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Psicologia delle passioni e retorica degli affetti

Che imitare e ‘movere’ gli affetti fosse nel XVII secolo una delle preoccupa-
zioni maggiori di musicisti, pittori, letterati o uomini di teatro, non è il caso di
ripeterlo; ma cosa rappresentò esattamente la dottrina degli affetti?
Affetti, passioni, moti dell’animo; questi principalmente i termini usati per
nominare sentimenti, emozioni o generici stati d’animo.1 Vediamo cosa si in-
tendesse esattamente. Un dizionario della metà del cinquecento cita:

AFFECTUS,US (affetto, affettione, passione) idem quod affectio.


AFFECTIO, ONIS: animi motus, sive passio, ut amor, odium, iracundia, invidia,
timor, laetitia, spes.2

Affectus viene qui assimilato ad affectio, ma non sarebbe del tutto corretto,
dato che il primo termine designa uno ‘stato’ ed è passivo (da afficere), mentre
affectio può essere inteso sia in senso passivo che attivo, e infatti nel dizionario
viene inteso come ‘moto’. Questa doppia etimologia della parola affetto può
forse spiegare la sua fortuna e la sua duttilità, infatti troviamo raccolti sotto
questa comune denominazione i sentimenti, le emozioni, ma anche i vizi e le
virtù che sono più propriamente ‘stati’ che non ‘moti’.
Il termine passione3 ha una storia molto più lunga e travagliata e non riuscirà
mai veramente a liberarsi dall’assimilazione alla malattia, introdotta dai medici
greci, come emerge dalla definizione dello stesso dizionario, dove l’accento è
infatti messo sull’aspetto della perturbazione:

PASSIO, ONIS: (passione, pertutbatione) animi perturbatio: cuius modi sunt amor,
odium, iracundia, invidia.

L’espressione ‘affetti’ sembra comunque prestarsi meglio ad un contesto de-


scrittivo, mentre ‘passioni’ ad uno causale.

1
Il cantante-compositore Giulio Caccini è l’unico ad utilizzare il termine ‘sentimenti’, assoluta-
mente inusuale all’epoca o usato, come nel caso di Cesare Ripa, per designare i sensi (vista,
olfatto, udito, tatto, gusto) cfr. RIPA, Iconologia, p.. Caccini, Euridice (prefazione), in SOLERTI, Le
origini del melodramma, p. : «non avendo mai nelle mie musiche usato altr’arte che l’imitazione
de’ sentimenti delle parole» o ancora, p. : «[...] ho sempre procurata l’imitazione de i concetti
delle parole, ricercando quelle corde più e meno affettuose, secondo i sentimenti di esse».
2
AMBROSII CALEPINI, Dictionarium.
3
Dal greco Pathos.


Per quanto riguarda il seicento, con il termine ‘teoria degli affetti’ - anche se
sarebbe più corretto parlare di ‘teorie’ al plurale - si è soliti far riferimento ai
procedimenti con cui la musica perseguiva l’obiettivo primario di rappresentare
le emozioni suscitando al tempo stesso la partecipazione emotiva degli ascolta-
tori. Ma questo obiettivo non era un’esclusività della musica; molte altre ‘arti’ si
muovevano infatti nella stessa direzione. Pittura, scultura, poesia e, se mi si con-
cede di comprenderla tra le arti, anche la mimica, erano accomunate dallo stesso
tipo di ricerca espressiva. In comune esse non avevano però soltanto questa
finalità ma qualcosa di altrettanto importante: il modo di procedere che,
guardacaso, consiste ancora una volta nell’applicazione di quel principio di ana-
logia che in virtù della sua intuitività ha sempre accompagnato lo sviluppo del
pensiero umano e che permette di stabilire corrispondenze tra elementi di
natura diversa. Nel caso della musica questo significa, per esempio, poter creare
una corrispondenza analogica tra sfera affettiva da un lato e figure retorico-
musicali dall’altro mentre in pittura può voler dire, invece, stabilire una relazio-
ne tra sfera affettiva e gamma dei colori e così via. Per quanto riguarda la mimi-
ca, un buon esempio di corrispondenza tra elementi di natura diversa può esse-
re quello già visto: destra uguale bene, sinistra uguale male con cui viene stabi-
lita la connessione tra sfera affettiva e sfera corporea.
L’obiettivo di imitare e ‘movere’ gli affetti non appartiene certo al solo sei-
cento, ha anzi origini antichissime; propria a quest’epoca è invece la ricerca in
direzione di una sempre maggior espressività cui si accompagna, sul piano teo-
rico, un’esigenza di sistematizzare su basi razionali la materia. Poiché per rap-
presentare passioni estreme o forti contrasti affettivi è necessario possedere un
vocabolario ricco di nuances, si fa sempre più sentita l’esigenza di stabilire una
classificazione delle passioni, per cercare di cogliere l’essenza di ciascun affetto e
trovare così il modo migliore di rappresentarlo.4 Bisogna tener presente infatti,
come giustamente fa osservare Bukofzer, che «la moderna psicologia della dina-
mica delle emozioni non esisteva nell’età barocca. I sentimenti erano classificati
e stereotipati in una serie di cosiddetti ‘affetti’, ciascuno dei quali rappresentava
uno stato mentale in se statico».5
Per rappresentare esattamente ciascun affetto si voleva poter disporre di pre-
cise figure espressive. Quello che era intuitivo si consolida su basi razionali; le
analogie, prima percepite intuitivamente, vengono ora catalogate a formare un
corpus che mira ad essere coerente ed omogeneo. Questa esigenza di
sistematizzazione si estende ai diversi ambiti; in campo musicale l’esempio più

4
Cfr. DONÀ, Affetti musicali, p. .
5
BUKOFZER, La musica barocca, pp. -.


noto di una ricerca in questo senso è probabilmente il XI libro della Musurgia
Universalis di Athanasius Kircher,6 interamente dedicato a fissare i criteri in base
ai quali procedere alla trasposizione musicale dei singoli affetti.7 Nell’ambito
delle arti figurative si può osservare un’analoga tendenza nel Trattato dell’arte
della pittura, in cui Lomazzo raggruppa le emozioni affini, per ciscuna delle quali
propone un’esatta resa mimico-posturale.
Al fine di comprendere più a fondo il modo di rapportarsi alle emozioni
proprio della cultura seicentesca, propongo ora di accostarsi alla tradizione di
studi che essa ereditò e sui cui si sviluppò.
La psicologia delle passioni, ‘scienza’ che muove i primi passi nella Grecia
antica, fu un riferimento obbligato.8 La tradizione greca dell’età arcaica, che ci
è nota attraverso i poemi omerici e la tragedia, descriveva un uomo in preda alla
furia delle proprie passioni, privo di equilibrio e controllo. La percezione, da
parte dell’uomo greco, di questa instabilità, reclamava la creazione di un’entità
in grado di costituirsi come polo di controllo alternativo al complesso delle
emozioni. La concezione, di derivazione orfico-pitagorica, dell’anima quale entità
di natura divina e immortale, ben si prestava a fare del corpo il naturale antago-
nista, nel quale relegare il complesso delle passioni. Mediante la pratica ascetica
si sarebbe potuto tener l’anima separata e sorda ai suoi richiami. Se dal punto di
vista religioso questa visione poteva essere soddisfacente, non era però suffi-
ciente dal punto di vista del controllo sociale. Per questo era necessaria una
visione più ‘realistica’, capace di elaborare forme educative, sostenute dalla inte-
ra società, che inducessero all’autocontrollo delle spinte passionali.
Platone offre una soluzione, sganciando le passioni dal loro legame diretto
con la corporalità e riconducendole all’interno dell’anima stessa. L’anima avrebbe
quindi tre componenti: da un lato, e precisamente nel cuore, starebbero le pas-
sioni sociali derivanti dallo thymos, il valore guerriero di ascendenza omerica,
passioni nobili anche se pericolose, esprimenti il desiderio di libertà, di vittoria,
di dominio, di gloria e di stima. La tradizione latina chiamerà quest’anima ‘ira-
scibile’, svilendo e banalizzando l’originario termine.9
6
Roma, . Cfr. KIRCHER, Musurgia, in bibliografia.
7
Su Kircher si veda lo studio monografico:SCHARLAU, Athanasius Kircher ; per la teoria degli
affetti espressa nella Musurgia cfr. PACZKOWSKI, Esposizione della teoria degli affetti e DONÀ, Affetti
musicali.
8
Per la parte riguardante la psicologia delle passioni nel mondo greco e medioevale ho fatto
riferimento in particolare ai seguenti testi: VEGETTI, Passioni antiche; FUMAGALLI, L’amore passione
assoluta; MEYER, Le philosophe et les passions.
9
Thymos, designa il nobile valore guerriero, accomuna in sé sia l’ira che il coraggio ed il valore.
Nella tradizione greca ha un posto particolare tra le passioni; arcaicamente era considerato una
virtù che permetteva all’eroe di conservare la propria libertà individuale e di differenziarsi così


Inferiormente, nel fegato, si collocano i desideri legati al corpo, i piaceri
venerei, la brama di cibo e di vino. È questa l’anima concupiscibile (da
epithymousthai - desiderare).
Al polo opposto sta l’anima razionale, posta nel cervello ed immortale; ha
facoltà di percezione, memoria, comprensione, desiderio di conoscenza, di buon
governo e tende alle cose belle, ai piaceri puri. Essa guida la condotta verso
scopi moralmente e socialmente desiderabili, configurandosi quindi come mec-
canismo di controllo delle passioni che mettono a rischio l’ordine sociale.
Secondo Platone, l’anima irascibile può appoggiare la ragione per frenare i
desideri della carne; ma anche questi ultimi e in particolare l’eros, se ben indiriz-
zati possono fornire alla ragione l’energia necessaria per perseguire i suoi nobili
scopi. Dunque, sebbene in un versante del suo pensiero Platone identifichi le
passioni come affezioni, malattie dell’anima, esse sarebbero tali solo se la sfera
razionale fosse incapace di orientarle, se restasse in una posizione di passività;
canalizzando invece queste energie ‘pericolose’ nella giusta direzione, le disto-
glierebbe da altre meno accettabili.
Aristotele accetta in buona parte questa visione «energetica»,10 come anche
la tripartizione delle sfere d’influenza dell’anima, mettendo però l’accento sulla
sua unità e rifiutando la tradizionale separazione con il corpo. Abbiamo così
l’anima vegetativa preposta alle funzioni biologiche della nutrizione, crescita e
riproduzione e l’anima sensitiva in cui confluisce tutto l’insieme delle passioni,
che in funzione della orexis (tensione, tendenza) propenderà o meno verso con-
dotte moralmente accettabili. L’anima razionale potrà guidare queste inclina-
zioni, senza necessariamente essere in conflitto, in un’opera di mutua collabora-
zione. Aristotele ha una posizione più rassicurante, di pacificazione di ragione e
passioni.
Secondo gli stoici l’uomo tenderebbe naturalmente alla perfezione morale e
intellettuale, ma i meccanismi dell’integrazione sociale, pervertendo questa ten-
sione, lo impedirebbero. Nella loro concezione, non c’è posto per le passioni
all’interno dell’anima che è solamente ragione. Le passioni sono perturbazioni,
malattie causate dall’ambiente sociale che tende a creare nell’individuo false
opinioni su cosa sia bene e cosa sia male, associando il bene al piacere e il male

dall’uomo non libero, dallo schiavo. Platone e Aristotele, pur considerandolo, al pari delle altre
passioni, un elemento irrazionale dell’anima e quindi pericoloso, non possono fare a meno di
stimarlo, considerandolo l’uno come portatore di una grande e necessaria energia vitale, l’altro
come giusto rifiuto di piegarsi ai soprusi altrui. Lo stesso Cicerone, dopo secoli di patologizzazione
delle passioni, non riesce ad assimilare il Thymos alle altre passioni nella comune accezione di
‘malattia’.
10
VEGETTI, Passioni antiche, p. .


al dolore; se la ragione cede a queste rappresentazioni esterne, la malattia si
impadronisce dell’anima e la rivolta contro se stessa, orientando la condotta alla
ricerca del piacere e alla fuga dal dolore, stravolgendo i fini intellettuali e morali
della vita. La passione dunque, diversamente che in Platone e Aristotele, non è
più integrabile, ma va radicalmente rimossa. Questa visione porterà allo svilup-
po degli studi nel campo della terapeutica delle passioni e alla conseguente
classificazione descrittiva degli stati passionali. L’analisi stoica non attribuisce un
diverso valore a determinati stati passionali, mettendo sullo stesso piano le pas-
sioni ‘nobili’ e le passioni più strettamente legate alla sfera del corpo. Attraverso
l’osservazione ‘clinica’ svilupperà una lettura in chiave psicologica delle passio-
ni, che influenzerà il pensiero filosofico fino all’età moderna.
Anche le spiegazioni di tipo fisiologico, che da sempre si intrecciarono a
quelle più strettamente filosofiche, ebbero ugual fortuna. La teoria dei tempera-
menti emotivi, di cui si è parlato nel capitolo precedente, avrà ad esempio un
ruolo molto importante nella definizione delle cause delle passioni. Anche in
questa visione non c’è posto per le passioni all’interno dell’anima, riducendosi
queste a non essere altro che il risultato di una predisposizione organica.

Questo eterogeneo corpus di studi fu trasmesso, nel corso del medioevo, dal
lavoro di copia, commento ed interpretazione portato avanti dagli ordini reli-
giosi; aristotelismo e stoicismo spesso vengono fusi in compendi che mancano
di coerenza interna; l’interpretazione viene forzata dal continuo sforzo di con-
ciliare il sapere del passato con la nuova visione cristiana.
L’‘amore’ entra prepotentemente nel novero delle passioni, anzi, diventa ‘la
passione’ nobile per eccellenza, cui ricondurre tutte le altre. Sant’Agostino, crea
un nuovo modello di passione, totale, smisurato e positivo, perché pago di se
stesso, perché salva ed eleva: l’amore per Dio.11 Tutte le passioni vengono così
ricondotte all’amore; il desiderio è il suo avvicinarsi, la paura il suo ritirarsi, il
dolore il suo tormento e il piacere il suo riposo. Non è più la ragione adesso a
guidare, ma la fede; l’uomo, attraverso la moderazione cristiana, ha la possibilità
di trasformare le passioni in virtù:

Se l’odio, e l’amore che sono i fonti delle passioni, vengono prudentemente,


modestamente, e fortemente, e giustamente maneggiati, divengono rare virtù, e
11
L’amore per Dio si rifletterà in quello verso la donna amata, la ‘madonna’ medievale, innalzata
a oggetto di contemplazione; l’amor cortese, proprio come l’amore per Dio, fonderà infatti la
propria nobiltà nell’esser gratuito, totale e incondizionato, e per questo non potrà che ardere
fuori dal ‘contratto’ matrimoniale. L’amore, in questa forma, è sostanzialmente estraneo alla
tradizione greca; viene a sostituirsi, per rilevanza, al Thymos, passione guerriera, spostando l’at-
tenzione dal contesto collettivo in cui essa veniva espressa, alla sfera individuale, interiore.


si convertono in Prudenza,Temperanza, Fortezza, e Giustizia. Non è egli dunque
un pensiero barbaro supprimere le passioni, che hanno tanta affinità con le virtù,
e sì facilmente ponno inalzarsi alla più sublime condizione [...] ?12

Marsilio Ficino, alla cui teorizzazione si deve forse l’affermazione del con-
cetto di ‘affetto’ inteso come moto dell’anima,13 attribuisce all’anima «un dop-
pio affetto e una doppia inclinazione per cui essa è ugualmente rivolta verso il
divino e verso il sensibile»;14 a seconda dei fini che l’uomo sceglie di perseguire,
ovvero a seconda che scelga di percorrere la via della virtù o quella del vizio
godrà, dopo la morte, dell’eterna beatitudine oppure avrà la condanna e perderà
per sempre la conoscenza di Dio.15

La tradizione fin qui ripercorsa resterà il quadro di riferimento almeno fino


alla metà del seicento, fino, cioè, al primo contributo veramente originale che
verrà da Cartesio, contributo che, almeno in Italia, non sarà però recepito tanto
presto. I trattatisti seicenteschi non faranno dunque che riprendere gli autori e
le scuole di pensiero cui si sentono più affini.16 Prevale su tutte la tradizione
aristotelica che, come si è visto, attribuiva all’anima tre facoltà preminenti, una
vegetativa (funzioni biologiche), una apprensiva (ragione) ed una sensitiva, che
è all’origine dell’appetito concupiscibile e dell’appetito irascibile. Al
concupiscibile sono ricondotte sei passioni ‘fondamentali’: l’amore e l’odio, il
desiderio e la fuga, il piacere ed il dolore; all’irascibile altre sei: la speranza e la
disperazione, l’audacia e il timore, la collera e la viltà.17
Cartesio rompe con la tradizione. Nel trattato Le passioni dell’anima, così
esordisce:

12
S. Agostino, De Spiritu et Anima c.  ; si cita da SENAULT, L’uso delle passioni, p. .
13
Cfr. KRISTELLER, Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, pp. -.
14
KRISTELLER, Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, p. .
15
Cfr. KRISTELLER, Il pensiero filosofico di Marsilio Ficino, p. .
16
Questa dipendenza dalle auctoritates è ben espressa da François Senault, sacerdote francese, nel
trattato citato: «Se non fosse contro tutta la Morale, mettere in dubbio tale massima, e se non
dovesse parer temerario opporsi ad un’opinione approvata per tanti secoli; sarei quasi di pensiere
di sostentare, che tutte queste passioni sono in un solo appetito, che si divide solo secondo i moti
diversi [...]» SENAULT, L’uso delle passioni, p. .
17
La differenza tra questi due gruppi risiede nel fatto che l’appetito concupiscibile si rapporta al
bene e al male in assoluto (amore-odio) o in base al fatto che essi siano assenti (desiderio-fuga)
o presenti (piacere-dolore), mentre l’irascibile considererebbe il bene o il male «sotto ragione di
difficoltà d’acquistarlo, et ottenerlo, fuggirlo, over schivarlo». LOMAZZO, Trattato dell’arte, p. .
Cfr. anche SENAULT, L’uso delle passioni, pp. - e Emanuele Tesauro, La filosofia morale derivata
dall’alto fonte del grande Aristotele Stagirita, citato in DONÀ, Affetti musicali, p. .


Le scienze che abbiamo ricevuto dagli antichi in nulla dimostrano così bene
la loro insufficienza quanto in ciò che riguarda le passioni; infatti, benché sia
questo un argomento la cui conoscenza è stata sempre molto ricercata, e ancorché
non sembri essere particolarmente difficile, visto che ognuno prova passioni in
se stesso, e non ha bisogno di cercare altrove osservazione alcuna per scoprirne
la natura, nonostante tutto ciò, quel che gli antichi hanno insegnato è così scarso,
e in genere così poco attendibile, che non mi resta altra speranza di avvicinarmi
al vero se non allontanandomi da tutte le strade battute da loro. Perciò io sarò
costretto a scrivere qui come se trattassi una materia da nessuno mai affrontata
prima.18

Posizione coraggiosa, anche se, al di là della dichiarazione d’intenti, riesce


difficile non scorgere nel trattato, una certa eco della tradizione stoica. Però
l’elemento di novità c’è, ed è forte. Le passioni, infatti, in Cartesio, non sono più
vissute come un problema poiché la volontà «è per sua natura talmente libera da
non poter esser mai costretta».19 Le armi della volontà consistono in giudizi
chiari e saldi su cosa sia bene e cosa sia male e in base ai quali si è scelto di
condurre la propria vita. Non c’è anima, per quanto debole, che non possa
dominare completamente le proprie passioni visto che, come fa notare l’autore,
«se con un pò di applicazione si possono mutare i movimenti del cervello degli
animali privi di ragione, è chiaro che si può farlo anche meglio negli uomini».20
L’errore degli antichi, per Cartesio, è stato immaginare che vi fosse una parte
inferiore e una superiore nell’anima, in conflitto fra loro; in realtà, dice, l’anima
è una sola, ed è ad un tempo sensitiva e naturale, e tutti i suoi aspetti sono
manifestazioni della volontà. È il trionfo del razionalismo, che però, in tema di
passioni, non sarà destinato a durare.
Moderna, anzi, verrebbe da dire, barocca, la passione prima: la meraviglia,
cui fanno seguito, altre cinque passioni primitive di cui tutte le altre sarebbero
specie: l’amore, l’odio, il desiderio, la gioia, la tristezza.

Questo dunque il retroterra su cui si innesta la retorica degli affetti, molto


meno interessata a spiegarne le cause che a capire come rappresentarli. Ed è
proprio in funzione della loro rappresentazione che la classificazione si rivela di
fondamentale importanza, fornendo gli elementi in base ai quali stabilire preci-
se corrispondenze sul piano espressivo.

18
CARTESIO, Opere filosofiche, p. .
19
CARTESIO, Opere filosofiche, p. .
20
CARTESIO, Opere filosofiche, p. .



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