Vous êtes sur la page 1sur 3

Brevi cenni sulla storia del mandolino

Una panoramica sul mandolino attenta e priva di superficiali pregiudizi mette in


risalto alcuni aspetti inattesi e sorprendenti. La sbrigativa e denigratoria associazione
dello strumento con la pizza e gli spaghetti, infatti risulta ampiamente contraddetta
dalle fonti iconografiche, letterarie e da quelle più specificatamente musicali.
I pittori che raffigurano lo strumento lo ritraggono quasi esclusivamente in situazioni
tipiche e consuete negli ambienti aristocratici.
Le dediche degli autori di musica per mandolino sono indirizzate, fino al’700 ad
esponenti della nobiltà, in seguito anche a quelli della borghesia.
Ad ulteriore prova possiamo inserire il fatto che gli strumenti presenti nelle varie
collezioni e musei, denotano l’opera raffinata di eccellenti liutai che impreziosiscono
i loro mandolini con raffinati e costosi materiali(avorio, madreperla, tartaruga, “foglie
d’oro”). La destinazione di siffatti gioielli era, nell’Europa del XIIIV secolo, per un
pubblico molto ristretto e altrettanto facoltoso.
Il successo del mandolino soprattutto nella Francia pre-rivoluzionaria non deve
sorprendere. I mandolinisti italiani partecipavano al favore che il pubblico e la
Corona accordavano a tutto ciò che nella musica fosse italiano. In quegli anni il
fenomeno del mandolino assunse le caratteristiche di una vera e propria moda tra la
nobiltà francese tanto che furono dati alle stampe diversi metodi e numerose
composizioni.
Il forte legame tra aristocrazia e mandolinisti coinvolse questi ultimi nelle vicende
rivoluzionarie .Non si hanno notizie della loro attività dopo la Bastiglia.
Il primato della cultura nell’aristocrazia europea passerà a Vienna ed è proprio in
questo ambiente che , dopo un breve periodo di interruzione, il mandolino troverà
appassionati ed estimatori. Lo stesso Beethoven sarà l’autore di alcune composizioni
per mandolino e cembalo dedicate alla contessa di Clary.
Su quali siano state le motivazioni che indussero gli ambienti aristocratici a favorire il
mandolino, non ci azzardiamo a formulare ipotesi, ma, per dovere di cronaca,
riteniamo opportuno ricordare che alla regina Margherita di Savoia furono dedicati
metodi e circoli mandolinistici e che per l’ultima zarina dei Romanov il liutaio
Embergher costruì uno dei suoi rinomati mandolini.
Per quanto riguarda l’uso “popolare” dello strumento sarà bene fare delle
precisazioni.
Se “popolare” è in luogo di volgare o di basso livello, per quanto detto finora sembra
che il termine non possa essere relazionato al mandolino. Se per popolare
intendiamo : di un popolo o rappresentativo di una cultura propria di una regione,
riteniamo che ciò sia una delle peculiarità di tutti gli strumenti a plettro e di
conseguenza anche del mandolino.
Se con il termine popolare si vuol intendere “di grande diffusione”, non possiamo
affermare che oggi il mandolino sia uno strumento popolare (almeno in Italia) ,ma
che in passato abbia avuto una certa popolarità ci sembra un fatto innegabile. Per
capire in che modo il mandolino possa essere considerato popolare, dobbiamo
ripercorrere per grandi linee la storia del nostro Paese e porre attenzione allo stretto
intreccio delle vicende che riguardano il mandolino con quelle più generali, sociali e
politiche.
Prima dell’unità del regno erano presenti sul territorio nazionale varie tipologie
regionali di mandolino. Esse corrispondevano, grossomodo, agli staterelli precedenti
il processo di unificazione. Erano in uso infatti il tipo genovese, siciliano, napoletano,
milanese, bresciano, lombardo, veneto, romano. Questi strumenti, nonostante
presentassero a volte radicali differenze, venivano comunque chiamati mandolini.
Tipico, a tale proposito, è l’esempio del Concerto in Do maggiore di Antonio Vivaldi
per Mandolino ed archi .Il “Prete rosso”, era nativo di Venezia, ma il padre era di
origini bresciane . Il suo concerto per mandolino presenta, nel manoscritto conservato
a Torino, due diverse parti solistiche : una adatta al mandolino di tipo veneto, l’altra a
quello bresciano.( La pratica di usare lo strumento autoctono, come prima
sottolineavo, è propria degli strumentisti a plettro. Ancora oggi le differenti culture si
esprimono utilizzando gli strumenti a plettro “tradizionali” : la domra e la balalaika
in Russia, il bouzuki in Grecia, il cavaquinho e il bandolim in Brasile ecc., rifiutando
decisamente l’uso di altri strumenti simili.)
Alla fine dell’800 l’unione dell’allora regno d’Italia era ormai quasi del tutto
completata e il mandolino di tipo napoletano o romano (i più simili tra loro) diventa
prioritario. Si determina, così, l’abbandono degli altri.
Nello stesso periodo ,sul modello dei Club borghesi anglo-sassoni, anche in Italia
assistiamo al proliferare dei “Circoli”, con interessi sportivi, umanitari o artistici .
Nascono i primi circoli mandolinistici che si diffondono su tutto il territorio nazionale
e che vedono molti concertisti italiani o di origine italiana avviare queste
organizzazioni anche all’estero. E’ l’ultimo periodo d’oro del mandolino che in Italia
si esaurisce negli anni 30.
Il regime fascista imbriglia le libere attività dei circoli e penalizza le esportazioni dei
laboratori nei quali abili artigiani costruiscono strumenti apprezzati in tutto il mondo.
Il retorico sostegno del regime allo strumento “autarchico” poggia su tematiche
estranee alla tradizione mandolinistica. Lo strumento che prima era l’immagine stessa
della aristocrazia di ceto e che, con l’avvento della borghesia si era trasformato in
simbolo di nobiltà d’animo, deve essere usato per una propaganda populista che lo
paragoni al peggiore prodotto dell’intelletto : “Libro e moschetto” “Pane e
mandolino”.
Lo strumento che prima ingentiliva le asprezze del carattere e del fisico maschile e
che accresceva la grazia delle esecutrici deve lasciare il posto ad atteggiamenti che
esaltino da una parte una virilità fanfarona e goffa dall’altra una femminilità di tipo
esclusivamente riproduttivo. Questo forzato “popolarismo” da strapaese causa il
declino della pratica strumentale e il conseguente disinteresse dei compositori.
Il periodo che va dalla fine degli anni 50 ad oggi è ricco di nuovi stimoli.
L’interesse per la musica “antica” coinvolge positivamente anche il mandolino. Nei
programmi da concerto vengono inseriti i concerti di Vivaldi per mandolino di cui si
ignorava l’esistenza. I compositori delle avanguardie musicali (Petrassi, Boulez,
Kagel, ecc.) si interessano alle sonorità dello strumento riprendendo una tradizione
iniziata con Schoenberg e Webern. Lo strumento viene finalmente insegnato nei
conservatori ed il livello degli esecutori cresce in modo considerevole. In Germania
e in Giappone il movimento mandolinistico prende quota e si sviluppa una
considerevole produzione discografica ed editoriale.
Riteniamo opportuno, a questo punto, tornare al concetto iniziale sperando che
queste poche righe siano riuscite ad esprimere il forte disagio degli attuali
mandolinisti. Troppo spesso si tira in ballo lo strumento per sottolinearne
un’accezione negativa che è assolutamente priva di fondamento. Anche in occasione
di un Premio Nobel conferito ad un attore mi è capitato di leggere che in fin dei conti
siamo un popolo di “buffoni e mandolinari”. Spero che in futuro si possa trovare il
modo di trattare gli argomenti che riguardano il mandolino con più attenzione e
competenza. Per realizzare ciò sarà necessario divulgare, con i mezzi opportuni, la
storia di uno strumento (amato ed apprezzato in tutto il mondo) che soltanto noi
italiani dimostriamo di ignorare.

Vous aimerez peut-être aussi