Académique Documents
Professionnel Documents
Culture Documents
Via via che il vento delle rivolte del Nordafrica si è spostato in Libia, gli iniziali entusiasmi di
molti «sinistri» italiani si sono smorzati. E sono prevalse le capziose analisi sui contrasti e sulle ma-
novre degli immancabili imperialisti. Ci sono spunti e osservazioni apprezzabili, che tuttavia fini-
scono per oscurare il movimento d’insieme delle masse popolari libiche, che qualcuno considera
addirittura del tutto strumentale e funzionale a circoli affaristici locali, legati alle «multinazionali
europee e statunitensi» (emblematico, tra i tanti: SERGIO CARARO, Libia. Dalla guerra civile alla
guerra del petrolio, «Contropiano»).
La Libia sta sollevando scottanti questioni, e non solo politiche, ma soprattutto di metodo e di
analisi. Mettiamo allora i puntini sulle i e, per prima cosa, cerchiamo di capire che cos’è la Libia.
Ma prima ribadiamo che l’aspetto principale di questa vicenda è l’insorgenza delle masse popolari
del Nordafrica, che si inscrive nella crisi sistemica del modo di produzione capitalistico. Il cui esito,
ci auguriamo, sarà la rivoluzione proletaria (altrimenti ci aspetta un orrore senza fine). E questo è
un motivo più che sufficiente, per stare dalla parte dei ribelli della Libia, senza se e senza ma.
COS’È LA LIBIA
A differenza dei Paesi vicini (Algeria, Tunisia ed Egitto) la formazione nazional-statale libica è
molto più recente, risale agli ultimi quarant’anni, che coincidono con il governo di Muammar
Gheddafi. In precedenza, sotto il regime coloniale italiano (1912-1943), la Libia era stata sconvolta
prima dalla sanguinaria guerra di occupazione (1930-31), che causò più di centomila morti, e poi
(1936-1940) dall’arrivo di 120mila coloni italiani (il 13% della popolazione totale), che dissestò la
precedente vita economica.
La formazione nazional-statale gheddafiana è avvenuta grazie allo sfruttamento delle immense
risorse petrolifere, iniziato all’inizio degli anni Sessanta, che sconvolse, nuovamente, la preesistente
compagine economica, caratterizzata da una modesta agricoltura e da piccole attività commerciali e
industriali, esercitate in buona parte dalla comunità italiana che, alla fine degli anni Sessanta, am-
montava a circa 35.000 persone, il 2% della popolazione libica (allora di 1.700.000).
Grazie al petrolio, dagli anni Settanta, il Prodotto lordo pro capite della Libia passò dalla soglia
di povertà, agli attuali 14mila$, che collocano il Paese a un livello medio alto. Inoltre, il welfare li-
bico assicura assistenza sanitaria e istruzione, a livelli molto più alti rispetto ai Paesi vicini. Ma,
come poi vedremo, non è tutto oro quello che luccica.
Grazie al forte sviluppo economico, nel quarantennio gheddafiano la popolazione libica è cre-
sciuta notevolmente, è più che triplicata. Oggi conta circa sei milioni e mezzo di abitanti, cui si ag-
giungono un milione/due milioni di emigrati, provenienti da Egitto, Medio Oriente e dall’Africa
subsahariana. Questi immigrati, che costituiscono circa la metà della forza lavoro della Libia, sono
impiegati nei grandi complessi petrolchimici, nell’edilizia e in parte anche nei servizi (ospedali,
scuole, alberghi).
L’86% della popolazione abita nelle grandi città della costa, tra cui: Tripoli (oltre un milione),
Bengasi e Misurata.
1
PRINCIPALI INDICATORI SOCIALI ED ECONOMICI (2010)
Nel commercio estero libico, l’Italia fa la parte del leone, con il 40% dell’export petrolifero e
con circa il 30% dell’import; di gran lunga davanti a Germania, Spagna, Francia e a tutti i Paesi a-
rabi.
Per le sue caratteristiche economiche, legate alla rendita petrolifera, la Libia è stata definita uno
Stato rentier, la cui particolarità è l’assenza o la marginalità di entrate generate dall’imposizione fi-
scale interna (in realtà, in Libia, è tra il 5% e il 10%, comunque molto bassa), poiché la ricchezza,
di origine «naturale», riduce la necessità di prelevare reddito dalla propria popolazione.
Tutti questi fattori, hanno fatto sì che, in Libia, i movimenti politici e sindacali abbiano una de-
bole tradizione (sempre in rapporto ai suoi vicini); gli organismi sindacali e i partiti di sinistra, sorti
dopo la guerra, furono stroncati prima dall’Inghilterra, che dal 1943 al 1951 amministrò il Paese,
furono poi perseguitati dalla monarchia e quindi dal regime di Gheddafi.
2
la vita economica libica: monopolio del commercio interno ed estero, dell’industria e dei servizi,
con il quale garantiva: l’ap-provvigionamento della popolazione urbana, in vertiginosa crescita; la
creazione di una rete di strade, scuole, università, ospedali e altre strutture pubbliche; lo sviluppo di
costosissimi progetti di trasformazione agraria e l’impianto di alcune grandi industrie di base; la na-
scita del Grande Fiume Sotterraneo, colossale sistema di acquedotti ed invasi che alimenta con
l’acqua tratta dalle profondità del deserto del Fezzan le assetate città della costa; infine, il manteni-
mento dell’esercito, della guardia presidenziale nonché della miriade di burocrati riuniti nei Comita-
ti Popolari, istanze locali del potere statale.
Dal 2001, questa posizione di monopolio è stata in parte ridimensionata dalle privatizzazioni,
che, nella vita economica libica, vedono l’ingresso massiccio di gruppi esteri (le multinazionali del
petrolio in primis), soprattutto inglesi, francesi e spagnoli, che tentano di scalzare il predominio ita-
liano. Ma sono entrati in lizza anche gruppi affaristici locali, fino a ora emarginati, in cerca di un
posto al sole, con tutta la manna che cade dal cielo. Ma, ovviamente, i vecchi gruppi dominanti non
sono disposti a cedere le loro posizioni.
A tutto ciò, si aggiungono le ricadute locali delle speculazioni finanziarie, che connotano la sce-
na economica internazionale, di cui, la Libia, è stata, forse, all’avanguardia e oggi può contare su
107,3 M$ di riserve valutarie, che attendono impieghi.
3
Queste misure hanno ottenuto solo in parte il risultato sperato, nonostante che il welfare libico
sia un forte ammortizzatore sociale, che spiega, inoltre, come sia stato possibile sostenere, fino a
oggi, l’altissima disoccupazione.
4
Fonti:
CIA: https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/index.html/
Banca Mondiale: http://data.worldbank.org/italian?cid=GPDit_29/
ISPI: http://www.ispionline.it/it/index.php/
Mondoimprese: http://www.mondimpresa.it/infoflash/scheda.ASP?st=216/
Enit: www.enit.it/it/studi-ricerche/focus-paese/category/9-pp.html?download...