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CAPITOLO PRIMO

IL PROCESSO DI ESECUZIONE FORZATA IN GENERALE

1. Caratteri generali e fonti del processo di esecuzione forzata

2. Natura giurisdizionale dell’ esecuzione forzata

3. Il processo di esecuzione forzata ed i principi generali del

4. processo civile : i) il principio della domanda

5. ii) il principio del contraddittorio

6. Cognizione ed esecuzione

7. L’ ufficio esecutivo: il giudice dell’ esecuzione, il cancelliere e l’ ufficiale giudiziario


quale organo dell’ esecuzione

8. La competenza per l’ esecuzione ed il rilievo dell’ incompetenza

9. Le nullità ed il principio di tendenziale stabilizzazione degli atti del processo esecutivo

10. Cenni sulle c.d. espropriazioni forzate speciali

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IL PROCESSO DI ESECUZIONE FORZATA IN GENERALE

1.- Caratteri generali e fonti del processo di esecuzione forzata

Al cittadino che chiede giustizia normalmente non basta avere un provvedimento con il quale il
giudice gli dice di avere ragione, ma vuole che questo provvedimento produca i suoi effetti in
termini di utilità concreta: ovvero la dichiarazione dovrebbe essere tale da offrire alla parte
vittoriosa quella stessa utilità che si era proposta nel momento in cui ha dato inizio al processo. Il
modo secondo cui il risultato può essere raggiunto,varia a seconda del contenuto della decisione e
della situazione sostanziale che ne è stata oggetto.
Se così non fosse allora è necessario che la decisione giudiziale preveda ab origine un complemento
esecutivo che proiettandosi nel futuro,sconti il rischio di comportamenti successivi volti a
contrastare l’efficacia dell’accertamento giudiziale.
Quando la sentenza è penetrata nell’ambito della sfera riservata alla autonomia dei soggetti, il
mutamento prodotto dalla sentenza si dispiega pienamente solo ove si realizzi quello che è chiamato
“ effetto conformativo” ossia la sentenza deve produrre un necessario mutamento della situazione
materiale che accompagna la decisione ( es. si chiede l’annullamento di un licenziamento
illegittimo,il dipendente deve essere riammesso nel suo posto di lavoro).
Il codice di procedura civile nel suo terzo libro, dedicato al processo di esecuzione si muove
secondo una prospettiva tradizionale e prende a base le sole situazioni sostanziali individuate come
“crediti” e “diritti a prestazioni determinate”. Tale libro è articolato in sei titoli: tre considerano i
profili generali dell’esecuzione civile ( 1°dedicato al titolo esecutivo e al precetto;5° dedicato alle
opposizioni; 6° dedicato alla sospensione ed estinzione quali vicende anomale del processo); gli
altri tre contengono le disposizioni di dettaglio relative ai singoli processi di esecuzione

( il 2°regola l’esecuzione per espropriazione forzata;il 3° l’esecuzione per consegna o rilascio; il 4°


l’esecuzione forzata degli obblighi di fare o nn fare o disfare).
• Il processo di espropriazione forzata, è il processo di esecuzione per antonomasia: esso,ha
applicazione affatto generale essendo volto alla soddisfazione dei diritti di credito mediante
l’aggressione e la liquidazione in denaro di beni particolari del debitore;
• I processi esecutivi per consegna o rilascio e per l’esecuzione degli obblighi di fare o nn
fare (disfare): trovano applicazione in situazioni maggiormente specifiche, ove si tratta di
tratta di dare pratica soddisfazione al diritto ad una prestazione che si giustifica in rapporto
ad un bene determinato( cosa mobile da consegnare, bene mobile da rilasciare).
• Processo di esecuzione in forma specifica : in cui il soggetto passivo dell’obbligazione, in
prospettiva della esecuzione forzata è tenuto ad una particolare attività o anche ad un pati.
Esecuzione per espropriazione forzata ed esecuzione in forma specifica, trovano precisi riferimenti
nel codice sostanziale,ma né il codice civile né quello di procedura utilizzano mai il termine di
creditore ma parlano di parte istante per identificare il soggetto avente diritto alla esecuzione in
forma specifica e di parte obbligata come quella tenuta alla prestazione della cui forzata esecuzione
è questione. Le qualifiche di creditore e debitore sono riservate alle parti del processo di
espropriazione forzata. Dunque :
IL CREDITO: è la situazione giuridica tutelata mediante il processo di esecuzione forzata.
IL DIRITTO AD UNA PRESTAZIONE DETERMINATA, quella tutelata mediante i processi
di esecuzione in forma specifica.
Tra le due situazioni di vantaggio, è la prima ad avere carattere generale e in un certo senso
residuale, perché di norma ogni diritto a prestazioni determinate, come le prestazioni a facere
infungibile, è suscettibile di dar luogo, in difetto di esecuzione ad un risarcimento per equivalente
pecuniario e dunque ad un credito azionabile in sede esecutiva a mezzo di espropriazione forzata.
Quanto al processo di esecuzione per espropriazione forzata, l’art 2910 prevede che al creditore, per
conseguire quanto gli è dovuto, può far espropriare i beni del debitore secondo le regole stabilite dal

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cpc.; possono essere espropriati anche i beni di un terzo quando sono vincolati a garanzia del
credito o quando sono oggetto di un atto che è stato revocato perché compiuto in pregiudizio al
creditore.
Il c.c. regola infine gli effetti più importanti di taluni degli atti più importanti del processo di
espropriazione forzata e cioè: pignoramento,vendita forzata, assegnazione.
Chiude la sezione l’art 2929 il quale prevede che “ la nullità degli atti esecutivi che hanno preceduto
la vendita o l’assegnazione nn hanno effetto riguardo all’acquirente o all’assegnatario, salvo il caso
di collusione con il creditore procedente. Gli altri creditori non sono di regola tenuti in nessun caso
a restituire quanto hanno ricevuto per effetto della esecuzione”.

2.- Natura giuridica dell’ esecuzione forzata

La logica che ha mosso il legislatore del 1940 nel disciplinare il processo di esecuzione potrebbe
essere definita riduttiva, non solo perché prende in considerazione i crediti e i diritti a prestazione
determinate, ma anche perché vuole che tali crediti e diritti possano legittimare all’azione esecutiva
solo quando siano “incartati” in un documento tipico ovvero nel titolo esecutivo. Partendo da questa
constatazione ci si sforza ad isolare il processo di esecuzione dai problemi cognitivi che dovrebbero
essere stati risolti già prima e che comunque vanno risolti al di fuori di questo processo; l’istituto
del titolo esecutivo è lo strumento tecnico del quale ci si avvale quasi a significare che l’avente
diritto, non deduce nel processo la situazione sostanziale di credito, ma quella formale di avente
diritto a procedere alla esecuzione forzata:queste erano le premesse da cui partiva la Relazione
illustrativa del codice di guisa che non ci si deve meravigliare se taluno ha dubitato dello stesso
carattere giurisdizionale del processo di esecuzione forzata.
Ma la pratica dei processi esecutivi, ed in particolare del processo di esecuzione forzata, ha
mostrato che la ricostruzione tratteggiata nella Relazione ed accreditata da una parte della dottrina
dell’epoca, peccava di astrattezza e semplicismo: da un lato,infatti la funzione del titolo esecutivo
non poteva spingersi al punto da purgare l’esecuzione da ogni suo autonomo aspetto cognitivo
riducendola a mera attuazione di un programma già contenuto per intero nell’atto da cui
l’esecuzione stessa aveva preso impulso; dall’altro quelle stesse attività operative e pratiche in cui
l’esecuzione consiste, non potevano essere costrette in uno schema rigidamente procedimentale e
automatico, che escludesse a priori l’attuazione delle fondamentali garanzie del processo confinate
nelle sedi separate ed eventuali delle opposizioni.
Col tempo è maturata la consapevolezza del fatto che il processo esecutivo è esercizio di genuina
attività giurisdizionale, sebbene svolgentesi in forme diverse da quelle della cognizione:
- che il giudice della esecuzione opera facendo uso di strumenti e delle regole tecniche proprie
di ogni processo giurisdizionale, adottando provvedimenti formali(ordinanze) opponibili
agli interessati.
- Che trovano applicazione nel processo di esecuzione le fondamentali regole dell’equo
processo civile desumibili dagli art 3 e 24 della costituzione.
- Che il diritto costituzionale di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti è tipico del
processo di cognizione e di quello di esecuzione forzata; entrambi concorrono in egual
misura alla realizzazione della funzione giurisdizionale:
- Che il soggetto passivo dell’esecuzione ha diritto a subire una esecuzione legittima e cioè
conforme alle norme che regolano i singoli processi di esecuzione forzata ma anche giusta e
opportuna.
La stessa corte europea dei diritti dell’uomo ha stabilito che il processo di esecuzione, in quanto
processo giurisdizionale,può essere considerato,non diversamente da quello di cognizione, come
volto al finale risultato della realizzazione effettiva dei diritti. Da qui la consapevolezza che anche il
processo di esecuzione si ispira agli importanti principi della domanda e del contraddittorio.

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3.- Il principio della domanda

Come già visto per il processo di cognizione, la tutela giurisdizionale dei diritti è sempre
condizionata ad una iniziativa di parte. Si tratta di una vera e propria domanda nel caso di intervento
nell’espropriazione: chi interviene nell’espropriazione per far valere il suo concorrente diritto sul
ricavato(499), propone una vera e propria domanda giudiziale che assume la forma del ricorso
diretto al giudice dell’esecuzione. Il ricorso non va notificato al debitore, ma ciò più che in
relazione al principio della domanda, va posto in relazione al particolare atteggiarsi che nel
processo di esecuzione assume il rispetto del principio del contraddittorio. Inoltre nel processo
espropriativi non basta aver proceduto al pignoramento: quest’ultimo serve a vincolare i beni del
debitore e a destinarli alla esecuzione, ma per procedere alla vendita è necessario che l’esecutante
proponga apposita istanza.

4.- Il principio del contraddittorio

Anche se l’art 101 cpc sul principio del contraddittorio sembra riferirsi al solo processo di
cognizione in realtà ogni processo giurisdizionale che intenda esibire carte in regola con i principi
dell’art 3 e 24 della costituzione e con quello dell’art 6 della convenzione per la salvaguardia dei
diritti dell’uomo,deve essere improntato al rispetto del contraddittorio: tale principio vale perciò
anche per il processo di esecuzione, anche se riceve delle applicazioni del tutto particolari.
Va ridimensionata a tal proposito l’affermazione secondo cui il processo di esecuzione sarebbe
caratterizzato dal fatto che esso si svolge a prescindere dalla e anche contro la volontà del debitore;
tale caratteristica non è esclusiva infatti del processo di esecuzione ma è propria di ogni processo
giurisdizionale: il legislatore non presuppone mai come necessaria a collaborazione attiva della
parte citata,convenuta o intimata. Che poi il processo esecutivo si svolga nei confronti di un
soggetto che non ha dato spontanea esecuzione all’obbligo risultante dal titolo esecutivo, non
implica certamente che il processo in sé non debba ispirarsi alla fondamentale regola del
contraddittorio. Ciò deriva dal fatto che il processo esecutivo piuttosto che svolgersi per
udienze,secondo un filo continuo, si svolge per FASI preconfigurate dal legislatore in relazione alle
quali di volta in volta si stabilisce ciò che è necessario ai fini del contraddittorio. Per esempio
all’inizio della espropriazione forzata, è sufficiente che l’ufficiale giudiziario ingiunga all’esecutato
di “ astenersi dal compiere qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito esattamente
indicato i beni che si assoggettano alla espropriazione e i frutti di essi. A tale requisito formale il
legislatore affida non solo la perfezione del pignoramento, spingendosi a dire che quest’ultimo
consiste nella ingiunzione, ma il soddisfacimento della esigenza che il destinatario sia avvertito che
da quel momento è esecutato, con tutte le conseguenze che ciò comporta.
Anche nel successivo svolgimento del processo l’applicazione della regola del contraddittorio è
formalmente garantita, si pensi alla audizione degli interessati di cui è fatto espressamente
riferimento nel 485: tuttavia, l’applicazione del principio in questione non si limita al solo profilo
formale, ma implica che le parti del processo esecutivo siano sentite nella fase della ricognizione
dei presupposti dei singoli provvedimenti in vista di una loro adozione non solo legittima, cioè
rispondente all’astratta previsione legale, ma anche giusta ed opportuna in riferimento alle singole
situazioni concrete. Tutte le parti del processo esecutivo,compreso il debitore, sono sentite perché
esse contribuiscano,ognuna dalla propria prospettiva a fornire al giudice gli elementi rilevanti ai fini
della rappresentazione della complessiva situazione su cui dovrà incidere il provvedimento: in ciò
consiste l’applicazione del principio del contraddittorio nel processo esecutivo.

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Il principio non è estraneo neppure alla esecuzione in forma specifica : è previsto infatti, che se nel
corso dell’esecuzione per consegna o rilascio sorgono difficoltà che non ammettono
dilazione,ciascuna parte, anche il soggetto passivo dell’esecuzione può chiedere al giudice di
adottare provvedimenti temporanei occorrenti; inoltre è previsto che prima di avviare la procedura
di rilascio occorre una comunicazione formale fatta al soggetto passivo del giorno e dell’ora in cui
si procederà.
Quanto alla esecuzione degli obblighi di fare o disfare: è previsto che il giudice deve sentire la parte
obbligata prima di provvedere sul ricorso,con cui la parte istante chiede che siano determinate le
modalità di esecuzione: dunque la fase propriamente esecutiva è qui preceduta dal contraddittorio
ossia, da una fase di ricognizione dei presupposti e delle modalità concrete (compimento dell’opera
o distruzione di quella compiuta).
I dubbi sul rispetto del principio del contraddittorio nel processo di esecuzione nascono perché le
parti canoniche ovvero debitore e creditore e le parti eventuali o occasionali,ovvero i terzi, non
sempre possono sviluppare dinanzi al giudice esecutivo un diretto potere di difesa e di eccezione.
Ciò dipende dalla circostanza che spesso tale potere deve essere convogliato in un apposito giudizio
di cognizione di cui il giudice dell’esecuzione non può conoscere come tale.

5.- Cognizione ed esecuzione

Si è visto come il legislatore del 40 ha concepito il processo di esecuzione, non come una sede
idonea a conoscere della sussistenza dei diritti sostanziali, bensì come un complesso di attività
operative e pratiche che trovano il loro fondamento esclusivo e sufficiente nel cd titolo esecutivo,
ossia il documento che giustifica l’esercizio astratto dell’azione esecutiva. In tale ottica molta
dottrina risolve la relazione tra cognizione ed esecuzione in termini di reciproca alterità e afferma:
1. LA COGNIZIONE precede l’esecuzione, in quanto attività propria ed esclusiva del giudice
che ha formato il titolo esecutivo, conoscendo delle relazioni sostanziali tra le parti;
2. LA COGNIZIONE s’inserisce nell’esecuzione,quale momento incidentale ed esterno al
processo esecutivo che viene introdotto dall’esperimento delle opposizioni siano esse
Formali o di Merito.
Entrambe le affermazioni vengono assoggettate a critica: non sempre infatti la cognizione come
accertamento del rapporto sostanziale precede l’esecuzione: ciò è vero nel caso dei titoli esecutivi di
formazione giudiziale, cioè dei titoli che consistono nelle sentenze o negli altri provvedimenti del
giudice ai quali la legge espressamente attribuisce efficacia esecutiva, ma non anche per i titoli di
formazione negoziale (assegno cambiale) e di formazione notarile o amministrativa per cui nn vi è
cognizione che precede la formazione del documento su cui si fonda l’esecuzione forzata.
È certo che il fenomeno del titolo esecutivo e del suo rapporto con il processo di esecuzione forzata
non può essere spiegato sul presupposto che in tale processo si tratta solo di eseguire quanto ha
ordinato o accertato dal giudice all’esito della cognizione delle relazioni sostanziali intercorrenti tra
le parti. L’astrattezza dell’azione esecutiva e l’inidoneità del processo di esecuzione ad accertare
l’esistenza del diritto non dipendono, o non dipendono sempre dal fatto che una cognizione si è
svolta fuori e prima dell’esecuzione.
Né risponde al vero la seconda affermazione: è vero che il legislatore ha realizzato un modello di
processo esecutivo in cui tutti gli eventuali incidenti di cognizione fossero collocati al di fuori di
esso, in modo da consentire all’esecuzione di procedere de plano dinanzi ad un giudice monocratico
privo di poteri decisori: ma nn è meno vero che tale modello astratto nn è stato mai realizzato nella
realtà applicativa.
Al contrario, il g.e. procede in base ad un’attività di cognizione perché volta ad accertare la
sussistenza dei presupposti dei singoli provvedimenti: tali presupposti sono conosciuti in base ad un
modulo processuale ispirato al rispetto del contraddittorio in quanto tutti gli interessati ,debitore

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compreso, sono ammessi a fare osservazioni, istanze , richieste ed in genere a collaborare nella
individuazione della complessiva situazione in cui vanno ad incidere i singoli atti del processo. Gli
atti del giudice della esecuzione che prendono la forma generale dell’ordinanza,sono poi opponibili
da parte degli interessati mediante l’opposizione agli atti esecutivi.
Il problema non è dunque quello del modulo bene o male ispirato al principio del contraddittorio e
informato ad una cognizione sui presupposti dei singolo provvedimenti, quanto quello
dell’OGGETTO dei singoli accertamenti: essendo questi finalizzati al compimento degli atti
esecutivi, è vero che di norma tali atti escludono la possibilità della cognizione sui diritti. Ad
esempio quando il giudice ordina la vendita dei beni pignorati, accerta la sussistenza dei presupposti
del provvedimento, ma tale accertamento non riguarda la spettanza o l’esistenza di un diritto, bensì
il corretto e legittimo andamento dell’esecuzione. Ciò è quanto avviene normalmente, tuttavia ci
sono casi in cui il giudice dell’esecuzione adotta provvedimenti che presuppongono una
ricognizione non solo dei presupposti formali( es prova della avvenuta notifica ai creditori iscritti)
ma dei presupposti che attengono alla esistenza o meno dei diritti fatti valere a mezzo del processo
di esecuzione. Dottrina e giurisprudenza hanno finito con l’ammettere che ove necessario il giudice
dell’esecuzione non può non compiere accertamenti sull’esistenza, sull’ammontare e sul grado dei
crediti da condurre nel contraddittorio tra gli interessati e da concludere con provvedimenti di
dubbia natura che sarebbero: formalmente esecutivi, perché provenienti dal giudice dell’esecuzione
e sostanzialmente cognitivi, perché dettati per risolvere un contrasto sul modo di essere e sulla
esistenza del credito. Anche su questo punto dottrina e giurisprudenza dando rilevanza alla forma
hanno qualificato tali provvedimenti come esecutivi e li hanno assoggettati al regime di tali
provvedimenti che è quello della opponibilità.

6.- L’ufficio esecutivo: il giudice dell’esecuzione , il cancelliere e l’ ufficiale giudiziario quale


organo dell’ esecuzione

( IL GIUDICE )Come stabilisce l’art 484 primo comma, L’ESPROPRIAZIONE FORZATA è


diretta da un giudice, non cosi per L’ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA, in rapporto alla
quale manca una disposizione corrispondente.
Mentre in fatti nella esecuzione forzata degli obblighi di fare o disfare, il giudice interviene su
ricorso dell’istante per stabilire le corrette modalità dell’esecuzione; nell’esecuzione per consegna e
rilascio l’intervento del giudice è del tutto eventuale essendo occasionato dalla risoluzione di
difficoltà che nn ammettono dilazione.
Il giudice dell’esecuzione: è investito di funzioni giurisdizionali ed è legittimato a sollevare le
questioni incidentali di costituzionalità delle norme che egli stesso deve applicare. Egli provvede
con ordinanza e mai con sentenza.
I mutamenti recenti del processo di esecuzione hanno comportato che tanto le opposizioni agli atti
esecutivi, quanto le opposizioni all’esecuzione, le opposizioni di terzo all’esecuzione sono decise
dal giudice dell’esecuzione in funzione di giudice singolo, con tutti i poteri del collegio, salvo le
questioni riservate alla decisione del collegio.
( IL CANCELLIERE )All’ufficio esecutivo appartiene anche il cancelliere, che ha competenze
piuttosto limitate: egli oltre a spedire in forma esecutiva il titolo esecutivo e a rilasciare le copie in
forma esecutiva, forma il fascicolo dell’esecuzione e provvede alla conservazione di tutti gli atti e
documenti dell’esecuzione; provvede altresì alle comunicazioni. Il cancelliere custodisce il denaro, i
titoli di credito e gli oggetti preziosi colpiti da pignoramento mobiliare; il denaro è depositato nelle
forme dei depositi giudiziari, mentre i titoli ed i preziosi sono custoditi nei modi che determina il
giudice dell’esecuzione.
( L’UFFICIALE GIUDIZIARIO )è il vero organo dell’esecuzione con proprie competenze
esclusive:

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- nell’esecuzione per consegna o rilascio, è l’ufficiale giudiziario l’organo procedente e
l’intervento del giudice risulta del tutto eventuale;
- nell’esecuzione degli obblighi di fare e non fare, è l’ufficiale giudiziario che una volta
stabilite dal giudice le modalità concrete di esecuzione,procede all’esecuzione stessa,
rivolgendosi al giudice solo in caso di insorte difficoltà, che saranno risolte dal magistrato
con proprio decreto.
- Nell’espropriazione forzata va ricordato che l’inizio del processo esecutivo non è
subordinato ad una autorizzazione da parte del giudice dell’esecuzione: è l’ufficiale
giudiziario a procedere direttamente su istanza del creditore, prima con la notifica del titolo
esecutivo e del precetto, poi con il compimento del pignoramento che è l’atto iniziale del
processo espropriativo. E se spetta al cancelliere controllare la perfezione formale della
sentenza o del provvedimento avente efficacia esecutiva all’atto del rilascio della copia in
forma esecutiva, è invece compito dell’ufficiale giudiziario , quello di controllare l’esistenza
dei presupposti dell’atto richiesto ed in particolare del pignoramento: la propria
competenza;l’esistenza di un valido titolo esecutivo, la legittimazione attiva o passiva in
base a quanto risulta dal titolo;l’avvenuta previa notificazione all’esecutato del titolo
esecutivo e del precetto. In assenza di questi presupposti, l’ufficiale giudiziario è tenuto a
rifiutare il compimento dell’atto,indicandone per iscritto i motivi.
- Nell’espropriazione mobiliare, l’ufficiale giudiziario ha proprie competenze specifiche,
quanto alla ricerca delle cose da pignorare: egli con la collaborazione del debitore individua
quello che sarà oggetto dell’esecuzione avvalendosi, se del caso, anche dell’assistenza della
forza pubblica.

7. La competenza per l’esecuzione e il rilievo dell’incompetenza

Anche nel processo di esecuzione forzata si pone un problema di competenza, cioè di


individuazione dell’ufficio giudiziario a cui rivolgere la domanda esecutiva. A differenza di quanto
accade nel processo di cognizione, dove la competenza è sempre riferita al giudice , si può parlare
qui , più genericamente di competenza dell’ufficio esecutivo.
1) nell’esecuzione per consegna e rilascio: la competenza individua infatti l’ufficiale
giudiziario quale organo dell’esecuzione, mentre l’investitura del giudice è solo eventuale.
2) Nell’esecuzione per obblighi di fare e non fare, il ricorso è proposto al giudice, il quale
designa l’ufficiale giudiziario che procede all’esecuzione.
3) Nel pignoramento mobiliare diretto, è chiaro che l’atto iniziale di investitura riguarda
l’attività dell’ufficiale giudiziario il quale munito di titolo esecutivo e di precetto si reca
nella casa e negli altri luoghi appartenenti al debitore per ricercarne le cose da pignorare.
In tema di competenza anche nell’esecuzione si fa riferimento ai criteri di materia territorio e valore
indicati nel Cpc per il giudizio di cognizione. Con l’istituzione del giudice unico di primo grado, IL
TRIBUNALE è competente per l’esecuzione forzata.
LA COMPETENZA PER TERRITORIO: Si tratta della competenza orizzontale che è sempre
inderogabile dalle parti.
Con riguardo alla esecuzione forzata sui beni mobili e immobili: è competente il giudice del luogo
in cui si trova la cosa;
se l’espropriazione riguarda un credito: è competente il giudice del luogo in cui si trova il terzo
debitore;
se c’è una esecuzione di obblighi di fare o di non fare è competente il giudice del luogo in cui si
deve adempiere.

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L’art 27 cpc. individua LA COMPETENZA TERRITORIALE PER LE CAUSE DI
OPPOSIZIONE:
.-. per le opposizioni agli atti esecutivi : è competente il giudice davanti al quale si svolge
l’esecuzione;
.-. per l’opposizione all’esecuzione e l’opposizione di terzi: è competente il giudice del luogo
dell’esecuzione competente per valore.
.-. per l’opposizione al precetto: è competente il giudice del luogo in cui è avvenuta la notifica;
.-. per l’opposizione distributiva: la competenza si stabilisce in base al valore: con la conseguenza
che se il giudice che procede alla espropriazione è competente anche per la causa di opposizione,
provvede alla sua istruzione e decisione; altrimenti rimette le parti al giudice competente, fissando
un termine perentorio per la riassunzione dinanzi a lui.
Con la riforma sul giudice unico di unico grado, il giudice competente in alternativa al tribunale è il
Giudice di Pace, il quale può conoscere dell’opposizione solo se le relative cause rientrano nella sua
competenza generale.
RILIEVO DELLA INCOMPETENZA ART 38: Il problema principale è qui dato
dall’individuazione dell’omologo della prima udienza di trattazione come termine ultimo per il
rilievo dell’incompetenza. L’incompetenza può essere rilevata:

A) D’UFFICIO e in particolare:
nell’espropriazione forzata mobiliare e immobiliare: l’incompetenza va rilevata entro l’udienza
fissata dal giudice per l’audizione delle parti o alla prima udienza fissata per l’autorizzazione alla
vendita.
nell’espropriazione presso terzi: si fa riferimento all’udienza fissata per la dichiarazione del terzo.
nell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare: si fa riferimento all’udienza in cui il giudice
stabilisce le modalità dell’esecuzione.

B) DA PARTE DELL’UFFICIALE GIUDIZIARIO: non va dimenticato infatti che l’ufficiale


giudiziario cui sia rivolta l’istanza di pignoramento o la richiesta di dar corso alla procedura per
consegna o rilascio, può rifiutare il compimento dell’atto esecutivo se ritiene di non essere
competente.
C) SU ISTANZA DI PARTE: dinanzi ad un pignoramento compiuto da un ufficiale giudiziario
incompetente e destinato ad incardinare la procedura espropriativa dinanzi ad un ufficio giudiziario
parimenti incompetente, L’ESECUTATO può immediatamente opporsi facendo valere la nullità
dell’atto senza dover attendere la prima udienza dinanzi al giudice dell’esecuzione: l’opposizione
agli atti esecutivi andrebbe proposta entro i 5 giorni dal compimento del pignoramento, ed al suo
vittorioso esperimento non potrebbe che conseguire la totale caducazione della esecuzione.
Il rilievo della incompetenza si traduce in un vizio di nullità dell’atto, ed alla declaratoria di
competenza non andrebbe associata l’indicazione del giudice ritenuto competente, perché il
processo, dichiarato nullo il suo atto iniziale, non potrebbe essere riassunto dinanzi al giudice
competente in base al meccanismo della traslatio iudicii. Ciò è quanto avviene anche in caso di
incompetenza rilevata dal giudice dell’esecuzione nella prima udienza utile: la declinatoria di
competenza, chiude il processo esecutivo, del quale viene meno l’atto iniziale con la conseguenza
che il processo deve essere iniziato ex novo dinanzi all’ufficio giudiziario competente.
Dunque anche nel processo di esecuzione la competenza è requisito di validità degli atti dell’ufficio
esecutivo e pertanto la declaratoria di competenza, travolge l’intero processo obbligando la parte
procedente ad esercitare nuovamente l’azione esecutiva richiedendo il compimento degli atti
all’ufficio giudiziario competente. Ciò mostra la difficoltà di applicazione dell’art 38 nel processo
di esecuzione forzata, esso prevede la possibilità di traslatio iudicii che presuppone la validità
dell’atto introduttivo del giudizio e garantisce la validità degli atti compiuti dal giudice
incompetente; laddove nel processo esecutivo il rilievo dell’incompetenza porta alla caducazione
della esecuzione senza salvezza di alcuna attività compiuta.

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In base all’art 38 la questione di competenza andrebbe rilevata non oltre la prima udienza,per il
soggetto passivo dell’esecuzione invece, è necessaria l’opposizione avverso il primo atto del
processo: da qui anche una diversità di regime, infatti SE rilevata in sede di OPPOSIZIONE
avverso il primo atto esecutivo = l’incompetenza sarà dichiarata con SENTENZA; SE rilevata IN
UDIENZA la forma del provvedimento sarà quella dell’ORDINANZA a sua volta ricorribile
mediante l’opposizione agli atti esecutivi.
Il rilievo della incompetenza dell’ufficio esecutivo può essere direttamente operato dall’ufficiale
giudiziario che può rifiutarsi di compiere l’atto esecutivo per carenza di uno dei presupposti del
processo.

8.- La nullità ed il principio della tendenziale stabilizzazione degli atti del processo
esecutivo.

La nullità di un atto esecutivo va rilevata entro 5 giorni dal compimento(ovvero dalla effettiva
conoscenza o conoscibilità dell’atto) mediante l’opposizione agli atti esecutivi: con tale opposizione
va contestato tanto un vizio formale quanto sostanziale dell’atto. L’ambito di applicazione
dell’opposizione agli atti esecutivi è stato allargato:tanto è vero che risulta possibile denunciare
anche l’inopportunità o l’incongruenza dei singoli atti esecutivi; le disposizioni in proposito fanno
riferimento infatti, alla nozione di irregolarità e dunque ad uno stato vizioso dell’atto che
coincidente o meno con una nullità formale, produce una sua sostanziale ingiustizia.
Può aversi anche una nullità- inesistenza dell’atto, ma questa non è soggetta al termine di decadenza
di 5 giorni vuoi perché il giudice dell’esecuzione potrebbe rilevare il vizio in ogni momento del
processo esecutivo, vuoi perché la parte potrebbe denunciarlo nei 5 giorni dal compimento di
ciascuno degli atti successivi, in
base al principio di estensione: si tratta di una nullità che si estende a tutti gli atti successivi che
siano ad essi collegati o dipendenti.
L’OGGETTO dell’opposizione agli atti esecutivi è un singolo atto dell’esecuzione la cui nullità non
comporta il venir meno di tutta l’esecuzione ma solo la RINNOVAZIONE dell’atto dichiarato
viziato e di quelli ad esso eventualmente collegati.
Se la nullità dell’atto è assoluta, la giurisprudenza tende a riconoscere la possibilità che lo stesso sia
impugnabile anche dopo il decorso del termine di decadenza di 5 giorni.
In base al principio della tendenziale stabilizzazione degli atti del processo si ritiene che le nullità
degli atti del processo esecutivo abbiano un regime uniforme: pertanto se il rilievo delle stesse non
viene effettuato entro la prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o l’assegnazione si
procede alla loro definitiva sanatoria

9.- Cenni sulle espropriazioni forzate speciali

Il nostro ordinamento conosce varie forme espropriative che si differenziano in modo sensibile dal
modello generale costituito dal processo di espropriazione forzata. Si tratta di modelli espropriativi
speciali che sono finalizzati a rendere effettiva la realizzazione di determinati crediti di norma in
rapporto a qualità soggettive e spesso pubblicistiche del creditore.
La specialità consiste:
- in alcuni casi nella possibilità di avviare la procedura espropriativa a prescindere dal
possesso di un titolo esecutivo;
- in altri nella esclusione della regola del paritario concorso dei creditori

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- in altri nella possibilità di dar luogo al pignoramento e alla vendita dei beni in forma di
autotutela al di fuori di ogni controllo giudiziario.
Insomma la specialità è la deviazione rispetto alle regole ordinarie circa l’assoggettamento di beni
particolari alla espropriazione forzata , cui corrisponde una limitazione o addirittura una esclusione
del controllo del giudice, che non viene sollecitato né in sede di autorizzazione, né nella forma delle
opposizioni esperibili dal soggetto passivo dell’esecuzione.
Ricordiamo senza pretesa di completezza che si ricomprendono in queste espropriazioni speciali : il
procedimento per la riscossione delle entrate patrimoniali dello stato e degli altri enti pubblici; i
procedimenti a tutela degli istituti di credito fondiario; i procedimenti a tutela dei venditori e dei
finanziatori del prezzo di acquisto di autoveicoli etc.

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CAPITOLO SECONDO

IL TITOLO ESECUTIVO ED IL PRECETTO

1. Nozione di titolo esecutivo; sua relatività. Titoli esecutivi giudiziali e non giudiziali.
Spedizione in forma esecutiva

2. « Certezza, liquidità, esigibilità » del diritto

3. Efficacia del titolo esecutivo contro terzi

4. Il precetto. Notificazione di titolo esecutivo e precetto

5. Termine ad adempiere e pagamento nelle mani dell’ ufficiale giudiziario

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IL TITOLO ESECUTIVO ED IL PRECETTO

1. - Nozione di titolo esecutivo; sua relatività. Titoli esecutivi giudiziali e non giudiziali.
Spedizione in forma esecutiva.

Nulla executio sine titulo, è uno dei principi fondamentali del processo di esecuzione espresso
dall’ art. 474 com. 1 c.p.c., secondo il quale non si può procedere ad esecuzione forzata se non si è
in possesso di un titolo esecutivo e per un diritto certo, liquido ed esigibile.
Lo stesso articolo individua quali sono i titoli esecutivi:
1. le sentenze e i provvedimenti a cui la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva
2. gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzati dalla legge a riceverli ,
relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in essi contenute
3. le cambiali, nonché gli altri titoli di credito e gli atti ai quali la legge attribuisce
ufficialmente la stessa efficacia, a cui il legislatore del 2005 ha aggiunto “ le scritture private
autenticate relativamente alle somme di denaro in esse contenute “, purchè vi sia regolare
autenticazione della sottoscrizione da parte di un pubblico ufficiale che abbia il relativo
potere.
Va precisato che i titoli del primo gruppo si dicono titoli giudiziali, quelli del secondo e del terzo
gruppo si dicono titoli stragiudiziali.
I titoli di formazione giudiziale ( quali appunto sentenze e i provvedimenti a cui la legge attribuisce
espressamente efficacia esecutiva) si riferiscono a quei titoli nei quali l’ accertamento costituisce il
risultato di un processo di cognizione;
al contrario i titoli stragiudiziali, si riferiscono a quei titoli esecutivi, nei quali l’ accertamento del
diritto da eseguirsi si è formato per una via diversa da quella del giudizio e che, perciò sono detti
stragiudiziali.
Questi atti hanno la funzione di preannunciare al debitore il proposito del creditore di procedere all’
esecuzione forzata, offrendogli in questo modo, da un lato, la possibilità di adempiere la propria
obbligazione , evitando così l’ esecuzione e le relative spese; dall’ altro, la possibilità di conoscere
gli elementi della esecuzione preannunciata e di contestarne, eventualmente, la legittimità.
Ci chiediamo: A cosa servono? Costituiscono una categoria unitaria?

A) - A cosa servono? -

Il titolo esecutivo legittima l’azione esecutiva svincolata tanto dalla deduzione quanto dalla prova
della vicenda di fatto e giuridica che ha portato alla formazione dell’ atto.
Quindi mentre chi agisce in sede di cognizione si afferma titolare di un diritto, proponendo
situazioni di fatto riconducibile ad una determinata fattispecie giuridica capace di giustificare una
pronuncia di accoglimento della domanda:
al contrario chi agisce in sede esecutiva in ragione del possesso di un titolo esecutivo, non ha né l’
onere di dedurre la vicenda che ha determinato la formazione del titolo , né quello di provare l’
esistenza del diritto ( certo, liquido ed esigibile ) che risulta dallo stesso documento .
Chi è in possesso del titolo esecutivo non deve in alcun modo dimostrare l’ attuale esistenza del
diritto, ed eventuali fatti estintivi , modificativi o impeditivi del diritto, dovranno essere
eventualmente dedotti dal soggetto passivo attraverso l’ opposizione all’ esecuzione , con la quale
appunto si contesta il diritto di procedere ad esecuzione forzata.
La dottrina ha cercato di inquadrare il titolo esecutivo proponendo una indagine indubbiamente
sterile, in quanto la concezione del titolo,esecutivo come documento, prova legale dell’ esistenza
del diritto , è parsa in contrasto con il principio dell’ astrattezza dell’ azione esecutiva.

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D’ altra parte se la funzione probatoria del titolo esecutivo fosse realmente preminente, il nostro
sistema avrebbe sicuramente preposto a questo titolo l’ autorizzazione preventiva del giudice, cosa
che è certamente da escludere.
Nella stessa ottica il ricorso all’art. 612 c.p.c, relativo all’esecuzione forzata di obblighi di fare o
non fare, è previsto non in relazione all’ autorizzazione all’ esecuzione forzata, ma perché il giudice
stabilisca le concrete modalità dell’ esecuzione .
Va inoltre precisato che, se il titolo esecutivo consente l’ esercizio dell’ azione esecutiva, titolo ed
azione non vanno confuse tra loro, perché alla tutela non si può mai provvedere d’ ufficio, ma è
sempre il creditore o l’ avente diritto ad esercitare la domanda esecutiva, svolgendo determinate
attività vuoi nei confronti del soggetto obbligato, vuoi nei confronti degli organi esecutivi con la
richiesta di provvedere agli atti dell’ esecuzione forzata.
Questa richiesta potrebbe non coincidere con il contenuto del diritto così come risultante dal titolo,
questo perché il creditore può scegliere di scomporre il proprio credito chiedendo il pagamento di
una sola parte del debito riservandosi il diritto di esercitare in seguito l’ azione esecutiva per il
rimanente credito.

B) -Costituiscono una categoria unitaria ? –

Il titolo esecutivo a cui si riferisce il codice è senza dubbio un documento , e l’ art. 474 c.p.c.
impone la regola della legalità e della tipicità dei titoli esecutivi affermando che sono titoli
esecutivi solo determinati atti e solo se la legge li qualifica come tali .
Il problema sorge per l’interprete quando, analizzando i vari tipi di atti previsti dalla legge, ci si
accorge che tra essi non c’ è alcuna analogia, perché non hanno in comune nessuna caratteristica.
Anche su questo punto la dottrina si è interrogata, arrivando ada una conclusione obbligatoria e
cioè, la nozione di strutturale di titolo esecutivo è del tutto relativa, ed è rimessa ad un
apprezzamento discrezionale del legislatore.
E’ titolo esecutivo solo ciò che è individuato come tale dalla legge, ed inoltre il nostro legislatore
non cessa di proporre nuove figure di titolo esecutivo nion giudiziali , come dimostrato dall’
introduzione, nel 2006, della scrittura privata tra i titoli di credito.
Non ci resta che prendere atto della distinzione tra titoli esecutivi nelle categorie dei titoli giudiziali
( art. 474, com. 2 , n. 1 ) e dei titoli non giudiziali ( art. 474 com. 2 , nn. 2) e 3) ), tenendo presente
che la distinzione tra titoli giudiziali e stragiudiziali corrisponde ad una bipartizione convenzionale
e di scarso valore.

2.- « Certezza, liquidità ed esigibilità » del diritto

Affinché l’ esercizio dell’ azione esecutiva sia validamente giustificata, è importante che il titolo
esecutivo si riferisca ad un diritto certo, liquido ed esigibile, e mancando uno di questi elementi, l’
azione esecutiva può essere contestata, attraverso l’ opposizione all’ esecuzione.
I requisiti della esigibilità e della liquidità sono riferiti in modo particolare all’ espropriazione
forzata e, sono senza dubbio facilmente definibili.
Esigibile è il diritto la cui realizzazione può essere immediatamente rivendicata, nel senso che il
diritto stesso non è soggetto né a termine né a condizioni sospensive.
Ciò significa che nel momento in cui l’ azione esecutiva viene esercitata, il creditore deve indicare,
notificando titolo esecutivo e precetto, l’ avvenuta scadenza del termine e, l’ avveramento della
condizione sospensiva.
Liquido è il titolo stesso che esprime una somma di denaro di importo determinato o determinabile
con un calcolo aritmetico, in base ad elementi contenuti nel titolo stesso o in altro modo conosciuti.

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Va tenuto presente che anche le operazioni di calciolo possono presentare qualche difficoltà, e
anche a questo proposito entra in gioco la realità del processo esecutivo, come processo di parti,
retto da una domanda e da una eventuale contestazione dell’ obbligato in forma di opposizione.
In base quindi a questo criterio, il creditore indicherà nel precetto la somma da lui calcolata sulla
base degli elementi contenuti nel titolo esecutivo, e sarà poi onere del debitore contestare, a norma
dell’ ex art. 615 c.p.c.( Forme dell’ opposizione), l’ eventuale eccessività della pretesa esecutiva.
La cosa indubbia è che in questa fase, c.d. espropriativa, né l’ ufficiale giudiziario, né il giudice
dell’ esecuzione potranno d’ ufficio entrare nel merito della questione; al contrario nella fase c.d.
distributiva, è ammesso il controllo d’ ufficio anche sulla misura del credito fatto valere, nelle
ipotesi di contrasto tra l’ importo risultante nel titolo e quello indicato nel precetto.
Per quanto riguarda la certezza, questo è un requisito voluto dalla legge, anche se non è proprio
chiaro che cosa il legislatore abbia inteso per “ credito certo”.
Sicuramente il legislatore non pretende che il credito sia incontestato o incontestabile, perché tale
sarebbe solo il credito accertato giudizialmente con un provvedimento passato in giudicato; ma , il
credito considerato dal titolo esecutivo è certo nella misura in cui la legge ritiene questa certezza
sufficiente per rendere possibile l’ esercizio dell’ azione esecutiva.
Il requisito della certezza riporta alla corretta identificazione della prestazione dovuta, del soggetto
tenuta a compierla e di colui che ha diritto a riceverla.
Tuttavia questo requisito deve essere inteso diversamente in relazione ai singoli processi di
esecuzione:
• Nella consegna e nel rilascio vanno identificati i beni e i soggetti della prestazione
• Nell’ esecuzione per obblighi di fare e non fare, il titolo dovrà indicare il risultato finale
dell’ esecuzione, ma le modalità dell’ esecuzione saranno determinate dal giudice su ricorso
dell’ avente diritto
• Nell’ espropriazione forzata il requisito della certezza va sempre posto in relazione ai
requisiti della liquidità e dell’ esigibilità
• La sentenza di condanna generica non legittima l’ espropriazione forzata per difetto di
certezza, ma bensi per quelli della liquidità e dell’ esigibilità.

3. Efficacia del titolo esecutivo contro terzi.

Il nostro codice prevede la possibilità che l’ esecuzione venga intrapresa da soggetti diversi, o nei
confronti di soggetti diversi da quelli indicati dal titolo esecutivo.
E’ importante però precisare che questa possibilità rappresenta una eccezione in quanto, infatti, la
regola generale è che il titolo esecutivo per poter legittimare l’ azione di esecuzione, deve
individuare con esattezza la prestazione dovuta ed i soggetti tenuti rispettivamente ad adempierla e
a riceverla.
- La prima situazione è regolata dall’ art. 475 com. 2 c.p.c, in base al quale le sentenze, gli altri
provvedimenti dell’ autorità giudiziaria e gli atti ricevuti da notaio, per valere come titolo esecutivo,
devono essere muniti della formula esecutiva.
La spedizione del titolo in forma esecutiva può farsi solo alla parte a favore della quale è stato
pronunciato il provvedimento o stipulata l’ obbligazione o ai suoi successori.
La spedizione deve quindi indicare la persona in cui favore essa è richiesta, in quanto questa
persona, e non quella indicata nel titolo, avrà la veste di soggetto attivo dell’ esecuzione.
( E’ importante comprendere questa differenza:
mentre anche un terzo, ad esempio il difensore, può chiedere il rilascio della copia in forma
esecutiva a nome del creditore risultante dal titolo, in questo caso il beneficiario della spedizione è
il creditore , e non il difensore;

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il successore, a norma dell’ art. 475 com.2, richiede il rilascio della copia in suo favore ed a suo
nome, perché sarà egli stesso, e non il creditore risultante dal titolo , a dar inizio al processo di
esecuzione.)
- La seconda situazione è invece regolata dall’ art. 477 c.p.c, il quale statuisce che il titolo esecutivo
emesso contro il defunto ha efficacia contro gli eredi.
Ciò comporta che il titolo esecutivo legittima l’ esecuzione forzata direttamente contro gli eredi, ai
quali tuttavia il precetto potrà essere notificato solo dopo 10 giorni dalla notificazione del titolo, e
quindi non unitariamente ad esso.
E questo per consentire ai « nuovi debitori » uno spatium deliberandi maggiore, che gli permetta di
informarsi del titolo esecutivo che si era formato nei confronti del de cuius, e di cui potevano non
essere a conoscenza.
In entrambe le ipotesi ( art. 475 ed art. 477 ) la situazione che si regola è quella di successione in
base ad eventi non anteriori, bensì successivi alla formazione del titolo esecutivo; a tal proposito la
dottrina parla di esecuzione ultra partes , in quanto il processo esecutivo interessa, dal lato attivo e
dal lato passivo, soggetti diversi da quelli indicati nel titolo esecutivo, e la successione ha luogo nella
fase intermedia , tra la formazione del titolo e l’ inizio del processo di esecuzione.
Tra le due situazioni quella più complessa è sicuramente quella regolata dall’art. 475 , in quanto l’
art. 477 parlando espressamente di eredi, indica chiaramente che il caso considerato è quello della
successione a titolo universale.
Quindi l’ art. 475 propone una situazione certamente più complicata in quanto parlando
genericamente di successori, non indica il titolo della successione , ed inoltre non essendoci
coincidenza tra il soggetto indicato nel titolo come creditore e soggetto che materialmente richiede a
nome proprio la spedizione in forma esecutiva, si pone un problema di accertamento della vicenda
successoria.
A tal riguardo l’ art. 153 e 154 disp. att. si limitano a prevedere rispettivamente che , il cancelliere
rilascia copia in forma esecutiva quando la sentenza o il provvedimento del giudice è « formalmente
perfetto », ed ogni controllo è quindi di tipo estrinseco e non si estende al merito della vicenda, ed
inoltre il capo dell’ ufficio giudiziario ha il compito di controllare il mancato rilascio.
E’ importante precisare . che anche se l’ art. 477, parlando di eredi, fa espresso riferimento alla
successione delle persone fisiche, non sembra dubbio che le regole dell’ esecuzione ultra partes
possano applicarsi anche nei casi di successione a titolo universale delle persone giuridiche ed in
particolare delle società.
In caso di successione ex art. 475. il debitore, potrà opporre al nuovo creditore tutte le sue ragioni e
le ragioni relative alla successione del diritto.
In caso di successione dal lato passivo, ex art. 477, l’ erede potrà opporre non solo le ragioni proprie
del de cuius, ma anche quelle relative alla propria qualità di erede, o ad un’ eventuale accettazione
dell’ eredità con beneficio di inventario.

4.- Il precetto. Notificazione del titolo esecutivo e precetto

A norma dell’ art. 480 com. 1 « il precetto consiste nell’ intimazione ad adempiere l’ obbligo
risultante .dal titolo esecutivo entro un termine non minore di 10 giorni , con l’ avvertimento che
in mancanza si procederà ad esecuzione forzata ».
Tale avvertimento è generico se preannuncia l’ espropriazione, è specifico se preannuncia l’
esecuzione specifica.
Sempre secondo quanto previsto dall’ art. 480 com. 2, il precetto deve contenere a pena di
nullità determinati requisiti:

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A) l’ indicazione delle parti del (futuro) processo esecutivo; per parti devono intendersi i
soggetti nei cui confronti si svolgerà effettivamente il processo, anche se diverse dalle parti
indicate nel titolo esecutivo
B) L’ indicazione della data di notificazione del titolo esecutivo se questa è fatta separatamente
e, se la legge lo richiede, la trascrizione integrale del titolo stesso.
Quest’ ultimo requisito è superato in due ipotesi:
1. quando il creditore si avvale della facoltà di redigere il precetto di seguito al titolo esecutivo
e di notificarlo insieme a questo
2. quando il titolo esecutivo è costituito da una cambiale o da altro titolo di credito. In questo
caso infatti, l’ art. 480 richiede la trascrizione integrale del titolo nel contesto del precetto.
Il precetto deve inoltre contenere, sebbene non a pena di nullità :
C) la dichiarazione di residenza o l’ elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice
competente per l’ esecuzione. In mancanza, l’ unica conseguenza è che le notificazioni alla
parte istante si fanno presso la cancelleria del giudice
D) nell’ esecuzione per consegna e rilascio, la descrizione sommaria di beni oggetto dell’
esecuzione
E) l’ intimidazione di adempiere l’ obbligo risultante dal titolo esecutivo entro un termine non
inferiore a 10 giorni, salva l’ autorizzazione all’ esecuzione immediata
F) l’ avvertimento che in mancanza di esecuzione forzata, si procederà ad esecuzione forzata.

RIASSUMENDO: IL PRECETTO INDIVIDUA:


- OGGETTO della prestazione dovuta sulla base del titolo esecutivo
- PARTI, quindi soggetti passivi ed attivi e paddivi della prestazione
- TERMINE entro il quale la parte obbligata può adempire spontaneamente alla prestazione
- AVVERTE L’ INTIMATO che, oltre il termine fissato, avrà inizio il processo di esecuzione fo0rzata

Il precetto è un atto recettizio , nel senso che non produce alcun effetto se non è notificato. La
notificazione del precetto consiste nella consegna al destinatario, da parte dell’ ufficiale giudiziario,
di una copia autentica del precetto .
Secondo quanto stabilito dall’ art. 479 com.2, così come da modifica legislativa, la notificazione del
titolo esecutivo va fatta alla parte personalmente a norma degli art. 137 ss.( vedi libro I ).
Il com. 3 del suddetto articolo stabilisce inoltre che “ Il precetto può essere redatto di seguito al
titolo esecutivo ed essere notificato insieme con questo, purché la notificazione sia fatta alla parte
personalmente “.
Nel caso di esecuzione contro gli eredi del debitore, ex art. 477, tra la notificazione del titolo e
quella del precetto, deve intercorrere un termine di 10 giorni.
Secondo quanto è stabilito dall’ art. 481, “ il precetto diventa inefficace, se nel termine di 90 giorni
dalla sua notificazione non è iniziata l’ esecuzione.
Inoltre,a norma dell’ art. 482, “ l’ esecuzione forzata non può essere iniziata prima che sia decorso
il termine che è indicato nel precetto e in ogni caso non prima che siano decorsi 10 giorni dalla
notificazione di esso; ma il presidente del tribunale competente per l’ esecuzione o un giudice da
lui delegato, se vi è pericolo di ritardo, può autorizzare l’ esecuzione immediata con o senza
cauzione “.
Sotto il codice del 1865, non c’ erano dubbi sul fatto che il precetto fosse un atto processuale, oggi
però le cose stanno diversamente.
Abbiamo infatti visto che il precetto è fuori del processo esecutivo, pur essendo un atto necessario
preordinato all’ esecuzione; è quindi in sé fortemente ambiguo, includendo tanto una natura
negoziale, quanto una natura processuale.
Gli aspetti stragiudiziali più evidenti sono nel fatto che esso consiste in una intimazione ad
adempiere, che individua la parte obbligata ma non il giudice dell’ esecuzione.

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Dall’ altro lato, prevalenti, sono gli elementi che giocano a favore della processualità dell’ atto:
innanzitutto il codice lo colloca all’ inizio della serie degli atti dell’ esecuzione, anche se questa
inizi solo successivamente ; esso è concepito come un atto processuale, ed è opponibile con gli
strumenti propri del processo esecutivo.
E’ quindi logico pensare che il precetto svolga una funzione di raccordo tra il titolo esecutivo ed il
processo di esecuzione, e ne consegue che esso non può essere considerato come un atto
introduttivo dell’ esecuzione, anche perché non completa, in tutti i suoi elementi, la stessa domanda
esecutiva, la quale presuppone, oltre all’ attività di intimazione, da rivolgersi nei confronti del
soggetto passivo, le attività di richiesta all’ ufficio esecutivo di dare concreto inizio alla singola
esecuzione.

5. - Termine ad adempiere e pagamento nelle mani dell’ ufficiale giudiziario

La parte alla quale , a norma dell’ art. 482 c.p.c., è stato notificato il precetto può, nel termine
assegnato, che comunque non dovrà essere inferiore a 10 giorni e salvo che il giudice non abbia
concesso l’ autorizzazione all’ esecuzione immediata « se vi è pericolo di ritardo », può :
a) adempiere spontaneamente, e in questo caso il processo di esecuzione non avrà
luogo
b) opporsi al precetto per ragioni formali o di merito, in questo caso è introdotto un
giudizio di cognizione che sospende il termine di efficacia del precetto, il quale
comincerà a decorrere, per la parte residua, dal passaggio in giudicato della sentenza
di primo grado oppure dalla comunicazione della sentenza di appello che rigetta l’
opposizione.
Quindi la notifica del titolo esecutivo e del precetto risponde alla duplice esigenza di favorire l’
esecuzione spontanea, e di consentire al debitore di contestare l’ azione esecutiva ancor prima che il
processo abbia inizio.
Inoltre solo nel processo di espropriazione forzata, al debitore è concessa un’ ultima possibilità di
evitare l’ inizio del processo con il pignoramento, che è un istituto disciplinato dall’ art. 494 comm.
1 e 2 , che rappresenta una ulteriore dimostrazione del fatto che il legislatore, considerando il
processo di esecuzione una estrema ratio, tende a favorire l’ adempimento spontaneo del debitore,
anche se sotto la minaccia degli atti esecutivi.
Nel momento in cui l’ ufficiale giudiziario si presenta al debitore per iniziare le procedure del
pignoramento, l’ intimato, che al momento non ha ancore assunto il ruolo di soggetto passivo dell’
espropriazione, può evitare il pignoramento in due modi:

1. o versando, nelle mani dell’ ufficiale giudiziario, la somma per cui si procede e l’
importo delle spese , con l’ incarico di consegnarli al creditore
( art. 494 c.p.c com.1 ).
“ All’ atto del versamento è inoltre possibile fare riserva di ripetere la somma versata ( art.
494 c.p.c. com.2 ) “
In questo modo, con il pagamento, il debitore evita non solo il pignoramento, ma anche l’
esecuzione forzata dato che il processo non avrà inizio, e si realizza così un effetto
liberatorio.
Va precisato che, se invece il debitore non adempie al pagamento della somma di denaro
nelle mani dell’ ufficiale giudiziario, ed il processo di espropriazione forzata inizia, non
sarà più libero di farlo

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2. oppure può versare nelle mani dell’ ufficiale giudiziario l’ importo del
credito o dei crediti per cui si procede e delle spese, aumentato dei 2/10 ( art. 494 com.2
); somma che non viene depositato nelle mani del creditore, ma resta depositata come
oggetto del pignoramento.

Il debitore ha inoltre la possibilità di chiedere all’ ufficiale giudiziario di procedere:

3. la conversione del pignoramento, regolato dall’ art. 495 c.p.c.


In questo caso il debitore, al fine di evitare che l’ ufficiale giudiziario proceda al
pignoramento del bene , chiede, in qualsiasi momento anteriore alla vendita, di
sostituire il bene con una somma di denaro pari, oltre alle spese di esecuzione, all’
importo dovuto, comprensivo del capitale, degli interessi e delle spese.
In questo modo il debitore si riserva la possibilità di contestare il debito, e di continuare
a disporre, nel frattempo, del bene.
In questo caso al contrario, la richiesta di conversione del debito da parte del debitore,
è indicativo del fatto che il pignoramento si è già perfezionato e che quindi il debitore
può chiedere solo la sostituzione dell’ oggetto, il che non determina l’ estinzione del
processo di esecuzione forzata, e non si ha quindi alcun effetto liberatorio.
A questo punto si pone un importante problema dottrinale, assai discusso ma poco pratico, su cosa
succede se l’ufficiale giudiziario prende i soldi e scappa.
E cioè si discute se il pagamento abbia un effetto di risoluzione del credito, quindi il rischio passa in
capo al creditore, oppure il rischio resti in capo al debitore.

Tendenzialmente il Prof. dice: dato che si tratta di una scelta del debitore è quest’ultimo che si
assume il rischio di tutta l’operazione, e quindi la responsabilità resta in capo al debitore dato che
quella somma non potrà mai essere imputata al creditore, che mai l’ha ricevuta.

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CAPITOLO TERZO

IL PIGNORAMENTO

Sezione Prima: Forme e tipi

1. Il pignoramento in generale
2. L’ impignorabilità
3. Pignoramento mobiliare diretto o presso il debitore
4. Pignoramento presso terzi
5. Pignoramento immobiliare
6. Espropriazione dei beni indivisi
7. Espropriazione presso i terzi proprietari

Sezione Terza: Vicende

15. Le vicende del pignoramento: pignoramento ad istanza di più creditori; pignoramento


successivo; riunione di pignoramenti; estensione del pignoramento
16. Altre vicende: A) la conversione del pignoramento
B) la riduzione del pignoramento
C) cessazione dell’m efficacia del pignoramento
18. Conversione del sequestro conservativo in pignoramento; intervento del creditore
sequestrante nel processo di espropriazione
19. Cumulo dei mezzi di espropriazione forzata

Sezione Prima

Forme e tipi

1.– Il pignoramento in generale

Secondo quanto previsto dall’ art. 491 c.p.c , il pignoramento è l’ atto attraverso il quale ha inizio l’
esecuzione forzata e consiste , in una complesso di attività processuali mirate a vincolare uno o più
beni del debitore alla soddisfazione, attraverso la loro liquidazione in danaro, del credito per il quale
il creditore o più creditori agiscono.
Il bene colpito da pignoramento non cessa di appartenere al patrimonio del debitore, né il debitore
perde, rispetto ad esso, il diritto di proprietà o il potere di disporre, e questo fino alla vendita forzata
o all’ assegnazione.
Questo vincolo giuridico, produce l’ effetto di rendere inefficaci nei confronti del creditore , gli atti
con i quali il debitore intende alienare le cose pignorate o comunque disporne giuridicamente.
La principale funzione del pignoramento è quella di individuare e di isolare i beni che diventano
oggetto di espropriazione forzata.
Il nostro codice attribuisce alla parte interessata, e quindi al creditore, l’ individuazione dei beni da
pignorare, senza alcuna collaborazione né di organi pubblici, né del debitore.

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Il sistema continua a considerare l’ espropriazione di beni immobili come la principale e più
redditizia forma di aggressione del patrimonio del debitore, oggi però l’ esperienza insegna che, al
contrario, la ricchezza più consistente è quella espressa dai valori mobiliari, la cui identificazione ed
aggressione non è ugualmente semplice.
Il legislatore propone da un lato forme particolari di pignoramento in relazione alle diverse
categorie di beni; dall’ altro, detta una norma generale per cui « il pignoramento consiste in un ‘
ingiunzione che l’ ufficiale giudiziario fa al debitore di astenersi da qualsiasi atto diretto a sottrarre
alla garanzia del credito esattamente indicato i beni che si assoggettano alla espropriazione e i frutti
di essi » .
L’ ingiunzione è garanzia sia per l’ esecutato, il quale viene formalmente informato dell’ esistenza
del vincolo e quindi che l’ esecuzione è iniziata (dunque eventuali atti di disposizione del bene non
saranno ad essa opponibili ), sia per il creditore che avvierà la formalizzazione del pignoramento.
E’ importante a tal riguardo il momento in cui essa è recepita o resa recepibile all’ esecutato, in
quanto da quel momento il debitore non potrà compiere atti di volontaria disposizione del bene, e
cioè non potrà sottrarre al processo di espropriazione ormai iniziato, il suo particolare oggetto.

2.– L’ impignorabilità

Il codice di procedura civile e speciali disposizioni di legge, individuano una particolare categoria
di beni che non possono formare oggetto di espropriazione forzata, e che di conseguenza
determinano una limitazione del principio della responsabilità patrimoniale del debitore.
Gli art. 514- 515- ( vedi codice ) indicano quali sono i beni mobili assolutamente impignorabili, l’
art. 515 indica quali sono i crediti impignorabili e tra essi si distingue una impignorabilità assoluta
ed una impignorabiltà relativa.
• L’ impignorabilità assoluta si giustifica per ragioni umanitarie ( fede nuziale, il letto ) o di
opportunità politico- amministrativa (cose sacre, vestiti,ecc).
Parte della dottrina ritiene che essa sia posta per ragione di interesse pubblico, e che come
tale risulti rilevabile d’ ufficio; ma l’ opinione dominante è orienata nell’ affermare che sia l’
impignorabilità assoluta che quella relativa, sono proposte nell’ esclusivo interesse del
debitore ,e pertanto spetta esclusivamente a quest’ ultimo dedurla in sede di opposizione all’
esecuzione.
• L’ impignorabilità relativa è invece connessa a mere ragioni di opportunità, valutate di
volta in volta dal giudice dell’ esecuzione.
E’ evidente che nelle ipotesi di impignorabilità relativa non c’è contestazione del diritto del
creditore di procedere ad esecuzione forzata, ma solo delle particolari modalità in cui l’
esecuzione ha avuto luogo.
Una particolare attenzione meritano “ gli strumenti , gli oggetti e i libri indispensabili per l’
esercizio della professione , dell’ arte o del mestiere del debitore “, in precedenza compresi tra i
beni “ assolutamente impignorabili “ di cui all’ art. 514 c.p.c., e indicati al n. 4 dello stesso articolo,
è stato di recente abrogato dalla legge di riforma delle esecuzioni mobiliari ( l. n. 52 del
03.02.2006).
Tale legge ha nel contempo introdotto un terzo comma all’ art. 515 c.p.c., che consente il
pignoramento dei beni indispensabili della professione, dell’ arte o del mestiere del debitore solo «
nei limiti di 1/5 , quando il presumibile valore di realizzo degli altri beni rinvenuti dall’ ufficiale
giudiziario o indicati dal debitore non appare sufficiente per la soddisfazione del credito », a
meno che il debitore sia costituito in forma societaria o che nelle sue attività risulti una prevalenza
del capitale investito sul lavoro.

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3.- Pignoramento mobiliare diretto o presso il debitore

Il pignoramento mobiliare diretto, o presso il debitore, è la forma più semplice di imposizione del
vincolo esecutivo . Esso si compone di un complesso di attività materiali e formali che vengono
documentate dall’ ufficiale giudiziario in un processo verbale richiesto ad substantiam actus.
E’ l’ unica forma di pignoramento in cui il creditore non ha l’ onere di indicare i beni da colpire,
infatti questa individuazione sarà compito dell’ ufficiale giudiziario, il quale, secondo quanto
stabilito dall’ art. 513 c.p.c., « munito di titolo esecutivo e del precetto, si presenta, su istanza anche
verbale del creditore, nella casa e negli altri luoghi appartenenti al debitore per ricercare le cose da
pignorare .
Lo stesso articolo, com. 2 , aggiunge che « l’ ufficiale giudiziario può procedere all’ individuazione
dei beni da pignorare anche sulla persone del debitore, a patto che ne rispetti il decoro »
Per casa del debitore si intende il luogo con cui il debitore ha una stabile relazione di fatto ( purché
non occasionale ) ovvero i luoghi in cui il debitore può liberamente accedere . Quindi il nostro
codice parla di relazione di fatto e non di relazione giuridica dello stesso debitore con il luogo in cui
i beni sono conservati.
SCELTA DELLE COSE DA PIGNORARE ( ART. 517 COMM. 1 . 2 ) « Il pignoramento deve essere eseguito
sulle cose che l’ ufficiale giudiziario ritiene di più facile e pronta liquidazione », sempre che il
valore realizzato sia pari all’ importo del credito aumentato della metà.
Va precisato che in passato il pignoramento, da parte dell’ ufficiale giudiziario, andava eseguito «
preferibilmente sulle cose indicate dal debitore stesso », oggi questa scelta è rimessa invece all’
ufficiale giudiziario ( art. 517 c.p.c. )
In ogni caso, nella scelta delle cose da pignorare l’ ufficiale giudiziario deve preferire: denaro
contante - oggetti preziosi - titoli di credito, e nel caso in cui il debitore voglia evitare il
pignoramento di cose particolari, l’ ufficiale giudiziario deve accettare, in loro sostituzione, una
somma di denaro pari all’ importo del credito per cui si procede e delle spese. ( art. 493 com. 3
c.p.c.).
Al fine di responsabilizzare il debitore la l. 52/2006 estende la sanzione penale prevista dall’ art.
388 per il reato di mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice « al debitore o all’
amministratore, direttore generale o liquidatore della società debitrice che, invitato dall’ ufficiale
giudiziario a indicare le cose o icrediti pignorabili, omette di rispondere nel termine di 15 giorni o
effettua una falsa dichiarazione ».
Quindi, secondo quanto previsto dall’ art. 518 c.p.c., l’ ufficiale giudiziario sceglie le cose da
pignorare e determina in modo approssimativo il loro presumibile valore di realizzo con l’
assistenza, se ritenuta utile o richiesta dal creditore, di uno stimatore esperto da lui scelto; subito
dopo redige un processo verbale delle sue operazioni.
Nel nuovo art. 518 compare una innovazione tecnologica, perché, nel redigere il verbale delle
operazioni, l’ ufficiale giudiziario può anche avvalersi, per la descrizione delle cose pignorate, di «
rappresentazioni fotografiche o di altro mezzo di ripresa audiovisiva ».
E con più precisione , l’ art. 519 c.p.c, prevede che il pignoramento non possa essere eseguito nei
giorni festivi né nelle ore notturne.
E’ inoltre previsto che al pignoramento si possa procedere in più riprese, cioè, pignorando
immediatamente ciò che è subito pignorabile e rinviando poi, non oltre i 30 giorni, per l’ ulteriore
individuazione dei beni.
Il processo verbale, il titolo esecutivo ed il precetto, devono essere depositati tempestivamente
( entro 24 ore dalle menzionate operazioni ) in cancelleria del tribunale competente ; il cancelliere
ricevuto tutto l’ incartamento decritto, forma il fascicolo dell’ esecuzione, il quale entro 2 giorni,
dovrà essere presentato al Presidente del Tribunale affinché questi nei 2 giorni successivi, designi il
giudice competente per l’ esecuzione.
BENI IN POSSESSO DEL TERZO Può accadere che i beni mobili da pignorare, pur essendo di proprietà
del debitore, si trovino in possesso di un terzo, in questo caso si possono presentare due possibilità:

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1. se il terzo consente all’ esibizione del bene, si procederà tranquillamente al normale
pignoramento mobiliare
2. se invece il terzo si oppone all’ esibizione del bene , si procederà alla più complessa
procedura di pignoramento presso terzi
Una volta individuate le cose da pignorare, l’ ufficiale giudiziario procede alla stesura di un
processo verbale di tutte le operazioni da lui compiute, e dovrà anche determinare
approssimativamente il valore delle cose pignorate.
Il processo verbale, poi, insieme al precetto e al titolo esecutivo, dovrà essere depositato in
cancelleria entro 24 ore dal compimento del pignoramento.
Se il debitore è presente riceve l’ ingiunzione formale, altrimenti essa è rivolta alle persone di
famiglia o a quelle addette alla casa, all’ ufficio o all’ azienda; in mancanza anche di questi soggetti,
l’ ufficiale lascia un avviso dell’ ingiunzione, e del compiuto pignoramento, sulla porta dell’
immobile.
Naturalmente le cose nobili soggette a pignoramento, hanno bisogno di essere custodite per tutta la
durata del processo esecutivo.
A norma dell’ ari. 520 c.p.c. , il denaro, i preziosi e titolo di credito sono custoditi dal cancelliere, le
altre cose sono portate in pubblico deposito, o affidate ad un custode, il quale le può conservare
nell’ immobile in cui sono state pignorate, o trasportarle altrove.
Premesso che custode del bene non possa essere né il creditore ( o il suo coniuge ) , né il debitore
stesso ( o i familiari con lui conviventi ) salvo che vi sia il consenso rispettivamente del debitore o
del creditore, è bene precisare che questi soggetti non hanno diritto a nessun compenso, mentre
negli altri casi il compenso potrà essere riconosciuto dall’ ufficiale giudiziario al custode che lo ha
chiesto all’ atto della nomina
. Comunque il custode dovrà usare la diligenza del buon padre di famiglia, non potrà utilizzare i
beni senza l’ autorizzazione del giudice ed è tenuto a fornire rendiconti, e la violazione di uno di
questi doveri comporterà l’ applicazione al custode di sanzioni penali.
Ci si chiede: che cosa succede se il valore del bene pignorato è superiore al valore del preteso
credito? In questo caso interviene in aiuto l’ art. 510, il quale dispone che, se dopo la vendita del
bene , e l’ eventuale soddisfazione del creditore, dovesse esserci un residuo, quest’ ultimo dovrà
essere consegnato al debitore.
Da quanto detto si evince che, il pignoramento mobiliare deve essere commisurato all’ entità del
credito, e quindi l’ ufficiale giudiziario deve chiudere il pignoramento, quando in base ad una stima
delle cose pignorate, sia stato assicurato il necessario per la soddisfazione del pignorante e il
pagamento delle spese di procedura.
Può inoltre verificarsi che nel momento in cui l’ ufficiale giudiziario si reca nei luoghi del debitore,
trovi sul posto un’ altro ufficiale giudiziario che sta procedendo ad un diverso pignoramento ad
istanza di altro creditore .
In questo caso, l’ art. 523 c.p.c., che propone la cosiddetta unione di pignoramento, dispone che i
due ufficiali procedano insieme, redigendo un unico verbale.
L’art. 524 c.p.c., al contrario regola un caso diverso, cioè quello del pignoramento successivo.
Nel caso in cui l’ ufficiale giudiziario trovi un pignoramento già compiuto , ne dà notizia nel
processo verbale, descrivendo i beni precedentemente pignorati e pignora, qualora sia possibile,
altri beni.

4. - Pignoramento presso terzi

Il pignoramento presso terzi rappresenta senza dubbio la forma più complessa regolata dal codice.
Questa forma di pignoramento si ha quando il debitore vanta un credito nei confronti di un terzo,
chiamato debitor debitoris, o anche quando determinati beni del debitore si trovano in possesso di
un terzo; va sottolineato che deve trattarsi di cose determinate, in quanto il creditore procedente
deve fornire , nell’ atto di pignoramento, « l’ indicazione, almeno generica, delle cose o delle

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somme dovute », così come stabilito nell’ art. 543 com. 2, n. 2 . ( diversamente da quanto previsto
per il pignoramento mobiliare, per il quale l’ individuazione dei beni sottoposti a pignoramento, non
è affidata al creditore ma bensì all ‘ufficiale giudiziario che procede al pignoramento stesso ).
La particolare struttura del pignoramento è incentrata sulla figura del terzo, che pur essendo
debitore dell’ esecutato, e quindi debitor debitoris del creditore, resta estraneo all’ esecuzione, in
quanto questa qualità non risulta accertata in nessun modo. E’ da escludersi qualsiasi possibilità di
aggressione diretta del terzo, e questo sia perché il terzo non è soggetto passivo dell’ esecuzione, sia
perché questo tipo di pignoramento per potersi perfezionare, ha bisogno che il rapporto, di fatto e
giuridico, esistente tra il debitore ed il terzo sia sottoposto ad accertamento, tranne ovviamente il
caso in cui il terzo ammetta l’ esistenza del credito.
Quindi il terzo debitor debitoris rimane estraneo alla procedura esecutiva, e la notificazione del
titolo esecutivo e del precetto viene compiuta solo nei confronti del debitore e non anche nei
confronti del terzo debitor debitoris..
Detto questo , và però precisato che, al terzo debitor debitoris ed al debitore, deve essere notificato
l’ atto di pignoramento , il quale deve contenere, a norma
dell’ art. 543 com. 2 :
1. l’ indicazione del credito per il quale si procede, del titolo esecutivo e del precetto
2. l’ indicazione , almeno generica, delle cose o delle somme dovute e l’ intimazione al terzo di
non disporne senza ordine del giudice
3. la dichiarazione di residenza o l’ elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il
Tribunale competente
4. la citazione del terzo e del debitore a comparire davanti al giudice del luogo di residenza del
terzo, affinché questa faccia la dichiarazione di cui all’ art. 547 e il debitore sia presente alla
dichiarazione e agli atti ulteriori, con invito al terzo a comparire quando il pignoramento
riguarda i creditizi cui all’ art. 545, commi 3° e 4°, e negli altri casi a comunicare la
dichiarazione di cui all’ art. 547 al creditore procedente entro 10 giorni a mezzo
raccomandata

Dopo la notificazione al terzo dell’ atto di pignoramento, dovrebbe aver luogo l’ udienza di
comparizione del terzo, durante la quale raccogliere la dichiarazione del terzo stesso. E, a questo
punto, si possono verificare diversi possibili scenari:

A. il terzo si presenta in udienza e rende dichiarazione positiva, ammettendo, nei casi


consentiti, anche a mezzo raccomandata, di essere debitore delle cose e delle somme
indicate, chiarendo che il terzo può rendere la dichiarazione personalmente o a mezzo di
procuratore speciale o del difensore munito di procura speciale.
In questo caso il pignoramento si perfezionerà nell’ oggetto ed il processo di
espropriazione proseguirà senza intoppi.
Il terzo deve inoltre dichirare se sono già stati eseguiti sequestri sui beni, e le eventuali
cessioni che gli sono state notificate o che ha accettato; in conseguenza il creditore
pignorante chiamerà nel processo il sequestrante, nel termine perentorio fissato dal giudice.
Il terzo deve ancora , dichiarare se sono stati già eseguiti pignoramenti presso di lui; si
applica in questa ipotesi la disciplina del pignoramento successivo, stabilita per il
pignoramento mobiliare,

B. il terzo non compare all’ udienza oppure comparendo rifiuta di rendere una
dichiarazione

C. il terzo compare in udienza ma dichiara di non essere debitore di nulla

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D. infine, il terzo compare in udienza e rende dichiarazione positiva, ammettendo di essere
debitore, ma, tuttavia sulla sua dichiarazione sorgono delle contestazioni ( contestata
dichiarazione )

Per tutte queste ipotesi , tranne la prima, nasce la necessità di appurare la realtà dei fatti,
procedendo ad un accertamento giudiziale.
A questo proposito , l’ art. 548 c.p.c. prevede che …il giudice istruttore, su istanza di parte,
provvede all’ istruzione della causa a norma del libro secondo, e che la definisca con sentenza
( art. 549 ).
Durante la causa il processo di esecuzione è sospeso ex lege.
Dopo la causa di accertamento , potranno aprirsi due possibilità:
1. se il giudice accerta l’ esistenza dell’ obbligo in capo al debitor debitoris, il pignoramento si
perfeziona e il giudice assegnerà alle parti un termine perentorio per consentire la
prosecuzione del processo esecutivo
2. se, invece, il giudice accerta l’ inesistenza dell’ obbligo del terzo, il pignoramento avrà
avuto esito negativo e verranno meno anche i suoi e4ffetti preliminari.
Per quanto riguarda gli effetti preliminari :
 dal momento della notificazione dell’ atto, il debitore, in virtù dell’ ingiunzione, non potrà
disporre liberamente del bene
 il terzo debitore, non potrà adempiere liberamente i suoi obblighi ( quindi non potrà pagare
il debito, se scaduto, né riconsegnare al destinatario ilbene mobile in suo possesso ) e sarà
invece soggetto agli obblighi che la legge impone al custode-
La modificazione più importante proposta per la disciplina sull’ espropriazione presso terzi, è
contenuta nell’art. 546 c.p.c., il quale fissa un limite oltre il quale non è possibile pignorare, ed è
quello dell’ importo precettato aumentato della metà.
Né è consentito al creditore di eludere la disposizione eseguendo più pignoramenti presso terzi,
perché, se facesse ciò, il debitore potrebbe chiederne la riduzione proporzionale o la dichiarazione
di insufficienza di alcuni di essi, provvedimento che il giudice dell’ esecuzione darebbe con
ordinanza , sentite le parti.
Non da meno va considerato un problema particolare che è quello relativo all’oggetto del
pignoramento, quando il credito considerato consista in prestazioni periodiche.
Potrebbe succedere che, per un credito di cinquanta, venga pignorato uno stipendio, e che quindi il
giudice assegni una quota di questo stipendio fino alla copertura dell’ importo dei cinquanta.

5.- Pignoramento immobiliare

Il pignoramento immobiliare ha inizio con la notificazione al debitore, da parte del creditore, dell’
atto di pignoramento ( da parte dell’ ufficiale giudiziario), il quale deve contenere l’ esatta
descrizione dell’ immobile che si intende pignorare..
Il codice prevede all’ art. 555 com. 2 c.p.c. che, subito dopo la notificazione dell’ atto di
pignoramento, l’ ufficiale giudiziario o il creditore pignorante, dovrà provvedere a far trascrivere
tale atto nei registri immobiliari.( art. 555 c.p.c. ).
La particolarità del pignoramento immobiliare consiste nel fatto che, in tal caso, la trascrizione ha
efficacia costitutiva e non meramente dichiarativa.
Ed infatti, anche dalla lettura del nostro codice, si capisce che il momento perfezionativo del
pignoramento immobiliare si ha all’ atto della trascrizione e non nel momento della notificazione
dell’ atto di pignoramento.

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A conferma di quanto detto, facciamo riferimento all’ art. 2917 c.c., il quale stabilisce che “ non
hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti, le alienazioni di
beni immobili che siano state trascritte dopo il pignoramento, anche se, in realtà, teli alienazioni
sono anteriori al pignoramento“.
Questo significa che affinché il pignoramento immobiliare produca i suoi effetti, è rilevante il
momento della trascrizione.
Quindi se il debitore vende ad un terzo il bene immobile pignorato e riesce a far trascrivere questa
vendita prima che venga trascritto l’ atto di pignoramento, tale alienazione sarebbe valida ed
efficace a tutti gli effetti, e farebbe salvi i diritti acquisiti dal terzo compratore. Ovviamente resta
ferma la responsabilità penale di cui dovrebbe rispondere il debitore esecutato.
L’ importanza della trascrizione dell’ atto dui pignoramento è confermata dall’ art.497 c.p.c ,
secondo il quale “ il pignoramento perde efficacia quando dal suo compimento sono trascorsi 90
giorni senza che sia stata richiesta l’ assegnazione o la vendita “.
Per quanto riguarda poi la custodia del bene immobile, l’ art. 559 c.p.c, prevede che :
com. 1 ): normalmente “ col pignoramento il debitore è costituito custode dei beni pignorati e di
tutti gli accessori, compresi le pertinenze e i frutti, senza diritto a compenso “
com. 2 ): “ su istanza del creditore pignorante o di un creditore intervenuto, il giudice dell’
esecuzione, sentito il debitore, può nominare custode una persona diversa dallo stesso debitore
“. Precisando però che “ il giudice provvede a nominare una persona diversa quando l’
immobile non sia occupato dal debitore “
com. 4 ): quando l’ immobile è occupato da un terzo, il custode non può essere il debitore e
che, quando è occupato da quest’ ultimo, il giudice deve sostituirlo con la persona incaricata
della vendita o con l’ istituto incaricato della vendita agli incanti al momento in cui autorizza la
vendita.
E questo sia per assicurare le rendite ricavabili dall’ uso del bene, sia allo scopo di chiarire che il
fatto che si lasci il debitore nell’ immobile, è giustificato dal fatto che egli ne è mero detentore,
tenuto al rilascio appena ne sia fatta richiesta.
Infatti quando il giudice provvede all’ assegnazione dell’ immobile dispone, con provvedimento
esecutivo e non impugnabile, la liberazione dell’ immobile pignorato, legittimando il custode a
farne eseguire il rilascio.
Infine è bene ricordare che, anche il pignoramento immobiliare può assumere le caratteristiche del
pignoramento successivo ( art. 561 c.p.c. ), il quale si ha in quanto il conservatore dei registri
immobiliari, al momento della trascrizione dell’ atto di pignoramento, costati che sullo stesso
immobile è già stato eseguito un’ altro pignoramento.
Anche in questo caso, come abbiamo già visto per il pignoramento mobiliare, il secondo
pignoramento assumerà la forma dell’ intervento tempestivo o tardivo, a seconda che esso risulti
compiuto prima o dopo l’ udienza per l’ autorizzazione della vendita.

6.- Espropriazione dei beni indivisi

Può accadere che il debitore non abbia sui beni un diritto di natura esclusiva, ma che il bene
considerato sia in regime di comproprietà o comunione con altri titolari.
In questo caso il codice permette il pignoramento della porzione o quota che spetta al debitore,
attraverso una procedura particolare regolata dall’ art. 599 c.p.c., il quale prevede che l’ atto di
pignoramento va notificato solo al debitore ma, di tale atto, deve essere dato avviso anche agli altri
comproprietari, ai quali, è vietato lasciar separare dal debitore la sua parte o quota del bene senza
ordine del giudice.
Il pignoramento non avrà ad oggetto l’ intero bene, ma esclusivamente la quota spettante all’
esecutato; gli altri comproprietari quindi, non sono considerati soggetti passivi dell’ espropriazione ,
ma la loro posizione viene considerata dal legislatore solo per escludere che essi, con atti volontari

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successivi all’ imposizione del vincolo, possano sciogliere la comunione sottraendo così al processo
esecutivo il suo oggetto. Questa posizione è facilmente desumibile anche dalla letture del 2 com.
dell’ art. 599, il quale fa capire che l’ avviso ai comproprietari deve essere notificato dopo la
trascrizione dell’ atto di pignoramento e quindi, solo dopo che il pignoramento si sia perfezionato.
Sulla reale portata dell’ avviso ai contitolari la dottrina è piuttosto divisa, infatti c’è chi parla di
efficacia meramente notiziole di un pignoramento già compiuto , e chi invece parla di efficacia
costitutiva di un vero e proprio vincolo su di un bene che, prima della divisione , appartiene ad un
soggetto diverso dall’ esecutato.
Tuttavia Verde il legislatore ha costruito l’ avviso ai contitolari come ad un atto accessorio ad una
fattispecie che si completa mediante il compimento di singole formalità richieste in relazione del
bene pignorato.
La particolare situazione collegata alla con titolarità non si limita a determinare gli atti iniziali del
processo, ma è connessa anche al successivo sviluppo del processo.
Infatti il giudice dell’ esecuzione, su istanza del creditore pignorante o dei contitolari, e sentiti tutti
gli interessati, deve provvedere, se possibile, alla separazione della quota spettante in natura al
debitore.
Va precisato che la divisione deve essere esclusa qualora pur essendo matematicamente possibile,
determini un deprezzamento del bene.
Quindi in questa delicata operazione di divisione il giudice deve cercare di tutelare non solo gli
interessi del creditore procedente, ma anche dei contitolari, i quali non possono subire un danno
ingiusto.
Qualora la divisione non sia possibile, il giudice ordina la vendita della quota indivisa, o disporre
che si proceda alla divisione.
Quando occorre der luogo alla divisione, il processo di esecuzione rimane sospeso fino a quando
non si arriverà ad un accordo tra le parti ovvero non sia pronunciata sentenza avente i requisiti di
cui all’ art. 627 c.p.c
Art. 627 “ Il processo esecutivo deve essere riassunto con ricorso nel termine perentorio fissato
dal giudice dell’ esecuzione e, in ogni caso, non più tardi di 6 mesi dal passaggio in giudicato della
sentenza di primo grado o dalla comunicazione della sentenza d’ appello che rigetta l’ opposizione,

7.- Espropriazione contro il terzo proprietario

L espropriazione contro il terzo proprietario è caratterizzato dal fatto che l’ esecuzione promossa nei
confronti del debitore, aggredisce beni appartenenti ad un terzo proprietario, che siano stati
vincolati a garanzia dell’ iobbligazione del debitore.
Si parla a questo proposito di responsabilità « senza debito », volendo sottolineare che l’
esecuzione riguarda il bene particolare , e non il soggetto che ne è proprietario.
E’ concettualmente difficile definire la figura del terzo proprietario, in quanto, egli non è il « terzo »
di cui si parla nell’ art.619 ( cioè colui che pretende di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni
pignorati ), perché il terzo subisce illecitamente l’ esecuzione, e la sua opposizione è appunto volta
a dichiarare l’ ingiusta aggressione di beni che, non appartenendo al debitore ma al terzo, non
possono essere oggetto di espropriazione..
Il terzo di cui qui parlamo0 è colui che:
• subisce legittimamente l’ esecuzione , al punto che gli viene attribuito il posto che
normalmente è dell’ esecutato ;
• riceve, insieme al debitore, la notifica del titolo esecutivo e del precetto;
• gli atti esecutivi sono compiuti nei confronti del terzo proprietario e non nei confronti del
debitore
• il terzo è sentito tutte le volte in cui è sentito il debitore

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L’ unica differenza è che il terzo proprietario è ammesso a fare offerte all’ incanto, a norma dell’
art. 579.
Da quanto detto, e secondo quanto detto da Verde, soggetto passivo dell’ esecuzione è sia il terzo
proprietario che il debitore, anche se a diverso titolo:
- il terzo perché proprietario del bene concretamente aggredito
- il debitore in quanto tale
Il codice individua situazioni tipiche in cui si realizza l’ istituto della responsabilità senza debito:
1. in caso di pegno per debito altrui
2. in caso di ipoteca per debito altrui
3. in caso di vendita del bene da parte del debitore revocata per frode
Quindi dato che pegno ed ipoteca sono forme di garanzia caratterizzate dal rapporto reale col bene e
non personale con col proprietario, essi hanno diritto di seguito e quindi terzo proprietario potrà
essere non solo il soggetto che ha costituito la garanzia, ma anche il soggetto che ha acquisito il
bene da essa gravato.
Esiste un caso particolare di terzo proprietario , che quello del terzo che diventa tale “ dopo “ il
pignoramento, dato che normalmente la posizione del terzo proprietario viene individuata “ nel
momento “ in cui si compie il pignoramento.
Che cosa succede in questo caso?
Chiamata ad esprimersi sull’ argomento , la Corte di Cassazione , ha sostenuto che , in questo caso ,
il terzo che acquista il bene già pignorato, assume la veste di successore a titoloa particolare nel
diritto controverso ( art.111 ), quindi di vero e proprio esecutato, e in quanto tale acquista il potere
di potere di svolgere tutte le opposizioni cui risulta legittimato il soggetto passivo dell’ esecuzione.
Tuttavia secondo Verde questa posizione non può essere condivisa, in quanto finisce col confondere
la figura del terzo proprietario , che come tale deve essere individuato dal pignoramento, con quella
di chi assume la qualità di proprietario acquistando un bene su cui già grava il vincolo di
destinazione alle finalità esecutive.
Il terzo proprietario, di cui all’ art. 602 c.p.c., ha la possibilità di far venir meno l’ oggetto del
processo non in quanto terzo, ma nel rispetto degli stesi limiti riservati al debitore esecutato.
Egli può:
1. evitare il pignoramento pagando nelle mani dell’ ufficiale giudiziario il debito altrui ( art.
494 )
2. liberare il bene chiedendo la conversione del pignoramento ( art. 495 )
3. proporre le normali opposizioni spettanti al debitore
4. non potrà subire aggressioni del suo bene da parte di altri creditori del debitore diversi dal
creditore pignorante, in quanto la qualità di soggetto passivo dell’ esecuzione del terzo
proprietario rileva solo nei confronti del creditore pignorante
5. infine l’ eventuale residuo della somma ricavata con la vendita del bene, sarà consegnato al
terzo e non al debitore , in quanto è il terzo ad aver subito l’ espropriazione ( art. 510 )

Sezione Terza
VICENDE DEL PIGNORAMENTO

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16.- PIGNORAMENTO AD ISTANZA DI PIU’ CREDITORI:

ART 493 : “ più creditori possono con un unico pignoramento colpire il medesimo bene: si
parla in tal caso di pignoramento a istanza di più creditori “,
ossia di un vero e proprio atto concorsuale, il cui compimento presuppone in tutti i creditori
concorrenti, il possesso del titolo esecutivo e la cui ratio risiede nell’opportunità di dare al
pignoramento ab inizio una estensione tale da garantire la soddisfazione di tutti i pignoranti
concorsuali.
La norma disciplina il concorso di più azioni esecutive sul medesimo bene distinguendo tra:
- CONCORSO ORIGINARIO: che si verifica quanto più creditori abbiano proceduto
contestualmente ad un unico pignoramento (primo comma) e
- CONCORSO SUCCESSIVO: che concerne l’ipotesi in cui il medesimo bene venga colpito da
due diversi pignoramenti.
Esso è eseguito ad istanza di più creditori che possono essere muniti anche di titolo esecutivi diversi
e trova applicazione in ogni tipo di espropriazione. Dal punto di vista formale il pignoramento
cumulativo è da ritenersi unico perché eventuali vizi del pignoramento ( es incompetenza
dell’ufficiale giudiziario) lo rendono invalido nei confronti di tutti i creditori; sotto il profilo
sostanziale le varie azioni esecutive rimangono distinte: l’indipendenza di ogni pignoramento vuol
dire che i vari creditori hanno in comune tra loro il solo atto di pignoramento.
Questo vuol dire che ogni creditore conserva la titolarità della propria azione esecutiva e potrà
provocare singolarmente, tutti gli ulteriori atti esecutivi occorrenti, senza tener conto di ciò che
faranno gli altri creditori concorrenti.

UNIONE DEI PIGNORAMENTI


ART 523: l’ipotesi qui prevista si differenzia da quella del 493 in quanto mentre in quest’ultima si
fa riferimento ad un unico pignoramento posto in essere da più creditori, la norma in esame
disciplina il caso di due distinti pignoramenti che sono collegati solo dal fatto che un ufficiale
giudiziario, trovando un pignoramento già iniziato da altro ufficiale giudiziario,continua le
operazioni con lui, dando luogo al compimento di un unico atto.

PIGNORAMENTO SUCCESSIVO
ART 524: “l’ufficiale giudiziario,che trova un pignoramento già compiuto, né da atto nel processo
verbale descrivendo i mobili precedentemente pignorati e quindi procede al pignoramento degli
altri beni o da constare nel processo verbale che non ve ne sono”.
Si può dire che il pignoramento successivo può essere:
- TEMPESTIVO: che consente al creditore chirografario di concorrere sul ricavato della
vendita del bene insieme al creditore pignorante.
- TARDIVO: per cui il credito del creditore chirografario verrà soddisfatto sulla parte del
ricavato che residua dopo aver soddisfatto le ragioni del creditore pignorante e degli altri
creditori tempestivi.
Vi è parallelismo tra EFFETTI DEL PIGNORAMENTO SUCCESSIVO e INTERVENTO
NELL’ESPROPRIAZIONE:
- la differenza determinante tra le due situazioni processuali sta nel fatto che la posizione
dell’interventore è sempre dipendente dalla validità dell’atto iniziale del processo(il pignoramento
che avvia e sorregge l’intera esecuzione), mentre nel caso del pignoramento successivo ogni atto
esecutivo ha effetto indipendente e dunque caduto il primo , non si avrà caducazione
dell’espropriazione che potrà essere sorretta dal secondo pignoramento.

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Questo non vuol dire che il secondo o il successivo pignorante non abbia interesse alla validità del
primo pignoramento:
- se gli effetti sostanziali decorreranno, per tutti i pignoranti successivi come pure per gli
intervenienti dalla data del primo pignoramento, una volta caducato quest’ultimo gli effetti
sostanziali decorreranno dalla data del primo dei pignoramenti successivi;
- e se il debitore aliena il bene pignorato con atto opponibile alla procedura, perché di data
anteriore al primo dei pignoramenti successivi si avrà egualmente caducazione
dell’esecuzione in quanto l’atto del pignoramento, che dovrebbe sorreggere l’esecuzione,
avrà in realtà colpito un bene già legittimamente uscito dal patrimonio dell’esecutato.
Il pignoramento successivo può essere effettuato dallo stesso creditore procedente anche per lo
stesso credito per il quale è stato già eseguito il primo pignoramento: il bene vincolato è sempre lo
stesso e il secondo pignoramento potrà avere la funzione di cautelare il procedente dinanzi ad
eventuali invalidità del primo( es. contro il primo pignoramento è proposta opposizione agli atti
esecutivi per invalidità, il creditore colpisce nuovamente lo stesso bene per porsi al riparo da
eventuali iniziative del debitore volte a sottrarre il bene all’esecuzione traendo vantaggio dalla
caducazione del primo vincolo.)

ESTENSIONE DEL PIGNORAMENTO ART 527


“ Il creditore primo pignorante nell’espropriazione mobiliare, nei 5 giorni successivi alla
comunicazione fattagli dal cancelliere dello spiegato intervento, può indicare ai creditori intervenuti
l’esistenza di altri beni utilmente pignorabili, chiedendo l’anticipazione delle spese necessarie per
l’estensione, qualora gli intervenuti non siano in possesso di titolo esecutivo. Se i creditori
intervenuti non si giovano dell’indicazione senza giusto motivo o se comunque non rispondono
all’invito entro 10 giorni, il pignorante acquista il diritto di essere a loro preferito in sede di
distribuzione “

In base a questo meccanismo il creditore pignorante acquisisce una CAUSA DI PRELAZIONE di


origine processuale.
Nel caso di avvenuta estensione e cioè quando c’è un nuovo pignoramento da parte degli intervenuti
in possesso di titolo o l’ulteriore esercizio dell’azione esecutiva da parte del primo pignorante
quando gli intervenuti siano sforniti di titolo, il pignoramento acquisterà una estensione tale da
garantire la piena soddisfazione di tutti i concorrenti.
Il problema che pone l’istituto è quello relativo alle forme di tutela di cui il debitore può disporre
nei confronti dell’avvenuta estensione.
.-. in caso di esercizio dell’azione esecutiva da parte dell’interventore munito di titolo, il rimedio
non potrà che essere l’opposizione all’esecuzione, essendovi dinanzi ad una nuova azione esecutiva
che trova la propria giustificazione nel possesso di un autonomo titolo esecutivo
.-. dubbi sorgono quando c’è un ulteriore esercizio dell’azione esecutiva da parte del creditore
primo pignorante, perché il presupposto dell’estensione è nell’intervento di un creditore la cui
azione è soggetta ai fondamentali requisiti di legittimazione previsti dal 525(esistenza di un credito
certo liquido ed esigibile).
Ci si chiede nel caso della estensione quale sia l’OGGETTO DELL’OPPOSIZIONE(esistenza
dell’azione esecutiva o esistenza dei requisiti di legittimità dell’intervento) e quale sia IL TIPO DI
OPPOSIZIONE da proporre:
1. la giurisprudenza ammette sia l’opposizione all’esecuzione che l’opposizione agli atti
esecutivi ;
2. PER VERDE il tipo di opposizione va differenziato a seconda del tipo di atto del processo
esecutivo di cui si lamenta l’ingiustizia: allora contro l’ulteriore esercizio dell’azione
esecutiva da parte del primo pignorante potrebbe essere esperita L’OPPOSIZIONE
ALL’ESECUZIONE; contro l’intervento spiegato dal creditore sfornito di titolo

29
esecutivo,atti che ha messo in moto il meccanismo dell’estensione,va esperita
immediatamente L’OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI.
Tra l’altro seguendo l’impostazione giurisprudenziale se il presupposto è l’intervento sembra
contraddittorio affermare che tale presupposto può essere contestato con l’opposizione agli atti
esecutivi e che la conseguenza, estensione, può essere oggetto di opposizione di merito; più
coerente è ridurre tutto a opposizione di forma, che abbia però il risultato concreto di realizzare non
solo l’estromissione del creditore ma anche la caducazione dell’avvenuta estensione.

17.- ALTRE VICENDE: A) La conversione del pignoramento ;


B) La riduzione del pignoramento;
C)Cessazione dell’ efficacia del pignoramento

A) LA CONVERSIONE DEL PIGNORAMENTO ART 495,


il quale prevede la possibilità per il debitore esecutato in qualsiasi momento anteriore alla vendita,
di chiedere di sostituire al compendio pignorato (cose o crediti) con una somma di denaro pari oltre
alle spese di esecuzione, all’importo dovuto al creditore pignorante e ai creditori
intervenuti,comprensivo del capitale degli interessi e delle spese.
La conversione del pignoramento sta ad indicare che un pignoramento si è già avuto e ha colpito un
bene del debitore, nel corso del processo però questo bene non è stato ancora venduto: il debitore ha
in questo caso il diritto di chiedere al giudice, previa istanza, di trasformare l’oggetto del
pignoramento, ossia di togliere il bene che è stato pignorato e di sostituirlo con una somma di
denaro.
La somma da sostituire ai beni pignorati è determinata dal giudice con ordinanza sentite le parti:
con l’ordinanza, che ammette la sostituzione, il giudice dispone che le cose pignorate siano liberate
dal pignoramento e che la somma versata, che comunque non deve essere inferiore a 1/5 del credito
dovuto, vi sia sottoposta in loro vece. Qualora il debitore ometta il versamento dell’importo
determinato dal giudice ovvero ritardi di oltre 15 giorni il versamento anche di una sola delle rate, ai
sensi del terzo comma, la somma inizialmente versata, a pena di inammissibilità, unitamente alla
presentazione dell’istanza forma parte dei beni pignorati. L’istanza può essere avanzata una sola
volta a pena di inammissibilità fino a quando il giudice non abbia emesso l’ordinanza che dispone la
vendita o l’assegnazione.
Si noti che il procedimento di conversione si traduce in una sorta di esito alternativo del processo di
esecuzione perché a seguito di esso viene meno la necessità non solo della vendita ma anche della
distribuzione forzata. Nel procedimento di conversione l’interesse del debitore è quello di liberare il
bene, e la sua istanza liquidativa, introduce un sub procedimento volto alla diretta soddisfazione
degli effettivi creditori senza la mediazione delle fasi della liquidazione e di distribuzione.
L’interesse dei creditori è quello di ottenere la soddisfazione di ognuno del proprio credito senza
possibilità di contestazione di altrui collocazioni e quindi degli altrui crediti. Ogni creditore finisce
così per giocare con il debitore una partita individuale di per sé estranea alla logica concorsuale.
L’unico problema da risolvere è quello di individuare il giusto importo della conversione e tale
determinazione nel contraddittorio di tutti gli interessati, sarà necessariamente qualcosa di simile ad
un accertamento delle singole ragioni di credito fatte valere a vario titolo nel processo.
Ciò spiega la ragione per cui l’ordinanza 495 terzo comma pur essendo un atto esecutivo, cioè un
atto del processo di esecuzione,è al tempo stesso un atto a sostanziale contenuto di accertamento,
cioè un atto che implica la risoluzione di questioni di merito non limitate al mero scontro di
ritualità.

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Dinanzi alla contestazione del debitore che chiede sì di pagare ma di pagare solo ai creditori
effettivi e nell’effettiva misura del loro credito, il giudice dell’esecuzione deve avviare una indagine
sommaria, parziale superficiale e incompleta che gli consenta di stabilire con approssimativa
certezza la somma che il debitore deve versare per la liberazione del bene.
La giurisprudenza ha affermato principi ormai sicuri:
- che in sede di conversione il debitore è legittimato a proporre opposizione all’esecuzione nei
confronti di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo, perché tale opposizione è esperibile in
ogni momento del processo esecutivo, a prescindere dal compimento di un atto determinato;
- quanto ai creditori sforniti di titolo, il debitore è ammesso a contestare la loro legittimazione
ad intervenire (titolarità di un diritto certo liquido ed esigibile), che deve risultare dalla
produzione di una prova documentale del creditore;
- l’ordinanza del giudice dell’esecuzione è sempre soggetta all’opposizione agli atti esecutivi,
che è il vero rimedio di chiusura,utilizzabile quando non siano disponibili rimedi
specializzati;
- non solo il debitore ma anche il creditore potrà contestare il contenuto del provvedimento di
conversione: si pensi al caso in cui, sentito il debitore, il giudice accerti che vi è stato un
pagamento parziale o che il documento prodotto si riferisce ad una diversa vicenda
contrattuale, e dunque ammette il credito in sede di conversione in misura inferiore rispetto
a quella dichiarata dall’interventore nell’atto di cui all’art 499(intervento). Si tratta di una
soluzione di compromesso alla quale la giurisprudenza è pervenuta cercando di assicurare da
un lato l’esigenza di un controllo sugli interventi dei creditori sforniti di titolo esecutivo e
dall’altro di non introdurre nel processo esecutivo una vera e propria fase incidentale di
cognizione ordinaria e sommaria che il legislatore sembrerebbe voler escludere in questo
caso in cui ai fini del compimento dell’atto esecutivo si tratta di dar luogo ad una
ricognizione anche se superficiale del complesso dei crediti in concorso.
Una volta determinata la somma da sostituire al bene pignorato, i singoli importi saranno liquidati
ai creditori aventi diritto senza da luogo ad una graduazione; ogni contestazione in merito rientrerà
nell’opposizione agli atti esecutivi.
In precedenza il dies ad quem per la presentazione dell’istanza di conversione era assai più generico
e si prestava a diverse opzioni interpretative, che di certo non giovavano alle esigenze di certezza:
con la modifica della legge 2005 è previsto che la conversione del pignoramento può essere chiesta
prima che sia disposta la vendita o l’assegnazione. Con l’istanza di conversione la sospensione degli
atti dell’esecuzione non è più automatica: una recente correzione della corte di cassazione, ha
stabilito che tale sospensione e dunque la dilazione delle attività prefissate,in particolare la vendita,
deve essere sempre disposta dal giudice dell’esecuzione,valutate tutte le circostanze del caso.

B) LA RIDUZIONE DEL PIGNORAMENTO ART 496


“ Su istanza del debitore o anche d’ ufficio, quando il valore dei beni pignorati è superiore all’
importo delle spese e dei crediti di cui all’ art. precedente, il giudice, sentite il creditore pignorante
e i creditori intervenuti, può disporre la riduzione del pignoramento “
Le considerazioni svolte per la conversione valgono anche per la maggior parte nella riduzione.
Questo istituto permette al debitore o al giudice d’ufficio di ridurre la misura del singolo
pignoramento quando il valore dei beni pignorati risulti superiore all’importo delle spese di
procedura e dei crediti determinati a norma del 495.
Esso ha molti punti di contatto con l’istituto del cumulo dei mezzi di espropriazione forzata con la
differenza che mentre il cumulo riguarda il concorso di più espropriazioni(mobiliare,immobiliare o
di crediti), la riduzione opera all’interno di una singola espropriazione.
L’analogia con la conversione si arresta tuttavia alle modalità di accertamento dei crediti in
concorso:

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- dal punto di vista funzionale, la conversione importa una sostituzione dell’oggetto del processo,
mentre la riduzione importa una limitazione del vincolo, di cui viene riconosciuta l’eccessività
- mentre la finalità della conversione è quella della soddisfazione di tutti gli aventi diritto, la
conseguenza della riduzione se il potere del giudice è male esercitato potrebbe essere quella di
mettere in forse la soddisfazione di tutti i creditori concorrenti.
Di qui emerge che il provvedimento di riduzione non può essere adottato in una fase iniziale del
processo,perché potrebbero spiegare intervento tempestivo altri creditori e d’altra parte,il debitore
ha a sua disposizione altri strumenti per contestare l’eccessività della pretesa esecutiva o l’eccesso
di pignoramento. Il giudice deve valutare il complesso delle circostanze, dal numero ed entità dei
crediti da soddisfare al presumibile rendimento della vendita forzata; in ogni caso trattandosi di un
provvedimento che può incidere sulla garanzia dei creditori e sulla effettiva soddisfazione dei
crediti in concorso, è ragionevole pensare che il giudice ne faccia un uso cauto e
limitato,bilanciando in modo ragionevole l’interesse del debitore alla giustizia dell’esecuzione e
dunque alla liberazione dei beni pignorati in eccesso,con l’interesse dei creditori presenti o che
potranno presentarsi nel processo.

C) INEFFICACIA DEL PIGNORAMENTO ART 497


Il pignoramento perde efficacia se sono trascorsi 90 giorni dal suo compimento senza che sia stata
chiesta l’assegnazione o la vendita.
In caso di pignoramento immobiliare,il giudice dichiarando il pignoramento inefficace,deve
disporre che sia cancellata la trascrizione dell’atto ex art 555(atto di pignoramento). Ciò significa
che almeno nella espropriazione immobiliare,il legislatore ha dato per scontato che il termine di
efficacia del pignoramento inizia a decorrere solo quando la fattispecie dell’atto sia completa in tutti
i suoi elementi. L’inefficacia può essere rilevata d’ufficio dal giudice che deve rifiutarsi di
provvedere sulla vendita a fronte di un pignoramento divenuto ormai inefficace e può formare
oggetto di opposizione 617.
Secondo la giurisprudenza,nell’espropriazione immobiliare per evitare l’inefficacia era sufficiente il
deposito dell’istanza di vendita,anche se nn corredata della documentazione ipotecaria e catastale: si
trattava di una soluzione ispirata al buon senso visti i lunghi tempi ed i costi per il rilascio di tale
documentazione, che tuttavia faceva in modo da lasciare il processo quiescente o sospeso fino a che
non fosse presentata la documentazione necessaria per provvedere sulla vendita; la legge del 98 è
intervenuta prevedendo che tale documentazione ipocatastale può essere sostituita da un certificato
notarile attestante le risultanze delle visure catastali e dei registri immobiliari. Ciò dovrebbe
risolvere i problemi pratici,avendo il legislatore previsto che in caso di omesso deposito nei termini
della documentazione ipocatastale o della certificazione notarile,il giudice dell’esecuzione può
anche d’ufficio dichiarare l’estinzione del processo esecutivo ordinando la cancellazione della
trascrizione del pignoramento.

18.- Conversione del sequestro in pignoramento;


intervento del creditore sequestrante nel processo di espropriazione

Il creditore che abbia fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito può chiedere il
sequestro dei beni del debitore negli stessi limiti in cui la legge ne autorizza il pignoramento. Si
tratta dell’istituto del sequestro conservativo che viene in rilievo per il fatto che :
1. il sequestro può convertirsi in pignoramento con evoluzione della funzione del vincolo da
cautelare in esecutiva;
2. il creditore procedente, all’atto del pignoramento può avvedersi che sullo stesso bene che
egli sta per destinare alle finalità esecutive già esiste il vincolo di un precedente sequestro.

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• La prima situazione è quella regolata dall’ART 686: il sequestro conservativo, si
converte in pignoramento quando il creditore sequestrante ottiene sentenza di
condanna esecutiva; in tal caso onere del sequestrante è depositare in cancelleria del
giudice competente per l’esecuzione la copia della sentenza nel termine perentorio di
60 giorni dalla comunicazione della sentenza: il mancato rispetto di questo termine
determina l’estinzione della procedura esecutiva. Per il compimento del sequestro e
del pignoramento si seguono le stesse modalità procedurali: l’unica differenza tra
sequestro e pignoramento sta nel titolo esecutivo che rappresenta il presupposto del
pignoramento e al tempo stesso l’obiettivo che il creditore si pone nel giudizio di
cognizione. Una volta ottenuto il titolo esecutivo è logico che la funzione del vincolo
impresso sui beni modifichi i suoi effetti da cautelari a esecutivi. La dottrina
dominante è dell’avviso che la conversione del sequestro conservativo in
pignoramento avviene ispo iure,e che le formalità prescritte dal 156 disp att (copia
sentenza in 60g)incidono solo sull’efficacia del pignoramento convertito;di
conseguenza occorre ritenere che il processo di esecuzione sul bene sequestrato
abbia inizio nel momento stesso della trasformazione del vincolo da cautelare ad
esecutivo.
• La seconda situazione ci introduce in una tematica più complessa che potremmo
definire del concorso tra misure cautelari e misure esecutive aventi ad oggetto lo
stesso bene. L’art 158 disp att prevede che quando dall’atto di pignoramento o dai
pubblici registri risulta che sui beni pignorati già esiste il vincolo di un sequestro
conservativo, il creditore pignorante deve notificare al sequestrante,l’avviso di cui si
parla in riferimento ai creditori iscritti che sui beni pignorati hanno diritto di
prelazione. Nell’ambito dell’espropriazione immobiliare e di mobili registrati,il
sequestrante riceve lo stesso trattamento che il codice riserva ai creditori iscritti.
Nelle espropriazioni di crediti prevede invece che il sequestrante deve essere
chiamato nel processo perché abbia luogo un contestuale accertamento delle varie
situazioni sostanziali e processuali facenti capo al bene aggredito,che non è soggetto
ad un regime di pubblicità legale: come se l’intervento del sequestrante nel processo
di espropriazione serva a testimoniare l’attualità dell’interesse alla cautela sul bene.
Se il tratto comune alle due discipline è quello di favorire l’intervento del sequestrante nel processo
di espropriazione del bene successivamente pignorato,occorre chiedersi quali siano i poteri del
sequestrante che decida di intervenire nel processo:
Nella fase espropriativa il sequestrante non potrà assumere l’iniziativa dei singoli atti di procedura e
dunque la sua posizione sarà assimilabile a quella degli interventori sprovvisti di titolo; ma in realtà
questa assimilazione non è corretta perché:
- se l’esecutato presenta istanza di conversione del pignoramento,il credito del sequestrante
non potrà essere computato nel complessivo importo da versare per la liberazione del
bene,per difetto dei fondamentali requisiti di legittimazione all’intervento.
- Inoltre giunti alla fase della distribuzione,il sequestrante non potrà essere soddisfatto perché
titolare di un diritto ancora sub iudice e in ogni caso privo dei requisiti di certezza,liquidità
ed esigibilità.
- Ancora la posizione che assumerà il sequestrante dinanzi alla rinuncia agli atti dei creditori
concorrenti è del tutto indifferente,ed anche dopo la vendita forzata il processo potrà
estinguersi prescindendo dalle manifestazioni di volontà del sequestrante.
Una situazione del tutto singolare che potrà risolversi con la conversione del sequestro in
pignoramento,se questa avvenga utilmente prima dell’apertura della distribuzione: ma se ciò non
avviene come deve comportarsi il giudice

dell’esecuzione che ha dinanzi a se creditori,titolari di crediti certi liquidi ed esigibili e che


reclamano immediata soddisfazione?

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LA GIURISPRUDENZA ritiene che il g.e. dovrebbe in tal caso sospendere la distribuzione in tutto
o in parte,accantonando la quota di ricavato astrattamente spettante al sequestrante; questo perché
tra sequestrante e debitore sarebbe pendente una controversia distributiva,con conseguente
applicazione del regime di sospensione obbligatoria e non facoltativa.
Il codice omette la disciplina del concorso tra misura cautelare e misura esecutiva,quando oggetto
ne sia un bene mobile rimasto nella detenzione del debitore in qualità di custode: tenendo conto
della lacuna,il procedente dovrà in questo caso dare un semplice avviso al sequestrante,lasciando a
quest’ultimo di adottare le opportune iniziative vuoi per l’eventuale intervento nel processo di
espropriazione del bene, vuoi per la costituzione di una diversa garanzia nel patrimonio del
debitore.

19.- Cumulo dei mezzi di espropriazione

Il cumulo dei mezzi di espropriazione forzata ( ART. 483 )indica una pluralità di espropriazioni, di
diversa natura, iniziate sulla base del medesimo titolo esecutivo: il creditore può valersi
cumulativamente dei diversi mezzi di espropriazione forzata previsti dalla legge (es espropriazione
mobiliare e immobiliare). L’esecuzione deve colpire solo i beni che servono per far conseguire al
creditore quanto gli è dovuto. La limitazione dei mezzi di espropriazione non si attua d’ufficio ma
su istanza di parte: tale istanza assume la forma dell’opposizione da non confondere con le
opposizione 615 e 617 in quanto non mira ai singoli atti processuali ma richiede una valutazione di
opportunità tra più processi esecutivi globalmente considerati. Sull’opposizione infatti il giudice
decide con ordinanza non impugnabile che può limitare l’espropriazione al mezzo che il creditore
sceglie o in mancanza a quello che il giudice stesso determina. Il valore dei beni pignorati con i
diversi mezzi di espropriazione,infatti,non può eccedere la somma dei crediti del creditore
procedente e dei creditori eventualmente intervenuti.
Dopo lunghe discussioni si è stabilito che il cumulo di espropriazione della stessa natura può essere
ammessa solo in rarissimi casi, e precisamente:
1. quando vi sia imposibilità di riunire i pignoramenti
2. quando le espropriazioni pendano dinanzi a giudici appartenenti a circoscrizioni diverse.

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CAPITOLO QUARTO

L’INTERVENTO DEI CREDITORI

1. Il concorso dei creditori ed il principio di par condicio. Sue applicazioni e limitazioni nell’
attuale codice di procedura civile

2. L’ avviso ai creditori iscritti

3. Requisiti e forma dell’ intervento

4. Tempestività o tardività dell’ intervento; intervento dei creditori iscritti e privilegiati

5. Effetti dell’ intervento

L’INTERVENTO DEI CREDITORI

1.- Il concorso dei crditori ed il principio di par condicio. Sue applicazioni e limitazioni
nell’ attuale codice di proceduta civile

Il pignoramento mira a realizzare la generica garanzia patrimoniale rappresentata dal patrimonio del
debitore: (art 2740) “ il debitore risponde dell’adempimento delle sue obbligazioni con tutti i suoi
beni presenti e futuri ”.
La possibilità di intervento dei creditori che intendono soddisfarsi nello stesso processo esecutivo
azionato da altro creditore,mira invece a realizzare il principio della par condicio creditorum: (art
2741) “ i creditori hanno uguale diritto di essere soddisfatti sui beni del debitore,salve le cause
legittime di prelazione ”. Il legislatore ha voluto evitare che dato un debitore,con più creditori ma
con un patrimonio assai scarso,resti soddisfatto solo il primo creditore,che munito di titolo
esecutivo,inizi il processo di esecuzione forzata e che restino invece del tutto insoddisfatti gli
ulteriori creditori che magari otterranno il titolo esecutivo tra qualche anno,quando il processo di
esecuzione forzata sarà finito e quanto l’unico bene del presunto debitore sarà stato liquidato con il
processo di esecuzione forzata. Le somme saranno distribuite ai creditori che si sono attivati più
velocemente degli altri e che quindi rimarrebbero del tutto insoddisfatti delle loro pretese. Allora
per evitare che il primo creditore arrivato prenda per sé tutti i beni del debitore,si inserisce il
principio della par condicio per cui possono partecipare al processo di esecuzione forzata
contemporaneamente tutti i creditori del preteso debitore,siano essi muniti o meno di titolo
esecutivo.
Il codice del 1940 prevedeva un’applicazione del principio integrale secondo cui: per intervenire nel
processo era sufficiente vantare in credito certo liquido ed esigibile e nell’espropriazione
immobiliare,addirittura, era sufficiente che il credito fosse certo e liquido ma non ancora esigibile;
nonostante ciò era consentita la partecipazione alla distribuzione della somma ricavata dal processo
di esecuzione forzata.

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È chiaro però che ammettere la partecipazione di qualsiasi creditore vanti in astratto un credito nei
confronti del presunto debitore,vuol dire esporre il processo di esecuzione forzata ad una serie di
controversie in ordine poi alla effettiva esistenza di tali crediti,perché è ovvio che bisogna dare al
debitore la possibilità di difendersi, di contestare queste ulteriori azioni esecutive prodotte nei suoi
confronti. Pertanto più alto è il numero delle controversie che si aprono all’interno del processo di
esecuzione forzata,maggiore sarà l’appesantimento dei tempi di giustizia.
Oggi è necessario per consentire l’intervento dei creditori che questi abbiano un titolo esecutivo o
per lo meno che vantino un credito privilegiato(diritto di pegno,diritto di prelazione): in questo
modo si riduce il numero dei creditori che possono intervenire nel processo , si alza la soglia di
certezza posta alla base dei crediti azionati , si riducono le controversie e si consegue una
accelerazione dei tempi del processo di esecuzione.
La dottrina più recente sostiene che la par condicio più che principio fondamentale
dell’ordinamento,costituisce una semplice direttiva che può cedere dinanzi ad esigenze ritenute dal
legislatore meritevoli di tutela. Per poter intervenire nell’espropriazione,i creditori non devono
essere muniti necessariamente di un titolo esecutivo ma occorre che il credito sia certo,individuato
in tutti i suoi elementi; liquido,determinato nel suo ammontare; ed esigibile,non sottoposto a
termine o condizione.
A seguito dell’intervento, i creditori si soddisfano in base alla regola della par condicio secondo la
quale,i creditori intervenuti concorrono con il creditore procedente alla ripartizione del ricavato
della vendita dei beni pignorati in misura proporzionale al credito di ciascuno. L’intervento deve
essere tempestivo e avvenire entro certi termini: qualora i creditori intervengano oltre i termini di
legge,concorreranno alla distribuzione dell’eventuale residuo che sopravanza dopo la soddisfazione
del creditore procedente e dei creditori intervenuti tempestivamente.
L’intervento non può essere effettuato dopo la distribuzione della somma ricavata dalla vendita dei
beni pignorati: infatti l’intervento che avviene dopo questo momento non viene preso in
considerazione e l’eventuale residuo della distribuzione va restituito al debitore.
I creditori intervenuti tempestivamente,muniti o meno di titolo esecutivo hanno il diritto di
partecipare alla distribuzione della somma ricavata dalla vendita dei beni pignorati, invece tra essi
solo quelli muniti di titolo esecutivo hanno il potere di compiere atti di impulso del processo
esecutivo in luogo del creditore procedente che potrebbe aver perduto l’interesse alla procedura da
lui stesso intentata(perché ad esempio tra i creditori intervenuti ve ne sono alcuni assistiti da cause
si prelazione che hanno diritto di essere soddisfatti per primi).
L’istituto della PICCOLA ESPROPRIAZIONE MOBILIARE mostra che il nostro sistema pur
essendo ispirato al rispetto della par condicio creditorum è disposto a riconoscere,nelle
espropriazioni di valore economico modesto e che abbiano ad oggetto beni mobili,un vantaggio al
creditore pignorante che può maturare nel breve termine di 11 giorni dopo il compimento del
pignoramento: l’intervento tempestivo di altri creditori può infatti aver luogo non oltre la data di
presentazione del ricorso per la vendita. In questo caso abbiamo un esempio di sostanziale
limitazione del concorso fondato su di un meccanismo di natura processuale,svincolato dalla causa
del credito: l’organizzazione del concorso dei creditori, fin dalla fase della espropriazione,può avere
in certi casi l’effetto di incidere sulle modalità pratiche di attuazione del concorso,tutte le volte in
cui cause di preferenza di origine processuale maturano nel contesto della fase espropriativa, e si
proiettano in quella distributiva.
Ultima considerazione va al carattere TENDENZIALMENTE CONCORSUALE
DELL’ESPROPRIAZIONE FORZATA: se infatti da un lato l’intero patrimonio del debitore
costituisce garanzia generica delle sue obbligazioni,dall’altro lato l’aggressione di qualsiasi bene
particolare può introdurre l’esecuzione di tipo concorsuale,aperta cioè al concorso dei creditori.
Ogni processo di espropriazione è aperto al concorso e ciò sebbene il restante patrimonio del
debitore sia in grado di assolvere in maniera sufficiente la funzione di garanzia generica delle sue
obbligazioni. Ciò ci fa capire che il nostro legislatore non può organizzare il concorso in modo tale
da escludere la partecipazione di tutti gli aventi diritto quantomeno alla fase di distribuzione forzata.

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Ciò moltiplica i costi e i problemi applicativi delle singole espropriazioni ma è una regola
ineliminabile della par condicio,nella lettura che di essa viene tradizionalmente fornita.

2.- L’avviso ai creditori iscritti

A norma dell’ART 498: devono essere avvertiti dell’espropriazione i creditori che sui beni
pignorati hanno un diritto di prelazione risultante nei pubblici registri(i creditori privilegiati) e
anche i titolari di diritti di uso,usufrutto,abitazione sui beni pignorati,infatti tali diritti a seguito della
procedura esecutiva si estinguono e si convertono in un diritto di credito da far valere sulla somma
ricavata dalla vendita forzata. La ragione dell’avviso sta nel fatto che con la vendita forzata, i
soggetti che vantano sul bene un qualsiasi diritto sono destinati a perderlo grazie al cd EFFETTO
PURGATIVO che consente all’acquirente di acquisire nel suo patrimonio il bene libero da vincoli
di ogni specie e natura.
L’AVVISO: è notificato a ciascuno dei creditori privilegiati a cura del creditore pignorante ed entro
5 giorni dal pignoramento, la mancanza dell’avviso implica una improcedibilità della vendita o
dell’assegnazione e una sospensione degli effetti dell’istanza. Esso deve contenere:
1. l’indicazione del creditore pignorante;
2. del credito per il quale si procede;
3. del titolo e delle cose pignorate;
4. l’ufficio investito della procedura o del difensore munito di procura.
In mancanza della prova della notificazione,il giudice non può provvedere sulla istanza della
vendita.

3.. Requisiti e forma dell’ intervento

ART 499: la disposizione previgente ammetteva all’intervento chiunque assumesse di essere


creditore,infatti l’intervento avveniva con ricorso nel quale bastava indicare il credito e il titolo di
esso. Il creditore era ammesso a partecipare alla distribuzione e se munito di titolo esecutivo,poteva
provocarne i singoli atti. Potevano intervenire i creditori chirografari;erano invitati ad intervenire i
creditori privilegiati; si distingueva tra interventi di creditori muniti o privi di titolo esecutivo.
Questo sistema aveva creato un notevole problema pratico: non esisteva, infatti, alcun controllo
preventivo in ordine alla ammissibilità degli interventi,così che qualsiasi questione sulla
esistenza,sull’ammontare o sul grado dei crediti degli interventori era riservata al tempo della
distribuzione ed era incanalata in una controversia distributiva. La soluzione poteva pregiudicare il
debitore esecutato e gli stessi creditori quando l’accertamento sull’esistenza e consistenza del
credito dell’intervenuto veniva in rilievo prima della distribuzione. Per esempio il debitore che
voleva ottenere la conversione del pignoramento era costretto a versare una somma
onnicomprensiva dei crediti degli intervenuti anche quando aveva buone ragioni per sollevare
contestazioni.
Il legislatore del 2005 è intervenuto per porre rimedio a tale situazione: in particolare si è
completamente riscritto il 499 il quale si compone oggi di 6 commi lunghi e complessi.
In particolare è stato stabilito( 1° comma ) che la legittimazione all’intervento non spetta a qualsiasi
creditore,( non basta vantare un credito certo liquido ed esigibile)ma solamente al creditore che
abbia titolo per agire in via esecutiva e quindi che sia in possesso del titolo esecutivo. Ma siccome
l’art 2741 fa salve le legittime cause di prelazione, si è ritenuto che debba essere assicurato il diritto
all’intervento del creditore munito di un diritto di pegno o di un diritto di prelazione risultante dai
pubblici registri. Posto che la certezza del credito risultante dal titolo esecutivo è una certezza
relativa in quanto è sempre possibile contestare l’esistenza,l’ammontare e il rango del credito,il
legislatore si accontenta di questa certezza relativa per fondare su di essa l’ammissibilità degli

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interventi,mentre in altri casi subordina la partecipazione al processo a meccanismi surrogatori,ossia
al riconoscimento da parte del debitore ovvero all’accantonamento delle somme per dar modo al
creditore di munirsi di titolo esecutivo.
Al 2° comma: si legge che “il ricorso deve essere depositato prima che sia tenuta l’udienza in cui è
disposta la vendita o l’assegnazione”. Quindi la domanda di intervento ha la forma del ricorso,che
deve contenere oltre alla individuazione del giudice e del processo in cui si vuole intervenire:
a) l’individuazione del credito e del titolo di esso;
b) la domanda di partecipazione alla distribuzione;
c) la dichiarazione di residenza o l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice
competente
d) VERDE aggiunge la sottoscrizione e la necessità di una difesa tecnica.
Il ricorso deve essere solo depositato,ma se il creditore intervenuto non è munito di titolo
esecutivo,lo stesso deve notificare al debitore,nei 10 giorni successivi al deposito,copia del ricorso.
Questa notifica va collegata alla previsione del successivo 5 comma. Infatti con ordinanza con cui
il giudice dispone la vendita o l’assegnazione “fissa anche l’udienza di comparizione davanti a sé
del debitore e dei creditori intervenuti privi di titolo esecutivo,disponendone la notificazione a cura
delle parti” in modo che tra la data dell’ordinanza e la data dell’udienza non decorrano più di 60
giorni.
In questa udienza,riservata per il debitore e per i soli creditori non muniti di titolo esecutivo,può
avvenire che il debitore non compaia: in questo caso i crediti si intendono come riconosciuti ed i
creditori vengono a trovarsi nella stessa posizione di quelli muniti di titolo esecutivo. Se il debitore
compare e riconosce in tutto o in parte i crediti, si verifica la situazione sopra descritta per tutti i
crediti o per la parte di essi che è stata riconosciuta.
Premesso che il riconoscimento rileva comunque ai soli fini della distribuzione,
il 6°comma dell’art 499 precisa che:
“i creditori intervenuti i cui crediti siano stati riconosciuti da parte del debitore partecipano alla
distribuzione della somma ricavata per l’intero ovvero limitatamente alla parte del credito per il
quale vi sia stato riconoscimento parziale”. Nella parte finale del comma di dispone che “ i
creditori intervenuti i cui crediti viceversa siano stati disconosciuti dal debitore hanno diritto ai
sensi del 510(distribuzione della somma ricavata) terzo comma all’accantonamento delle somme
che ad essi spetterebbero e sempre che ne facciano istanza e dimostrino di aver proposto nei 30
giorni successivi all’udienza l’azione necessaria affinché essi possano munirsi di titolo
esecutivo”(ovviamente sarà interesse dei creditori medesimi munirsi di titolo esecutivo che
consenta loro di sbloccare le somme necessarie al soddisfacimento delle loro pretese).
Il legislatore ha ritenuto in questo modo di aver risolto ogni problema ma nn è così. L’esperienza ha
dimostrato che mancando al processo di espropriazione una fase di verifica dei crediti, si finiva col
rendere possibili interventi non controllati e non controllabili con gravi conseguenze:
- in primo luogo con l’intervento il creditore acquista la qualità di parte,ha diritto di essere
sentito e se munito di titolo esecutivo, può compiere atti esecutivi.
- in secondo luogo la stessa esistenza di altri crediti è rilevante per stabilire se è possibile
ridurre un pignoramento,limitare la vendita forzata ad alcuni lotto e qual è la somma da
offrire per ottenere la conversione del pignoramento.
Sono queste evenienze per le quali la valutazione della legittimità degli interventi emerge già prima
e a prescindere dalla distribuzione. Al contrario l’attuale formulazione del 499 rapporta la
legittimità dell’intervento alla distribuzione, tanto è vero che nel caso di mancato riconoscimento
del debito,dispone l’accantonamento delle somme in attesa del titolo esecutivo di cui il creditore
contestato deve altrimenti munirsi. Il che significa che anche il giudice non può ridurre il
pignoramento senza tenere conto del credito contestato e che nel fissare la somma per la
conversione deve aggiungere anche questo credito.
Se è così il meccanismo predisposto dal 499 risponde ad esigenze di simmetria nel senso che
essendosi ritenuti ammissibili gli interventi dei creditori titolati, negli altri casi bisognava

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predisporre strumenti per far acquisire tale legittimazione o altre equipollenti anche ai creditori non
titolati di cui si è reso possibile l’intervento. Ma è facile obiettare che un requisito di ammissibilità
ha senso se vale ad impedire l’ingresso nel processo; se non ha tale funzione non ha senso
prevedere un meccanismo che serva a coonestare una legittimazione originariamente mancante.
Una volta ammessi taluni creditori a partecipare al processo,tutti i problemi anteriori alla
distribuzione sono risolti in coerenza con la presenza nel processo degli intervenuti. Restano i
problemi della distribuzione ma che riguardano tutti i creditori titolati e non,perché attengono
all’esistenza, all’ammontare e al grado del credito.
Sembra che il legislatore non si limiti ad individuare nel possesso del titolo esecutivo o del suo
equipollente il requisito che legittima ad intervenire nell’espropriazione che potrebbe essere mera
questione di rito,ma anche il presupposto ad avere diritto a partecipare alla distribuzione che
sicuramente è questione di merito. Di conseguenza sembra che egli voglia modellare la controversia
ex 512 come una controversia che abbia ad oggetto il controllo formale sui requisiti di
legittimazione del creditore intervenuto,essendo ciò sufficiente a garantire il diritto a partecipare
alla distribuzione.
L’art 499 com.4, prevede che il creditore procedente possa indicare ai creditori intervenuti
tempestivamente l’esistenza di altri beni del debitore,invitandoli ad estendere il pignoramento se
muniti di titolo esecutivo o altrimenti di anticipare le spese per l’estensione. “ se i creditori
intervenuti senza giusto motivo,non estendono il pignoramento ai beni indicati, il creditore
pignorante ha diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione”. Identica conseguenza si
dovrebbe avere se non anticipano le spese, ma la norma nn lo dice.
Il comma inserisce una disposizione contenuta prima nel 527,volendole riconoscere una portata
generale. Essa è così come per il passato,crea una causa di prelazione di carattere processuale non
diversa da quella che si ha quando il creditore interviene tardivamente. Infatti :
- nell’espropriazione MOBILIARE, i creditori intervenuti tardivamente concorrono nella
distribuzione dell’eventuale residuo e sono considerati tardivi gli interventi che abbiano
luogo non oltre la prima udienza per l’autorizzazione alla vendita o all’assegnazione.
- Nell’espropriazione PRESSO TERZI, l’intervento è tardivo se ha luogo dopo la prima
udienza di comparizione delle parti.
- Nell’espropriazione IMMOBILIARE è tardivo l’intervento effettuato dopo la prima udienza
fissata per l’autorizzazione alla vendita o all’assegnazione. In entrambi i casi l’intervento
tardivo può soddisfarsi solo sull’eventuale residuo.
L’aver inserito una norma generale molto articolato ha portato all’abrogazione delle norme
specifiche 525 e 563, si legge nel 2° comma del 499 che il ricorso per un intervento tempestivo
deve essere depositato PRIMA che sia tenuta l’udienza in cui è disposta la vendita o l’assegnazione.
Mettendo a confronto le discipline viene fuori la differenza: una cosa è dire “prima che sia
terminata l’udienza”, altro è dire “non oltre l’udienza” in quest’ultimo caso si ritiene che l’attività
non possa essere esplicata se il giudice fissa una successiva udienza per disporre la vendita o
l’assegnazione. PER VERDE prevalgono le discipline specifiche in proposito.
In coerenza con le modifiche apportate al 499 è stata variata la disciplina dell’art 510 sulla
distribuzione:
si è visto che quando sono intervenuti creditori non titolati il cui credito sia stato disconosciuto dal
debitore, essi possono ottenere dal giudice l’accantonamento delle somme che loro spetterebbero
per potersi munire di titolo esecutivo. L’art 510 dispone che tale accantonamento può essere
disposto per un periodo non superiore a 3 anni. “decorso il termine fissato, su istanza di una delle
parti o anche d’ufficio,il giudice dispone la comparizione davanti a sé del debitore, del creditore
procedente e dei creditori intervenuti, con l’eccezione di coloro che siano stati già integralmente
soddisfatti, e dà luogo alla distribuzione della somma accantonata tenuto conto anche dei creditori
intervenuti che si siano nel frattempo muniti di titolo esecutivo”. Non è chiaro se il termine di 3
anni possa essere prorogato dal giudice successivamente su istanza tempestiva del creditore che non

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sia ancora riuscito a munirsi di titolo esecutivo: la risposta negativa sembra contrastare con la
mancata previsione del carattere perentorio del termine.
Va ricordato che se ci fosse un residuo questo andrebbe restituito al debitore o al terzo che ha subito
l’espropriazione.

4.- Tempestività o tardività dell’ intervento: intervento dei creditori iscritti e


privilegiati

Il tempo dell’intervento è un requisito che condiziona l’utilizzo dell’istituto. Mentre i creditori che
intervengono tempestivamente hanno diritto di concorrere sul ricavato in ragione del loro diritto,i
creditori che intervengono tardivamente concorrono sulla parte del ricavato che sopravanza,una
volta soddisfatte le ragioni del creditore procedente e di quelli tempestivamente intervenuti.
TERMINE della tempestività è individuato:
1)nell’espropriazione MOBILIARE: dalla prima udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o
per l’assegnazione,mentre nella PICCOLA espropriazione mobiliare,detto termine coincide con la
data di presentazione del ricorso con cui il creditore pignorante ovvero ognuno degli intervenuti
muniti di titolo chiede la vendita o l’assegnazione.
2) nell’espropriazione IMMOBILIARE: l’identico termine per la prima udienza fissata per
l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione. La prima udienza è quella fissata per la
comparizione delle parti anche se a detta udienza non viene poi disposta la vendita.
3) nell’espropriazione PRESSO TERZI: l’intervento non deve avere luogo oltre la prima udienza di
comparizione delle parti.
Il carattere della tempestività o tardività dell’intervento rileva solo per i creditori semplici o
chirografari, i creditori privilegiati partecipano invece alla distribuzione del ricavato purché
intervengano prima della udienza fissata per la distribuzione del ricavato stesso.

5.- Effetti dell’ intervento

L’ART 500 afferma che l’intervento dà diritto a partecipare alla distribuzione della somma ricavata
e secondo le disposizioni dei capi seguenti,può anche dare diritto a partecipare alla espropriazione
del bene pignorato e a provocare i singoli atti. Dalla norma emerge che la situazione di vantaggio o
meglio il diritto fondamentale consiste nella partecipazione alla distribuzione del ricavato, vale a
dire alla cd fase satisfattiva del processo,in cui il concorso dei creditori deve avere luogo a pena di
lesione del principio della par condicio; la situazione di vantaggio eventuale è nel diritto di
partecipare attivamente all’espropriazione provocandone i singoli atti. In quest’ultimo aspetto si
coglie la novità del codice attuale che costruisce l’iniziativa di altri creditori come una ipotesi del
tutto normale,purchè concorrano due condizioni:il possesso del titolo esecutivo e la tempestività
dell’intervento. È chiaro che:
- i creditori che possiedono il titolo sono in una posizione di assoluta parità con il creditore
procedente,quanto ai poteri di iniziativa processuale, e la loro manifestazione di volontà è
necessaria ai fini della estinzione del processo per rinuncia agli atti nella fase della
espropriazione, mentre i creditori sprovvisti di titolo si trovano in una condizione
obiettivamente subordinata.
- L’azione dei creditori muniti di titolo è definita esecutiva in senso proprio o azione di
espropriazione perché raccoglie la pienezza dei diritti che possono derivare dall’intervento e
dal concorso; quella dei creditori sforniti di titolo è definita esecutiva satisfattiva perché

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tende a realizzare il contenuto minimo necessario dell’azione esecutiva,che è il diritto a
concorrere sul ricavato.
- I creditori muniti di titolo potranno compiere tutte le attività preparatorie alla
vendita,presentare istanza di vendita o di assegnazione,avanzare istanza di distribuzione del
denaro contante. Egli può continuare l’espropriazione anche nell’inerzia di tutti gli altri
legittimati. I creditori sforniti di titolo vanno ricompresi nel generico riferimento alle parti.
Tutti gli intervenuti possono avanzare osservazioni circa le modalità dell’espropriazione e
possono contestarne i singoli atti mediante l’opposizione agli atti esecutivi.
Tutti gli intervenuti possono avanzare osservazioni circa le modalità dell’espropriazione e possono
contestarne i singoli atti mediante l’opposizione agli atti esecutivi. Gli interventori tardivi muniti di
titolo possono compiere gli ulteriori atti della procedura.

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CAPITOLO QUINTO

LA VENDITA E L’ ASSEGNAZIONE

1. La fase espropriativi in generale: caratteristiche della vendita forzata quale atto


traslativo della proprietà dei beni pignorati

3. Modi della vendita forzata

4. L’ assegnazione

LA VENDITA E L’ASSEGNAZIONE

1. La fase espropriativi in generale: caratteristica della vendita forzata quale atto


traslativo della proprietà dei beni

È la fase in cui si verifica la trasformazione dei beni oggetto del pignoramento in denaro, si tratta di
una fase eventuale in quanto può non avere luogo lì dove il denaro è già oggetto del pignoramento,
o lì dove ci sia stata conversione del pignoramento,che comporta la liberazione del bene pignorato
dal vincolo di destinazione alle finalità esecutive,così come in esito ai provvedimenti limitativi del
cumulo dei mezzi dell’espropriazione forzata o anche quando nella vendita di più lotti,il ricavato
conseguito nei primi incanti risulti di per sé sufficiente alla soddisfazione di tutti gli aventi diritto ed
al pagamento delle spese di procedura. L’effetto di astrazione della vendita forzata dalle vicende del
processo di esecuzione, in cui la vendita stessa ha luogo,è ciò che a ben guardare determina le
particolari caratteristiche dell’istituto:l’intera fase liquidativa del processo è strutturata in modo tale
da rendere possibile l’isolamento dell’atto traslativo della proprietà del bene pignorato. In ogni caso
se vi sono delle opposizioni agli atti esecutivi da definire,queste precludono l’accesso alla fase
espropriativa. Il fenomeno dell’astrazione è quello che consente di spiegare i particolari effetti
processuali della vendita:
a) L’EFFETTO TRASLATIVO della proprietà,che in un certo senso prescinde dalla proprietà
effettiva del bene in capo al soggetto che ha formalmente subito l’espropriazione,perché come si è
detto si può anche validamente vendere il bene di un terzo;
b) L’EFFETTO PURGATIVO perché il bene viene trasmesso all’acquirente libero da ogni peso o
vincolo derivante da iscrizioni e trascrizioni in pubblici registri;
c) LA RETRODATAZIONE DEGLI EFFETTI DELLA VENDITA FORZATA,per cui il bene
viene venduto nella situazione giuridica e di fatto in cui esso si trovava al momento del
pignoramento.
Ciò aveva comportato ampie discussioni in dottrina,anzitutto circa la possibilità di configurare la
vendita forzata come un modo di acquisto a titolo originario o a titolo derivativo; discussioni che
avevano ragion d’essere più in rapporto alla disciplina dei codici abrogati che non contenevano
disposizioni specifiche sugli effetti della vendita forzata,che in rapporto alla disciplina attuale la
quale regola sia gli effetti processuali sia gli effetti sostanzialo dell’atto.

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Con riguardo alla natura della vendita forzata,le posizioni dottrinarie sono passate,nel corso degli
anni, a ritenere la vendita come un atto avente carattere pubblicistico poi come atto contrattuale
conclusivo di un procedimento e infine come trasferimento coattivo.

Attualmente il problema della vendita forzata viene così risolto:


1) la vendita non è un atto negoziale,soggetto alla disciplina privatistica per quanto non
espressamente derogato ma un trasferimento coattivo che si realizza mediante un complesso
procedimento ricompresso tra l’istanza di vendita e la pronuncia del decreto di trasferimento
2) di conseguenza non si applicano né all’offerta di acquisto,né a quella di vendita le regole
civilistiche sull’interpretazione del contratto e i vizi di volontà;
3) non trovano applicazione i principi e i rimedi civilistici in tema di invalidità della
compravendita contrattuale. Si applica invece il 1477 cc secondo cui la cosa venduta deve
essere consegnata all’acquirente nello stato in cui essa si trova al momento della vendita;
4) se da un lato il procedimento di vendita si fonda su atti di iniziativa di soggetti privati,esso
dall’altro si compone anche di provvedimenti del giudice e si conclude con un
provvedimento(decreto di trasferimento),che realizza l’effetto traslativo della proprietà e che
risulterà in quanto atto esecutivo,impugnabile secondo il regime del 617cpc e non secondo
le tipiche impugnative contrattuali.
Ne risulta che la vendita forzata è un atto che presenta le caratteristiche delle categorie civilistiche e
di quelle pubblicistiche, ma nn inquadrabile in nessuna delle due: tendenzialmente il principio a cui
risponde la vendita forzata è quello dell’acquisto a titolo derivativo, ma con le sensibili diversità
giustificate dalla natura pubblicistica dell’istituto,la cui ratio è soprattutto nella tutela del terzo
acquirente che deve avere la garanzia di aver acquistato il bene. In effetti lo stato sottrae al debitore
non il bene ma il potere di alienazione.

3.- MODI DELLA VENDITA FORZATA

A norma dell’art 501: l’istanza di vendita o di assegnazione dei beni pignorati deve essere proposta
dal creditore procedente o comunque munito di titolo esecutivo, una volta trascorsi 10 giorni dal
pignoramento, tranne che per le cose deteriorabili, delle quali può essere disposta l’ assegnazione o
la vendita immediata.
L’art 503 avverte che la vendita forzata può essere fatta con o senza incanto ovvero in una pubblica
gara con offerte in aumento,finalizzata alla scelta dell’aggiudicatario oppure senza incanto,nel qual
caso le offerte vengono semplicemente depositate dai singoli offerenti e sarà il giudice a valutarle.

Per quanto riguarda la VENDITA DEI BENI MOBILI: l’art 529 stabilisce che decorsi i termini di
cui al 501,il creditore pignorante e ognuno dei creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo
possono chiedere la distribuzione del denaro o la vendita dei beni pignorati. Su questa istanza (530)
il giudice dell’esecuzione fissa l’udienza per l’audizione delle parti. Questa udienza è importante
per i creditori perché segna il momento preclusivo per l’intervento tempestivo e costituisce il
termine ultimo entro il quale a pena di decadenza,devono essere fatte valere le opposizioni agli atti
esecutivi. Se non vi sono opposizioni il giudice dell’esecuzione le decide con sentenza e dispone
con ordinanza l’assegnazione o la vendita, se invece vi sono opposizioni il g.e le decide con
sentenza e dispone con ordinanza l’assegnazione o la vendita.
L’art 532, rubricato vendita a mezzo di commissionario,( il quale può essere un agente di borsa,un
mediatore iscritto negli appositi albi o un istituto autorizzato alle operazioni di borsa o comunque
un professionista qualificato), prevede oggi che il giudice dell’esecuzione può disporre la vendita

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senza incanto dei beni pignorati. Le cose pignorate devono essere affidate all’istituto vendite
giudiziarie o con provvedimento motivato ad un altro soggetto specializzato nel settore di
competenza, affinché proceda alla vendita in qualità di commissionario.
Gli obblighi del commissionario sono indicati nell’art 533: in ogni caso l’incaricato deve
consegnare i beni se salvo proroghe concesse su istanza di tutti i creditori intervenuti,nel termine di
un mese egli non riesca a venderli,per contanti alle condizioni minime fissate nel provvedimento del
giudice.
La vendita con incanto può essere disposta direttamente o in seguito all’infruttuoso esperimento
della vendita senza incanto. Il giudice dell’esecuzione fissa il giorno l’ora dell’esperimento e può
disporre che venga effettuata una pubblicità straordinaria,le cui spese sono anticipate dal creditore
procedente.
Nell’art 534-bis si è inserita la possibilità di delegare le operazioni di vendita ai notai, agli avvocati
e ai commercialisti ed inoltre si è data loro la possibilità di procedere anche senza incanti, mentre in
precedenza la delega poteva riguardare solo le operazioni di vendita con incanto.
È stato inoltre modificato il 538: per cui se prima la cosa restava invenduta e nessuno dei creditori
ne chiedeva l’assegnazione,era disposto un nuovo incanto nel quale era ammessa qualsiasi offerta;
oggi è caduta la previsione dell’assegnazione ai creditori ed il soggetto cui è affidata la vendita,deve
procedere ad un nuovo tentativo con incanto e per un prezzo inferiore di 1/5 rispetto a quello
precedente.

NELLA VENDITA O ESPROPRIAZIONE IMMOBILIARE art 567 il creditore pignorante o


il creditore munito di titolo esecutivo che chiede la vendita,deve produrre la documentazione
ipocatastale indispensabile per procedere alla vendita e sostituibile con una idonea certificazione
notarile.
Prima il creditore aveva a disposizione 60 giorni per depositare tale documentazione, oggi il
termine è stato allungato a 120. questo termine poteva poi essere prorogato di ulteriori 120 giorni
una sola volta su istanza dei creditori o dell’esecutato quando il giudice ritenga che la
documentazione debba essere completata. Dal mancato deposito tempestivo della documentazione
richiesta entro il termine previsto,eventualmente prorogato,la novella fa discendere l’inefficacia del
pignoramento relativa al solo immobile per il quale non è stata depositata la prescritta
documentazione, non più l’estinzione dell’intera procedura esecutiva avviata; ciò a riprova del fatto
che l’allegazione dei documenti richiesti è funzionale alla sola fase della vendita. Ne consegue che,
in caso di pluralità di immobili pignorati,la procedura potrà validamente continuare per quelli in
relazione ai quali il creditore abbia adempiuto all’onere. Sempre a norma del 567 si ricorda inoltre
che l’inefficacia è dichiarata con ordinanza sentite le parti: con l’ordinanza il giudice dispone la
cancellazione della trascrizione del pignoramento e ove non vi siano altri beni pignorati,dovrà
pronunciare l’estinzione dell’intera procedura esecutiva.
A norma dell’art 568: il primo problema che il giudice deve affrontare è quello della
individuazione del valore di mercato dell’immobile,al fine della determinazione del prezzo base
d’asta. Per la valutazione dell’immobile viene investito un consulente tecnico: il giudice però può
dissentire dal parere del consulente da lui nominato senza neppure l’obbligo di motivare il proprio
dissenso. Quando il consulente deposita il suo elaborato,il giudice potrà adottare l’ordinanza di
vendita.
Nell’art 569 si cadenzano le attività e i tempi del giudice dopo l’istanza di vendita(senza incanto):
entro trenta giorni dal deposito della documentazione,questi deve convocare l’esperto per affidargli
l’incarico e raccogliere il suo giuramento e deve fissare l’udienza per la comparizione delle parti e
dei creditori che non sono intervenuti in maniera che tale udienza sia fissata per una data non
superiore a 120 giorni da quella del provvedimento. L’udienza per la fissazione della vendita è
importante perché costituisce termine ultimo per la presentazione delle opposizioni agli atti
esecutivi che non siano proposte prima. Ebbene, riformulando il terzo comma del 569,il legislatore
stabilisce che se non ci sono opposizioni o se su di esse si sia raggiunto un accordo,il giudice

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dispone la vendita fissando un termine non inferiore a 90 giorni e non superiore a 120,entro il quale
possono essere proposte offerte d’acquisto ai sensi del 571.
Questa disposizione va coordinata con l’art 591 bis a tenore del quale il giudice,sentiti gli
interessati,invece che procedere personalmente alla vendita,può delegarla ad un notaio o ad un
professionista (avvocato o commercialista). Va notato che mentre in passato questa possibilità era
limitata al caso in cui il giudice avesse disposto la vendita all’incanto,oggi la limitazione è
scomparsa,così che procedere d’ufficio o delegare,costituisce una scelta discrezionale del giudice
stesso.
Sono da segnalare alcune differenze:
- se il giudice dell’esecuzione procede alla vendita personalmente,deve prima fare ricorso
quella senza incanto e se quest’ultima non ha successo per una qualsiasi ragione,deve
procedere alla vendita all’asta;
- se delega le operazioni ad un terzo,può prevedere le modalità della vendita senza essere
tenuto all’ordine preferenziale stabilito per se stesso.
L’art 570 prevede che il cancelliere da pubblico AVVISO dell’ordine di vendita in esso deve essere
oggi inserita:
.-. l’indicazione del valore dell’immobile determinato a norma del 568;
.-. del sito internet sul quale è pubblicata la relativa relazione di stima;
.-. del nome e del recapito del custode nominato in sostituzione del debitore.
L’art 571: dice che ognuno tranne il debitore è ammesso a fare OFFERTE per l’acquisto
dell’immobile pignorato personalmente o a mezzo di procuratore legale.A tal proposito va chiarito
che la riscrittura del 571,determina:
a) l’inefficacia dell’offerta tardiva;
b) l’irrevocabilità della stessa tranne che il giudice ordini l’incanto e siano trascorsi 120 giorni
dalla sua presentazione ed essa non sia accolta;
c) la necessità che l’offerta sia anonima;
d) il suo automatico accoglimento se l’offerta è superiore al valore dell’immobile determinato a
norma del 568 aumentato di un quinto;(572)
e) la necessità di dare luogo all’incanto se l’offerta è inferiore a quanto indicato nel punto d;e
se il creditore procedente si oppone alla vendita o comunque il giudice ritiene che vi sia
possibilità di maggior realizzo con l’incanto.(572)
Se vi sono più offerte(573),il giudice invita gli offerenti ad una gara sull’offerta più alta e se la gara
non ha luogo,egli può disporre la vendita a favore del maggior offerente oppure ordinare l’incanto.
Nel disporre LA VENDITA ALL’ASTA, il giudice detta i provvedimenti di cui al 576: per poter
partecipare all’asta è necessario prestare cauzione che non deve superare il decimo del prezzo base
dell’asta. È aggiudicatario chi nella pubblica asta offre il prezzo maggiore,secondo le condizioni
indicate nell’ordinanza di vendita; tale aggiudicazione si consolida nei 10 giorni successivi, se però
entro tale termine vengono fatte ulteriori offerte che superano di almeno 1/5 il prezzo di
aggiudicazione,l’incanto si riapre e vi sarà una nuova aggiudicazione provvisoria(584). Il giudice a
seguito dell’aumento del quinto,riapre la gara di cui deve essere avvertito l’aggiudicatario,fissando
un termine perentorio per la presentazione di nuove offerte. Alla gara possono partecipare:
a) coloro che hanno fatto l’offerta in aumento;
b) l’aggiudicatario;
c) gli offerenti al precedente incanto.
In questo caso si prevede che ove gli offerenti in aumento non partecipino alla gara,il giudice debba
assegnare il bene all’originario aggiudicatario,disponendo l’incaricamento della cauzione.
L’aggiudicazione definitiva è ancora condizionata da un ulteriore elemento: il versamento del
prezzo (585),che avviene secondo le modalità indicate nell’ordinanza di vendita. Oggi a questo
articolo è aggiunto il terzo comma che rende possibile a chi compra all’asta di farsi finanziare da un
istituto di credito che pretende di iscrivere ipoteca sull’immobile.

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A norma del 591, se il bene non riesce a vendersi al primo incanto e se non vi sono istanze di
assegnazione,viene fissato un nuovo incanto ed il prezzo base è ridotto di ¼.
Il decreto di trasferimento di cui al 586, è un atto di esecuzione impugnabile con l’opposizione 617:
il decreto contiene l’ingiunzione al debitore o al custode di rilasciare l’immobile venduto.
Se l’aggiudicatario è inadempiente in seguito alla aggiudicazione definitiva o senza incanto,ovvero
l’offerente non deposita il prezzo,il giudice dichiara con decreto la decadenza e pronuncia la perdita
della cauzione prestata. Dispone poi un nuovo incanto.
La legge 302/1998 ha affiancato al procedimento normale,un procedimento alternativo che è
fondato sulla delega dell’incanto al notaio,ossia sulla possibilità di delegare,sentiti gli interessati,le
operazioni di incanto mobiliare ad un notaio il quale provvede a tutte le attività necessarie per la
vendita. Qualora insorgano difficoltà,esse vengono riferite al giudice dell’esecuzione.

4.- L’ASSEGNAZIONE

L’assegnazione può essere satisfattiva, quando suo tramite un creditore viene soddisfatto in tutto o
in parte del proprio credito; i mista a vendita quando il creditore per rendersi assegnatario versa una
somma di denaro che sarà poi distribuita tra i vari creditori concorrenti.
In genere l’assegnazione è uno strumento sussidiario nel senso che vi si ricorre quando la vendita
non sia andata a buon fine. Per evidenti ragioni di tutela del debitore contro tentativi di
speculazione,il prezzo dell’assegnazione non può essere inferiore alla somma necessaria per pagare
le spese dell’esecuzione e i creditori aventi un diritto di prelazione e al prezzo determinato , qualora
nell’espropriazione non vi siano creditori intervenuti,il creditore procedente può offrire di pagare un
prezzo pari alla differenza tra il suo credito in linea capitale (depurato dagli accessori) e il prezzo
che intende pagare.
L’istanza di assegnazione è come quella di vendita un atto di espropriazione il cui compimento
presuppone il possesso del titolo esecutivo,tuttavia l’art 505 avverte che se sono intervenuti nel
processo altri creditori,l’assegnazione può essere d’accordo chiesta a vantaggio di uno solo o di più.
Quindi se l’istanza presuppone il possesso del titolo,può rendersi assegnatario del bene anche un
creditore sfornito di titolo esecutivo. Oggi l’istanza deve essere presentata nel termine di 10 giorni
prima della data dell’incanto per il caso in cui la vendita all’incanto non abbia luogo per mancanza
di offerte.
L’assegnazione è pronunciata con ordinanza che la giurisprudenza nega abbia carattere decisorio,
impugnabile a norma del 617.

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CAPITOLO SESTO

LA DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO

1. La fase distributiva e satisfattiva in generale

2. Composizione della somma ricavata

3. Distribuzione concordata e giudiziale

4. Domanda di sostituzione

5. Le controversie distributive

6. Il problema della stabilità dei risultati della distribuzione forzata

LA DISTRIBUZIONE DEL RICAVATO

1.- Fase distributiva o satisfattiva in generale

Come visto il processo di esecuzione per espropriazione forzata è normalmente ripartito in 2 fasi:
1) espropriativa o liquidativa: che culmina con la vendita forzata o l’assegnazione e realizza il
fondamentale obiettivo della individuazione,assicurazione alla procedura e successiva
liquidazione in denaro dei beni del debitore,vincolati alle finalità esecutive con il
pignoramento; qui il giudice discrezionalmente organizza in modo più o meno aperto il
concorso dei creditori.
2) satisfattiva distributiva: che ha lo scopo di realizzare la distribuzione agli aventi diritto del
ricavato a soddisfazione delle rispettive pretese. A questa fase sono ammessi tutti i creditori
aventi diritto,pena la lesione del principio di par condicio creditorum.
In casi particolari, la fase distributiva è immediatamente successiva al pignoramento: si pensi a
quando il debitore versi nelle mani di un ufficiale giudiziario del denaro in sostituzione di un bene
particolare,perché formi oggetto del pignoramento.
In altri casi invece,viene meno la necessita della distribuzione forzata: si pensi alla conversione del
pignoramento ove la determinazione dei crediti avviene prima della liberazione del bene e della
conseguente sostituzione dell’oggetto del processo esecutivo e la successiva liquidazione delle
quote aventi diritto a prescindere dalla necessità di una formale approvazione del piano di
distribuzione perché eventuali questioni saranno risolte prima e cioè nell’atto della determinazione
della somma che dovrà essere versata per la liberazione del bene.
Nella distribuzione forzata il carattere del diritto di credito può derivare non solo dall’esistenza di
cause di prelazione di natura sostanziale, ma anche da particolari posizioni di vantaggio acquisite

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nell’ambito della fase di espropriazione. Pertanto tale fase è quella in cui confluiscono le posizioni
di vantaggio dei creditori concorrenti,determinatasi in vista dell’assegnazione agli aventi diritto
della parte del ricavato che spetterà loro in ragione delle prelazioni di natura sostanziale; delle
prelazioni di natura processuale; dell’esistenza e dell’ammontare dei crediti chirografari,la cui
soddisfazione avverrà pro quota in rapporto a quanto residua dopo la soddisfazione dei creditori che
vantano un diritto privilegiato.

2.- Composizione della somma ricavata

La somma da distribuire tra i creditori concorrenti o da attribuire all’unico creditore procedente e


costituente la “massa attiva” è formata: (509)
- da quanto proviene a titolo di prezzo o conguaglio delle cose vendute o assegnate; il
conguaglio è il prezzo che l’assegnatario deve pagare nel caso in cui il valore del bene
assegnato sia superiore al credito vantato dall’assegnatario stesso.
- Da quanto proviene a titolo di rendita o provento delle cose pignorate ,ossia i frutti civili
delle cose pignorate;
- Da quanto proviene a titolo di multa( è la cauzione versata da coloro che intendono
concorrere all’incanto nell’espropriazione immobiliare: se l’offerente non diviene
aggiudicatario,la cauzione gli viene restituita dopo la chiusura dell’incanto; se l’offerente
diventa aggiudicatario,la cauzione garantisce il pagamento del prezzo nel termine fissato dal
giudice. Infatti in mancanza l’aggiudicatario perde la cauzione a titolo di multa) o
risarcimento del danno da parte dell’aggiudicatario inadempiente( è il risarcimento dovuto
dall’aggiudicatario che non adempia l’obbligo di versare il prezzo).
È comune in dottrina il rilievo secondo cui,qualora nella fase satisfattiva risulti presente il solo
creditore pignorante,non può correttamente parlarsi di distribuzione del ricavato, ma di semplice
assegnazione o attribuzione delle somme. La precisazione ha riflesso pratico in merito alla
qualificazione dell’opposizione che il debitore può muovere ritenendo alcuni che,nel
caso,tornerebbe sempre applicabile l’art 615(opposizione all’esecuzione) con conseguente
possibilità di sospensione facoltativa in presenza di gravi motivi apprezzabili dal giudice ; mentre
secondo altri,anche in caso di contestazione della pretesa dell’unico creditore procedente
risulterebbe sempre applicabile il 512( risoluzione della controversia) con conseguente possibilità di
sospensione parziale necessaria.
Questa opinione creava una discrasia che aveva evidenziato come paradossalmente la posizione del
creditore procedente fosse più forte qualora il debitore avesse proposto opposizione
all’esecuzione,giacchè la sospensione del processo era solo facoltativa e fosse più debole se il
debitore avesse sollevato contestazione art 512,perché in questo caso la sospensione della
distribuzione era automatica. Tale discrasia si giustificava in ragione del diverso oggetto delle due
controversie (contestazione del credito o il diritto di procedere all’azione forzata o all’azione
esecutiva).Oggi il problema si pone diversamente perché anche nel caso di controversie distributive
la sospensione è diventata facoltativa.
Se nel processo esecutivo ci sono stati interventi si fa luogo alla distribuzione vera e propria.

3.- Distribuzione della somma concordata e giudiziale

Le concrete modalità del concorso in sede di distribuzione del ricavato,sono diversamente regolate
nell’espropriazione mobiliare,rispetto a quella immobiliare:nella espropriazione MOBILIARE: è
possibile dare luogo alla distribuzione secondo un piano concordato dai creditori,intervenendo solo
in caso contrario alla ripartizione giudiziale. La ripartizione giudiziale interessa sia l’espropriazione
immobiliare che quella mobiliare che è contrapposta alla distribuzione amichevole.

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La disciplina contenuta negli art 541 e ss si applica solo nel caso di intervento di più
creditori,infatti,in caso di intervento di uno solo dei creditori si applicherà la disciplina dell’art 510.
- Nella ESPROPRIAZIONE MOBILIARE: la distribuzione del ricavato della vendita mobiliare
presuppone una istanza di parte, sono infatti i creditori a dover assumere una iniziativa,concordando
(distribuzione amichevole) un progetto di distribuzione che depositano nell’ufficio giudiziario. Il
giudice fissa l’udienza per la distribuzione invitandovi le parti soprattutto per sentire il debitore: in
particolare il giudice non può procedere all’approvazione del piano senza la preventiva audizione
del debitore il quale deve essere sentito o per esprimere la sua adesione all’avviso concorde dei
creditori o per sollevare quelle contestazioni che,inibendo l’omologazione del plano del progetto
concordato,non potranno che indurre il giudice a dare luogo alla soluzione alternativa,rappresentata
dalla distribuzione giudiziale. Il piano di riparto una volta approvato dal giudice diventa
irrevocabile.
La distribuzione giudiziale è comune alle varie forme di espropriazione pur essendo in esse
diversamente regolata quanto all’iniziativa,che nell’espropriazione mobiliare compete ad ognuno
dei creditori,mentre segue l’impulso d’ufficio in quella immobiliare,e quanto alle modalità di
formazione del progetto di distribuzione,che appaiono più dettagliatamente regolate
nell’espropriazione immobiliare per la maggior importanza economica della procedura.
La distribuzione giudiziale, è quella che ha luogo sulla base di un piano redatto dal giudice
dell’esecuzione mobiliare o immobiliare,il quale opera a tal proposito una cognizione di tipo
strumentale che non ha nulla a che vedere con la risoluzione delle controversie distributive.
Nell’espropriazione mobiliare,quando le parti non riescano a dar luogo alla distribuzione secondo
un piano concordato,ognuno dei creditori può chiedere la distribuzione giudiziale; in tal caso il
giudice parallelamente a quanto accade nell’espropriazione immobiliare,predisporrà il piano di
graduazione dei crediti e liquidazione delle singole poste in favore degli aventi diritto. Sulla base di
tale piano il giudice provvederà alla concreta attribuzione delle somme previa audizione delle
parti,le quali all’udienza fissata potranno sollevare le contestazioni di rito e di merito che abbiano
l’effetto di incidere sulla graduazione o sulla liquidazione dei singoli crediti.
- NELL’ESECUZIONE IMMOBILIARE: La distribuzione avviene su iniziativa del giudice
dell’esecuzione in quanto il progetto da questo formato precede necessariamente l’eventuale
accordo dei creditori. I suoi elementi tipici sono l’impulso d’ufficio;il necessario deposito in
cancelleria del progetto di distribuzione nei termini di legge affinché sia consultato dal creditore o
dal debitore e l’udienza di audizione delle parti,le quali se non compaiono decadono dal diritto di
contestare il progetto. Oggi è previsto che le operazioni di distribuzione possono essere delegate al
notaio o al professionista. Pertanto spetta al giudice o al delegato formare il progetto esecutivo. La
delega riguarda anche il potere di ordinanza,in quanto il delegato è abilitato a ordinare il
pagamento. Il consenso del debitore è necessario onde evitare una controversia distributiva.
Si ritiene che la mancata comparizione all’udienza del debitore e la mancanza di contestazioni da
parte sua importa approvazione implicita del progetto di distribuzione.
I creditori iscritti che nn sono intervenuti,non vanno informati dell’udienza,essi possono spiegare
intervento tardivo dopo tale udienza ma in tal caso potranno essere soddisfatti solo sull’eventuale
residuo. Se il progetto è approvato o si raggiunge accordo tra le parti,se ne da atto nel processo
verbale e il giudice dell’esecuzione o professionista delegato ordina il pagamento delle singole
quote,altrimenti applica il 512(risoluzione delle controversie).

4.- Domanda di sostituzione ( art. 511 c.p.c. )

Si tratta di una domanda che può essere proposta in ogni momento del processo esecutivo da chi
assume di essere creditore di un creditore che partecipa alla fase distributiva dell’esecuzione. La
domanda ha finalità satisfattive perché spiega i suoi effetti nella fase distributiva ma anche

49
surrogatorie,visto che il subcreditore può anche provocare atti dell’espropriazione in luogo del
creditore debitore.
Il sub creditore però non ha all’interno del processo una posizione pari a quella dei creditori
intervenuti,perché non ha una posizione autonoma,bensì dipendente da quella del creditore debitore,
e comunque i suoi poteri attengono esclusivamente alla fase distributiva.
La domanda si sostituzione non costituisce per la dottrina esercizio di un’azione esecutiva,ma vale
ad introdurre un procedimento cognitivo sommario,assimilabile al procedimento monitorio; tale
cognizione è destinata a tradursi in cognizione piena sul merito della domanda di sostituzione a
seguito di opposizione del creditore debitore,il quale può introdurre una formale controversia con
conseguente sospensione in parte della distribuzione.
La misura della soddisfazione del suo credito dipende dalla maniera in cui il suo debitore è
collocato nella distribuzione e ciò è base di una sua legittimazione straordinaria a proporre le
contestazioni.
Nella fase espropriativa il collegamento tra il suo diritto ad essere pagato e l’azione esecutiva in
corso è solo indiretto,la giurisprudenza tuttavia lo ritiene sufficiente per giustificare una sostituzione
in via di surrogazione del creditore del creditore al sostituito,nel compimento degli atti di
espropriazione.

5.- Controversie distributive

Le controversie ex 512 sono ordinari giudizi di cognizione e dunque di merito instaurati per mezzo
di azioni di opposizione. Tali giudizi,che non possono costituire una pura e semplice contestazione
della pretesa del creditore ma devono riguardare la materiale formazione del riparto,sarebbero
proponibili solo nei confronti dei creditori sforniti di titoli esecutivi o dei creditori intervenuti. Al
contrario nei confronti del creditore procedente e nei confronti di quelli intervenuti muniti di titolo
esecutivo,è proponibile l’opposizione all’esecuzione ai sensi del 615.
Il termine iniziale per la proposizione delle contestazioni coincide con l’udienza di distribuzione,
talvolta però la giurisprudenza ha ammesso opposizioni ex 512 anche nella fase espropriativa del
processo di esecuzione. Termine finale decorso il quale non è possibile proporre le opposizioni ex
512 è l’udienza per la discussione del progetto di riparto.
Oggetto delle controversie di cui al 512 sono:
- l’ammontare o la sussistenza di uno o più crediti
- la sussistenza dei diritti di prelazione .
LEGITTIMATI a contestare l’esistenza di diritti di prelazione sono solo i creditori e non anche il
debitore né il terzo: questi ultimi di fatti non possono subire alcun pregiudizio poiché i diritti di
prelazione incidono solo nei rapporti tra i creditori.
LEGITTIMATI a contestare la sussistenza o l’ammontare dei crediti sono: il debitore o il terzo
esecutato,il quale ha interesse ad escludere dal riparto uno o più creditori,nella speranza di
incrementare il residuo che gli spetta sul ricavato dalla vendita quando siano stati soddisfatti tutti i
creditori; e quindi i creditori, ma solo quando la massa attiva sia insufficiente.
Le contestazioni possono essere formulate anche con dichiarazione contenente gli specifici motivi
di opposizione,inserita a verbale nell’udienza fissata per la discussione del progetto di
distribuzione,oltre che con ricorso da notificarsi alle altre parti del processo esecutivo.
La controversia distributiva pur sorgendo come fase incidentale connessa al processo di esecuzione
è autonoma rispetto a quest’ultimo; la sua proposizione da luogo ad una ipotesi di SOSPENSIONE
necessaria dell’intero processo esecutivo o della parte di esso concretamente interessata dalla
contestazione; se c’è incompetenza del giudice dell’esecuzione a conoscere della causa di
opposizione,questo deve pronunciarsi sulla sospensione e fissare un termine per la riassunzione del
processo dinanzi al giudice competente.

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Nella controversia distributiva il debitore può intervenire per fare osservazioni e proporre eccezioni
e contestazioni che ritenga utili alla difesa dei suoi diritti: in ogni caso tutte le opposizioni proposte
avverso il progetto di distribuzione vanno riunite per essere decise in un simultaneus processus
ossia in un unico processo di cognizione.
Risolta la controversia il giudice dell’esecuzione provvederà a modificare il piano di riparto in base
a quanto emerso in sede cognitiva.

6.- Il problema della stabilità dei risultati della distribuzione forzata

In tema di stabilità dei risultati della distribuzione forzata la dottrina ha elaborato numerose teorie
che possono ricondursi a due fondamentali orientamenti:
A) LA TEORIA COGNITIVA: che ravvisa nella distribuzione la natura e le funzioni di un
processo di ordinaria cognizione;
B) LA TEORIA ESECUTIVA: secondo cui la fase distributiva ha solo funzioni liquidatorie
propriamente esecutive. Infatti l’azione che esercitano i creditori concorrenti è di tipo
esecutivo. Secondo questa teoria è ammissibile che il debitore esecutato,dopo la chiusura
del processo possa agire per la restituzione delle somme assegnate.
VERDE si discosta da queste affermazioni per aderire all’orientamento della cassazione che non
ammette possibilità per il debitore di ripetere le somme assegnate,vista la possibilità che egli ha di
utilizzare l’opposizione all’esecuzione e vista la irrevocabilità del riparto,una volta che questo si sia
concluso.
La stabilità della distribuzione forzata non risponde dunque ad una logica astratta,ma ha la funzione
di salvaguardia della concreta realizzazione della par condicio creditorum; non a caso,parte della
dottrina ha osservato che la distribuzione in una prospettiva de iure contendo dovrebbe essere
attaccata non con autonome iniziative ma solo con un’azione di riapertura del riparto concluso,con
conseguente formazione di uno nuovo,più rispettoso dei diritti effettivi dei creditori in concorso

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CAPITOLO SETTIMO

L’ ESECUZIONE FORZATA IN FORMA SPECIFICA

1.- In generale

2.- L’esecuzione forzata per consegna e rilascio

3.- L’ esecuzione forzata per fare o non fare ( o disfare )

L’ESECUZIONE FORZATA IN FORMA SPECIFICA

1.- In generale

Il codice di procedura civile non parla espressamente di esecuzione in forma specifica ma di


esecuzione per consegna o rilascio e di esecuzione forzata degli obblighi di fare e di non fare. Ma
notiamo alcune differenze:
• L’ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA tende a realizzare il diritto di un soggetto particolare su di un
bene determinato(il bene immobile da rilasciare o il bene immobile da rilasciare) ovvero mira ad
una determinata prestazione fungibile(un facere o un non facere la cui attuazione forzata si
ottiene per il tramite del processo di esecuzione).
• L’ESPROPRIAZIONE FORZATA,invece, tende a realizzare coattivamente il diritto di credito mediante
la liquidazione in denaro di beni particolari del debitore e la distribuzione del ricavato agli
aventi diritto secondo le norme sostanziali e processuali sulla par condicio creditorum.

E ANCORA :

• L’ESPROPRIAZIONE FORZATA passa attraverso un complesso di attività volte a trasferire la proprietà


dei beni che formano oggetto dell’esecuzione
• L’ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA, è volta a reimmettere il proprietario nella materiale
disponibilità dei suoi beni ovvero a garantire all’avente diritto la costruzione o la distruzione di
un opera determinata in difetto di adempimento spontaneo del soggetto obbligato. Da ciò deriva
che solo nel processo di espropriazione e non anche nelle eruzioni specifiche o dirette può porsi
il problema di attuazione formale del concorso dei creditori: in queste ultime può porsi semmai
il problema di co-legittimazione ad ottenere la specifica attività cui è tenuto il soggetto passivo e
non un problema di par condicio per le modalità concrete di realizzazione del diritto rimasto
inadempiuto.

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• L’ESPROPRIAZIONE FORZATA rappresenta un’esecuzione di tipo residuale perché il creditore di una
somma di denaro non potrebbe godere di un’altra forma di tutela esecutiva
• L’ESECUZIONE IN FORMA SPECIFICA, tende alla realizzazione coattiva di un obbligo che almeno nella
maggioranza dei casi, se non realizzato in modo coattivo potrebbe dare ingresso ad un
risarcimento per equivalente pecuniario, che a sua volta potrebbe legittimare una esecuzione per
espropriazione. Allora le esecuzioni specifiche sono come le espropriazioni forzate delle
esecuzioni giurisdizionali,solo l’intervento dell’organo giudiziario può infatti consentire
all’avente diritto di ottenere un risultato equivalente alla prestazione cui è tenuto il soggetto
inadempiente,ciò attraverso una attività sostitutiva il cui presupposto di legittimità deve essere
necessariamente il possesso del titolo esecutivo.
È onere dell’avente diritto notificare il titolo esecutivo,che può essere solo GIUDIZIALE, e del
precetto che dovrà indicare,la descrizione sommaria dei beni mobili da consegnare o dei beni
immobili da rilasciare. Nell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare,il precetto deve indicare
il risultato che si intende conseguire a mezzo dell’esecuzione forzata,le cui pratiche modalità
saranno stabilite dal giudice.
Tra i titolo giudiziali si ritiene sia in dottrina che in giurisprudenza che vi rientri il verbale di
conciliazione,quale titolo legittimante “omologato” dal giudice.

2.- L’ esecuzione forzata per consegna e rilascio

A) ESECUZIONE FORZATA PER RILASCIO: ha ad oggetto beni IMMOBILI. Secondo


la giurisprudenza l’atto iniziale di questa procedura coincide con l’accesso da parte
dell’ufficiale giudiziario nel luogo oggetto del rilascio per far recuperare all’avente diritto
la disponibilità del bene immobile. Tale orientamento mina la possibilità di chiedere la
SOSPENSIONE dell’esecuzione,perché questa potrebbe risultare compiuta prima che il
soggetto passivo abbia avuto materialmente la possibilità di rivolgersi al giudice. Da qui
la proposta della dottrina secondo cui l’atto iniziale coincide con la notifica dell’avviso
del giorno in cui si procederà all’esecuzione materiale e ciò ai fini della possibilità per
l’obbligato di rivolgersi al giudice e chiedere la sospensione dell’esecuzione nel periodo
di tempo compreso tra la notifica dell’avviso e l’inizio dell’esecuzione materiale.
Altro problema è quello relativo ai LIMITI DI EFFICACIA DEL TITOLO ESECUTIVO:
- a differenza dell’espropriazione forzata ove il titolo esecutivo e il precetto individuano sempre in
primis la persona del soggetto passivo all’esecuzione e attraverso di lui , i beni che formano oggetto
dell’esproprio; nell’esecuzione per il rilascio, il titolo esecutivo vale ad individuare direttamente il
bene oggetto dell’esecuzione, di cui l’avente diritto deve recuperare la disponibilità, dunque
l’individuazione del bene non è attività strumentale come per l’espropriazione per la successiva
liquidazione, ma attività finale perché è proprio quel bene che la parte istante deve ottenere a mezzo
del processo. Pertanto, di fronte ad una situazione in cui il bene è detenuto da un terzo che non è
contemplato nel titolo esecutivo come soggetto passivo dell’obbligazione e dunque dell’esecuzione
forzata, la giurisprudenza risolve nel senso che il titolo esecutivo che legittima l’azione ha efficacia
ERGA OMNES e chiunque abbia la disponibilità materiale del bene individuato nel titolo descritto
e nel precetto,deve rilasciarlo all’avente diritto, salvo la possibilità di esperire l’opposizione di terzo
all’esecuzione,con la quale si intenda dimostrare l’esistenza di un diritto reale sul bene,prevalente
rispetto a quello del soggetto che richiede l’esecuzione forzata.
Facciamo il caso che nell’immobile vi sia un detentore con titolo opponibile: es in una controversia
sulla proprietà prevale Tizio su Caio; Sempronio,conduttore dell’immobile,dovrà dopo l’esecuzione
forzata della sentenza,riconoscere in Tizio l’effettivo proprietario e versare a lui e non più a Caio il
canone: dunque il detentore è tenuto a riconoscere il nuovo possessore.
Se nell’immobile da rilasciare di trovano beni che non sono oggetto dell’esecuzione,questi verranno
custoditi o trasportati altrove. Se invece questi beni sono pignorati o sequestrati,l’ufficiale

53
giudiziario da notizia dell’avvenuta esecuzione per rilascio al creditore procedente e al giudice per
l’eventuale sostituzione del custode.

B) ESECUZIONE FORZATA PER CONSEGNA: ha ad oggetto beni MOBILI. Decorso


il termine indicato nel precetto,l’ufficiale giudiziario si reca nel luogo in cui si trovano le
cose e le ricerca. Se le cose da consegnare,sono pignorate,la consegna non può avere
luogo, e l’istante dovrà far valere le sue ragioni mediante l’opposizione di terzo
all’esecuzione. Può accadere che le cose da consegnare siano determinate solo nel genere
e in tal caso la loro individuazione e consegna equivarrebbe a trasferimento di proprietà:
dottrina e giurisprudenza ritengono che in questo caso non sia possibile l’esecuzione in
forma specifica sia perché l’esecuzione in forma specifica non ha mai la funzione di
trasferimento coattivo della proprietà dei beni,sia perché il trasferimento coattivo della
proprietà coinciderebbe con una sorta di anomala espropriazione forzata condotta in
violazione delle regole della par condicio creditorum.
Se le cose da consegnare sono in possesso di un terzo e questi ne consente l’esibizione nulla
questio ; altrimenti il terzo potrebbe far valere il suo diritto sui beni attraverso l’opposizione di terzo
619, rilevando che l’esecuzione su quel bene pregiudica un suo diritto reale prevalente rispetto a
quello della parte istante ove il pregiudizio nasce dalle stesse attività materiali dell’esecuzione:
l’obbiettivo dell’opposizione è solo quello di sottrarre al processo il suo concreto oggetto senza
contestazione della legittimità dell’esecuzione in sé ossia del diritto della parte istante di procedere
ad esecuzione forzata.
Se nel corso dell’esecuzione,tanto per consegna quanto per rilascio sorgono delle
difficoltà,ciascuna parte può chiedere al giudice anche verbalmente i provvedimenti temporanei
occorrenti che il giudice da con DECRETO. Questo perché l’esecuzione per consegna e rilascio è
compiuta interamente dall’ufficiale giudiziario che è organo dell’esecuzione,mentre l’intervento del
giudice è solo eventuale (infatti è su istanza di parte). Tale intervento può essere chiesto dallo stesso
ufficiale procedente quando si pongono problemi di contestazioni circa il contenuto esatto o le
concrete modalità dell’esecuzione forzata: per esempio quando intervengono i terzi che rivendicano
particolari diritti sui beni,la soluzione di difficoltà improvvise da superare per provvedere alla
consegna etc. Gli interventi del giudice sono incidentali e residuali: il suo potere di dare
provvedimenti temporanei si arresta dinanzi alla deduzione di questioni che possono formare
oggetto di opposizioni agli atti esecutivi o di opposizione all’esecuzione di terzo all’esecuzione,in
sede di applicazione dei provvedimenti temporanei egli non potrà dar vita ad una istanza di
sospensione dell’esecuzione.
le spese dell’esecuzione sono liquidate dal giudice dell’esecuzione,con decreto che costituisce titolo
esecutivo.

3.- L’esecuzione forzata per fare e non fare ( o disfare )

Regola dell’esecuzione degli obblighi di fare e di non fare è invece che la parte istante,dopo la
notifica del titolo e del precetto, deve richiedere con RICORSO al giudice dell’esecuzione, che
siano determinate le modalità concrete dell’esecuzione. Oggetto del procedimento è la realizzazione
forzata di obblighi di fare e di non fare il cui risultato coincide sempre con un facere positivo: es. si
realizza un opera che il soggetto passivo era obbligato a compiere oppure si distrugge un opera che
non si doveva realizzare con ripristino della situazione quo ante.
Il giudice dell’esecuzione:

- sente le parti;
- identifica il soggetto che deve procedere all’esecuzione (ufficiale giudiziario)
- individua le modalità pratiche necessarie per la realizzazione dell’esecuzione;

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- emette ORDINANZA: tale ordinanza ha la funzione di integrare il titolo esecutivo che
contiene già di per sé l’indicazione del risultato delle operazioni da compiersi.
-
L’attività del giudice non è decisoria ma ordinatoria; eventuali questioni relative alla interpretazione
della portata del titolo e del successivo provvedimento del giudice dell’esecuzione,ovvero il
rapporto tra i due fattori che sorreggono l’attività dell’ufficiale giudiziario vanno proposte mediante
l’opposizione agli atti esecutivi,salvo che non si contesti il diritto stesso di procedere all’esecuzione
forzata nel qual caso si applica l’opposizione all’esecuzione.
La giurisprudenza propende per l’appellabilità dell’ordinanza sul riflesso del suo carattere
intrinsecamente decisorio,ma VERDE non concorda con tale orientamento.
Se nel corso dell’esecuzione sorgono difficoltà,l’ufficiale giudiziario e si ritiene anche le
parti,possono rivolgersi al giudice dell’esecuzione il quale provvederà con ordinanza impugnabile
con opposizione agli atti esecutivi.
Le spese dell’esecuzione su istanza di parte vengono liquidate dal GE su istanza di parte: il decreto
in tal caso non ha efficacia di titolo esecutivo come avviene nell’esecuzione per consegna o rilascio
ma si tratta di un decreto di ingiunzione provvisoriamente esecutivo. Si tratta di un vero e proprio
procedimento monitorio,accessorio ma autonomo rispetto al processo di esecuzione,il cui oggetto è
la liquidazione e la conguità delle spese sostenute per l’esecuzione. Le spese sono anticipate dal
procedente.

Casi di dubbia applicabilità dell’esecuzione forzata degli obblighi di fare riguarda:


1) l’ordine di reintegrazione del prestatore di lavoro subordinato licenziato : qui dottrina e
giurisprudenza ritengono che l’ordine di reintegro non possa essere eseguito coattivamente:
la reintegrazione è oggetto di un facere infungibile perché il rapporto di lavoro è
caratterizzato dalla collaborazione dei due soggetti.
2) I provvedimenti aventi ad oggetto l’affidamento dei minori: l’orientamento più accreditato
sia in dottrina che in giurisprudenza è nel senso di ritenere sempre possibile l’esecuzione. La
ragione di ciò sta nel fatto che è concessa al giudice una attività necessaria di mediazione il
quale determina nel caso concreto le singole modalità dell’ esecuzione.

55
CAPITOLO OTTAVO

LE OPPOSIZIONI

1. In generale

2. L’ opposizione all’ esecuzione

3. L’ opposizione agli atti esecutivi

5. L’ opposizione di terzo all’ esecuzione

6. Le opposizioni distributive . Rapporti con l’ opposizione all’ esecuzione e con l’ opposizione


agli atti esecutivi

Le opposizioni

1.-In generale

il codice di procedura civile prevede diverse forme di opposizione distinte in ragione del loro
possibile oggetto.
Si individuano così:
- l'opposizione all'esecuzione - prevista dall’art 615 c.p.c-
mediante la quale si contesta il diritto della parte istante di procedere all'esecuzione forzata
(com.1) ovvero la pignorabilità di beni particolari (com. 2 )
- l'opposizione agli atti esecutivi prevista dall'art. 617 c.p.c
mediante la quale possono farsi valere vizi processuali dei singoli atti dell' esecuzione, che non
viene attaccata nel suo fondamento di legittimità
- l'opposizione di persone all’ esecuzione- prevista dall'art. 619 c.p.c-
mediante la quale il terzo, i cui beni sono stati illegittimamente colpiti dall’ esecuzione a carico
del debitore, fa valere la sua sostanziale estraneità al processo.
L'unica caratteristica comune alle varie forme di opposizione è nel fatto che, soggette al rito
ordinario ovvero rito speciale, esse nascono sempre in forma di contestazione di una determinata
attività processuale che è stata compiuta: hanno se così si può dire CARATTERE REPRESSIVO, di
un'attività che si assume illegittima, sia essa del creditore procedente o del giudice e NON
CARATTERE PREVENTIVO.
La dottrina inoltre distinguere :
1. OPPOSIZIONI DI MERITO (Art 615- art 619- art. 512 c-p-c.)

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con le quali si contesta la legittimità stessa dell'esecuzione anche con riferimento alla vicenda
sostanziale che la giustifica ( si tratta dell'an dell'esecuzione )
2. OPPOSIZIONE FORMALE ( Art. 617 c.p.c )
si contesta la legittima regolarità , opportunità, congruità di un singolo atto dell'esecuzione ( si
tratta della QUOMODO dell'esecuzione).
In realtà su tale classificazione bisogna fare delle precisazioni:
- la vera opposizione con la quale si contesta l'an dell'esecuzione ( e cioè che l'esecuzione
debba o non debba esserci ) è solo l'opposizione all'esecuzione
(ex art. 615 c.p.c ) proponibile dall'esecutato un qualunque da soggetto passivo
dell'esecuzione.
- Invece con l'opposizione di terzo all’ esecuzione, ex art. 619 c.p.c., il terzo non contesta
l'esecuzione in quanto tale, ma unicamente il fatto che l’ esecuzione abbia in concreto
colpito beni non appartenenti al debitore e quindi estranei alla responsabilità patrimoniale ex
art 2740 c.c.

2.- L’ opposizione all'esecuzione

L'opposizione all'esecuzione, prevista dall'art 615 c.p.c. , può avere ad oggetto:


1.- La contestazione del diritto di procedere all'esecuzione ( comma 1 )
2. La contestazione della pignorabilità di beni particolari ( comma 2 )
( si pensi al caso del pignoramento di un bene demaniale o patrimoniale indisponibile).
Essa può assumere le forme di:
- OPPOSIZIONE AL PRECETTO, se proposta prima che l'esecuzione sia iniziata (art 491
c.p.c )
- OPPOSIZIONE ALL’ ESECUZIONE se proposta dopo.

Esse si distinguono sia sotto il profilo del giudice competente, sia per la forma in cui l'opposizione
va proposta:
- OPPOSIZIONE AL PRECETTO: si propone con citazione a comparire ad udienza fissa,
dinanzi al giudice competente a norma dell'art 17 ( per materia, per un valore ) e dall'art 27 (
per territorio).
- OPPOSIZIONE ALL’ ESECUZIONE si propone con ricorso al giudice dell'esecuzione,
il quale se competente, fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito,
altrimenti rimette le parti davanti al giudice competente con termine perentorio per la
riassunzione (la prassi aveva individuato questo modus procedendi che la legge ha poi
recepito in apposite disposizioni).
Possiamo distinguere le contestazioni possibili nel caso di TITOLI ESECUTIVI GIUDIZIALI e
nel caso di TITOLI ESECUTIVI STRAGIUDIZIALI.
Nel 1° caso la dottrina ha individuato figure tipiche di contestazione.
Infatti se ci troviamo di fronte ad un titolo esecutivo giudiziale, in sede di opposizione all’
esecuzione si potranno far valere le sole contestazioni relative a fatti impeditivi, modificativi,
estintivi che siano successivi alla formazione del titolo: in particolare non si potranno far valere
contestazioni che avrebbero potuto essere dedotte nel processo di cognizione ( attraverso
l'impugnazione ordinaria ) ma che non sono stati in concreto dedotte in quella sede ( il giudicato
copre come è noto non solo il dedotto, ma anche il deducibile ).
Inoltre, non si possono far valere, tramite l'opposizione, vizi che hanno importato la nullità del titolo
esecutivo di formazione giudiziale, perché in virtù dell'articolo 161, si applica la regola della “
conversione delle nullità in motivi di impugnazione, e dunque è soltanto davanti al giudice della

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cognizione che detti vizi potranno essere fatti valere, rimanendo in caso contrario definitivamente
assorbiti.
Se ci troviamo di fronte ad un titolo stragiudiziale è invece ammissibile qualsiasi contestazione, sia
di natura formale( ad esempio il difetto di sottoscrizione della cambiale )sia relativa alla
formazione del titolo in quanto documento ( ad esempio irregolarità del bollo della cambiale o
dell'assegno bancario) sia relativa al rapporto contrattuale sottostante il titolo.

Le figure tipiche di contestazione ammissibili possono essere indicate nel modo seguente:

A ).- CONTESTAZIONE DELL’ INESISTENZA ORIGINARIA DI UN VALIDO


TITOLO ESECUTIVO

Dunque si può contestare l'esistenza ab origine di un valido titolo esecutivo, sotto il profilo:
- del suo carattere condannatorio, ad esempio una sentenza di condanna generica di per sé
inidonea a sorreggere un processo di esecuzione forzata
- della carenza dei necessari requisiti di diritto(certezza, liquidità ed esigibilità )
- di eccessività della pretesa esecutiva (perché ad esempio la somma intimata in precetto non
si giustifica sulla base del titolo esecutivo)
- delle nullità del titolo esecutivo(ad esempio una sentenza priva del fondamentale requisito
della sottoscrizione ).
Dunque, un valido titolo esecutivo deve sussistere fin dall'inizio dell'esecuzione ed un eventuale “
sanatoria “ successiva all’ inizio della stessa, non ne fa venir meno l'illegittimità, quindi
l'esecuzione resta illegittima.

B ). - CONTESTAZIONE IN CASO DI DIFETTO SOPRAVVENUTO DEL


TITOLO ESECUTIVO

Dunque si può contestare il difetto sopravvenuto del titolo esecutivo, in quanto un valido titolo non
solo deve sussistere all'inizio dell'esecuzione, ma deve permanere per tutta la durata dello stesso.
Secondo la giurisprudenza, la contestazione del difetto sopravvenuto del titolo esecutivo, porta alla
completa caducazione dell'esecuzione, che diviene illegittima ex tunc, sebbene originariamente
legittima.
L'esecuzione resta in piedi, invece, qualora essa sia sorretta da un'autonoma azione iniziata dal
creditore dotato di titolo esecutivo, che abbia iniziato un pignoramento successivo sul medesimo
bene.
Questo ragionamento vale se la caducazione del titolo è totale, se invece è parziale possiamo
applicare una regola dedotta dall'art. 653 com. 2, secondo il quale, se l'opposizione al decreto
ingiuntivo è accolta solo in parte, il titolo esecutivo, costituito dalla sentenza, legittima “ a ritroso “
gli atti di esecuzione già compiuti in base al decreto, nei limiti della summa o della quantità ridotta.
Ma, a parte il caso della caducazione parziale del titolo esecutivo, l'ipotesi della carenza iniziale e
quella della carenza sopravvenuto del titolo esecutivo, ricevono un trattamento equivalente, nel
senso della completa illegittimità ex tunc dell'esecuzione e così dei singoli atti compiuti.
Un altro problema che si potrebbe porre è: se è vero che il titolo esecutivo deve permanere durante
l'intero processo di esecuzione forzata, l'accertamento negativo relativo al titolo deve risultare da
sentenza passata in giudicato?
Prima di tutto dobbiamo distinguere tra TITOLO GIUDIZIALE e TITOLO STRAGIUDIZIALE.
Il TITOLO DI FORMAZIONE GIUDIZIALE è di norma provvisoriamente esecutivo, a norma
dell'art 282 c.p.c. così come novellato dalla l. n° 353/ 90, ma la riforma o la cassazione parziale
della sentenza estende sui effetti, con efficacia immediata(al momento della pubblicazione), ha gli
atti di esecuzione intrapresi sulla base della sentenza di 1° grado riformata o della sentenza
d'appello passata.

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Questa regola vale anche nel caso di revoca in corso di giudizio, dell'ordinanza esecutiva di
condanna al pagamento di somme.
Anche il provvedimento del giudice d'appello sull’ esecuzione provvisoria della sentenza di 1°
grado ha effetto immediato, ma questo incide solo sulla sospensione dell'efficacia esecutiva.
Questo vuol dire che mentre nel caso di riforma o cassazione viene meno ex tunc il fondamento di
illegittimità dell'esecuzione fin dall'inizio, nel caso dell’ inibitoria esecuzione già iniziata non può
proseguire ma il suo fondamento di illegittimità non viene messo in discussione(e pertanto non
viene meno il 1° atto dell'esecuzione).
Il processo esecutivo sarà sospeso e la sua sorte dipenderà dalla finale decisione di merito(e non
dalla decisione sull'inibitore che ha natura sostanzialmente cautelare).
Quanto ai TITOLI DI FORMAZIONE STRAGIUDIZIALE, la regola prevista dall'art 282 c.p.c.
dovrebbe fa ritenere che la riforma della sentenza di 1° grado fa venir meno l'esecuzione intrapresa
e che la riforma semmai giustificherà una nuova esecuzione sulla base del titolo esecutivo della
sentenza d'appello e non della continuazione della 1° esecuzione, ormai caducata.

C ).- LA CONTESTAZIONE DEL CREDITO AZIONATO


si può contestare il credito o comunque il diritto consacrato del titolo esecutivo

D ). CONTESTAZIONE RELATIVA ALLA PIGNORABILITA’ DEL BENE


Si può infatti far valere l’ impignorabilità del bene o del credito aggredito, assoluta o relativa

LEGITTIMAZIONE ATTIVA DELL’ OPPOSIZIONE


La legittimazione a proporre l'opposizione spetta al soggetto di cui confronti è intrapresa
l'esecuzione forzata.
Questo soggetto è quello individuato nel precetto e può essere anche diverso da quello indicato
come debitore del titolo esecutivo. Ad esempio, si ricorda che nell'espropriazione contro il 3°
proprietario , il precetto è notificato anche al 3° il quale essendo in tutto qualificato il debitore
esecutato potrà proporre l'opposizione.

LEGITTIMAZIONE PASSIVA
Spetta al creditore procedente e, secondo la prevalente giurisprudenza, ad ognuno dei creditori
intervenuti muniti di titolo esecutivo.
LA POSIZIONE PROCESSUALE DEI CREDITORI INTERVENUTI
Questi creditori possono compiere in luogo del creditore procedente, tutti gli atti dell'esecuzione
successivi al pignoramento e la loro rinuncia ai piatti e necessaria ai fini dell'estinzione del
processo.
La posizione processuale dei creditori intervenuti è tuttavia strettamente legata a quella del creditore
procedente, in quanto qualora i creditori intervengano dell'esecuzione proposta dal creditore
procedente, con l'accoglimento dell'opposizione al esecuzione il intero processo viene travolto e con
esso anche la posizione degli interventori forniti di titolo..
Se ne deduce che, se il creditore in possesso di titolo intenderà mettersi al riparo da eventuali “
sorprese “ derivanti dalla caducazione dell'azione svolta dal creditore d'ignorante, dovrà utilizzare il
titolo esecutivo per svolgere un pignoramento successivo e non un semplice intervento da altri
promosso.

RIFORMA
prima della riforma del 2005 avveniva che nel caso di opposizione proposta prima dell'inizio del
esecuzione(opposizione precetto) il giudice diritto non avesse il potere sospensivo.

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Si riteneva, infatti, che prima dell'inizio dell'esecuzione, non si potesse sospendere un'esecuzione
che ancora non c'era.
Si sarebbe potuto sospendere l'efficacia esecutiva del titolo, ma ciò sarebbe spettato al giudice
competente a sindacarne la validità e l'efficacia.
Questa soluzione aveva evidenziato di problemi è fatto dubitare della conformità di questo sistema
all’ esigenza di assicurare una difesa piena in ogni stato e grado del processo specialmente di fronte
ai titoli sono giudiziari.
Il legislatore del 2005 a infatti modificato l'art. 615 stabilendo che, nel caso di OPPOSIZIONE PRECETTO,
il giudice “ concorrendo gravi motivi sospendere su istanza di parte l'efficacia esecutiva del titolo “.
Se questa ha risolto di problemi rispetto ai titoli stragiudiziali, rispetto ai quali non esisteva uno
specifico rimedio sospensivo, ne fa sorgere uno per il titoli giudiziali, per i quali questo rimedio
esisteva già, infatti si doveva quantomeno coordinare i due rimedio ma così non è stato. Così è
possibile che il giudice dell'appello non venga sospendere l'efficacia esecutiva della sentenza e che,
invece, il giudice dell'esecuzione conceda sospensione.

3.- OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI

Art. 617 c.p.c. com.1 “ le opposizioni relative alla regolarità formale del titolo esecutivo e del
precetto, si propongono prima che sia iniziata l'esecuzione davanti al giudice indicato
nell'articolo 480 com. 3, con atto di citazione da notificarsi nel termine perentorio di 20 giorni
( prima 5) dalla notificazione del titolo esecutivo del precetto “
Com.2 “ l'opposizione di cui al comma precedente che sia stato impossibile proporre prima
dell'inizio dell'esecuzione e quelle relative alla notificazione del titolo esecutivo e del precetto e ai
singoli dati di esecuzione si propongono con ricorso al giudice dell'esecuzione, se riguardano il
titolo esecutivo o il precetto, oppure dal giorno in cui singoli piatti furono compiuti “
Con l'opposizione di atti esecutivi, il creditore, il debitore o chiunque gradi interesse contestano la
regolarità formale:
1. del titolo esecutivo e della sua notifica
2. del precetto e della sua notifica
3. dei successivi atti esecutivi
4. la conformità o l'opportunità o la regolarità degli atti esecutivi
Attraverso tale strumento, dunque, non si contestano l'AN del processo risoluzione (e cioè che
l'esecuzione debba esserci o non esserci) ma il QUOMODO , cioè si va a verificare il corretto
andamento del processo di esecuzione.
Mentre l’ opposizione all’ esecuzione (articolo 615), opposizione di 3° .(articolo 619) e
l'opposizione distributiva(articolo 512) introducendo giudizi di cognizione in tutto e per tutto
assimilabili a quelli che potrebbero sorgere in un contesto diverso ed autonomo rispetto a quello
dell'esecuzione forzata, l'opposizione agli atti esecutivi a la specificità di nascere come strumento di
controllo di un singolo atto del processo, che il legislatore ha articolato in un solo grado di merito: l’
OPPOSIZIONE è DEFINITIVA CON SENTENZA NON IMPUGNABILE ( art. 618 com. 1 E
2 ).
Ma, con l'avvento della costituzione, tale sentenza, che definisce l'opposizione, è considerata
immediatamente ricorribile in cassazione (ex art. 111 com. 2 cost. ).
Inoltre, per capire la portata di tale opposizione dobbiamo integrare la disposizione di
riferimento(art. 617 c.p.c. ) con il “ diritto vivente ” visto che c'è stato un processo di trattamento di
tale istituto.

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La pratica a infatti mostrato scarsa aderenza alla lettura dell'art. 617 c.p.c., il quale parla
semplicemente di regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, così come dello
notificazione è di singoli dati dell'esecuzione.
Infatti, è stato ritenuto ammissibile l'opposizione per vizi rapportabile all'inopportunità e alla
incongruenza degli atti esecutivi e che legittimati fossero tutte le parti del processo e anche “
interessati “ che non fossero tecnicamente parti del processo esecutivo.
Inoltre, la prassi ha ritenuto applicabile l'istituto anche a talune situazioni di regolarità(tali da
assorbire le stesse nozioni di nullità).
Nel ” diritto vivente" dunque tale opposizione rappresenta in sostanza un rimedio di chiusura
nell'ambito del processo esecutivo, cui si può ricorrere per denunciare l’ irregolarità, l'inopportunità,
l'incongruenza e cioè la sostanziale “ ingiustizia" di un atto dell'enunciazione allorché non sia
disponibile un rimedio ad hoc , uno strumento specializzato.
- FORMA DI PROPOSIZIONE DELL’ OPPOSIZIONE PRIMA CHE SIA INIZIATA
L’ ESECUZIONE
l'opposizione agli atti si propone con citazione notificato nel termine perentorio di 20 giorni
( PRIMA 5 ) dalla notifica del titolo o del precetto, davanti al giudice indicato nell'art. 480 cpm. 3
( si tratta del giudice competente per l'esecuzione nel cui comune la parte dovrebbe eleggere
domicilio nell’ atto di precetto).
Le opposizioni che non si siano potute proporre prima di rito dell'esecuzione si propongono con
ricorso al giudice dell'esecuzione nel termine perentorio di 20 giorni(prima 5) dal 1° atto
dell'esecuzione.
Dunque, emerge, che mentre l'opposizione di merito possono proporsi in ogni momento del
processo esecutivo, essendo essa svincolata dall'osservanza di un termine di decadenza,
l'opposizione agli atti dell'essere proposta entro un termine perentorio di 20 giorni.
Questo importa che il legislatore ha si introdotto uno strumento di generalissimo applicazione per il
controllo di regolarità degli atti dell'esecuzione, ma anche, nel contempo, predisposto un dispositivo
in grado di realizzare una rapida sanatoria per vizi, infatti la REGOLA GENERALE è la sanatoria
del vizio, se non apposto nel breve termine perentorio.
Anche se la giurisprudenza ha individuato accanto alle fattispecie di nullità relativa insanabile con
ricorso del termine di 5 giorni, fattispecie di nullità assoluta-inesistente, che non essendo sanabili
sarebbero rilevabili d'ufficio in ogni momento del processo esecutivo ed opponibili dalla parte ex
articolo 617 del termine di 20 giorni decorrente dal compimento di ognuno degli atti successivi a
quello viziato e ha ritenuto di sottoporre allo stesso regime le nullità extra-formali(carenza di
giurisdizione, difetto di legittimazione del creditore procedente) che in quanto tali inficerebbero
qualsiasi lato del processo, senza possibilità di sanatoria.
La riforma del 2005 ha inciso anche sull'articolo 618 c.p.c. che disciplina i PROVVEDIMENTI
DEL GIUDICE ISTRUTTORE.
Esso prevede che il G.E. deve fissare l'udienza di comparizione nella quale deve decidere se dare
provvedimenti indilazionabili o se sospendere l'intera procedura(ipotesi, quest'ultima, in precedenza
non contemplata).
Poli fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizi di merito, che è deciso con sistema
non appellabile magico orribile in cassazione.
La sentenza, in caso di esso positivo dell'opposizione, accerterà l'esistenza del vizio ed annullerà l’
atto o provvedimento che sarà successivamente sostituito da un’ atto o da un provvedimento
valido(non è però conferito al giudice della cognizione il potere di adottare un provvedimento
sostitutivo).

5.- L’ OPPOSIZIONE DI 3° ALL’ ESECUZIONE

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L'opposizione di 3° l'esecuzione ( art 619 c.p.c. ) è il rimedio che consente ad un soggetto estraneo
all'esecuzione, che pretenda di avere la proprietà o altro diritto reale sui beni pignorati, di contestare
l'esercizio dell'azione esecutiva sotto un profilo limitato: infatti, egli essendo del tutto estraneo al
rapporto tra creditore procedente e debitore esecutato, e non avendo interesse a contestare il diritto
del 1° a procedere ad esecuzione forzata, si limita a dedurre che il pignoramento ha colpito un bene
non rientrante dei patrimonio del debitore.
Il terzo diventa dunque, con l'opposizione, “ parte" del processo di esecuzione, o comunque
soggetto "interessato " allo svolgimento dell'esecuzione sul bene, per dedurre il suo illegittimo
coinvolgimento dell'esecuzione stessa e per far accettare la sua sostanziale estraneità alla pretesa
esecutiva del creditore procedente.

-OGGETTO DEL GIUDIZIO DI OPPOSIZIONE-


Ne consegue che l'oggetto del giudizio di opposizione non è la fondatezza dell'azione spiegata dal
procedente ma semplicemente la titolarità dei beni colpiti dal pignoramento.
Il terzo rivendicando tali beni, tende a sottrarsi all'esecuzione, che pertanto potrebbe caducarsi, non
per l'accertamento dell'inesistenza del diritto del procedente bensì, per il venir meno del suo oggetto
concreto.

- ESPERIBILITA’ DELL’ OPPOSIZIONE EX ART. 619


E’ più frequente nell'espropriazione mobiliare, in quanto mentre per gli immobili esiste un regime
di pubblicità tale da dirimere erga omnes eventuali conflitti legati alla circolazione dei beni, invece
per i beni mobili il codice adotta il criterio "dell'appartenenza" al debitore, criterio, dunque, che crea
non pochi problemi.
Dunque:
- NELL’ ESPROPRIAZIONE MOBILIARE
l'opposizione di terzo all'esecuzione è esperibile tutte le volte che nei luoghi di appartenenza del
debitore si trovino custoditi beni di proprietà di terzi
- NELL’ ESPROPRIAZIONE IMMOBILIARE
il terzo può far valere diritti "contro" la risultanza dei registri immobiliari quali sono quelli che
nascono da vicende acquisitive atti originario (ad esempio usucapione) ovvero da contestazioni
relative al titolo d'acquisto del debitore.

- OPPOSIZIONE DI 3° TARDIVA O TEMPESTIVA

- TEMPESTIVA- se proposta prima che sia disposta la vendita o l'assegnazione. Il terzo


chiede così lo svincolo vi sui beni dal pignoramento (art. 619 com.1
- TARDIVA - se proposta dopo la vendita o l'assegnazione. Il terzo può far valere i propri
diritti solo sulla somma ricavata.
Ci si chiede: cosa si intende per prima o dopo la vendita?

Come sappiamo il pignoramento è un procedimento complesso che comprende una serie di atti e
quindi per "vendita" si può intendere l'atto finale del procedimento e in questo caso è più esteso il
tempo entro il quale il terzo può proporre l'opposizione e sottrarre il suo bene all’ esecuzione.
Oppure si può intendere per “ vendita “ l’ atto che dà impulso al procedimento e in questo caso è
più ridotto il tempo entro il quale il terzo può far valere il suo diritto sul bene anziché sul ricavato.
Si ritiene però che il terzo possa opporsi tempestivamente(e dunque far valere il suo diritto sul bene
piuttosto che sul ricavato) prima che si l'ha adottato il provvedimento che giuridicamente realizzare
l'effetto tra relativo del bene pignorato ( DECRETO DI PIGNORAMENTO ).

FORME DELL’ OPPOSIZIONE.

62
L'opposizione si propone con ricorso il giudice dell'esecuzione il quale fissa con decreto la
comparizione delle parti ed il termine perentorio per la notificazione del ricorso e del decreto alla
controparte( che si identifica del creditore che ha richiesto il pignoramento).
Gli interventori muniti di titolo esecutivo potranno essere litisconsorzi nel giudizio di opposizione
solo se abbiano colpito i medesimi beni con un pignoramento successivo, in caso contrario il
giudizio di opposizione si svolgerà tra il creditore procedente ed il terzo opponente, salva la
possibilità di creditore intervenuti di svolgere un intervento adesivo dipendente per sostenere le
ragioni del creditore pignorante a avendo anch'essi interesse al mantenimento dell'oggetto
dell'espropriazione.

PROCEDIMENTI

il giudice dell'opposizione deve anzitutto ricercare un accordo tra le parti per risolvere bonariamente
l'incidente. L'articolo 619 com 3, così come è stato modificato del 2006, prevede che, se all’
udienza le parti raggiungono un accordo il giudice ne dà atto con ordinanza e in questo caso adotta
anche i provvedimenti necessari per la prosecuzione del giudizio o per l'estinzione del
processo(statuendo in questo caso sulle spese).
Se è un accordo non è possibile il giudice provvede ai sensi dell'articolo 616, e cioè deve porsi la
questione della propria competenza.
Se è competente fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito, altrimenti
premete la causa dinanzi all'ufficio giudiziario competente, assegnando un termine perentorio per la
riassunzione.

PROVA DEL DIRITTO DEL TERZO ( ART. 621 )

“ Il terzo non può provare con testimoni il suo diritto sui beni mobili pignorati della casa un
dell'azienda del debitore, tranne che l'esistenza del diritto stesso sia resa verosimile dalla
professione o dal commercio esercitata dal terzo o del debitore “

La giurisprudenza qualifica il terzo opponente come " interessato " al processo espropriativo e alle
sue vicende, e questo non legittima a partecipare a tutte le attività che hanno ad oggetto
l'amministrazione o la liquidazione del bene sul quale egli rivendica il diritto.

6.- LE OPPOSIZIONI DISTRIBUTIVE ( A rt. 512 )

Le opposizioni distributive nascono in una specifica sede, che è quella della distribuzione della
somma ricavata dall'espropriazione mobiliare o immobiliare.

RAPPORTI TRA OPPOSIZIONI DISTRIBUTIVE ED OPPOSIZIONE ALL’


ESECUZIONE( art. 615 )

L'articolo 512 riguarda contestazioni sulla sussistenza o ammontare dei crediti ovvero sulla
sussistenza delle cause di prelazione, tra creditori concorrenti o tra costoro e il esecutato. Queste
contestazioni possono essere proposte in sede di riparto.
L'articolo 615 invece, riguarda l'opposizione all'esecuzione e cioè l'opposizione riguarda l'esercizio
stesso dell'azione esecutiva un vero la pignorabilità dei beni.

63
Ci si chiede: in sede distributiva possono essere avanzate solo opposizioni distributive e cioè
relative all’ entità del credito o al suo carattere privilegiato, oppure è possibile proporre anche
opposizione all'esecuzione e cioè contestazioni del diritto di procedere all'esecuzione ?

La questione ha una notevole rilevanza pratica perché l'articolo 624 com 1, in caso di opposizione
all'esecuzione, ammette la possibilità di sospensione solo in presenza di gravi motivi apprezzabili
dal giudice, l'articolo 512 comporta una automatica sospensione, totale o parziale, delle attività
distributive
il vecchio articolo 624 diceva " il giudice sospende totalmente o parzialmente la distribuzione della
somma ricavata quando sorge una delle controversie previste nell'articolo 512. Oggi il nuovo attico
512 prevede che "il giudice può sospendere totalmente o parzialmente la distribuzione della somma
ricavata quando sorge una delle controversie previste ".
Per cui la contestazione dell'entità del credito o del carattere privilegiato del diritto darebbe luogo a
sospensione ex lege , laddove la contestazione dell'esistenza stessa del diritto di procedere
esecuzione forzata, sollevata in sede distributiva, potrebbe portare alla sospensione soltanto in
presenza di " gravi motivi " a apprezzabili dal giudice.
Per correggere tale conclusione, sembra preferibile pensare che le operazioni proposte nella fase di
distribuzione, sebbene astrattamente inquadrabili come opposizioni alle esecuzione, sono sempre
soggette a regime delle controversie distributive, determinando la sospensione ex lege della relativa
attività.
Dunque, se il debitore, o il terzo assoggettato al espropriazione per debito altrui, abbia omesso di
contestare tempestivamente, nelle forme previste dall'art. 615 c.p.c. la legittimità dell'esecuzione, la
contestazione " tardiva " sollevata in sede di distribuzione, non potrebbe che essere qualificata ex
art. 512 c.p.c..
In realtà in seguito alla riforma, L’ ART. 512, prevede che il giudice dell'esecuzione, sentite le parti
e con più di necessari accertamenti, provvede con ordinanza impugnabile nelle forme e nei termini
di cui all’ art. 617 com. 2 annulla azione.
Inoltre, il giudice può , e quindi il giudice non ha più l'obbligo, di sospendere automaticamente,
totalmente o parzialmente, la distribuzione della somma ricavata..
inoltre in base al nuovo articolo 624 com 2, è possibile proporre contro il provvedimento che
dispone la sospensione reclamo ai sensi della titolo 669 terdecies.

RAPPORTI CON L’ OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI ( ART. 617 )

Il problema pratico fondamentale, relativo al rapporto tra l'art. 617 e l'art. 512 c.p.c., si è posto in
relazione alla contestazione dei crediti da parte degli intervenuti sforniti di titolo esecutivo.
Dal momento che il codice non prevede uno strumento volto consentire la contestazione immediata
da parte del esecutato, ci si chiede: è possibile “ anticipare “ la controversia distributiva in una fase
anteriore del processo?
La giurisprudenza ha generalmente fornito una risposta negativa, perché la controversia distributiva
rappresenta lo strumento mediante il quale le parti possono controllare o correggere lo svolgimento
della distribuzione forzata ed il suo necessari riferimento è rappresentato da un ricavato di importo
determinato, mentre la contestazione dei crediti può avere un riferimento completamente diverso.
Dunque va escluso che le controversie distributive possano essere “ anticipate “ in una fase
processuale antecedente a quella della distribuzione, visto che prima di questa fase non esiste
ancora un ricavato di importo determinato.
Se ne deduce che la contestazione dei crediti, in una fase processuale anteriore a quella distributiva,
è possibile nelle forme dell’ OPPOSIZIONE ALL'ESECUZIONE , nei confronti dei creditori muniti di titolo
esecutivo, e elle forme dell’ OPPOSIZIONE AGLI ATTI ESECUTIVI , nei confronti dei creditori sforniti di
titolo.

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CAPITOLO NONO

SOSPENSIONE ED ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO

1. La sospensione del processo esecutivo

2. Procedimento della sospensione

3. L' estinzione del processo esecutivo:


a) rinuncia ai atti;
b) inattività delle parti

4. Regime ed effetti dell'estinzione

Sospensione ed estinzione del processo esecutivo

1.- La sospensione del processo esecutivo

In termini generali, la SOSPENSIONE, assolve l'esigenza di coordinare il processo esecutivo in corso


con l'esito di un giudizio di cognizione, la cui definizione risulta pregiudiziale rispetto alla
prosecuzione dell'esecuzione.
L’ Art. 623 c.p.c. - I LIMITI DELLA SOSPENSIONE- dispone " salvo che la sospensione sia disposta dalla
legge o dal giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo l'esecuzione forzata non può
essere sospesa che con provvedimento del giudice dell'esecuzione ".
Dunque l'articolo 623 e distingue 3 fattispecie di sospensione:
1. QUELLA DISPOSTA DALLA LEGGE
2. QUELLA DISPOSTA DAL GIUDICE DINANZI AL QUALE È IMPUGNATO IL
TITOLO ESECUTIVO
3. QUELLA DISPOSTA DAL GIUDICE DELL'ESECUZIONE

A ).- La sospensione disposta dalla legge

Essa ricorre qualora è la stessa legge che impone la sospensione del processo esecutivo fino alla
definizione di un giudizio di cognizione incidentale, avente carattere pregiudiziale rispetto
l'esecuzione in corso.

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Ad esempio, nel corso dell'art. 548 c.p.c. ( accertamento dell'obbligo del terzo nell'espropriazione
presso terzi ) e nel casco dell'art. 601 (divisione giudiziale nell'espropriazione dei beni indivisi ).
Inoltre a tale figura di sospensione può essere ricondotta anche quella prevista dall'art. 512 in
rapporto all'art. 624 com.2, perché in occasione delle controversie distributive il processo deve
essere sospeso per quanto pregiudicato dalla specifica contestazione del riparto ed il margine di
apprezzamento che residua al giudice è relativo alla possibilità di adottare una sospensione solo
parziale.
Un'altra ipotesi è la dilazione degli atti esecutivi che si verificano allorché il giudice per poter
procedere nell’ esecuzione, a da risolvere « incidenti » cognitivi.

B ).- La sospensione da parte del giudice dinanzi al quale è impugnato il titolo esecutivo

Questa rappresenta per molti versi la figura più controversa.


Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità, la corretta interpretazione dell'art. 623 c.p.c
dovrebbe portare a far ritenere che « giudice davanti al quale è impugnato il titolo esecutivo » è solo
quello davanti al quale viene impugnata la sentenza avente efficacia esecutiva, e non anche il
giudice dinanzi al quale si discute comunque della validità e dell'efficacia del titolo esecutivo.
In particolare non è tale il giudice dell'opposizione al precetto e la sospensione in discorso sarebbe
prerogativa esclusiva del giudice dell'impugnazione.
Questa interpretazione e realtà molto riduttiva.
Infatti questo porterebbe a ritenere che dinanzi al giudice dell'opposizione al precetto è impossibile
arrestar relazione esecutiva allorchè il debitore dimostri di avere pagato il debito dopo la
formazione del titolo esecutivo ma che sarebbe comunque necessario a prendere il pregiudizio
dell'esecuzione sia compiuto.
In realtà sembra preferibile ritenere che l'art. 623 c.p.c. abbia utilizzato il termine
« impugnazione » in un significato non strettamente tecnico, tale da farmi rientrare anche
l'opposizione al precetto.
Intesa in questo modo la norma legittima il potere di sospensione non solo e non tanto in capo al
giudice dell'impugnazione, ma proprio in capo al giudice della opposizione al precetto.
Il legislatore del 2005 consapevole di questa difficoltà interpretativa, e sensibile a tale esigenza, ha
modificato l'art, 615 stabilendo che, nei casi di opposizione al precetto, il giudice « concorrendo »
gravi motivi, sospendere su istanza di parte l'efficacia esecutiva del titolo.
( Vedi anche avanti, dove c'è scritto RIFORMA )

C ).- La sospensione disposta dal giudice dell'esecuzione

È quella cui fa riferimento l'art. 624 com. 1 « se è proposta opposizione al esecuzione a norma degli
articoli 615 619, il giudice dell'esecuzione, concorrendo gravi motivi, sospendere su istanza di parte
il processo con cauzione o senza ».
La sospensione è dunque possibile laddove concorrano « gravi motivi ».
Alcuni hanno ritenuto questi gravi motivi come il frutto di una deliberazione sommaria circa la
fondatezza delle opposizioni, tale da far credere prevedibile il loro accoglimento.
Altri che si considerano come risultato di una valutazione comparativa dell'interesse del creditore ad
essere immediatamente soddisfatto, da un lato, e dell'interesse del debitore a non subire
ingiustamente i dati dell'esecuzione, dall'altro.
C'è inoltre chi ha sottolineato il carattere intrinsecamente cautelare del provvedimento di
sospensione, in collegamento con il principio secondo cui, la durata del processo di cognizione, in
cui consiste l'opposizione di merito, non deve andare a detrimento della torre che ha ragione.

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RIFORMA
Prima della riforma del 2005 avveniva che nel caso di opposizione proposta prima dell'inizio
dell'esecuzione ( OPPOSIZIONE AL PRECETTO ) il giudice adito non avesse potere sospensivo.
Si riteneva infatti, che prima del mito dell'estinzione, non si potesse sospendere una esecuzione che
ancora non c'era.
Si sarebbe potuto sospendere l'efficacia esecutiva del titolo ma ciò sarebbe spettato a giudice
competente.
Questa soluzione aveva evidenziato problemi è fatto dubitare della conformità di tale sistema alle
esigenza di assicurare una difesa piena in ogni stato e grado del processo
specialmente di fronte atti dovessero giudiziali.
Il legislatore del 2005 a infatti modificato l'articolo 615 stabilendo che nel caso di
“ opposizione al precetto “, « il giudice ricorrendo gravi motivi, sospendere su istanza di parte
l'efficacia esecutiva del titolo ».
Se questa ha risolto dei problemi rispetto ai titoli stragiudiziali, rispetto ai quali non esistevano
specifico rimedio sospensivo ne fa sorgere per il titoli giudiziali, per i quali tale rimedio già
esisteva; si doveva, quanto meno coordinare i due rimedi ma così non è stato.
Così è oggi possibile che il giudice dell'appello non intenda sospendere l'efficacia esecutiva della
sentenza e che, invece, il giudice dell'esecuzione conceda la sospensione.
Inoltre, il legislatore ha inciso anche sull'articolo 626 c.p.c. – Sospensione per opposizione
all'esecuzione- ed ha previsto un rimedio contro l'ordinanza di sospensione che è assimilata ad un
provvedimento cautelare.

Art. 624 c.p.c. - Sospensione per opposizione all'esecuzione


Com. 1- se è proposta opposizione all'esecuzione a norma degli articoli 615 619, il giudice
dell'esecuzione concorrendo gravi motivi, sospende su istanza di parte, il processo con cauzione
o senza
Com. 2- contro l'ordinanza che provvede su istanza di sospensione è ammesso reclamo o ai sensi
dell'articolo 669 terdecies. La disposizioni di cui al periodo precedente si applica anche il
provvedimento di cui all'articolo 512 com. 2
Com. 3- nei casi di sospensione del processo disposta ai sensi del com. 1 e non reclamata,
nonché disposta o confermata in sede di reclamo, il giudice che ha disposto la sospensione
dichiara con ordinanza non è impugnabile l'estinzione del pignoramento, previa e eventuale
imposizione di cauzione e con salvezza degli atti compiuti, su istanza dell’ opponente alternativa
all'instaurazione di giudizio di merito sull’ opposizione, fermo restando in tal caso il suo
possibile promovimento da parte di ogni altro interessato; l'autorità dell'ordinanza di estinzione
pronunciata ai sensi del presente comma non è invocabile in un diverso processo.
Com. 4- la disposizioni di cui al terzo comma si applica, in quanto compatibile, anche al caso di
sospensione del processo disposta ai sensi degli articoli 618 e
618-bis

Dunque dall'art. 624 riscritto emerge la possibilità di proporre reclamo ai sensi dell'art. 669-
terdecies contro l'ordinanza che concede la sospensione sia del efficacia esecutiva del titolo che
dell'esecuzione.
La formulazione dell'articolo 624 crea però 2 problemi :
1) se si applicabile solo il 669-terdecies o tu dalla disciplina sui processo cautelare uniforme
2) se ci sia un rimedio contro il provvedimento che nega la sospensione
Singolare è inoltre la previsione dello 3° com. dell'art. 624, che dice che “ in caso di ordinanza di
sospensione non reclamata o confermata dal giudice di reclamo, il giudice dell'esecuzione è tenuto a
dichiarare con ordinanza non è impugnabile l'estinzione del pignoramento, previa e eventuale
imposizione di cauzione e con salvezza degli atti compiuti".

67
La disposizione realizza uncaso di contraddizioni in termini, perché da un lato dispone che il
processo esecutivo continui a pendere pur essendo sospeso, e dall'altro lo priva del suo oggetto.
Questo fosse perché il legislatore si è avviato sulla strada di riconoscer efficacia permanente a
provvedimento cautelare anticipatorio, salvo che la parte contro cui emanato non proponga l'azione
di merito, ottenendo in tale sede la sospensione della sua efficacia.
Infine, l'art. 624-bis altro dopo la “ Sospensione a distanza di parte " ( richiesta da tutti creditori
muniti di titolo esecutivo e sentii del debitore ).
Questa sospensione :
- non può superare i 24 mesi
- può esser disposta una sola volta
- deve essere domandata tempestivamente per evitare che si traduca in un espediente meramente
dilatorio con un uso facilmente strumentale.

2.- Procedimento di sospensione

A norma dell' art. 625 com. 1, il giudice dell'esecuzione provvede su una sospensione con
ORDINANZA, dopo aver sentito le parti
Com. 2- nei casi urgenti, però può prevedere con DECRETO nel quale fissa l'udienza di
comparizione delle parti e in tale udienza provvede poi con ORDINANZA
( confermando, rievocando o modificando il provvedimento reso “ inaudita altera parte “).
L'ordinanza (non il decreto) è opponibile ex art. 617 c.p.c. e può essere revocata dallo stesso
giudice dell'esecuzione.
L'ordinanza di rigetto non ha alcun effetto di stabilità e quindi l’ istanza di sospensione può essere
riproposta senza limitazioni.

- REGIME DEL PROCESSO DURANTE LA SOSPENSIONE

Nel corso della sospensione non possono essere compiuti atti del processo, salvo diversa
disposizione del giudice dell'esecuzione ( art. 626 c.p.c. ).
Di norma la “ diversa disposizione “ è riferita agli atti di conservazione o di amministrazione della
cosa pignorata.
Ma, ad esempio, nel caso di merci deperibili, la diversa disposizione può consistere nella stessa
vendita forzata, che limiterebbe il danno di deperimento, tanto nei confronti del debitore quanto nei
confronti del creditore.
Inoltre, secondo parte della dottrina, essendo la sospensione funzionalmente riferibile agli atti del
processo esecutivo che potrebbero “ ingiustamente “ danneggiare il debitore, essa dovrebbe inibire
atti che possono invece compiersi dell'interesse del disoccupato.

- LA RIASSUNZIONE DEL PROCESSO ( art. 627 c.p.c. )

Secondo l'articolo 627 c.p.c., il processo deve essere riassunto con ricorso ( e non con comparsa
come previsto del processo di condizione ) nel termine perentorio fissato dal giudice dell'esecuzione
e, in ogni caso, non oltre 6 mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di 1° grado (nell'ipotesi,
ovviamente, che essa non venga appellata ) o dalla comunicazione della sentenza d'appello che
rigetta l'opposizione.

- LA SOSPENSIONE DEI TERMINI ( art. 628 c.p.c. )

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L'art. 628 c.p.c stabilisce che l'opposizione singoli atti dell'esecuzione sospende il decorso del
termine di efficacia del pignoramento ex articolo 497 c.p.c ( in rapporto all'articolo 501 c.p.c ).
Il legislatore è stato influenzato da una preoccupazione di ordine sistematica.
Infatti, L'OPPOSIZIONE DI ATTI è un rimedio interno al processo ( una sorta di incidente
cognitivo volto a controllare che il processo si svolge nelle forme e modi dovuti ), quest'ultimo non
si sospende ma prosegue; se, però, vi sono termini fissati a pena di decadenza ( emblematico è il
termini previsto dall'articolo 501- Termine dilatorio del pignoramento: l'istanza di assegnazione o di
vendita di beni pignorati non può essere riproposta se non di cui 10 gg dal pignoramento, tranne che
per le cose di deteriorabili, delle quali può esser disposta l'assegnazione o la vendita immediata) la
decadenza non si verifica in pendenza del opposizione.

3.- L’ estinzione del processo

Il processo di esecuzione si estingue per:

1. RINUNCIA AGLI ATTI ( art. 629 c.p.c. )


2. INATTIVITÀ DI PARTE ( art. 630 e 631 c.p.c. )

A ).- Rinuncia agli atti

Art. 629 com. 1 : il processo si estingue se, prima dell'aggiudicazione o dell'assegnazione, il


creditore pignorante e quelli intervenuti muniti di titolo esecutivo
rinunciano agli atti
Com. 2 : dopo la vendita il processo si estingue se rinunciano agli atti tutti creditori
concorrenti
Com. 3 : in quanto possibile, si applicano le disposizioni dell'articolo 306

Il 3° com. dell'art. 629 richiama, in quanto applicabili, le disposizioni dell'art. 306 c.p.c. dettato per il
processo di cognizione.
Le dichiarazioni di rinuncia e di agitazione debbono quindi provenire dalla parte o dai procuratori
speciali e possono essere fatte verbalmente in udienza o con atti scritti e notificati alle altre parti.
La rinuncia può avvenire in due momenti, e cioè :

1. PRIMA DELLA VENDITA ( l'art. 629 com. 1, parla anzi di “aggiudicazione” ) O


DELL'ASSEGNAZIONE
Devono rinunciare agli atti:
- il creditore pignorante
- i creditori intervenuti in possesso del titolo esecutivo
2. DOPO LA VENDITA
- la rinuncia deve provenire da tutti creditori in concorso a prescindere dal possesso del titolo
esecutivo

Un delicato problema interpretativo nasce dal fatto che il 1° com. dell'art. 629 c.p.c. utilizza il
termine “ aggiudicazione “ in luogo di ” vendita “.
Ci si chiedeva, infatti, “ cosa succede in caso di rinuncia successiva all’ aggiudicazione provvisoria
ma anteriore al decreto di trasferimento, ossia al perfezionamento della vendita ? “ Il punto è
stato controverso.

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La giurisprudenza in un primo momento aveva argomentato nel senso dell'impossibilità della
rinuncia dopo l'aggiudicazione provvisoria, interpretando dunque il termine “ aggiudicazione “
come “ vendita “.
Poi, aveva ritenuto la rinuncia sempre ammissibile prima del perfezionamento della vendita forzata
mediante l'aggiudicazione definitiva.
Po i e intervenuti il legislatore sull'articolo 586 c.p.c. ( decreto di trasferimento ), introducendo il
potere del giudice dell'esecuzione di sospendere la vendita forzata qualora il prezzo ricavato fosse
notevolmente inferiore a quello giusto.
Questo ha portato a concludere che procedimento di vendita non si conclude con l'aggiudicazione
definitiva ma con il decreto di trasferimento.
Dunque le dovrebbe derivare che il legislatore ha adoperato il termine
“ aggiudicazione “ in modo a tecnico, tenendo presente la vendita avere propria.
Se così non fosse, oltretutto, si creerebbe una non giustificata disarmonia con il 2° com. dell'art.
629, che parla di vendita.

B ).- Inattività delle parti

Art. 630 com. 1 : oltre che nei casi espressamente previsti dalla legge, il processo esecutivo si
estingue quando le parti non lo proseguono o non riassumono del termine
perentorio stabilito dalla legge o dal giudice
com. 2 : l'estinzione opera di diritto, ma dev'essere eccepita dalla parte interessata
prima di ogni altra sua difesa, salvo il disposto dell'articolo successivo.
L'estinzione è dichiarata con ordinanza del giudice dell'esecuzione, la
quale è comunicata a cura del cancelliere se è pronunciata fuori dal
diversa
com. 3 : contro l'ordinanza che già dichiara l'estinzione ovvero rigetta l'eccezione
relativa è ammesso reclamo da parte del debitore o del creditore pignorante
ovvero degli altri creditori intervenuti nel termine perentorio di 20 gg.
dall'udienza o dalla comunicazione dell'ordinanza e con l'osservanza delle
forme di cui all'art. 178 commi 3, 4, 5. Il collegio provvede in camera di
consiglio con sentenza

Dall'altro dell'articolo emerge che l'estinzione del inattività di parte del processo esecutivo si può
aprire per:
1. CASI ESPRESSAMENTE PREVISTI DALLA LEGGE
ad esempio l'inefficacia del pignoramento che comporta automaticamente l'estinzione
del processo
2. MANCATA PROSECUZIONE O RIASSUNZIONE DEL PROCESSO DEL TERMINE PERENTORIO STABILITO
DALLA LEGGE O DAL GIUDICE
3. MANCATA COMPARIZIONE DELLE PARTI AL UDIENZA

DOMANDA: Quali sono le parti la cui presenza è rilevante?

RISPOSTA: La giurisprudenza di legittimità sia orientata nel senso che il termine “ parti “
indica i soli soggetti in grado di compiere validamente già atti del processo di esecuzione, si tratta
quindi:

- creditori in possesso di titolo esecutivo(prima della vendita o dell'assegnazione)


- creditori concorrenti ( dopo la vendita o l’ assegnazione )

70
Nessun rilievo ha invece la presenza del debitore che non ha interesse alla prosecuzione del
processo.
L'ordinanza di estinzione è soggetta al rimedio del opposizione agli atti esecutivi.

4.- Regime ed effetti dell'estinzione

Alcuni effetti dell'estinzione risultano disciplinati dell'articolo 630 commi 2 e 3 e cioè in sede di
estinzione per inattività.
Può perciò porsi il dubbio se tali effetti vadano anche applicati in sede di rinuncia agli atti. La
corte costituzionale ha dichiarato infatti l’ illegittimità costituzionale della norma nella parte in cui
non prevedeva il reclamo avverso l'ordinanza dichiarativa dell'estinzione per rinuncia.

Eccezione di estinzione
L'estinzione opera di diritto ma deve essere eccepita dalla parte interessata prima di ogni altra sua
difesa.
Dunque si riproduce il contenuto dell'art. 307 previsto nel processo di cognizione però con degli
adattamenti da fare nella pratica, perché:
- il debitore può ma non è obbligato a far valere le sue difese del processo di esecuzione
- il processo di esecuzione è conformato in modo tale che il rilievo dell'estinzione è possibile in
ogni momento, in occasione di un'iniziativa dell’ esecutato ovvero di una sua comparizione all’
udienza.
Il problema potrebbe sorgere qualora il debitore, pur convocato, non compare, e non svolgendo
alcuna attività, ometta ovviamente anche di eccepire l'estinzione.
Si ritiene in questo caso per un'esigenza di certezza giuridica, che il processo non può rimanere,
fino al suo termine, nella sostanziale disponibilità del debitore, ma ha l'onere di proporla nella
prima difesa, altrimenti perde il relativo potere.

Nel caso di estinzione per inattività


si prevede che nel caso di mancata comparizione all'udienza il giudice fissa una nuova udienza e se
nessuna delle parti si presenta neanche alla nuova udienza, il giudice dichiara con ordinanza
l'estinzione del processo.

Nel caso di estinzione per rinuncia


può accadere che:
a) LA FATTISPECIE ( rinuncia ed accettazione di tutti legittimati ) SI COMPLETA IN UDIENZA, in
questo caso il giudice pronuncerà l'estinzione con ordinanza
b) LA RINUNCIA HA LUOGO PER RECIPROCA NOTIFICAZIONE DI ATTI STRAGIUDIZIALI
e in questo caso può succedere che:
b1) LE PARTI NON DANNO NOTIZIA AL GIUDICE DELLA RINUNCIA E NON COMPAIONO ALL’ UDIENZA
in questo caso si applica l’ art 631, cioè il giudice fissa una nuova udienza, e se le
parti non compaiono neanche in questa udienza , ne dichiara l’ estinzione)

b2) LE PARTI COMPAGINI IN UDIENZA E PRODUCONO LA RINUNCIA

71
in questo caso il giudice rivisitata regolarità della stessa, dichiara l'estinzione in
applicazione dell'articolo 306 comma 2.

Un altro esempio da fare è il caso di una istanza di vendita o di assegnazione presentata oltre il
decorso del termine di efficacia del pignoramento.
È da escludere che il giudice possa dichiarare ex officio l'estinzione, senza provocare l'audizione
delle parti e quindi è il debitore che deve eccepire l'estinzione.
Inoltre, la regola espressa dall'art. 630 com. 2, ( Eccezione di estinzione prima di ogni difesa ) anche
se collocata nella norma che regola l'estinzione per inattività di parte troverà applicazione in tutti
quei casi in cui l'estinzione non vi è dichiarata dal giudice dell'esecuzione con sua ordinanza a
completamento della fattispecie istintiva.
La giurisprudenza prevalente considera l'eccezione di estinzione come un'opposizione
all'esecuzione visto che in caso di opposizione vittoriosa a avremo la caducazione dell'estinzione e
dunque si ritiene che è svincolata dal termine di 20 gg. ex art. 617.

Effetti dell'estinzione

Art. 632 com. 1 : con ordinanza che pronuncia l'estinzione è disposta sempre la cancellazione
della trascrizione del pignoramento. Con la medesima ordinanza il giudice
dell'esecuzione provvede alla liquidazione delle spese sostenute dalle parti,
se richiesto e alla liquidazione dei compensi spettanti all’eventuale
delegato ai sensi dell’ art. 591-bis
com. 2 : se l’ estinzione del processo esecutivo si verifica prima dell’ aggiudicazione o
dell’ assegnazione, essa renda inefficaci gli atti compiuti, se avviene dopo
l'aggiudicazione o l’ assegnazione, la somma ricavata è consegnata al
debitore
com. 3 : avvenuta l'estinzione del processo, il custode rende al debitore il conto, che è
discusso e chiuso davanti al giudice dell'esecuzione
com. 4 : si applica la disposizione dell'articolo 310 ultimo comma

Gli effetti dell'estinzione sono regolati dall'articolo 632.


Il 1° comma dell'articolo è stato introdotto con una legge ( l. n. 302/ 1998 )
a norma della quale il giudice dell'esecuzione, con ordinanza che pronuncia l'estinzione, di ordinare la
cancellazione della trascrizione del pignoramento.
Inoltre, sempre con tale ordinanza, deve provvedere alla liquidazione del compenso del notaio che
sia stato eventualmente delegato per l'incarico.
Il 2° comma disciplina gli effetti veri e propri dell'estinzione e li distingue a seconda che
l'estinzione si sia verificata:
- prima dell'aggiudicazione o dell'assegnazione
l'estinzione rende inefficaci gli atti compiuti.
Gli effetti inizieranno a decorrere dal momento in cui si sono verificati presupposti, anche se
poi, in concreto l'estinzione sia dichiarata in un momento successivo
- dopo la vendita una assegnazione
l'estinzione comporta che la somma ricavata è consegnata al debitore, ovvero al terzo che ha
subito l'espropriazione

Rimedio contro l'ordinanza di estinzione

L'ultimo comma dell'art. 630 ( che come abbiamo detto disciplina l'estinzione per inattività delle
parti) prevede che “ contro l'ordinanza che dichiara l'estinzione ovvero rigetta l'eccezione relativa è

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ammesso reclamo da parte del debitore o del creditore pignorante ovvero degli altri creditori
intervenuti nel termine perentorio di 20 gg. dall’ udienza o dalla comunicazione dell’ ordinanza e
con l'osservanza delle forme di cui all'art. 178 commi 3, 4, 5.
Il collegio provvede in Camera di Consiglio con sentenza.
Dunque, avverso l'ordinanza che pronuncia l'estinzione, è proponibile reclamo.
In virtù di una pronuncia della Corte Costituzionale della 1981 ( n. 195 ) si è ritenuto che tale
rimedio è esperibile non sono contro l'ordinanza che pronuncia l'estinzione per inattività di parte ma
anche alla pronuncia di estinzione per rinuncia al di atti. Inoltre tale comma è stato oggetto di
riforme nel 2005, infatti si prevede che il reclamo è ammesso “ da parte del debitore esecutato o del
creditore pignorante o da tutti gli altri creditori intervenuti ( e quindi, non solo dai titolati ) nel
termine perentorio di 20gg. dall’ udienza in cui si dichiarata l'estinzione _(se le parti sono presenti )
o dalla comunicazione dell'ordinanza ( per chi era assente ).
Dal dato dell'articolo 630 comma 2 e dall'articolo 130 dis. Att, (novellato con la legge n. 353/ 90 )
emerge che :
- l’ estinzione è dichiarata dal giudice dell'esecuzione con ordinanza
- questa sarà reclamabile dinanzi allo stesso giudice dell'esecuzione in funzione di giudice singolo
- esso deciderà il reclamo e mettendo sentenza soggetta ad appello.

CAPITOLO DECIMO

73
IL PROCEDIMENTO INGIUNTIVO O MONITORIO

1.- In generale

2.- Condizioni di ammissibilità

3.- Contenuti e limiti dell’ azione esercitata in sede monitoria

4.- Forma della domanda e competenza

5.- Cognizione del giudice della fase monitoria

6.- La « prova scritta »

7.- Pronuncia dell’ ingiunzione

8.- L’ opposizione

9.- Provvedimenti sull’ esecuzione provvisoria

10.- Opposizione tardiva; impugnazioni avverso il decreto divenuto esecutivo

IL PROCEDIMENTO INGIUNTIVO O MONITORIO

1.- In generale

Il procedimento monitorio è un procedimento speciale che rientra tra i tipici procedimenti sommari
che ha come fine ultimo l’emanazione del decreto ingiuntivo. La sua principale finalità è quella di
consentire la rapida realizzazione del titolo esecutivo, quando sia lecito presumere che la domanda
di condanna ad una determinata prestazione non si esponga alla possibilità di una contestazione
seria e fondata, da parte del soggetto intimato. Sulla domanda il giudice competente provvede senza
la previa audizione della controparte,emettendo un decreto contenente l’ingiunzione di pagamento o
di consegna. Dunque il procedimento in esame:
1) stabilisce particolari condizioni di ammissibilità, in modo tale che solo alcune domande e
solo a determinate condizioni possono essere introdotte nella forma speciale;
2) rende il contraddittorio attuabile in forma eventuale: perché ne è rimessa alla parte
intimata la provocazione mediante una opposizione introduttiva di un ordinario giudizio di
cognizione;
differita: perchè in ogni caso il contraddittorio segue e non precede l’esame da parte del
giudice della domanda di ingiunzione ;
3) prevede la possibilità che l’ingiunzione sia emessa direttamente in forma esecutiva
inaudita altera parte; ovvero che l’esecuzione provvisoria con decreto possa essere concessa
dal giudice in pendenza della causa di opposizione .

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Il procedimento sommario è alternativo rispetto alla cognizione ordinaria e pertanto lo stesso
vantaggio che si può ottenere attraverso il processo ordinario, lo si può avere, ma più velocemente
nelle forme del procedimento speciale sommario.
Se per esempio io vanto un credito nei confronti di Tizio, potrò citarlo in giudizio e chiedere al
giudice di pronunciare nei suoi confronti una sentenza di condanna ad adempiere la sua
obbligazione, oppure essendo io munito di una prova scritta sull’esistenza del mio credito, potrò
azionare le forme del decreto ingiuntivo e ottenere un provvedimento di condanna , seppur in forma
di decreto che avrà le caratteristiche della immediata esecutività a determinate condizioni e quindi
produrrà in me che l’ho ottenuto la stessa utilità di una sentenza di cognizione ordinaria.

2.- Condizione di ammissibilità ART 633

La domanda di ingiunzione può essere proposta:


a) da chi è creditore di una somma liquida di denaro: in ordine ai requisiti del credito il
codice non parla di certezza ma di liquidità; il credito è liquido quando è esattamente
determinato nel suo ammontare o facilmente determinabile con una semplice operazione di
calcolo matematico i cui elementi devono risultare dalla prova scritta che si produce a
fondamento dell’ingiunzione. La certezza è invece,più che requisito del diritto dedotto,
risultato dell’accertamento sommario compiuto dal giudice che emette l’ingiunzione nel
senso della esatta determinatezza dei soggetti e dell’oggetto della prestazione,che sono
elementi che devono risultare chiaramente dal titolo costituito dal decreto ingiuntivo.
L’esigibilità non è richiamata tra le condizioni di ammissibilità del procedimento speciale;
dottrina e giurisprudenza ritengono però implicito il richiamo.
b) Da chi è creditore di una determinata quantità di cose fungibili: in questo caso l’art 639
impone al ricorrente di dichiarare nel ricorso la somma di denaro che è disposto ad accettare
in mancanza della prestazione in natura. La dichiarazione non è facoltativa, ma è condizione
per la pronuncia del decreto; in difetto di essa, il giudice dell’ingiunzione non potrebbe
provvedere ex officio alla determinazione del controvalore della prestazione in natura. Per
VERDE pertanto in caso di difetto il giudice deve prima invitare il ricorrente a integrare la
domanda e quindi in caso di inerzia dell’istante pronunciarne il rigetto con decreto motivato.
La conseguenza di tale disciplina è che l’adempimento spontaneo del debitore può avere ad
oggetto tanto la consegna selle cose di cui all’ingiunzione,quanto il pagamento della somma
indicata in sostituzione. L’indicazione della somma di denaro da versare in sostituzione
attribuisce così al creditore un titolo che sarà passibile di esecuzione nelle forme della
espropriazione forzata.
c) Da chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata: si ha l’obbligo di
consegnare una cosa determinata non solo quando essa è stata oggetto di una compravendita
ma anche quando la prestazione è conseguente alla violazione di un diritto reale, o quando si
tratti della sua rivendicazione, o in caso di risoluzione del contratto. La giurisprudenza ha
ridotto il campo di applicazione del procedimento monitorio ai soli casi in cui consegna è
sinonimo di prestazione di dare,quale contenuto di una specifica obbligazione.

3.- Contenuto e limiti dell’ azione esercitata in sede monitoria

75
Dal complesso delle condizioni di ammissibilità, la dottrina ricava il principio in ragione del quale,
la tutela monitoria è ammissibile solo quando l’azione esercitata nelle forme speciali è quella di
condanna(al pagamento,alla consegna di cosa mobile ecc.) ; si esclude invece che il procedimento
d’ingiunzione possa essere attivato quando la tutela richiesta non sia semplicemente quella di
condanna ma quella costitutiva e ciò anche nei casi in cui l’accertamento costitutivo sia strumentale
alla pronuncia condannatorio.
La limitazione della tutela monitoria alle azioni dichiarative è tradizionale sebbene non risulti
chiaramente dalla legge.
Il problema della estensione della tutela ingiuntiva si è posto soprattutto in giurisprudenza,la quale
ha cercato di estendere oltre modo l’applicazione del procedimento monitorio, senza un
apprezzabile consenso da parte della dottrina, e ciò sulla base di una crisi di durata del processo di
cognizione ordinaria,che ha spesso spinto i pratici a ricercare forme di tutela sommaria di più sicura
e pronta realizzazione.
Problema seriamente discusso in dottrina è quello della natura dell’azione esercitata con la domanda
di ingiunzione. Ci si è chiesti infatti se l’azione esercitata con la domanda di ingiunzione sia di tipo:
- speciale sommaria;
- ordinario ,sebbene fatta valere nelle forme speciali;
- se si tratti di una combinazione di due diverse azioni; l’una ordinaria e l’altra speciale
sommaria: l’una esperita con riferimento alla fase eventuale della opposizione, l’altra con
riferimento alla fase strettamente monitoria,soggetta a regole particolari.
In realtà è la stessa domanda ad essere proposta dapprima ,nella forma sommaria speciale e quindi
a seguito di opposizione dell’intimato,nelle forme ordinarie e che potrà essere successivamente
riproposta tanto nella forma speciale quanto nella forma ordinaria.
La verità è che nelle due fasi (monitoria e ordinaria) l’azione si caratterizza diversamente quanto ai
requisiti di ammissibilità: in particolare la prova del diritto che nella fase monitoria può essere
offerta per ottenere la pronuncia dell’ingiunzione è di norma insufficiente per l’accoglimento della
domanda nella sede della cognizione ordinaria,in quanto nella fase sommaria si considerano prove
documentali elementi di convincimento che non hanno valore di prova documentale in senso
tecnico secondo le disposizioni del codice civile, ed in particolari casi si prescinde dalla prova dello
stesso fatto costitutivo del diritto.
Va rilevato poi che FASE SOMMARIA E FASE ORDINARIA nn rappresentano due giudizi
distinti ma due fasi INTERNE di un unico giudizio di primo grado. La particolarità è data dal fatto
che la fase monitoria,che si chiude con la pronuncia del decreto ingiuntivo è in astratto idonea a
definire il giudizio e in tal caso il decreto che pure viene emanato sulla base di una cognizione
sommaria, parziale , superficiale,incompleta è provvedimento idoneo alla formazione della cosa
giudicata sostanziale al pari di una sentenza pronunciata nel contraddittorio delle parti. In caso di
opposizione, vengono invece meno le caratteristiche della fase speciale,l’intimato opponente
assume la veste di convenuto in senso sostanziale, il ricorrente opposto ,quello dell’attore e il
giudizio si svolge secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito.
Al momento del deposito della domanda di ingiunzione il ricorrente deve indicare:
1) il procuratore;
2) quando è ammessa la costituzione personale, deve effettuare dichiarazione di residenza o
l’elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito;
3) in mancanza le notificazioni successive sono effettuate presso la cancelleria.
L’opposizione, salvo il caso della costituzione personale, è NOTIFICATA al procuratore del
ricorrente il che lascia intendere che il giudizio di opposizione NON è un giudizio NUOVO ed
AUTONOMO, ma una fase che si instaura senza soluzione di continuità, nell’ambito di un giudizio
già pendente.
Se ne deduce che la specialità della fase monitoria consiste:
- nel suo carattere non contraddittorio;

76
- nel particolare valore che ad essa è riconosciuto a talune produzioni documentali
rappresentative del diritto;
- nella sua idoneità potenziale a definire il giudizio in mancanza di opposizione.
SE L’OPPOSIZIONE AVVIENE: vengono meno tutte le caratteristiche di specialità della fase
sommaria e il giudizio si svolge secondo le regole ordinarie. L’azione esercitata in via monitoria
non è dunque un’azione speciale distinta da quella ordinaria; nella fase senza contraddittorio,
l’azione risponde a particolari condizioni di ammissibilità,destinate tuttavia a venir meno
quando,con l’opposizione viene revocata la fase sommaria per essere integralmente riassorbita nel
giudizio ordinario.
Una limitata sopravvivenza del decreto ingiuntivo è tuttavia sempre garantita: gli atti
dell’esecuzione forzata compiuti dulla base del decreto dichiarato esecutivo conservano i loro
effetti,anche se il titolo esecutivo è nella realtà costituito dalla sentenza che assorbe integralmente
l’efficacia del decreto opposto. La sopravvivenza del decreto ha aspetti anche formali,come può
dedursi dalla regola per cui ai fini dell’esecuzione forzata del decreto cha ha acquistato
l’esecutorietà non occorre una nuova notificazione,ma nel precetto deve farsi solo menzione del
provvedimento che ha disposto l’esecutorietà del decreto già notificato.

4.- Forma della domanda e competenza

La domanda di ingiunzione si propone con RICORSO contenente oltre ai requisiti di cui all’art 125
( ufficio giudiziario, parti, oggetto , ragioni della domanda, conclusione e sottoscrizione da parte del
difensore) , l’indicazione delle PROVE , ossia dei documenti che si producono. Il ricorso con i
documenti allegati è depositato nella cancelleria del giudice competente.
La competenza a decidere sul ricorso spetta sempre ad un organo monocratico. A seguito della
istituzione del giudice unico, è venuta meno la competenza del presidente del tribunale e si è
affermata anche qui quella del giudice singolo.
Se il giudice adito ritiene di essere incompetente,dichiara la propria incompetenza e rigetta il ricorso
con decreto motivato: tale decreto non è soggetto a impugnazione stante la illimitata proponibilità
del ricorso.
Nel caso di incompetenza per territorio derogabile, l’opinione prevalente della dottrina e della
giurisprudenza, ritiene che il giudice non può rilevarla d’uffizio, ed è onere dell’opponente dedurre
la violazione del criterio di collegamento col giudice adito.
Se la domanda di ingiunzione viene presentata ad una sezione distaccata non competente in
rapporto ad altra sezione distaccata o alla sede circondarile del tribunale: trattandosi qui di
ripartizione del carico di lavoro e non di competenza in senso tecnico, il giudice adito
erroneamente, potrà rimettere la questione al presidente del tribunale, che individuerà con suo
decreto non impugnabile il giudice competente in base ai criteri territoriali o tabellari applicabili.
Sarà poi onere del ricorrente accertare quale giudice, tra quelli che fanno capo all’ufficio, sarà
incaricato per la trattazione della domanda.

5.- Cognizione del giudice della fase monitoria

Il giudice adito in sede monitoria, se ravvisa la propria competenza procede all’esame della
domanda e della documentazione allegata. Relativamente ai suoi poteri, il codice prevede che il
giudice dovrebbe operare, nell’orbita della specialità che sorregge l’intera fase monitoria, una

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cognizione sia pure a livello di fumus della domanda: il giudice che ritenga insufficientemente
giustificata la domanda, dispone che il cancelliere dia notizia al ricorrente invitandolo a provvedere
alla prova; si tratta di un’attività dovuta ,pertanto di fronte ad una inezia del ricorrente il giudice
rigetterà la domanda,sia pure senza alcun effetto di preclusione.
Il RICORRENTE: potrà provvedere alla prova nei limiti in cui essa è ammessa nella fase di
cognizione speciale: così, non potrà integrare la documentazione già prodotta con una richiesta di
prova testimoniale, né il giudice potrà provvedere a disporre la comparizione delle parti o anche
della sola parte ricorrente,per desumerne elementi di convincimento. Il codice prevede per la
richiesta di integrazione della prova,la mediazione del cancelliere,vale a dire di un ausiliario del
giudice senza impegnare direttamente l’attività del magistrato che dovrà provvedere.
È chiaro che la cognizione del giudice della fase monitoria è parziale,perché limitata all’esame dei
documenti prodotti, e incompleta: il codice fa riferimento ad elementi atti a far presumere e cioè di
elementi che non potrebbero mai fondare la decisione di merito, nel giudizio di ordinaria
cognizione,ma che il legislatore stima sufficienti per il convincimento del giudice nella fase di
cognizione speciale.
Alla domanda sul se sia possibile l’accoglimento parziale della domanda,mediante la pronuncia
dell’ingiunzione in una misura minore da quanto richiesto, la legge non da risposta e sembra
supporre che l’ingiunzione deve essere pronunciata ove la domanda sia sufficientemente
giustificata,nei termini richiesti: ciò è quanto sostiene,d’altra parte quella dottrina secondo cui il
giudice non avrebbe poteri valutativi della domanda,dovendosi limitare al riscontro dell’esistenza
dei particolari requisiti di ammissibilità della tutela speciale.
La giurisprudenza ragionando,ammette la possibilità di un accoglimento parziale: per la parte non
accolta la domanda si intenderà rigettata,ma ciò non ne impedirà la riproposizione ,anche in via
ordinaria.
Si tratta tuttavia di un argomento reversibile perché proprio la regola della illimitata riproponibilità
potrebbe far ritenere che a fronte di una domanda insufficientemente giustificata anche nella misura
del diritto,il giudice debba rigettare. Solo per ragioni di economia processuale si può ammettere la
pronuncia dell’ingiunzione pro parte,ed in tal caso occorrerà ritenere che nella fase eventuale
dell’opposizione,il ricorrente opposto non avrà l’onere di proporre una riconvenzionale per la parte
di domanda non accolta, ma il giudice dell’opposizione,nel confermare o revocare il decreto dovrà
pronunciarsi sull’intera domanda di cui al ricorso introduttivo a prescindere dal suo accoglimento
parziale nella fase monitoria.
In un solo caso il giudice non è tenuto a valutare la congruità della domanda nel quantum: ossia nel
caso dei crediti professionali in base al quale se accoglie la domanda,il giudice deve attenersi al
parere del Consiglio dell’ordine e non può scendere ad un esame valutativo di congruità della
parcella.
Un ulteriore controllo che il giudice deve compiere è quello sulla residenza dell’intimato:
l’ingiunzione non può essere pronunciata se la notificazione deve avvenire fuori del territorio
nazionale. Si tratta di una regola contestata però su cui il legislatore dovrebbe provvedere
consentendo la notifica dell’ingiunzione quantomeno nel territorio degli stati aderenti
all’unione,rimuovendo così un limite di tutela che produce una sensibile diversità di trattamento del
creditore europeo.

6.- La prova scritta Art. 634

Il codice prevede che del diritto fatto valere si deve dare prova scritta a pena si inammissibilità della
domanda di ingiunzione. Tale prova dimostra,da un lato la probabile esistenza del credito e
dall’altro la possibilità di un rapido e immediato riscontro circa la fondatezza della domanda.
Sono prove scritte:
• le polizze e le promesse unilaterali per scrittura privata;

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• telegrammi;
• estratti autentici di scritture contabili.
Secondo dottrina e giurisprudenza l’elencazione del 634 è indicativa e non tassativa, nel senso che
altre prove documentali possono fondare l’emissione del decreto ingiuntivo,ad esempio l’atto
pubblico o la scrittura privata autenticata,le fatture,l’estratto conto corrente bancario, le cambiali, gli
assegni.
L’art 635 prevede inoltre che:
- per i crediti dello stato e degli enti o istituti soggetti a tutela o a vigilanza dello stato : sono
prove idonee anche il libri o i registri della p.a. quando un funzionario o un notaio ne attesta
la regolare tenuta secondo le vigenti disposizioni.
- Per i crediti derivanti da omesso versamento agli enti di previdenza e assistenza dei
contributi: sono prove idonee gli accertamenti eseguiti dall’ispettorato del lavoro o dai
funzionari dell’ente. La competenza per l’emissione dell’ingiunzione spetta in tal caso al
giudice del lavoro.
- Per i crediti relativi a somme liquide di denaro o di una determinata quantità di cose
fungibili (633 comma 1): la domanda deve essere accompagnata dalla parcella delle spese
sostenute e delle prestazioni eseguite, sottoscritta dal ricorrente e corredata del parere della
competente associazione professionale,parere che non occorre quando l’ammontare delle
spese e delle prestazioni è determinato in base a tariffe obbligatorie. La valutazione di
congruità dell’associazione professionale è data in astratto e non si spinge ad accertare se la
prestazione professionale è stata effettivamente prestata: sotto tale profilo, la fase monitoria
è qui di tipo puro e non documentale in quanto solo nell’eventuale giudizio di opposizione il
professionista sarà tenuto a fornire la prova,nei modi ordinari,dei fatti costitutivi del suo
diritto. La fase di cui parliamo,è del tutto pura quando vi siano tariffe obbligatorie, o quando
si richieda il minimo in rapporto a tariffe che prevedono compensi compresi tra un minimo
ed un massimo; nonché per le prestazioni di quei soggetti che non sono iscritti in un albo o
registro professionale e per i quali non si può fare riferimento ad una tariffa legalmente
approvata.
Risulta che il concetto di prova scritta non è predicabile in assoluto, la giurisprudenza ha infatti
ammesso quali prove scritte atti e documenti non completamente rispondenti ai requisiti prescritti
dal codice civile: perché se è vero che da un lato la prova scritta deve essere tale da fondare un
convincimento sommario, è anche vero che l’adempimento della controprestazione o l’avveramento
della condizione di ammissibilità deve essere solo presunto e non accertato con i normali mezzi
ordinari. Questa situazione non interessa l’intero giudizio ma solo la fase monitoria; nella fase di
cognizione ordinaria che è introduttiva dell’opposizione,viene meno l’efficacia privilegiata dei
mezzi ammessi nella fase sommaria e la prova del credito dovrà essere fornita con gli strumenti
ordinari.

7.- Pronuncia dell’ ingiunzione

Quando il giudice accerta che sussistono le condizioni per la tutela monitoria, pronuncia decreto
motivato, con cui:
- ingiunge al debitore di pagare la somma o consegnare la cosa mobile, ovvero la quantità di
cose fungibili o in loro vece la somma di denaro riconosciuta proporzionata nel termine di
40 giorni,
- con l’avvertimento che entro lo stesso termine può essere fatta opposizione 645,
- e che in mancanza di opposizione si procederà ad esecuzione forzata.

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Nel decreto il giudice liquida le spese della fase monitoria e non ingiunge il pagamento. L’originale
del decreto ingiuntivo unitamente al ricorso rimane depositato in cancelleria; per copia autentica i
due atti sono notificati all’ingiunto.
LA NOTIFICA DETERMINA LA PENDENZA DELLA LITE: la pendenza della lite è stabilita in
previsione di una opposizione al decreto e con riferimento ad effetti come l’interruzione della
prescrizione; in relazione ad altri effetti infatti, si è ritenuto soprattutto in dottrina che una sorta di
pendenza della lite si abbia già con il deposito del ricorso restando irrilevante che il contraddittorio
si attui solo in un momento successivo.
Il giudice, su istanza di parte, DEVE concedere l’esecuzione provvisoria se il credito è fondato su:
1. cambiale , assegno bancario, assegno circolare;
2. certificato di liquidazione di borda;
3. atto ricevuto da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato.
In questi casi il giudice ingiunge di pagare immediatamente, in difetto di adempimento spontaneo il
decreto,provvisoriamente esecutivo diventerà titolo esecutivo per l’esecuzione forzata e l’iscrizione
di ipoteca giudiziale.
Il giudice può concedere l’esecuzione provvisoria se vi è pericolo di grave pregiudizio nel ritardo;
in tal caso il giudice può imporre al ricorrente una cauzione e può anche autorizzare l’esecuzione
immediata.
La concessione della provvisoria esecuzione è rimessa alla discrezionalità del giudice ed è disposta
quando il ritardo nell’inizio della procedura esecutiva comporta per il creditore il pericolo di un
grave pregiudizio, ad esempio perché il debitore versa in uno stato di dissesto.
Altre ipotesi contemplate dalla legge in cui il giudice può emettere il decreto in forma esecutiva si
hanno:
1) con riguardo alle spese del processo di esecuzione specifica degli obblighi di fare e di non
fare;
2) con riguardo al pagamento dei canoni scaduti e da scadere fino alla esecuzione dello
sfratto,la cui intimidazione è fatta con decreto immediatamente esecutivo;
3) con riguardo alle note compilate dal cancelliere,la cui ripartizione è approvata in assemblea,
da parte dell’amministratore.
4) Con riguardo alla riscossione di contributi, la cui ripartizione è approvata in assemblea da
parte dell’amministratore.
La legge speciale in materia di subfornitura nelle attività produttive prevede: l’emissione di un
decreto ingiuntivo qualora non venga corrisposto entro i termini stabiliti, il prezzo stabilito nel
contratto di subfornitura.
Il decreto ingiuntivo diventa INEFFICACE: se la notificazione non è avvenuta nel termine di 60
giorni (90 se deve avvenire fuori dal territorio dello stato).
Funzione dell’inefficacia è dare certezza alla situazione giuridica creatasi con la pronuncia del
decreto,che è una situazione di per sé instabile condizionata alla provocazione del contraddittorio
della parte intimata. Da ciò emerge che sebbene la materiale instaurazione del contraddittorio sia
eventuale perché rimessa ad un atto di iniziativa dell’intimato e cioè alla sua opposizione, la
provocazione del contraddittorio è invece un atto necessario,rimesso alla iniziativa dell’istante che
completa poi la complessiva fattispecie monitoria. Anche nel procedimento ingiuntivo vige il
fondamentale principio del contraddittorio anche se questo ha una applicazione
particolare,giustificata dalla costruzione della fase monitoria come funzionale alla pronuncia del
provvedimento inaudita altera parte: ma in difetto della provocatio ad opponendum , il decreto non
può acquistare stabilità, se emesso in forma provvisoriamente esecutiva o immediatamente
esecutiva,avrà legittimato l’inizio dell’esecuzione forzata, ma a seguito della sua sopravvenuta
inefficacia, l’esecutato potrà opporsi all’esecuzione, la quale sarà caducata EX TUNC in quanto
condotta sine titulo.
Il procedimento per la dichiarazione dell’inefficacia presuppone una iniziativa dell’intimato che
abbia altrimenti avuto conoscenza dell’avvenuta emissione del decreto; la giurisprudenza ritiene che

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proprio l’esistenza di questo procedimento fa escludere che l’inefficacia possa essere rilevata
d’ufficio dal giudice. La pronuncia dell’inefficacia non pregiudica la riproposizione della domanda
anche in via ordinaria.

8.- L’opposizione

L’intimato che riceve la rituale notifica del decreto ingiuntivo,può scegliere se svolgere o meno
opposizione nel termine di 40 giorni che per giusti motivi possono essere aumentati a 60.
- L’opposizione può essere proposta anche se il decreto sia stato emesso in forma
provvisoriamente esecutiva.
- In caso di mancata opposizione,il giudice che ha emesso il decreto, su istanza anche verbale
del ricorrente,lo dichiara esecutivo.
- Se risulta che l’intimato non abbia avuto conoscenza dell’ingiunzione, il giudice ordinerà la
rinnovazione della notifica e provvederà in ordine alla dichiarazione di esecutorietà solo
dopo il decorso del nuovo termine per l’opposizione.
Dopo la dichiarazione di esecutorietà,l’opposizione non potrà essere più proposta salvo quanto
disposto in tema di opposizione tardiva e la cauzione eventualmente prestata per ottenere
l’esecuzione provvisoria del decreto,viene liberata.
Il decreto non opposto assume una stabilità parificabile a quella della sentenza passata in giudicato
e produce gli effetti del giudicato sostanziale.
L’ART 647: stabilisce che l’esecutorietà del decreto verrà dichiarata anche quando il decreto sia
stato tempestivamente opposto ma l’opponente non si sia costituito poi nel relativo giudizio. La
mancata costituzione ,determina l’improponibilità della domanda in un diverso giudizio.
La mancata costituzione in giudizio è più grave della mancata opposizione ovvero della mancata
tempestiva opposizione,perché mentre quest’ultima consente l’opposizione tardiva con possibilità di
ottenere la sospensione dell’esecutorietà del decreto,la mancata costituzione, non consentendo
l’opposizione ordinaria non consente neppure di ottenere il provvedimento di sospensione.
Il decreto di esecutorietà, non avendo contenuto decisorio, non è ricorribile in cassazione ex art 111,
si ritiene però che esso sia revocabile da parte dello stesso giudice che lo ha emesso inaudita altera
parte.
L’opposizione al decreto ingiuntivo,introduce un ordinario giudizio di cognizione: la sua natura è
controversa in dottrina mentre la giurisprudenza ritiene che la fase monitoria e quella a cognizione
ordinaria siano due fasi di un unico procedimento, che esordisce nelle forme sommarie speciali per
poi convertirsi a seguito dell’opposizione nelle forme della cognizione ordinaria.
COMPETENTE per l’opposizione è lo stesso giudice che ha emesso il decreto,inteso non nel
senso di persona fisica ma di ufficio giudiziario: il giudice che riconosca la propria incompetenza
per qualsiasi criterio attributivo astratto, deve innanzitutto dichiarare la nullità del decreto; e
secondo l’opinione preferibile, alla declaratoria di nullità deve accompagnarsi l’indicazione del
giudice o dei giudici ritenuti alternativamente competenti e la fissazione del termine per la
riassunzione del giudizio. La declinatoria di competenza,comunque motivata,impone al giudice di
annullare il decreto,con ogni conseguente effetto anche sul processo di esecuzione eventualmente
già iniziato.
Vi sono ipotesi in cui ferma la competenza del giudice in base a criteri distributivi astratti,la
cognizione della controversia dovrebbe essere attribuita ad altro giudice per ragioni di connessione
con altra controversia pendente o insorta tra le stesse parti. In tali casi non può porsi il problema
della nullità del decreto,in quanto esso risulta emesso dal giudice competente; si pone tuttavia il
problema della competenza funzionale ed inderogabile del giudice dell’opposizione,che potrebbe
essere conosciuta in esito alla riunione delle cause, da un giudice diverso da quello che ha emesso
l’ingiunzione.

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A tal proposito , la giurisprudenza si è attestata su di una posizione tanto rigorosa quanto
immotivata; il carattere funzionale della competenza per l’opposizione esclude l’applicabilità delle
disposizioni 31 a 36: il simultaneo processo non è realizzabile quanto il giudice dell’opposizione
dovrebbe declinare la propria competenza a favore di un altro giudice; in tal caso le cause connesse
dovrebbero essere separate con eventuale sospensione necessaria 295 della causa pregiudicata.
Questa conclusione è criticata dalla dottrina perché gravemente lesiva della economia processuale;
ma l’orientamento della giurisprudenza di legittimità è stato ribadito dalla suprema corte.
L’OPPOSIZIONE SI PROPONE: con CITAZIONE a comparire ad udienza fissa i cui termini
sono stabiliti dalla legge. Essa va annotata a cura del cancelliere,sull’originale del decreto, e a tal
fine l’ufficiale giudiziario deve notificargli avviso contemporaneamente alla notifica
dell’opposizione.
L’OPPONENTE pur presentandosi formalmente come parte che cita in giudizio è in realtà
convenuto in senso sostanziale e dunque all’atto di opposizione risulteranno applicabili non solo le
disposizioni che regolano la citazione ma anche quelle sulla comparsa di risposta: così è nell’atto di
opposizione che l’intimato dovrà eccepire:
- l’incompetenza territoriale semplice del giudice adito, a pena di decadenza,
- ovvero l’incompetenza per valore.
- Sempre a pena di decadenza dovrà proporre le eventuali domande riconvenzionale o l’eccezione di
non autenticità della scrittura privata posta a fondamento del decreto impugnato;
- ancora nell’atto di opposizione dovrà dichiarare di voler chiamare in causa un terzo.
IL CREDITORE OPPOSTO: venuta meno la specialità della fase sommaria, avrà l’onere di
dimostrare, nei modi ordinari, l’esistenza dei fatti costitutivi del diritto azionato nelle forme
speciali;
il debitore opponente avrà invece l’onere di dimostrare l’esistenza di fatti impeditivi, modificativi
e estintivi.
È pacifico in giurisprudenza che IL GIUDICE, in caso di accoglimento dell’opposizione, revoca a
annulla il decreto senza distinzione dei casi in cui l’accoglimento ha luogo a seguito
dell’accertamento negativo delle condizioni di ammissibilità dell’ingiunzione ovvero per fatti
successivi alla sua emanazione.
Se il decreto era provvisoriamente esecutivo, l’opponente potrà proporre in sede di
esecuzione,opposizione all’esecuzione e la sospensione dell’esecuzione, la quale lascia fermi gli
effetti del pignoramento, compiuto in base ad un titolo successivamente caducata.
9.- Provvedimenti sull’ esecuzione provvisoria Art. 648

- Se l’opposizione non è fondata su PROVA SCRITTA o non è di PRONTA


SOLUZIONE,l’opposto può chiedere al giudice che il decreto sia dichiarato esecutivo. Il giudice
può concedere la esecutività con ordinanza non impugnabile, e previo versamento di cauzione da
parte dell’opposto.
Secondo la dottrina prevalente non vi sarebbe perfetto parallelismo tra la posizione del
CREDITORE e quella del DEBITORE opponente,perché mentre il primo può ricorrere,per ottenere
l’ingiunzione a produzioni che non coincidono con la prova documentale in senso tecnico, il
secondo è vincolato alla prova scritta, alla prova documentale come regolata nel cc.
Ma la disparità di trattamento finisce con l’essere più apparente che reale in quanto le produzioni
documentali diverse dalla prova scritta in senso tecnico possono agevolmente essere recuperate dal
riferimento al carattere di pronta soluzione dell’opposizione.
- il decreto ingiuntivo può essere dichiarato esecutivo anche a seguito di intervenuta
CONCILIAZIONE tra le parti nel corso del giudizio di opposizione: il provvedimento è sempre
reso con ordinanza non impugnabile e deve tener conto del contenuto della conciliazione.
- il decreto ingiuntivo può ancora essere dichiarato esecutivo a seguito del RIGETTO
dell’opposizione,con sentenza passata in giudicato o comunque esecutiva; il decreto è quindi
trattato alla stregua si una sentenza di merito.

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- per procedere ad ESECUZIONE FORZATA in base al decreto ingiuntivo, non occorre una nuova
NOTIFICA dello stesso, ma è sufficiente la sua menzione nel provvedimento che ha disposto
l’esecutorietà e dell’apposizione della formula.
- Il decreto ingiuntivo , dichiarato esecutivo, costruisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale.
Con riguardo alla sospensione dell’esecuzione disposta dal giudice dell’opposizione è stato rilevato
che:
1) la stessa può essere concessa solo per gravi motivi pertanto, essendo l’esecuzione
provvisoria accordata inaudita altera parte, spetta al giudice dell’opposizione effettuare un
controllo e pronunciarsi con ordinanza non impugnabile sia sulla effettiva ricorrenza di tali
presupposti sia della gravità del pregiudizio che al debitore potrebbe derivare
dall’esecuzione del decreto; mentre in caso di esecuzione provvisoria accordata con un
provvedimento reso nel contraddittorio anche delle parti in pendenza di opposizione, non si
ravvisano motivi per procedere ad ulteriore controllo,prima della definizione
dell’opposizione nel merito.
2) Il giudice PUÒ SOLO sospendere il decreto provvisoriamente esecutivo MA NON PUÒ
revocarlo
3) Non può essere concessa la sospensione dietro versamento di una cauzione, perché è la
legge a stabilire le ipotesi in cui si può imporre la cauzione.
4) Il giudice può concedere la sospensione anche alla udienza ex 180.
5) L’ordinanza che concede la sospensione non è reclamabile o impugnabile né revocabile da
parte del giudice che la ha emessa.

10.- Opposizione tardiva Art. 650; impugnazione avverso il decreto divenuto esecutivo

L’opposizione tardiva si ha quando l’ingiunto la presenta oltre il termine stabilito nel decreto,
deducendo di non averne avuto tempestiva conoscenza per vizio della notificazione,per caso
fortuito o forza maggiore.
Tale opposizione non è proponibile quando una prima opposizione tempestiva sia stata svolta, ma
l’opponente non si sia costituito nel relativo giudizio; l’art 650 riguarda pertanto solo il caso in cui
l’opposizione non sia stata già proposta,ragion per cui deve escludersi il problema di rapporti tra i
due giudizi,derivanti dallo svolgimento in tempi diversi delle due opposizioni.
La corte costituzionale ha dichiarato illegittimo il 650 nella parte in cui non consente l’opposizione
tardiva dell’intimato che pur avendo avuto conoscenza tempestiva del decreto, non abbia poi potuto
per caso fortuito o forza maggiore,svolgere l’opposizione nei termini.
La logica dell’opposizione tardiva è che l’opponente sia rimesso in termini per lo svolgimento delle
sue attività difensive: essa prevede che non può essere proposta l’opposizione tardiva una volta
decorsi 10 giorni dal compimento del primo atto esecutivo: si tratta di un termine di decadenza
decorso il quale il decreto ingiuntivo acquista efficacia di cosa giudicata.
Avverso il decreto divenuto esecutivo è ammessa impugnazione per revocazione e opposizione di
terzo revocatoria, ma ciò è criticato dalla dottrina.

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CAPITOLO DODICI
IL PROCESSO CAUTELARE

1.- Nozione di azione e di provvedimento cautelare


2.- Ambito di applicazione delle norme generali sul processo cautelare
3.- Analisi delle norme generali sul processo cautelare:
a) la competenza
4.- Segue: b) la domanda cautelare;
c) il procedimento
5. Segue: d) i provvedimenti ( di rigetto e di accoglimento )
6.- Segue: e) la durata dell’ efficacia delle misure cautelari
7.- Segue: f) i rimedi
8.- Segue: g) L’ attuazione delle misure cautelari
9.- Le singole misure cautelari regolate dal c.p.c:
a) i sequestri
10.- Segue: b) le denunce di nuova opera e di danno temuto;
c) i provvedimenti d’ urgenza ;
d) i procedimenti d’ istruzione preventiva
11.- La tutela possessoria

IL PROCESSO CAUTELARE

Nozione di azione e di provvedimento cautelare

I procedimenti cautelari, sono regolati dal codice tra i procedimenti sommari di un processo di
cognizione già in atto o che sta per instaurarsi. Esso è tendenzialmente strumentale al processo di
cognizione ordinario, ma non è alternativo a questo. È possibile cioè che un soggetto, prima di
cominciare un processo di cognizione ordinaria o quando questo è già iniziato,chieda un
provvedimento cautelare che serva ad assicurargli l’effettività della tutela, che otterrà all’esito del
processo di cognizione ordinaria.
Il procedimento de quo si differenzia dagli altri procedimenti sommari, per il fatto che è interinale,
temporaneo , provvisorio in quanto destinato ad essere assorbito dalla sentenza che definisce il
giudizio di cognizione di merito già pendente all’epoca della richiesta della pronuncia cautelare
ovvero,instaurato, nel rispetto dei termini perentori previsti ex lege, a pena di inefficacia del
provvedimento pronunciato. Al contrario, il decreto ingiuntivo e la convalida ex art 663,invece,
sono suscettibili di divenire cosa giudicata e quindi definitivi ed esecutivi,in mancanza di
opposizione.
Al riguardo, va detto che il legislatore del 2005,sviluppando una tendenza già inaugurata con la
disciplina del rito societario, limitatamente alle ipotesi indicate nell’art 669-octies comma 6,
prevede che l’instaurazione del giudizio di merito a seguito della concessione della misura

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cautelare,sia ridotta a mera facoltà, concessa alle parti. Viene in tal modo fortemente attenuato il
vincolo di strumentalità fra tutela cautelare e giudizio di merito: quest’ultimo NON costituisce più
condizione di efficacia dei provvedimenti cui fa riferimento il legislatore. Non è più vero in assoluto
cioè che il provvedimento cautelare non possa più conservare la sua efficacia indipendentemente da
un provvedimento di cognizione ordinario o dalla pendenza di esso.
Nella versione originaria del codice attualmente in vigore, il legislatore per ogni tipo di
provvedimento cautelare previsto dal sistema, aveva dettato un rito ad hoc ,ovvero un procedimento
di volta in volta diverso.
Con la l. n° 353/90 però il legislatore ha semplificato le cose, da un lato lasciando immutata
l’individuazione originaria delle misure cautelari, dall’altro prevedendo un unico procedimento per
tutti i diversi istituti cautelari. Tale procedimento è oggi regolato dagli art 669 bis e seguenti che
disciplinano il procedimento per mezzo del quale si ottengono tutti i provvedimenti cautelari
previsti nel nostro ordinamento sia nel cpc sia nel cc, sia nelle leggi speciali. L’ipotesi condivisa
dalla dottrina e dalla corte costituzionale è quella che ritiene di dover operare di volta in volta un
raffronto ed un coordinamento tra le norme del codice di procedura civile e quelle delle varie leggi
speciali,senza per questo alterare le caratteristiche tipiche del procedimento.

Ambito di applicazione delle norme generali sul processo cautelare

La riforma del 1990 ha cambiato radicalmente l'impianto del codice originario.


Quest' ultimo non regolava il processo cautelare ma prevedeva singole misure cautelari ( sequestri,
denunce di nuova opera e di danno temuto, provvedimenti di istruzione preventiva e provvedimenti
d'urgenza) rispetto alle quali dettava norme processuali non sempre sufficienti. La disciplina più
completa era stata dettata in relazione ai sequestri, tanto che si era presa l'abitudine di fare
riferimento a quest'ultima per regolare situazioni analoghe non disciplinate in relazione alle altre
misure cautelari. La riforma del 1990 ha lasciato immutata l’individuazione originaria delle misure
cautelari, ha abrogato le norme contenenti disposizioni sul procedimento per la concessione dei
provvedimenti (tranne quelle contenenti particolari disposizioni sull'esecuzione di sequestri e quelle
di raccordo), ha dettato un' apposita disciplina sul processo cautelare applicabile non solo ai
sequestri, alle denunce di nuova opera e di danno temuto e ai provvedimenti d'urgenza, ma anche, in
quanto compatibile, agli altri provvedimenti cautelari previsti dal codice civile e dalle leggi speciali
(art. 669 quater-decies).
Il che si può interpretare in 3 modi:
1. che nel c.p.c. non esistono altre norme che prevedano misure cautelari;
2. che, se anche tali norme esistono, le stesse sono esaustive e, quindi, non hanno bisogno di
integrazione in modo diverso.
3. che il legislatore sia incorso in un errore tecnico, non formulando bene la disposizione.
Forse questa è la spiegazione più probabile che, per di più, consentirebbe, ad es., di
investigare se nel c.p.c. vi siano luoghi diversi da quelli espressamente indicati in cui si
nascondano misure cautelari.
Di conseguenza, rinvenute altre misure cautelari, ci si potrebbe chiedere se la disciplina delle stesse
possa essere eventualmente integrata da quella sul processo cautelare in generale. Ma, secondo
Verde questo modo di ragionare si presta ad arbitrio, perché finisce con il diventare uno strumento
con cui l'interprete, volendo correggere il legislatore che ha sbagliato, si sostituisce a quest'ultimo. E
poiché, oggi in particolare, è necessario che ciascuno rimanga nel proprio ruolo, non bisogna
favorire gli ingorghi istituzionali in atto. Resta, allora, da scegliere tra le due ipotesi interpretative e,
chiaramente, la scelta obbligata è nel senso che non può escludersi l'esistenza di altre misure
cautelari nel corpo del codice e che il legislatore non le ha richiamate espressamente nell’art. 669
quater-decies semplicemente perché ha ritenuto che le singole discipline fossero autosufficienti. Se,

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poi, questa soluzione sembrasse inappagante, non resterebbe che prospettare la questione di
costituzionalità e attendere la pronuncia della Corte costituzionale.
L’art. 669-quaterdecies è una norma che, come già detto, rinvia al c.c. e alle leggi speciali; ed è un
rinvio di tipo c.d. formale. Si era, infatti, consapevoli che il legislatore futuro è libero di inserire
tutti i nuovi provvedimenti cautelari che ritiene opportuni e che è anche libero di dettare nuove
discipline processuali, così che, non avrebbe senso individuare le singole discipline speciali e
sottoporle a trattamento volto ad uniformarle alla disciplina generale. È così emersa la formula
secondo cui le norme sul processo cautelare si estendono agli istituti regolati altrove
" in quanto compatibili". Al riguardo sono state prospettate tre ipotesi:
a ) se il provvedimento previsto " altrove " è compatibile con la disciplina processuale del codice di
rito, quest'ultima si applica integralmente, sostituendo le eventuali norme sul procedimento previste
nei luoghi specifici;
b ) il raffronto va fatto soltanto fra le norme processuali, così che bisogna procedere ad una delicata
opera di coordinamento, inserendo nelle discipline speciali le norme procedimentali che vi si
possano estendere senza modificare le caratteristiche peculiari delle misure speciali;
c ) quando dal raffronto fra le norme processuali risulta che anche una sola delle disposizioni del
procedimento uniforme è incompatibile con la disciplina della misura tipica contemplata altrove, il
procedimento uniforme è inapplicabile nella sua interezza.
La prima opinione finisce col togliere valore alla riserva " in quanto compatibili ". Infatti, non ha
senso un raffronto tra norme sul procedimento e norme che individuano i presupposti sostanziali
della cautela: le seconde sono, per definizione, compatibili con le prime, dato che le une e le altre
agiscono su piani differenti.
La terza opinione finisce col caricare di significato eccessivo la riserva stessa, dal momento che è
difficile che la disciplina singolare non contenga specifiche norme sul procedimento, che per il solo
fatto di essere previste determinano il dubbio sulla compatibilità. Sono posizioni agli antipodi:
sempre, la prima; mai, la seconda. La soluzione b) è una via di mezzo che sembra quella più
equilibrata e rispettosa della volontà del legislatore. Paga, però, il prezzo di una larga incertezza
applicativa, perché, di volta in volta, si tratta di vedere quali sono e quali non sono le norme comuni
compatibili con la disciplina specifica. Facciamo un esempio: il comma 3 dell'articolo 146 l.fall.
dispone che " il giudice delegato, nell'autorizzare il curatore a proporre l'azione di responsabilità,
può disporre le opportune misure cautelari". Secondo l'opinione dominante il giudice delegato può
disporre d'ufficio la misura, alla quale si è orientati a riconoscere il contenuto e l’efficacia di un
sequestro conservativo. È chiaro che, chi accetta la tesi a) risolve il problema semplicemente: il
provvedimento è compatibile con la disciplina comune, concretandosi nella sostanza in un
sequestro e, pertanto, il terzo comma dell'articolo 146 è da ritenersi abrogato, essendo sostituito
interamente dalla nuova disciplina generale; chi accetta la tesi c), invece, ritiene che tutto è rimasto
fermo a come era prima; chi condivide la tesi b) fa un esame delle singole norme della disciplina
comune e individua quelle compatibili. Purtroppo, però, i risultati di questo esame non hanno
portato a conclusioni univoche al punto tale che taluno(il trib. Pistoia) ha rimesso la questione alla
Corte costituzionale, assumendo l'illegittimità dell'articolo 146 là dove consente che la misura possa
essere disposta d'ufficio dal giudice delegato. La Corte con sentenza 8 maggio 1996, n.148 ha
ritenuto infondata la questione, ritenendo che, anche se il giudice delegato debba disporre d'ufficio
la misura, successivamente egli deve provocare l'immediato contraddittorio tra le parti per decidere
se confermare, modificare o revocare il provvedimento stesso e che le parti hanno, poi, la possibilità
di fare il reclamo al collegio, di cui deve far parte il giudice delegato. Quindi, la corte ha avallato
l'interpretazione sub b) e ha ritenuto che la disciplina dell’art. 146 deve essere integrata con
l'applicazione, almeno,dell’art. 669-sexies comma 2°,e dell’art.669-terdecies, lasciando
all'interprete di valutare se e in quale misura il procedimento debba essere integrato dalle altre
disposizioni comuni sul processo cautelare.

86
Analisi delle norme generali sul processo cautelare

A. DOMANDA CAUTELARE ART: 669-bis

La domanda cautelare si propone con RICORSO, che la parte inoltra direttamente al giudice. Per
VERDE la formulazione dell’articolo si adegua bene al caso della istanza proposta ante causam,
ritenendo possibile che nel caso,invece, di istanza proposta in corso di causa ,la domanda cautelare
possa essere inserita nell’atto di citazione o addirittura in uno dei verbali di udienza quando non si
voglia fare uso della forma del ricorso.
Nella domanda cautelare ante causam vanno inseriti, a norma dell’ art. 125, alcune indicazioni,
quali: l’ ufficio giudiziario, le parti, l’ oggetto, le ragioni della domanda e le conclusioni, ciò perché,
il giudice della cautela deve anche poter accertare la sua competenza. Se mancano di queste
indicazioni, il ricorso deve essere rigettato o dichiarato inammissibile.
Nel rispetto del principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, se viene chiesto un
provvedimento di urgenza, spetta al giudice modellare la cautela idonea anche a prescindere dalle
indicazioni del ricorrente, ma se si tratta di cautele appartenenti a diversi tipi, l’indicazione della
parte finisce con il condizionare il giudice. Ciò avviene soprattutto quando la parte richiede
provvedimento d’urgenza che, sappiamo hanno carattere residuale. Non è infatti possibile che il
giudice ossa trasformare una richiesta di provvedimento urgente in un sequestro. Qui il giudice deve
rigettare l’istanza dichiarandola inammissibile.

B . La competenza

Nel costruire una disciplina unitaria si è inteso individuare un criterio unico che fosse il più
razionale possibile. Si è pertanto pensato che “giudice naturale” della cautela, fosse il giudice di
merito perché appariva l’organo più adatto a realizzare il disegno del legislatore.
Distinguiamo :

B1 ) la competenza ante causam ART 669 TER : “ prima dell’inizio della causa sul merito, la
domanda si propone al giudice competente conoscere il MERITO” questo viene designato dal
presidente del tribunale. La scelta del giudice monocratico,quale giudice competente per il
procedimento de quo risponde alla esigenza di celerità con funzione di tutela provvisoria in attesa
della generale azione di cognizione.
La norma esprime una tendenziale coincidenza tra il giudice di merito e il giudice della cautela, ma
sono poi previste ipotesi in cui questa coincidenza non si può verificare,che vengono indicate come
eccezioni:
- la prima ipotesi riguarda il caso in cui,sulla domanda proposta, competente per la causa di
merito è il giudice di pace: il legislatore, mantenendo fede a quella che è una tradizione del
nostro sistema,ha previsto che un giudice non togato e non di carriera come il giudice di
pace, non può pronunciare provvedimenti cautelari,per cui in questo caso, la domanda si
propone al tribunale.
- la seconda ipotesi riguarda il caso in cui ci sia un difetto di giurisdizione del giudice
italiano perché la causa appartiene ad un giudice straniero. In questo caso è competente il
giudice italiano del luogo nel quale bisogna eseguire il provvedimento cautelare stesso.

B2 ) la competenza in corso di causa ART 669 QUATER:

87
- se la domanda cautelare viene proposta in corso di causa,la competenza spetta al giudice (investito
del merito) che ha l’incarico di istruire la causa,sia che a decisione finale gli spetti come giudice
singolo,sia che la stessa sia riservata al collegio.
- Quando la trattazione della causa è collegiale, la misura cautelare non può che essere concessa o
negata dal collegio.
- Dubbio è il caso in cui la misura cautelare viene chiesta in appello: per cui alcuni ritengono che
debba decidere il collegio, per altri il giudice singolo.
- Se infine il giudizio è sospeso o interrotto, competente a incaricare un giudice è il presidente del
tribunale.
- se l’azione civile è stata esercitata o trasferita nel processo penale,è competente ai fini della
pronuncia delle misure cautelari in corso di causa,il giudice civile del luogo in cui deve essere
eseguita la misura.
Questa norma è molto simile alla precedente e disciplina il caso in cui il provvedimento cautelare
sia chiesto quando pende il processo di cognizione ordinario. La particolarità sta qui nel fatto che il
legislatore si preoccupa di individuare il giudice competente per la pronuncia del provvedimento
cautelare quando è concluso il processo di cognizione ordinario, ma pende il termine per impugnare
la sentenza. Se ipotizziamo che sta decorrendo il termine lungo di un anno e 45 giorni,perché la
sentenza non è stata notificata, durante la pendenza di questo termine per impugnare,il
provvedimento cautelare, si chiede al giudice del grado precedente e non al quello dell’appello che
non è ancora stato proposto,visto che il primo è quello che ha già conosciuto della causa e quindi
più prontamente può rispondere alla domanda cautelare. Ciò al solo fine di economia processuale,
ma con l’eccezione per cui la disposizione è inapplicabile se la S.C. abbia cassato la sentenza
impugnata: in questo caso la competenza è del giudice del rinvio in quanto giudice di merito.

B3) la competenza in caso di clausola compromissoria, di compromesso o di pendenza del


giudizio arbitrale ART 669 QUINQUIES

Anche qui il legislatore ha negato così come per il giudice di pace, il potere cautelare agli arbitri,
cioè ai giudici privati: pertanto quanto pende un giudizio arbitrale,il potere cautelare appartiene al
giudice togato che sarebbe stato competente nel merito della causa se non ci fosse stata la clausola
compromissoria o il compromesso cioè se la causa non fosse stata devoluta al collegio arbitrale.
Con la novella del 2005 la previsione vale anche se la controversia è compromessa in arbitri
irrituali. Se ne deduce che :
a) ormai la possibilità di concedere provvedimenti cautelari in presenza di una convenzione di
arbitrato irrituale non può essere messa più in discussione;
b) che il giudice competente a riguardo è quello che avrebbe potuto conoscere la controversia se
non ci fosse stato il ricorso all’arbitrato;
c) che la causa di merito da iniziare nel caso di concessa cautela è quella deferita agli arbitri,così
che è da ritenersi iniziata con l’atto di promovimento dell’arbitrato.
L’art 28 proclama che la competenza è inderogabile, però se le parti abbiano convenzionalmente
derogato alla competenza per la controversia di merito, non derogano alla competenza cautelare, ma
tale accordo si riflette sulla competenza cautelare, così che competente non sarà il giudice del
merito secondo il criterio legale, ma quello del merito individuato secondo l’accordo tra le parti
Risulta applicabile l’art 38:quindi anche nel processo cautelare,l’incompetenza può essere rilevata
d’ufficio,anche dal giudice del reclamo. Per contestare determinate pronunce che in sede cautelare
negano o affermano la competenza del giudice, il sistema offre adeguata cautela con il reclamo e la
illimitata possibilità, alla parte, di riproporre l’istanza cautelare nel caso di ordinanza di
incompetenza.

88
C. IL PROCEDIMENTO ART 669- SEXIES

Esso è comprensivo di 2 commi:


Com. 1 : che disciplina il procedimento a contraddittorio integro
Com. 2 : che regola il procedimento inaudita altera parte ( senza contraddittorio )
Una volta presentato il ricorso, questo deve essere portato a conoscenza della controparte mediante
notifica, e nel rispetto dei tempi adeguati alle esigenze della difesa, ciò a meno che il giudice non
abbia provveduto inaudita altera parte,quando la convocazione della controparte potrebbe
pregiudicare l’attuazione del provvedimento, e quindi in questo caso si rende necessario agire senza
rispettare il contraddittorio.
Così facendo il legislatore ha accentuato il carattere eccezionale dell’ipotesi e ha delineato una
sorta di sub procedimento : il giudice può :
- provvedere anche sulla base delle sole informazioni della parte istante;
- se non se la sente,può assumere sommarie informazioni,ossia può procedere d’ufficio a una
istruzione provvisoria del tutto deformalizzata;
- provvede poi con decreto con la quale fissa l’udienza di comparizione della parti davanti a sé
entro un termine non superiore a 15 giorni, assegnando all’istante un termine non superiore a 8
giorni per la notificazione del ricorso e del decreto;
- all’udienza fissata il giudice con ordinanza, conferma, modifica, revoca provvedimenti
emanati con decreto.
Il rischio che si superino gli 8 giorni è scongiurato dal giudice il quale ha il potere di stabilire forme
di notificazione diverse da quelle canoniche e tali da consentire che il contraddittorio sia ristabilito
nei tempi previsti dalla legge.
Il decreto diventa inefficace se il termine per la notificazione all’avversario del ricorso e del
decreto non è rispettato, o a maggior ragione diventa inefficace se non si rispettano i termini o
ancora se nessuna delle parti si presenta all’udienza di comparizione, questo perché i termini
indicati sono perentori ( art. 152 )
Nel caso normale di procedimento in cui si instaura il previo contraddittorio ( art. 669-sexies com. 1
) il giudice deve:
- dare al procedimento un carattere deformalizzata purchè rispettoso del diritto di difesa;
- sentire le parti;
- procedere al compimento degli atti istruttori,anche d’ufficio;
- gli atti di istruzione possibili,sono quelli disciplinati dalla legge;
- le modalità di assunzione non sono però quelle fissate dalla legge, ma essendo il giudice
libero di compiere i relativi atti nel modo che ritiene più opportuno;
- deve rispettare il diritto di difesa delle parti procedendo all’assunzione in contraddittorio e
valutando l’accettabilità delle loro richieste istruttorie in relazione all’istruzione eseguita o
in corso di esecuzione;
In questo caso non è possibile applicare i termini di tempo del 2 com., in quanto esso prevede un
provvedimento speciale e di urgenza ; quindi tali termini non sono perentori ma ordinatori

I provvedimenti ( di rigetto e di accoglimento )

A conclusione del procedimento il giudice provvede. Può pertanto decidere sia in senso positivo
quanto negativo.

PROVVEDIMENTO DI RIGETTO ART 669 SEPTIES


Il provvedimento di rigetto può essere tale :
- per ragioni processuali: come nel caso di rigetto per incompetenza, qui non è assolutamente
preclusa la riproposizione della domanda allo stesso giudice perché nessuna preclusione è stabilita

89
dalla legge: il provvedimento che dichiara l’incompetenza deve contenere anche l’indicazione del
giudice ritenuto competente; il giudice non è tenuto ad indicare l’ufficio competente ; non c’è
possibilità di trasmigrazione della domanda dal giudice incompetente al giudice competente; il
secondo giudice può a sua volta dichiararsi incompetente ma non può sollevare conflitto di
competenza; è esclusa la possibilità di esperire regolamento di competenza: questa soluzione da
luogo a qualche inconveniente perché qualsiasi giudice adito potrebbe declinare la competenza e
così vanificare il diritto alla cautela. Ma chi vuole far fronte a tale inconveniente ammettendo la
possibilità del regolamento di competenza,non risolve il problema posto che la misura cautelare non
può attendere i tempi lunghi di questa impugnazione. il rimedio ora sta nel RECLAMO o in un
espediente pratico che è quello di proporre la domanda di merito e chiedere la misura cautelare in
corso di causa.
Tratto comune a tutti i provvedimenti di rigetto si ritrova nella forma: il giudice provvede con
ORDINANZA,e quindi sempre dopo aver provocato il contraddittorio,il che vuol dire che il giudice
non può dichiararsi incompetente o rigettare il ricorso per ragioni di rito o di merito senza aver
provocato il contraddittorio; può soltanto prospettare il suo avviso al ricorrente e fissare comunque
l’udienza di comparizione,lasciando a quest’ultimo di valutare se conviene insistere nella richiesta e
rischiare anche di essere condannato alle spese.
- per ragioni di merito: il rigetto per ragioni di merito non preclude la riproposizione della
domanda e dunque la richiesta di una nuova misura cautelare precedentemente negata, sempre che
la situazione di fatto sia cambiata o perché la parte deduce nuove ragioni in fatto ( per esempio
emergono nuove prove rilevanti, o in diritto pur preesistenti alla prima domanda,che giustificano la
richiesta )
“ Se l’ordinanza di incompetenza o di rigetto è pronunciata ANTE CAUSAM, con essa il giudice
provvede anche definitivamente sulle spese del procedimento cautelare ,pronunciando condanna
immediatamente esecutiva. La condanna alle spese è un provvedimento ingiuntivo OPPONIBILE
non solo per l’esistenza del debito ( L’ AN ) e la congruità e la legittimità della liquidazione ma
anche per l’ammontare delle spese (QUANTUM ). Il giudice dell’opposizione può valutare, in via
incidentale, la legittimità della pronuncia di rigetto del provvedimento cautelare.
Il rimedio dell’opposizione è esperibile anche contro il provvedimento che abbia disposto sulle
spese, anche se non è di condanna(es compensazione).
L’opposizione deve essere proposta davanti allo stesso ufficio giudiziario che ha pronunciato il
rigetto della domanda cautelare.
Ove la parte proponga reclamo avverso il provvedimento di rigetto,l’eventuale riforma
dell’ordinanza impugnata,travolgerà anche il capo accessorio relativo alle spese. Ne consegue che la
proposizione del reclamo rende inammissibile l’opposizione proposta ex 645 dalla stessa parte. Il
dies a quo per l’opposizione al provvedimento sulla spesa non è rimesso alla determinazione delle
parti ma dipende o dal momento della PRONUNCIA del provvedimento, se avvenuta in udienza o
dalla sua COMUNICAZIONE ad opera del cancelliere: in proposito la norma non parla di
notificazione ma di comunicazione,quindi non si applica la norma relativa alla inefficacia del
decreto ingiuntivo per mancata notificazione nel termine di 40 giorni dalla pronuncia dello stesso.
Al contrario quando il provvedimento cautelare sarà seguito dal processo di cognizione
ordinario(domanda cautelare proposta NEL CORSO DI CAUSA), il problema non si pone perché ci
sarà un’altra occasione per pronunciarsi sulle spese.

PROVVEDIMENTO DI ACCOGLIMENTO ART 669 OCTIES


L’ ordinanza di accoglimento, se la domanda è stata proposta prima del giudizio di merito,deve
indicare il termine perentorio entro il quale iniziare il giudizio. Il termine secondo la novella del
2005 non può essere superiore a 60 giorni ( mentre prima era previsto un termine di 30gg ) che
decorrono dalla pronuncia dell’ordinanza se avvenuta in udienza o altrimenti dalla sua
comunicazione. L’innovazione più significativa sta nell’aggiunta a questo articolo di tre commi.
L’impostazione originaria era collegata alla idea della strumentalità del processo cautelare,tale che:

90
1) o la parte che aveva ottenuto la cautela,iniziava il giudizio di merito così che nel caso di vittoria
nel merito il provvedimento finiva con l’essere assorbito dalla relativa decisione;
2) oppure la parte non iniziava o non dava corso al giudizio di merito o vi rimaneva sconfitto e in
ognuno di questi casi il provvedimento cautelare perdeva la sua efficacia.
OGGI questa disciplina resta ferma solo nel caso dei provvedimenti cautelari conservativi,per
esempio nel sequestro. Nel caso di provvedimenti anticipatori o di provvedimenti emessi a seguito
di denuncia di nuova opera o di danno temuto,questi restano fermi ed efficaci(anche se non sempre
è detto che un provvedimento d’urgenza sia solo conservativo). Spetta alla parte interessata, che è
colei contro la quale è stata emessa la pronuncia,di iniziarlo e di chiederne nell’ambito di tale
processo,la revoca o la modifica. Coerentemente il provvedimento resta efficace se per una
qualsiasi ragione il processo di merito si estingue: anche in questo caso però le parti possono
chiedere la revoca o la modifica della misura anche ove il giudizio di merito non abbia avuto inizio
o sia stato dichiarato estinto.
L’ultimo comma del 669 precisa che l’autorità del provvedimento cautelare non è invocabile in un
diverso processo

La durata dell’ efficacia delle misure cautelari

ART 669 NOVIES : il provvedimento cautelare concesso,ha una efficacia limitata nel tempo in
coerenza con il suo carattere strumentale e provvisorio.
Il provvedimento cautelare,perde efficacia:
1) se il procedimento di merito non inizia tempestivamente;
2) se il procedimento di merito si estingue;
3) se la cauzione non viene versata
( va precisato che la cauzione può essere:
a) SOSPENSIVA, nel senso che il processo si sospende fino al pagamento della
cauzione
b) RISOLUTIVA, nel senso che il mancato pagamento comporta l’ estinzione del
procedimento )
4) se il diritto sottoposto a cautela risulta essere inesistente e ciò è dichiarato con sentenza;
5) se la causa di merito viene devoluta ad altra giurisdizione e la parte non richiede nei termini
previsti la domanda di esecutorietà della sentenza.
In sostanza le ipotesi di inefficacia si riconducono a due cause:
- l’accertamento che il diritto cautelato non esiste: qui la dichiarazione di inefficacia va fatta
d’ufficio ed è contenuta normalmente nella stessa sentenza che dichiara che il diritto cautelato non
esiste.
- il venir meno del processo di merito o mancato versamento della cauzione: qui è competente il
giudice che ha emesso il provvedimento ed è necessario il ricorso della parte interessata. In questa
ipotesi, il giudice ,convocate le parti con decreto, dichiara, se NON C’E’ contestazione, con
ordinanza avente efficacia esecutiva,che il provvedimento è diventato inefficace.
Se sorge contestazione: l’ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il
provvedimento cautelare decide con sentenza provvisoriamente esecutiva, dopo aver disposto la
trasformazione del procedimento con un provvedimento nel quale fisserà la data dell’udienza a
cognizione piena e un termine per l’eventuale integrazione degli atti.
LA CONTESTAZIONE può riguardare l’avvenuta estinzione o il mancato pagamento della
cauzione. Qui il giudice del provvedimento deve valutare se si sono verificati i presupposti
dell’estinzione: infatti l’inefficacia è conseguenza non del provvedimento di estinzione ma del fatto
che si è verificata una fattispecie estintiva. Possono esserci contestazioni volte a prolungare i tempi
per la dichiarazione di inefficacia: a tal proposto la norma prevede che è possibile emanare in corso
di causa, da parte del giudice, i provvedimenti di revoca o modifica come una sorta di controcautela

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per evitare abusi della tutela cautelare. È inoltre prevista la necessità che il giudice dia le
disposizioni necessarie per ripristinare la situazione precedente.
Tra le altre ipotesi di inefficacia del provvedimento cautelare ricordiamo:
a) il mancato inizio del giudizio di merito dinanzi a giurisdizioni straniere;
b) l’estinzione del giudizio di merito dinanzi a giurisdizioni straniere;
c) la dichiarazione di inesistenza del diritto sottoposto a cautela da parte del giudice straniero;
d) l’omessa presentazione della domanda di esecutorietà del lodo arbitrale.
* i casi b e c presuppongono un onere di domanda di esecutorietà che si ritiene vada proposta entro
60 giorni che decorrono dal momento in cui la stessa domanda è proponibile.

I rimedi

CONTRO IL PROVVEDIMENTO CAUTELARE I RIMEDI ADOTTABILI SONO:


A) LA REVOCA E LA MODIFICA ART 669 DECIES
I primi due commi disciplinano il caso di revoca o modifica del provvedimento cautelare
concesso,richieste: 1) o durante il giudizio di merito; (si tratta di un potere che può esercitare il
giudice istruttore nel corso dell’istruzione su ISTANZA della parte interessata,che può essere
sia quella che ha ottenuto il provvedimento sia quella contro cui è stato concesso il
provvedimento); 2) oppure formulate quando lo stesso non sia iniziato o sia stato dichiarato
estinto( La disposizione è ulteriore manifestazione dell’attenuazione del vincolo di strumentalità
fra tutela cautelare e giudizio di merito perpetrata dalla riforma: infatti la revoca o la modifica
possono essere richieste anche qualora il giudizio di merito non sia iniziato o sia stato dichiarato
estinto. La richiesta è avanzata al giudice che ha provveduto sull’istanza cautelare). In entrambi
i casi si fa riferimento alla proposizione del reclamo nel senso che il legislatore ha voluto
riaffermare la preferenza da accordare a tale rimedio,ove ancora proponibile,per la modifica del
provvedimento cautelare.
LA REVOCA: non è un mezzo di impugnazione perché è proposta allo stesso giudice che ha
adottato il provvedimento,e di cui si chiede l’eliminazione;
LA MODIFICA è un cambiamento di alcuni elementi contenutistici del provvedimento;
caratteristica dell’istituto della revoca e della modifica sta nel fatto che il provvedimento
cautelare è stato regolarmente adottato, ma si chiede di adeguarlo alle mutate circostanze. Per
“mutate circostanze” si intende circostanza verificatesi successivamente all’ultimo momento
utile in cui avrebbero potuto essere allegate davanti al giudice della cautela( circostanze nuove
in senso OGGETTIVO); oppure fatti anteriori a tale momento dei quali l’istante è venuto a
conoscenza nel momento successivo(circostanze nuove in senso SOGGETTIVO): solo per le
circostanze nuove in senso soggettivo, è posto in capo all’istante l’onere di dimostrare il
momento in cui è venuto a conoscenza dei fatti anteriori al provvedimento cautelare. Tale prova
sarebbe una sorta di condizione di ammissibilità dell’istanza di revoca o modifica. Il
provvedimento emesso sarà un’ordinanza reclamabile come ogni altra ordinanza cautelare.

B) IL RECLAMO ART 669 TERDECIES


“contro l’ordinanza che ha concesso o negato il provvedimento cautelare è ammesso reclamo
nel termine perentorio di 15 giorni dalla pronuncia in udienza o dalla comunicazione o dalla
notificazione se anteriore”
Con la novella del 2005 il legislatore ha esteso il rimedio del reclamo anche avverso i
provvedimenti di rigetto delle istanze cautelari. Il termine per proporre reclamo passa da 10 a 15
giorni decorrenti dalla pronuncia in udienza del provvedimento cautelare o dalla comunicazione

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o notificazione se anteriore alla comunicazione. Il reclamo contro i provvedimenti del giudice
singolo del tribunale si propone al COLLEGIO,del quale non può far parte il giudice che ha
emanato il provvedimento reclamato, quando invece, il provvedimento cautelare è stato emesso
dalla corte d’appello, il reclamo si propone ad altra sezione della stessa corte o , in mancanza
alla corte di appello più vicina. Quanto al procedimento, la norma richiama gli articoli 737 e
738: si tratta delle disposizioni relative ai procedimenti in camera di consiglio, pertanto la
decisione è collegiale. Le circostanze e i motivi sopravvenuti al momento della proposizione del
reclamo,devono essere proposti nel rispetto del principio del contraddittorio,nel relativo
procedimento: secondo la dottrina possono essere dedotti non solo circostanze nuove in senso
oggettivo,successive al momento indicato, ma anche quelle non dedotte,oltre che nuovi
argomenti in diritto,ossia i motivi. Le circostanze e i motivi sopravvenuti cui si fa
riferimento,vanno indicati nell’atto di reclamo, il quale dovrà essere notificato alla controparte
insieme al decreto di fissazione dell’udienza dinanzi al collegio. Il tribunale può sempre
assumere informazioni e acquisire nuovi documenti, tale potere va contemperato con il divieto
dei nova in appello ( visto che oltre al collegio, giudice del reclamo può essere anche la corte di
appello). Va precisato che la norma non consente la rimessione al primo giudice: la soluzione
sarebbe da condividere in quanto nella cognizione sommaria cautelare la garanzia di
eguaglianza tra le parti, del diritto di difesa e del contraddittorio, troverebbe pieno
riconoscimento nel reclamo con il quale le parti non solo possono esercitare esattamente gli
stessi poteri del grado precedente ma possono anche dedurre motivi e circostanze sopravvenuti.
Ciò confermerebbe la natura di “novum iudicium” piuttosto che di revisio prior istantiae , da
assegnare al reclamo che troverebbe conferma proprio nelle soluzioni adottate dal legislatore del
2005. Inoltre le regole sulla rimessione al primo giudice si considerano del tutto eccezionali e di
stretta interpretazione: tutto ciò porta ad affermare che la regressione del procedimento al primo
giudice sarebbe stata una soluzione inutile e contraria al principio di economia processuale.
Con la proposizione del reclamo il collegio investito del complessivo contenuto della domanda
cautelare,può confermare(ribadirne l’esistenza),revocare(rimuoverlo per assenza dei presupposti
o per il loro successivo venir meno) o modificare l’ordinanza(a causa di un cambiamento di
circostanza per cui si chiede il mutamento di alcuni elementi del provvedimento).
In PENDENZA DI RECLAMO, il provvedimento cautelare continua a produrre i suoi effetti,
tuttavia il tribunale consente la sospensione del provvedimento cautelare nell’interesse di colui
che ha proposto il reclamo,solo quando fatto sopravvenuti,non esistenti al momento della
pronuncia del provvedimento, rischiano di pregiudicare il suo diritto.
Il reclamo è DECISO con ordinanza non impugnabile, ma revocabile o modificabile dal giudice
istruttore.

L’attuazione delle misure cautelari

ART 669 DUODECIES: la norma non parla di esecuzione ma di attuazione distinguendo:


1) l’attuazione dei provvedimenti che hanno ad oggetto somme di denaro; il
provvedimento costituisce un normale titolo esecutivo che è azionato con le forme tipiche
del processo di esecuzione. Tale esecuzione non sarà preceduta dalla notificazione del
precetto e del titolo esecutivo,essendo sufficiente la meta conoscenza del provvedimento
cautelare. L’attuazione in questo caso avviene nelle forme del pignoramento ciò al solo
scopo di evitare di creare un creditore super privilegiato, il richiamo alle norme sul
pignoramento,infatti,garantisce anche in questo caso l’intervento di altri creditori nel
medesimo procedimento, realizzando il principio della par condicio creditorum. Competente
è il giudice dell’esecuzione che non coincide con quello che ha emanato il provvedimento
cautelare.

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2) l’attuazione dei provvedimenti che hanno ad oggetto altri obblighi; in questo caso il
procedimento adottato è semplice perché l’attuazione avviene sotto la direzione dello stesso
giudice che ha emanato il provvedimento cautelare il quale stabilisce nel medesimo
provvedimento le modalità di attuazione le quali costituiscono il contenuto stesso del
provvedimento cautelare.
Se invece il provvedimento da attuare, ha ad oggetto obblighi di dare ,non fare, consegna o
rilascio, la competenza spetta al giudice che ha emanato il provvedimento.
Il provvedimento da attuare non avendo natura decisoria non è impugnabile

Le singole misure cautelari

A. i sequestri: si tratta di misure cautelari tipiche. La legge ne individua tre tipi:


1) il sequestro giudiziario ART 670: ha per OGGETTO: beni mobili o immobili, aziende e
secondo dottrina e giurisprudenza anche titoli di credito e azioni societarie;
PRESUPPOSTO è l’esistenza di una qualsiasi controversia tendente alla restituzione del
bene da altri posseduto,e quindi anche quella a carattere personale; LA SUA FUNZIONE è
tipica, nel senso che il giudice non potrebbe concedere il sequestro giudiziario con
riferimento ad altro scopo. Il giudice deve fare una valutazione di opportunità e in ciò che si
concreta la valutazione dello specifico pericolo al quale si provvede con la nostra misura, in
altri termini il giudice disporrà la custodia tramite il sequestro quando riterrà che
diversamente vi potrebbe essere un pregiudizio anche potenziale per l’attuazione del diritto
controverso. Il giudice non può rifiutare di concedere il provvedimento per il solo fatto che
la domanda giudiziale è stata trascritta, visto che la trascrizione protegge la parte da atti di
disposizione giuridica, ma non pone al riparo da attività materiali pregiudizievoli. Quindi si
può dire che il sequestro giudiziario ha come SCOPO di rendere attuabile una eventuale e
successiva azione di esecuzione in forma specifica. Una forma particolare di sequestro
giudiziario è disciplinata dallo stesso 670, si tratta del sequestro di prove: OGGETTO del
sequestro di prove sono i libri,i documenti o altro materiale che può essere ritenuto un
elemento di prova; ha per PRESUPPOSTO l’esistenza di una controversia circa l’esibizione
del materiale in oggetto per fini probatori; la sua FUNZIONE è la custodia temporanea di
questi beni per evitare che vadano distrutti, la loro acquisizione al processo è infatti sempre
conseguenza di un successivo ordine di esibizione da parte del giudice di merito.
2) Il sequestro conservativo ART 671: ha per OGGETTO somme di denaro o beni mobili o
immobili del debitore, dunque possono essere oggetto di sequestro, i beni che possono
essere oggetto di pignoramento,infatti il sequestro conservativo, è una sorta di
pignoramento anticipato ed è coordinato ad una futura eventuale espropriazione;
PRESUPPOSTO per la concessione è che la controversia riguardi un diritto di credito e il
creditore abbia fondato timore di perdere la garanzia del suo credito; il creditore deve
pertanto provare un ragionevole fumus,cioè di una reale e concreta possibilità di pericolo
per il soddisfacimento del suo diritto. LA FUNZIONE è collegata all’esigenza di evitare
che chi uscirà vittorioso dal giudizio di merito non trovi beni su cui soddisfarsi,essendosi
perdute le garanzie del credito. Si deve pertanto trattare di una situazione di reale pericolo e
a tal fine vengono in rilievo 2 elementi,ovvero quello soggettivo: che è dato dal
comportamento del debitore e quello oggettivo che è dato dalla consistenza patrimoniale di
quest’ultimo, rapportata all’entità del credito in contestazione. A causa della concessione
del sequestro (EFFETTI) non hanno effetto in pregiudizio del creditore sequestrante,tutti
gli atti aventi ad oggetto il bene sequestrato,in conformità alle regole del pignoramento: per
esempio se dopo il sequestro, il debitore alienasse il bene sequestrato o costituisse altri
diritti sulla cosa o concedesse ipoteche,tutti questi atti non sarebbero opponibili al creditore
sequestrante.

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3) Il sequestro liberatorio ART 687: ha per OGGETTO le somme o le cose che il debitore
ha comunque messo a disposizione del creditore per la sua librazione; PRESUPPOSTO per
la concessione del sequestro è l’esistenza di una controversia circa le modalità di
pagamento o di consegna o l’idoneità della cosa offerta. In questo caso è solo il debitore
che richiede il sequestro per evitare gli effetti della mora debendi,pur avendo intenzione di
contestare il credito o le modalità di pagamento. Siamo perciò di fronte a una sorta di
sequestro giudiziario provocato da chi è nel possesso del bene da custodire.
A norma dell’ART 675: il sequestro,in genere, si esegue , non si attua, entro 30 giorni dalla data di
pronuncia del provvedimento; le modalità di esecuzione sono fissate dal 677 e sono simili a quelle
della esecuzione forzata: infatti
- il sequestro giudiziario si esegue come una esecuzione per consegna o rilascio, omessa la
notificazione del precetto e l’avviso,salvo che il custode sia persona diversa dal detentore:
- il sequestro conservativo si esegue con un pignoramento
Quando il sequestro è stato realizzato tempestivamente e tempestivamente è stata iniziata l’azione
di merito, la misura cautelare conserva la sua efficacia fino alla sentenza di merito.
- Se la sentenza è di accoglimento della domanda,il sequestro giudiziario , viene assorbito dalla
sentenza che rende possibile l’esecuzione in forma specifica;
- se il sequestro è conservativo,occorre,invece, che il sequestro sia convertito o trasformato in
pignoramento: per conseguire la conversione del pignoramento è necessario che il
sequestrante,depositi copia della sentenza di condanna esecutiva entro 60 giorni dalla
comunicazione nella cancelleria del giudice competente per l’esecuzione. Il mancato deposito è
causa di inefficacia del sequestro.
Infine va aggiunta la possibilità prevista dall’art 684 relativa alla REVOCA DEL SEQUESTRO: il
debitore può ottenere la revoca del sequestro dal giudice istruttore che si pronuncia con ordinanza
impugnabile, ciò però prestando idonea cauzione per l’ammontare del credito che ha dato causa al
sequestro e per le spese,in ragione delle cose sequestrate. In realtà più che di revoca si tratta di una
sorta di conversione dell’oggetto del sequestro non dissimile dalla conversione del pignoramento.
Infatti il debitore chiede ed ottiene di sostituire al bene o ai beni sequestrati una somma di denaro il
cui ammontare è rapportato all’ammontare del credito cautelato oltre alle spese e il valore dei beni
assoggettati a sequestro. Per VERDE il giudice può anche rifiutare il provvedimento anche se sia
stata offerta la somma esatta e ciò in ragione del valore delle cose sequestrate.

B . I PROVVEDIMENTI D’URGENZA ART 700:

Il provvedimento cautelare disciplinato nella norma è caratterizzato dalla:


1) sussidiarietà: ovvero l’esigenza tutelata non deve poter essere assicurata con altro
provvedimento tipico o nominato previsto dal codice civile o dalle leggi speciali;ovvero si
adopera il provvedimento di urgenza solo se non sia possibile cautelare la situazione
sostanziale devoluta in giudizio con altro provvedimento cautelare tipico.
2) la atipicità: il contenuto dell’ordinanza cautelare non è previsto dalla legge ma deve essere
adeguato a garantire gli effetti della decisione di merito.
Il provvedimento può essere richiesto a cautela di un diritto fatto valere in via ordinaria, ciò vuol
dire che la misura va coordinata con una situazione giuridica piena e quindi non a una situazione di
mero interesse e neppure di interesse legittimo. Logicamente spetta al giudice valutare la
consistenza di tale situazione a prescindere dalla prospettazione formulata dalla parte.
L’art 700 dice che il giudice può pronunciare il provvedimento d’urgenza richiesto,quando nel
tempo occorrente per la pronuncia,all’esito del processo di cognizione ordinaria,il diritto può
costituirsi in un pregiudizio imminente e irreparabile.
PRESUPPOSTI del provvedimento sono infatti:

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- il fumus boni iuris : fumus significa che verosimilmente il diritto per cui si propone una
domanda giudiziale è esistente;
- periculum in mora: significa che ci si trova di fronte ad un pregiudizio imminente( che si sta
per verificare) e irreparabile( che non si può ripristinare in forma specifica).
L’art 700 nasce come una norma residuale che nelle intenzioni del legislatore avrebbe dovuto
trovare scarsa applicazione e sulla base di questa voluntas legis espressa nei lavori preparatori,
all’inizio l’interpretazione giurisprudenziale e dottrinale era restia a concedere il provvedimento
d’urgenza.
Un diritto si diceva, non pone mai il rischio di un pregiudizio irreparabile,perché tutto è riparabile
convertendo il diritto in una forma di denaro. Ogni lesione può essere riparata convertendo il
diritto,che è stato menomato in un risarcimento. Ci si è poi resi conto che un interpretazione così
rigida non poteva coesistere con un processo civile funzionale,idoneo a rendere giustizia al
cittadino. In un sistema processuale civile in cui certamente lo strumento giuridico funziona male vi
è l’esigenza della prassi e della dottrina si sforzare il discorso sull’art 700 e di consentire che il
giudice lo pronunziasse.
L’utilizzazione della norma la si è fatta partendo dai principi personali: si è detto che di fronte alle
lesioni personali anche se si può ottenere una sorta di reintegrazione del danno,e dunque un
risarcimento, comunque la lesione resta. Non ci sarebbe mai un risarcimento economico idoneo
nello specifico a reintegrare la lesione personale.
CONTENUTO del provvedimento è a sua volta atipico perché va modellato dal giudice, anche
d’ufficio in funzione del pericolo rappresentato ed al quale occorre porre rimedio.

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