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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI FEDERICOII

FACOLTÀ DI SCIENZE POLITICHE –

CORSO DI LAUREA SPECIALISTICA IN

RELAZIONI INTERNAZIONALI E STUDI DIPLOMATICI

TESI DI LAUREA IN
Storia delle Relazioni Euromediterranee

Il conflitto tra Georgia e Russia:


la guerra dell’informazione

Relatore Candidato
Ch.mo Prof. Alessandro Ingegno
Matteo Pizzigallo matr. 090/00043

ANNO ACCADEMICO 2008-2009

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Il conflitto tra Georgia e Russia: la guerra dell’informazione
Introduzione 6
Capitolo 1- Storia della Georgia
• 1.1 – Cristianizzazione e dominio arabo 8
• 1.2 – La dominazione Russa 10
• 1.3 – L’Impero Zarista e il movimento nazionale georgiano 12
• 1.4 – Menscevichi e bolscevichi 15
• 1.5 – Tra prima Guerra mondiale e rivoluzione 17
• 1.6 – Il ritorno dei sovietici in Georgia 20
• 1.7 – La Georgia: laboratorio della cooperazione economica Usa-
Urss 22
• 1.8 – Dalla repressione alla fedeltà: la II guerra mondiale 23
• 1.9 – Dopoguerra e destalinizzazione: i riflessi in Georgia 25

Capitolo 2 –Proclamazione d’indipendenza e ricerca di stabilità


• 2.1 – Nasce la Repubblica di Georgia 27
• 2.2 – Ossezia del Sud e Abkhazia: due focolai 29
• 2.3 – L’equilibrismo di Shevarnadze 31
• 2.4 – La “Rivoluzione delle rose” 34
• 2.5 – Saakashvili l’autoritario: la conquista dell’Agiaria e il I
conflitto in sud-Ossezia 36
• 2.6 – Nuovo scontro con la Russia per l’Abkhazia 41
• 2.7 – La Georgia filo-occidentale 43
• 2.8 – Le rose e le spine
45
• 2.9 – La rielezione di Saakashvili 47

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Capitolo 3 – La Georgia contesa e l’esplosione della crisi
• 3.1 – La Georgia tra Mosca e Washington: aspetti politici,
economici e militari 51
• 3.2 – L’economia georgiana sulla via del neoliberismo 62
• 3.3 – La Georgia contesa da Mosca e Washington: la questione
energetica 66
• 3.4 – Il preludio della guerra 70
• 3.5 – Agosto 2008: “la guerra dei cinque giorni” 73
• 3.6 – Le conseguenze del conflitto: 80
1. Abkhazia e Ossezia del sud indipendenti
2. La preadesione alla NATO
3. Il White Stream project

Capitolo 4 – Rappresentazione della crisi e ruolo dei media 87


• 4.1 – L’informazione come arma di guerra 89
• 4.2 - La revisione della guerra e il mea culpa di alcuni media
occidentali 93
• 4.3 – Analisi principali quotidiani italiani 97
1. “la Repubblica” – Intervista al caporedattore esteri Nicola

Lombardozzi
2. “Corriere della Sera”

• 4.4 – Omessa la descrizione degli interessi energetici nell’area


georgiana 108
• 4.5 – L’informazione di guerra su internet: speranza di
un’informazione più “democratica” 112
• 4.6 – Il ruolo dei media durante e dopo il conflitto: intervista a
Mikhail Saakashvili 114

3
Capitolo 5 – Il ruolo e la posizione della diplomazia italiana
• Intervista al sottosegretario al Ministero degli Affari Esteri,
Senatore Alfredo Mantica 117

Conclusione 120

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5
Introduzione

Il conflitto cosiddetto “dei cinque giorni”, che ha sconvolto un mondo


distratto dalla contemporanea cerimonia inaugurale dei Giochi olimpici
di Pechino l’8 agosto 2008, ha visto un piccolo Stato come la Georgia
rivendicare con la forza due regioni separatiste, supportata dal tacito
consenso statunitense, fino a giungere allo scontro con il gigante militare
russo. Per l’intera durata del conflitto un ruolo attivo molto importante è
stato giocato dall’informazione e dalla contro-informazione di guerra
operata dai mass-media occidentali da un lato, e dai mass-media russi
dall’altro. Per comprendere meglio come si è arrivati allo scontro frontale
è necessario studiare prima gli aspetti storici della Georgia, per poi
giungere ad analizzare la vera posta in gioco, ovvero il controllo delle vie
energetiche del XXI secolo.
Dal punto di vista geografico la Georgia, che si inserisce all’interno
dell’area del Caucaso meridionale anche nota in passato come
Transcaucasia, vede il suo territorio diviso in due parti (una sul Mar Nero
e l’altra sull’altopiano dell’Iran) dalla presenza della catena di Surami,
posizione che ha influenzato la storia georgiana dividendolo tra una
propensione occidentale ed una orientale.
Posta tra il Mar Nero ed il Mar Caspio, la Georgia è un ponte tra
occidente ed oriente, meridione e settentrione, porzione importante di
quella che fu la “via della seta”. La particolare collocazione geografica fa
della Georgia un territorio eternamente conteso tra due universi
contrapposti, due differenti percorsi verso complessità politiche ben
distinte, ognuna delle quali l’ha conquistata con pari imperfezione. Le
dominazioni ellenistiche e romane, il passaggio dei popoli d’oriente,
l’impero zarista, i comunisti sovietici, gli stati occidentali, ma anche un

6
forte radicamento della religione cristiana ortodossa, che ha saputo
resistere, non senza influenze, al vicino Islam. Con una popolazione di
circa 4 milioni e mezzo di abitanti, la Georgia si caratterizza anche per
una composizione etnica non del tutto uniforme: georgiani (84%), azeri
(6.5%), armeni (5.7%), russi (1.5%) e poi turchi, ossetini ed abkhazi.
Questa popolazione multinazionale dà luogo ad una eterogeneità religiosa
che vede, accanto alla grande maggioranza composta da cristiani
ortodossi (83.9%), una compatta minoranza musulmana (9.9%) ed
un’esigua presenza cattolica (0.8%) ed armeno-gregoriana.

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Capitolo 1 – Storia della Georgia

1.1 – Cristianizzazione e dominio arabo

Il primo insediamento delle popolazioni georgiane nell’area subcaucasica


risale orientativamente al periodo tra l’VIII e VII secolo A.C. Già da
allora questa popolazione fu soggetta a dominazioni e spartizioni, come
testimoniano le presenze dei greci prima, che colonizzarono per esteso la
costa del Mar Nero, tra cui la città georgiana Colchi (l’attuale Poti), e dei
romani successivamente, con la spedizione di Pompeo allo scopo di
domare le tribù locali ed estendere l’influenza di Roma nella regione.
Intorno al 200 A.C. la Georgia era già considerata uno snodo mercantile
fondamentale, inserita nella cosiddetta “via della seta”. Ma tappa
fondamentale nella storia dell’antica Georgia è stato senza dubbio il
passaggio per queste terre di Santo Nino di Cappadocia, responsabile
della cristianizzazione dell’intera Georgia, intorno al 317 d.C., che
divenne il secondo stato cristiano al mondo. Impresa che risulterà segnare
profondamente la storia del paese nel corso dei secoli, con importanza
nell’orientamento prima occidentale e poi europeista della popolazione
georgiana, e che acquista ancor più valore considerando quanto fu
determinante l’avvicinamento religioso con l’Impero romano per
sottrarre la Georgia (ma anche buona parte della Subcaucasia) all’allora
dominante influsso culturale e religioso iranico, dovuto alla vicinanza
geografica.
La cristianizzazione non riuscì però a tenere lontane le mire
espansionistiche dell’Iran il quale esercitò progressivamente sulla
Georgia una forte influenza, alla fine del IV secolo, in particolare nel
regno di Iberia, Georgia orientale; mentre la parte occidentale restava
inglobata nell’Impero romano. Fu allora che nacque un forte

8
identitarismo georgiano, con lo sviluppo di un alfabeto nazionale e una
propria cultura letteraria. Identità che però non riuscì ad evitare la caduta
del regno di Iberia soppresso, nell’anno 580, ad opera dell’Iran. Sempre
in quel periodo si fa risalire la scissione della Chiesa armena dalla Chiesa
georgiana, la quale rimase legata alla Chiesa di Costantinopoli.
Ruolo fondamentale del cristianesimo georgiano fu la creazione, grazie al
“collante religioso”, di una civiltà sostanzialmente omogenea, nonostante
le divergenze teologico - politiche, con gli altri due popoli subcaucasici,
Albani e Armeni, dando vita alla “Caucasia Cristiana”.
Questa civiltà raggiunse il suo apogeo nei secoli a seguire, paragonabile
al livello raggiunto dalle civiltà europee durante l’Alto Medioevo. A
partire dalla seconda metà del VII secolo gli Arabi cominciarono ad
imporre con la forza un dominio sull’area subcaucasica. Gran parte delle
aree caucasiche diventarono province dell’immenso Califfato
musulmano. Nel 645 gli Arabi conquistarono il centro della vita politica e
culturale georgiana, Tbilisi, imponendovi un emirato arabo, senza però
riuscire a conquistare alcune regioni georgiane occidentali che, grazie
alla forte identità religiosa, riuscirono a mantenere intatta una certa
coesione evitando in questo modo la completa l’islamizzazione. La
dominazione araba tuttavia, per quanto violenta, rimane sicuramente,
nella storia della Georgia, una fase in cui questa popolazione costruì uno
dei suoi più importanti e brillanti periodi. Solamente nel 1122 Tbilisi fu
riconquistata definitivamente diventando così la capitale di un vasto
regno che comprendeva quasi tutto il Caucaso meridionale. Alla
definitiva scomparsa dell’antica Albània ed alla profonda crisi
dell’Armenia si contrapponeva il rafforzamento incontenibile della
Georgia la quale, nel 1199, inglobò nel suo territorio buona parte delle
regioni armene. Annessione che permise a una parte del paese di tenersi
al sicuro dalla conquista mongola dell’Armenia nel 1220 (invasione che

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causò anche la fuga in Georgia degli Alani, gli attuali Osseti). Fu in
questo periodo, sotto il regno della regina Tamara, che la Georgia
raggiunse il punto più alto della sua storia, inserita nel mondo ortodosso
di Bisanzio, rappresentando quindi l’ultimo caposaldo della Caucasia
cristiana, ma al tempo stesso positivamente influenzata dal modello
culturale islamico.

1.2 – La dominazione Russa

Nei due secoli a venire la Georgia, come il resto del Caucaso meridionale
e gran parte del Caucaso settentrionale, divenne terreno di contesa e di
scontri tra i principali regni allora in espansione: l’Impero Ottomano e
l’Impero Persiano. La guerra per l’espansione degli imperi durò decenni
e fu acuita dalle diverse visioni religiose: i turchi ottomani erano infatti
sunniti, mentre i safavidi, che alla fine del XIV secolo si impadronirono
della Persia, sciiti. Le guerre turco-persiane continuarono sino alla metà
del XVII secolo quando, con un nuovo trattato di pace, si ristabilì la
suddivisione dei territori così come era stata decretata nel 1555, con la
Georgia occidentale in mano agli ottomani, e la parte orientale in mano ai
persiani. Verso la fine del XVI secolo i georgiani ortodossi cominciarono
a guardare con interesse e speranza verso la grande Russia
correligionaria, vedendo in essa un protettore naturale dalle minacce dei
musulmani. Nella seconda metà del XVII secolo e fino ai primi decenni
del XVIII la Georgia inviò numerose missioni a Mosca, allo scopo di
raggiungere accordi in grado di assicurarle protezione. Si venne così a
creare un importante cambiamento nelle sfere di influenza e protezione,
aiutato dall’elemento religioso: la Russia progressivamente diventava
protettrice dei popoli cristiani del Caucaso, Georgiani e Armeni, l’Impero

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Ottomano e quello Persiano invece salvaguardavano le componenti
musulmane dell’area. Nel 1722 la Russia decise però di defilarsi
abbandonando per decenni al loro destino i Georgiani e gli Armeni, ma
consolidando nel frattempo la propria posizione nel Caucaso
settentrionale. Nonostante questi sviluppi e l’impossibilità di poter
esercitare un benché minimo controllo sull’area numerose popolazioni
del Caucaso meridionale, tra cui gli ossetini, giurarono fedeltà alla
Russia. Nel 1783 la Russia finanziò la costruzione della Strada Militare
georgiana, allo scopo di unire i due versanti del Caucaso. Negli anni a
venire si intensificò la presenza russa nell’area anche se, nonostante i
tentativi di Caterina II prima, e di Eracle II poi, gli scontri tra la Russia e
i musulmani costrinsero nuovamente al disimpegno i russi a cui seguì, nel
1795, la devastazione della Georgia ad opera del nuovo shah di Persia,
Aga-Mohammed Khan. Solo con Alessandro I l’Impero Russo portò in
atto la conquista dell’intera Transcaucasia. La nuova posizione di
dominio dell’area da parte dell’Impero Russo fece mutare il contesto
politico-militare dell’area: Francia ed Inghilterra si mostrarono
saldamente contrarie ad una espansione in tutto il Caucaso della Russia,
per cui decisero di appoggiare indistintamente gli ottomani e i persiani.
L’Impero Russo si trovò quindi all’inizio del XIX secolo a dover
fronteggiare due imperi supportati dalle potenze europee, oltre alle
resistenze delle varie popolazioni locali. Fu allora che la potenza
dell’esercito russo venne mostrata agli occhi della comunità
internazionale: netta supremazia militare rispetto agli eserciti musulmani,
controllo delle rivolte locali e, non per ultimo, il contemporaneo impegno
bellico in Europa e nella stessa Russia invasa da Napoleone nel 1812.
Solamente dopo l’ennesima guerra contro l’Impero Ottomano, vinta dalla
Russia nel 1829, cui seguì trattato di Adrianopoli, si pose fine alla guerra
e numerose città, tra cui la georgiana Poti, vennero annesse alla Russia la

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quale ormai aveva il completo dominio della Transcaucasia. Dominio che
non lasciava speranze di indipendenza alla Georgia la quale, nonostante i
decenni a venire segnati da numerose rivolte antirusse e pro-
indipendenza, accettò un parziale inserimento all’interno dell’Impero
zarista.

1.3 – L’Impero Zarista e il movimento nazionale georgiano

Durante il corso del XIX secolo la dominazione russa si venne


consolidando su tutto il Caucaso, ed in particolare in Georgia.
L’importanza di questo avvicinamento nella sfera d’influenza e di
dominio della piccola regione caucasica ebbe diversi risvolti positivi.
Innanzitutto la popolazione georgiana, che era per la quasi totalità
cristiana, vide come una vera e propria liberazione la conquista
dell’ortodossa Russia dopo secoli di forzato snaturamento imposto dalle
forze islamiche ottomane e persiane. Da questa “fratellanza” religiosa
con la Russia ne derivò maggiore sicurezza, sviluppo e coesione
nazionale. Ma in breve tempo la Georgia, come tutto il Caucaso, diventò
il giardino d’oriente della Russia, fonte d’ispirazione letteraria ma anche
e soprattutto fonte di materie prime a buon mercato.
Per la Russia si poneva però il problema di come amministrare quest’area
senza essere colpevolizzati di colonialismo funzionale
all’approvvigionamento di risorse. A lungo combattuta tra due diversi
orientamenti, uno centralista che imponesse con la forza le leggi
dell’Impero, e l’altro regionalista, tendente a mantenere una certa identità
locale, in Georgia si optò per il regionalismo, sfruttando oltre alla
comune fede ortodossa, l’impianto sociale simile alla struttura russa.
Vennero così instaurati dei governatori generali, il primo dei quali fu

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Ermolov (dal 1816 al 1827). Fu però con l’avvento di Voroncov al
governatorato che l’intero Caucaso venne considerato una provincia da
valorizzare piuttosto che una colonia da sfruttare. E nella Transcaucasia
che iniziò a sentirsi parte attiva dell’Impero, si avviò un notevole
processo di sviluppo territoriale il cui centro propulsore era rappresentato
dalla quella che in breve tempo diventò una piccola metropoli
cosmopolita, Tbilisi. Il successo della gestione zarista della Georgia, fu
sicuramente una delle più importanti dimostrazioni delle abilità politiche
dell’epoca basata sul legittimismo. Ma durò poco. A partire dagli anni
’80 del XIX secolo vi fu un cambiamento nell’approccio da parte del
“centro” dell’Impero nei confronti delle province caucasiche. Le autorità
zariste infatti, guidate da Alessandro III, cominciarono a sospettare delle
crescenti minacce rivoluzionarie da parte delle regioni del Caucaso,
dando una forte sferzata autoritaria e russificatrice alla politica
dell’Impero. La Georgia fu una delle regioni più colpite da questa ondata
di repressione. Quello che si temeva in Russia era un eccessivo
rafforzamento dell’identità nazionale, che potesse sfociare in rivolte anti-
russe. Tutti gli sforzi politici attuati da Voroncov decenni prima furono
vanificati da questa svolta repressiva che si scagliò in particolare contro
l’educazione e la cultura, ad esempio attraverso la proibizione dell’uso
della lingua georgiana nelle scuole. Ma l’ondata di repressione
dell’identità nazionale georgiana non fece altro che risvegliare vecchi ma
mai sepolti sentimenti nazionalistici che, nonostante secoli di
dominazioni, nessun colonizzatore è mai riuscito a spegnere nella
popolazione georgiana. Nacque così un movimento nazionale le cui
principali attività si ergevano in difesa della lingua, della letteratura e
della cultura georgiana. Il proliferare del movimento fu agevolato dalla
presenza in Georgia di un vasto numero di intellettuali di origine nobile
la cui formazione era molto elevata, e fu proprio l’elevato grado culturale

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di tutta la popolazione a permettere un radicamento del movimento
nazionale.
Fu proprio a partire dalla Georgia che si innalzarono le prime proteste
anticipatrici della la rivoluzione del 1905. Già nel 1902 infatti i
rappresentanti della classe operaia di Batumi (guidati un giovanissimo
attivista di nome Stalin) organizzarono il primo sciopero, riuscendo a
coinvolgere in breve tempo tutta la classe operaia della regione. Nello
stesso anno nella provincia georgiana occidentale della Guria iniziarono
delle rivolte contadine. Ma il più grande successo fu raggiunto attraverso
il coordinamento dei comitati locali del partito socialdemocratico russo
che, nell’estate 1903, riuscì a mettere in piedi uno sciopero generale che
paralizzò contemporaneamente Tbilisi, Baku e Batumi. Nello stesso
periodo si registrano le prime attività rivoluzionarie anche nella regione
poi nota come Ossezia del Sud. L’obiettivo era ribellarsi allo sviluppo
capitalistico di alcuni centri della regione coinvolgendo, grazie al collante
ideologico, operai, studenti, funzionari, ma anche guarnigioni militari e
popolazione semplice. Nell’estate del 1905 la protesta aveva ripreso
vigore con una serie di scioperi generali proclamati nelle principali città
georgiane. La violenta risposta russa si fece sentire con forza attraverso la
repressione di quelle manifestazioni, in particolare di fronte al municipio
di Tbilisi, ma nonostante ciò non riuscirono a sedare le attività politiche
rivoluzionarie che continuarono per tutto il 1905. La spinta rivoluzionaria
georgiana perse però il suo carattere violento, preferendo alla lotta la via
della trattativa con il governo russo. Le richieste fatte dai rappresentanti
dei comitati erano legate all’indipendenza sostanziale della Georgia:
migliori condizioni di lavoro, introduzione dello zemstvo (governatorato
locale), creazione dell’Università di Tbilisi, emancipazione della Chiesa
georgiana, il ritorno all’uso del georgiano nelle scuole e nei tribunali, la
concessione delle politiche fondamentali in favore di operai e contadini.

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Non tutte le richieste furono approvate dal governo russo il quale, per
attenuare le proteste, decise prima di operare una dura repressione
militare e poi di collocare nella posizione di vicerè dell’intera regione un
discendente di Michail Voroncov, il cui ricordo suscitava ancora
apprezzamento nella popolazione. Le scarse concessioni ottenute dal
centro dell’Impero fecero aumentare il malcontento dei georgiani,
alimentandone la voglia di indipendenza; la scelta questa volta fu quella
di convogliare le proprie energie nel Partito socialdemocratico
menscevico. La vittoria elettorale dei menscevichi in Georgia, dopo la
della caduta dello zar, fu schiacciante.

1.4 – Menscevichi e bolscevichi

La rabbia popolare dei georgiani fu incanalata sapientemente nell’ala


menscevica del Partito socialdemocratico. E questa scelta non fu casuale.
Facendo un breve passo indietro, precisamente al 1903, è utile analizzare
la nascita del Partito Operaio Socialdemocratico Russo avvenuta durante
il II Congresso. Fu proprio con l’atto che decretò la nascita del partito che
ebbe origine la famosa divisione tra bolscevichi e menscevichi. Durante
le elezioni delle cariche si evidenziò la spaccatura: la maggioranza dei
delegati appoggiò la linea dura del partito, sostenuta da Plechanov e da
Lenin, e fu battezzata bolscevica (uomini della maggioranza), la
minoranza che aveva appoggiato il dissidente Martov venne invece
denominata menscevica (uomini della minoranza). Le divisioni
inconciliabili tra menscevichi e bolscevichi erano di natura prettamente
ideologica: i primi infatti erano fortemente legati allo schema originario
della rivoluzione marxista che prevedeva due stadi, quello di una
rivoluzione democratico-borghese che avrebbe permesso un progresso

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capitalista, al quale avrebbe fatto seguito una rivoluzione del proletariato,
compiendo così la rivoluzione socialista; i bolscevichi invece
appoggiarono la proposta di Lenin di legare i due stadi in un'unica
rivoluzione. Questa scissione interna al Partito non fu un fenomeno
isolato. I Menscevichi infatti finirono per rappresentare in pratica il
pensiero di numerosi partiti socialdemocratici europei, radicando così
nella tradizione europea occidentale teorie come l’opposizione legale, il
progresso attraverso le riforme anziché tramite la rivoluzione, la
cooperazione e il compromesso tra i vari partiti politici, e soprattutto
l’uso dei sindacati.
Lacerato fortemente dalla divisione interna il Partito Operaio
Socialdemocratico Russo affrontò la rivoluzione del 1905 e nonostante
Lenin sostenesse a gran voce che “eravamo di gran lunga i più deboli…I
menscevichi avevano più risorse, più stampa, più mezzi di trasporto, più
agenti, più collaboratori”1 il III congresso del Partito, tenutosi a Londra
nell’estate del 1905, fu esclusivamente bolscevico. Ma fu solo nel 1907
che i menscevichi vennero definitivamente fatti fuori dal Partito. La
conferenza di Praga di quell’anno riorganizzò il comitato centrale
eleggendo tutti membri bolscevichi, escludendo di fatto i dissidenti. Da
quel momento il partito stesso si identificò con i bolscevichi.
Legata strettamente alle vicende politiche di Mosca la Georgia proprio in
quegli anni si riorganizzò politicamente, con guida menscevica,
raggiungendo anche importanti risultati economici.

1
Lenin Socinenija, VII, 101.
16
1.5 - Tra I guerra mondiale e rivoluzione

La caduta della monarchia russa durante la I guerra mondiale determinò


immediatamente lo sgretolamento del sistema di relazioni basate sulla
sudditanza delle periferie instaurato dall’Impero Russo. I primi atti
politici furono difatti la creazione di diversi centri di potere locale, tra cui
uno in Georgia. Il Soviet di Tbilisi era considerato vicino ai menscevichi,
che politicamente rimasero fedeli a quel Governo Provvisorio successore
legale del governo zarista, al quale diedero anche alcuni ministri. Ma
questo legame durò pochi mesi. Il 25 ottobre 1917 infatti i bolscevichi
guidati da Lenin e Trockij imprigionarono i membri del Governo
Provvisorio (tra cui i ministri georgiani menscevichi), annunciando di
fatto il passaggio di potere nelle mani dei Soviet dei Deputati degli
Operai, dei Soldati e dei Contadini. Fu il trionfo non solo dei Soviet ma
soprattutto dei bolscevichi. Le tre principali regioni, Georgia, Armenia e
Azerbaigian, riuscirono a trovare un fragile accordo che diede vita, nel
novembre 1917, ad un Commissariato Transcaucasico e, nel gennaio
1918, alla Dieta, una legislatura comune alla quale prendevano parte i
rappresentanti delle tre regioni. Quasi a conclusione della I Guerra
Mondiale ci fu il trattato di Brest-Litovsk con il quale la Russia
prometteva importanti cessioni alla Turchia delle province georgiane di
Kars e Batumi. Nonostante la denuncia dei georgiani e dello stesso
commissario transcaucasico, il radicale georgiano Gegeckori, l’accordo
non venne modificato e la Turchia si affrettò ad inglobare i territori a lei
destinati occupando Batumi il 15 aprile 1918. Fu di fronte a questa
minaccia turca e all’abbandono sovietico che, il 22 aprile, l’Assemblea
Transcaucasica votò per la proclamazione della Repubblica Federale
Transcaucasica indipendente. Al voto della Dieta si opposero
esclusivamente i menscevichi georgiani i quali ne approfittarono in sede

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internazionale per alimentare le divisioni interne alla Repubblica
Transcaucasica. Poco dopo infatti, il 26 maggio 1918, l’Assemblea
Transcaucasica si riunì per dissolvere la neonata repubblica, ad un mese
dalla sua nascita. Lacerata dalle divisioni interne e dalle pressioni esterne
lo stesso giorno l’assemblea nazionale georgiana proclamò la Repubblica
Indipendente georgiana, a cui seguirono nei giorni successivi le
dichiarazioni d’indipendenza di Armenia e Azerbagian. La Georgia a
quel punto si trovò contesa da più parti, dato che la Guerra Mondiale
aveva portato nella regione la Germania e successivamente la Gran
Bretagna, che si sommavano alla presenza dell’Impero Ottomano. La
Georgia decise così di stringere un accordo con la Germania, in funzione
anti-turca, concedendo ai tedeschi le cessioni russe destinate alla Turchia,
in cambio di garanzia contro ulteriori pretese turche. La Germania, pur
astenendosi dal riconoscere l’indipendenza georgiana, installò propri
funzionari diplomatici e consolari in Georgia, riuscendo ad assicurarsi il
controllo dell’importante ferrovia transcaucasica mediante la quale il
petrolio di Baku raggiungeva il Mar Nero. La Georgia consentì inoltre a
mettere a disposizione tedesca le proprie materie prime, tra cui
l’importante manganese, fino alla fine della guerra. A questo
rafforzamento dei rapporti seguì un trattato di pace con la Turchia del 4
giugno 1918. Nell’agosto 1918 tedeschi e sovietici firmarono un trattato
a Berlino contenente una clausola in cui il governo sovietico consentiva il
riconoscimento d’indipendenza alla Georgia da parte tedesca. Il
raggiungimento di questo importante risultato per la Georgia fu in gran
parte casuale, oltre che frutto di un puro scambio politico-commerciale:
la Georgia era la via preferenziale per giungere alla massima fra le città
petrolifere, Baku. Questo permise alla Georgia di non scomparire come
unità indipendente, come invece era accaduto all’Armenia e
all’Azerbagian.

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Inserita sempre nello scacchiere politico determinato dagli esiti della
Guerra Mondiale, la Georgia nell’autunno 1918, dopo l’annessione nel
proprio territorio dell’Abkhazia, cambiò nuovamente “padrone”. Con il
crollo delle potenze centrali e della resistenza sia turca che tedesca, le
forze britanniche avanzarono fino ad occupare le principali città della
Transcaucasia. Dopo l’armistizio della Grande Guerra turchi e tedeschi
abbandonarono il Caucaso ma, in base all’accordo segreto anglo-
francese, questa regione divenne una zona d’influenza britannica. In quel
periodo in Georgia si incrociavano interessi molteplici che riguardavano
direttamente i Russi: la politica inglese nel Prossimo Oriente, il petrolio,
l’Impero e il Menscevismo. E il petrolio dell’area caucasica,
rappresentava il movente principale delle politiche britanniche nell’area,
permettendone l’espansione dell’Impero.
Ma l’evolversi della diplomazia non fu favorevole alla politica
imperialista britannica: nell’aprile 1920 la storica conferenza di Sanremo
vide il netto “no” alla spedizione di ulteriori truppe britanniche, oltre che
italiane e francesi, a protezione della produzione petrolifera del Caucaso.
Fu in seguito a quella decisione che la Gran Bretagna, il 7 luglio 1920,
abbandonò la Georgia lasciandole la sovranità su Batumi. Abbandonando
il Caucaso gli Inglesi sapevano, e lo dissero, che non vi poteva essere
alternativa al controllo russo della Georgia. “Data la sua situazione
geografica e la sua dipendenza economica la Georgia deve aderire alla
Russia, non può reggersi da sola. Essa è troppo debole e troppo povera
economicamente: è la Russia che la nutre”.

19
1.6 – Il ritorno dei Sovietici in Georgia

Con l’abbandono dei britannici i sovietici ebbero campo libero in


Georgia, ma non furono poche le resistenze mensceviche al ritorno del
controllo bolscevico. Negli ultimi mesi di vita la repubblica menscevica
di Georgia ricevette, nel settembre 1920, alcuni rappresentanti
socialdemocratici e laburisti dell’Europa Occidentale, allo scopo di
rafforzare la propaganda antibolscevica. L’attivismo politico dei
menscevichi riuscì anche a raggiungere un risultato notevole a livello
internazionale: il riconoscimento da parte del Consiglio Supremo della
Società delle Nazioni. Ma la contro-propaganda bolscevica non tardò a
farsi sentire: la Georgia fu accusata di sterminio delle minoranze in
Ossezia e Abkhazia. Alle accuse seguirono le ostilità: il 21 febbraio 1921
truppe sovietiche e forze georgiane bolsceviche entravano in Georgia,
solamente 4 giorni dopo Tiblisi cadde e i vincitori proclamarono una
Repubblica Sovietica Socialista Georgiana durante quella che fu l’ultima
operazione militare dell’Armata Rossa nei territori che di li a breve
sarebbero entrati a far parte dell’Urss.
Entro la metà di marzo la resistenza cessò in tutto il paese, i leader
borghesi e menscevichi georgiani fuggirono a Parigi, e i distretti minori
di Abkhazia e Adzaristan furono trasformati in repubbliche autonome,
l’Ossezia meridionale divenne invece una regione autonoma inserita
nell’ambito della SSR georgiana. Con il trattato istitutivo della SSR
georgiana, del 21 maggio 1921, oltre alla sovietizzazione dell’intera
Transcaucasia, che scongiurò altri interventi degli alleati ancora a
Costantinopoli, si portò anche a compimento la vittoria definitiva dei
bolscevichi sui menscevichi.
La Georgia, alla quale nel dicembre 1921 venne incorporata la repubblica
autonoma dell’Abkhazia con un trattato d’unione, rappresentò senza

20
dubbio l’ultimo grande ostacolo al processo di inglobamento delle
repubbliche del Caucaso perché il nazionalismo separatista di resistenza
al potere sovietico si era ben radicato nel corso degli ultimi decenni, ma
ci volle poco tempo affinché la più orgogliosa della propria tradizione tra
le repubbliche transcaucasiche si piegasse ai voleri della Russia
Sovietica.
Tra i primi atti dei bolscevichi in Georgia ci fu l’inglobamento delle
ferrovie georgiane all’interno del sistema sovietico (non senza proteste),
a cui seguì la creazione di un “organo economico regionale per l’insieme
della Transcaucasia”, allo scopo di scongiurare il collasso economico
delle regioni povere. Peserà invece sul futuro economico della Georgia la
mancata applicazione della riforma agraria.
Il successivo atto politico centralizzato si ebbe il 12 marzo 1922 quando
le tre repubbliche transcaucasiche furono “invitate” a concludere un
trattato istitutivo di una Federazione delle Repubbliche Sovietiche
Socialiste di Transcaucasia (FSSRZ), per poi essere modificato il 13
dicembre dello stesso anno portando così alla costituzione di una
repubblica Sovietica federativa Socialista di Transcaucasia (ZSFSR). Le
resistenze dei nazionalisti georgiani erano state definitivamente superate.
Il 20 aprile 1992 la Russia riconobbe lo status di regione autonoma
all’Ossezia del Sud, inserendola però sotto il controllo georgiano.

21
1.7 – La Georgia: laboratorio della collaborazione economica
Usa-Urss

“In considerazione delle immense risorse della Russia in attesa di capitali


necessari al loro sviluppo la cooperazione fra Russia e America è
inevitabile”. A pronunciare queste parole fu Aleksej Rykov, il presidente
del Consiglio dei Commissari del Popolo dell'URSS, e
contemporaneamente del Sovnarkom della RSFSR, nel luglio del 1924,
in un momento in cui i programmi politici sovietici erano pieni delle
denunce del nuovo imperialismo americano. Agli inizi del 1925 il
Commissario del Popolo agli esteri sovietico, Georgy Cicerin, ribadì la
disponibilità sovietica ad una così importante apertura: ”L’America è
letteralmente inondata da capitale libero in cerca di investimento, mentre
l’Urss rappresenta un magnifico quadro di risorse naturali che attendono
il capitale che le faccia fruttare. Grandi prospettive di un fruttuoso lavoro,
non solo per il benessere dei nostri due paesi, ma per l’arricchimento
dell’economia mondiale, sono collegate alla futura penetrazione del
capitale americano nel nostro paese”.
I negoziati, a conferma delle dichiarazioni ufficiali dei rappresentanti
sovietici, cominciarono nel 1924 fra il governo sovietico e il finanziere
americano Harriman; l’oggetto delle contrattazioni era la concessione di
sfruttamento dei depositi di manganese di Chiatura, situati sugli altopiani
poco distanti da Batumi, in Georgia. Gli stessi depositi che, nel 1918,
avevano attirato in Georgia i tedeschi. L’accordo di concessione fu
raggiunto e siglato il 12 giugno 1925 a Mosca, nonostante negli Stati
Uniti, dall’inizio degli anni ’20, vigesse il divieto di investimenti in
Unione Sovietica. La ditta Harriman Company infatti, in collaborazione
con la Guaranty Trust, non informò il Dipartimento di Stato
dell’operazione commerciale. L’accordo, per Harriman e i suoi soci:

22
l’installazione di impianti e attrezzature a Chiatura per l’estrazione e il
trattamento del minerale per un valore di non meno di un milione di
dollari, la costruzione o ricostruzione di ferrovie di collegamento con
dell’area mineraria con il porto di Poti, per un valore di due milioni di
dollari, oltre al rispetto del codice del lavoro sovietico per i lavoratori
impiegati dai concessionari. Fu fissato anche un limite minimo annuo di
produzione del manganese e una tassa di tre dollari su ogni tonnellata
esportata che gli americani avrebbero dovuto pagare al governo sovietico.
La durata della concessione era di vent’anni. La concessione Harriman
non solo rappresentò l’accordo più importante di questo tipo mai
concluso dal governo sovietico con una ditta americana, ma fu un vero e
proprio esperimento, come venne definito in un articolo del “New York
Times”: ”Le condizioni di investimento fatte al capitale americano non
sono attualmente tali da far sì che si possa trascurare il mercato russo. Il
destino della concessione Harriman verrà seguito con interesse, poiché
può darsi che il futuro dimostri che stabilità e sicurezza possono essere
garantite dal governo sovietico”. A questo esperimento però non seguì
nessun’altro tipo di collaborazione sovietico-statunitense, ma una
contrapposizione crescente tra questi due mondi.

1.8 – Dalla repressione alla fedeltà: la II guerra mondiale

A partire dal 1928 l’Unione Sovietica varò il primo piano quinquennale,


concludendo così quella serie di riforme di liberalismo politico e sociale
inaugurate durante gli anni venti. Gli obiettivi del Piano erano:
collettivizzazione delle terre e industrializzazione forzata dell’intero
paese. Anche il Caucaso rientrò nel Piano quinquennale ma, nonostante
la forte campagna propagandistica, le resistenze dei contadini in
particolare in Georgia resero le operazioni molto più complicate che nel
23
resto dell’Unione. Ad una prima fase di violenza nel corso dell’inverno
1929-30 seguì una parziale ritirata che durò però pochi mesi: a partire dal
febbraio 1931 la collettivizzazione e le repressioni, in particolare nei
confronti dei kulak2, ripresero con intensità. Proprio la Georgia fu teatro
di feroci repressioni nei confronti dei contadini la cui resistenza, anche
armata, causò un totale di terre collettivizzate molto inferiore rispetto alla
media del resto del paese: il 38% circa contro una media sovietica che
raggiungeva il 61,5%. La repressione sovietica toccò anche la sfera
religiosa: in tutto il Caucaso all’inizio del 1929 vennero chiuse le scuole
religiose e si proibì l’uso del velo alle donne musulmane. Una nuova
ondata di violenza e repressione nei confronti della Georgia si ebbe di
nuovo in seguito alla dissoluzione, nel 1936, della Federazione
transcaucasica che implicò la rinascita delle tre Repubbliche socialiste
sovietiche di Georgia, Armenia e Azerbaigian. Mentre la prima ondata di
repressioni colpì esclusivamente i contadini con la nuova separazione
della transcaucasia l’obiettivo delle nuove repressioni era cambiato: la
violenza fu rivolta soprattutto nei confronti delle èlite politiche, culturali
e religiose. In Georgia a farne le spese furono alcuni vecchi comunisti
locali accusati di oscurare l’allora crescente culto della personalità di
Stalin; insieme a loro furono duramente colpiti molti scrittori celebri,
accusati di non essersi interamente messi al servizio degli ideali
comunisti. Tra questi fu ucciso il poeta Tabidze, mentre un altro poeta,
Paolo Iashvili, si suicidò; tanti altri furono arrestati. E’ facile
comprendere quale fosse l’obiettivo delle purghe del 1937-38:
l’eliminazione totale della vecchia guardia comunista e la sostituzione di
questa con una generazione di funzionari fedeli a Stalin. Si stava
spianando la strada alla coesione necessaria per affrontare la seconda
Guerra Mondiale. L’appello di Stalin all’unità patriottica fu decisivo
nell’offuscare, proprio negli anni della guerra contro i nazisti, le
2
Contadino arricchito divenuto proprietario terriero
24
aspirazioni del nazionalismo georgiano. E la Georgia, pur non
partecipando attivamente al conflitto, contribuì alla causa sovietica con
l’arruolamento di 700 mila georgiani nell’Armata Rossa, perdendo però
ben 350 mila vite umane.
La conclusione della seconda guerra mondiale fu per la Georgia la
scongiura di una nuova dominazione straniera: la Germania di Hitler non
aveva fatto mistero delle proprie mire verso i pozzi petroliferi del
Caucaso.
Come ricompensa della fedeltà allo stato sovietico durante la guerra la
Georgia ricevette importanti concessioni di carattere politico, culturale e
religioso (la Chiesa riottenne l’autocefalia) da parte di Mosca.

1.9 – Dopoguerra e destalinizzazione: i riflessi in Georgia

In Georgia, come in tutta la Transcaucasia, il dopoguerra fu


estremamente duro. Crollo della produzione industriale, penuria di beni
di consumo e insufficienza di alloggi resero la vita quotidiana molto
difficile. Solo a partire dal 1950 il tenore di vita ritornò ai livelli
dell’anteguerra.
Proprio l’ultima fase del potere di Stalin fu contrassegnata da una crescita
della repressione politica allo scopo di colpire i sentimenti nazionali ai
quali, nell’immediato dopoguerra, erano state fatte numerose concessioni.
Solo in seguito alla la morte di Stalin, nel 1953, la situazione per la
Georgia migliorò, per via dell’allentamento della repressione culturale
che permise la creazione, in tutte e tre le repubbliche transcaucasiche, di
università e accademie delle scienze. La morte del georgiano Stalin,
nonostante tutto, fu un duro colpo per la Georgia nella quale, nel 1956,
scoppiarono varie dimostrazioni di protesta contro la destalinizzazione:

25
protesta che sfociò improvvisamente in una richiesta di indipendenza che
costrinse Nikita Khrushov, diventato segretario del Comitato centrale del
Partito comunista sovietico ad intervenire brutalmente disperdendo i
manifestanti con l’ausilio dei carri armati. La mobilitazione nazionalista
però non si attenuava, né tanto meno includeva la sola questione
dell’indipendenza da Mosca, ma bensì riguardava la georgianizzazione
delle strutture amministrative e culturali della repubblica, oltre alla
volontà di neutralizzare preventivamente il pericolo che la presenza di
nazioni autonome (abkhazi e osseti) e di minoranze territorializzate (azeri
e armeni) costituivano per l’integrità territoriale della Georgia. Negli anni
’70 in Georgia cominciò a delinearsi un “nazionalismo eterodosso”,
capace di contestare compatto i tentativi di Mosca di limitare l’uso della
lingua nazionale. Di fronte a sempre più frequenti manifestazioni
popolari nel 1978, grazie all’allora primo segretario del partito comunista
georgiano, Eduard Shevarnadze, si riuscì ad impedire l’imposizione del
russo come lingua ufficiale. Con questa conquista il potere sovietico fu
costretto ad indietreggiare di fronte al forte identitarismo nazionale
georgiano.

26
Capitolo 2 –Proclamazione d’indipendenza e ricerca di
stabilità

2.1 – Nasce la Repubblica di Georgia

Solo con l’avvento al potere di Mikhail Gorbaciov nel 1985, e l’apertura


di una stagione di riforme che va sotto il nome di perestrojka, il
nazionalismo georgiano riuscì a trovare uno sbocco politico importante.
Dopo decenni di sovietizzazione le basi tradizionali della società
georgiana erano state minate e, in assenza di una partecipazione
democratica alla vita politica, fu proprio il nazionalismo a fungere da
elemento aggregante delle popolazioni della regione. Nel dicembre 1988
il Partito comunista georgiano presentò il Programma Statale per la
lingua georgiana che imponeva un esame di georgiano per l’ammissione
alla scuola superiore. Il 9 aprile 1989, data che diventerà il Giorno
dell’Unità nazionale, fu organizzata una manifestazione a favore
dell’indipendenza e dell’integrità territoriale della Georgia in funzione
antisovietica: i manifestanti, guidati da un Comitato d’Indipendenza,
organizzarono una dimostrazione pacifica e uno sciopero della fame per
chiedere provvedimenti nei confronti dei secessionisti abkhazi che, un
paio di settimane prima, avevano insistentemente chiesto l’indipendenza
della loro terra e il ripristino dello status vigente tra il 1921 e il 1931. Il
corteo fu duramente represso dalle autorità sovietiche le quali persero
rapidamente il controllo della situazione e furono incapaci di contenere le
proteste. Le conseguenze furono tragiche: le truppe russe, sotto il
comando del generale Rodionov, circondarono l’area e ricevettero
l’ordine di disperdere i manifestanti con qualunque mezzo disponibile.
Gli scontri causarono 20 morti e centinaia di feriti tra la popolazione.

27
Proprio il 9 aprile 1989 fu lo spartiacque della recente storia georgiana.
Da quel giorno, fino ad oggi, la Georgia non conoscerà pace o integrità
territoriale. Difatti già a partire dal novembre 1989 abkhazi e osseti
cominciarono a fare rivendicazioni alle quali Tbilisi rispose in maniera
negativa: il 10 novembre 1989, i deputati osseti trasformavano la regione
autonoma dell’Ossezia del Sud in una Repubblica autonoma Socialista
Sovietica, pur restando parte costituente della Georgia. Il giorno
successivo il parlamento georgiano rispose invalidando la risoluzione e di
fatto abolendo l’autonomia dell’Ossezia del sud.
Il 1990 fu per la Georgia l’anno delle prime elezioni democratiche dopo
l’occupazione sovietica. Le elezioni furono democratiche solo
all’apparenza in quanto una legge ad hoc impedì ai partiti di base
regionale di partecipare alle elezioni politiche nazionali: furono di fatto
esclusi il partito osseto ed altre piccole formazioni non georgiane. La
reazione dell’Ossezia del Sud fu l’autoproclamazione della Repubblica
Sovietica Democratica, che non ottenne però il riconoscimento di
Repubblica dell’Unione Sovietica da Mosca. Le elezioni dell’ottobre
1990, valide per il rinnovo del Soviet della Repubblica Socialista
Sovietica di Georgia, furono un successo per le forze nazionaliste della
coalizione Tavola Rotonda-Georgia Libera, guidata da Zviad
Gamsakhurdia il quale, forte dei 150 seggi su 250 a disposizione, e del
consenso popolare, intraprese il cammino della secessione dall’Urss. Nel
marzo del 1991 un referendum approvò la ricostituzione della Repubblica
Georgiana Indipendente. Il 9 aprile 1991 nacque la Repubblica di
Georgia, secondo stato dopo la Lituania a chiudere con il regime
comunista prima della dissoluzione del regime sovietico del 26 dicembre
1991. Le elezioni che si tennero il mese successivo consacrarono
Gamsakhuardia presidente della Repubblica georgiana con l’87% dei
voti.

28
2.2 – Ossezia del Sud e Abkhazia: due focolai

Il crollo dell’Unione Sovietica e la conquista dell’indipendenza della


Georgia non spensero però l’acceso nazionalismo all’interno della
regione. Il presidente Gamsakhurdia si trovò a dover fronteggiare le
richieste di autonomia degli osseti i quali prima boicottarono le elezioni
georgiane dell’ottobre 1990, per poi organizzare elezioni autonome nel
dicembre dello stesso anno. La reazione del neo presidente fu violenta:
Gamsakhurdia lanciò una forte campagna di repressione della regione
autonoma dell’Ossezia del Sud, fondata sullo slogan “la Georgia ai
georgiani”. Indirettamente si cercava attraverso la repressione delle
minoranze (che in base ad un censimento del 1989 costituivano il 30%
degli abitanti della Georgia) di far passare per democrazia dei fattori di
egemonia etnica e di anti-pluralismo: la prospettiva per gli osseti, il cui
insediamento nella regione risale al XIX secolo, li rendeva sgraditi in
quanto non autoctoni, lasciando loro la scelta tra l’abolizione
dell’autonomia, l’esilio o la radicale georgianizzazione. Il 6 gennaio 1991
la polizia e le truppe georgiane attaccarono la capitale osseta Tskhinvali,
facendo molte vittime tra gli osseti e arrestando il presidente del primo
parlamento dell’Ossezia del Sud. Seguirono le deportazioni degli osseti
dai villaggi: si stima che tra i 30 mila e i 100 mila osseti si rifugiarono
nella Federazione Russa, in particolare nell’Ossezia del Nord. La
repressione non risparmiò neanche gli abkhazi i quali, pur essendo titolari
di una repubblica autonoma all’interno della Georgia, non raggiungevano
il 20% della popolazione complessiva. La situazione era diventata
insostenibile e, nel gennaio 1991, ci fu bisogno di un colpo di stato
paramilitare, orchestrato dalla Federazione Russa, che permise di
destituire Gamsakhurdia, nonostante democraticamente eletto, e di far

29
eleggere Eduard Shevarnadze, ex ministro degli Esteri di Gorbaciov, e
famoso per aver rilanciato, durante la conferenza internazionale di
Vladivostok del 1990, l’idea di riabilitare l’antica “via della seta”3.
L’etnocrazia georgiana di Gamsakhurdia era durata poco meno di un
anno, ma il cambio al vertice non portò alla riconquista dell’Abkhazia
dalla quale, dopo la dichiarazione di sovranità del luglio 1990, erano stati
espulsi 150 mila georgiani. L’anno successivo Tbilisi ne abolisce
l’autonomia ma la regione separatista reagì con il ritorno in vigore dello
status di repubblica autonoma nel luglio 1992.
La risposta georgiana alla provocazione abkhaza fu veemente: il 14
agosto le truppe del presidente Shevardnadze entrarono in Abkhazia
aprendo un conflitto che si protrasse fino al settembre 1993 quando le
truppe abkhaze, aiutate da volontari nordcaucasici, combattenti ceceni e
dall’esercito russo, respinsero i soldati di Tbilisi al confine. Nella
primavera del 1994 le parti firmano un armistizio e un accordo per il
dispiegamento di forze di interposizione della Comunità degli Stati
Indipendenti (militari russi), nella zona al confine tra le repubbliche in
conflitto. Nel frattempo anche nell’altra regione separatista non regnava
la pace. Il 10 gennaio del 1992 un referendum in Ossezia confermò con il
90% dei voti la volontà di adesione alla Federazione russa, ma la
richiesta fu reputata poco realista anche dall’Ossezia del Nord, e servì
solo a rinfocolare i conflitti separatisti riacutizzando la crisi con Tbilisi.
Nell’aprile dello stesso anno le forze armate georgiane intensificarono i
lanci di missili sulla capitale Tskhinvali: la diplomazia fu nuovamente
chiamata in causa nel tentativo di trovare accordi per il cessate il fuoco,
mentre nel conflitto si inserivano direttamente Ossezia del Nord, che
tagliava i rifornimenti di gas per la Georgia, e Russia, con il
vicepresidente Ruckoy che minacciava il nuovo presidente georgiano,

3
T.Teimuraz, G.Bagaturia, “Tra ceca – Restoration of silk route” , Japan
Railway&Transport review, n.28, settembre 2001.
30
Eduard Shevardnadze, di bombardare Tbilisi. Il 22 giugno 1992 a
Dagomyr, Ossezia del Nord, Ossezia del Sud, Russia e Georgia firmano
l’accordo di cessazione delle ostilità dando vita ad una forza militare
congiunta tripartita per il mantenimento della pace (JPKF) composta da
500 soldati georgiani, 500 russi, 500 dell’Ossezia del Nord. Il bilancio di
quegli scontri interetnici si calcola oggi in 2000 vittime ossete e 800
georgiane, 1700 feriti, 102 dispersi, 117 villaggi bruciati e migliaia di
rifugiati nella regione settentrionale.

2.3 – L’equilibrismo di Shevarnadze

A partire dal 1993 la Federazione Russa cercò di ristabilire quello che,


dal suo punto di vista, è il rapporto naturale con la Georgia ovvero: il
mantenimento della stabilità nel territorio georgiano, così come degli altri
stati appartenenti alla Comunità degli Stati Indipendenti, e la formazione
di una fascia di buon vicinato ai suoi confini. Nonostante la fedeltà
assicurata dal presidente Shevarnadze durante gli anni ’90 la Georgia
cerca di gettare i ponti per una fuoriuscita dalla orbita russa, guardando
all’Occidente. Il presidente georgiano infatti fu tutt’altro che
accondiscendente nei confronti delle richieste di Mosca durante gli anni
del suo potere, dimostrandosi un equilibrista nel riuscire a far coesistere
la propensione filo-occidentale e la necessità di non irritare la vicina
Mosca. “Per la nostra storia, cultura, e per il nostro carattere nazionale la
Georgia appartiene all’Europa occidentale” aveva più volte dichiarato
Shevarnadze. La richiesta di adesione alla Nato, fortemente impedita
dall’ostilità russa e dalla prudenza della stessa Alleanza Atlantica per
motivi geopolitici, fu una delle prima avvisaglie di questa tendenza filo-
occidentale. Dal punto di vista economico la scelta della Georgia di

31
appoggiare, dal 1995, la richiesta occidentale di accogliere sul suo
territorio l’oleodotto più lungo del mondo (i cui lavori inizieranno però
ufficialmente il 18 settembre 2002), il Baku-Tbilisi-Ceyhan, in grado di
trasportare 1.000.000 di barili di greggio al giorno, come una strategica
mossa per escludere la Russia dal passaggio del petrolio e spostarsi ad
ovest. Scelte sicuramente rischiose data la presenza militare russa sul
territorio georgiano, e la dipendenza quasi totale della Georgia dalle
forniture energetiche russe. Sempre in quest’ottica va inserita l’adesione
nel 1996 al Guuam, l’Organizzazione per la Democrazia e lo Sviluppo
Economico, che rappresentava un modo per contenere l’influenza russa
nell’area, e come parte di una strategia sostenuta dagli Stati Uniti, a cui
prendevano parte Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldavia, tutti paesi
post-sovietici; così come la sottoscrizione dell’Accordo di partenariato e
cooperazione con l’Unione Europea e l’ingresso, nel 1999, come membro
del Consiglio d’Europa.
I passi successivi furono la denuncia georgiana del trattato di sicurezza
collettiva della Csi, che permise un ulteriore avvicinamento alla Nato, e
la firma di un nuovo trattato tra Tbilisi e Mosca per la graduale riduzione
della presenza militare russa in Georgia. Nel 2000 la rielezione di
Shevarnadze confermò la bontà delle sue scelte filo-occidentali ma mai
anti-russe. Grazie alla spinta statunitense, che vede di buon occhio le
scelte filo-occidentali di Shevarnadze, il 14 giugno 2000 la Georgia entra
nel World Trade Organization, a soli 4 anni dalla richiesta di adesione.
Lo scenario cominciò però a cambiare dopo l’11 settembre 2001. Nel
febbraio dell’anno seguente gli Stati Uniti decisero di inviare, con il
consenso della Georgia, un contingente militare, di soli 200 uomini, per
l’addestramento anti-terroristico. Nell’aprile 2002 gli Stati Uniti in
Georgia lanciano il programma “Train and Equip” che prevede lo
stanziamento di 64 milioni di dollari e l’invio di un contingente di 150

32
soldati, per circa 20 mesi, con l’obiettivo di “addestrare” le nuove Forze
speciali georgiane, impegnate nella lotta al terrorismo nelle gole di
Pankisi (dove troverebbero rifugio terroristi ceceni). Dal punto di vista
strategico questa scelta, insieme con l’apertura di basi statunitensi nelle
repubbliche centro-asiatiche ex sovietiche, destò preoccupazione e
sospetto a Mosca, minando di fatto la stabilità e la protezione dei suoi
confini. Questo causò una forte tensione nei rapporti tra Russia e
Georgia, che culminò, nel 2002, in una minaccia di azione militare da
parte di Mosca. La politica di equilibrio di Shevarnadze stava
cominciando a perdere colpi e sia l’esplicito appoggio alla sbagliata
guerra in Iraq, che confermò i sospetti della collaborazione militare in
atto tra Washington e Tbilisi, sia la tragica situazione economica
georgiana, ne sancirono l’imminente sconfitta. Il suo decennio di
presidenza si può definire contraddittorio: ha favorito il passaggio
all’economia di mercato, la creazione di un sistema pluralista di
amministrazione dello Stato, ha riformato il sistema monetario e
abbattuto un’inflazione che aveva fatto sprofondare la Georgia in una
profonda recessione. Nella seconda metà degli anni ’90 l’economia risale
la china della recessione, eredità della dittatura di Gamsakhurdia, e,
grazie all’abilità nel tessere relazioni personali, riesce a ottenere dagli
Usa aiuti e crediti per oltre un miliardo di dollari (oltre alla rilevante
presenza militare), e ingenti crediti e fondi da parte di FMI, Banca
Mondiale e Unione Europea. Shevarnadze permette alla Georgia
l’ingresso nel WTO, effettua la richiesta di adesione alla Nato, inizia la
costruzione dell’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan e, il 17 aprile 1999,
inaugura l’oleodotto della Western Route, il Baku-Supsa alla presenza
del Presidente azero Aliyev e del coordinatore del Dipartimento del
Commercio degli Stati Uniti per la regione del Mar Caspio, Richard
Morningstar, assistendo con soddisfazione alla partenza delle prime due

33
petroliere che trasportavano il petrolio per la Spagna e l’Italia.
Nonostante ciò il debito estero nel 2003 ha raggiunto livelli di
insolvibilità e l’evasione fiscale è diffusissima. Le privatizzazioni sono
fallite, così come i programmi contro la povertà, fascia nella quale vive
oltre la metà dei georgiani. La disoccupazione, abbondantemente
superiore all’11% ufficiale, costringe all’emigrazione oltre 700 mila
persone; gli stipendi e le pensioni si aggirano mediamente intorno ai 20
dollari al mese. Il fallimento di queste politiche, così come l’incapacità di
utilizzare gli abbondanti crediti esteri concessi per aumentare il benessere
generale, spingono nel 2003 il FMI e gli Usa a sospendere gli aiuti.

2.4 – “La rivoluzione delle rose”

La popolarità del presidente Shevarnadze è a quel punto al minimo


storico e migliaia di persone, dopo le elezioni del novembre 2003,
scendono in piazza, armati di rose, per protestare contro i presunti brogli
elettorali: brogli che gli avrebbero garantito la rielezione alla carica di
Presidente della Repubblica. Ma il movimento popolare all’opposizione,
fomentato da ex membri di governo come Mikhail Saakashvili, da Nino
Burdzhanazde e Zurab Jvania, riuscì ad evitare una deriva violenta dello
scontro politico, anche grazie alla mediazione del Ministro degli Esteri
russo Igor Ivanov, ottenendo le dimissioni di Shevarnadze in cambio
dell’immunità. Iniziava così una nuova era per la Georgia, che prendeva
il nome di “Rivoluzione delle Rose”. Le nuove elezioni che si tennero nel
gennaio 2004 videro l’affermazione plebiscitaria, con il 97,5% dei voti
(percentuali che non insospettirono i commissari internazionali), di
Mikhail Saahashvili. Di formazione statunitense (laurea in legge ad
Harvard e master presso la Columbia University), si era già

34
contraddistinto per le sue doti e capacità che gli erano valse in Georgia il
titolo di uomo dell’anno nel 1997. Nel gennaio del 2000 viene nominato
vice-presidente dell’Assemblea Parlamentare del Consiglio Europeo,
mentre dieci mesi dopo diviene Ministro della Giustizia del governo
Shevarnadze. Incarico che lascerà, dopo meno di un anno, per protesta
contro la corruzione dilagante nel governo georgiano, formando il
Movimento Nazionale Unito. La cerimonia inaugurale del suo mandato si
svolse il 24 gennaio, nella Cattedrale di Gelati, appena poco fuori
Kutaisi, l’antica capitale della Georgia occidentale. Simbolicamente
fermo sulla tomba di Re David IV, conosciuto come Aghmashenebeli o
“il costruttore” per aver unificato i principati georgiani, Saakashvili giura
di riunire il paese, potendo così inaugurare un nuovo futuro mandato
nella città di Sukhumi, capitale della Abkhazia. Il programma di governo
di Saakashavili prevede: una forte lotta alla corruzione, riforme
istituzionali, revisione delle privatizzazioni e abolizione per due anni
delle tasse sulle piccole e medie imprese industriali e commerciali, e il
raggiungimento dello standard di vita dei paesi occidentali. In politica
estera il suo programma guarda all’ingresso nella Nato e nell’Unione
Europea, puntando al rafforzamento della partnership con gli Usa nella
difesa e, di conseguenza, verso una totale uscita dall’orbita russa. Ma è la
riunificazione della Georgia, che lo obbliga al confronto con Mosca, a
sentire le sue prime esternazioni pubbliche, il vero punto cruciale del
programma di governo: lo slogan “Riprendiamoci la Georgia”, utilizzato
in campagna elettorale, appariva già controverso agli occhi di Osseti e
Abkhazi. Dichiarazioni come “Noi non abbiamo bisogno di Mosca come
nemico, ma come amico e potente alleato”. “Voglio che l’amicizia si
sviluppi e si rafforzi, se in Russia capiranno che la Georgia non è uno
Stato vassallo, ma un paese indipendente e sovrano”. “Noi abbiamo i
nostri interessi nazionali, la Russia ha i suoi. Siamo obbligati a trovare

35
punti di convergenza per iniziare una nuova epoca dei nostri rapporti”
tracciano la strada per quella che sarà la prima grande tappa all’estero da
presidente di Saakashvili, a Mosca. Il 24 maggio 2004, nel suo messaggio
alla nazione, Saakashvili mostra l’intenzione di inaugurare una politica
diversa per la risoluzione dei conflitti interetnici che dividono la Georgia
ormai da decenni: egli rilancia l’idea di una federazione asimmetrica,
aggiungendo la disponibilità di concedere agli osseti, all’interno della
Georgia, gli stessi diritti degli abitanti dell’Ossezia del nord, la quale è
però una Repubblica autonoma della federazione russa. Promesse
controverse e difficili da mantenere se inquadrate nella difficile contesa
con la Russia.

2.5 – Saakashvili l’autoritario: la conquista dell’Agiaria e il I


conflitto in sud-Ossezia

Una prima chiara prova di come Saakashvili intende affrontare la


questione delle regioni separatiste è offerta dall’intervento nella regione
indipendente dell’Agiaria.
E’ nella primavera del 2004 che il governo di Tbilisi tenta di imporre con
la forza il proprio controllo sull'Agiaria: le conseguenze sono una grave
crisi che infiamma la regione, con il rischio di degenerare in un confronto
armato. L'ultimatum di Saakashvili, che minacciò l’attacco militare, e la
protesta di massa contro il governo autoritario di Abashidze (accusato di
brogli in occasione delle elezioni del 28 marzo), convinsero quest'ultimo
a dimettersi e ritirarsi nel maggio 2004, scegliendo l'esilio in Russia. Con
la caduta di Abashidze venne approvata una nuova legge che ridefiniva le
condizioni di autonomia dell'Agiaria. Tuttavia tale legge pose sotto il

36
controllo di Tbilisi le finanze e il fisco, dando inoltre la facoltà al
presidente georgiano di sciogliere il parlamento agiaro, abrogarne la
legislazione e rimuovere il governo.
La Russia in quell’occasione era rimasta a guardare.
Nell’agosto dello stesso anno riaffiorano anche le tensioni in Abkhazia ed
Ossezia del sud (anche a causa dell’invito russo a far votare gli osseti per
le elezioni presidenziali russe) ed i primi scontri, a causa della lotta
all’illegalità dei commerci nella regione lanciata da Tbilisi, provocano 30
vittime. Saakashvili prova allora a ripetere a Tskhinvali, la capitale
dell’Ossezia del Sud, l’operazione vittoriosa nell’agiara Batumi. Un
problema di non poco conto rispetto all’Agiaria è che i sud-ossetini,
pur essendo in prevalenza cristiani come i georgiani, sono di etnia
diversa, iranici.
E hanno conquistato la propria indipendenza lottando, diventando così,
insieme ai connazionali dell’Ossezia del nord, il popolo più filo-russo
dell’intero Caucaso. Altro problema riguarda lo stanziamento, dopo
l’ultimo conflitto con Tbilisi del 1992, attorno alla capitale, di truppe di
interposizione miste: un corpo di peacekeeping di circa 1500 soldati di
cui 500 russi, 500 georgiani e 500 ossetini. A cui si aggiungeva una
Commissione mista di controllo (Skk). Saakashvili rifiuta comunque la
sovranità e l’indipendenza dei sud-ossetini e accusa il governo di
Tskhinvali di guadagnare sul contrabbando tra Russia e Georgia: grazie
alla loro strategica posizione geografica l’Ossezia del sud e l’Ossezia del
nord, da una parte e dall’altra della catena caucasica, svolgono
un’importanza fondamentale per lo stato russo e georgiano controllando
di fatto le due principali strade transcaucasiche fra Vladikavkaz e Tbilisi.
Questa via di comunicazione ha favorito la creazione a Ergneti, vicino
alla capitale sud-osseta Tskhinvali, del più grande mercato nero della
regione dove affluiscono commercianti russi, georgiani e armeni, e

37
prodotti di contrabbando di ogni genere: armi e droga su tutti. Saakashvili
decise quindi, tra la fine di maggio e inizio giugno, di inviare
unilateralmente 300 soldati delle truppe georgiane a vigilare con posti di
blocco lungo il segmento sud-ossetino dell’asse stradale Vladikavkaz-
Tskhinvali-Tbilisi, per controllare il traffico e stroncare il contrabbando.
L’obiettivo finale del presidente georgiano è ristabilire la sovranità.
E’ qui che ha inizio la crisi tra Georgia, Ossezia del sud e Russia,
nell’estate 2004.
Secondo Russia e Ossezia meridionale i posti di blocco georgiani violano
gli accordi di Dagomysh del 1992, che impongono alle parti di mantenere
in quell’area soltanto i peacekeepers, chiedendo a Tbilisi di rimuovere i
blocchi. La risposta georgiana non si fa attendere e, nel giugno 2004, 5
mila uomini, tank e artiglieria pesante vengono posizionati nella limitrofa
provincia georgiana di Gori. Nel frattempo le elezioni del parlamento
sud-ossetino sanciscono la vittoria del Partito dell’unità del presidente
Eduard Kokoity il quale, forte dell’appoggio popolare, chiede
ufficialmente alla Russia di riconoscere l’Ossezia del Sud come Stato
sovrano e indipendente: l’obiettivo finale è l’unificazione con l’Ossezia
del Nord e l’ingresso nella Federazione Russa. Ma la tensione è destinata
a salire: il 6 luglio reparti georgiani fermano un convoglio di
peacekeepers russi che, oltre a munizioni e cibo, trasportano verso
Tskhinvali circa 160 missili. Il sequestro delle armi e dei missili da parte
georgiana al momento non subisce opposizione alcuna, dato che gli
accordi di Dagomysh non consentono il trasporto di armi lungo l’asse
stradale Vtt. La Russia definisce l’azione georgiana “grave e senza
precedenti”, e chiede l’immediata restituzione dei missili. Nell’arco dei
mesi di luglio e agosto si susseguono scontri a fuoco tra milizie sud-
ossetine e georgiane, anche con l’utilizzo di artiglieria pesante. Le vittime
di questi scontri saranno una ventina, molti i prigionieri. I georgiani

38
sembrano avere avuto la peggio. A questo punto, in seguito
all’esortazione del Dipartimento di Stato americano per voce dell’inviato
speciale Steven Mann e del portavoce Adam Ereli di “ridurre la tensione
ed evitare il ricorso alle armi”, intervengono i mediatori Osce. Il 24 luglio
Tbilisi viene obbligata a restituire i missili sequestrati ai russi. A metà
agosto dopo un colloquio telefonico tra il segretario di Stato Colin Powell
e il ministro degli Esteri russo Lavrov, si interrompono gli scontri a fuoco
tra sud-ossetini e georgiani. Scontri che riprenderanno in maniera
sporadica verso la fine di ottobre. La Georgia ritira comunque i militari in
esubero dall’Ossezia del sud e i sud-ossetini liberano i prigionieri
georgiani. L’operazione militare di Saakashvili nell’Ossezia meridionale
non ha dato i risultati sperati, e lo scenario di Batumi non si è ripetuto.
Anche grazie alla mediazione statunitense si è scongiurato un
coinvolgimento diretto della Russia. Il 21 settembre 2004 Saakashvili
espone all’Assemblea generale dell’Onu un piano di risoluzione della
crisi, nato da un incontro con Putin, da lui stesso definito “produttivo”. Il
piano prevede la smilitarizzazione dell’Ossezia del sud e dell’Abkhazia,
il controllo internazionale sulle zone di conflitto, l’ampliamento del
mandato Osce, e la fine del monopolio russo delle forze di peacekeeping.
Nel piano rientrano anche le proposte ai dirigenti abkhazi e sud-ossetini
di posti nel governo georgiano, oltre alla più ampia autonomia
economica, finanziaria e fiscale alle loro repubbliche. Abkhazia e
Ossezia del sud rifiuteranno, mentre la Russia spinge per una soluzione
confederale, respingendo inoltre l’internazionalizzazione del
peacekeeping.
Nel settembre 2005, l’Ossezia del Sud denuncia un intenso fuoco di
mortai sui quartieri civili della città di Chinvali; attacchi delle truppe
georgiane, a detta delle autorità di Tskhinvali ordinati dall’ex ministro
della difesa Iraklij Okruashvili, che avrebbero procurato la morte di una

39
donna ed il ferimento di 9 cittadini, tra cui bambini. Ma agli inizi di
dicembre 2005 il leader osseta Eduard Kokoity lancia una proposta di
pace per la soluzione definitiva del conflitto, sorprendendo Tbilisi, che
era pronta a schierare un esercito molto equipaggiato e soprattutto ben
addestrato grazie al programma di investimenti americano “Train and
Equip”. La proposta di Kokoity ripropone il piano di pace a tre tappe che
il presidente Saakashvili aveva presentato l’anno prima alle Nazioni
Unite e pochi mesi prima all’Osce, organizzazioni che da sempre si sono
espresse a favore dell’integrità del territorio georgiano, conditio sine qua
non anche di un eventuale ingresso nella Nato e nell’Unione Europea. La
situazione però si complicava nuovamente dopo appena due mesi: il 15
febbraio 2006 il parlamento georgiano adotta una risoluzione in cui
dichiara forza straniera di occupazione le truppe russe che da 14 anni
controllano la regione del Sud Ossezia in qualità di peacekeeper: Mosca
si è sempre opposta alla sostituzione di queste truppe con altre dipendenti
direttamente dall’Osce, come richiesto da Tbilisi. Una richiesta, quella
del ritiro del contingente russo dalla regione georgiana, percepita come
provocazione volta ad arrestare il processo di pace nella regione osseta
(così come quella nell’Abkhazia). La Russia opta allora per l’accordo
l’accordo, siglato il 30 maggio 2005, in base al quale si impegna a
chiudere le ultime due basi russe in territorio georgiano, precisamente
quella di Akhalkalaki (vicino al confine armeno) e di Batumi (sulla costa
del Mar Nero) con il ritiro di tutti i tremila soldati russi entro, e non oltre,
la fine del 2008.
La Georgia di Saakashvili ad un anno dalla “rivoluzione delle rose” si
trova in una fase di autentica instabilità: al successo dell’operazione in
Agiaria, favorito dal mancato intervento russo, si contrappone il
fallimento politico-militare in Ossezia del sud. Dal punto di vista
economico nonostante gli ingenti aiuti internazionali l’incremento del pil,

40
tra il 5 e il 6%, è ancora modesto. Le riforme liberiste non mostrano
ancora gli effetti sperati. Tutte le promesse fatte in campagna elettorale in
materia territoriale, delle libertà e dello sviluppo economico che il popolo
si aspettava, ad un anno dall’elezione, appaiono ancora lontane. Per
questo le rose della rivoluzione cominciano ad appassirsi. La prima
presidenza di Saakashvili ha deluso non poche aspettative: su tutte la
lotta alla corruzione e alla povertà (in cui rientra il 50% dei georgiani) e
la diminuzione della disoccupazione (al 13-14%). Salari e stipendi medi
sono attestati attorno ai 100-150 dollari mensili mentre l'inflazione è
all'11%.

2.6 – Nuovo scontro con la Russia per l’Abkhazia

A Tbilisi, dopo oltre un anno di relativa tregua, in vista delle elezioni


amministrative del 5 ottobre, si riorganizza il partito della guerra.
Saakashvili ha la necessità di vincere le elezioni e decide per una
spedizione lampo in Abkhazia allo scopo ufficiale di riconquistare
Kodori, un piccolo territorio non controllato dalle forze separatiste di
Sukhumi; ma il suo obiettivo reale è la conferma del suo Movimento
Nazionale Unito alle elezioni amministrative del 5 ottobre. Il 27 luglio
2006 il presidente georgiano annuncia, in diretta televisiva, la riuscita
dell’operazione militare, cambiando il nome della regione in Alta
Abkhazia e insediandovi il governo abkhazo in esilio riconosciuto da
Tbilisi. La reazione di Mosca è durissima: l’accusa nei confronti di
Saakashvili è di aver violato gli accordi di cessate il fuoco del 1994 che
prevedono la sola presenza nella zona di forze d’interposizione. La
reazione degli Stati Uniti è invece di preoccupazione: pur ribadendo il
sostegno alla ricerca di una integrità territoriale georgiana Washington

41
aveva diffidato Saakashvili su un eventuale intervento a Sukhumi.
Nonostante gli ammonimenti da est e da ovest Saakashvili non demorde e
ad inizio agosto lancia un programma di addestramento per 100 mila
riservisti nascondendosi dietro le dichiarazioni ufficiali di non voler fare
ciò per “iniziare una guerra, ma perché non vogliamo che la facciano a
noi”. Il suo scopo è mobilitare la società contro un nemico comune. Nelle
settimane successive prima l’arresto in massa di membri
dell’opposizione, incolpati di stare preparando un golpe finanziato da
Mosca, poi la decisione della Nato di aprire un “dialogo intensivo” con la
Georgia per premiare gli sforzi di allineamento, lanciano la volata pre-
elettorale a Saakashavili. Nel discorso tenuto all’Assemblea delle
Nazioni Unite il 22 settembre 2006 Saakashvili continua nella sua
operazione di propaganda pre-elettorale: accusa in mondovisione Mosca
di voler annettere le due regioni separatiste, chiede il ritiro delle truppe
d’interposizione, minaccia una soluzione militare della questione con
l’appoggio di chi vorrebbe risolvere il contenzioso in maniera diversa e,
sicuro dell’appoggio degli occidentali, afferma che “ogni tentativo di
strappare un pezzo di territorio georgiano vedrà l’opposizione dei nostri
partner principali”. Il 27 settembre, in seguito all’arresto di “spie” russe
in terra georgiana, a cui viene dedicato un’ampia eco da giornali e
televisioni , il Cremlino decide di adottare la linea dura. Le prime azioni
sono sanzioni economiche, rimpatrio dei georgiani presenti illegalmente
in Russia, blocco delle comunicazioni e dei trasporti e ritiro della
rappresentanza diplomatica a Tbilisi.
Il partito di Saakashvili riesce nel frattempo ad ottenere la vittoria alle
elezioni amministrative del 5 ottobre, ma gli effetti della strategia
propagandistica si ripercuotono contro la Georgia. Mosca fa sul serio e
l’Occidente blocca Saakashvili e i suoi falchi. La Russia decide di
giocare la carta del gas: attraverso Gazprom impone alla Georgia un

42
aumento delle tariffe che raggiungono i 230 dollari per ogni mille metro
cubo, invece degli abituali 110, a partire dal 2007. Saakashvili, messo
nell’angolo, risponde che presto la Georgia potrà sfruttare altre fonti
energetiche alternative e si rifiuta di consegnare nelle mani di Gazprom
gli asset energetici georgiani per non veder tagliata la fornitura. Non
contento il presidente rilancia la decisione di riprendersi l’Abkhazia e
minaccia gli osseti per il referendum sull’indipendenza del 12 novembre.
E’ a quel punto che interviene Washington con l’invito a terminare le
tensioni con Mosca. Saakashvili obbedisce e decide la rimozione del
bellicoso ministro della Difesa Irakli Okruashvili, dichiarandosi pronto al
dialogo con Mosca. I temi sul tavolo delle relazioni sono sempre gli
stessi: i conflitti in stand-by di Abkhazia e Ossezia del Sud.

2.7 – La Georgia filo-occidentale (e la Nato)

In seguito al crollo dell’Unione sovietica la Georgia negli anni ’90 si è


prontamente incamminata verso ovest. Tra tutti gli stati della Comunità
degli Stati indipendenti la Georgia è sicuramente quello più orientato
verso gli Stati Uniti, oltre ad essere il più in conflitto con la Russia. Lo è
stato durante il decennio di Shevarnadze e lo è ancora di più con il suo
successore, Mikhail Saakashvili eletto sulla scia della “rivoluzione delle
rose”.
La disponibilità al passaggio di una pipeline energetica fortemente voluta
dagli Stati Uniti, l’ospitalità offerta ai militari americani per operazioni di
addestramento delle povere e impreparate truppe georgiane, la
concessione del controllo di ministeri e strutture pubbliche ai diplomatici
di Washington, ma anche il percorso intrapreso per l’ingresso
nell’Alleanza atlantica, sono tutti tasselli di un orientamento verso

43
occidente al quale ormai solo la Russia può porre fine. Parallelamente
all’aumento della presenza americana nel paese si è anche stretto il
rapporto tra la Georgia e la Nato: nel maggio 2003 il segretario generale
della Nato George Robertson, durante una visita in Georgia, dichiara che
“la regione del Caucaso è d’importanza cruciale per la sicurezza
dell’intera area euratlantica”, individuando in Georgia, Azerbagian e
Armenia le “avanguardie dell’opposizione alle minacce del XXI secolo”4.
A partire dalla metà degli anni novanta con l’adesione di Tbilisi al
programma Partnership for Peace cui segue, nel 2004, l’adesione
all’Ipap, organo attraverso il quale l’Alleanza atlantica monitora i
requisiti minimi dello stato caucasico per essere accettata come membro,
i contatti si rafforzano. In questa direzione vanno anche gli adeguamenti
delle risorse militari che devono soddisfare le esigenze della Nato, e la
firma, nel 2005, di un accordo di concessione di transito attraverso gli
spazi marittimi, terrestri ed aerei ad armamenti e truppe alleate. Il passo
successivo è l’inserimento della Georgia nel meccanismo di pre-
adesione alla Nato: nel settembre 2006 viene infatti inserita nella fase del
dialogo intensificato (Intensified Dialogue), ossia il passo precedente
prima dell’inserimento nel “Piano d’azione per l’adesione”(Map). La
Georgia guarda alla Nato perchè l’Alleanza atlantica è la miglior garanzia
di protezione dell’indipendenza da aggressioni esterne, mentre l’Unione
Europea rappresenta lo spazio democratico nel quale la Georgia sarà al
riparo per sempre5. Oltre all’avvicinamento graduale all’Alleanza
Atlantica nel 2004 la Georgia viene inclusa nel programma dell’Unione
Europea “European Neighbourhood Policy”, rafforzando in questo modo
anche le relazioni con la sfera europea.

4
“NATO welcomes Georgia’s aspirations for Alliance Membership
http://www.civil.ge/eng/article.php?id=4207&search=George%20Robertson
5
Limes 2006 “In Georgia le rose stanno appassendo”
44
Scontato dire che Mosca non vuole che la Nato entri nell’area
sudcaucasica. Il 21 marzo 2007 la Duma adotta una risoluzione (non
vincolante) che invita “a prendere in considerazione l’opportunità di
accelerare il processo di sovranità ed il riconoscimento di Abkhazia ed
Ossezia del Sud nell’eventualità la Georgia acceleri il processo di
adesione alla NATO”. L’ambasciatore russo alla Nato, Dmitry Rogozin,
interpretava tale risoluzione come una naturale conseguenza della politica
adottata da Tbilisi:“Saakashvili è consapevole che Abkhazia ed Ossezia
del Sud non accetterebbero mai l’adesione alla Nato e dunque le ha
escluse dal referendum dello scorso gennaio: un errore gravissimo poiché
ha escluso questi due territori dalla Georgia”. A frenarne la corsa verso
occidente sono proprio le questioni irrisolte delle due regioni
indipendentiste. Per questo proprio l’occidente a cui la Georgia tanto
aspira ne denuncia la democrazia solo apparente.

2.8 – Le rose e le spine

A partire dal 1989 abbiamo visto come la Georgia abbia dovuto fare i
conti con queste due vere e proprie spine nel fianco: le popolazioni
separatiste dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud. Per quanto concerne
l’Ossezia del sud l’intralcio principale al reintegro della regione ribelle è
la presenza di soldati federali, a cui si aggiunge il legame rafforzatosi
negli anni tra Tskhinvali e Mosca. In questa regione la maggior parte del
territorio è difatti controllato dai russi. Oltre il 90% dei sud-ossetini è in
possesso di passaporto russo e riceve una pensione e uno stipendio da
Mosca. E’ forte anche la propaganda pro-russa: entrando nel centro di
Ckhinvali ci sono manifesti che recitano: ”Putin: il nostro presidente!”. I
documenti ufficiali sono in lingua russa e tutti la parlano benissimo, al

45
contrario del georgiano, ormai in disuso. La storia in Ossezia del Sud
parla dell’unione volontaria alla Russia di quattro secoli fa e
dell’annessione forzata alla Georgia, per colpa della scellerata politica
etnica dell’epoca sovietica. Parla inoltre della chiusura, durante le
incursioni georgiane nel 2004, del mercato di Ergenti, fondamentale per
l’economia sud-ossetina. Per questo resta ferma e decisa la volontà di
tornare liberi e in Russia, riunendosi finalmente con i fratelli dell’Ossezia
del Nord e ottenendo finalmente quel riconoscimento come entità statale
dalla comunità internazionale. Per ottenere ciò gli ossetini non vedono
altra alternativa a Mosca. A dimostrazione della sentita appartenenza alla
Russia il 12 novembre 2006, in Ossezia del Sud, si tengono due distinte
elezioni presidenziali e due referendum sul futuro istituzionale della
regione: nei villaggi controllati dalle truppe separatiste il capo di Stato
uscente, Eduard Kokoiti, ottiene il 95% delle preferenze, in quelli abitati
dai pochi georgiani rimasti nella regione osseta, invece, risulta vincitore
Dmitri Sanakoyev. Anche i risultati dei due referendum danno
indicazioni opposte: nella tornata elettorale organizzata dalle autorità
nella capitale Tskhinvali, i 70mila abitanti dell'Ossezia meridionale
votano, all’unanimità, a favore della conferma dell’indipendenza sancita
dal referendum del 1992; nei villaggi georgiani, invece, i cittadini votano
per il reintegro con la Georgia. La comunità internazionale, anche dopo
le elezioni presidenziali e il referendum continuerà a non riconoscere
l’indipendenza della regione e dunque la legittimità delle votazioni. Il 24
aprile 2007 Saakashvili propone che l’Ossezia del Sud venga governata
da una nuova amministrazione ad interim fino al superamento
dell’impasse attuale: le autorità ossete rifiutano la proposta.
Anche l’Abkhazia rappresenta un’eterna questione irrisolta nello
scacchiere georgiano. La popolazione georgiana considera l’Abkhazia
parte del loro territorio, mentre questa si ritiene uno Stato sovrano, anche

46
se mai riconosciuto da nessuno. Neanche dalla Russia, la quale però
prosegue nel ricco e strategico territorio la stessa politica di
russificazione adottata in Ossezia. La regione possiede 210 chilometri di
coste che le danno una grande potenzialità turistica, industrie alimentari e
di legname, fabbriche chimiche e miniere di carbone. E’ inoltre ricca di
riserve di zinco, piombo e argento. Anche in Abkhazia Mosca concede
facilmente il passaporto russo alla maggioranza della popolazione, paga
la pensione ad oltre 30 mila abkhazi, costruisce una ferrovia che collega
Soci a Sukhumi, cura gratuitamente i malati gravi e regala testi scolastici.
Per l’Abkhazia però, come per l’Ossezia, ciò che ha più valore è il
sentore della storia, come questa viene sentita dalla popolazione la quale
valuta ancora oggi come una forzatura l’inserimento nella Rss di Georgia
ad opera dei Sovietici, considerata un vero e proprio regalo di Stalin alla
madre patria Georgia. Il timore di un nuovo tentativo di annessione si è
riacceso dopo la presa di Kodori, nel luglio del 2006, da parte di
Saakashvili, quando il parlamento chiese ufficialmente a Mosca il
riconoscimento dell’indipendenza come membro associato della
Federazione. Anche in Abkhazia la Russia viene vista coma il solo paese
che può provvedere alla sicurezza e alla salvaguardia del suo futuro.

2.9 – La rielezione di Saakashvili

A dimostrazione di quanto fragile sia la situazione in Georgia dopo mesi


di tregua nella regione osseta si torna a sparare: l’escalation della
tensione prende il via il 3 settembre 2006 con l’abbattimento di un
elicottero militare georgiano su cui viaggiavano il ministro della Difesa,
Irakli Okruashvili, e il vicecapo di stato maggiore dell’Esercito,
colonnello Zaza Gogava, con il velivolo, colpito dalla contraerea delle

47
forze separatiste ossete, che riesce ad effettuare un atterraggio di
emergenza. Cinque giorni dopo i militari georgiani rispondono aprendo il
fuoco contro un posto di blocco delle milizie separatiste, uccidendo tre
osseti: tra le vittime anche un soldato georgiano, con il governo di Tbilisi
che sostiene di aver risposto al fuoco. Nel frattempo nel paese si
organizza l’opposizione al Presidente Saakashvili, che viene addirittura
accusato dall’ex ministro della Difesa Irakli Okruashvili di aver ordinato
l’omicidio di un importante uomo d’affari, Badri Patarkatsishvili (il più
potente magnate mediatico della Georgia ma soprattutto anello di
congiunzione con gli ex oligarchi russi). Le parole di Okruashvili
infiammano la protesta dei georgiani che, nell’autunno 2007, scendono
nuovamente in piazza a migliaia, facendo rivivere alla Georgia il clima
della “Rivoluzione delle Rose”. Lo scopo delle contestazioni era
esprimere la profonda insoddisfazione nei confronti dell’operato del
governo di Saakashvili. La risposta del Presidente è stata estremamente
dura, e lascia non poco perplessa la comunità internazionale: cariche
della polizia contro i manifestanti che provocano circa 250 feriti,
Saakashvili che il 7 novembre dichiara lo stato di emergenza (vietando
qualsiasi tipo di manifestazione), salvo poi tornare sui suoi passi (sotto le
pressioni della comunità internazionale e soprattutto degli Stati Uniti) e
concedere alle opposizioni le elezioni anticipate per il 5 Gennaio 2008.
Le elezioni si svolgono regolarmente e, a detta di molti, si possono
considerare come le elezioni più democratiche mai svoltesi in Georgia. Il
20 gennaio 2008 Mikheil Saakashvili viene ufficialmente investito per la
seconda volta della carica di Presidente della Georgia. Nonostante le
massicce dimostrazioni dei partiti d’opposizione contro Mikhal
Saakashvili, di cui ne chiedevano le dimissioni, e che convinsero lo
stesso Presidente ad optare per il voto anticipato, Saakashvili riesce ad
ottere il 53,47% dei voti, seguito da Levan Gachechiladze con il 25,69%.

48
La flessione di Saakashvili è comunque di non poco conto: in soli 3 anni
è passato dal 95% dei consensi al 53%, riuscendo oltretutto a perdere le
elezioni nella capitale georgiana, Tbilisi. Con un’opposizione unita (che
si è presentata alle elezioni proponendo 6 candidati diversi!), avrebbe con
molta probabilità perso le elezioni. Alla cerimonia d’inaugurazione del
suo secondo mandato Saakashvili rilancia la sfida a Mosca: “La nostra
aspirazione ad entrare nella Nato non è volta contro nessun vicino. Noi
vogliamo collaborare con la Russia, essere amici, essere più vicini: basta
buttare pietre, è giunta l’ora di raccoglierle, per la futura generazione alla
quale dobbiamo la risoluzione delle controversie”. Ma la risposta di
Vladimir Putin non sarà altrettanto distensiva. Mosca prima adotta una
risoluzione nella quale invita a tenere in considerazione l’ipotesi di
riconoscere la sovranità alle regioni di Abkhazia e Ossezia del Sud, nel
caso in cui la Georgia acceleri il processo di adesione alla Nato. Poi
minaccia:”adotteremo misure di carattere militare, ma anche di altra
natura per evitare che la Georgia entri a far parte dell’Alleanza
Atlantica”. Parole che suonano come un presagio di ciò che, di li a pochi
mesi, si scatenerà nel territorio georgiano. E’ a partire da questi
presupposti che ci si avvia verso un’escalation oramai inevitabile.

49
Capitolo 3 – La Georgia contesa e l’esplosione della crisi del
2008

La storia contemporanea della Georgia post Unione Sovietica è quella di


un Paese combattuto tra le aspirazioni occidentalistiche filo-statunitensi e
la naturale resistenza opposta dal rinato gigante Russo. Al fine di
comprendere meglio il ruolo che hanno svolto nella recente storia
georgiana la Russia e gli Stati Uniti trovo sia fondamentale analizzare le
dinamiche che si celano dietro l’avvicendamento dei governi attraverso la
rivoluzione; che ruolo gioca il fattore energetico della regione; la
strumentalizzazione delle popolazioni separatiste filo-russe; ed infine
l’invio di contingenti americani di addestramento sul suolo georgiano.
Come abbiamo visto la storia della Georgia è stata sempre caratterizzata
da dominazioni venute dall’esterno, in passato per imporre la religione
(cristiana e musulmana), più recentemente per motivi espansionistici o di
contenimento, fino alle motivazioni di natura economica essendo la
Georgia un paese ricco di risorse naturali. Sul finire della I Guerra
Mondiale prima la Turchia, poi la Germania e infine la Gran Bretagna
erano quasi riuscite a mettere le mani su ampi territori georgiani,
puntando in particolare alle riserve di manganese e di petrolio, senza però
riuscire a stabilizzarsi nella regione e soprattutto senza sottrarre il
predominio sovietico sulla regione georgiana. Abbiamo visto poi che nel
1924 gli Stati Uniti riuscirono ad aprire una breccia in Georgia, aprendo
la prima collaborazione economica per la concessione all’americana
Harriman Company dei depositi di manganese di Batumi. Ma è con il
crollo dell’Unione sovietica che la Georgia entra quasi ufficialmente nei
piani geopolitici degli Stati Uniti, che però si scontrano con la rinascita
della Russia la quale, vuoi per motivazioni storiche, vuoi per motivazioni

50
di carattere geografico, utilizza tutte le carte a propria disposizione per
colpire gli interessi statunitensi e far rientrare la ricca Georgia nella
propria orbita.

3.1 – La Georgia tra Mosca e Washington: aspetti politici,


economici e militari

Dopo il colpo di stato paramilitare del 1991 che destituì il dittatore


Gamsakhurdia e determinò la presa del potere del controverso Eduard
Shevarnadze il cui orientamento oscillò, per tutti i 12 anni del suo
governo, tra avvicinamenti con Washington e marce indietro verso
Mosca, gli Stati Uniti in Georgia adottarono una vera e propria strategia
pianificata.
L’idea degli Stati Uniti di proporsi come attore o manovratore in Georgia
nasce nel 1999 con l’approvazione da parte del Senato del “Silk Road
Strategy Act”. Il decreto legge S.579 modificava il Foreign Assistence
Act del 1961, e delineando le linee guida per la costruzione di un nuovo
asse eurasiatico. I paesi interessati erano Armenia, Azerbagian, Georgia,
Kazakistan, Kirghizistan, Turkmenistan e Uzbekistan. Il suo scopo era
l’incentivazione in questi Stati di riforme economiche e il passaggio alla
democrazia promuovendo la tolleranza, l’indipendenza, la sovranità e il
rispetto dei diritti umani, oltre a puntare ad una risoluzione dei conflitti
regionali. Ma soprattutto si proponeva un forte sostegno economico
attraverso investimenti americani nella regione. Il progetto dal punto di
vista economico mirava ad abbattere barriere e tasse doganali, supportare
la lotta al crimine e al commercio di armi di distruzione di massa,
assistere lo sviluppo delle capacità di controllo delle frontiere e della
cooperazione militare nella consapevolezza che “la regione del Caucaso

51
del Sud può produrre petrolio e gas sufficienti per ridurre la dipendenza
degli Stati Uniti dall’energia proveniente dalla volubile regione del Golfo
Persico”6.
La politica di investimenti statunitense passa attraverso il controllo
politico della regione georgiana, necessario per agevolare la linea
americana. Proprio per questo motivo, in seguito al fallimento nella
gestione dei crediti americani ed internazionali durante gli anni novanta,
Shevarnadze non fu più visto di buon occhio dall’amministrazione Bush
la quale, vedendo un progressivo riavvicinamento del presidente
georgiano a Mosca, nel luglio 2003 mandò Tbilisi l’ex segretario di Stato
James Baker (grande protettore di Shevarnadze), allo scopo di ascoltare
gli interlocutori dell’opposizione. In quell’occasione specialisti americani
suggeriscono tecniche elettorali a loro favorevoli, e Baker si mostra
freddissimo con il presidente. A fine settembre il Dipartimento di Stato
americano invia in Georgia Thomas Adams, con il compito di controllare
lo stato della democrazia georgiana. A Tbilisi il ruolo di tenere rapporti
con l’opposizione viene affidato a Richard Miles (presente a Baku
durante il colpo di stato di Gejdar Aliev e a Belgrado durante la cacciata
di Milosevic). Nei movimenti di piazza che seguirono il voto del 2
novembre 2003 svolge un ruolo attivo il movimento giovanile Kmara!
(Basta!), finanziato – così come la tv dell’opposizione, Rustavi2 – dal
miliardario americano George Soros, in rapporti amichevoli con il leader
dell’opposizione Saakashvili. Quando, il 21 novembre, vengono
annunciati i risultati elettorali che proclamano vincitore il blocco
filopresidenziale, un portavoce del Dipartimento di Stato americano,
Adam Ereli, dichiara: ”Siamo profondamente delusi dai risultati e dal
governo della Georgia. I risultati non riflettono esattamente la volontà del
popolo georgiano, ma brogli massicci al momento del voto”7. Il

6
Silk road strategy act of 1999, www.iwa-ait.org/silkroad.html
7
Limes – “Georgia tra Mosca e Washington”
52
presidente Shevarnadze viene ufficialmente scaricato dagli Stati Uniti e,
con una popolarità al minimo storico, deve fronteggiare migliaia di
persone che, dopo le elezioni del novembre 2003, scendono in piazza
armati di rose per protestare contro i presunti brogli elettorali. Il Wall
Street Journal, il 24 novembre 2003, attribuisce esplicitamente un ruolo
fondamentale nel rovesciamento del regime di Shevardnadze, ad una
serie di Organizzazioni non governative, supportate da fondazioni
americane ed occidentali (alcune di queste strettamente connesse con
George Soros), all’interno delle quali giovani attivisti inglesi avrebbero
spianato la strada per un cambiamento senza spargimento di sangue. Il
filantropo miliardario Soros non avrebbe però agito indipendentemente:
la “Rivoluzione delle Rose” sarebbe infatti stata pianificata e coordinata
centralmente e segretamente dal governo statunitense8 tramite la Cia
(attraverso l’ambasciatore Richard Miles). La buona riuscita della
“Rivoluzione delle Rose” grazie all’appoggio dell’Occidente la rese un
modello da ripetere, inaugurando così una serie di “rivoluzioni colorate”
all’interno di un processo di cambiamento geopolitico ben definito in cui
rientreranno negli anni a seguire l’Ucraina, il Kirghizstan e la Moldavia.
Per Shevarnadze le rivolte di piazza furono il colpo di grazia. In un
intervista al quotidiano britannico Daily Telegraph confesserà: ”Sono
stato il primo a sostenere gli americani nella loro politica in Iraq. Ma
Washington ha organizzato il mio rovesciamento. Non posso spiegarmi
come ciò sia accaduto”. Il 28 novembre, dopo che la Corte suprema
georgiana decide l’annullamento delle elezioni ed indice nuove elezioni
in data 5 gennaio 2004, il presidente Bush telefona a Nino Burdzhanadze,
divenuta capo di stato ad interim. Bush promette a Tbilisi il pieno
appoggio degli Usa, legittimando di fatto la “Rivoluzione delle rose”. Ai
primi di dicembre giunge a Tbilisi Lynn Pascoe, alto funzionario del

8
Jacob Levich – “When NGOs attack” 11th December 2003, www.conterpunch.com
53
Dipartimento di Stato statunitense il quale annuncia uno stanziamento
immediato di 5 milioni di dollari per la sicurezza. Il 5 dicembre è la volta
del segretario alla Difesa Donald Rumsfeld: promotore del programma
“Train and Equip” con cui dall’aprile 2002 gli americani addestrano le
Forze nuove speciali georgiane in chiave antiterrorostica (giustificazione
che non convince i russi), Rumsfeld si congratula con i vincitori e
promette nuovi aiuti alla difesa, invitando inoltre Mosca ad abbandonare
le basi militari di Akhalkalaki, nella Dzhavakhetia, e di Batumi, capitale
dell’isolazionista Agiaria sul Mar Nero, sede di raffinerie e depositi di
greggio. In realtà la presenza di militari statunitensi sul suolo georgiano
era dovuta, come spiegherà il presidente della compagnia petrolifera
georgiana “International Oil Corporation of Georgia”, Gia Chanturia, alla
necessità di garantire la sicurezza dell’oleodotto Btc. Dopo tutti gli
investimenti fatti in Georgia gli Stati Uniti vogliono anche assicurarsi la
loro sicurezza9.
E’ in questa cornice che si inserisce anche l’accordo siglato tra Georgia e
Stati Uniti, ratificato dal parlamento georgiano il 21 marzo 2003, in base
al quale si concede agli americani il diritto di accedere a spazi riservati e
impianti in Georgia con personale militare e civile che da questo
momento in poi potrà entrare e uscire dal paese senza passaporti o visti,
godrà dei privilegi e delle immunità che sono concesse ai diplomatici e
potrà portare armi sul territorio georgiano. Tutte queste concessioni, a cui
possiamo aggiungere anche il patto bilaterale d’immunità per le truppe
davanti al Tribunale penale internazionale10, sono riconducibili sempre
alla necessità di proteggere le condutture energetiche, ovviamente in
chiave anti-russa.
Le elezioni del 5 gennaio vedono la conferma del leader dell’opposizione
Mikhail Saakashvili. A quel punto la strada per gli Stati Uniti è spianata.

9
www.worldpaper.com/2002/mar03/mission1.html
10
Afp, 16/4/2003
54
Il 12 gennaio 2004 Lynn Pascoe torna a Tbilisi e promette al trionfante
Saakashvili aiuti e crediti complessivi per 100 milioni di dollari.
Saakashvili in occasione del giuramento di fedeltà alla Costituzione, il 25
gennaio 2004, nella piazza del parlamento promette di ripristinare
l’integrità territoriale della Georgia, di fronte a migliaia di cittadini, alle
nuove Forze speciali e a una ventina di rappresentanti di Stati esteri, tra
cui il segretario di Stato americano Colin Powell e il ministro degli Esteri
russo Igor Ivanov.
Saakashvili, dopo una campagna elettorale scandita dallo slogan
“Riprendiamoci la Georgia” e dichiarazioni come “Noi non abbiamo
bisogno di Mosca come nemico, ma come amico e potente alleato.
Voglio che l’amicizia si sviluppi e si rafforzi, se in Russia capiranno che
la Georgia non è uno Stato vassallo, ma un paese indipendente e sovrano.
Noi abbiamo i nostri interessi nazionali, la Russia ha i suoi”. Promette di
ristabilire, durante il proprio mandato, la piena sovranità di Tbilisi
sull’Ossezia meridionale, Abkhazia e Agiaria, tutte filorusse.
Saakashvili esclude il ricorso alle armi ma sa di non potersi “rassegnare
allo smembramento della Georgia”. Mentre i leader abkhazi e ossetini dal
canto loro si dicono pronti a ricorrere alle armi se Tbilisi tenterà di
imporre con la forza la sua sovranità. Putin non nega il diritto della
Georgia a difendere e ristabilire la perduta integrità territoriale, ma il
presidente russo, consapevole dell’orientamento delle popolazioni
separatiste, aggiunge che “si deve tenere conto delle particolarità dei
popoli della montagna (ossetini e abkhazi)”. Durante il primo viaggio di
Saakashvili all’estero in veste di presidente della Georgia non mancano le
proposte per la risoluzione delle questioni di Ossezia del Sud e Abkhazia.
La soluzione russa è la federalizzazione della Georgia che però è il
contrario di quanto propone l’unitarismo centralizzatore di Saakashvili.
Oltretutto senza l’appoggio politico ed economico di Mosca, Abkhazia e

55
Ossezia come Stati indipendenti non esisterebbero. Intanto la situazione
delle basi Usa in Georgia resta ambigua. Colin Powell nel gennaio 2004
rassicura Putin con l’annuncio che il programma “Train and Equipe” si
sarebbe concluso nel maggio 2004, assicurando che non sarebbero
rimaste basi permanenti, ma solo missioni militari temporanee. Un altro
problema riguarda la protezione militare del Btc. Il dubbio è se
basteranno le Forze speciali addestrate a Tbilisi.
I rapporti con Mosca rappresentano per la Georgia un dilemma di non
poco conto anche sul piano militare. Per questo Saakashvili comincia ad
accusare Mosca di fomentare il separatismo nelle regioni di Abkhazia ed
Ossezia del Sud, con l’obiettivo di punire un paese che ha deciso di porsi
fuori dalla sua orbita. Con l’alibi delle forze peacekeeper, truppe russe
che dal 1993 controllano la sicurezza della zona, Mosca garantisce, oltre
al business del contrabbando e la corruzione che ingrassa l’auto-
indulgente nomenklatura putiniana11, la destabilizzazione degli interessi
georgiani legati al passaggio degli oleodotti. La presenza russa servirebbe
indirettamente a colpire anche gli interessi statunitensi che, come
abbiamo visto, sono cresciuti in maniera esponenziale negli ultimi anni.
L’ultima questione riguarda l’evacuazione delle due basi militari che,
chiede Mosca, si devono regolare bilateralmente tra Mosca e Tbilisi.
Mosca chiede 11 anni di tempo, mentre Tbilisi chiede tre anni. La
situazione sembrerà sul punto di sbloccarsi grazie all’accordo del 30
maggio 2005, con il quale la Russia si impegna a chiudere le ultime due
basi russe in territorio georgiano, e precisamente quella di Akhalkalaki
(al confine armeno) e di Batumi (sulla costa del Mar Nero) con il ritiro
dei tremila soldati russi entro e non oltre la fine del 2008. Nel 2004
tuttavia non mancano segnali distensivi nei rapporti tra Mosca e Stati
Uniti, come si evince dalla dichiarazione di Colin Powell: ”La presenza

11
Pavel Felghenhauer, Moscow Times
56
americana in Georgia ha il fine di aiutarla contro la minaccia terrorista
che là esiste. In questo modo, si aiuta anche la Russia”.
La contesa russo-americana si ripete nell’estate del 2004 in occasione
dello scoppio della crisi tra Tbilisi e Tskhinvali, capitale dell’Ossezia del
Sud: il fallimento dell’operazione militare di Saakashvili, nata dal
pretesto della lotta al contrabbando di droga ed armi lungo l’asse stradale
Vladikavkaz-Tskhinvali-Tbilisi, viene mediata da Washington. A metà
agosto dopo un colloquio telefonico tra il segretario di Stato Colin Powell
e il ministro degli Esteri russo Lavrov, si interrompono gli scontri a fuoco
tra sud-ossetini e georgiani. Scontri che riprenderanno in maniera
sporadica verso la fine di ottobre. La Georgia ritira comunque i militari
dall’Ossezia del Sud e i sud-ossetini liberano i prigionieri georgiani.
In quest’occasione, grazie alla mediazione di Washington, si è evitato un
coinvolgimento diretto, nel caso il conflitto fosse degenerato, della
Russia. La mediazione però non avviene nel successivo conflitto
scatenato da Saakashvili a Kodori, piccola regione dell’Abkhazia, che il
presidente ha la necessità di conquistare per assicurarsi la vittoria alle
elezioni amministrative. In quel caso gli Stati Uniti avevano espresso
preoccupazione: pur ribadendo il sostegno alla ricerca di una integrità
territoriale georgiana Washington aveva diffidato Saakashvili per un
eventuale intervento verso Sukhumi. Nonostante gli ammonimenti da est
e da ovest Saakashvili prosegue sulla strada della militarizzazione: ad
inizio agosto lancia un programma di addestramento per 100 mila
riservisti giustificando il gesto come autodifesa da eventuali attacchi
esterni. Il suo scopo è mobilitare la società contro un nemico comune.
Nelle settimane successive prima l’arresto in massa di membri
dell’opposizione, incolpati di stare preparando un golpe finanziato da
Mosca, poi la decisione della Nato di aprire un “dialogo intensivo” con la
Georgia per premiare gli sforzi di allineamento, lanciano la volata pre-

57
elettorale a Saakashavili. Nel discorso tenuto all’Assemblea delle
Nazioni Unite il 22 settembre 2006 Saakashvili continua nella sua
operazione: accusa in mondovisione Mosca di voler annettere le due
regioni separatiste, chiede il ritiro delle truppe d’interposizione, minaccia
una soluzione militare della questione con l’appoggio esterno degli alleati
e, sicuro dell’appoggio degli occidentali, afferma che “ogni tentativo di
strappare un pezzo di territorio georgiano(…)vedrà l’opposizione dei
nostri partner principali”. Il 27 settembre, in seguito all’arresto di “spie”
russe in terra georgiana, a cui viene dedicato un’ampia eco da giornali e
televisioni , il Cremlino decide di adottare la linea dura. La prima
ritorsione sono le sanzioni economiche, il rimpatrio dei georgiani presenti
illegalmente in Russia, blocco delle comunicazioni e dei trasporti e ritiro
della rappresentanza diplomatica a Tbilisi. Il partito di Saakashvili riesce
comunque ad ottenere la vittoria alle elezioni amministrative del 5
ottobre, ma gli effetti della strategia propagandistica si ripercuotono
contro la stessa Georgia. Mosca fa sul serio e l’Occidente blocca
Saakashvili e il suo staff. La Russia decide quindi di giocare la carta del
gas: attraverso Gazprom obbliga la Georgia a pagare 230 dollari per ogni
mille metro cubo, al posto degli abituali 110 dollari, a partire dal 2007.
Saakashvili risponde che presto la Georgia potrà sfruttare altre fonti
energetiche alternative e si rifiuta di consegnare nelle mani di Gazprom
gli asset energetici georgiani per non veder tagliata la fornitura, e nel
frattempo cerca un accordo contrattuale con l’Azerbaijan per la fornitura
di gas. Non contento il presidente rilancia la decisione di riprendersi
l’Abkhazia e minaccia gli ossetini per il referendum sull’indipendenza
del 12 novembre. L’ennesima mediazione di Washington con l’invito a
terminare le tensioni con Mosca spinge Saakashvili ad obbedire, optando
per la rimozione del bellicoso ministro della Difesa Irakli Okruashvili.
Ma i conflitti di Abkhazia e Ossezia del Sud restano in stand-by. Le due

58
regioni separatiste sono sempre sotto l’ala protettrice di Mosca. Pedine
inconsapevoli, insieme alla Georgia, di un gioco ben più grande di loro:
la lotta per l’influenza nella regione transcaucasica che Mosca e
Washington iniziano a giocare a salma dell’Urss ancora calda. La Russia
di oggi però è cosa ben diversa dal paese uscito dalle ceneri sovietiche.
Nessuna risoluzione dei conflitti georgiani è possibile senza il suo
coinvolgimento. E senza pace l’allargamento Nato in Caucaso è
rimandato a data da destinarsi. Mosca è consapevole della quantità di
risorse e contributi che l’Occidente ha elargito alla Georgia. Ma sa di
avere la forza per contrastarne l’efficacia. All’apice della crisi russo-
georgiana del settembre 2006 è lo stesso Putin ad indicare generici
sponsor stranieri dietro le mosse della dirigenza georgiana (nota piè di
pagina Limes- Bush non sfonda in Georgia). Assegna al suo ministro
degli Esteri il compito di fare nomi e cognomi: ”la dinamica degli
avvenimenti che hanno preceduto l’arresto degli ufficiali russi –
denunciava Lavrov – testimonia un certo ruolo degli Stati Uniti
nell’acutizzarsi della tensione. Così come della Nato”. Forte
dell’appoggio popolare il presidente russo applica pesanti sanzioni
economiche alla Georgia, allo scopo di danneggiare l’immagine del
collega georgiano, e se possibile farlo cadere. Ma queste azioni suonano
soprattutto come un avvertimento all’Occidente del ritorno della potenza
russa, per cui in nessuna parte del globo dove essa coltivi suoi interessi, e
soprattutto nella sua area, è possibile attaccarla. E’ la determinazione di
Putin a suggerire a Washington di frenare gli slanci nazionalistici di
Saakashvili, e alle Nazioni Unite di accettare la proposta di condanna
della Georgia chiesta da Mosca, e già bocciata all’inizio della crisi del
2006. Le Nazioni Unite attribuiscono le tensioni alle operazioni
georgiane, le cui truppe vengono accusate di violazione degli accordi del
1994, chiedendo l’immediato ritiro delle truppe non autorizzate, oltre al

59
prolungamento della missione d’interposizione Unomig fino all’aprile
2007, e auspicando una ricerca di soluzione della crisi senza avventurarsi
in azioni provocatorie e nella retorica militare.
Il documento viene accolto con soddisfazione da Mosca.
Tornando agli Stati Uniti, dopo l’avvento di Saakashvili nel 2005
lanciano in Georgia il Sustainment and Stability Program (Ssop), un
piano che prevede una spesa di 60 milioni di dollari affinché i marines
addestrino battaglioni di fanteria per operazioni in Iraq al fianco degli
americani. Prosegue anche il Georgia Border Security and Law
Enforcement Program (attivo dal 1997). Inoltre molti esperti americani
sono impegnati a Tbilisi in numerosi ministeri: Finanze, Agricoltura,
Sviluppo Economico ed Energia. Questo grazie soprattutto alle
Organizzazioni non governative e a partner locali come l’American Bar
Association Central European and Eurasian Law Iniziative, che assiste la
riforma del potere giudiziario, o la Development Alternatives
Incorporated, che aiuta lo staff del presidente e del primo ministro nella
comunicazione. Gli statunitensi sfruttano anche il potente mezzo
televisivo per “diffondere buoni valori”: nel 2005 creano un programma
televisivo per ragazzi georgiani, Kid’s Crossroads. Al crescere della
presenza americana in Georgia segue, in parallelo, un rapporto sempre
più stretto tra la repubblica sud-caucasica e la Nato. Ma il Cremino è
attento a tutte le dinamiche che avvengono all’interno della Georgia e
all’esterno, e non sta a guardare. La Russia lascia pure che i georgiani
intitolino la grande strada che collega l’aeroporto di Tbilisi a George
W.Bush, o che gli americani si inseriscano nella società georgiana, ma sa
che alla fine i conti dovranno farli con Vladimir Putin. La Russia cerca di
sfruttare altri mezzi per destabilizzare il potere georgiano: nel settembre
2007 sul principale canale televisivo dell’opposizione, l’ex ministro della
Difesa Irakli Okruashvili, lancia pesanti accuse al presidente Saakashvili:

60
viene incolpato di aver commissionato l’omicidio di Badri
Patarkatsishvili, il più potente magnate mediatico della Georgia ma
soprattutto anello di congiunzione con gli ex oligarchi russi vicini a
Putin. Okruashvili viene arrestato e costretto a fuggire all’estero dopo
aver ritrattato le accuse rivolte al presidente ma, quando la miccia delle
proteste contro il governo era già stata accesa (la gente protestava
soprattutto per il fallimento delle politiche di Saakashvili), l’ex ministro
in un nuovointervento televisivo dall’estero rilancia le stesse accuse. I
principali media diffondono le dichiarazioni dei servizi di sicurezza
georgiani secondo i quali esisterebbe un ramificato network spionistico
(“i georgiani del Cremlino”) che la Russia avrebbe attivato per
scombussolare la vita democratica della Georgia in occasione delle
elezioni del 2007, per questo la pressione russa avrebbe coinvolto gli
oppositori del regime di Saakashvili12. Evidentemente alla Russia non
basta il ricatto energetico e l’interferenza attraverso le regioni separatiste
per fronteggiare la fuga verso Occidente della Georgia. Nel 2008, dopo la
risicata rielezione di Saakashvili, la Russia torna a minacciare il governo
georgiano attraverso le dure parole del Ministro degli Esteri Sergej
Lavrov, lanciate dalle frequenze di radio Eco di Mosca, in cui ribadisce
l’impegno del Cremlino di voler fermare con ogni mezzo possibile
l’allargamento della Nato a ridosso dei confini sud-occidentali della
federazione. La Russia, come più volte nel corso della recente storia
georgiana, continuerà ad usare a proprio vantaggio la situazione delle due
regioni separatiste non solo contro Tbilisi, ma anche contro chiunque
voglia esercitare ingerenze negli affari interni della Russia.

12
l’Occidentale, 14 novembre 2007,
http://www.loccidentale.it/autore/gabriele+cazzulini/c
%E2%80%99%C3%A8+la+russia+dietro+l
%E2%80%99opposizione+in+georgia.009088
61
3.2 – L’economia georgiana sulla via del neoliberismo

La Georgia nonostante la ricchezza di materie prime non ha praticamente


mai avuto, nel corso della sua lunga storia, un’economia florida.
Le contraddizioni interne, le conquiste e le spartizioni hanno reso la vita
economica del paese costantemente instabile. Recentemente però, con
l’avvento di Shevarnadze prima, e con il suo successore Saakashvili poi,
la Georgia ha l’opportunità di beneficiare di ingenti somme di denaro ed
investimenti provenienti dall’estero. Nel giugno 2002 il Dipartimento di
Stato americano annuncia di “aver finanziato dal 1992 per circa
1,1miliardi di dollari programmi di assistenza in Georgia, oltre ad aver
versato 408 milioni dal Dipartimento della Difesa e da donazioni di
associazioni umanitarie private”. Una quantità di denaro che, in
proporzione alla popolazione, si avvicina ai finanziamenti indirizzati
dagli Usa verso Egitto e Israele. Nonostante gli aiuti dal punto di vista
economico si è già analizzato come sotto Shevarnadze le privatizzazioni
siano fallite, così come i programmi contro la povertà, fascia nella quale
vive oltre la metà della popolazione. La disoccupazione,
abbondantemente superiore all’11% ufficiale, costringe all’emigrazione
oltre 700 mila persone; gli stipendi e le pensioni si aggirano mediamente
intorno ai 20 dollari al mese. Il fallimento di queste politiche, dovuto
probabilmente all’incapacità di gestire tali ingenti crediti per un paese da
sempre abituato alla povertà (spesso infatti finiscono nelle mani di
pochi), spingono nella metà del 2003 il Fondo Monetario Internazionale e
gli Usa a sospendere gli aiuti. Solo con la “Rivoluzione delle Rose” e
l’affermazione di Saakashvili riprenderà il flusso di crediti provenienti
dall’America: nel dicembre 2003 Miles annuncia lo stanziamento di 21
milioni di dollari per pagare salari e stipendi arretrati, e per fornire

62
riscaldamento a metà Georgia. Appena insediato il governo Saakashvili
destina 295 milioni di dollari allo sviluppo economico del paese, dando
già nei primi mesi una forte scossa alla vita economica del paese,
lanciando una dura lotta alla corruzione. Il governo favorisce poi
l’afflusso di nuovi crediti da parte del Fondo Monetario Internazionale13 e
della Banca Mondiale, nonostante un debito estero di 1.8 miliardi di
dollari. La Georgia post rivoluzionaria ha avuto come primo obiettivo
quello di aprire il paese all'economia di mercato ed agli investimenti
esteri, con la consulenza delle istituzioni finanziarie internazionali e di
agenzie governative statunitensi come USAID e la BISNIS, che hanno
avuto un'attenzione particolare nell'aiutare le imprese statunitensi a fare
buoni affari14. In cambio delle nuove linee di credito ricevute la Georgia
deve dare una direzione neo-liberista alla propria economia, in modo da
creare un “un ambiente ideale per gli investimenti”. Per questo la Georgia
è anche andata incontro a massicce privatizzazioni, “controverse e spesso
confuse”. Nei primi mesi di governo Mikhail Saakashvili lancia un
grande piano di privatizzazioni: la legge sulla “Privatizzazione delle
Proprietà di Stato”, che escludeva dalla privatizzazione le fonti d'acqua,
le ricchezze minerarie, le foreste e le aree protette, i musei, i teatri e i
luoghi di interesse storico culturale, i porti di importanza nazionale, le
ferrovie, i gasdotti, i santuari, le autostrade, le strutture aeroportuali, le
poste, la televisione di stato, la telefonia, e infine gli impianti elettrici e
idrici15. Se tra il 2000 e il 2003 la Banca Mondiale registrava
privatizzazioni per 20 milioni di dollari complessivi, solo negli anni 2005
e 2006 la Georgia ha privatizzato industrie e infrastrutture per 900

13
Lettera d’Intenti, maggio 2004 - http://www.imf.org/External/NP/LOI/2004/geo/01/
14
Business information service for Newly Indipendent States
http://www.bisnis.doc.gov/bisnis/whoweare.cfm
15
Law of Georgia, “On Privatization and Transfer with the Right of Use of State
Property and Local Self-Government Unit Property“ 11.07.2007, N5295)
http://www.aplr.org/files/2/8rz8yw9vzj.pdf
63
milioni di dollari. Sul piatto anche le telecomunicazioni (90 milioni), la
distribuzione di energia (85 milioni), i gasdotti che furono al centro di un
giallo quando il presidente che annunciò di poter vendere alla russa
Gazprom e gli Stati Uniti che fecero pressioni per il contrario. «Non è
importante per noi avere qualcosa posseduto dallo stato. L'importante è
avere tutte le grandi compagnie privatizzate, o in via di privatizzazione»
dichiarava Kakha Bendukitze, responsabile del grande piano di
privatizzazioni lanciato nel 200416. Per essere ancora più trasparenti il
Ministero per lo Sviluppo Economico ha aperto un sito internet,
www.privatization.ge, annunciando nella homepage che il sito del
Ministero per lo Sviluppo Economico è supportato dalla Georgia
Enterprise Growth Initiative (GEGI), finanziata dall'Agenzia Statunitense
per lo sviluppo economico (USAID). Sul sito è disponibile un catalogo
delle proprietà (terreni, edifici, aziende) in vendita, ed un elenco delle
proprietà già vendute. Il settimanale britannico Economist scriveva:
”Dimenticate eBay. Se volete acquistare un aeroporto internazionale, una
piantagione di te, una pompa di benzina, un vigneto, una compagnia
telefonica, uno studio cinematografico, semplicemente chiamate Kakha
Bendukidze, il nuovo ministro dell'economia georgiano. Per un prezzo
adeguato è pronto a mettere sul piatto anche la Tbilisi State Concert Hall
o la zecca nazionale. Bendukidze sta facendo tutto quello che un
businessman potrebbe desiderare da un governo”17. Non è difficile
associare questo stravolgimento dell’economia della Georgia in direzione
neoliberista alle riforme standard che vengono solitamente riconosciute
con l’espressione “Washington Consensus”, ovvero le linee guida
indicate e promosse, non a caso, da Fondo Monetario Internazionale,

Eurasianet.org, “Privatization in Georgia”


16

http://www.eurasianet.org/departments/business/articles/eav071905.shtml
17
Kakha Bendukidze, a different sort of oligarch
http://www.economist.com/people/displaystory.cfm?story_id=2963216
64
Banca Mondiale e Tesoro degli Stati Uniti. Questa politica varrà alla
Georgia una scalata nella classifica dei Paesi in cui è conveniente fare
business, fino a raggiungere il 18° posto nella classifica mondiale stilata
da “Doing Business”18 agenzia legata alla Banca Mondiale. Nel 2006 la
classifica dell’Heritage Foundation’s Index of Economic Freedom dà
alla Georgia una buona posizione nel mondo per libertà economica
(mostly free), al pari di Italia, Francia e Spagna; mentre in base agli studi
del “Corruption Perception Index” (CPI) dell’istituto Transparency
International nel 2007 la Georgia si attesta al 3.4%, un dato molto
significativo perchè le permette di uscire dalla soglia dei paesi con
“significativi problemi di corruzione”19. Anche i dati economici
dell’Asian Development Bank forniscono indici di notevole
miglioramento della performance economica negli ultimi tre anni: dal
2004 il PIL georgiano cresce in media del 8,3% (prima era del 7,1%),
mentre il PIL pro capite ha raggiunto nel 2006 una media di 605.2 lari, in
netto aumento rispetto ai 533.5 lari dell’anno precedente. A tale crescita
tuttavia non corrisponde ancora una riduzione della disoccupazione
(attestatasi nel 2006 intorno al 13,6%) né dell’inflazione, al 9% nel 2006.
Gli investimenti esteri continuano comunque a crescere in modo
vertiginoso: nel 2006 sono aumentati del 450% (per un ammontare di 1,7
miliardi di dollari) rispetto all’anno precedente, mentre nel 2007 si
registra una ulteriore crescita del 50%. Tuttavia, secondo numerosi
analisti internazionali, i dati reali smentiscono i dati economici e gli
effetti di questa stagione di riforme di politico-economiche hanno dubbie
ricadute sulla popolazione.

18
Doing Business 2010 http://www.doingbusiness.org/ExploreEconomies/?
economyid=74
19
Trasparency International Georgia http://www.transparency.ge/index.php?
lang_id=ENG&sec_id=142
65
3.3 – La Georgia contesa da Mosca e Washington: la questione
energetica

La questione energetica georgiana, a partire dalla seconda metà degli


anni ’90, si può considerare l’aspetto chiave dell’intreccio dei rapporti tra
Georgia, Stati Uniti e Russia, e viaggia attraverso le condotte delle
pipeline. Sotto la guida di Shevarnadze si inaugura, il 17 aprile 1999,
l’oleodotto della Western Route, il Baku-Supsa, alla presenza del
Presidente azero Aliyev e del coordinatore del Dipartimento del
Commercio degli Stati Uniti per la regione del Mar Caspio, Richard
Morningstar. Con soddisfazione si assiste alla partenza delle prime
petroliere che trasportavano il petrolio diretto in Spagna e Italia. La
Western Route tuttavia, dopo soli tre anni di operatività a pieno regime,
dimostra una scarsa capacità di trasporto, che non avrebbe soddisfatto la
crescente estrazione di petrolio. A quel punto, dopo una lunga trattativa
per scegliere i territori che avrebbero ospitato la pipeline, Stati Uniti,
Azerbaijan e Turchia decidono che un nuovo oleodotto, più capiente,
avrebbe dovuto attraversare la Georgia. Decisiva ai fini della scelta fu la
forte pressione degli Stati Uniti consapevoli della funzione strategica di
una nuova pipeline: l’obiettivo era tagliare fuori i russi dal nascente
corridoio energetico20. Shevarnadze assicura il suo appoggio alla
costruzione del l’oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, fortemente voluto da
Washington, consapevole della necessità di bypassare la rete degli
oleodotti russi. Lo scopo dell’oleodotto Btc, che tra vari problemi vedrà
l’apertura ufficiale dei lavori di costruzione il 18 settembre 2002, è difatti
creare una via che sottragga alla Russia il controllo monopolistico dei
flussi del greggio caspico, controbilanciando l’influenza nella regione

20
Saponaro, Manes, Tricarico: “E noi italiani? Le responsabilità italiane nella
costruzione e nel finanziamento dell’oleodotto Btc nella regione del Caspio” CRBM,
2003
66
caspico-sudcaucasica, oltre a quello di rafforzare l’asse turco-georgiano-
azero, essenziale per il mantenimento dell’influenza statunitense nella
regione. Il Btc farà affluire in Occidente, percorrendo 1740 chilometri a
partire dal 2005, oltre 5,2 miliardi di barili di greggio nell’arco di 40
anni. Il petrolio sarà estratto da campi azeri. A gestire la costruzione del
Btc, è un consorzio petrolifero, con sede alle Isole Cayman, guidato dalla
compagnia britannica British Petroleum (BP), con il 30%, insieme alle
partecipazioni dell’azera Socar con il 25%, la statunitense Unocal con il
9%, la norvegese Statoil con l’8%, la turca Tpao con il 6%, l’italiana ENI
e la francese Total-Fina-Elf entrambe con il 5%21, oltre ad altre
compagnie minori. Il costo totale sostenuto dal consorzio guidato dalla
British Petroleum è di 2,9 miliardi di dollari. Oltre al consorzio sono ben
15 le banche private coinvolte nel Btc: formano un consorzio che ad
inizio febbraio 2004 ha assicurato un contributo di più di 1 miliardo di
dollari (ripartite in quote individuali di 68 milioni), il piu' grosso project
finance degli ultimi anni. Tra gli altri fanno parte del consorzio le italiane
Banca Intesa e San Paolo Imi22. Gli interessi occidentali sul progetto e
quindi sull’intera area si fanno preponderanti.
Proprio a tutela di questi crescenti interessi geoeconomico-energetici
vanno inquadrate le presenze di militari statunitensi in pianta stabile sul
suolo georgiano (che come abbiamo già visto erano ufficialmente in loco
per il programma di addestramento delle truppe georgiane “Train and
Equipe”); truppe che ricevono la visita del consigliere politico della
British Petroleum, John Gerson, allo scopo di constatare i progressi dei
militari georgiani23.

21
Oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, Eni
http://www.eni.it/it_IT/eni-nel-mondo/baku/oleodotto-baku.shtml
22
Scheda progetto Btc, http://www.crbm.org/modules.php?
name=browse&mode=page&cntid=154
23
www.eurasianet.org/departments/business/articles/eav012503.shtml
67
In una lettera del segretario Usa all’Energia, Spencer Abraham,
indirizzata al presidente Shevarnadze, vi si afferma con chiarezza che il
corridoio energetico est-ovest è una “priorità del governo americano”24,
ben consapevole del fatto che le pipeline sono anche un mezzo per il
controllo sociale ed economico del territorio: promettono sviluppo, posti
di lavoro e petrodollari. Né l’oleodotto Btc, inaugurato il 13 luglio 2006,
e presentato come la “Via della seta del XXI secolo” né i crediti e gli
aiuti concessi alla Georgia hanno dato però i risultati sperati. Le scelte di
Shevernadze, anche dal punto di vista energetico, si dimostrano
equidistanti da Mosca e Washington: nel maggio 2002 l’amministratore
delegato della Gazprom russa, Alerei Miller, ha concluso un pre-accordo
con il presidente georgiano per la creazione di una partnerhsip strategica
che vede il gigante petrolifero russo impegnato nella fornitura di quantità
aggiuntive di gas alla Georgia e nella ristrutturazione per 250 milioni di
dollari del sistema di gasdotti georgiano; nel luglio 2003 la Georgia cede
al monopolio elettrico russo Ees il controllo di parte della rete elettrica e
di alcune imprese distributrici, come la Telasi di Tbilisi nella quale aveva
investito anche una società americana. Anche dal punto di vista
energetico il petrolio del Caspio ripropone la contrapposizione tra le due
super potenze: l’oleodotto azero-georgiano-turco, il Btc, voluto da
Washington, cui Mosca continua ad essere ostile; e quello controllato dai
russi, il Tengiz-Tikhoreck-Novorossiysk (Ktk). Al tempo stesso le
forniture energetiche di Mosca e l’apertura del mercato russo sono per
Tbilisi una necessità, rappresentando un forte strumento di pressione e di
condizionamento a disposizione della Russia. La crisi del settembre 2006
tra Mosca e Tbilisi rende l’idea della capacità di ricatto economica di cui
la Russia dispone nei confronti della vicina Georgia grazie alla leva
energetica. Putin fa lanciare a Gazprom una pesante “tassa” sul gas che, a
partire dal gennaio 2007, costerà più del doppio (230 dollari per ogni
24
www.intefax.com/com?item=search&pg=20&id=5635200&req=georgia
68
mille metro cubo). Saakashvili risponde facendo riferimento a fonti
alternative della Georgia, ma in realtà tacendo sul reale controllo che
Mosca esercita in Georgia dal punto di vista energetico. Nel settore del
gas Tbilisi è interamente dipendente da Mosca, le società che controllano
il mercato interno sono due: una kazaka, la Tbilgazi, l’altra russa, la Iter
Georgia, divisa in 10 società, una per ogni regione georgiana. L’import
del gas dalla Russia è invece gestito, oltre che dalle due società citate,
anche dalle russe Gazexport (della Gazprom), e da Energy Invest,
controllata dalla Vnesekonombank. Nel settore dell’energia elettrica
invece, tra l’ottobre 2006 e l’agosto 2007, è stata prevista l’importazione
dalla Russia di 233,9 milioni di kwh. Ad occuparsi della fase di
produzione e distribuzione sono le due centrali idroelettriche di Khrami-1
e Khrami-2, di proprietà dell’ente monopolistico russo Raoes, e le due
centrali termoelettriche, una della Energy Invest e l’altra della Mtkvari
Energetica, sempre della Raoes. La fase di trasmissione è invece affidata
ad una società mista (al 50%) russo-georgiana, la SakRusEnergo25.
L’economia georgiana, per quanto riguarda il fondamentale e redditizio
settore energetico, è dunque ancora sotto il controllo di Mosca.
Washington però non sta a guardare e nel settembre 2005 firma l’accordo
Millennium Challenge Account, un progetto che prevede il
finanziamento di 295,3 milioni di dollari per i prossimi cinque anni
destinati al ripristino di infrastrutture regionali e allo sviluppo delle
imprese. Nel solo 2006 il governo Usa ha stanziato 85,7 milioni di dollari
per la Georgia. Mentre l’Usaid, l’agenzia americana per lo sviluppo, ha
elargito dal 1992 al 2006 circa 774 milioni di dollari alla Georgia. Queste
analisi economiche sono utili a comprendere come lo scontro tra Stati
Uniti e Russia per il controllo della ricca Georgia si giochi su due piani
apparentemente diversi, ma strettamente collegati: quello politico-

“dati forniti il 7 novembre 2006 dalla Georgian National Energy Regulatory


25

Commission
69
militare, e quello economico-energetico. Mentre gli Stati Uniti utilizzano
tutti gli strumenti diplomatici a loro disposizione, usando anche
l’Alleanza Atlantica, ed elargendo investimenti in concerto con il Fondo
Monetario Internazionale e la Banca Mondiale, la Russia finanzia le
pensioni e gli stipendi delle regioni separatiste per mantenere l’instabilità
nel Paese, riuscendo a mantenere il controllo su buona parte della regione
georgiana, e sfrutta il proprio potenziale energetico come forma di
ricatto. Entrambe poi utilizzano il fattore culturale per incrementare la
propria influenza sulla popolazione: in Georgia gli Usa si affidano ad un
programma televisivo per giovani, mentre la Russia cerca di diffondere e
radicare in Ossezia e Abkhazia i propri valori, la propria lingua e la
propria identità. E’ quindi in questo quadro di interessi intrecciati,
investimenti e sfere d’influenza che si creano i presupposti per lo scoppio
della crisi georgiana nell’agosto del 2008,che fa subito venire alla mente
una nuova e più evoluta Guerra Fredda tra Washington e Mosca.

3.4 – Il preludio della guerra

Nel giugno 2008 nella regione georgiana torna a salire la tensione. Il


conflitto tra la Georgia e le regioni separatiste sembra congelato, ma ci
vorrà poco per innescare l’escalation di guerra.
Il partito di Mikhail Saakashvili, Movimento Nazionale Unito, era
riuscito a riaffermarsi alle elezioni legislative del 2008, permettendo così
al presidente di poter contare su 120 seggi (su un totale di 150); intanto le
proteste di piazza delle opposizioni che denunciano brogli non si placano.
A questa difficile e instabile situazione interna si aggiunge lo scontro
frontale tra Mosca e Tbilisi, attraverso le regioni separatiste. Nella
regione abbiamo visto che è schierato dal 1992 un contingente “misto”,

70
col ruolo di mantenimento della pace, composto da tre battaglioni: russo,
georgiano e osseto. Tbilisi chiede da tempo una nuova missione a guida
Osce, per eliminare la presenza di militari russi sul territorio, mentre al
momento l’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa
ha solo funzioni di ’osservatore’ nella regione. In breve tempo tanti
piccoli segnali minacciosi fanno presagire alla guerra: l’abbattimento da
parte dei russi di un aereo spia georgiano sul territorio abkhazo, cui segue
il dispiegamento di 300 militari russi in Abkhazia (che si aggiungono ai
2500 già presenti); un attentato georgiano con una bomba all’interno del
mercato della città abkhaza di Gagry; la provocazione del presidente
abkhazo, Sergei Bagapch, che minaccia un’immediata chiusura delle
frontiere con la Georgia, come risposta alle provocazioni georgiane. Il
terreno di scontro si estende anche in Ossezia. Il 7 luglio la Georgia
effettua un bombardamento notturno sulla capitale dell’Ossezia del Sud,
Tskhinvali, giustificando l’attacco come una risposta obbligata al fuoco
osseta: il bilancio è di 3 morti e 11 feriti. Le autorità di Tskhinvali
smentiscono di aver attaccato per primi, ma si preparano alla risposta.
Nei giorni successivi si susseguono gli attacchi da una parte e dall’altra:
una bomba esplode nel villaggi osseto di Dmenis, uccidendo un
comandante delle milizie separatiste. Poche ore dopo un’altra bomba
esplode al passaggio dell’auto del capo dell’Amministrazione provvisoria
dell’Ossezia del Sud, Dimitri Sanakoev, fedele al governo georgiano. Il
funzionario riesce a scampare all’attentato. Intanto la Russia comincia a
farsi sentire invitando la Georgia a “terminare l’uso della forza in Ossezia
e ad essere coerente con i segnali distensivi che arrivano da Tbilisi”. Ma
così non sarà. Il 7 luglio quattro esplosioni colpiscono la città abkhaza di
Sukhumi, un’altra bomba esplode in un bar, mentre la città sud-osseta di
Ubiat è bersagliata da granate georgiane. Gli attacchi non generano
vittime, ma dimostrano che la Georgia fa sul serio come testimonia la

71
dichiarazione del Ministro degli Esteri georgiano, Eka Tkeshelashvili: «Il
rischio di un conflitto armato con la Russia è reale. Noi non invadiamo
niente, è solo un pretesto di cui si servono i russi», chiedendo alla
comunità internazionale il dispiegamento di un contingente misto
proveniente da altri Paesi, allo scopo di sottrarre il controllo del territorio
ai russi. Intanto l’Abkhazia, dichiara che i continui attacchi georgiani
sono “terrorismo di Stato” e decide, il 7 luglio, di porre fine ad ogni
contatto con Tbilisi, chiedendo all’Onu e all’Osce di prevenire la
minaccia terroristica proveniente dalla Georgia. La Russia a questo punto
smaschera gli Stati Uniti accusandoli, per voce del ministero degli Esteri,
di “coprire le provocazioni georgiane, azioni di Tbilisi che possono
portare la regione sull’orlo di un conflitto armato, con conseguenze
imprevedibili”. Scopo del presidente georgiano sarebbe, secondo Mosca,
“distruggere il mantenimento della pace nella regione, che funziona da 15
anni, allo scopo di sostituirla con nuove strutture di peacekeeping di
maggiore gradimento per i georgiani”. E’ in questo senso che va
inquadrata la richiesta di Tbilisi di cambiare la composizione delle forze
di interposizione nelle regioni secessioniste. Le minacce e gli scontri
diplomatici proseguono: russi e georgiani si accusano a vicenda di
violazione dello spazio aereo in Ossezia del Sud, mentre Tbilisi ritira il
suo ambasciatore in Russia ufficialmente per consultazioni e minaccia
l’abbattimento di qualsiasi velivolo russo sul proprio territorio. Per la
Russia ogni tentativo di mediazione statunitense non sarà preso in
considerazione. La delicata mediazione viene allora affidata alla
Germania che si pone a capo di un folto gruppo di Paesi, attraverso le
Nazioni Unite. Il piano tedesco, che prevede il ritorno in Abkhazia di 250
mila georgiani fuggiti nel 1992, viene respinto dal leader abkhazo Sergei
Bagapsh. Il 21 luglio la repubblica sud-osseta accusa Tbilisi del sequestro
di quattro cittadini: sarebbe stata, sostiene il dipartimento georgiano, una

72
risposta all’arresto di un cittadino georgiano. La situazione sembra ormai
precipitare: Tbilisi accusa Mosca di voler annettere l’Abkhazia mentre il
Cremino sostiene che la Georgia vuole recuperare la regione
indipendentista con la forza.

3.5 – Agosto 2008: “la guerra dei cinque giorni”

Il 4 agosto la Russia accusa la Georgia di fare un “uso sproporzionato


della forza” nella provincia autonoma dell’Ossezia del Sud, invitando
Tbilisi a non aggravare la situazione. Nel giorni precedenti una serie di
scontri in Ossezia del sud aveva causato sei morti e almeno 15 feriti.
Secondo i leader separatisti, la capitale regionale Tskhinvali è stata
attaccata deliberatamente con l'obiettivo di provocare vittime civili.
Siamo al 6 agosto e Mosca si dichiara pronta a difendere i cittadini russi
in caso di conflitto accusando Tbilisi di aver inviato aerei militari in
ricognizione nel Sud Ossezia. Il governo georgiano nega, ma la tensione
tra le forze georgiane e la repubblica sudosseta è in continuo aumento.
L’Ossezia del Sud, al centro della contesa, lancia un ultima proposta di
dialogo, proponendo una trattativa che coinvolga Georgia, Russia,
Ossezia del Nord e del Sud. La Georgia chiede invece l’esclusione di
Mosca dal tavolo delle trattative. Il giorno seguente, in seguito alla
mancata apertura del confronto, in Ossezia del Sud riprendono gli scontri
e, mentre venti carri armati georgiani si dirigono verso il confine
meridionale dell’Ossezia del Sud, i cittadini cominciano ad abbandonare
la capitale Tskhinvali. L'8 agosto 2008, pochi minuti dopo la mezzanotte,
un alto ufficiale del ministero della Difesa georgiano dichiara che “la
Georgia aveva deciso di riportare l'ordine costituzionale nell'Ossezia del

73
Sud”: comincia l’accerchiamento del capoluogo separatista da parte delle
forze di Tbilisi. E’guerra aperta.
L’Abkhazia dichiara da subito il proprio sostegno all’Ossezia del Sud.
Per Tbilisi è l’occasione, come emerge dalle dichiarazioni del generale
georgiano Mamuka Kurachvili, per “restaurare l’ordine costituzionale”
nelle province ribelli. Nel frattempo villaggi osseti e lo stesso capoluogo
sono presi di mira da massicci bombardamenti e da violenti assalti da
parte dei georgiani. La diplomazia che fino all’8 agosto aveva fallito
cerca di rimettersi al lavoro: Saakashvili, mentre piovono bombe sul sud
Ossezia, offre ai separatisti piena autonomia della regione; il Consiglio di
Sicurezza dell’Onu si riunisce, su richiesta della Russia, per discutere
l’escalation della guerra tra la Georgia e l’Ossezia del Sud allo scopo di
“evitare un bagno di sangue”, ma l’appello russo cade nel vuoto: il
Consiglio di Sicurezza non riesce a pervenire ad un accordo condiviso.
Di fronte allo stallo diplomatico il ministro della Difesa georgiano decide
di aumentare la pressione sui separatisti mobilitando i riservisti e, quando
oramai Tskhinvali è accerchiata dalle forze georgiane, i militari abkhazi
aprono un secondo fronte sul confine georgiano. A poche ore dall’inizio
del conflitto, consapevole della necessità di difendere le proprie
popolazioni, la Russia valuta l’ingresso in prima persona nel conflitto:
alle dichiarazioni di Putin che minaccia “una risposta alle azioni
aggressive della Georgia” seguono – secondo fonti georgiane – i primi
raid aerei russi che cominciano a sorvolare la Georgia sganciando due
bombe sulle città di Kareli e Gori. Tra la popolazione civile ossetina si
contano già decine di morti, così come tra i militari delle forze
d’interposizione russe appartenenti alla Csi. Il presidente russo
Medvedev allora, dopo aver smentito i raid aerei denunciati dai
georgiani, riunisce il Consiglio di sicurezza nazionale russo per discutere
la strategia da adottare. Nel frattempo Vladimir Putin, da Pechino dove è

74
in corso la cerimonia inaugurale dei Giochi Olimpici, dichiara che “le
truppe georgiane hanno, a tutti gli effetti, iniziato le ostilità usando tank e
artiglieria. Questo provocherà rappresaglia”. Intanto la capitale
dell’Ossezia del Sud viene dichiarata quasi totalmente distrutta in seguito
alle prime ore di bombardamenti dal comandante delle forze di pace
russe nella regione. E’ a questo punto che le truppe russe vengono
avvistate nei pressi dell’Ossezia del Sud. I carri armati della 58esima
armata russa attraversano il tunnel di Roki – che separa l'Ossezia
settentrionale da quella meridionale – segnando ufficialmente l'entrata in
guerra della Russia26. Proprio mentre la prima colonna di blindati russi
entrava a Tskhinvali, i jet russi cominciavano a bombardare la base
militare georgiana di Vaziani, a 15 km da Tbilisi. Mikhail Saakashvili,
sorpreso dalla pronta risposta russa, accusa Mosca di aggressione
all’interno del territorio sovrano della Georgia e invoca l’intervento degli
Stati Uniti “in difesa della questione georgiana e dei valori americani”. Il
premier russo Putin dichiara da Pechino, durante un colloquio con il
presidente americano George W. Bush, che “in Ossezia del Sud è
scoppiata una guerra, dopo che la Georgia ha attaccato le forze di
interposizione russe”. La replica americana è affidata al Segretario di
Stato Condoleeza Rice la quale esorta i russi a “fermare gli attacchi in
Georgia, ritirare le truppe dall’Ossezia del Sud e rispettare la sovranità
nazionale georgiana”. Si susseguono nel frattempo gli annunci dal fronte
di guerra. Sia le forze separatiste che le unità militari georgiane
dichiarano di avere il controllo della capitale sud osseta, dove è in corso
una guerriglia. Il giorno seguente la Russia attacca la capitale georgiana,
Tbilisi, con bombardamenti mirati verso le infrastrutture, mentre anche a

26
- v. International Crisis Group, Russia against Georgia: the fallout, Europe Report
n. 195, 22 agosto 2008, pag. 1: “At approximately 1:30am, tank columns of the
Russian 58th Army started crossing into Georgia from the Roki tunnel separating
North and South Ossetia. Apparently, the Russians had anticipated, if they did not
actually entice, the Georgian move”
75
Gori una postazione di artiglieria viene colpita dai bombardamenti russi.
A poche ore dall’inizio del conflitto i profughi che lasciano la sud
Ossezia sono oltre 30 mila. Il presidente georgiano dichiara lo “stato di
guerra” e propone una tregua immediata e l’avvio della smilitarizzazione
in Ossezia del Sud. Putin replica che l’intervento russo è legittimo,
sostenendo che in Ossezia del Sud sarebbe “in atto un vero e proprio
genocidio” ad opera dei georgiani. A questo punto da carnefice la
Georgia si trasforma in vittima: le dichiarazioni ufficiali provenienti da
Tbilisi sono un grido d’aiuto alla comunità internazionale per far fronte
all’invasione della Russia. Nel frattempo si apre un altro fronte per i
georgiani, attaccati anche dai separatisti abkhazi, i militari russi
riconquistano Tskhinvali, costringendo le truppe georgiane al ritiro dalla
capitale sud-osseta. Intanto da Washington arrivano dichiarazioni di
condanna nei confronti della Russia, e di solidarietà alla Georgia: Dick
Cheney, il vice-presidente americano, dichiara che “l’aggressione della
Russia non può restare senza risposta”. Altrettanto dichiara Bush, che
definisce “inaccettabile la violenza della Russia nei confronti della
Georgia”. Mentre Saakashvili, durante una teleconferenza internazionale
dichiara che “l’obiettivo della Russia non è l’Ossezia del Sud ma tutta la
Georgia e le sue rotte energetiche, e non si fermerà finché non ci avrà
conquistato”. Nel conflitto intanto le milizie abkhaze riconquistano le
gole di Kodori, l’area che nel 2006 Tbilisi aveva sottratto agli abkhazi
con la forza per assicurarsi la vittoria alla tornata elettorale. Mentre la
guerra è in una situazione di stallo la diplomazia discute sulle
responsabilità: l’ambasciatore russo all’Onu, Vitali Ciurkin, accusa gli
Stati Uniti di “aver appoggiato l’attacco georgiano contro l’Ossezia del
Sud del 7 e 8 agosto. E’ difficile pensare che Saakashvili sarebbe andato
tanto lontano da lanciare una sfida senza qualche forma di approvazione
dagli Usa, magari una tacita approvazione”; a difesa dell’intervento russo

76
si schiera a sorpresa Nicolas Sarkozy, presidente francese, dichiarando
che “è assolutamente normale che la Russia voglia difendere gli interessi
dei suoi compatrioti nel suo paese e dei russofoni fuori dalla Russia”
discostandosi dal coro unanime di critiche alla Russia provenienti
dall’Occidente. Il 13 agosto con il conflitto georgiano ancora in corso la
Russia apre uno scontro diplomatico anche con l’Ucraina colpevole,
secondo Mosca, di aver imposto restrizioni alla libertà di movimento
della flotta russa sul Mar Nero. Contemporaneamente gli Stati Uniti
concludono l’importante accordo con la Polonia sullo scudo spaziale in
chiave anti-russa.
E’ a partire da quel momento che la diplomazia comincia ad adoperarsi
concretamente per la pace, grazie soprattutto al trattato di pace proposto
dall’Unione Europea, guidata dal presidente francese Sarkozy, con
l’appoggio degli Stati Uniti. In concomitanza arriva però la storica
decisione della Georgia di ratificare, all’unanimità, l’uscita dalla
Comunità di stati indipendenti, sottoscritta all’indomani della caduta
dell’Urss.
Nella successiva conferenza stampa Mikhail Saakashvili, alla presenza
del segretario di stato Usa Condoleeza Rice, accusa la Russia di aver
programmato l’intervento militare in Georgia da mesi, e la Nato di non
aver voluto includere la Georgia nella propria membership per paura di
ritorsioni russe. Il 12 agosto è il giorno del cessate il fuoco grazie alla
firma, da parte del presidente russo Medvedev, dell’accordo di pace dei
sei punti, mediato da Sarkozy27, a cui segue l’annuncio russo in base al
quale “il ritiro delle truppe comincerà il 18 agosto, dopo l’attuazione
delle misure aggiuntive di sicurezza”. Intanto arrivano le prime
importanti aperture all’ingresso nella Nato della Georgia anche da parte
tedesca, tutto questo mentre il presidente georgiano Saakashvili chiede a

27
Protocollo d’accordo, http://smr.gov.ge/uploads/file/cf_text_w__sig.pdf
77
gran voce che “forze Ue e Osce controllino l’effettivo ritiro delle truppe
russe le quali non dovranno restare sul suolo georgiano, dopo averci
attaccato, in qualità di peacekeeper”. Intanto, tra smentite e annunci
controversi, inizia il ritiro delle truppe, lo scambio di prigionieri tra
Georgia e Russia, e la revoca dello stato di guerra in Abkhazia introdotto
l’11 agosto. La Russia continua però la propria guerra sul piano
diplomatico, questa volta direttamente in sede NATO con la quale
sarebbero a rischio i rapporti a causa della riunione del Consiglio su
richiesta della Georgia, Consiglio colpevole, secondo la Russia, di non
aver preso sul serio la richiesta di riunione dopo l’attacco della Georgia
in Ossezia del Sud. Sarà il ministro degli esteri russo Lavrov a
preannunciare che “ci saranno senz’altro conseguenze nei rapporti fra
Russia e NATO”. Mosca denuncia quindi il tentativo della Georgia di
riorganizzare una nuova offensiva incoraggiati dall’appoggio della Nato,
e rivede il piano di cooperazione militare del 2008, congelando di fatto i
rapporti fino a nuovo ordine. Secondo la Russia intanto sarebbe la
Georgia a non rispettare i patti del piano Ue in relazione al ripristino
delle posizioni antecedenti il conflitto e sottolinea il pericolo che navi da
guerra statunitensi, canadesi e polacche si installino, entro la fine del
mese, nelle acque del Mar Nero in funzione anti-russa. Il 19 agosto arriva
finalmente l’approvazione della bozza di risoluzione delle Nazioni Unite
che chiede “il ritiro immediato delle forze russe, e il ritorno delle forze
georgiane alle loro basi” e prevede tre punti per il cessate il fuoco: il
ritiro truppe russe, ritiro delle truppe georgiane, e l’impegno del
Consiglio a tornare ad affrontare la questione. A testimonianza che la
questione georgiana riveste notevole interesse anche per i paesi dell’area
eurasiatica il presidente siriano Bachar al-Assao denuncia i “tentativi dei
Paesi occidentali di isolare la Russia sulla scena internazionale. Noi
sosteniamo completamente la Russia. La Georgia ha provocato la crisi

78
ma l’Occidente accusa la Russia”. Da Washington, mentre il governo
turco autorizza l’ingresso nel Mar Nero di due unità militari statunitensi
diretti in Georgia, George W.Bush dichiara che “Ossezia del Sud e
Abkhazia fanno parte della Georgia, la cui integrità territoriale deve
essere garantita”. Mentre il 22 agosto ha inizio ufficialmente il ritiro delle
truppe russe, e nel frattempo cominciano a trapelare dichiarazioni che
aiutano a comprendere cosa abbia scaturito l’escalation di guerra:
l’inviato Usa alla Nato, Kurt Volker, dichiara che “gli Stati Uniti avevano
messo in guardia la Georgia contro ogni tentativo di riprendersi il Sud
Ossezia”. L’ambasciatore ha raccontato di aver avvertito Tbilisi, prima
dell’inizio della crisi, che la Russia stava solo aspettando una scusa per
far entrare le sue truppe in Georgia. Scusa che Mosca ottenne quando alla
vigilia del 7 agosto scorso i soldati georgiani si avventurarono in Ossezia
del Sud. “Anche il giorno precedente l’entrata di soldati georgiani in Sud
Ossezia avevamo detto: non fatelo, non entrate in conflitto, non è nei
vostri interessi”. Anche dalla Georgia arrivano dichiarazioni di
ammissione di colpa: “La Georgia non si aspettava che la Russia
rispondesse alla sua dimostrazione di forza in Ossezia del Sud, e non era
preparata all’assalto che ne è conseguito. Disgraziatamente non avevamo
attribuito abbastanza importanza a quell’eventualità, e non eravamo
preparati ad affrontarla”. A dichiararlo è il vice ministro georgiano della
difesa Batu Kutelia in un’intervista al Financial Times.
Il bilancio finale sarà: la morte di 170 militari georgiani, 14
poliziotti georgiani e 228 civili georgiani; di 67 militari russi; e di
365 osseti (militari e civili); e il ferimento di oltre 2000 persone, sia
militari che civili. I profughi del conflitto furono 135.000, fra i quali
restano ancora 35.000 sfollati28.

Rapporto Ue dell'IIFFMCG (Indipendent International Fact-Finding Mission on the


28

Conflict in Georgia – Missione Indipendente Internazionale per l'Accertamento dei


Fatti del Conflitto in Georgia)
79
3.6 – Le conseguenze del conflitto
1. Abkhazia e sud Ossezia indipendenti

A ritiro delle truppe in corso il Consiglio della federazione, il Senato


russo, approvava all’unanimità un appello del Cremino per il
riconoscimento dell’indipendenza di Ossezia del Sud e Abkhazia: Il
leader sudosseto, Eduard Kokoity, afferma che “Ossezia del Sud e
Abkhazia hanno motivi più forti, sia dal punto di vista giuridico che
politico, all’indipendenza di quanti ne abbia avuti il Kosovo”. Arrivano
durissimi gli ammonimenti da tutta la comunità internazionale, in
particolare da Stati Uniti e dall’Unione Europea, e anche dall’Italia, ma
nonostante le minacce anche la Duma approva la richiesta di
indipendenza delle regioni separatiste georgiane da sottoporre al
Cremlino. In concomitanza con l’imminente approvazione
dell’indipendenza di Abkhazia e Ossezia del Sud risale la tensione
militare: unità della flotta russa si stabilizzano al largo delle coste
abkhaze, mentre nuove navi della Nato si avvicinano al settore nord-
orientale del Mar Nero. Si teme il peggio.
Il 26 agosto 2008, a guerra praticamente conclusa, sfidando le pressioni
americane e della comunità internazionale, il presidente russo Dmitry
Medvedev riconosce l’indipendenza delle due regioni dell’Ossezia del
Sud e dell’Abkhazia. Lo annuncia lo stesso Medvedev in un discorso alla
nazione in diretta tv, comunicando di aver firmato i decreti per il
riconoscimento dei due territori indipendenti. Per Saakashvili è una vera
e propria disfatta politica. Ad oggi solo Venezuela e Nicaragua, oltre

80
ovviamente alla Russia, hanno riconosciuto l’indipendenza delle due
regioni separatiste georgiane.

2. La preadesione alla NATO

Il riconoscimento dell’indipendenza alle due regioni separatiste Abkhazia


e Ossezia del Sud, oltre ad aprire nuovi scenari internazionali riguardo
all’integrità degli Stati nazionali, ha sancito la vittoria politica, prima
ancora che militare, della Russia. Questo soprattutto a causa di una
insensata guerra che Saakashvili ha voluto lanciare senza un reale
sostegno, che andasse oltre gli annunci, degli Stati Uniti. Il presidente
georgiano sostiene di aver attaccato per legittima difesa perché i russi
stavano già avanzando in Ossezia. Putin invece ritiene che la Russia sia
stata attaccata (nelle due regioni da lei amministrate nella pratica) e che
l’amministrazione americana volesse una guerra per favorire il candidato
americano John McCain. A caldo è stato sicuramente complicato
analizzare le diverse responsabilità di Georgia e Russia, e soprattutto di
Russia e Stati Uniti, ma quel che resta è la sconfitta di Saakashvili e
indirettamente di Washington, che ha permesso a Putin di annettere di
fatto le regioni separatiste georgiane, mantenendo sul territorio 7.600
soldati collocati in due basi militari russe (dopo l’abbandono delle truppe
di Batumi e Akhalkalaki, nel rispetto degli accordi di Istanbul del 199929
seguiti al trattato di Istanbul), e assicurandosi di fatto il controllo delle
vie energetiche georgiane. La gestione dei flussi d’energia provenienti
dal Caspio, come abbiamo visto in precedenza, ha un ruolo chiave nella
costruzione del meccanismo d’accerchiamento atlantico, a cui si

29
OSCE, documento di Istanbul 1999,
http://www.osce.org/documents/mcs/1999/11/4050_it.pdf
81
contrappone anche l’importanza che il fattore energetico ha assunto
nell’azione internazionale russa, sia economicamente che come
strumento di pressione, a partire dalla dissoluzione dell’Urss.
Per questo l’esibizione di forza russa nella repubblica caucasica ha
evidentemente lo scopo di affermare la propria presenza e parallelamente
di contrastare il progetto americano. L’oleodotto Btc in particolare
rappresenta innanzitutto un oggetto militare, questo perchè i suoi tubi
scorrono attraverso numerose zone di conflitto, la loro difesa è destinata a
servire da motivo dell’estensione dell’influenza Nato nell’area caucasica.
Dal punto di vista interno il dopoguerra ha portato in Georgia un
inasprimento delle posizioni antirusse da parte del regime di Saakashvili
il quale ha aumentato il potere, soprattutto sulla sfera economica, sotto il
suo diretto controllo, favorito anche dall’incombente crisi economica
internazionale. Tra gli effetti negativi di questo aumento del potere c’è
sicuramente un intensificazione del sentimento di impunità degli agenti
governativi, spesso colpevoli di corruzione, che è sfociata gradualmente
in una mancanza del rispetto della legge. Il Parlamento viene sempre più
spesso chiamato con l’appellativo di “notaio del governo”, essendo
diventato una vera e propria appendice del Pubblico Ministero e
dell’intero esecutivo. Il controllo esercitato dal potere sui mass media in
generale, e in particolare su tutti i canali televisivi, è diventato
schiacciante e tende a reprimere ogni voce di dissenso30. La Georgia
nella classifica mondiale sulla libertà dell’informazione del 2009 si
piazza infatti al 128° posto (tra i paesi partly free)31. Tra le conseguenze
del conflitto “dei cinque giorni” nelle relazioni internazionali la Georgia
ha soprattutto incrementato il dialogo con l’Alleanza atlantica. La
Georgia è infatti stata inserita nel piano di adesione della NATO, nel

30
Ispi, Post war Georgia, 17 aprile 2009
31
Freedom of the press 2009
(http://www.freedomhouse.org/uploads/fop/2009/FreedomofthePress2009_tables.pdf)
82
dicembre 2008, che prevede la presentazione di un rapporto annuale sui
progressi fatti nel raggiungere i criteri stabiliti: la NATO provvede poi a
rispondere a ciascun paese con suggerimenti tecnici e valuta
singolarmente la situazione dei progressi. L’Alleanza ha inoltre deciso di
rinnovare la propria open door policy, in particolare l’ingresso di Ucraina
e Georgia, già sancito dalla dichiarazione finale del vertice di Bucarest
dell’aprile 2008. Nel settembre 2008 la Nato e la Georgia hanno stabilito
la NGC (Commissione Nato-Georgia) allo scopo di sorvegliare
l’assistenza fornita dall’Alleanza stessa alla repubblica caucasica, e
soprattutto per seguire al meglio il processo iniziato a Bucarest. Nel
dicembre 2008 durante il vertice dei ministri degli Esteri, è stato
ulteriormente confermato l’Anp (Annual National Programme) che
richiederà ai due paesi importanti sforzi sulla strada delle riforme e della
stabilizzazione all’interno, coordinato dall’NGC. Un'altra importante area
di cooperazione che si è aperta tra la Georgia e la NATO in seguito al
conflitto russo-georgiano riguarda il supporto ad operazioni militari. La
Georgia ha infatti iniziato a contribuire attivamente all’ISAF
(International Security Assistance Force) in Afghanistan, e oggi supporta
anche l’Operation Active Endeavour, un programma di operazioni anti-
terrorismo nel mar Mediterraneo. Nel maggio 2009 poi la NATO ha
inviato, sempre a testimonianza di un crescente interesse nei confronti
della Georgia, mille soldati provenienti da 18 Paesi che hanno effettuato
esercitazioni in una base militare georgiana a nord di Tbilisi, con il
deciso consenso del presidente Saakashvili. Esercitazioni che non hanno
mancato di suscitare proteste da parte dell’opposizione e minacce da
parte di Mosca. A conflitto russo-georgiano concluso la NATO ha anche
cercato una riconciliazione con la Russia: “il dialogo e la cooperazione
tra la NATO e la Russia sono importanti ai fini della nostra capacità di
affrontare congiuntamente le comuni sfide e minacce alla sicurezza”,

83
hanno dichiarato i capi di stato e di governo. Il conflitto russo-georgiano
dell’agosto 2008 aveva interrotto il dialogo sviluppatosi dal vertice di
Pratica di Mare, nel maggio 2002, attraverso il Consiglio NATO-Russia.
Nel Consiglio, i paesi membri e la Russia siedono adesso a livello
paritario e dialogano su un ampio spettro di programmi, che spazia dalla
lotta contro il terrorismo alle iniziative di non proliferazione e alla
riforma del settore sicurezza. Lo scorso 5 marzo la decisione di riattivare
il Consiglio NATO-Russia è stata ufficializzata dai ministri degli Esteri
riuniti in Consiglio Atlantico allo scopo di rilanciare il dialogo politico e
la cooperazione pratica con la Federazione Russa, pur nelle rispettive
divergenze di fondo32.

3. Il White Stream Project

Altra equilibrio mutato in seguito al conflitto russo-georgiano è quello


relativo agli asset energetici: la prospettiva è quella di ricreare la Via
della seta del XXI secolo di cui la Georgia sarà tassello fondamentale. In
particolare, nell’aprile 2009, si sono finalmente gettate le basi per la
creazione del White Stream pipeline, un nuovo gasdotto il cui progetto
era stato proposto per la prima volta nel 2005 dall’Ucraina e elaborato
successivamente dalla società londinese GUEU White Stream Pipeline
Company, a partecipazione georgiana. La capacità iniziale del White
Stream sarà di 8 miliardi di metri cubi (BCM) all’anno di gas trasportati,
ma a pieno regime permetterà di trasportare fino a 32 miliardi di metri
cubi (BCM) all’anno di gas proveniente dal Mar Caspio e dal Azerbaijan,
attraverso la Georgia e il Mar Nero, all’Ucraina, la Romania per
approdare infine nei mercati europei. La gestione della fase bellica e

32
Ispi, Il vertice Nato di Strasburgo-Kehl, aprile 2009
84
post-bellica delle istituzioni georgiane, così come le rassicurazioni fornite
dal governo di Saakashvili relativamente alla stabilità e continuità
politico-economica (con la gestione “quasi” trasparente delle proteste di
piazza dell’opposizione) ai partner economici occidentali, hanno
permesso una maggiore concretezza nel portare avanti il White Stream
project. Per la Georgia la nascita del White Stream rappresenta sicurezza
di investimenti stranieri e autonomia energetica dalla Russia; mentre per
l’Europa significa assicurarsi una nuova fonte di approvvigionamento di
gas allo scopo di diversificare le fonti e allontanare lo spettro di una
eccessiva dipendenza dal gas russo33, decisione alla base delle nuove
politiche energetiche comunitarie. Sembra quindi ormai inevitabile e
realistica la concretizzazione di un progressivo rafforzamento dei legami
tra la Georgia, fondamentale territorio di transito delle condotte, e
l’Europa. Per questo un’ipotesi non trascurabile e non così lontana dalla
realtà nel futuro prossimo della Georgia potrebbe essere un ingresso
nell’UE che faccia da scudo nei confronti della Russia.

33
Eurasianet , “White Stream: Georgia’s ticket to the pipeline big time?, 4/22/09
http://www.eurasianet.org/departments/insightb/articles/eav042209b.shtml

85
Figura 1 - GUEU -White Stream Route options34

34
Roberto Pirani, GUEU –White Stream Pipeline Company Limited
86
Capitolo 4 – Rappresentazione della crisi e ruolo dei media

La guerra di Georgia è stata sicuramente una guerra combattuta, da ambo


le parti, contemporaneamente sul campo e sui mezzi d’informazione e di
propaganda. Come scriveva l’ideologo austriaco Edward Bernais, nel
trattato Propaganda, “la manipolazione cosciente e intelligente delle
opinioni e delle abitudini delle masse è un elemento importante in una
società democratica. Coloro che regolano i meccanismi nascosti della
società costituiscono un governo invisibile, che rappresenta il vero potere
dominante. Noi siamo governati, le nostre menti vengono modellate, i
nostri gusti formati, le nostre idee ispirate in gran parte da uomini di cui
non abbiamo mai sentito parlare. (…) Quasi tutte le azioni della nostra
vita – in politica, negli affari, nella nostra condotta sociale, nelle nostre
valutazioni morali – sono dominate da un numero relativamente piccolo
di persone che comprendono i processi mentali e i modelli di
comportamento delle masse. Sono loro che tirano i fili che controllano la
mente delle persone”35. Questa manipolazione viene effettuata con ancor
maggiore intensità durante gli eventi bellici, eventi che sconvolgono
l’opinione pubblica e che necessitano di un più alto livello di controllo
sociale. Un esempio di come avvenga ciò viene fornito dalla guerra del
Kosovo: il 6 settembre 2001 la Corte Suprema di Pristina sancisce che i
miliziani serbi del dittatore Milosevic, nel 1998-99, furono responsabili
di violenze ai danni della minoranza albanese, ma non di un genocidio.
La Corte ha anche le prove che il drammatico esodo di 890 mila persone
dal Kosovo non fu provocato dai miliziani serbi, come ci venne detto in
quei giorni, ma dalla paura delle bombe statunitensi durante i raid dei
primi giorni dell’offensiva. La notizia, che viene data dall’agenzia
Reuters e dall’italiana Ansa, è importantissima perché consente di

35
E.Bernays, Propaganda, IG Publishing, 1928
87
ricostruire quei drammatici fatti rivelando le insidie dell’informazione di
guerra. Per anni Milosevic ha fatto massacrare decine di migliaia di
persone in Bosnia e in Croazia tra l’indifferenza dell’Occidente, ma il
dittatore di Belgrado è stato punito l’unica volta in cui non aveva
commesso crimini contro l’umanità. L’intervento, voluto
dall’amministrazione Clinton, era stato presentato come umanitario, per
porre fine ad un lungo periodo di atrocità nei Balcani. La particolarità fu
che quando la presidenza americana decise di ricorrere alla forza,
Washington disse agli americani e al mondo che l’intervento militare era
necessario per fermare un eccidio inevitabile, anzi già in atto. I giornali
titolavano “Migliaia di famiglie sparite nel nulla, quartieri dati alle
fiamme. Centinaia di persone deportate sui treni”. Oppure scrivevano che
“era iniziata la pulizia etnica nei villaggi devastati dalle bande di
Milosevic” e che “500 mila kosovari erano in fuga dai massacri”. E
Clinton, nel maggio 1999 giunse a paragonare “il Kosovo all’Olocausto”.
La pronuncia della Corte Suprema nega quindi che in quell’occasione sia
avvenuto quanto era stato riportato dai giornali e dai media per
giustificare l’intervento militare, ma il giorno dopo la sentenza del
settembre 2001 nessun giornale americano pubblicò la notizia, mentre in
Europa poche testate la ripresero. La notizia che la pulizia etnica,
contrariamente a quanto fu detto all’epoca, non era ancora iniziata
quando la Nato iniziò i bombardamenti e che l’esodo fu causato dal
timore della gente dei bombardamenti americani venne ignorata dai
media e quindi, indirettamente, dall’opinione pubblica36.
Quello che colpisce della guerra “lampo” di Georgia è il fallimento del
ruolo primario dell’informazione, inteso come una oggettiva e imparziale
descrizione dei fatti tesa alla ricerca della verità, sostituita da un
“giornalismo” al servizio del potere che durante il conflitto ha

36
Marcello Foa, “Gli stregoni della notizia” 2007
88
completamente dimenticato il popolo georgiano per schierarsi contro il
nemico acriticamente. Ma l’informazione è anche colpevole di aver
ignorato, nella maggioranza dei casi, non sappiamo se per colpa o per
dolo, l’analisi storica che ha portato al conflitto evitando di dare il giusto
peso al ruolo che il fattore energetico ha giocato in Georgia come in altre
aree del Caucaso negli ultimi 15 anni. Non c’è stato alcun reale tentativo
o alcuna reale volontà di comprendere il conflitto nelle diverse
rappresentazioni geopolitiche e geoeconomiche. Inoltre il tentativo di
importanti testate occidentali come il New York Times e il Washington
Post di alimentare una nuova guerra fredda si imperniava su due errori
principali: primo, che la Russia avesse invaso la Georgia per prima, senza
essere stata provocata, perché la Georgia è una “democrazia” (e quindi in
buona fede a priori); e secondo, che la Georgia sia effettivamente una
“democrazia”. La fortuna dei media occidentali è stata, con molta
probabilità, l’incombere di un’altra crisi globale, quella finanziaria, che
ha permesso loro di non doversi scusare pubblicamente per i grossolani
errori dolosi compiuti nell’esercizio del proprio mestiere. Anche il
continuo richiamo al mito della “Guerra fredda” non sembrava casuale:
nel pubblico occidentale richiamava schemi e contrapposizioni ben
precise e delineate, come in una partita di calcio, ma la realtà era
tutt’altra: in gioco vi erano le sfere d’influenza energetiche, per le quali è
stata effettuata una vera e propria spartizione.

4.1 – L’informazione come arma di guerra

Sin da subito il conflitto russo-georgiano è stato soprattutto un conflitto


di propaganda: i media russi e quelli occidentali hanno, per tutta la durata
della guerra, fornito versioni molto differenti, se non opposte, del

89
conflitto in corso. E, nonostante tutti i dubbi che si possono nutrire sulla
libertà d’informazione in Russia, non sembra che i mass media liberali
dell’occidente abbiano complessivamente dato prova di competenza ed
equilibrio. I mezzi d’informazione europei ed americani, che all’inizio
del conflitto hanno inviato una sola troupe in Ossezia, hanno volutamente
ignorato questo terribile evento: i 30.000 profughi ossetini costretti ad
abbandonare la propria regione, la città di Tskhinvali completamente rasa
al suolo nella notte tra il 7 e l’8 agosto con l’artiglieria pesante e i
bombardamenti aerei dell’esercito georgiano; le quasi 1.700 persone,
nella maggioranza civili, massacrate con i carri armati e le granate
lanciate intenzionalmente nei rifugi, in un’operazione di dichiarata
pulizia etnica chiamata in codice Clean field, cioè “piazza pulita”; a
conflitto concluso gli oltre 190mila profughi. Mentre il mondo era
distratto dall’apertura dei Giochi Olimpici di Pechino, l’8 agosto,
Saakashvili, in nome del “ripristino dell’ordine costituzionale”, attaccava
le città dell’Ossezia del Sud. La risposta quasi immediata di Medvedev
ha colto di sorpresa lo stesso presidente georgiano, avendo però la pronta
reazione dei media occidentali i quali il giorno successivo titolavano a
gran voce:”la Russia invade la Georgia”. Durante il conflitto il ministro
degli esteri russo accusava le televisioni occidentali di mostrare solo i
carri armati russi e le sofferenze dei civili affermando poi che “la Russia
era intervenuta nel conflitto tra Ossezia del Sud e Georgia”. “Questo
sarebbe il modo obiettivo di fare informazione secondo i media
occidentali?” chiedeva Grigory Kasarin durante una conferenza stampa,
accusando le televisioni e la stampa occidentale di diffondere notizie con
una “versione politicamente manipolata”. Nonostante appaia difficile
negare che il conflitto sia iniziato dopo l’attacco georgiano alla capitale
dell’Ossezia meridionale, Tskhinvali, l’opinione pubblica occidentale era
stata indotta a percepire la guerra essenzialmente come un’aggressione

90
della Russia, grande e dittatoriale, ai danni della piccola e democratica
Georgia. Sulla stampa occidentale era questo il messaggio che doveva
essere diffuso, il messaggio prevalente. Ed è questo il principale motivo
per il quale gli stessi russi tendono ad ammettere di aver perduto la
guerra dell’informazione. Alcuni giornalisti occidentali vennero quindi
inviati a Tbilisi, consapevoli dell’importanza che durante il conflitto
avrebbe ricoperto l’informazione, la disinformazione e la contro-
informazione, che per l’Occidente rappresentava, in mancanza di un
intervento militare diretto, l’unico arma a disposizione. Ma il loro ruolo
rimane, durante il breve conflitto, molto poco attivo in quanto gli inviati
si limitano a dare ampio spazio agli annunci dei politici in causa (i media
occidentali danno ampia eco alle continue dichiarazioni del presidente
georgiano Saakashvili), lasciando solo i tempi residui alla cronaca e
all’analisi degli avvenimenti. Dal canto suo la Russia dispone degli stessi
mezzi d’informazione occidentali, attraverso altri canali, attraverso i
quali diffonde ovviamente messaggi di condanna unilaterale del
presidente georgiano e dell’appoggio occidentale. In una delle pagine più
nere della storia dell’informazione liberale e democratica, per giorni,
CNN, BBC e Fox News davano il la a tutti i mass media occidentali che
ne raccoglievano dichiarazioni, immagini e commenti come oro colato,
senza porre filtri a quanto produceva la propaganda di una delle parti in
guerra, governata da un presidente per nulla al di sopra di ogni sospetto
che, come abbiamo visto, deve molto agli Stati Uniti. I commentatori
hanno dipinto la Georgia come una piccola e coraggiosa democrazia in
lotta contro una Russia prevaricatrice e imperialista, evitando perfino di
dare spiegazioni su un aspetto fondamentale in ogni guerra: chi ha fornito
le armi ed equipaggiato l’esercito georgiano? (USA, Israele, Bulgaria,
Gran Bretagna, Ungheria, Grecia, Turchia, Francia, Chechia, Estonia,

91
Bosnia e Herzegovina, Serbia e Ucraina37). Le prese di posizioni acritiche
che si registrano e si polarizzano dall’inizio alla fine del conflitto
georgiano non subiscono mutazioni o ripensamenti, come in un copione
prestabilito. Tra i media occidentali che maggiormente hanno svolto un
ruolo di sostegno acritico durante il conflitto alla Georgia c’è l’emittente
inglese BBC la quale, insieme con le americane CBS e CNN, aveva
supportato il presidente georgiano Saakashvili nella sua opera di
persuasione anti-russa, dimenticando o volutamente ignorando che
Reporter senza Frontiere aveva collocato i media georgiani agli ultimi
posti del suo indice per la libertà di stampa globale38. Proprio per questa
coesione dei media occidentali al fianco della Georgia durante il conflitto
si può sostenere che la guerra che si è svolta parallelamente a quella sul
campo, la “guerra dell’informazione”, sia stata ampiamente vinta
dall’occidente e da Saakashvili. Senza però chiudere la partita. La sintesi
di quanto questa guerra sia stata prima di tutto una guerra
dell’informazione è ben spiegata nella parte finale di un articolo di
Lorenzo Bianchi, apparso sul quotidiano “La Nazione” il 19 agosto 2008:
“Le cantine – rabbrividisce – sono piene di cadaveri. E' stata una pulizia
etnica. I Georgiani sono arrivati a livelli che non hanno toccato neppure i
Tedeschi nella seconda guerra mondiale. La CNN e la BBC trasmettono
immagini di Tskhinvali e dicono che vengono da Gori. Ho riconosciuto
con i miei occhi un falso. In un servizio da Gori c'era una strada della mia
città di origine, quella dedicata agli Eroi, la via “Geroev”. Perchè i media
occidentali giustificano il presidente georgiano Mikhail Saakashvili e il
suo regime criminale?”39.

37
Livejournal, 10 agosto 2008
38
Reporter sans Frontiers 22 ottobre 2008 - http://www.rsf.org/Only-peace-protects-
freedoms-in.html
39
Lorenzo Bianchi “Vi racconto gli orrori della pulizia etnica”, La Nazione, 19 agosto
2008
92
4.2 – La revisione della guerra e il mea culpa di alcuni media
occidentali

Solo a guerra ampliamente conclusa, e quindi ad interessi soddisfatti, la


radicalizzazione delle posizioni si allenta, e i commentatori occidentali
cominciano un’analisi a mente fredda degli avvenimenti e della relativa
cronologia. A finire sotto accusa per prime sono le emittenti televisive
CNN e Reuters, incolpate di aver utilizzato trucchi vergognosi
dimostrando non solo la cattiva fede, ma anche una vera e propria
pianificazione della guerra mediatica: foto truccate con finti morti40,
immagini delle rovine di città ossetine riprese dalle tv russe41 presentate
al pubblico occidentale come “città georgiane bombardate dai russi”.
Così come i militari durante le guerre si permettono qualsiasi
escamotages per battere il nemico alcuni media occidentali hanno
lavorato sporco durante il conflitto russo-georgiano. Il 6 settembre 2008
l’autorevole rivista britannica Financial Times pubblica un articolo in cui
conferma la preparazione delle Forze Speciali della Georgia un mese
prima del conflitto nell’Ossezia del Sud da parte della americana Military
Professional Resources42. Ma è un articolo comparso a metà settembre sul
quotidiano tedesco Der Spiegel quello che meglio descrive e sintetizza
l’errore militare dei georgiani e l’errore dell’informazione occidentale di
seguirne la strada, ponendo finalmente seri dubbi sulla versione di
Saakashvili: ”A cinque settimane dalla guerra del Caucaso le opinioni si
stanno orientando a sfavore del presidente georgiano Saakashvili. Alcuni
rapporti dei servizi segreti occidentali hanno minato la versione di

40
Media war against Russia, 10 agosto 2008, http://russia-
insider.livejournal.com/25329.html
41
Globalresearch, “CNN used fake video in coverage on Georgia war” 16 agosto
2008, http://www.globalresearch.ca/index.php?context=va&aid=9854
42
Financial Times, “US military trained Georgian commandos”By Charles Clover
and Demetri Sevastopulo, 6 September 2008
93
Tbilisi, e adesso da entrambe le sponde dell'Atlantico si chiede
un'indagine indipendente (…). Il tentativo di ricostruire la guerra dei
cinque giorni continua a girare attorno a una domanda principale: chi ha
cominciato per primo l'attacco militare? (…) Gli esperti della NATO non
hanno messo in dubbio l'affermazione dei georgiani che i russi li avessero
provocati mandando le loro truppe attraverso il tunnel di Roki. Ma nella
loro valutazione dei fatti predomina lo scetticismo sul fatto che queste
fossero le vere ragioni delle azioni di Saakashvili. I dati raccolti dai
servizi segreti occidentali concordano con le valutazioni della NATO.
Secondo queste informazioni, la mattina del 7 agosto i georgiani hanno
ammassato circa 12.000 soldati al confine con l'Ossezia del Sud.
Settantacinque carri armati e veicoli corazzati per il trasporto truppe – un
terzo dell'arsenale militare georgiano – sono stati posizionati nei pressi di
Gori. Il piano di Saakashvili, a quanto pare, era di avanzare verso il
tunnel di Roki con un blitz di 15 ore e chiudere il collegamento tra le
regioni del Caucaso settentrionale e meridionale, separando
efficacemente l'Ossezia del Sud dalla Russia. Alle 22.35 del 7 agosto,
meno di un'ora prima che i carri armati russi entrassero nel tunnel di
Roki, secondo Saakashvili, le forze georgiane hanno cominciato ad
attaccare Tskhinvali con l'artiglieria. I georgiani hanno usato 27 sistemi
lanciarazzi, cannoni da 152 millimetri e bombe a grappolo. L'assalto
notturno è stato condotto da tre brigate. I servizi segreti controllavano le
richieste russe d'aiuto via radio. La 58ª Armata, parte della quale
stazionava nell'Ossezia del Nord, non era apparentemente pronta a
combattere, almeno non durante quella prima notte (…). I servizi segreti
concludono che l'esercito russo non ha cominciato a sparare prima delle
7.30 dell'8 agosto, quando ha lanciato un missile balistico a corto raggio
SS-21 sulla città di Borzhomi, a sud-ovest di Gori43.

Der Spiegel, “Did Saakashvili lie? The West begins to doubt georgian leader”,
43

Spiegel Staff, 15 settembre 2008


94
Il 6 ottobre un’altra importantissima ammissione di colpa arriva dal
quotidiano statunitense New York Times in cui si dichiara, a due mesi
dall’inizio del conflitto, che “le credenziali democratiche della Georgia
sono messe nuovamente in discussione, e alla prova, mentre il paese si
trova in prima linea nello scontro tra la Russia e l'Occidente. La Georgia
e i suoi sostenitori americani, compresi i candidati presidenziali
repubblicano e democratico, hanno presentato la Georgia come una
coraggiosa piccola democrazia in una regione instabile, un paese
meritevole di generosi aiuti e di entrare nella NATO. Ma secondo un
numero crescente di commentatori americani e stranieri la Georgia è ben
lungi dal soddisfare i criteri democratici occidentali, e lo dimostra in
modo lampante la mancanza di libertà di stampa”. (nota piè di pag – New
York Times, “News Media Feel Limits to Georgia's Democracy ”, Dan
Bilefsky e Michael Schwirtz, 6 october 2008). La risposta ufficiale del
governo arriva quindi da Daniel Fried, sottosegretario di Stato per gli
Affari Politici, che pronuncerà le seguenti, grottesche scuse: “abbiamo
sbagliato perché ci siamo fidati delle informazioni fornite da
Saakashvili”.
L’emittente britannica BBC, dopo aver svolto un ruolo attivo nel far
conseguire all’occidente la vittoria della “guerra dell’informazione”,
agendo in concerto con CBS e CNN, sarà però quella che darà il colpo di
grazia al castello di carte costruito dai mass media occidentali, attraverso
un reportage. Secondo le prove raccolte dalla BBC la Georgia avrebbe
commesso veri e propri crimini di guerra durante il suo attacco
all'Ossezia del Sud dell'agosto 2008. La grande rete televisiva britannica
ha raccolto notizie e verifiche nel corso di una visita in territorio ossetino,
la prima non sottoposta a limitazioni dall'inizio del conflitto. La stima
minimale dell’organizzazione Human Rights Watch è che 300-400 civili
siano stati massacrati. La BBC aggiunge che “ciò corrisponde a più

95
dell'1% della popolazione di Tskhinvali: l'equivalente di 70mila morti a
Londra”44. Il corrispondente della BBC Tim Whewell ha ribadito che
diversi testimoni gli hanno raccontato che i soldati georgiani prendevano
di mira – oltre che le case civili sud-ossetine – anche i civili che
cercavano di scappare dai combattimenti lungo la strada verso l'Ossezia
del Nord.
Questa saggezza nel saper modificare la propria posizione critica, anche
se giunta in ritardo rispetto agli avvenimenti, è un frutto della democrazia
e dimostra che i media occidentali hanno ancora gli anticorpi, anche in
quando si tratta di fare informazione di guerra. La macchina
propagandistica che aveva supportato il presidente georgiano e il suo
suicidio politico-militare abbandona Saakashvili a distanza di poco tempo
dalla fine della guerra, quando però l’attenzione dell’opinione pubblica
occidentale sulla Georgia è ormai marginale perché il mondo nel
frattempo deve affrontare la peggiore crisi finanziaria globale dal 1929.
Inoltre non tutti i media partecipano all’opera di correzione e revisione e
non tutti dedicano lo spazio che meriterebbe. Dopo tre mesi è però lo
stesso presidente georgiano Saakashvili ad ammettere di essere stato lui
ad attaccare per primo, come riporta l’emittente RussiaToday. E’ il 28
novembre e Saakashvili ammette “abbiamo iniziato noi l’azione militare,
per conquistare Tskhinvali e altre zone. Il nostro obiettivo era difendere il
nostro territorio da eventuali attacchi”45.
Le revisioni fanno parte del lavoro giornalistico ma se gli errori sono
causati da pregiudizio o da imposizioni dall’alto la questione è ben più
grave. Per molti permane il marchio dell’ondata iniziale di notizie false e
tendenziose, prive di verifica e di giustizia per le popolazioni colpite,
state trattate con due pesi e due misure.

44
BBC News, Georgia accused of targeting civilians, 28 ottobre 2008,
http://news.bbc.co.uk/2/hi/in_depth/7692751.stm
45
RussiaToday, “Saakashvili: we started the war”, 28 novembre 2008
96
4.3 – Analisi dei principali quotidiani italiani

Un paragrafo a parte va dedicato ai media italiani, in particolare alle


principali testate giornalistiche che hanno maggiore influenza
sull’opinione pubblica e, indirettamente, sul complesso dei mass media
italiani. L’Italia della Seconda Repubblica si può definire una
“mediacrazia”, basata sulla costruzione del consenso attraverso il filtro
della stampa e delle televisioni come dimostra il successo politico di
Silvio Berlusconi. Ma “la “mediacrazia” - come scrive Marcello Foa - è
una realtà capovolta: non siamo noi a condizionare o addirittura
sovrastare i politici, ma sono loro a orientare la nostra percezione del
mondo; loro a usare a proprio vantaggio il nostro ipotetico strapotere, per
di più a nostra insaputa”46.

1. “la Repubblica”

“Guerra tra Russia e Georgia” titolava “la Repubblica” del 9 agosto 2008
dando il giusto peso alla sorprendente scontro militare tra i due stati.
L’analisi a caldo del quotidiano è affidata ad un inviato da Mosca, Pietro
Del Re, il quale nell’articolo “I tank russi entrano in Georgia” descrive la
massiccia offensiva militare russa in risposta all’attacco georgiano nella
capitale sud-osseta Tskhinvali citando perfino fonti russe secondo le
quali in Ossezia del Sud “sarebbe in corso una pulizia etnica ad opera dei
georgiani”. La conclusione dell’articolo è tutta dedicata agli appelli di
Saakashvili agli Stati Uniti:”Non è più solo una questione georgiana: si
tratta dell’America e dei suoi valori. Noi siamo una nazione amante della
libertà che ora si trova sotto attacco”. Molto interessante, puntuale e
46
Marcello Foa, “Gli stregoni della notizia” 2007
97
precisa la pagina 4, dedicata all’analisi delle cause del conflitto.
Fiammetta Cucurnia nell’articolo “Vent’anni di scontri sognando
l’indipendenza” ripercorre la storia dell’Ossezia dall’inizio del 1900,
passando per la dichiarazione d’indipendenza del 1991 fino ad arrivare
alla Rivoluzione delle Rose. Il lavoro della Cucurnia si rivela necessario
per comprendere lo stretto legame che esiste tra le regioni indipendentiste
georgiane e la Russia. Il pezzo di fondo della pagina è invece dedicato
all’analisi del fattore energetico, fattore che svolge un ruolo chiave
nell’intera area caucasica e che proprio per questo motivo vede la
Georgia contesa da Stati Uniti e Russia. Luca Pagni nell’articolo “Un
corridoio energetico verso l’Europa, a rischio un milione di barili di
greggio” descrive la Georgia come la principale via alternativa alla
Russia attraverso la quale affluisce il gas e il petrolio in Europa. Il
giornalista arriva al nocciolo della questione, ovvero all’importanza che
viene data ai vari progetti energetici che designano la Georgia come la
regione di transito necessaria per tagliare fuori l’inaffidabile Russia, e le
minacce e le ritorsioni del Cremino di cui la strumentalizzazione delle
aree separatiste georgiane sarebbe la chiave di volta. L’articolo di Pagni
sulla crisi energetica è però l’unico pubblicato sulle pagine di Repubblica
durante e dopo il conflitto, dedicato all’analisi dei grandi interessi in
gioco che hanno portato alla guerra. Nei giorni seguenti infatti il
quotidiano si concentra più sulla descrizione e interpretazione della fase
diplomatica, sottolineando in particolare le prese di posizione degli attori
in campo (Putin, Bush, Sarkozy, Saakashvili, la Nato, l’Unione Europea)
senza però tornare sulle cause che hanno portato all’escalation, tranne
che nel pezzo del 10 agosto “La partita del Cremino” nel quale Sandro
Viola afferma che , “le responsabilità non sono tutte russe (…). La foga
che Bush ha messo nel porsi come alto protettore di Saakashvili e
promotore dell' ingresso della Georgia nella Nato, non poteva non

98
provocare una reazione russa. La Nato nel Caucaso sarebbe infatti l'
ultima mossa di quell'accerchiamento della Russia che già Boris Eltsin
aveva paventato negli anni Novanta, e che oggi inquieta il regime di
Putin”, aprendo quindi un ulteriore aspetto della partita che si gioca a
livello internazionale ovvero l’allargamento della Nato ad est, alle porte
della Russia”.
La Repubblica durante il conflitto georgiano si distinguerà per i reportage
dal fronte di guerra, conditi con testimonianze dirette dalla Georgia e
dall’Ossezia del Sud di povera gente colpita dal conflitto: “La grande
fuga sotto le bombe” di Renato Caprile e “Nella città di Stalin colpita dai
Mig” di Pietro Del Re sono due esempi di giornalismo di guerra
raccontato dalle città direttamente colpite, visto con gli occhi e raccontato
con le parole di chi sul posto ha vissuto quei tragici eventi. Il 14 agosto la
Repubblica, oltre 10 giorni prima della dichiarazione di indipendenza
dell’Ossezia del Sud e dell’Abkhazia, analizza il conflitto dal punto di
vista dei principali attori in causa, direttamente e indirettamente, ovvero
Russia e Stati Uniti. L’articolo è intitolato “La lezione di Putin alla Casa
Bianca”. Lucio Caracciolo sottolinea il capolavoro politico-militare-
diplomatico di Putin il quale è stato in grado di sfruttare l’occasione
offertagli dall’irresponsabile attacco di Saakashvili per vincere una
partita al quale non aveva dato lui inizio. Oltre ad evidenziare la grande
risposta russa, “la prima vera offensiva dai tempi dell’Unione sovietica”,
Caracciolo critica l’approccio statunitense alla guerra per poi tracciare un
quadro dei due blocchi contrapposti i quali, secondo l’autore, non
sarebbero così chiaramente definibili a causa del crescente legame che
negli ultimi 15 anni si è creato tra alcuni stati europei e la Russia. Nel
pezzo si riaffaccia anche l’analisi della questione energetica. Secondo
l’autore “Bush ha sostenuto e armato Saakashvili per servirsene come
spina nel fianco del colosso russo, in un' area strategica per i corridoi

99
energetici. A cominciare dall' oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan e dall' assai
futuribile gasdotto Nabucco, entrambi di dubbio senso economico ma
concepiti come leve geopolitiche per aprire vie alternative a quelle russe
nelle esportazioni di greggio e di gas centroasiatico verso l' Europa. Ma i
georgiani hanno sovrainterpretato l' appoggio americano”. La
conclusione a cui arriva Caracciolo è che “nessuno a Washington è
pronto a scatenare la guerra alla Russia in nome dei diritti della Georgia.
Nel crepuscolo di Bush, la balbettante risposta americana alla guerra
russo-georgiana riflette il vuoto strategico di questa amministrazione.
Oscillante fra l' ammiccamento a Putin e il tentativo di sancire il
riallargamento della Nato la definitiva liquidazione di qualsiasi sfera di
influenza russa in Europa”. Il 18 agosto due articoli di peso tracciano un
ulteriore analisi complessiva di quanto accaduto “Cosa vuole l’America”
di Marek Halter e “Da Varsavia a Kiev torna l’incubo Urss” di Andrea
Tarquini. Secondo Halter all’inizio della guerra “per la stampa
occidentale, era evidente che l' 8 agosto 2008, il giorno dell' apertura dei
Giochi olimpici di Pechino, era stata la malvagia Russia ad attaccare di
sorpresa la Georgia, un piccolo paese democratico del Caucaso sulla riva
del Mar Nero, seminandovi il panico e numerose vittime. (…) Ma oggi
anche i più accaniti avversari di Mosca sono costretti a riconoscere che
sono state le forze militari georgiane ad attaccare la provincia
separazionista filorussa dell'Ossezia del Sud, bombardandone la capitale
e uccidendo soldati russi che da 15 anni erano di stazione nel paese su
disposizione dell' Onu e sotto l' insegna delle forze di mantenimento della
pace. Che la rivendicazione d' indipendenza degli Osseti e degli Abkhazi
sia legittima o no è una questione che merita un dibattito, non un colpo di
mano”. L’autore inserisce il conflitto all’interno di una più grande
“battaglia per l’egemonia del mondo delle due superpotenze la quale
“non avrebbe perso di attualità”. Ampio spazio viene poi dedicato sulle

100
pagine di Repubblica al rapporto deteriorato tra la Nato e la Russia, come
conseguenza del conflitto. Nonostante la consapevolezza generale che
l’inizio della guerra sia avvenuto a causa dell’avventato attacco
georgiano la Nato condanna l’attacco russo e per risposta ottiene un
gravissimo congelamento delle relazioni. Ad evidenziare questo aspetto
gli articoli “La replica di Mosca: state coi criminali” di Pietro Del Re e
“Diario strategico” di Fabio Mini. Ed è sempre Pietro Del Re a dedicare
un articolo intero “L’ultima sfida del Cremino, si alle secessioni da
Tbilisi”, alla firma storica, da parte del presidente russo Medvedev, del
decreto che approva le secessioni di Ossezia del Sud e Abkhazia dalla
Georgia, come atto conclusivo della guerra. Nei giorni seguenti sono
numerosi gli articoli pubblicati su Repubblica che, da vari punti di vista
(Nato, Stati Uniti, Italia), condannano la scelta russa di concedere
l’indipendenza alle regioni georgiane. L’analisi di questo scenario
modificato dagli eventi dell’agosto 2008 vengono interpretati da Sandro
Viola come un ritorno alla guerra fredda. Nell’articolo “Il grande freddo:
se America e Russia tornano nemiche” si sottolinea la presenza costante
di un sentimento russofobo, tanto in America quanto in Europa, mai
scomparso completamente, che ha avuto conseguenze anche
sull’approccio dei media occidentali alla guerra: “quando si valuta
l'origine di un conflitto armato, onestà vuole che non si possa prescindere
dalle responsabilità di chi ha aperto il fuoco per primo. Ciò che i
governanti e il giornalismo euro-americani non hanno fatto, puntando
invece il loro dito accusatore quasi soltanto sul fulmineo e devastante
contrattacco russo. La russofobia è infatti cambiata”. Importante anche
aver dato spazio alle accuse, da un lato e dall’altro, sulle responsabilità
della guerra. L’articolo “Putin, in Georgia un complotto Usa” del 29
agosto non lascia spazio a interpretazioni e dedica ampissimo spazio alle
dichiarazioni e alle analisi del Presidente della Federazione Russa.

101
Ma è solo il 29 novembre che il giornale “la Repubblica” chiarisce
definitivamente i dubbio sulle responsabilità dell’apertura del conflitto,
nell’articolo “E’ vero, ho attaccato per primo. Il presidente georgiano
ammette”, attraverso le ammissioni di Mikhail Saakashvili davanti alla
Commissione d’inchiesta che indaga sul conflitto. Meglio tardi che mai.
In conclusione si può affermare che il quotidiano fondato da Eugenio
Scalfari abbia effettuato un lavoro di cronaca e analisi obiettivo, dando
voce a tutti gli attori in campo in maniera equilibrata ed equidistante,
come da stile del giornale. Ma quel che lascia perplessi è l’occasione
persa per mettere in risalto la connessione con la guerra parallela, che si
svolge ogni giorno, cioè quella energetica. La vera motivazione di una
guerra al di là della quale vi sono interessi ben più concreti di due piccole
regioni separatiste, oltretutto molto povere. Probabilmente si è dato fin
troppo spazio alla politica, alla diplomazia e alle strategie militari, mentre
le decisioni che contano sono state, sono, e saranno prese, lontano dai
riflettori.
Un’intervista rilasciatami dal caporedattore esteri di “Repubblica”47,
Nicola Lombardozzi, può essere utile a comprendere le dinamiche
redazionali durante eventi come il conflitto russo-georgiano:
Qual è stata la linea editoriale adottata dal suo giornale durante il
conflitto?
“Quando succede qualcosa ti occupi di capirla e di raccontarla. Se sei un
giornalista di Repubblica lo fai in un certo modo, se sei un giornalista di
un altro giornale lo fai in un altro. Ci occupammo di raccontare al meglio
possibile la vicenda. Sapevamo che c'era un paese aggressore che
spiegava la sua aggressione con motivi che andavano vagliati con cautela
e un paese aggredito che conseguentemente lanciava appelli contro
l'invasore. In questi casi c'è sempre molta propaganda da una parte e
dall'altra. La cosa più difficile è riuscire a non cadere nelle trappole delle
47
Testimonianza di Nicola Lombardozzi scritta all’autore, 21 luglio 2009
102
informazioni pilotate dalle parti in causa o comunque mettere in guardia
il lettore attribuendo ogni notizia alla propria fonte ed esplicitando di
volta in volta i nostri eventuali dubbi sulla esattezza delle presunte
rivelazioni. Ci siamo riusciti abbastanza spesso, spero”.

E’ stata una scelta indipendente ed imparziale oppure seguiva, anche


solo per grandi linee, una direzione dettata o imposta dall’esterno,
visto anche l'orientamento omogeneo dei principali media
occidentali? “Come sempre una scelta indipendente e non imparziale.
Non credo all'imparzialità. Le proprie idee, la propria cultura
condizionano il giudizio. Ma appunto il giudizio, non le notizie. Se
vogliamo a tutti i costi essere critici, i giornali qualche volta finiscono per
caricarsi a vicenda e per avere appunto un orientamento un po' troppo
omogeneo. Ma questo, quando accade, può essere frutto di pigrizia, di
inesperienza, di errori professionali non di ordini superiori che, le
assicuro, non ci sono mai stati. E diciamo la verità: perché mai avrebbero
dovuto esserci? Crede davvero che le posizioni e i titoli del
nostro giornale avrebbero potuto cambiare le cose?”

Quali furono i canali delle fonti d’informazione internazionali che si


aprirono e di cui disponeva "la Repubblica"? “Ovviamente tutte le
agenzie internazionali e soprattuto Reuters e France Press, il nostro
inviato a Mosca che tra l'altro (grave handicap per noi e per lui) sostituiva
il nostro corrispondente abituale, i nostri inviati in Georgia e ovviamente
gli uffici di New York, Bruxelles e delle varie sedi europee. Mi pare
evidente che i canali di informazione ormai non mancano mai, soprattutto
quando lavori per un grande giornale come il nostro. Semmai, in certi
casi ce ne sono troppi e il difficile è appunto distinguere, incrociare,
verificare”.

103
Qual è la differenza riscontrabile tra la complessa macchina
mediatica occidentale, sul cui appoggio ha potuto contare il
presidente georgiano durante il conflitto, e i media russi? “Più o
meno le stesse differenze che si riscontrano sempre tra queste due
culture. Sono luoghi comuni un po' banali ma nei fatti è così: la
propaganda occidentale è più raffinata e martellante ma anche più
elastica. Reagisce bene alle smentite e rilancia con altre invenzioni.
Quella russa è più rigida e contemporaneamente più sfacciata anche nel
negare l'evidenza. Ma parlo di quella che è palese propaganda. Devo dire
che invece per i media occidentali e perfino per molti di quelli russi
funziona lo stesso ragionamento che ho fatto per noi. Vedevano
onestamente le cose ma, naturalmente, dal loro punto di vista”.

Ad un anno di distanza da quella tragica guerra tratterebbe la


questione in modo diverso? “Certo che sì ma solo dal punto di vista
tecnico. Manderei più inviati, farei più approfondimenti. Probabilmente
più zoomate sui paesi sfiorati dalla guerra...Non certo sul piano della
linea editoriale che è sempre la stessa: capire il più possibile che cosa sta
succedendo. Non è una cosa che riesce spesso”.

2. “Corriere della Sera”

104
Veniamo all’analisi degli articoli dedicati dal Corriere della Sera, in quel
periodo diretto da Paolo Mieli, alla guerra tra Georgia e Russia.
Il primo articolo in ordine di tempo del Corriere della Sera dedicato al
conflitto apertosi tra Georgia e Russia è “Tank russi contro i georgiani,
guerra in Ossezia”, di Dragosei Fabrizio. Si tratta di una cronaca
minuziosa delle prime notizie provenienti dal fronte di guerra: nel caos
delle cifre e delle dichiarazioni ufficiali quello che viene dato per certo è
l’attacco iniziale ad opera delle truppe georgiane in territorio osseto.
Nel secondo articolo dedicato all’argomento, “Putin ci vuole distruggere,
siamo amici dell’Occidente” datato 9 agosto 2008, Marco Nese intervista
il Ministro degli esteri georgiano, Eka Tkeshelashvili, il quale dichiara
che i russi non vedevano l’ora di avere un pretesto per attaccare la
Georgia, e che questo pretesto era stato creato ad arte da provocazioni
pilotate degli osseti contro la popolazione georgiana. Il terzo articolo
sempre del 9 agosto 2008, senza firma, si intitola “Bombe russe sulla
Georgia. Li costringeremo alla pace”, fa un vero e proprio elenco
cronologico delle azioni militari compiute dai russi, senza alcun
riferimento alle azioni belliche della parte avversa. L’assenza della firma
da il senso di una condivisione redazionale dell’indirizzo espresso
nell’articolo. Riassumendo la prima giornata di scontri militari descritta
dal Corriere della Sera, ad eccezione delle prime righe del primo articolo
in cui si racconta che ad attaccare per primi sono stati i georgiani, il resto
diventa una descrizione della brutalità e delle responsabilità russe e della
paura georgiana.
Molto interessante, il 10 agosto, l’articolo dedicato all’intervista del
Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov di Viviana Mazza. In
particolare l’incipit dedicato ai preparativi della conferenza stampa
telefonica concessa alla stampa mondiale, comprensivo di minuziosa
descrizione della difficoltà di incalzarlo con domande e dell’invito del

105
Ministro russo ai giornalisti ad essere “obiettivi in quanto professionisti,
non lasciandosi fuorviare dalle parole del presidente Saakashvili”.
Mentre a chi gli chiede se sia la Russia l’aggressore, Lavrov
risponde:”Ha iniziato Saakashvili: proprio lui che poche ore prima aveva
chiesto un cessate il fuoco, poi l' ha violato”.
L’11 agosto il Corriere pubblica una paio di titoli dedicati allo stesso
soggetto, il presidente russo Vladimir Putin: “Putin bombarda la
Georgia” e “Il leader russo? Un bullo di quartiere che vuole sfasciare
tutto”. Nel primo articolo si descrivono le gesta del presidente russo che
coordina e sorvola le zone di guerra, mentre nel secondo si da ampio
spazio ai commenti dei nostri politici. Nel terzo articolo, “Washington –
Mosca, minacce e diplomazia”, il più interessante, si affaccia il richiamo
alla guerra fredda, con una serie di dichiarazioni di vari primi ministri e
un breve cenno all’invito a fermare gli scontri rivolto dal presidente
Berlusconi a Putin. Il 12 agosto Franco Venturini ci descrive “Il gioco di
Putin”, con un’analisi accurata delle strategia russe da un lato, e
georgiane dall’altro. Tutto viene ridotto però alla questione delle regioni
separatiste, senza un minimo accenno alle questioni energetiche. Il giorno
seguente sul “Corriere” spuntano i filo-russi. Nella descrizione di
Alessandra Coppola ci viene svelato che non esiste un’interpretazione
univoca della guerra russo-georgiana, ma c’è anche chi la pensa in
maniera differente e si permette di difendere Putin. Secondo Sergio
Romano “Stavolta l’Europa c’è”, con riferimento all’attivismo della
diplomazia europea messo in campo per il ritorno alla pace. Dall’articolo
però non si comprende cosa si celi dietro questo interesse europeo alla
vicenda. Fino ad ora nemmeno un vago accenno ai gasdotti e agli
oleodotti da parte del quotidiano di via Solferini, nessun rimando a
trattative e spartizioni di aree per tracciare le proprie condutture
all’interno di quel fondamentale tassello che è la Georgia. Il 15 agosto il

106
“Corriere” da giustamente ampio risalto alla firma del piano di pace di
Saakashvili. Nei giorni seguenti attraverso un’intervista al politologo
Zbigniew Brzezinski, il Corriere coglie l’occasione per descrivere Putin
come un dittatore ai livelli di Stalin e Hitler, mettendo il guardia
l’occidente dalla vera anima autoritaria del presidente russo. Anche in
questo caso neanche un accenno alla questione energetica e agli interessi
delle forze in campo. Il 21 agosto Bernard-Henry Levy ci racconta con il
suo impeccabile stile da cronista d’elité la sua esperienza per le strade di
Tbilisi, a conflitto ormai concluso, e la sua analisi della guerra: “Qui i
russi sono a casa loro. Si dispiegano in Georgia come su un terreno di
conquista. Non è esattamente come l'invasione di Praga. È la sua versione
del XXI secolo: una versione lenta, a colpi di umiliazioni, intimidazioni,
panico”, per poi raccontarci come si sono svolte le ultime giornate del
presidente georgiano Misha, Saakashvili. Ma neanche da lui un solo
accenno alla questione energetica.
A leggere le analisi e i racconti del Corriere della Sera viene da pensare
che il gas e il petrolio che transitano e che dovranno transitare sempre più
copiosi in futuro attraverso le regioni georgiane fino ai mercati europei
non interessino proprio a nessuno. Le uniche paure descritte nelle pagine
del Corriere sono quelle relative al pericolo di un ritorno del “mostro
russo”, che “da Tskhinvali porterà alla guerra globale”. Oltretutto
tralasciando il particolare che le regioni separatiste georgiane sono a
maggioranza russe. Insomma nonostante le grandi firme, gli esperti e i
potenti mezzi di cui dispone il Corriere della Sera non c’è proprio stata la
possibilità di trovare qualcuno che spiegasse ai lettori, durante o dopo il
conflitto, che cosa avrebbe comportato realmente una bomba esplosa
sull’oleodotto Btc, oppure una decisione della Russia di invadere l’intero
stato georgiano.

107
4.4 – Omessa la descrizione degli interessi energetici nell’area
georgiana

Abbiamo visto come i principali media occidentali abbiano omesso di


informare il proprio pubblico sugli interessi che si celavano dietro la
guerra russo-georgiana: il conflitto è infatti stato presentato più come una
contrapposizione tra Russia e Occidente, con rimandi alla ormai chiusa
guerra fredda, che per quello che realmente è, ovvero una lotta per gestire
territori fondamentali per le vie energetiche del futuro. Le regioni
separatiste, diventate poi indipendenti, di Abkhazia e Ossezia del sud
erano dapprima sono state il chiavistello attraverso le quali la Russia è
riuscita a aumentare l’area controllata direttamente, limitando di fatto la
presenza occidentale. La Russia infatti oltre alle regioni che già
controlla, non senza problemi, Ucraina, Turkmenistan e Azerbaijan, è
riuscita a avanzare e consolidare la propria presenza nel Caucaso. Mentre
l’Europa e gli Stati Uniti controllano Iraq, Arabia e Turchia, oltre
all’Africa occidentale. Proprio grazie all’assist fornito da Saakashvili con
lo scellerato attacco dell’8 agosto 2008, la Russia è riuscita ad aumentare
il proprio peso in Georgia, tassello fondamentale della futura “Via della
seta del XXI secolo”.
E’ proprio attraverso la Georgia che passano e dovranno passare le due
condutture di petrolio e gas, che non prevedono un controllo diretto della
Russia: il Btc, già operativo, che durante il conflitto è stato messo a dura
prova dai bombardamenti russi; e il White Stream, il progetto ucraino
che, come abbiamo già visto, permetterà la diversificazione europea degli
approvvigionamenti di gas. Nessuno dei due gasdotti passa per le regioni
autonome di Abkhazia ed Ossezia del sud, sono quindi direttamente
controllati quindi dal governo georgiano a tutela degli investimenti
occidentali e soprattutto del gas che all’Europa arriva senza passare dalla

108
Russia la quale può già contare sulle condutture Blue Stream e Nabucco.
Ma la dimostrazione di forza e di influenza dimostrata da Mosca
all’interno delle due regioni georgiane potrebbe, in un futuro prossimo,
rappresentare una nuova minaccia per la stabilità georgiana e quindi per
il corretto funzionamento e approvvigionamento delle condutture
energetiche. Queste premesse e conseguenze del conflitto non sono state
spiegate al pubblico occidentale, il quale si è visto investito da presagi
nefasti su un imminente ritorno alla guerra fredda, senza che gli venisse
spiegato che in realtà l’unica guerra che realmente interessa, e che era già
in corso prima del conflitto e lo è tuttora ad un anno di distanza, è quella
dell’energia e degli investimenti ad essa collegati. In questo quadro non
ci è stato chiarito dai giornali nemmeno minimamente la posizione,
all’interno di queste strategie geopolitiche, in cui si colloca l’Italia. Un
anno fa il presidente degli Stati Uniti era George W. Bush, il quale
poteva contare sull’appoggio incondizionato dell’Italia all’estero, in
particolare nelle missioni in Iraq e Afghanistan. La Georgia abbiamo
visto che in quanto a interessi economici non è da meno per gli Stati
Uniti, ma la posizione dell’Italia qui sembra meno chiara. Mentre si da
per scontato il supporto alle politiche statunitensi, lo stretto legame tra il
primo ministro italiano, Berlusconi, e il presidente russo Putin, sembra
far cambiare gli assetti di un’alleanza che, a partire dal dopoguerra, si è
andata via via rinsaldando.
L’elezione del democratico Obama alla presidenza degli Stati Uniti nel
frattempo potrebbe aver aiutato un cambiamento di rotta nelle alleanze
della diplomazia italiana e, anche se sembra ancora tutto in fase
primordiale, prefigurare una storica inversione di posizioni: una destra
italiana che guarda a est, e in particolare alla Russia e al suo potenziale
energetico, e una sinistra democratica che invece cerca di gettare i ponti a
ovest prendendo Obama e le sue politiche come esempio da importare.

109
Ma purtroppo tutto questo l’informazione italiana non ha nemmeno
provato a spiegarcelo.

Figura 2 – Mappa Btc (Georgia), Nabucco e Blue Stream (Russia)

110
Figura 3 - GUEU -White Stream Route options48

48
Roberto Pirani, GUEU –White Stream Pipeline Company Limited
111
4.5 – L’informazione di guerra su internet: speranza di
un’informazione più “democratica”

Allontanandoci dalle fonti “omologate” si può invece scoprire una realtà


diversa, e se vogliamo più complessa, di quella che ci viene proposta dai
quotidiani o dai mass media ogni giorno. In rete infatti sono a
disposizione di chiunque le voglia ricercare e abbia un minimo di
dimestichezza con i termini di ricerca e con l’inglese, le spiegazioni dei
vari accordi energetici conclusi nell’area caucasica, la suddivisione delle
varie aree di influenza in Georgia, i progetti energetici passati, quelli in
costruzione, e quelli futuri. Tutte cose che nei mass media, se non
completamente omessi, sono lievemente accennati. E’ in rete che sono
cominciate a circolare, e poi sono state smascherate, le foto Reuters
truccate delle città e dei civili georgiani bombardati dai russi, con svariati
errori di ambientazione. Sempre in rete, sul sito della CNN, era
scomparso un sondaggio in cui dove 35.000 lettori americani per il 92%
erano favorevoli alla pace ed erano d’accordo con la risposta russa
all’aggressione georgiana. Il sondaggio però non era stato fatto sparire in
tempo tale da evitare che altri siti lo riportassero e lo diffondessero in
tutto il mondo49. E questi sono solo alcuni esempi di come sia più
complicato far passare per verità assoluta qualsiasi notizia venga diffusa
in rete, perché può arrivare subito, da qualsiasi parte del mondo, la
replica che evidenzia incongruenze, falsità o diversi aspetti della
questione magari omessi volutamente imponendo l’autore ad una rettifica
pena la perdita di credibilità. Questo perché in Internet il flusso delle
informazioni, così come il contraddittorio, è continuo.
Chi, all’interno dei mass media occidentali, decide quali notizie riportare
nel caso di un conflitto di questo tipo può benissimo rispondere a queste
49
CNN, 13 agosto 2008,
http://digg.com/politics/92_of_CNN_readers_Russia_s_actions_in_Georgia_justified
112
personali osservazioni che al pubblico non interessino le questioni
energetiche, gli accordi delle multinazionali ed altre questioni simili, ma
che la gente vuole solo sapere cosa fanno le persone, qual è il destino
delle popolazioni colpite dai conflitti, chi si sta muovendo per la
risoluzione dei problemi e chi invece non è favorevole al cessate il fuoco.
Ma allora se la gente vuole sapere tutto questo deve anche essere
informata, pur se questo comporterà un calo di interesse da parte del
pubblico, sulle reali cause che hanno portato fino a questo punto
compresi gli interessi economici enormi in gioco. Probabilmente è anche
per questo che il pubblico si sta spostando sempre più verso la rete (negli
Stati Uniti e in Gran Bretagna ancor più che in Italia): perché su internet
si può scegliere, confrontare e formarsi un opinione liberamente.
Esprimendo con le proprie scelte una valutazione sulla veridicità del
contenuto e delle fonti da cui si è attinto. Ciò non toglie comunque che
anche internet abbia dei difetti, primo tra tutti il rischio della diffusione di
notizie infondate o di vere e proprie cantonate, e, in particolare nel settore
dell’informazione, in futuro sarà necessaria una regolamentazione
minima per chi diffonde notizie. Magari con un patentino, un brevetto, o
un certificato della rete potrebbe essere un’idea. Senza togliere nulla alla
necessaria capacità di saper ricercare le notizie con il giusto metodo e le
giuste, affidabili, fonti.

4.6 – Il ruolo dei media durante e dopo il conflitto: intervista a


Mikhail Saakashvili

113
Questa è la risposta del presidente georgiano Mikhail Saakashvili ad una
domanda dell’autore formulata durante un’intervista al programma
Videochat del Corriere.it50.
Presidente Saakashvili che importanza ha avuto secondo lei, durante
e dopo la guerra, avere un informazione schierata acriticamente con
lei e contro la Russia?
“La guerra è stata cominciata contro di noi, nel primo giorno dei giochi
olimpici. E’ stato un vero incubo per un piccolo paese essere attaccati il
primo giorno delle Olimpiadi, perché tutti guardavano i Giochi e tutti
erano in vacanza e nessuno si occupava veramente di noi. Per noi, per un
paio di giorni è stato molto difficile far passare il messaggio perché
pensavano che dei pazzi georgiani avessero cominciato tutto questo. Però
poi abbiamo messo in campo le nostre troupe e soprattutto sono andato
costantemente in televisione, io e i membri del mio governo che sono più
giovani e comprendono molto bene la strategia di utilizzo dei media,
mentre invece dall’altra parte c’erano dei vecchi generali del Kgb che
non comprendono questo tipo di uso dell’informazione. La cosa
importante era non solo che erano persone che parlavano bene le lingue e
conoscevano i meccanismi, ma era che dicevano la verità Dall’altra parte
la Russia aveva molte agenzie di pubbliche relazioni in Europa e Stati
Uniti, ma quando questa guerra non è stata più un argomento importante
e all’ordine del giorno ci sono stati molti articoli che hanno cercato di
riscrivere questa guerra, sono state pubblicate molte stupidità, e
l’obiettivo non era rendere la Russia più innocente, ma di dipingere noi in
una luce più cattiva cercando di dimostrare che entrambe gli Stati erano
colpevoli. Questo era l’obiettivo di questa propaganda”.

Prima di analizzare le parole del presidente Saakashvili può essere utile


analizzare la persona per meglio comprendere dove ci vuole portare con
50
Intervista a Mikhail Saakashvili concessa all’autore il 29 maggio 2009
114
la sua dialettica. Innanzitutto quello che colpisce durante l’intervista è la
forte volontà del premier georgiano ad apparire come un leader
occidentale. Va ricordato tra l’altro che Saakashvili ha avuto una
formazione statunitense essendosi laureato in legge all’università di
Harvard. Risalta moltissimo l’impeccabile utilizzo della lingua inglese,
sempre semplice e lineare, oltre al suo continuo rimarcare la sua
collocazione nella sfera occidentale nell’equilibrio geopolitica
internazionale, da cui deriva anche l’ammissione della buona conoscenza
delle tecniche dei media europei e statunitensi. Analizzando la tecnica ed
il linguaggio utilizzati da Saakashvili è evidente che il presidente
georgiano ha fatto propria la teoria del “soft power” appresa ad Harvard
dal professore Joseph Nye sull’abilità di ottenere ciò che vuoi attraendo e
persuadendo gli altri ad adottare i tuoi obiettivi. La sua risposta infatti
dimostra il tentativo del presidente georgiano di far diventare verità
assolute le proprie verità, negando la storia e tentandone anche una
revisione che, a solo un anno dal conflitto, appare quasi tragicomica. La
convinzione con la quale sostiene la propria versione dei fatti,
smascherata e criticata da una buona parte dei media al termine del
conflitto, è con molta probabilità volta a riconquistare la fiducia persa da
parte occidentale dopo l’avventato intervento militare dell’agosto 2008,
ed è inoltre parte di una strategia ben calcolata (Saakashvili era in Italia
per promuovere il suo libro “Io vi parlo di libertà”) per raggiungere il suo
obiettivo che possiamo considerare ben sintetizzato nella frase “l’Europa
ha bisogno della Georgia, non di Mosca”, tratta dal suo libro. Saakashvili
è consapevole di dover vendere il prodotto Georgia in occidente, per
poter continuare ad attrarre investimenti dall’estero, per diventare un
tassello fondamentale nel grande risiko energetico. E’ consapevole
inoltre del fatto che come unica alternativa all’occidentalizzazione ci
sarebbe, per la sua Georgia, un inglobamento nella grande Russia, un

115
peso politico nullo e, di conseguenza, un ritorno alla vecchia e mai
dimentica povertà. L’ammissione della buona conoscenza delle tecniche
di comunicazione occidentali conferma la teoria esposta in questa tesi
ovvero che senza l’appoggio e la conoscenza dei media occidentali la
Georgia mai sarebbe riuscita a far passare il falso messaggio
all’occidente dell’aggressione russa come casus belli. Mentre la scelta di
sottolineare la coincidenza dell’inizio del conflitto con l’apertura dei
Giochi Olimpici di Pechino fa ipotizzare una consapevolezza non
secondaria sulla scelta dei tempi dell’attacco e quindi delle ripercussioni
sull’opinione pubblica mondiale: è stata infatti proprio la Georgia ad
iniziare l’accerchiamento del capoluogo sud-ossetino Tskhinvali, avendo
deciso di “riportare l'ordine costituzionale nell'Ossezia del Sud”, pochi
minuti dopo la mezzanotte dell’8 agosto 2008. Ed è l’attacco georgiano
l’evento che è stato oscurato dall’apertura delle Olimpiadi, non la
risposta militare russa, avvenuta alcune ore dopo.

Capitolo 5 – Il ruolo e la posizione della diplomazia italiana

116
5.1 – Intervista al sottosegretario al Ministero degli Affari
Esteri, Senatore Alfredo Mantica51

Che ruolo ha avuto la diplomazia italiana nella risoluzione del


conflitto russo-georgiano?

“L’Italia, in quanto Paese fondatore dell’Unione europea, è da sempre


impegnata in prima persona nella ricerca delle risoluzioni di pace in caso
di conflitti, siano essi armati o diplomatici, a maggior ragione se inseriti
all’interno dei confini geografici continentali. Nel caso della disputa
georgiana dello scorso anno, la diplomazia italiana si è attivata lungo due
binari: da un lato affiancando i politici in un gioco di squadra che ha
prodotto infatti una rapida soluzione alla crisi; dall’altro fornendo
supporto alla comunità italiana presente in Georgia attraverso il lavoro
dell’Unità di Crisi, nostro fiore all’occhiello, servizio ormai copiato dai
maggiori Paesi del mondo”.

Come giudica l’approccio dei mass media (italiani ed internazionali)


alla guerra? E’ stato trattato in maniera equidistante o con nuovi o
antichi pregiudizi?

“Ogni organo di informazione è libero di trattare un argomento come


meglio crede, con il taglio che vuole. Purtroppo a volte i preconcetti
ideologici hanno la meglio sull’obiettività di giudizio e sulla parità di
trattamento. Ma, per fortuna, in democrazia, ognuno è libero di farsi
l’opinione che meglio crede”.

51
Testimonianza scritta all’autore in data 7 Ottobre 2009
117
E soprattutto, è stato influenzato da interessi economici?

“Gli interessi economici ci sono sempre, in qualunque ambito. Sia dal


punto di vista dei cittadini, dei governi, ma anche degli editori”.

Come si colloca l’Italia nei rapporti con la Russia per quanto


riguarda le forniture di gas?

“La Russia è un partner importantissimo. Ma non dobbiamo commettere


l’errore di appiattirci soltanto su questo aspetto. La politica energetica
italiana è chiara: se da un lato si dialoga con la Russia, dall’altro si
trovano strade alternative. In questo modo l’Italia potrà mettere in atto
quella differenziazione delle forniture che le garantiranno autonomia
energetica anche in eventuali momenti di crisi, come ad esempio
successe in seguito alla disputa russo-ucraina”.

L’Italia guarda con favore alla differenziazione delle forniture sui


mercati, oppure ha stipulato un patto di ferro con la Russia, anche in
virtù dell’amicizia tra Berlusconi e Putin?

“L’ho detto prima. Non esiste alcun patto di ferro, come non esistono
neppure nemici. L’Italia, oltre che con la Russia, ha importanti accordi in
materia energetica anche in Maghreb, in Sud America, nei Balcani, in
Libia. La nostra linea è differenziare il più possibile proprio al fine di
salvaguardarci da eventuali crisi future”.

Come sono i rapporti con gli Stati Uniti, ora che al governo non c’è
più l’amico Bush ma Obama, sempre in relazione alla questione
georgiana e più in generale alla questione energetica?

118
“Gli Stati Uniti da sempre sono vicini all’Italia e l’Italia è sempre stata
amica degli Stati Uniti. I nostri rapporti diplomatici e politici sono ottimi.
I rapporti tra due Paesi prescindono dalle personalità che di volta in volta
guidano i due Paesi”.

Come vede la futura creazione del gasdotto White Stream che


attraverserà la Georgia per portare il gas del Caspio nei mercati
europei, tagliando fuori la Russia? Anche l’Italia beneficerà di
questa diversificazione degli approvvigionamenti del gas o resterà
fedele alla Russia?

“Come ho già ripetuto più volte, non si tratta di nessun concetto di fedeltà
ma di pura e semplice strategia di diversificazione. Tanti più Paesi sono
coinvolti nella razionalizzazione delle risorse e della loro distribuzione,
tanto meglio è per tutti. In primo luogo per i consumatori”.

Conclusione

Come ho cercato di dimostrare ampiamente durante il mio lavoro la


Georgia rappresenta un crocevia di interessi che vanno ampiamente al di

119
là del reale peso internazionale di questo piccolo Stato. A dimostrazione
dell’importanza e della delicatezza della situazione georgiana l’Unione
Europea, nel dicembre 2008, istituì l'IIFFMCG (Indipendent International
Fact-Finding Mission on the Conflict in Georgia – Missione Indipendente
Internazionale per l'Accertamento dei Fatti del Conflitto in Georgia). Si
tratta del primo intervento nella storia dell’UE atto a valutare
obiettivamente lo svolgimento di fatti di guerra. La conclusione del
rapporto è stata resa nota il 30 settembre 2009 e, in sintesi, dichiara che
nel conflitto svoltosi tra il 7 agosto 2008 e il 7 settembre 2008 tra
Georgia e Russia vi sia stata “un’erosione nel rispetto di principi
riconosciuti di diritto internazionale quali l'integrità territoriale, e allo
stesso tempo una crescente disposizione da parte di tutte le parti in causa
a usare la forza come mezzo per raggiungere i propri obiettivi politici, e
ad agire unilateralmente invece di cercare una soluzione negoziata, per
quanto difficoltosa e pesante il processo di negoziazione possa essere.
Sebbene sia possibile identificare la responsabilità nei singoli eventi e
nelle singole decisioni che hanno diretto il corso del conflitto, non c'è
modo di assegnare una chiara responsabilità a una sola parte in causa.
Sono tutte colpevoli, ed è loro responsabilità porre rimedio agli errori
commessi”. La dichiarazione della Missione europea dimostra la propria
equidistanza nella valutazione delle responsabilità così come nell’analisi
delle cause che hanno portato alla guerra. Nel rapporto si legge infatti che
“la causa iniziale del conflitto risale al 1991. Alla dichiarazione di
indipendenza della Georgia dall'Unione Sovietica, infatti, è seguita
una decisa repressione dei diritti delle minoranze abkhaza e osseta
che vivevano in province semiautonome (seppur facenti parte dello
Stato di Georgia). Infatti, a seguito dell'insurrezione di questi due
popoli, la Georgia non ha più avuto il controllo delle due province,
che sono rimaste in una zona grigia, nella quale la Russia aveva un

120
ruolo di peacekeeping”. Quello che il rapporto sottolinea con
decisione è che, nonostante le responsabilità condivise di Georgia e
Russia, ad iniziare il conflitto nella notte tra il 7 e l'8 agosto, fu la
Georgia la quale attaccò l'Ossezia del Sud con il dichiarato intento di
riportare i territori ribelli sotto il controllo georgiano (dichiarazione
del generale Kurashvili).
In conclusione quindi è importante sottolineare, a dimostrazione di
quanto sostenuto all’interno di questo mio lavoro, come il rapporto e
le dichiarazioni finali della Commissione europea siano stati ignorati
dai media italiani i quali hanno preferito omettere tali importanti
conclusioni, evidentemente per non ammettere davanti all’opinione
pubblica che, durante il conflitto del 2008, il proprio operato non fu
poi così cristallino e che, durante quei giorni, la maggior parte di
loro non tenne presente il fine supremo degli organi d’informazione:
la ricerca della verità al servizio del pubblico. Questa omissione
datata 30 settembre 2009 è l’ennesima macchia sul triste capitolo del
conflitto russo-georgiano per l’informazione occidentale in generale,
e per quella italiana in particolare.
Bisogna però anche sottolineare come, anche nel rapporto UE,
manchi un importante riferimento: la Commissione infatti non cita
neanche lontanamente gli interessi energetici che, come abbiamo
visto, la vedono giocare una partita importante per il suo stesso
futuro energetico proprio in Georgia. Proprio questi interessi hanno
fortemente influenzato e continueranno a influenzare gli equilibri
geopolitici nell’area, ancor più delle rivendicazioni di indipendenza
delle piccole regioni georgiane che vanno viste, in questo grande
risiko energetico tra potenze, come delle pedine di una più grande

121
strategia dalla quale ogni attore in campo (Europa, Russia, Stati
Uniti e Georgia) cerca di trarre il maggior vantaggio economico
possibile. Non sappiamo se le prospettive di ingresso della Georgia
nella NATO e nell’Unione Europea porteranno ad una distensione
dei rapporti con la Russia, ma una soluzione pacifica auspicabile
potrebbe essere quella sperimentata al termine della I guerra
mondiale:“un laboratorio di collaborazione economica tra Usa e
Urss” fatto di capitali americani, di risorse georgiane e di lavoro
sovietico. Nel 1924 l’esperimento fu tristemente bocciato quasi sul
nascere in nome di un crescente odio ideologico. Oggi, con un
informazione più equilibrata attenta e competente di quella di allora,
ciò sarebbe possibile, se questa fosse al servizio di un interesse
generale teso alla creazione di un circolo virtuoso per i georgiani e
per coloro che orbitano attorno alla Georgia, piuttosto che al servizio
degli stessi interessi economici particolari che preferiscono,
attraverso le armi, acquisire potere seminando morte e distruzione.

Bibliografia:

• Fisher, I sovieti della politica mondiale ( vallecchi ed.)

122
• E.Carr, La rivoluzione Bolscevica – L’Interregno – Socialismo
in un solo Paese (ed.Einaudi)

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• Gli stregoni della notizia, Marcello Foa

• Assalto alla ragione, Al Gore

• Limes, “Tutto Limes 1993-2007”

• Saponaro, Manes, Tricarico: “E noi italiani? Le responsabilità


italiane nella costruzione e nel finanziamento dell’oleodotto Btc
nella regione del Caspio” CRBM, 2003

Articoli

• “La Georgia tra Mosca e Washington, Piero Sinatti, Limes

Sitografia

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Ottobre 2009

Alessandro Ingegno

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