confine tra il noto e l’ignoto, o più precisamen-
te il passato che gli storici hanno studiato e interpretato e quello che an-
cora aspetta la loro attenzione. La storia dunque, secondo Ariès, è qual-
cosa di più del semplice aggregato di immagini attraverso le quali gli sto-
rici hanno scelto di rappresentare il passato. Il suo approccio riconfer-
ma la realtà di cosa c’è dietro alla visione dello storico. […] Per Ariès la
storia è un’arte della memoria perché è situata al crocevia tra tradizione
e storiografia. Tale approccio attribuisce nuovamente il ruolo di media-
zione della ricerca storica. Recupera dall’oblio il passato dimenticato.
Sottolinea il significato della tradizione, che porta nel presente il passa-
to non esaminato. […] Le osservazioni di Ariès ci riportano a riconsi-
derare i molteplici aspetti attraverso i quali esaminare la memoria, che
abbiamo messo in evidenza nel corso di questo studio. Memoria e im-
maginazione; costumi e immagini; ripetizione e ricordo; memoria indi-
viduale e collettiva; tradizione e storia.


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La continua tensione tra la ricostruzione e l’imitazione, la critica


e la nostalgia della generazione dei padri sono elementi ricorren-
ti, e segnano un percorso complesso che è costellato da profonde,
forse insolubili ambiguità che il movimento dei figli argentini si
trova a vivere non solo quando rivendica memoria, ma anche
quando ripercorre la storia. Il loro rapporto col passato viene in-
fatti continuamente mediato dalle memorie individuali, matrici di
significati e interpretazioni mai statiche, ma in costante evoluzio-
ne, in cui il legame affettivo con la generazione precedente gioca
un ruolo determinante.
È stato inoltre sottolineato il costante contrappunto tra me-
moria comunitaria e ricordi individuali, che differiscono forte-
mente tra i diversi rappresentanti, anche a seconda delle diverse
eredità di cui essi, più o meno consapevolmente, si fanno portato-
ri. In base a questa evidenza dei fatti, dunque, si suggerisce un per-
corso interpretativo che prescinde dalla ricerca di una memoria
idealmente costruita su basi di uniformità, ma che invece prende
atto di una “pluridiscorsività”, di un costante oscillare tra memo-
rie divise e condivise e di una molteplicità di voci.
Dal punto di vista metodologico, un nodo di grande comples-
sità, affrontato nel processo di raccolta e decodificazione delle fon-
ti – parte rilevante dell’analisi di eventi e processi “caldi” come la
memoria della dittatura argentina – è stato gestire un livello di ten-
sione inevitabile tra il grado di distanza e la necessaria sospensio-
ne del giudizio nell’analisi delle testimonianze orali.
Testimonianze così definite dal punto di vista politico ed etico,
e scaturite da un contesto in cui il “confine tra il bene e il male” sem-
bra essere apparentemente chiaro, non facilitano quel distacco che
chi si occupa di ricerca storica si presume debba avere nei confronti
del proprio oggetto di studio, al fine di produrre un’analisi rigoro-
sa e aderente a criteri di scientificità. È quanto afferma Wieviorka
nel suo saggio sulla figura del testimone della Shoah, la “metonimia
del male assoluto”, il paradigma di memoria scottante a cui qual-
siasi analisi critica di eventi traumatici ha dovuto necessariamente
riferirsi a partire dalla seconda metà del XX secolo:


La memoria ostinata 5 4-01-2006 17:35 Pagina 193

CONCLUSIONI

[…] Per quanto riguarda la testimonianza della Shoah, egli [lo storico] si
trova, come avviene anche per altri campi “scottanti” della storia più re-
cente, in una situazione che ci sembra inedita. Lo storico non vive sulle
nuvole, ma è immerso nella stessa atmosfera degli altri, si nutre degli stes-
si giornali, delle stesse trasmissioni televisive, è toccato dalle stesse pole-
miche. Certo, si suppone che egli sia capace di una certa ascesi, di avere
uno spirito critico, di mettere tra parentesi le proprie emozioni, le sue an-
tipatie e le sue simpatie, di valutare le rappresentazioni che nascono da
ciò che scrive, e, nei dibattiti pubblici, di dire il vero e il giusto. Eppure,
egli si trova sempre sotto il fuoco dell’attualità, in cui i problemi si anno-
dano e si mescolano, in cui, a volte, le poste in gioco etiche e scientifiche
si trovano a essere intrappolate in quelle politiche.

Queste riflessioni s’inseriscono in quello che, in termini più gene-


rali, costituisce il rapporto tra “lo storico” e “il testimone”: una ve-
ra e propria tensione morale anima questa complessa relazione.
Scrive ancora Wieviorka:

Malgrado ci si possa interrogare sulla qualità di uno storico che osa ri-
volgersi a un sopravvissuto, non è questo il tratto essenziale: Henry Bu-
lawko pone qui il problema della tensione tra il testimone e lo storico,
una tensione, o meglio, una rivalità, e perché no, una lotta per il pote-
re, che sta al centro degli attuali dibattiti sulla storia del nostro tempo,
ma che ritroviamo anche in altri campi allorché l’espressione individua-
le entra in conflitto con un discorso scientifico. Di fronte alla testimo-
nianza del deportato lo storico si trova di fronte a una posizione im-
possibile. Come ricorda Pierre Laborie, il suo mestiere è quello di “gua-
stafeste della memoria”, poiché deve ricordare che esistono delle linee
di demarcazione, che gli scarti non sono interamente riducibili. Lo scar-
to tra la certezza dell’esperienza vissuta e gli interrogativi critici che de-
rivano da altre fonti sul modo in cui si è svolto il passato; scarto tra le
virtù della commemorazione e il rigore del metodo storico; scarto tra le
amnesie puntuali o gli arrangiamenti del tempo rimodellato e le dure
realtà della cronologia minuziosamente ricostruita; scarto tra la sedu-
cente coerenza del discorso esplicito e la ricerca del non-detto, dell’o-
blio, dei silenzi. […] Eppure, di fronte a una persona viva, lo storico
può essere moralmente “guastafeste delle memorie”? La sofferenza che
emerge dal racconto di un sopravvissuto, talvolta unico depositario di


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un’intera teoria di morti di cui conserva il ricordo, lo contagia. Sebbe-


ne sappia di possedere un sapere e senta che il testimone si allontana
dalla verità, egli è terribilmente impotente. Sa che ogni racconto di vi-
ta è una costruzione, ma sa anche che tale costruzione-ricostruzione è
l’armatura stessa, la colonna vertebrale della vita presente. Si trova dun-
que di fronte a un dilemma quasi impossibile da risolvere poiché esso
deriva dall’opposizione di due morali. Ognuno ha il diritto di costruire
la propria storia, di ricamare i propri ricordi e i propri oblii. Ognuno
ha assoluto diritto alla memoria, la quale non è nient’altro che la pro-
pria identità, il suo stesso essere. Ma tale diritto può entrare in conflit-
to con uno degli imperativi del mestiere dello storico, quello dell’osti-
nata ricerca della verità.

Sulle complesse dinamiche relazionali che si possono stabilire tra


ricerca storica e testimonianza orale, sugli stati di empatia, disagio,
distacco, è necessario, un’ultima volta, citare questa autrice:

Il testimone si rivolge al cuore, e non alla ragione. Suscita compassione,


pietà, indignazione, e talvolta persino un senso di rivolta. Il testimone sti-
pula “un patto di compassione con colui che l’ascolta”. […] Si esibisce
l’individuo, la sua specifica sofferenza, si pone l’accento sulle manifesta-
zioni delle emozioni e sull’espressione corporea. Così, il nazismo e la
Shoah sono ormai presenti nello spazio pubblico essenzialmente in quan-
to hanno devastato la vita degli individui, di individui che hanno trionfa-
to sulla morte, anche se oggi molti di loro affermano di non essere mai
usciti da Auschwitz.
È una visione che mette a disagio lo storico. Non perché sia insen-
sibile alla sofferenza, perché non venga a sua volta turbato dai raccon-
ti della sofferenza, e affascinato da alcuni di essi. Ma proprio perché
sente che questa giustapposizione di storie non è un racconto storico, e
che anzi, in un certo senso, lo cancella. Come costruire allora un di-
scorso storico coerente se ad esso non si contrappone costantemente
un’altra verità, quella delle memorie individuali? Come fare appello al-
la riflessione, al pensiero, al rigore quando i sentimenti e le emozioni in-
vadono la scena pubblica?

Ultimo ordine di problemi su cui il caso degli H.I.J.O.S. ha portato


a ragionare è la relazione tra politiche del ricordo, pratiche della


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CONCLUSIONI

giustizia e riconciliazione nazionale, tanto sul piano individuale –


quello del perdono individuale – quanto su quello collettivo. Me-
moria, giustizia e riconciliazione rappresentano per gli studiosi tre
poli ideali e intrecciati di riflessione, sui quali una nuova produ-
zione storiografica è tuttora in fase di elaborazione riguardo al con-
testo latinoamericano. Con la fase inaugurata dalla presidenza
Kirchner, i tempi della giustizia in Argentina sembrano decisa-
mente accorciarsi; tuttavia, è probabile che il percorso della ricon-
ciliazione abbia bisogno invece di un periodo di elaborazione mol-
to più lungo, per lo meno fino a che – come è evidente ad esempio
da analisi relative al contesto cileno – i protagonisti di tali vicende
sono ancora in vita. In tali contesti, ancora lontani dal rimargina-
re le ferite interne alla società civile, un processo veloce e lineare è
difficilmente ipotizzabile. Forse perché, proprio come ci ricorda
Alexander Wilde sempre a proposito del Cile,

i familiari delle vittime sono coloro che riportano le ferite più profonde,
ma le vittime di quel periodo così duro sono in realtà molte di più di quel
tragico gruppo di persone. Comprendono infatti le decine di migliaia di
individui ingiustamente arrestati e torturati, relegati all’esilio interno o
terrorizzati dai rastrellamenti nelle periferie realizzati anche durante gli
ultimi anni della dittatura, i centomila esiliati, gli innumerevoli cittadini
che attendevano il bussare alla porta di notte, o che ancora non trovano
il modo di parlare ai propri figli di quegli anni. La questione dei diritti
umani – e la memoria storica del paese – riguarda la nazione intera, e non
solo il complesso delle organizzazioni di sinistra rimaste dai retaggi degli
storici movimenti per i diritti umani. Tutto quello che il Cile ha speri-
mentato durante la dittatura è oggetto di memoria storica. Come il caso
Pinochet e le frequenti “irruzioni” [di memoria] durante questi otto an-
ni hanno dimostrato con grande chiarezza, ciò che è stato riconosciuto
non è stato certo dimenticato.

Come si inserisce in questa complessa trama il potenziale ruolo


della ricerca storica, quali sono i margini di comprensione, di ana-
lisi, in contesti animati da società civili così disarticolate e dilania-
te da conflitti interni? È giusto forse concludere con le riflessioni
di Paolo Pezzino a proposito del contesto italiano in seguito alle


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stragi nazifasciste nelle aree rurali toscane. La lezione più eviden-


te sembra infatti essere un’indicazione di fondo: sottolineare la
molteplicità di voci e, soprattutto, la complessità e i processi –
niente affatto lineari – di costruzione di senso.

Personalmente, più che combattere una battaglia contro o a favore di una


o l’altra interpretazione degli eventi che fondano la memoria divisa di
Guastallo, ho ritenuto indispensabile inserire nella ricostruzione le di-
mensioni raccolte dai protagonisti, operare cioè un’attribuzione di senso
all’evento, di renderlo in un ordine più ampio, in un contesto storico che
lo rendesse intellegibile. […] Ma l’insegnamento della storia non deve
sposare alcuna identità: deve mirare piuttosto a evidenziare la pluralità
degli intrecci e delle dimensioni, a complicare ciò che si vorrebbe pre-
sentare come semplice, a smascherare “le invenzioni delle tradizioni”, a
smontare le costruzioni collettive di memorie, ad allargare e a non sem-
plificare i contesti: le politiche dell’identità necessitano invece proprio di
semplificazioni e generalizzazioni, mentre lo storico distingue, dissezio-
na, analizza, instilla dubbi.

Note

. Emblematico, ad esempio, il percorso di elaborazione compiuto in Cile me-


diante la collaborazione di accademici nordamericani ed esponenti di organizza-
zioni non governative di Santiago. I vari contributi, maturati nel corso di un dibat-
tito di oltre tre anni, sono oggi visibili in M. Garcés et al. (comp.), Memoria para
un nuevo siglo. Chile, miradas a la segunda mitad del siglo XX, LOM Ediciones, San-
tiago .
. Passerini in Halbwachs, La memoria collettiva, cit., pp. -.
. Ricordiamo a questo proposito le riflessioni di Nicola Gallerano: «L’uso pub-
blico della storia non è insomma una pratica da rifiutare o demonizzare pregiudizial-
mente: può essere un terreno di confronto o di conflitto che implica il coinvolgimen-
to attivo dei cittadini, e non solo degli addetti ai lavori, attorno a temi essenziali; può
rivelare lacerazioni profonde e ferite della memoria e farle tornare alla luce; può d’al-
tra parte essere una forma di manipolazione che stabilisce analogie fuorvianti e ap-
piattisce sul presente profondità e complessità del passato» (cfr. Gallerano, L’uso pub-
blico della storia, cit., p. ).
. Hutton, History as an Art of Memory, cit., pp. -.
. Wieviorka, L’era del testimone, cit., pp. -.
. Ivi, pp. -, corsivo mio.
. Ivi, pp. -.


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CONCLUSIONI

. Sul nesso tra giustizia, memoria, democrazia, cfr. anche la raccolta di saggi Ba-
rahona de Brito, Gonzalez Enríquez, Aguilar, The Politics of Memory, cit.; Groppo,
Flier (comp.), La imposibilidad del olvido, cit. Per quanto riguarda volumi collettanei,
si segnala Acuña et al. (comp.), Juicio, castigos y memorias. Derechos humanos y justi-
cia en la política argentina, Nueva Visión, Buenos Aires  e Guelerman, Memorias
en presente, cit. Cfr. anche le riflessioni di V. Palermo, Tra memoria e oblio: repressio-
ne, guerra e democrazia in Argentina, in “Contemporanea. Rivista di storia dell’ e
del ’”, VI, , aprile , pp. -. Un articolato insieme di riflessioni prodotte di
recente è anche H. Vezzetti, Pasado y presente. Guerra, dictadura y sociedad en la Ar-
gentina, Siglo XXI, Buenos Aires .
. Cfr., a questo proposito, le considerazioni di Maria Rosaria Stabili sulle molte-
plici sfaccettature del processo di riconciliazione cileno in M. R. Stabili, Una società di-
visa o ambigua? Cile, la sua storia e il suo dittatore, in “Latinoamerica. Analisi, testi, di-
battiti”, , gennaio-marzo ; Id., Verità e perdono. La riconciliazione incompiuta nel
Cile degli anni Novanta, in Fiammingo, Pocecco, Westfalia si complica, cit., pp.  ss.
. Wilde, Irruptions of Memory, cit., p. .
. Pezzino, Memorie divise e riconciliazione nazionale, cit., pp.  e .


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. Intervista con Estela Carlotto, Roma,  novembre , archivio per-
sonale.

* Si è scelto di omettere il cognome degli hijos intervistati, e di usare talvolta de-


gli pseudonimi, su richiesta di alcuni di loro. Le quattro testimonianze orali di adulti,
Horacio Verbitsky (giornalista) Julio Santucho (attivista nel campo dei diritti umani)
Matilde Artés ed Estela Carlotto (rispettivamente rappresentante e presidentessa del-
le Abuelas de Plaza de Mayo) sono invece personaggi noti al pubblico, pertanto il loro
nome compare per esteso.


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

Documenti di archivi privati, familiari


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www.derechos.org/serpaj/querella.txt (Denuncia delle Abuelas contro il Ge-
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www.derechos.org/nizkor (Equipo Nizkor, ONG e Centro di documentazione
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
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Indice dei nomi

Alfonsín R., , n, , -, n Carlotto E., , -, , , , -
Allende S., n Cartosio B., 
Alvarez S.,  Cattarulla C., 
Angelelli E.,  Certeau M. de, 
Antonini S.,  Chiaramonti G., 
Araujo A. M.,  Clark M.-M., 
Arditti R., , ,  Clemente P., 
Ariès P., n, , , ,  Contini G., , -n
Aron R.,  Cortázar J., n
Artés M., , , 
Astiz A.,  da Silva Catela L., , , , 
Aylwin P., n de Bonafini H., , , , , n,
n, 
Bachtin M.,  Debray R., 
Balza M.,  De Luna G., , , n
Barbie K., n de Nevares J., , 
Beauvoir S. de,  De Santis S., 
Bechis M., , , n,  de Stroebel L., 
Benedetti M.,  Di Cori P., , 
Bergson H., n Duras M., 
Blaustein D.,  Durkheim E., n
Bloch M., n
Bobbio N.,  Eichmann A., , n, , n
Bodelevski L., ,  El Kadri E., 
Bonasso M.,  Eloy Martínez T., 
Breccia A.,  Eltsin B., n
Brodski M., , , 
Brysk A., , , ,  Febvre L., n
Bucci S.,  Feijoo M. del Carmen, 
Bulawko H.,  Fenoglio B., n
Bussi D., n,  Fernández Mejide G., n
Ferretti M., , , -, , 
Calveiro P.,  Fields K., 
Calvino I., n Fisher J., 


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L A M E M O R I A O S T I N ATA

Flores M.,  Le Goff J., , , , , n
Foa V.,  Levi P., 
Foucault M., n Lewis C., 
Franco M., ,  López Rega J., 
Fried G., ,  Lorenz F. G., 
Fusaschi M.,  Luján Leiva M. L., 

Galeano E.,  Martellini F., n


Gallerano N., , , n Martini A., 
Garzón B.,  Massera E., , 
Gorbačëv M.,  Menem C. S., , , -, , n
Graziano F.,  Mignoli G., 
Grele R.,  Miller F., 
Gribaudi G., -n Mira G., -
Gribaudi M.,  Molyneux M., 
Grispigni M., n Moretti I., 
Guelerman S., 
Guevara E. “Che”, ,  Navarro M., -
Guzmán P.,  Nora P., , , , n
Novak J., , n
Habermas J., -n
Halbwachs M., -, , n, , O’Donnel G., 
n,  Oliveira-Cézar M., -
Hartman G.,  Olivera H., , 
Hausner G.,  Onganía J. C., , , 
Herman J.,  Ortega y Gasset J., 
Hesayne M., 
Hutton P., , n,  Papon M., n
Passerini L., , , 
Illia A., 
Perelli C., , 
Ithurburu J., 
Pérez Esquivel A., n
Ivanova N., 
Perón I., 
Jelin E., , , , n Perón J. D., , n, n
Jospin L., , n Pezzino P., n, , -n, , 
Pinochet A., n, , n, n, 
Kaiser S.,  Pion Berlin D., 
Keck M., ,  Pompejano D., 
Kirchner N., , , , , ,  Portelli A., , , n, , 
Krog A.,  Puenzo L., , 

Laborie P.,  Quieto C. A., 


Laghi P.,  Quieto L., , , 


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INDICE DEI NOMI

Reati F.,  Uriburu F., 


Ricoeur P., , , , , 
Roniger L.,  Valensi L., , 
Rosas J. M.,  Vangelista C., 
Vásquez A., 
Salvatici S.,  Vecchioli V., , .
Santucho J., , ,  Verbitsky H., , , -, , 
Santucho M. R., , ,  Vico G., n
Sartre J.-P., ,  Videla J. R.,, , 
Scilingo A. F., , , n,  Virreinal A. M., -
Sieder R.,  Vovelle M., 
Sikkink K., , 
Stabili M. R., -, n , , n Wachtel N., , 
Strejlevic N.,  Wiedehorn J., 
Stroessner A., n Wiesenthal S., , 
Sznajder M.,  Wieviorka A., , -, , , , ,
, -, n, -
Taylor D., ,  Wilde A., , n, , 
T’Lam P., 
Torrents N.,  Yrigoyen I., 
Torres M., 
Touvier P., n Zaffaroni E., n
Tutu D., -, n Zanatta L., 



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