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Come PCL lavoriamo naturalmente per il più ampio fronte unico di forze contro
l'intervento militare, a favore dello sviluppo di un vero movimento di massa .
Ma dentro la costruzione del movimento riteniamo essenziale evitare ogni
forma di rimozione politica delle divergenze esistenti. Sapendo che esse non
riguardano solo un problema specifico di “politica internazionale” ma, in ultima
analisi, la stessa natura dei programmi di fondo che si perseguono.
Una terza posizione si attesta sul sostegno politico ( a volte critico, a volte no)
a Gheddafi e al suo regime. E' il caso della composita area neostalinista
italiana. Si tratta di una posizione fortemente contraria all'intervento
imperialista- di cui denuncia anche correttamente finalità e ipocrisia- ma nel
nome della difesa di un regime “antimperialista” e della sua tradizione, in
perfetto allineamento con le posizioni di Chavez e di Castro. E' una posizione
che non solo rimuove la realtà del regime confondendola con la sua
propaganda, ma anche la realtà della rivoluzione, presentata come insorgenza
tribale. Nella sua versione più ricercata e meno “gheddafista” ( Rete dei
Comunisti) rappresenta la vicenda libica come una spiacevole guerra civile fra
tribù, tra cui occorrerebbe mettere pace grazie a una intermediazione
diplomatica di Stati (borghesi) arabi e africani. Nei fatti è la ricopiatura della
proposta Chavez, interessato esclusivamente a salvaguardare le buone
relazioni economiche e diplomatiche con Gheddafi ( come col regime iraniano).
Si tratta della conferma di una posizione generale che sostituisce la storia reale
della lotta di classe e delle lotte dei popoli oppressi con la relazione tra campi
statuali: ieri la burocrazia dell'URSS, oggi più modestamente il regime
bolivariano. La rivoluzione reale naturalmente , può aspettare, a vantaggio
della sua (variabile) rappresentazione mitologica.
La rivoluzione libica è un fatto reale, inseparabile nel suo stesso innesco dal
processo più generale della rivoluzione araba, iniziato in Tunisia e in Egitto.
Certo la rivoluzione libica ha avuto ed ha una dinamica diversa da quella
tunisina ed egiziana. Ma non perchè “il regime di Gheddafi non è poi tanto
male”, “le masse libiche stanno meglio che in Tunisia e in Egitto”, ci sono forme
di “democrazia popolare” ecc.ecc., come afferma, con involontaria e tragica
ironia, la vulgata neostalinista. Ma per ragioni esattamente opposte.
Il regime di Gheddafi ha una natura ben più totalitaria e dispotica dei regimi di
Ben Alì e Mubarak. In Tunisia e in Egitto regimi bonapartisti e corrotti
tolleravano forme recintate di “opposizione” politica e una parziale dialettica
sindacale, sia pur limitata e controllata. Ciò che ha favorito l'utilizzo di canali
organizzati nell'ascesa rivoluzionaria (pensiamo al ruolo del sindacato Ugtt in
Tunisia o ,in forma molto minore, dei sindacati indipendenti in Egitto). In Libia
il regime ha ciclicamente eliminato manu militari ogni ombra di opposizione
interna, ha espunto ogni spazio di dialettica sociale e sindacale, ha costruito
una rete capillare di controllo sociale attraverso la polizia diffusa di regime ( i
cosiddetti comitati rivoluzionari).
E' sufficiente tutto questo per capire le maggiori difficoltà della rivoluzione
libica, e le sue indubbie particolarità? Peraltro proprio questo contesto misura
tanto il carattere eroico dell'insurrezione di Bengasi e in tante altre città della
Cirenaica e della Tripolitania, quanto la sua immediata traduzione in
contrapposizione militare e guerra civile ( col passaggio determinante di settori
dell'esercito agli insorti). E viceversa: chi si ostina a negare l'esistenza di una
rivoluzione popolare contrapponendole la categoria della “guerra civile”, non
solo ignora la storia del rapporto tra guerre civili e rivoluzioni ( v. il nostro testo
“dalla parte della rivoluzione libica”), ma rimuove la dinamica concreta di una
vicenda libica in cui l'unica forma concreta di rivoluzione popolare- nella
condizioni imposte dalla natura del regime- era esattamente la guerra civile.
Per cui chi respinge inorridito la guerra civile in Libia di fatto respinge ..la
rivoluzione popolare contro Gheddafi. Che è esattamente la conclusione degli
stalinisti.
“Ma come? Come fate a stare contro l'imperialismo e al tempo stesso dalla
parte degli insorti che plaudono all'intervento imperialista”? L'obiezione sembra
pertinente. E invece ignora la realtà e la complessità della rivoluzione. Peraltro
non nuova nella storia: basti pensare, tra i tanti esempi disponibili, al rapporto
tra insurrezione partigiana e truppe imperialiste “alleate” nell'Italia del 43-45 (
Dove la politica criminale di subordinazione del movimento partigiano al quadro
nazionale e internazionale della “democrazia imperialista” e delle sue forze
militari- imposto da Stalin e da Togliatti- certo non poteva motivare alcuna
posizione neutrale o “pacifista” nella guerra civile antifascista: ma doveva
essere semmai contrastata proprio nel nome dell'autonomia del movimento
partigiano e dello sviluppo della rivoluzione socialista in Italia, in aperta
contrapposizione agi imperialismi “democratici” ).
Una parte importante della leaderschip di Bengasi è più che sensibile a questo
richiamo. Ed è naturale. Una sollevazione insurrezionale non si sceglie la
propria direzione. Ex ministri di Gheddafi e vecchi comandanti del suo esercito
non hanno mutato il proprio profilo per il solo fatto di aver cambiato la
collocazione di campo. Il tentativo di mostrarsi a questa o quell'altra potenza
imperialista come possibile carta di ricambio su cui investire attenzioni e favori,
è già operante: in particolare in direzione della Francia. E quanto più si
prolunga e struttura l'intervento militare imperialista in Libia tanto più questa
operazione può approfondirsi e consolidarsi. A tutto danno della rivoluzione
libica, e ,di riflesso, della rivoluzione araba.
Per questo, la costruzione di un'alternativa di direzione della rivoluzione libica è
e sarà posta sempre più dalla dinamica degli avvenimenti.
E può essere selezionata solamente da una politica coerentemente
rivoluzionaria. Che sappia utilizzare, nel suo proprio interesse, le contraddizioni
tra imperialisti e Gheddafi; ma che rifiuti e contrasti ogni subordinazione della
rivoluzione agli imperialisti; combatta ogni illusione verso l'imperialismo
all'interno delle masse; si opponga alle tendenze filoimperialiste interne
all'attuale direzione; coniughi l'impegno militare in prima linea con
l'avanzamento di un programma di mobilitazione rivoluzionaria e di
autorganizzazione democratica delle masse; inquadri lo sviluppo della
rivoluzione libica dentro il processo più generale della rivoluzione araba. Solo
un partito rivoluzionario può assolvere alla complessità di questi compiti.
MARCO FERRANDO