Vous êtes sur la page 1sur 24

Alain Tizon e François Lonchampt

Guy Debord e i situazionisti

Orbem terrarum adspexit ac jam tantum umbilicum vidit

Svetonio

Chi si è appassionato alla questione sociale tra gli anni ’60 e


l’inizio degli anni ’70 poteva difficilmente evitare una certa
fascinazione per l’Internazionale Situazionista e le sue tesi
estremiste, la cui architettura critica dalla coerenza di cristallo
aveva tutto per soddisfare i nostri cuori di ventenni. E coloro
che si presentavano come i padroni dell’avventura moderna,
sembravano possedere le chiavi di un mondo appassionante da
costruire, giungevano a imporsi su di noi sia con il loro stile
luminoso e le loro sentenze senza appello, sia con quel gusto
aristocratico di voler spiacere a molti che apertamente
rivendicavano.

L’Internazionale Situazionista aveva intrapreso la critica della


società di classe nella sua stessa modernità, ed elaborando il
programma di una insurrezione che cerca le sue cause ed il suo
punto d’applicazione nel cuore stesso della vita vissuta dai suoi
contemporanei, si proponeva di reinventare il progetto della
rivoluzione proletaria adattandolo alle condizioni del proprio

1
Guy Debord e i situazionisti

tempo (1). Certamente non si può aggirare il suo contributo al


rinnovamento del pensiero critico, allora invischiato nelle
querelles ereditate dall’inizio del Novecento. Ma con il suo
carattere dogmatico, le sue risposte a tutto e a tutti, i suoi ukase
a ripetizione, ha certamente contribuito a bloccare il pensiero e
l’immaginazione dei contestatori nati sulla scia del 68 e ad
allontanare le giovani generazioni da una confluenza che
sembrava inevitabile.

Fin dall’inizio degli anni ’60, contro le sette pietrificate che


vivevano miseramente sulla rinsecchita eredità del 1917, i
situazionisti proclamavano la fine del vecchio movimento
proletario. Ma contro i pensatori modernisti o del terzo mondo
che si affrettavano a seppellire la classe operaia, i situazionisti
ponevano la lotta di classe al cuore di un movimento
sovversivo il cui epicentro si situava nei paesi sviluppati, e che
avrebbe dovuto attualizzare e realizzare in condizioni rinnovate
il programma enunciato dal Manifesto, compresa l’abolizione
del lavoro a vantaggio di un nuovo tipo di attività libera (2), la
fine della sciagura storica (la fine della preistoria umana),
l’autogestione generalizzata, l’avvento della società dei padroni
senza schiavi, la realizzazione dell’arte.

Ponendo esplicitamente l’esigenza di una reale coerenza tra la


vita realmente vissuta e le idee proclamate, l’Internazionale
Situazionista pretendeva di riportare i propositi sovversivi degli
artisti più innovatori nel cuore del progetto rivoluzionario.
2
Guy Debord e i situazionisti

Criticando la nuova povertà dissimulata dall’abbondanza di


merci, spronava alla decolonizzazione della vita quotidiana, la
cui miseria presente riteneva di aver identificato come il
risultato principale dello scarso impiego dei mezzi tecnici
accumulati dal capitalismo moderno. Attaccando inoltre
l’ideologia, la politica specializzata e gli specialisti in generale,
denunciando il militantismo come attività alienata, pretendeva
di inaugurare un nuovo stile di vita, condizione di
partecipazione all’avanguardia (3), e contro l’economia dei
bisogni rivendicava un’ “economia del desiderio” (“la società
tecnologica con l’immaginazione di ciò che si può farne”) (4).
Sviluppando il suo programma di ri-appassionamento della
vita, era cosciente di avanzare sul terreno dei suoi nemici, gli
amministratori, i modernizzatori e i pubblicitari della società
mercantile; ma sperava di superarli in velocità e di veder venire
verso di lei le forze pratiche della nuova insurrezione che
dovevano riprendere i vecchi temi della sovversione proletaria
arricchiti dalle nuove ragioni di malcontento.

Nella sua valutazione delle forze potenziali della sovversione,


ha sopravvalutato fino al delirio i nuovi soggetti rivoluzionari
che credeva di aver identificato nei ribelli del Congo, nei
blousons noirs, ed infine in quei famosi operai selvaggi che
hanno effettivamente dato filo da torcere ai responsabili del
personale negli anni 60/70, ma ai quali prestò capacità e
desideri che ben pochi di loro esprimevano effettivamente.

3
Guy Debord e i situazionisti

Attraverso una confutazione molto marxista di ogni passo


idealista e attraverso una critica senza sfumature del vecchio
militantismo e del suo contenuto umanitario, i situs
preparavano il terreno senza saperlo al narcisismo di basso
livello che cominciava a prosperare sulla disaffezione verso
ogni impegno politico. Identificandosi “al desiderio più
profondo che esiste in tutti, consentendo ogni licenza (…) al
solo desiderio di rompere tutti gli ostacoli della vita”, puntando
alle forme selvagge del “rifiuto del piccolo inventario delle
condotte permesse”, portarono al culmine l’apologia di una
certa voyoucratie [nota di Omar Wisyam: in modo
approssimativo, canaglio-crazia], già reperibile qua e là nella
sinistra letteraria. E “facendo passare l’aggressività dei
blousons noirs sul piano delle idee (5)”, svilupparono un
settarismo pieno d’odio eretto ad affermazione esemplare della
rivolta e contribuirono a un’ondata d’intolleranza e di astio,
attributi di un presunto stile di vita radicale che voleva essere
sempre più violento, più arrogante e più deciso nella rottura,
con tanto maggiore successo poiché quell’epoca permtteva loro
di liberarsi senza grande rischio di tutte le forme di cortesia
“borghese”.

Rallegrandosi dello smembramento delle famiglie e della


“scomparsa del minimo di convenzioni comuni tra la gente, ed
a maggior ragione tra le generazioni (6)”, completamente
persuasi che tutto ciò che contribuisce alla decomposizione
prepara la strada ad un mondo liberato, mostravano una scarsa
lucidità, ben al di qua di Pasolini in Italia che giustamente

4
Guy Debord e i situazionisti

identificava nell’afasia della gioventù uno dei sintomi della


fascistizzazione in corso della società.

Anche se hanno saputo riconoscere ed esaltare, nella storia del


movimento operaio, le tendenze libertarie ed antiburocratiche
perseguitate dal leninismo (per non parlare dello stalinismo), e
tutto ciò che mirava all’abolizione delle classi esistenti
attraverso una via che non comporti una nuova divisione della
società (7) i situazionisti, come numerosi rivoluzionari prima
di loro, non hanno saputo sbarazzarsi del modello bolscevico
da cui erano manifestamente affascinati. Al punto che lo stile
dell’I.S. fu per una buona parte quello della Terza
Internazionale ai suoi inizi, con gli ukase, le esclusioni, la
volontà ferocemente avanguardista, il “comitato centrale” (per
molti anni), la pretesa al monopolio della coscienza e della
direzione, pretesa che, in Vaneigem, si accentuerà fino al
delirio mistico poiché, nelle Banalità di base l’I.S. sarà
addirittura comparata a Dio, come ha ben sottolineato
Gianfranco Marelli (8).

Per l’Internazionale Situazionista, che aveva previsto il ritorno


della sovversione nel cuore stesso del capitalismo sviluppato ed
annunciava nel 1966 Il declino e la caduta dell’economia
spettacolare-mercantile (9), il movimento di maggio era il
preludio all’attacco decisivo del proletariato (10). Ma “gli
operai (…) nell’insieme delle imprese non sono riusciti a
prendere veramente la parola per conto loro e a dire ciò che
5
Guy Debord e i situazionisti

volevano”, né a creare “con la loro azione autonoma, le


condizioni concrete, ovunque inesistenti, che permettono loro
di parlare e agire”. Perché non hanno creato queste condizioni
in quel momento? Quando lo faranno? Quando questo famoso
e sempiterno livello di coscienza sarà finalmente all’altezza? E
per quale miracolo? Ed allora perché in quel momento e non in
un altro? L’Internazionale non era avara di questi giochi di
prestigio che permettono di saltare attivamente tutte le barriere
senza rovesciarne nessuna. E si fece conoscere alla Sorbona più
che nelle fabbriche occupate, fatto che è paradossale per un
gruppo che incensava la classe operaia, che reclamava la
riorganizzazione di tutta la vita sociale per mezzo delle
assemblee dei lavoratori e ostentava un totale disprezzo verso
gli studenti.

Non pretendendo niente di meno che di rappresentare


l’espressione teorica generale di un movimento storico, si
dissolse tuttavia quando dovette affrontare il successo di alcune
sue idee, mentre una parte dei più lucidi e dei meno carrieristi
della generazione in rivolta erano pronti a unirsi ad essa.
Giacché, malgrado una dialettica notevolmente padroneggiata
che le permetterà ancora di risollevarsi fino all’inevitabile
conclusione, il carattere esagerato delle sue pretese doveva
mandarle in frantumi al contatto con la realtà.

Vedendo esplicitamente nella sua vittoria la propria fine in


quanto organizzazione separata, l’Internazionale Situazionista
6
Guy Debord e i situazionisti

si proclamava anti-gerarchica, prima di tutto, e si presentava


come un esempio di comunità critica i cui membri si
presumeva che si appropriassero egualitariamente di tutta la
coerenza della sua critica unitaria di tutti gli aspetti della vita.
Ma la storia della sua fine doveva fare giustizia di
quest’illusione sapientemente alimentata (11). Prendendo a
pretesto la stupidità o l’incultura fin troppo evidente di un certo
numero di loro seguaci, i situazionisti si defilarono, e invece di
analizzare ciò che, nella loro teoria, aveva potuto produrre una
simile fastidiosa nube di ammiratori (12), misero quasi tutti
nello stesso sacco trattandoli come infrequentabili “pro-situs”,
cioè come seguaci passivi, facendo ben capire che intendevano
con ciò qualcosa di molto peggiorativo. Per la loro più grande
tranquillità non dovettero mai prevedere delle conseguenze
pratiche per le loro azioni, né rendere conto a chicchessia,
grazie all’alibi dell’autonomia al quale costringevano i loro
partigiani (alibi che faceva in modo che ogni radicale dovesse
prendersela soltanto con sé stesso), avendo respinto gli
inconvenienti del potere senza disprezzarne nella stessa misura
tutti i vantaggi. Facile! I partigiani dell’Internazionale
dovettero confrontarsi con dei precetti che, praticati alla lettera
in quegli anni ’70 - nei quali la prospettiva, appena intravista,
di un nuovo mondo si allontanava ogni giorno un po’ di più -
potevano soltanto condurre i più onesti o i più fragili di loro
alla marginalizzazione completa, alla disperazione e, a volte, al
suicidio.

7
Guy Debord e i situazionisti

Per i situazionisti, infatti, costretti a preparare sempre la


propria difesa pur facendo il deserto attorno a sé, non si era mai
abbastanza radicali, mai abbastanza esigenti, mai abbastanza
decisi nella rottura; e noi sappiamo ormai che non c’è
autoritarismo peggiore di quello di un potere che non si
riconosce come tale, non c’è imposizione peggiore che quella
che si esercita sotto la copertura dell’autonomia e dell’anti-
gerarchia (13).

Il situazionismo ritorna di moda oggi, Raoul Vaneigem si


atteggia a consigliere di quegli insegnanti che nel suo periodo
radicale ci consigliava di salutare con un “crepa, baldracca!” e,
insieme a Debord, ha finito per farsi pubblicare da Gallimard a
cui avevano promesso, nella loro grande epoca e con una
bordata di insulti, che non avrebbe pubblicato mai un libro dei
situazionisti (14). Dopo i Commentari (15), Debord,
sbarazzatosi di qualsiasi riferimento al proletariato ed alla
rivoluzione, si è lanciato in un’autocelebrazione senza riserve
del suo personaggio, intrattenendoci lungamente in
ragionamenti intorno al suo io, che arrivano fino alla
precisazione che in gioventù somigliava all’attore Philippe
Noiret (16)!

Dopo la sua morte è stato incensato ovunque, ciascuno rilancia


negli elogi e nella piaggeria, e tutti quanti si è sorpresi di
scoprire quanto il mondo mediatico celi, e nei posti chiave,
tanti temperamenti ribelli, tutti questi veri libertari, che
8
Guy Debord e i situazionisti

attendevano soltanto l’occasione giusta per far saltare fuori,


con la loro segreta venerazione per il grande situazionista,
un’inestinguibile sete di venire alle mani ed il loro odio
viscerale per un mondo che la borghesia iniziava già a liquidare
venticinque anni fa a causa della sua vulnerabilità ai vecchi
scossoni rivoluzionari. Tuttavia è lo stesso irritante vedere la
crema intellettuale, le cui multiple compromissioni dimostrano
tanto l’arrivismo quanto l’inconsistenza, venire oggi a rubare
senza vergogna qualche briciola al cadavere dopo averlo
superbamente ignorato da vivo, quando ammiravano senza
riserve tutto ciò che Debord rigettava (17).

Nessun commentatore, apparentemente, ha rilevato la vanità


senza limiti, la pretesa inaudita che giunge fino ad organizzare
in anticipo le cerimonie del proprio culto ed a scrivere il
proprio epitaffio in termini elogiativi, né soprattutto il
fragoroso scacco che ha subito Debord sul terreno dove
avanzava maggiori pretese, cioè sul suo progetto di radunare i
partigiani, ovunque nel mondo, per riorganizzare il partito
della sovversione. Generalmente ignorato dagli operai di cui
ricercava i suffragi, si è notato che coloro che vennero verso di
lui nell’epoca fausta dell’immediato dopo maggio gli
sembrarono di tanto scarsa qualità che dovette congedarli tutti.
E fino a quell’ondata d’adulazione che precede di poco la sua
scomparsa, di lui non si conosce altro.

9
Guy Debord e i situazionisti

Occorre riconoscergli il merito di avere rotto con un ambiente


artistico-letterario dove avrebbe potuto incontrare un successo
certo e di essersi diretto con i mezzi del suo tempo verso una
critica sociale molto minoritaria, cosa che non era priva di
pericoli e che richiedeva coraggio, all’epoca. Ma se ha ora
acquisito una reale notorietà, è in quanto modello di un
dandysmo sulfureo che si adatta bene a questa fine di secolo,
incarnato da colui che ama i classici, i buoni vini e la strategia,
incarnato dal libertino e dal precursore di un edonismo
presuntuoso, ben accordato ai piaceri che oggi si incoraggiano,
e certamente non in quanto regista di un qualsiasi partito
rivoluzionario. Il Debord scrittore conviene alla nostra epoca,
con la sua freddezza e la sua aggressività, con la sua
fraseologia tanto arrogante quanto opaca che non impegna a
nulla, poiché ciascuno è evidentemente dispensato in anticipo
dal conformarsi a precetti così manifestamente impraticabili.
La sua apologia del qualitativo, la sua ideologia del desiderio,
della passione e del gioco sono oggi adottate dalla pubblicità,
dalla stampa femminile e da una frangia non trascurabile della
società, fino e soprattutto negli ambienti dirigenziali che sanno
compiere meglio di chiunque i deturpamenti più convenienti a
loro. E se i suoi nuovi ammiratori ignorano superbamente il
suo fallimento, è perché non gliene importa nulla, poiché, per
loro, tali pretese sono espresse per poter essere poi gettate via,
come quelle simpatiche chimere della gioventù di cui ci si
libera senza affanni quando viene il momento di crearsi un
posto nella società.

10
Guy Debord e i situazionisti

Più di qualsiasi altro gruppo, l’Internazionale Situazionista


privilegiava l’arte della critica e si rimetteva al lavoro del
negativo per descrivere i contorni di una società nuova, da cui
il carattere allusivo del suo programma, ridotto all’autogestione
generalizzata, alla creazione di situazioni ed in ultima istanza
ad un potere internazionale dei “Consigli dei lavoratori” che
puzzava già allora di un certo arcaismo. Sul terreno della vita
quotidiana e dello stile, fortemente rivendicato, tutto lo
sproloquio sulle situazioni appassionanti da costruire o sulla
vita realmente vissuta suona vuoto di contenuto, al limite della
frode, tanto più che in base all’idea che ne abbiamo per mezzo
di quello che egli ha voluto raccontarne, la vita di Guy Debord
non ha nulla che possa sedurci.

Una parte della gioventù che legge riscopre oggi


l’Internazionale Situazionista e le sue tesi sulla radicalità.
Speriamo che non prenderà in considerazione né il glaciale
settarismo, né la sentenziosità del tono, né l’enfasi, né il risibile
mondo dei piaceri, né l’incerta fascinazione divisa tra
l’aristocrazia e i bassifondi, e speriamo che saprà inventare
qualcosa di nuovo rivolgendo uno sguardo altrettanto critico sia
verso le avanguardie fallite sia verso un certo pensiero
preconfezionato della rivolta che ritorna di moda oggi.

Dato che il situazionismo che pretendeva di condurre la più


radicale rimessa in causa della società del suo tempo non è, in
effetti, realmente riuscito che a darle il suo stile nuovo.
11
Guy Debord e i situazionisti

L’Enciclopedia

I redattori della rivista l’Encyclopédie des Nuisances


[Enciclopedia delle nocività] (1984/92), in un’epoca piuttosto
buia e ben prima che la radicalità ritornasse di moda, ebbero il
merito di pubblicare una rivista di buona tenuta, che proponeva
di raccogliere la punta avanzata delle forze latenti del rifiuto
(coloro che hanno fatto dell’insoddisfazione la loro causa), per
riscrivere la teoria con i fatti (18), per ri-attualizzare la
condanna universale dell’ordine delle cose che la teoria
situazionista allora aveva messo all’ordine del giorno ed
“uscire dal labirinto di dubbi e di obiezioni in cui la suspense di
una rivoluzione incompiuta prolunga indefinitamente le
deviazioni (19)”.

Insieme a Debord, avevano ben compreso il pericolo che


poteva esservi nell’identificarsi senza riserve con il partito del
movimento, come ha fatto la maggior parte dei rivoluzionari
prima di loro, ed hanno perso la bella assicurazione di
ereditare un mondo, prevedendo freddamente la prospettiva
che Chaulieu ed altri avevano evocato subito dopo la guerra,
quella “della barbarie moderna (che) sarebbe il periodo storico
nel quale la possibilità della rivoluzione comunista sarebbe
assente”. Poiché dal loro punto di vista, la perdita di tutte le
condizioni che permettono agli uomini di formulare e di
comunicare la loro propria insoddisfazione, accompagnata da
un accumulo tale di nocività sulla Terra che questa rischia di
12
Guy Debord e i situazionisti

diventare inadatta ad ogni attività umana, potrebbe contribuire


alla produzione “(di) un mondo indétournable, che proibisce
per l’eternità ogni riappropriazione rivoluzionaria”. Hanno
scoperto così la vocazione di avere, in questo mondo, qualcosa
da difendere, “e non solo a partire dal momento in cui una vita
liberata dovrà essere costruita”, ed hanno creduto di poter
“mobilitare per la loro causa, accanto al desiderio di ciò che è
ancora sconosciuto, l’istinto di conservazione”, che respinge la
teoria della tabula rasa ancora molto in voga negli ambienti
radicali.

Affermando la necessità di discutere tutto immediatamente (20)


per impegnarsi nella “ricerca pratica dei mezzi con i quali la
società potrebbe rappresentarsi i suoi problemi, discuterli e
risolverli”, hanno anche tentato di rompere, fino ad un certo
punto, con quell’idea facile e così diffusa che consiste nel
rimandare sempre la soluzione di tutti i problemi al periodo
successivo alla rivoluzione, facilità funesta che alimenta un
estremismo altrettanto facile ed ha sempre contribuito ad
isolare i rivoluzionari togliendo molta credibilità al loro
progetto.

Proponendosi onestamente di rivedere alcuni punti


determinanti del vetusto progetto rivoluzionario modernizzato
dai situazionisti, anche se per salvaguardare l’essenziale del
corpus dottrinale ereditato da quell’Internazionale alla quale un
attaccamento indefettibile sembra legarli per l’eternità, gli
13
Guy Debord e i situazionisti

uomini e le donne dell’Enciclopedia hanno tuttavia contribuito


senza volerlo al suo occultamento necessario, e dunque ad
individuare la via per una rivoluzione da reinventare. Ma
incapaci di trarre tutte le conclusioni delle loro prime intuizioni
(21), certamente per i comfort che si trovano ancora quando è
il negativo che lavora mentre il radicale conta i punti, non
dovendo fare altro che percorrere instancabilmente tutta
l’estensione della miseria per puntarvi la spada della critica,
persistettero “ad attendersi tutto dalle forze scatenate della
liquidazione sociale”, disperandosi per l’avvento di una
“società polverizzata dove ciascuno è collegato agli altri
soltanto dalla mediazione dello spettacolo”, ma rallegrandosi
con Marx che “la maggioranza degli individui (…) siano
diventati individui astratti, ma che, allo stesso modo e soltanto
allora, siano messi in condizione di entrare in relazione gli uni
con gli altri in quanto individui” e di ergersi efficacemente
contro le forze della produzione mercantile (22). Senza che si
riesca a indovinare attraverso quale processo fantastico di
trasmutazione questa umanità demolita si troverebbe in
condizione di eseguire compiti così grandiosi.

Fin dall’inizio, infatti, detronizzati gli operai dal ruolo centrale


che era loro in tutte le teorie socialiste, poiché “sembra
impossibile che riescano ora ad organizzare una critica pratica
che apra nuove prospettive (23)” e poiché “i proletari hanno
visto cancellarsi e perdersi la volontà che li faceva eredi del
mondo (24)”. Avendo ammesso che “la congiunzione possibile
tra il passato delle lotte operaie (…) e la nuova rivolta sorta

14
Guy Debord e i situazionisti

spontaneamente sul terreno della società dello spettacolo (…)


in un prossimo momento in alcuni dei paesi sviluppati ha
cessato di essere prevista ed attesa come un risultato inevitabile
del processo oggettivo delle condizioni dominanti (25)”, e
deplorando, di conseguenza, la scomparsa del partito della
sovversione (26), intendevano tuttavia sostenere ed armare la
vasta ed informale congiura degli uguali che sostituisce il
proletariato nella loro visione storica. Ma, i movimenti di
protesta contro le nocività (contro la costruzione di centrali o
autostrade, ad esempio), ai quali intendevano ingenuamente
rivelare le loro ragioni reali ed il loro contenuto universale
(27), come pure “la critica dell’economia e del lavoro presente
di fatto nelle loro motivazioni iniziali (28)”, sono rimasti molto
al di qua delle speranze che avevano suscitato nel loro
sviluppo. Detentori sovrani della teoria che, come la Scolastica
della vecchia religione, garantiva loro sempre almeno una
lunghezza di vantaggio sul terreno della coscienza, ostacolati
dalle problematiche irrisolte ereditate dal situazionismo e
accecati dall’orgoglio del radicale che gronda da ogni riga
scritta, soddisfatti dal puro esercizio critico che muta
rapidamente secondo il gioco della società, infine perfino
troppo contenti di se stessi, praticando l’autocritica come se i
difetti fustigati (profetismo catastrofista e lirismo apocalittico)
fossero riferiti a qualcun altro, gli enciclopedisti eccelsero
nell’attribuirsi degli attestati di benemerenza di ogni genere.

Ma se hanno fatto un passo falso questi specialisti


effettivamente decisi a distruggere la loro specialità per

15
Guy Debord e i situazionisti

rafforzare il partito della sovversione (29), ciò è accaduto


sicuramente perché la società moderna ha saputo farsi amare
altrettanto quanto è riuscita a farsi temere, perché il capitale
offriva più avventure, più imprese, responsabilità, gioco,
rischio, piacere e passione, il tutto da prendere in blocco, di
quanto ne offrivano i nuovi chierici teorici molto leziosi nei
loro presentimenti apocalittici.

Nel 1997, infine, nel suo libro L’abîme se repeuple (30), il


principale redattore dell’Encyclopédie des Nuisances, Jaime
Semprun, denuncia la diffusione generale di una “brutalità
utilitaria che si fa passare per emancipazione”, non esita a
qualificare le bande ancora adulate da alcuni radicali come
incarnazione pura della rivolta come invece delle “sezioni
d’attacco della barbarie”, dipingendo il quadro sorprendente di
una generazione “consegnata senza riserve alla vita
digitalizzata”, di un’umanità che “degenera incallendosi” e si
abitua alle catastrofi.

Senza citare l’I.S. una sola volta, si abbandona ad una


liquidazione in piena regola di quasi tutto ciò che resta ancora
della vecchia eredità, specialmente le raccomandazioni di
condotta che occupavano tanto posto, stigmatizzando la povera
ideologia del gioco e della festa, con il culto della soggettività
ed il famoso godere senza ostacoli, che dimostra abbastanza
bene come tutto questo guazzabuglio ha contribuito alla

16
Guy Debord e i situazionisti

formazione delle sensibilità contemporanee, incapace della


minima velleità di resistenza a tutto ciò che oggi ci opprime.

Tanto lucido per certi aspetti, e non quelli minori, ma troppo


rispettoso dei divieti che pesano da lustri sul pensiero
contestatario, Jaime Semprun non ha affrontato con sufficiente
audacia le questioni che riguardano il nostro tempo.
Denunciando giustamente le speranze lenitive che alcuni, da
sempre, hanno potuto inserire nell’ipotetico potenziale
liberatorio di una catastrofe inevitabile, si ferma timidamente
sulle soglie di un’interrogazione feconda, senza aprire alcuna
via d’uscita, trascurando cioè la necessità che hanno gli
uomini, per lanciarsi all’attacco di ciò che esiste o
semplicemente per opporvisi, di una nuova concezione del
mondo e della vita che vi potranno condurre, troppo ansioso,
certamente, di cadere nell’utopismo idiota o nel dilettantismo
mistico che tuttavia non sono di certo i più grandi pericoli che
ci minacciano oggi.

17
Guy Debord e i situazionisti

« Tout le fond, toutes les exaspérations


de notre querelle roulent autour du mot:
Révolution. »

ANTONIN ARTAUD
A la grande nuit ou le bluff surréaliste

18
Guy Debord e i situazionisti

Note:

(1) “La rivoluzione è da reinventare, ecco tutto”,


Internazionale Situazionista, n°6, aprile 1961 e “Un solo lavoro
utile rimane da fare: ricostruire la società su altre basi”,
Internazionale Situazionista n°7, aprile 1962, p.23”.

(2) Internazionale Situazionista n°8, 1963, “Dominio della


natura, ideologie e classi”.

(3) “I gruppi che ammettono il fallimento, non circostanziale


ma fondamentale, della vecchia politica, dovranno ammettere
che non hanno diritto all’esistenza come avanguardia
rivoluzionaria permanente (il corsivo è nostro) se non danno
essi stessi l’esempio di un nuovo stile di vita - di una nuova
passione”.

(4) Internazionale Situazionista n°7, p.16, 1962, “I brutti giorni


finiranno”.

(5) Internazionale Situazionista n°7, 1962, “Note editoriali”.

(6) Internazionale Situazionista n°6, 1961, p.14: “La cornice


familiare crolla fortunatamente, con le ragioni di vivere
ammesse in precedenza, con la scomparsa del minimo di
convenzioni comuni tra gli individui, ed a maggior ragione tra
le generazioni”.

19
Guy Debord e i situazionisti

(7) Definizione Minima delle Organizzazioni Rivoluzionarie,


adottata dalla settima conferenza dell’Internazionale
Situazionista.

(8) Sull’Internazionale Situazionista n°8, gennaio 1963


(“Banalità di base”), scriveva: “Nello stesso modo per cui Dio
costituiva il punto di riferimento della società unitaria passata,
ci prepariamo a fornire ad una società unitaria adesso possibile
il suo punto di riferimento centrale”. Citato da Gianfranco
Marelli in L’amara vittoria del situazionismo [ed. francese:
L’amère victoire du situationnisme, Sulliver, 1998].

(9) Internazionale Situazionista n°10, 1966, ristampata da


Jean-Jacques Pauvert, Aux belles lettres,1993.

(10) “Il levarsi del sole, che, in un lampo, disegna la forma del
nuovo mondo, lo si è visto in questo mese di maggio in
Francia con le bandiere rosse e le bandiere nere mescolate della
democrazia operaia. Il seguito avverrà ovunque”,
Internazionale Situazionista n°12, 1969.

(11) La véritable scission dans l’Internationale [La vera


scissione nell’Internazionale], Guy Debord e Gianfranco
Sanguinetti, Champ Libre, 1972.

(12) Ciò che ha giustamente rilevato la rivista Encyclopédie


des nuisances [Enciclopedia delle nocività] nel suo n°15, p.63,
“Abrégé” [Riassunto], aprile 1992.

(13) Anti-gerarchia alla quale l’I.S. metteva i limiti che si


imponevano. Così “la preminenza momentanea dell’I.S. è un

20
Guy Debord e i situazionisti

fatto di cui occorre tener conto, una felice disgrazia, come il


sorriso ambiguo del gatto-tigre delle rivoluzioni invisibili”.
(I.S. n°11, ottobre 1967, p.39).

(14) “L’Internazionale Situazionista a Claude Gallimard,


Parigi, 21 gennaio 1969. Non hai motivi validi per trovare
divertente la nostra lettera del 16 gennaio. Hai ancora più torto
a credere che puoi aggiustare la questione ed anche incontrarci
attorno ad un bicchiere. I nostri testimoni sono diretti, sicuri e
da noi ben conosciuti. Ti abbiamo detto che non avrai mai più
un solo libro di un situazionista. Ecco tutto. Ce l’hai nel culo.
Dimenticaci. Per l’Internazionale Situazionista: Christian
Sébastiani, Raoul Vaneigem, René Vienet”.

(15) Guy Debord, Commentaires sur La société du spectacle


[Commentari sulla società dello spettacolo], éditions Gérard
Lebovici, 1988.

(16) Guy Debord, Panégyrique [Panegirico], Gérard Lebovici,


1989.

(17) La ciliegina sulla torta appartiene ancora una volta al


nostro inenarrabile Philippe Sollers che si riferisce molto
spesso a Debord, mentre, non contento di aver approvato
l’ingresso dei carri armati russi a Praga nel 1968 - era
necessario comunque dirlo - è stato anche uno degli
intellettuali maoisti francesi più conseguenti poiché lo fu fino
alla morte di Mao nel 1976, ed anche un po’ dopo, difendendo
la sua vedova e criticando la deriva di Huau Guofeng. Ci
fermeremo qui, poiché la lista non può che partire da quegli
intellettuali che celebrano Debord ora che è morto e che furono
21
Guy Debord e i situazionisti

ammiratori di una Cina dove troneggiava ovunque il ritratto di


Stalin, e che non potevano neppure ignorare che allora milioni
di cinesi si trovavano nei campi!

(18) “Il compito non consiste più adesso nell’inasprire


l’insoddisfazione ovunque in sospeso facendo conoscere una
teoria generale che condanni l’ordine delle cose, ma consiste
piuttosto nel compito opposto: attualizzare questa condanna
universale e renderla di nuovo concreta mettendola in
collegamento con la molteplicità dei malcontenti parziali ormai
espressi (…). In breve, si tratta, ancora una volta, di riscrivere
le teorie con l’aiuto dei fatti, e di renderle così più adatte ad
essere messe in pratica. Encyclopédie des Nuisances
[Enciclopedia delle nocività], n°1, novembre 1984, “Discours
préliminaire” [Discorso preliminare], p.15.

(19) Encyclopédie des Nuisances, n°1, novembre 1994.

(20)”… e vi risponderemo che se c’è troppa discussione nel


momento della verifica pratica, è perché non ce n’è stata
abbastanza prima”. Ibid. n°13 allegato 1, p.295, luglio 1988.

(21) Nel suo bilancio dell’esperienza situazionista (n°15,


“Abrégé”, pp. 63, 66, 71 e 72), l’Enciclopedia delle nocività
denunciava “la valorizzazione del cambiamento permanente
come motore passionale della sovversione, l’idea della
ricchezza infinita di una vita senza opera, ed il discredito di
conseguenza gettato sul carattere parziale di ogni realizzazione
positiva”, “il mito di una fusione totale della teoria e della
pratica, presunta essersi effettivamente realizzata all’interno
dell’I.S. con, come pendant “storico”, quello di una rivoluzione
22
Guy Debord e i situazionisti

che realizza in un solo colpo questa fusione all’interno della


società” così come la “rivelazione di una teoria totale” e la
“certezza settaria d’appartenere a una comunità di eletti”.

(22) Encyclopédie des Nuisances, n°14, “Ab ovo”, novembre


1989.

(23) Encyclopédie des Nuisances, n°2, “Histoire de dix ans”


[Storia di dieci anni], febbraio 1985, p.40.

(24) Encyclopédie des Nuisances, n°14, “Ab ovo”, novembre


1989, p.4.

(25) Encyclopédie des Nuisances, n°2, “Histoire de dix ans”,


febbraio 1985, e n°13, p.34, “Aboutissement” [Conclusione],
“(…) Questo punto di vista suppone che, con l’incremento
della curva di espropriazione che trascina con sé lo sviluppo
autonomo dell’economia, i proletari saranno in un certo qual
modo obbligati alla coscienza. Ma questo è meno vero che
mai”.

(26) “È al contrario la scomparsa del partito della sovversione


che ha permesso ai gestori dell’economia di andare così
lontano nel disastro”. Encyclopédie des Nuisances, n°15,
“Abrége”, p.70.

(27) “Ma avremo pienamente ragione soltanto aiutando i


movimenti pratici affinché, ovunque, sorgano spontaneamente
dal terreno della società dell’espropriazione, scoprano il loro
contenuto universale nella rottura con ogni idea di progresso
economico e nell’organizzazione antistatale di un controllo

23
Guy Debord e i situazionisti

cosciente di tutta la tecnologia esistente”. Encyclopédie des


Nuisances, n°14, “Que sommes nous sans elle” [Che siamo
senza di lei], novembre 1989, p.IV.

(28) Encyclopédie des Nuisances, n°14, “Ab ovo”, novembre


1989, p.12.

(29) “E l’efficacia di questa Enciclopedia si misurerà, tra


l’altro, con la nostra capacità di suscitare nel campo nemico
altre diserzioni, da parte di coloro che sono suscettibili di
comprendere che diamo loro l’occasione di un migliore
impiego dei loro talenti e delle loro conoscenze”. Encyclopédie
des Nuisances, n°1, “Discours préliminaire”, p.18.

(30) Jaime SEMPRUN, L’abîme se repeuple [L’abisso si


ripopola], éd. de l’Encyclopédie des Nuisances, 1997.

TRADUZIONE DI OMAR WISYAM

24

Vous aimerez peut-être aussi