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2010.

Il suolo nel Veneto

2010, il Suolo nel Veneto

1. Stato di fatto e criticità

1.1 Le otto minacce per il suolo individuate dalla Commissione Europea

La Strategia Tematica Europea per la Protezione del Suolo prevista dal VI Programma d’Azione Ambientale
dell’Unione Europea è stata approvata dalla Commissione Europea con la Comunicazione n. 231 del
22.09.2006.
I principali processi di degradazione e le relative minacce per la conservazione del suolo, individuati per
l’ambiente europeo, riguardano: l’erosione, la diminuzione di materia organica, la contaminazione locale o
diffusa, l’impermeabilizzazione (sealing), la compattazione, il calo della biodiversità, la salinizzazione, le
alluvioni e gli smottamenti. Nei paragrafi seguenti viene descritta la situazione nel Veneto rispetto ad alcune
di queste minacce.

1.1.1 Erosione
L’erosione è un fenomeno naturale che consiste nella perdita dello strato più superficiale del suolo a causa
dell’azione piovana o del vento. Negli ultimi decenni con l’avvento dell’agricoltura moderna, l’introduzione di
alcune forme spinte di meccanizzazione, la semplificazione colturale e il livellamento delle superfici, l’erosione
ha assunto proporzioni preoccupanti in particolar modo nelle aree collinari. Questa minaccia di degrado del
suolo è stata indicata come prioritaria dalla proposta di Direttiva del Parlamento Europeo e del Consiglio per
l’istituzione di un Quadro per la Protezione del Suolo (COM 232/2006).
Le aree in cui il rischio di erosione è maggiore sono quelle in pendenza, con suoli limosi e poveri in sostanza
organica, sottoposti a tecniche di coltivazione poco conservative (Figura n.7.1.1.1). L’erosione è più attiva in
tutte quelle aree agricole in cui sono scomparse le aree di transizione (siepi, fasce inerbite, alberature) e in
quelle in cui il suolo rimane scoperto per buona parte dell’anno nei periodi di maggiore piovosità.
L’orientamento moderno della conservazione del suolo considera il concetto di “tolleranza” per la perdita del
suolo: il tasso massimo di erosione compatibile, per un determinato suolo, con il mantenimento di produzioni
durature nel tempo, in condizioni economicamente accettabili. Sul valore di tolleranza non vi è ancora
completa intesa ma generalmente è considerata tollerabile una erosione inferiore a 6-10 t/ha l’anno che
corrispondono ad uno spessore di circa 0,4-0,7 mm di suolo asportato.

Fig. 7.1.1.1: A sinistra, perdita di suolo per erosione incanalata sul fianco di una dolina sul Montello; a destra dettaglio di un rill di
erosione.

L’ elaborazione di una carta di stima della perdita di suolo per erosione si basa sull’applicazione di modelli,
che richiedono una notevole mole di dati in input, in grado di simulare il processo erosivo. Risulta per questo
fondamentale che all’applicazione del modello segua un controllo dei risultati, attraverso il confronto con dati
sperimentali.
I principali modelli di valutazione dell’erosione si differenziano per il peso dato ai diversi fattori, per gli
algoritmi utilizzati e per il tipo di ambiente per il quale sono stati sviluppati e tarati. Per la scelta del modello,
a causa della completa mancanza di dati sperimentali sul territorio regionale con cui validare i risultati, sono
stati preliminarmente testati tre diversi modelli. Tra questi la scelta è ricaduta su quello che forniva i risultati
più convincenti, se confrontati con le evidenze in campagna (USLE, Universal Soil Loss Equation): bassa o

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nulla erosione nelle zone di montagna, coperte da boschi, e una certa entità del fenomeno nella fascia
collinare pedemontana, caratterizzata da superfici allo stesso tempo pendenti e coltivate.
Il modello USLE è un modello empirico elaborato da Wischmeier e Smith negli anni sessanta per il
Dipartimento dell’Agricoltura degli Stati Uniti e risulta essere, a livello globale, uno dei modelli più utilizzati.
L’equazione di perdita del suolo secondo il modello USLE è la seguente:

Perdita di suolo stimata (t/ha anno) = R * K * LS * C


Dove: R= erosività della pioggia; K= erodibilità del suolo; LS= fattore lunghezza/pendenza del versante; C= copertura vegetale

Fig. 7.1.1.2: Rischio attuale di perdita di suolo per erosione.


Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

Per la determinazione dell’erosività della pioggia (R) sono stati utilizzati gli archivi delle piogge di 137 stazioni
gestite dal Centro Meteorologico dell’ARPAV. In prevalenza il periodo preso in considerazione è
rappresentato da 13 anni (1992-2004). Il fattore topografico (LS) è stato calcolato grazie a un DEM con
risoluzione a 30 metri, invece per l’uso del suolo sono stati usati i dati del progetto Corine Land Cover del
2000.
Il modello USLE fornisce due dati di output: il rischio di erosione attuale e quello potenziale, che corrisponde
all’erosione che si innescherebbe lungo i versanti in completa assenza di copertura vegetale.
I risultati dell’elaborazione identificano come zone a rischio le aree collinari coltivate mentre nelle aree con
copertura forestale, anche sui versanti montani, il rischio è alquanto ridotto.
In pianura, le uniche zone in cui è presente un rischio di perdita del suolo rilevante sono i conoidi della parte
pedemontana, in cui le pendenze sono ancora significative. Le province più soggette a fenomeni erosivi sono
quelle in cui l’attività agricola è ancora presente nelle aree collinari e montane, in particolar modo le aree
collinari del vicentino, del veronese, del trevigiano e la Valbelluna. In provincia di Padova l’unica zona

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interessata dal fenomeno è l’area dei Colli Euganei. Tutta la provincia di Venezia e di Rovigo presentano
erosione bassa o nulla. In generale solo l’11% del territorio regionale presenta rischio moderato o alto (>10
t/ha) di degradazione della qualità dei suoli per erosione.

Per quanto riguarda l’erosione potenziale, in assenza quindi di copertura vegetale, il rischio è in genere tanto
più alto tanto più aumenta la lunghezza e la pendenza dei versanti.

Difficile ipotizzare il trend futuro


dell’indicatore in quanto l’erosione
dipende sia da fattori particolarmente
“stabili” nel tempo, quali ad esempio le
caratteristiche fisico-chimiche del suolo
o la morfologia dei versanti, sia da
fattori più variabili quali l’uso del suolo.
In caso di generale aumento delle
superfici a seminativo e
contemporanea adozione di tecniche
agronomiche poco conservative,
potrebbe verificarsi un peggioramento
della situazione.

Fig. 7.1.1.3: Rischio potenziale di perdita di suolo per erosione.


Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

1.1.2 Perdita di sostanza organica


La sostanza organica favorisce l’aggregazione e la stabilità delle particelle del terreno con l’effetto di ridurre
l’erosione, il compattamento, il crepacciamento e la formazione di croste superficiali; si lega in modo efficace
con numerose sostanze migliorando la fertilità del suolo e la sua capacità tampone; migliora l’attività
microbica e la disponibilità per le piante di elementi nutritivi come azoto e fosforo.
La diminuzione di sostanza organica è una delle principali “minacce” identificate dalla proposta di Direttiva
del Parlamento e del Consiglio Europeo (COM 232/2006) e desta particolari preoccupazioni soprattutto nelle
zone mediterranee. Il contenuto di sostanza organica nei suoli, oltre ad essere connessa al fenomeno della
desertificazione, ha un importante ruolo nelle strategie di mitigazione delle emissioni di gas ad effetto serra,
CO2 in particolare. A livello globale il carbonio nel suolo è infatti stimato essere tre volte maggiore rispetto a
quello immagazzinato nella biomassa del soprassuolo.
L’importanza del ruolo del carbonio organico nel suolo viene riconosciuta ed inserita anche negli strumenti di
programmazione per le politiche agricole regionali (Piano di Sviluppo Rurale 2007/2013 per il Veneto) con
misure che favoriscono pratiche agronomiche di conservazione della risorsa. Emerge quindi la necessità di
quantificare in modo preciso il contenuto di carbonio organico nei suoli. Questa stima presenta però
numerose difficoltà a causa dell’elevata variabilità pedologica e dell’influenza esercitata dai diversi usi del
suolo.
Per arrivare alla quantificazione delle riserve di carbonio organico in chiave territoriale, risultano necessarie
la messa a punto di criteri interpretativi delle diverse situazioni pedologiche, vegetazionali e climatiche, la
conoscenza relativa ai modelli di distribuzione dei suoli nel paesaggio, nonché la verifica dei risultati
conseguibili con l’applicazione di metodologie diverse.
La carta dei suoli della regione ha rappresentato un ottimo strumento di partenza per l’elaborazione di una
cartografia del contenuto in carbonio nel suolo. Attualmente nella banca dati pedologica regionale,

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aggiornata e gestita presso l’Osservatorio Regionale Suolo dell’ARPAV, sono disponibili oltre 3000 punti per i
quali sono disponibili dati analitici. La cartografia prodotta è stata elaborata a partire dai dati attribuiti alle
diverse unità tipologiche di suolo riconosciute. In particolare è stato calcolato il valore di carbonio organico,
espresso sia in percentuale in peso che in tonnellate per ettaro, nei primi 30 cm di profondità e nel primo
metro. Anche per il carbonio organico il dato è stato esteso a livello di unità cartografiche prevedendo per i
complessi o le associazioni una media pesata in base alla distribuzione delle unità tipologiche di suolo
all’interno dell’unità cartografica.

Fig. 7.1.1.4: Contenuto in carbonio organico nei primi 30 cm di suolo.


Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

La maggiore concentrazione si rileva nei suoli di montagna dove il contenuto in sostanza organica risulta
sempre da moderatamente alto ad alto, sia su coperture boschive che sulle aree a pascolo (maggiore di 75
t/ha). L’accumulo negli orizzonti superficiali è infatti favorito da diversi fattori, quali il cospicuo apporto della
lettiera nelle aree boscate o dell’erba da sfalcio sui pascoli, le temperature più rigide, la presenza di
carbonati che inibiscono la rapida mineralizzazione della sostanza organica e soprattutto l’assenza di uno
sfruttamento agronomico intensivo.
Un’altra situazione particolare si riscontra in pianura nelle aree depresse, spesso bonificate, dove le
condizioni di ristagno idrico hanno impedito l’alterazione della sostanza organica che si è accumulata
raggiungendo valori molto elevati (>100 t/ha).

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I suoli di pianura, intensamente sfruttati dalle coltivazioni, presentano generalmente contenuti bassi; le
frequenti arature e l’assenza di copertura vegetale per lunghi periodi sono fattori che contribuiscono al
depauperamento della risorsa. Solo in presenza di determinati usi del suolo (prati, vigneti e frutteti inerbiti)
si assiste ad un contenuto più elevato di sostanza organica. Le province che presentano i valori più bassi
sono Rovigo, Venezia e Verona; all’opposto il bellunese presenta i suoli con la più alta dotazione in carbonio
organico.
Il trend futuro dell’indicatore è fortemente legato ai cambiamenti d’uso in quanto il contenuto di carbonio
organico aumenta passando da seminativi a colture legnose, se inerbite, quindi a prati e a bosco.

1.1.3 Compattazione
La compattazione è un fenomeno di degradazione che induce una diminuzione della porosità e una maggiore
resistenza meccanica del suolo alla crescita e all’approfondimento delle radici, con effetti negativi sulla
produttività delle colture agricole. L’attività biologica risulta quindi limitata e si instaurano condizioni di
anaerobiosi che favoriscono, ad esempio, la denitrificazione e la mobilizzazione di metalli pesanti. Inoltre
determina la perdita di struttura del suolo e, conseguentemente, risulta favorito lo scorrimento idrico
superficiale rispetto all’infiltrazione con maggiore probabilità di concentrazione di contaminanti nelle acque
superficiali, di ristagno idrico superficiale e di rischio di sommersione dei suoli.
La compattazione del terreno può essere provocata dalla combinazione di forze naturali e da forze di origine
antropica legate alle conseguenze delle pratiche colturali. Queste ultime sono essenzialmente dovute al
traffico delle macchine agricole. L’utilizzazione in agricoltura di macchine sempre più potenti e pesanti è
sicuramente una delle maggiori cause.
Per valutare questo fenomeno si è scelto di non calcolare la compattazione attuale, ma la vulnerabilità del
subsoil (suolo che si trova sotto il normale strato di coltivazione o sotto l’orizzonte pedologico A) alla
compattazione. Secondo la metodologia definita a livello europeo nel progetto ENVASSO, essa può essere
definita come la probabilità di un suolo di essere soggetto al processo di compattazione durante l’arco di un
anno.
Per valutare la vulnerabilità del subsoil alla compattazione è stata scelta la metodologia a due stadi proposta
da Jones et al. (2003):
• individuazione della suscettibilità inerente, basata su tessitura (classe tessiturale FAO) e densità
apparente;
• combinazione della suscettibilità con un indice climatico di umidità del subsoil per ottenere la classe
di vulnerabilità alla compattazione.
E’ stata applicata questa procedura ai suoli di pianura della Regione Veneto, individuati a partire dalla Carta
dei Suoli del Veneto in scala 1:250.000, utilizzando i dati contenuti nella banca dati regionale dei suoli.
Le informazioni relative alle precipitazioni e all’evapotraspirazione potenziale sono state ricavate dai dati delle
stazioni meteorologiche del Veneto nel periodo 1995-2004.
Ad ogni unità cartografica è stata assegnata l’unità tipologica di suolo dominante, a cui corrisponde anche
una stazione climatica e il suo indice climatico di umidità.
Considerando esclusivamente i dati del suolo, è possibile costruire la carta di suscettibilità alla
compattazione.
Secondo Jones et al. (2003), i suoli argillosi e con alta densità sono già compattati e quindi possiedono una
bassa suscettibilità alla compattazione; mentre i suoli grossolani e quelli ricchi di sostanza organica con
bassa packing density, non essendo per niente compattati, hanno un’alta potenzialità ad esserlo, per cui
hanno una suscettibilità molto alta.
Come è facilmente intuibile, i suoli in climi umidi sono più soggetti a compattazione rispetto a quelli in climi
secchi.

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Osservando la figura 7.1.1.5,


possiamo concludere che la
maggior parte dei suoli della
pianura veneta non sono
particolarmente vulnerabili alla
compattazione. Alcune zone,
con suscettibilità moderata o
alta e clima umido o sub-
umido, sono moderatamente
vulnerabili.
Le aree altamente vulnerabili
sono invece molto limitate:
quelle dell’alta pianura
vicentina e trevigiana a causa
delle caratteristiche del suolo e
del clima umido o per-umido e
quelle costiere nelle vicinanze
di Chioggia per l’elevato
contenuto di sabbia o di
sostanza organica.
Non sono presenti zone
estremamente vulnerabili
perché nei suoli di pianura del
Veneto, in genere, non si
riscontra clima per-umido
abbinato a suoli con elevati
contenuti di sostanza organica
e/o tessitura grossolana.

Figura 7.1.1.5: Carta della vulnerabilità alla compattazione nei suoli di pianura.
Fonte: : Elaborazione dati ARPAV 2008.

1.1.4 Salinizzazione
La sovrabbondanza di sali nel suolo determina una eccessiva pressione osmotica della soluzione circolante,
che provoca uno sviluppo stentato delle colture, specialmente in condizioni di siccità; a tale effetto può
aggiungersi anche la possibile tossicità di alcuni ioni, soprattutto cloro, boro e sodio. Quando l’eccesso di sali
è dovuto in buona parte ad una elevata concentrazione di sodio, allora si ha anche il deterioramento della
struttura del suolo per effetto della deflocculazione delle argille, con conseguente impermeabilità, asfissia,
forte fessurazione.
Lungo le coste del Veneto e nelle aree retrostanti alla laguna, la salinità del suolo è un problema emergente,
particolarmente sentito in quelle zone con agricoltura ad alto reddito come l’orticoltura. Il problema si è
accentuato negli ultimi decenni a causa del forte emungimento delle falde e dei cambiamenti climatici che
hanno portato ad un aumento della temperatura e dell’evapotraspirazione e al conseguente aumento del
rischio di danni alle colture. La salinità del suolo nei nostri ambienti può essere ricondotta a diverse cause:
ad un accumulo di sali nelle aree costiere per ingresso delle acque marine attraverso i fiumi o per intrusione
nelle falde sotterranee di acqua salata oppure all’utilizzo di acque d’irrigazione ad alto contenuto di sali. Il
fenomeno può essere adeguatamente contrastato solo in presenza di abbondanza di acqua irrigua non salina
e adeguate tecniche colturali e di correzione; le condizioni climatiche sono comunque determinanti
nell’evoluzione del fenomeno.

In Veneto il fenomeno è stato indagato in un’area distante mediamente 25 km dalla costa, più ampia nella
parte meridionale per sondare la salinità anche in antiche aree costiere con possibile salinità residua.
Utilizzando la cartografia dei suoli in scala 1:250.000, sono stati scelti 480 profili di suolo descritti e
campionati nell’ambito del rilevamento pedologico; è stata determinata in laboratorio la conduttività elettrica
con un rapporto acqua/terreno di 1:2 (EC1:2) a tre profondità (orizzonte superficiale (0-50 cm) orizzonte
profondo (50-100 cm) e substrato (inferiore a 100 cm).
I valori di conduttività elettrica sono stati utilizzati per classificare i suoli alle diverse profondità, secondo i
criteri indicati in tabella 7.1.1.3:

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Tabella 7.1.1.3: Classi di salinità.


EC1:2
Classi
dS/m
non salino < 0,4
leggermente salino 0,4 - 1
moderatamente salino 1-2
molto salino 2-5
estremamente salino >5

L’analisi statistica dei dati ha evidenziato che la salinità, quando presente, è più alta negli orizzonti più
profondi rispetto a quelli superficiali e che i valori più alti si riscontrano nei suoli ad elevato contenuto di
sostanza organica, in particolare nella parte meridionale della pianura in corrispondenza di suoli di aree
palustri bonificate della pianura di Adige e Po; questi suoli si sono formati in aree morfologicamente
depresse, retrostanti antichi cordoni dunali, a partire da sedimenti limosi o argillosi e da materiale organico
derivato dall’accumulo dei residui di vegetazione palustre. Essi sono salini, in quanto si sono formati in
antiche aree costiere occupate da aree salmastre e nel contempo sono acidi per effetto dell’ossidazione del
materiale sulfidico degli orizzonti organici, una volta portati in condizioni aerobiche dopo la bonifica.
Con l’aiuto di tecniche di spazializzazione geostatistica sono state individuate alcune aree critiche.
Come si può vedere nella figura 7.1.1.6, vi sono soltanto piccole aree, situate a est di Cavarzere (VE), con
valori di salinità moderatamente elevati negli orizzonti superficiali. Le aree con salinità negli orizzonti
profondi (Figura n. 7.1.1.7) sono invece più frequenti: queste si trovano, ben più vaste e con valori di
salinità elevati o molto elevati, nella stessa zona, in corrispondenza di suoli organici (istosuoli o mollisuoli)
ma anche a nord-est, nell’area del portogruarese. I suoli a tessitura limosa della pianura lagunare nord-
orientale e del delta del Po e quelli delle aree di riporto di sedimenti lagunari nelle isole e nei lidi veneziani
risultano moderatamente salini in profondità. I valori più bassi di salinità si trovano nei sistemi di dune
sabbiose e nelle aree di pianura a quote superiori al livello del mare.

Figura 7.1.1.6: Carta della salinità dell’orizzonte superficiale (0-50 cm) ottenuto dalla spazializzazione geostatistica dei dati.
Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

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Figura 7.1.1.7: Carta della salinità del substrato (100-150 cm) ottenuto dalla spazializzazione geostatistica dei dati.
Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

1.2 La capacità protettiva dei suoli della pianura veneta in scala 1:250.000

Il suolo può essere considerato un filtro naturale dei nutrienti che vengono comunemente apportati con le
concimazioni minerali ed organiche, capace di ridurre le quantità potenzialmente immesse nelle acque.
Questa capacità di attenuazione, definita anche “capacità protettiva” del suolo, dipende non solo da
caratteristiche del suolo ma anche da fattori ambientali (condizioni climatiche e idrologiche) e fattori
antropici (ordinamento colturale e pratiche agronomiche). Le complesse interazioni tra tali fattori sono di
difficile valutazione con l’utilizzo di approcci di tipo qualitativo, è quindi preferibile l’applicazione di modelli di
tipo quantitativo a partire da dati sperimentali raccolti in diversi contesti ambientali.
Attraverso la collaborazione con il CNR-IRPI di Firenze è stato possibile applicare un metodo
precedentemente tarato e validato per l’ambiente padano, nel corso del progetto SINA – Carta pedologica in
aree a rischio ambientale che fornisce valutazioni sui flussi di acqua e nitrati sia per percolazione, sia per
deflusso superficiale.
Nell’ambito della pianura veneta sono state scelte 27 unità tipologiche di suolo tra le più estese e le più
idonee a rappresentare diverse situazioni pedopaesaggistiche e climatiche. Per ogni unità è stato descritto in
campagna un profilo rappresentativo, con particolare attenzione alle caratteristiche legate al comportamento
fisico-idrologico come l’aggregazione delle particelle di suolo e i macrovuoti. Sono stati raccolti campioni
indisturbati per la misura della densità apparente, della curva di ritenzione idrica (pF) e della conducibilità
idrica satura (Ksat) effettuata in laboratorio.
Successivamente sono stati utilizzati un modello di simulazione del bilancio idrico (MACRO, Jarvis, 1994),
basato sul comportamento funzionale del suolo in un preciso contesto climatico e colturale, e un modello per
la simulazione del bilancio dell’azoto (SOIL-N) in grado di interfacciarsi con MACRO.
Il modello MACRO è stato applicato a 31 diverse condizioni suolo-clima-falda, considerando lo stesso
ordinamento colturale, monocoltura di mais, per un periodo di 10 anni (1993-2002); le pratiche colturali
sono state considerate standard in tutto il territorio tranne per quanto riguarda l’uso dell’irrigazione.
I dati climatici utilizzati, precipitazioni e temperature giornaliere, riguardano tre stazioni del Centro
Meterologico di Teolo, rappresentative dei principali tipi climatici individuati nella pianura veneta.

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Tra gli output del modello MACRO sono stati utilizzati, per la valutazione della capacità protettiva dei diversi
suoli, i flussi di acqua in uscita alla base del profilo, espressi come percentuale degli apporti di precipitazioni
e irrigazione.
Le classi di capacità protettiva del suolo nei confronti delle acque profonde e superficiali utilizzate sono state
quelle definite nell’ambito del progetto SINA (Calzolari et al., 2001) assumendo, sulla base di simulazioni con
il modello SOIL-N, una relazione tra flussi idrici e quantità di nitrati dilavati. La rispondenza di tali relazioni
nei nostri ambienti è stata verificata attraverso l’applicazione del modello SOIL-N a 21 suoli della pianura
veneta. Le classi utilizzate sono riassunte nella tabella 7.1.1.4.

Tabella 7.1.1.4: Classificazione della capacità protettiva dei suoli in funzione dei flussi relativi di percolazione e delle perdite di azoto
nitrico.
CLASSE DI CAPACITA’ Flussi relativi Perdite di NO3-
PROTETTIVA
BB (bassa) >40% >20%
MB (moderatamente bassa) 29-40% 11-20%
MA (moderatamente alta) 12-28% 6-10%
AA (alta) <12% <5%

Queste relazioni sono state applicate alle diverse combinazioni suolo-clima-falda individuate nell’ambito della
pianura veneta ed i risultati sono stati estesi alle unità cartografiche della carta dei suoli del Veneto in scala
1:250.000.

Il risultato è riportato in figura


7.1.1.8 da cui si evidenziano le
aree di maggior criticità: i suoli a
capacità protettiva bassa, perciò
più vulnerabili, sono quelli di alta
pianura, a tessitura grossolana e
con ghiaia, nei quali i flussi alla
base del profilo risultano elevati,
e i suoli organici (mollisuoli e
istosuoli) delle aree palustri
bonificate della pianura dell’Adige
o delle risorgive per i quali i
processi di mineralizzazione della
sostanza organica liberano azoto.
Leggermente più protettivi
(classe moderatamente bassa) si
sono rivelati i suoli a tessitura
prevalentemente sabbiosa diffusi
nelle aree di dosso della bassa
pianura. I suoli più protettivi per
le falde sono quelli a tessiture fini
(a prevalenza di argilla o limo),
soprattutto nelle aree con clima
meno piovoso dove i flussi sono
risultati molto bassi; spesso però
questi suoli hanno dimostrato un
elevato scorrimento superficiale
con un conseguente rischio di
inquinamento delle acque di
superficie.
Figura 7.1.1.8: Carta della capacità protettiva dei suoli di pianura nei confronti
delle acque di falda.
Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

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1.3 Evoluzione delle pressioni sul suolo

1.3.1 Superficie agraria interessata all'utilizzo di fanghi di depurazione

Considerando il periodo tra il 1999 e il 2008, si può notare un generale incremento della superficie agraria in
cui sono stati utilizzati fanghi di depurazione; in seguito invece si assiste ad una fase decrescente, fatta
eccezione per la provincia di Treviso.
Complessivamente Treviso e Rovigo si confermano le province in cui il fenomeno è maggiormente diffuso. La
provincia di Treviso, dopo il forte calo tra il 2003 e il 2005, riconferma una crescita del 75% nell’ultimo anno
di raccolta dati. L’andamento generale manifesta una tendenza alla diminuzione dell’uso delle superfici a
Belluno, Verona, Padova e Rovigo mentre si è verificato un aumento del 27% nella provincia di Vicenza, del
38% nella provincia di Venezia e ben del 74% nella provincia di Treviso.

1.000
1999
800
2001
600 2003
2005
400
2007
200 2008

0
BL PD RO TV VE VI VR
1999 32 415 711 789 159 129 219
2001 41 397 936 731 176 212 206
2003 67 480 885 999 110 171 286
2005 77 349 910 105 100 76 52
2007 34 160 1.052 98 34 201 56
2008 27 18 617 386 55 276 23

Figura 7.1.1.9: Superficie netta utilizzata (ha) interessata all’utilizzo di fanghi di depurazione nelle province del Veneto negli anni 1999-
2008.
Fonte: ARPAV, Province del Veneto.

1.3.2 Numero di capi allevati

I dati raccolti nel 2006 mostrano una situazione del patrimonio zootecnico complessivamente stazionaria nel
Veneto rispetto all’anno 2004. Le uniche variazioni sono la diminuzione di bovini, bufalini e avicoli, con una
flessione minore del 20%, mentre il settore suinicolo è incrementato del 23% (tabella 7.1.1.5).

Tabella 7.1.1.5: Numero di capi allevati in Veneto negli anni 2004 e 2006 e variazione percentuale.
Fonte: Regione del Veneto.
tipologia di
2004 2006 Variazione %
allevamento
bovini e bufalini 1.080.506 948.066 -14
suini 628.458 811.398 23
avicoli 59.945.822 53.497.486 -12
equini 18.079 17.228 -5
cunicoli 5.042.987 5.175.613 3
ovicaprini 70.538 77.192 9

Nella figura 7.1.1.10 sottostante sono illustrati, per provincia, i dati relativi al quantitativo di azoto prodotto
nel 2006 al netto delle perdite in fase di stoccaggio e distribuzione. Per calcolare il quantitativo di azoto sono
stati utilizzati coefficienti di conversione messi a punto nell’ambito di un progetto interregionale. La tabella
mette in rilievo la disparità di valori tra le province del Veneto. Verona produce il 40% dell’azoto totale
regionale e gli allevamenti avicoli sono la categoria che maggiormente contribuisce alla produzione della
provincia. Padova, Treviso e Vicenza si attestano su valori simili, aggiudicandosi ciascuna circa il 15% della
produzione totale, mentre contributi inferiori vengono dalle province di Rovigo e Venezia. Fanalino di coda
Belluno la cui produzione non arriva al 5% del totale.

10
2010. Il suolo nel Veneto

18.000

16.000

14.000

12.000

10.000

8.000

6.000

4.000

2.000

0
BL PD RO TV VE VR VI
bovini e bufalini 1.300,39 8.525,36 2.706,13 7.618,56 2.705,45 14.026,21 7.719,18
suini 230,74 1.254,62 830,34 1.548,31 550,83 2.375,74 567,55
avicoli 45,20 3.669,55 1.303,39 2.306,77 1.078,70 15.648,21 3.376,20
equini 56,92 185,83 38,72 138,87 57,90 78,25 84,57
cunicoli 13,50 513,85 9,91 469,35 94,00 124,81 82,19
ovicaprini 89,35 69,32 18,81 56,10 14,45 45,34 84,01

Figura 7.1.1.10: Azoto prodotto complessivamente (t N/anno) dalle varie specie di animali allevati nel 2006 al netto delle perdite di
stoccaggio e distribuzione per ciascuna provincia del Veneto.
Fonte: Elaborazioni ARPAV da dati Regione del Veneto.

1.3.3 Uso del suolo

Confrontando gli anni 2003 e 2006, si nota una preoccupante diminuzione di SAU (Superficie Agricola Utile)
in tutte le province del Veneto (Figura n. 7.1.1.11).

180.000

160.000

140.000

120.000

100.000 Totale SAU 2003


Totale SAU 2006
80.000

60.000

40.000

20.000
BL PD RO TV VE VR VI

Figura 7.1.1.11: Confronto tra la SAU totale del 2003 e del 2006 per le diverse province della regione Veneto.
Fonte: Elaborazioni ARPAV da dati Regione del Veneto.

La provincia di Rovigo presenta un calo del 10%, Vicenza dell’8%, meno rilevante invece il calo a Venezia
che si attesta sul 3%. La situazione generale rimane invariata nelle province di Belluno, Verona e Padova. Il
calo di SAU nella provincia di Rovigo è dovuto principalmente alla diminuzione di superficie interessata da
seminativi, passata dai 120.000 ettari del 2003 ai 108.000 circa del 2006. In provincia di Treviso si è
riscontrato un lieve aumento delle superfici boscate, passate da 30.000 ettari a quasi 37.000 (Figura n.
7.1.1.12). La provincia di Vicenza, insieme a Belluno, è quella maggiormente interessata dalla presenza di
prati permanenti. In questo settore si nota una diminuzione delle superfici, probabilmente dovuta al

11
2010. Il suolo nel Veneto

progressivo abbandono di situazioni più marginali; tale trend era già stato riscontrato nel confronto tra gli
anni 2000 e 2003.
In generale si ha una conferma significativa della tendenza alla diminuzione generale di superficie agricola
utile dovuta in particolare all’aumento degli usi competitivi (aree urbane ed industriali).

140.000

120.000

100.000 Seminativi 2003


Seminativi 2006
Foraggere permanenti 2003
80.000 Foraggere permanenti 2006
legnose agrarie 2003
legnose agrarie 2006
60.000
Boschi 2003
Boschi 2006
40.000

20.000

0
BL PD RO TV VE VR VI

Figura 7.1.1.12: Superficie (ha) di seminativi, coltivazioni permanenti legnose e prati permanenti nelle province del Veneto: confronto
fra gli anni 2000 e 2003.
Fonte: Regione del Veneto.

2. Quadro normativo e scelte programmatiche in atto

Tra le normative che riguardano più o meno direttamente la protezione del suolo ed i processi di
contaminazione ad esso collegati, la prima ad essere stata emanata è la Direttiva CEE n. 278/86 “Protezione
dell’ambiente, in particolare del suolo, nell’utilizzazione dei fanghi di depurazione in agricoltura”, recepita con
il D. Lgs. n. 99/92, contenente le indicazioni relative alle modalità di recupero dei fanghi di depurazione in
agricoltura.
La Regione Veneto ha aggiornato la norma che regolamenta l’utilizzazione dei fanghi di depurazione con
deliberazione della Giunta regionale n. 2241/05, specificando i processi di stabilizzazione a cui devono essere
sottoposti i fanghi, il rapporto con la modificata normativa sulla gestione dei rifiuti e prevedendo l’obbligo di
determinazione del contenuto di alcuni microinquinanti organici nei fanghi. A questo proposito, con D.G.R.V.
n. 235/09, sono stati fissati i limiti di concentrazione per PCDD/DF, IPA e PCB nei fanghi di depurazione
destinati a compostaggio e ad utilizzo agronomico.
Il DM 05.02.1998, punti 16 e 18, relativi alla possibilità di recupero di rifiuti per la produzione di
ammendante compostato o di altri fertilizzanti, richiama le disposizioni della normativa relativa alla
commercializzazione dei fertilizzanti (attualmente regolamentata dal D. Lgs. 217/06) per la definizione delle
caratteristiche richieste per i prodotti recuperati.
A seguito della modifica dell’art. 186 del Testo Unico Ambientale (TUA), avvenuta con il D. Lgs. n. 4/08, la
Giunta Regionale, con deliberazione n. 2424/08, ha regolamentato l’utilizzo delle terre di escavazione
derivanti da lavori per la realizzazione di edifici e infrastrutture e per la pulizia dei canali di scolo. La delibera
riporta indicazioni relative alle procedure amministrative ed alle modalità di verifica delle caratteristiche dei
materiali, per prevenire l’eventuale contaminazione che potrebbe derivare dal loro utilizzo.
Il D. Lgs n. 152/06 recepisce anche la Direttiva n. 676/91 che fornisce indicazioni sugli interventi da mettere
in atto per la riduzione dell’inquinamento delle acque da nitrati provenienti da sorgenti diffuse; esso inoltre
dispone le modalità per l’utilizzo agronomico degli effluenti di allevamento. L’articolo 92 del TUA riguarda le
zone vulnerabili da nitrati di origine agricola che sono individuate dalle regioni secondo criteri che
considerano la presenza di nitrati nelle acque superficiali e sotterranee o di fenomeni di eutrofizzazione, oltre
che la vulnerabilità intrinseca degli acquiferi e la capacità di attenuazione del suolo. In tali zone devono
essere attuati i programmi di azione nonché le prescrizioni contenute nel codice di buona pratica agricola, di
cui al decreto del Ministro per le politiche agricole del 19 aprile 1999.
L’articolo 112 del TUA riguarda l’utilizzazione agronomica di reflui ed effluenti di allevamento. Fermo
restando quanto previsto per le zone vulnerabili da nitrati (art. 92 del D. Lgs. 152/06) e per gli allevamenti

12
2010. Il suolo nel Veneto

intensivi (D. Lgs. 59/2005, recepimento della direttiva relativa all’IPPC-Integrated Pollution Prevention and
Control), l'utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento, delle acque di vegetazione dei frantoi
oleari (quest’ultima regolamentata dalla legge n. 574 del 1996 e, a livello regionale, dalla DGRV 2214/2008),
nonché per le acque reflue provenienti dalle aziende agricole e da altre piccole aziende agroalimentari ad
esse assimilate, sono soggette a comunicazione all'autorità competente. La Regione Veneto ha disciplinato,
sulla base dei criteri e delle norme tecniche generali adottati con decreto del Ministro per le politiche agricole
e forestali del 7/4/06, le attività di utilizzazione agronomica degli effluenti di allevamento con l’approvazione
del Programma d’Azione e delle modalità per la presentazione delle comunicazioni avvenuta con i DGRV
2495/06 e 2439/07.
Ma l’iniziativa legislativa di livello europeo che sarà in grado di dare una svolta significativa in tema di
salvaguardia ambientale e, in particolare, in merito alla protezione del suolo è quella partita dal VI
Programma d’Azione Ambientale dell’Unione Europea che ha previsto la predisposizione ed approvazione di
una Strategia Tematica Europea per la Protezione del Suolo.
Tale strategia è stata definitivamente approvata dalla Commissione Europea con la Comunicazione n. 231 del
22.09.2006 “Strategia Tematica per la protezione del suolo” che stabilisce alcuni importanti principi; ecco
alcuni passaggi più significativi:
“Visti i tempi estremamente lunghi di formazione del suolo, si può ritenere che esso sia una risorsa
sostanzialmente non rinnovabile. Il suolo ci fornisce cibo, biomassa e materie prime; funge da piattaforma
per lo svolgimento delle attività umane; è un elemento del paesaggio e del patrimonio culturale e svolge un
ruolo fondamentale come habitat e pool genico.
Nel suolo vengono stoccate, filtrate e trasformate molte sostanze, tra le quali l’acqua, i nutrienti e il
carbonio: in effetti, con le 1.500 gigatonnellate di carbonio che immagazzina, è il principale deposito del
pianeta. Per l’importanza che rivestono sotto il profilo socioeconomico e ambientale, tutte queste funzioni
devono pertanto essere tutelate.”
“Il suolo subisce una serie di processi di degradazione e di minacce, quali l’erosione, la diminuzione di
materia organica, la contaminazione locale o diffusa, l’impermeabilizzazione (sealing), la compattazione, il
calo della biodiversità, la salinizzazione, le alluvioni e gli smottamenti. Combinati, tutti questi rischi possono
alla fine determinare condizioni climatiche aride o subaride che possono portare alla desertificazione.”
La stessa Commissione con la Comunicazione n. 232/2006 ha approvato una proposta per una Direttiva
Quadro per la Protezione del Suolo che include i seguenti elementi:
- integrazione degli aspetti relativi alla difesa del suolo nelle pertinenti politiche settoriali;
- misure di precauzione e di prevenzione;
- provvedimenti per limitare o attenuare gli effetti dell’impermeabilizzazione;
- individuazione delle aree prioritarie che richiedono una protezione speciale contro l'erosione, la diminuzione
della materia organica, la compattazione, la salinizzazione e gli smottamenti;
- programmi d'azione per combattere tali processi di degrado del suolo;
- individuazione dei siti contaminati;
- bonifica dei siti contaminati;
- sensibilizzazione, comunicazione e scambio di informazioni.
Il Parlamento europeo ha adottato il suo parere in prima lettura il 14 novembre 2007 (documento 14979/07)
ma non è ancora stato trovato l’accordo su un testo condiviso nell’ambito del Consiglio Europeo.

3. I risultati raggiunti

L’ARPAV, mediante l’Unità Operativa Suoli del Servizio Osservatorio Suoli e Rifiuti, alla quale è assegnato il
ruolo di Osservatorio Regionale Suolo, ha avviato da alcuni anni la raccolta sistematica dei dati sul suolo
disponibili nella regione (rilevamenti già realizzati e/o in corso). Tale banca dati è costituita da tutti i dati
raccolti direttamente dall’Osservatorio o reperiti presso altri enti e comprende le osservazioni dirette
(trivellate e profili), le analisi chimico-fisiche e la cartografia pedologica.
Questa attività ha avuto un primo importante risultato nella realizzazione della carta dei suoli del Veneto in
scala 1:250.000 (2005) che ha permesso di riunire tutte le conoscenze pedologiche già acquisite. Questa è
stata l’occasione per creare un unico sistema di archiviazione e gestione delle informazioni che permette di
integrare i dati, ottenuti a diverse scale, mantenendo tutte le informazioni necessarie alla elaborazione di
approfondimenti.
Per raggiungere un livello di conoscenza più efficace per l’operatività a scala provinciale e comprensoriale, si
è passati ad una scala di rilevamento al 1:50.000, definita di semi-dettaglio, che a livello internazionale viene
considerata il miglior compromesso tra sostenibilità economica e approfondimento informativo.

13
2010. Il suolo nel Veneto

3.1 Le carte dei suoli del Veneto in scala 1:50.000

Dopo la realizzazione della carta dei suoli del bacino scolante in laguna di Venezia nel 2004, il quadro
conoscitivo si è arricchito di importanti contributi rappresentati dalla carta dei suoli delle province di Treviso
e Venezia (2008). Il rilevamento è in corso attualmente nelle province di Padova e Vicenza, inizierà
prossimamente in provincia di Rovigo.
Il rilevamento dei suoli alla scala di semi-dettaglio, in aree di elevata estensione, richiede un notevole
impegno di forze e un lungo arco temporale; nella tabella 7.3.1.1 sottostante si riportano sinteticamente i
dati riguardanti il numero di osservazioni (profili, trivellate, mini-pit, ecc.) effettuate nei vari lotti. La densità
finale è in linea con gli standard di 2-4 oss/km2 indicati per rilevamenti pedologici in scala 1:50.000 (FAO,
1979).

Tabella 7.3.1.1: Numero di osservazioni effettuate nei lotti rilevati.


LOTTI SUPERFICIE OSSERVAZIONI DENSITÀ
2 2
KM OSS/KM
PROFILI ALTRE TOTALE
OSSERVAZIONI
BACINO SCOLANTE 2101 624 6444 7068 3.37
TREVISO 2479 858 6608 7466 3.01
VENEZIA 1878 764 6426 7190 3.83
TOTALE 5335 2014 17252 19266 3.61
Il totale tiene conto della parziale sovrapposizione tra il Bacino Scolante e il territorio delle due province.

Figura 7.3.1.1: Aree rilevate e in corso di rilevamento a scala di semi-dettaglio (1:50.000-1.25.000) nella regione Veneto.
Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

Il territorio attualmente rilevato alla scala di semi-dettaglio si estende dal Tagliamento al Brenta e dalle
Prealpi Trevigiane alla Laguna Veneta. Dal punto di vista pedologico, questo viene suddiviso in ambiti
territoriali definiti come distretti e sovraunità di paesaggio che permettono di descrivere non solo l’ambiente
in cui il suolo si origina (bacino idrografico di afferenza, rilievi collinari piuttosto che prealpini, ecc) ma anche
altri caratteri che hanno condizionato lo sviluppo dei suoli (la posizione nel paesaggio, l’età di formazione
della superficie, il grado di evoluzione dei suoli o la litologia del materiale di partenza).

14
2010. Il suolo nel Veneto

Figura 7.3.1.2: Carta dei suoli in scala 1:50.000.


Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

3.1.1 I suoli della provincia di Venezia

La provincia di Venezia è un territorio esclusivamente di pianura, plasmato dall’azione dei fiumi Tagliamento,
Piave, Brenta, Adige e Po, con importanti differenze nella mineralogia e nel contenuto dei carbonati dei
sedimenti deposti; in particolare, il contenuto in carbonati presente nei sedimenti aumenta notevolmente dal
settore meridionale a quello nord-orientale, con una percentuale del 10-15% per l’Adige-Po, del 20-35% del
Brenta, del 50-70% del Piave fino al 65-85% del Tagliamento.
Il territorio si estende interamente nella bassa pianura, oltre metà della provincia si trova al di sotto del
livello medio marino e viene mantenuta emersa grazie alle idrovore e agli argini fluviali e lagunari, inoltre
quasi un quarto della superficie è costituita dalle acque delle lagune di Venezia e Caorle. Oltre all’attività
fluviale, un importante fattore di formazione è stato, durante l’Olocene, la risalita del livello marino con la
conseguente formazione delle lagune e dei lidi costieri.
Di seguito vengono descritti gli ambienti relativi alle pianure alluvionali di Tagliamento e Adige-Po; per
quanto riguarda gli ambienti del Brenta e del Piave, si rimanda alla descrizione contenuta nel paragrafo
successivo.

La parte settentrionale della provincia di Venezia, è occupata dalla pianura alluvionale del fiume
Tagliamento. Si può distinguere una parte più antica, pleniglaciale con suoli che hanno subito un’evoluzione
spinta (decarbonatati negli orizzonti superficiali e con accumulo di carbonati in profondità e formazione di un
orizzonte calcico molto sviluppato), da una parte più recente, olocenica con suoli soltanto a iniziale de
carbonatazione. Nella parte più antica vi sono aree di dosso costituite da sabbie e ghiaie (quest’ultime rare),
ben drenate in cui non è avvenuto l’accumulo dei carbonati (assenza dell’orizzonte calcico), aree di
transizione, dalla morfologia ondulata con depositi più fini, drenaggio mediocre e orizzonte calcico, e aree
morfologicamente depresse. Queste ultime si trovano nella parte meridionale, un tempo occupata da paludi,
e i suoli sono molto scuri in superficie per l’accumulo di sostanza organica. La parte più recente si articola
sempre in dossi a sedimenti prevalentemente sabbiosi e drenaggio buono, pianura modale limosa a

15
2010. Il suolo nel Veneto

drenaggio mediocre, depressioni a sedimenti argilloso-limosi e drenaggio lento e aree palustri bonificate (in
corrispondenza di antiche paludi) con accumulo di sostanza organica e idromorfia accentuata, ma tutte
accomunate dall’assenza dell’orizzonte calcico.

La parte meridionale della provincia si è formata dalle deposizioni


di Adige e Po in età olocenica. La maggior parte dell’area è posta
a quote inferiori al livello del mare a causa della subsidenza ed è
costituita da depressioni o da aree palustri fluviali di recente
bonifica, con suoli mal drenati, formatisi a partire da sedimenti fini
intercalati da materiale organico residuo della vegetazione
palustre. Nelle aree di dosso o interessate da rotte fluviali, le
tessiture sono grossolane mentre diventano limose nelle aree di
transizione.
La pianura costiera e lagunare costituisce il margine orientale
della provincia: i sedimenti hanno un contenuto di carbonati che
diminuisce da nord a sud. Si va dai cordoni litoranei sabbiosi più
recenti (da Bibione a Sant’Anna e Bosco Nordio) ai cordoni dunali
antichi connessi all’apparato deltizio del Po, tutti costituiti da
sabbie, che spesso sono stati spianati dall’attività antropica. La
pianura lagunare comprende ampie aree poste sotto il livello del
mare, bonificate nel corso dell’ultimo secolo, caratterizzate da
drenaggio difficoltoso e spesso con problemi di salinità.

Figura 7.3.1.3: Suolo sabbioso di duna in località Alberoni.

3.1.2 I suoli della provincia di Treviso

In ambito prealpino e collinare, i fattori che più influenzano la pedogenesi sono la litologia del materiale di
partenza, l’acclività della superficie, l’esposizione e l’altitudine.
In montagna, sulle superfici poco pendenti, si trovano suoli moderatamente profondi, ad alta
differenziazione del profilo, con accumulo di argilla in profondità; mentre, dove i fenomeni erosivi sono più
attivi e la protezione della vegetazione minore, prevalgono suoli sottili a bassa differenziazione del profilo,
con accumulo di sostanza organica in superficie.
I sistemi collinari del trevigiano si sviluppano sulla serie sedimentaria terziaria, caratterizzata da una notevole
eterogeneità litologica. La diversa competenza dei substrati si riflette nella morfologia che vede l’alternarsi di
forme più morbide ad altre più accidentate. Sui ripidi versanti, su arenarie e conglomerati, troviamo suoli più
sottili, erosi, privi dell’orizzonte di alterazione. Sulle marne e sulle argilliti, i suoli sono caratterizzati da una
maggiore differenziazione, talvolta con orizzonti profondi ad accumulo di carbonati di calcio.
A questa complessità si aggiunge inoltre l’intervento dell’uomo che, specialmente negli ultimi decenni, ha
fortemente modificato l’originaria morfologia delle colline attraverso movimenti di terra e sbancamenti per
rendere agevole la coltivazione della vite, coltura largamente diffusa ed estremamente redditizia nel territorio
trevigiano. In tali contesti il suolo risulta profondamente rimaneggiato, con la perdita parziale o totale delle
sue caratteristiche originarie.

16
2010. Il suolo nel Veneto

Un elemento morfostrutturale di particolare interesse è


rappresentato dal Montello, costituito da conglomerati
grossolani miocenici di natura prevalentemente carbonatica
dove si osservano i suoli più evoluti di tutta la provincia,
riconoscibili dalla forte colorazione rossa, con profondi
orizzonti di accumulo di argilla illuviale e presenza del
substrato a profondità superiori a tre metri.

Figura 7.3.1.4: I suoli della collina del Montello sono caratterizzati


da orizzonti argillico, molto spessi e fortemente arrossati.

La pianura può essere distinta in due ambienti: l’alta e la bassa pianura, separate dalla fascia delle risorgive.

L’alta pianura è costituita dai conoidi ghiaiosi di origine


fluvio-glaciale, originatisi allo sbocco delle vallate alpine e, in
eventi successivi, sovrapposti e compenetrati lateralmente
tra loro. Si estende per una larghezza che varia tra 5 e oltre
20 km a partire dal piede dei rilievi montuosi prealpini. Sulle
superfici più antiche dei conoidi del Brenta e del Piave, i
suoli sono molto alterati e presentano quindi forte
differenziazione del profilo con orizzonti di accumulo di
argilla illuviale ed evidente rubefazione.
La superficie del conoide di Nervesa è stata formata dal
Piave in epoche successive: nel tardiglaciale per la porzione
occidentale e nell’olocene per la porzione centrale e
orientale. Il processo principale è la decarbonatazione,
parziale nella prima area e praticamente assente nella
seconda.
A valle dell’alta pianura, a partire dalla fascia delle risorgive,
si sviluppa la bassa pianura, priva di ghiaie; al suo interno si
possono distinguere, attraverso un’attenta analisi del
microrilievo, dossi caratterizzati da sedimenti
prevalentemente sabbiosi con drenaggio buono, una pianura
modale, limosa con drenaggio mediocre, e aree depresse, a
sedimenti argilloso-limosi con drenaggio lento.

Figura 7.3.1.5: Nei pressi di Cima Grappa le superfici meno


pendenti sono speso pascolate e mostrano evidenti tracce di
erosione; i suoli sono molto sottili e con accumulo di sostanza
organica in superficie.

All’interno dei singoli bacini vi sono notevoli differenze per quanto riguarda la litologia dei sedimenti
trasportati, che riflettono le diversità nelle caratteristiche geologiche dei bacini di provenienza e l’età delle
superfici, che determina il grado di decarbonatazione del suolo. In particolare, il contenuto medio in
carbonati presente nei sedimenti aumenta notevolmente dal settore occidentale a quello orientale, passando
da una percentuale del 35% del Brenta, fino ad arrivare al 40-50% del Piave e oltre il 60% del Tagliamento.

17
2010. Il suolo nel Veneto

Anche i corsi d’acqua prealpini, tra i quali Muson, Lastego, Monticano e Meschio, hanno contribuito in
qualche misura alla formazione della pianura e sono caratterizzati da una percentuale variabile di carbonati
nei sedimenti, in base alle caratteristiche del bacino idrografico. I suoli presentano spesso una notevole
variabilità pedologica a causa sia dell’età della superficie, dal Pleistocene all’Olocene, sia delle differenze
granulometriche delle deposizioni (da ghiaioso-sabbiose ad argillose), legate all’energia di trasporto del corso
d’acqua.
Discorso a parte meritano i fiumi di risorgiva che, caratterizzati da un regime idrico costante, hanno avuto
un’importanza secondaria nella costituzione della pianura alluvionale, limitandosi ad azioni di
rimaneggiamento e di incisione delle alluvioni deposte dai corsi d’acqua di origine alpina.

3.2 Cartografie derivate

L’aspetto più apprezzabile legato alla disponibilità di una cartografia a questa scala di dettaglio è
rappresentato dalla possibilità di derivarne, attraverso la gestione dei dati in un sistema informativo
geografico (GIS), informazioni specifiche facilmente fruibili dai possibili utilizzatori finali, in particolare da
quelli che intervengono nella programmazione territoriale (amministratori pubblici, liberi professionisti).
Alcune di queste informazioni sono state raccolte in cartografie applicative che hanno accompagnato le
pubblicazioni relative alle province di Treviso e Venezia. Ne vengono proposti di seguito due esempi.

3.2.1 Permeabilità dei suoli


La permeabilità (o conducibilità idrica satura) esprime la proprietà del suolo di essere attraversato dall'acqua.
Si riferisce alla velocità del flusso dell'acqua attraverso il suolo saturo, in direzione verticale. La permeabilità
dipende in primo luogo dalla distribuzione e dalle dimensioni dei pori: è infatti maggiore nei suoli con pori
grandi e continui rispetto a quelli in cui sono piccoli e discontinui. I suoli argillosi hanno in genere una
conducibilità idraulica inferiore ai suoli sabbiosi perché in questi ultimi, i pori sono grandi anche se
numericamente inferiori rispetto ai suoli argillosi. Dipende inoltre dalla presenza di vuoti planari (fessure e
spazi tra gli aggregati), questa volta più frequenti negli orizzonti argillosi e, in particolare, in quelli meno
profondi.
La permeabilità è un importante carattere del suolo in quanto rappresenta uno dei fattori di regolazione dei
flussi idrici: suoli molto permeabili sono attraversati rapidamente dall’acqua di percolazione e da eventuali
soluti (nutrienti e inquinanti) che possono così raggiungere facilmente le acque di falda, viceversa suoli poco
permeabili sono soggetti a fenomeni di scorrimento superficiale e ad inquinamento delle acque superficiali.
Questo carattere è stato stimato in campagna, nella descrizione dei profili, sulla base della granulometria,
della struttura, della consistenza, della porosità e della presenza di figure pedogenetiche di ciascun orizzonte
di suolo, considerando come permeabilità dell’intero suolo quella dell’orizzonte meno permeabile presente
entro 150 cm.
In alcuni suoli, rappresentativi delle tipologie più diffuse, sono stati raccolti campioni indisturbati per la
misura della conducibilità idrica satura (Ksat). Queste misure hanno permesso di verificare l’adeguatezza
delle stime e, in caso negativo, di correggerle.
Nel territorio della provincia si possono identificare:
• aree a permeabilità bassa, caratterizzate dalla presenza di depressioni o di aree palustri bonificate, con
suoli argillosi a moderata tendenza a fessurare o limosi con accumulo di sostanza organica in superficie;
• aree a permeabilità moderatamente bassa, prevalentemente di pianura modale con suoli limosi;
• aree a permeabilità moderatamente alta, sia di dosso che di aree lagunari e paludi costiere bonificate,
con suoli sabbiosi-sabbioso limosi;
• aree a permeabilità alta, essenzialmente di duna della pianura litoranea con suoli originatisi da sabbie;
• aree a permeabilità molto alta, dei sistemi di dune della pianura litoranea, con suoli a bassa
differenziazione del profilo, con l’orizzonte superficiale molto sottile che poggia direttamente sulle sabbie
grossolane.

18
2010. Il suolo nel Veneto

Figura 7.3.1.6: Carta della permeabilità dei suoli della provincia di Venezia.
Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

3.2.2 Carta della riserva idrica dei suoli


La riserva idrica dei suoli, o capacità d’acqua disponibile (dall’inglese Available Water Capacity - AWC),
esprime la massima quantità di acqua in un suolo che può essere utilizzata dalle piante. È data dalla
differenza tra la quantità di umidità presente nel suolo alla capacità di campo e il punto di appassimento
permanente. Tra i diversi metodi esistenti per la stima dell’AWC, si è adottato quello di Thomasson-Hodgson
(1997) che prende in considerazione le seguenti variabili: tessitura, contenuto in scheletro e densità di
compattamento.
I valori vengono espressi in millimetri e la misura complessiva viene calcolata per una sezione di 150 cm o,
in ambiente collinare e prealpino, sino al limite inferiore della profondità utile alle radici se più superficiale.
Dalla lettura della carta è evidente che l’AWC presenta un andamento crescente passando dall’alta alla bassa
pianura in quanto risente positivamente della diminuzione di scheletro e dell’aumento delle frazioni tessiturali
più fini. I valori bassi che si riscontrano nei rilievi, in particolare quelli prealpini, sono dovuti invece alla
scarsa profondità del suolo.

19
2010. Il suolo nel Veneto

Figura 7.3.1.7: Carta della riserva idrica (AWC) dei suoli della provincia di Treviso.
Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

3.2.3 Il fondo naturale e antropico dei metalli pesanti dei suoli di pianura

Negli ultimi decenni lo sviluppo del settore industriale e l’introduzione di nuove tecnologie in attività un
tempo a basso impatto ambientale, come quella agricola e zootecnica, hanno aumentato il rischio di
immissione nell’ambiente di sostanze inquinanti come i metalli pesanti, in particolare nel suolo dove si
possono verificare fenomeni di accumulo. Da qui nasce la necessità, messa in evidenza dalle recenti
normative di legge, di aumentare la conoscenza sul contenuto di metalli pesanti dei suoli.
In particolare è importante determinare quello che può essere considerato il livello naturale dell’elemento nel
suolo, ossia derivante soltanto dal materiale di partenza (contenuto pedo-geochimico) da cui ha avuto
origine il suolo e il livello usuale (contenuto di background), dove al contenuto naturale si sommano gli
apporti di origine antropica derivanti dalle deposizioni atmosferiche e dalle pratiche di fertilizzazione o di
difesa antiparassitaria. Questa distinzione deriva da un documento di riferimento internazionale, ISO
19258/2005 “Soil quality – Guidance on the determination of background values”, che indica le metodologie
di campionamento e di elaborazione dei dati da seguire. Per quanto riguarda le prime, vengono proposti due
approcci possibili: il primo, sistematico, è basato sul campionamento dei suoli mediante una maglia regolare;
nel secondo, o tipologico, i suoli vengono campionati sulla base della stratificazione dei principali materiali di
partenza, tipi di suolo e usi del territorio.
Per la pianura veneta si è scelto di adottare l’approccio tipologico, il più adeguato quando si dispone di una
cartografia dettagliata dei suoli in grado di guidare il campionamento. I dati che ne derivano possono così
essere elaborati in funzione dell’origine del materiale di partenza e, ad un secondo livello, delle tipologie di
suolo presenti.

Nell’ambito del territorio di pianura, rilevato in tempi diversi e a scale diverse (1:50.000 e 1:250.000), è stata
determinata la concentrazione di metalli pesanti in campioni prelevati in corrispondenza dei profili,
scegliendo siti ad uso agricolo ed avendo cura di evitare zone contaminate o troppo vicine a potenziali fonti
inquinanti (discariche, cave, grandi vie di comunicazione) e siti che presentavano evidenti tracce di
rimaneggiamento o di intervento antropico.
La profondità di campionamento è stata scelta in funzione degli orizzonti podologici. Per la determinazione
del contenuto naturale, i campioni sono stati prelevati in corrispondenza del primo orizzonte o strato
pedologico sotto i 70 cm, ritenendo tale profondità sufficiente per poter escludere qualsiasi eventuale
apporto antropico; per la determinazione del contenuto usuale si è campionato in corrispondenza del primo

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2010. Il suolo nel Veneto

orizzonte individuato partendo dalla superficie, eliminando i primi 5-10 cm di suolo, fino ad una profondità
massima di circa 40 cm.

I siti analizzati nell’area di pianura (Figura n. 7.3.1.8) sono stati complessivamente 1137, per un totale di
1025 campioni superficiali e 741 profondi. I
metalli analizzati, attraverso la
determinazione della concentrazione
estraibile con aqua regia, sono stati:
antimonio, arsenico, berillio, cadmio,
cobalto, cromo, rame, mercurio, nichel,
piombo, selenio, stagno, vanadio e zinco.
I risultati sono stati elaborati dapprima
raggruppando i campioni in funzione del
materiale di partenza da cui ha avuto
origine il suolo (Figura n. 7.3.1.8),
ottenendo 8 gruppi: pianura alluvionale di
Tagliamento, Piave, Brenta, Adige, Po,
fiumi prealpini a substrato calcareo, fiumi
prealpini a substrato vulcanico, pianura
costiera; successivamente sono state fatte
ulteriori divisioni all’interno di alcuni di essi
per prendere in considerazione ulteriori
fattori di variazione (per esempio, dalla
pianura dei fiumi prealpini a substrato
calcareo è stato possibile isolare la pianura
dell’Astico, la pianura costiera è stata divisa
in base al contenuto in calcare, ecc) per un
totale di 11 gruppi, per ciascuno dei quali è
possibile definire dei valori di fondo.
Figura 7.3.1.8: Posizione dei punti di campionamento in relazione al materiale
di partenza. Legenda: T: pianura alluvionale del fiume Tagliamento;
P: pianura alluvionale del fiume Piave; B: pianura alluvionale del fiume
Brenta; A: pianura alluvionale del fiume Adige; O: pianura alluvionale del
fiume Po; D: pianura costiera; MC: pianura alluvionale dei fiumi prealpini
a substrato calcareo; MV: pianura alluvionale dei fiumi prealpini a substrato
vulcanico.
Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

Come è previsto dalla metodologia proposta dalla norma ISO 19258/2005 sono stati determinati i percentili
della distribuzione dopo la rimozione di eventuali valori anomali e sono stati assunti come limiti superiori dei
valori di fondo i valori corrispondenti al 90° o, in termini meno cautelativi, al 95° percentile.
Per alcuni metalli la concentrazione negli orizzonti superficiali è maggiore per effetto dell’accumulo dovuto
all’apporto di sorgenti diffuse: è evidente per esempio per rame e zinco, presenti nei prodotti usati per la
difesa antiparassitaria, soprattutto della vite, e per la nutrizione animale, da cui sono poi trasferiti nelle
deiezioni zootecniche distribuite al suolo. Anche il piombo presenta spesso valori elevati negli orizzonti
superficiali per effetto delle deposizioni atmosferiche in aree vicine a strade ad elevato traffico.

Per altri metalli in cui si è riscontrata una concentrazione elevata anche in profondità, l’origine è naturale
perché derivante dal contenuto nel materiale di partenza: ad esempio l’arsenico è particolarmente elevato,
superiore ai limiti di legge del D. Lgs. 152/06 fissati per il verde pubblico, privato e residenziale di 20 mg kg-
1
, nei bacini di Brenta e Adige (Figura n. 7.3.1.9). Nichel (Figura n. 7.3.1.10), cromo e cobalto sono presenti
in alte concentrazioni nei suoli formati sui sedimenti del Po. Lo stagno risulta superiore ai limiti di legge (pari
a 1 mg kg-1) in tutti i bacini, sia negli orizzonti superficiali che profondi. Il vanadio e il nichel sono elevati nei
depositi alluvionali di origine vulcanica.

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2010. Il suolo nel Veneto

Figura 7.3.1.9: Carta del livello di fondo naturale dell’arsenico nella pianura veneta, espresso come 90° percentile della concentrazione
rilevata in ciascun bacino deposizionale negli orizzonti profondi.
Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

Figura 7.3.1.10: Carta del livello di fondo naturale del nichel nella pianura veneta, espresso come 90° percentile della concentrazione
rilevata in ciascun bacino deposizionale negli orizzonti profondi.
Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2008.

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2010. Il suolo nel Veneto

3.3 Il programma regionale di monitoraggio dei fanghi di depurazione

L’utilizzo dei fanghi derivanti da trattamenti di depurazione delle acque reflue domestiche, urbane o
industriali nei terreni agricoli è disciplinato dal D. Lgs. n. 99 del 27 gennaio 1992, di recepimento della
Direttiva 86/278/CEE e a livello regionale dalla DGRV 2241/2005 che ha esteso l’obbligo di determinazione
dei contaminanti presenti nei fanghi anche a diossine, IPA e PCB.
In assenza di dati omogenei relativi alle caratteristiche dei fanghi utilizzati in agricoltura, la Regione ha
promosso un monitoraggio prima, nel 2003 (Prima fase), dei fanghi di depurazione prodotti presso tutti i
depuratori di acque reflue civili o miste civili e industriali con potenzialità superiore ai 25.000 ab. eq e,
successivamente, nel 2005 (Seconda fase), dei fanghi utilizzati in agricoltura e per il compostaggio.
L’obiettivo era la verifica della loro qualità rispetto ai requisiti stabiliti dalla normativa, con estensione
dell’indagine anche ai composti organici maggiormente ubiquitari e conosciuti, in particolare diossine, IPA e
PCB.
Il monitoraggio è consistito nel prelievo ed analisi di un campione di fango pronto per la distribuzione sui
terreni agrari o per la prodzione di compost, con determinazione dei parametri chimico-fisici previsti dalla
normativa nazionale e regionale (pH, sostanza secca, cadmio, cromo, mercurio, nichel, piombo, rame, zinco,
selenio, salinità, carbonio organico, azoto, fosforo e potassio totali), oltre ai parametri IPA, PCB e diossine.
I prelievi e sopralluoghi sono stati eseguiti dai Servizi Territoriali dei Dipartimenti Provinciali (DAP) dell’ARPAV
nel periodo tra ottobre 2005 ad aprile 2006, per un totale complessivo di 31 campioni (25 per utilizzo
agronomico e 6 per compostaggio).
Per l’analisi dei parametri previsti dalla normativa nazionale sono stati utilizzati i metodi CNR IRSA Quaderno
n. 64/1984; mentre per diossine, IPA e PCB sono stati utilizzati metodi EPA.

3.3.1 Microinquinanti organici


Per le diossine, il valore medio dei campioni analizzati è pari a 8,33 ng TE/kg ma risente del valore massimo
(69,64), notevolmente più elevato di tutti gli altri, ed infatti la mediana dei valori risulta pari a 3,90. Dei 31
campioni analizzati, nessuno presenta concentrazioni superiori a 100 mentre è stato riscontrato un solo
valore (fango da industria tessile) superiore ai 50 ng TE/kg; nessun campione fra 25 e 50, 8 campioni fra 10
e 25, 6 campioni fra 5 e 10 e 16 campioni (più della metà) con meno di 5. Il 70% dei campioni presenta
valori di diossine inferiori a 10 ng TE/kg, cinque volte più bassi del valore di 50 stabilito dalla DGRV 235/09. I
valori riscontrati risultano relativamente bassi, se confrontati con i dati riscontrabili in bibliografia.
Per i PCB, il valore medio è pari a 0,01 mg/kg ss, molto al di sotto del limite previsto dalla DGRV 235/09
(pari a 0,8 mg/kg). Tutti i 31 campioni analizzati presentano concentrazioni inferiori a 0,16 mg/kg ss.
Per gli IPA il valore medio è pari a 0,59 mg/kg ss, con un massimo di 2,2 e la mediana è pari a 0,4. Tutti i 31
campioni analizzati presentano valori inferiori a 3 mg/kg ss e quindi abbondantemente al di sotto del limite
previsto dalla DGRV 235/09 (pari a 6 mg/kg).

3.3.2 Metalli pesanti


Nel grafico di figura 7.3.1.11 è riportata una suddivisione in cinque classi di concentrazione, strutturata
considerando come classe 5 i valori superiori al limite di legge aumentato del 50%; quindi, per le classi via
via inferiori, classe 4 tra il limite di legge e lo stesso+50%, classe 3 tra il limite di legge e lo stesso limite
ridotto del 50%, classe 2 tra tale valore ed il limite ridotto dell’80% e classe 1 per i valori inferiori.

METALLI PESANTI

30

25

Cadmio (Cd)
numero campioni

20
Mercurio (Hg)
Nichel (Ni)
15
Piombo (Pb)
Rame (Cu)
10
Zinco (Zn)

0
1 2 3 4 5
classi

Figura 7.3.1.11: Frequenza delle classi di concentrazione di metalli pesanti riscontrate nei campioni di fango analizzati.
Fonte: Elaborazione dati ARPAV 2005.

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2010. Il suolo nel Veneto

Dal grafico si evidenzia come per cadmio, mercurio, nichel e piombo, tutti i campioni analizzati sono
conformi ai limiti stabiliti dalla norma per l’utilizzo in agricoltura, non essendovi nessun caso ricadente nelle
due classi superiori; per rame e zinco solo un fango di depurazione di un allevamento suino presenta
concentrazioni oltre il limite per tutti e due i parametri mentre, in un altro caso relativo ad un caseificio, è
superato il limite solo per lo zinco.

4. Le sfide per il futuro

4.1 Programma per il completamento della cartografia in scala 1:50.000

L’attività di rilevamento dei suoli alla scala di semi-dettaglio, iniziata con il bacino scolante in laguna di
Venezia e proseguita con il territorio provinciale di Treviso e Venezia, è tuttora in corso in un’area di circa
1900 km2 in provincia di Padova e Vicenza. Con questo rilevamento, che si concluderà entro il 2010, viene
completata la cartografia pedologica dell’intera provincia di Padova. Negli anni prossimi si prevede di
proseguire dapprima con il restante territorio di pianura della provincia di Vicenza (circa 330 km2) quindi con
la provincia di Rovigo, attualmente cartografata ad un dettaglio minore (1:100.000), per finire con la
provincia di Verona (per ulteriori 1800 km2).
Obiettivo di ARPAV è riuscire a coprire con lo stesso dettaglio tutto il territorio di pianura in modo da disporre
delle informazioni necessarie alla costruzione di una serie di indicatori in grado di descrivere lo stato di salute
dei suoli della regione e di un fondamentale strumento per la pianificazione territoriale anche a livello
provinciale e comunale.

4.2 La predisposizione di una rete regionale di monitoraggio del suolo

Grazie alla disponibilità su tutto il territorio regionale della carta dei suoli in scala 1:250.000, elemento
riconosciuto a livello europeo e nazionale come indispensabile per una corretta strutturazione e
organizzazione del monitoraggio del suolo, l’obiettivo principale diventa quello di attivare nel più breve
tempo possibile una rete di monitoraggio che possa valutare le trasformazioni che agiscono sul suolo e
soprattutto l’evoluzione delle minacce identificate dalla Comunità Europea.
Primo passo di questa futura rete di monitoraggio è il progetto predisposto da ARPAV con l’obiettivo di
definire i valori di fondo degli inquinanti organici (diossine, IPA e PCB) nei suoli del Veneto per colmare una
carenza di conoscenza sulla situazione nel territorio regionale.
Nel suolo gli inquinanti organici non presentano mobilità significativa, in quanto sono generalmente adsorbiti
dal carbonio organico; una volta adsorbiti, rimangono relativamente immobilizzati e, a causa delle basse
solubilità in acqua, non mostrano tendenze alla migrazione in profondità. La conoscenza sul contenuto degli
inquinanti organici nei suoli può fornire, quindi, utili indicazioni riguardo al livello di inquinamento diffuso e
nuovi elementi per valutare eventuali rischi legati alla coltivazione dei suoli preposti alla produzione
alimentare. Proprio i suoli agricoli dovrebbero rappresentare un insieme particolarmente “integro” da impatti
antropici; possono quindi consentire la definizione di valori di riferimento (fondo naturale-antropico) con cui
poter confrontare situazioni sottoposte a maggior impatto (suoli urbani, zone industriali, aree nei pressi di
fonti di emissione).
Il progetto prevede l’identificazione, nell’area di pianura del Veneto, di 165 nodi della rete con una densità
finale di 1 sito ogni 80 km2, scelti con un approccio tipologico tenendo in considerazione anche l’uso del
suolo; in questi punti verranno prelevati dei campioni in superficie mentre solo sul 20% dei siti, verrà
prelevato un secondo campione in corrispondenza del primo orizzonte al di sotto di 70 cm.
Tra gli altri vi è anche l’obiettivo di identificare tra questi 165 siti 30-40 punti dove, oltre agli inquinanti
organici, vengano monitorati periodicamente (3-5 anni) tutta una serie di parametri (sostanza organica,
densità apparente, metalli pesanti, ecc) che possano fornire informazioni su quali siano le reali minacce dei
suoli del Veneto.

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