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IL RISORGIMENTO: PROTAGONISTE DIMENTICATE

Sui nostri libri di storia e sulle nostre antologie, almeno in quelle di qualche anno fa, non le
abbiamo mai incontrate. Eppure ci furono e furono tante.
Sono le donne che vissero e operarono nel periodo risorgimentale, eppure di queste è rimasta solo
una lieve traccia, spesso come mogli e talvolta come madri di quegli eroi ai quali sono state
intitolate vie e piazze.
Agirono in prima persona, spesso persero la vita, alcune furono giustiziate altre incarcerate altre
ancora diffusero le idee di libertà che allora, nell’Italia del primo Ottocento, erano idee eversive e
operarono per quella “Rivoluzione” dalla quale scaturirà l’Italia unita.
E’ nell’Ottocento che la prospettiva di vita delle donne tende a cambiare. Le loro parole escono dai
salotti e dai secretairés, le loro lettere non sono più carte private che si scambiano tra amiche, anche
se di interessi affini, i loro racconti non si limitano a un pubblico minore ma vengono pubblicati e
diventano voce collettiva.
E’ nei loro salotti aperti al nuovo spirito libertario e nelle accademie poetiche che personaggi come
Rosina Muzio Salvo, Giuseppina Turrisi Colonna o Giuseppina Guacci Nobile diffondono le idee
nuove su un’Italia che a breve ritroverà, non senza contraddizioni, la sua identità di nazione.
Ma alcune di loro non si limitarono a scrivere di poesia altre furono giornaliste come la Pimentel
Fonseca, giustiziata nel 1799, od economiste o, come si direbbe oggi, politologhe come Cristina di
Belgioioso. L’azione femminile nel periodo risorgimentale non si limitò, però, solo all’aspetto
politico. Le donne, per loro natura, orientate a riflettere sul sociale si impegnarono in nuovi ruoli,
come prodigarsi come infermiere, fondare scuole e istituti professionali, asili per gli orfani, studiare
problemi sociali e del lavoro. Non tutte calcarono la scena pubblica; alcune, come si evince dai
carteggi e dagli archivi, scrissero opere di carattere intimista ma anche così, manifestarono
l’esigenza della donna di uscire dal proprio stato di oggetto letterario divenendone soggetto a pieno
titolo.
Per tutte raccontiamo qui la vita di due donne non propriamente pacifiche che testimoniarono, col
loro coraggio, quanto vi fosse di spirito combattente in loro.
Giuseppa Bolognani o Bolognara era nata a Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, nel
1826 ma i catanesi la ricordano come “Peppa ‘a cannunera” perché testimoniò, sulle barricate di
Catania, un coraggio non comune. Alcuni suoi biografi la descrissero come donna non proprio
virtuosa ma la sua impresa la rese famosa.
Ferveva un accanito combattimento nella Piazza dell’Università. I borboni, attestati dietro una
barricata, erano forniti di due cannoni. Gli insorti ebbero l’dea di impadronirsi di un pezzo
d’artiglieria ma ciò sembrava impossibile a causa del fitto fuoco nemico. Giuseppa prese una lunga
e robusta fune, fece un cappio e lo lanciò su un pezzo. L’operazione ebbe successo e gli insorti con
l'aiuto di Giuseppa riuscirono a trasportare il cannone alle spalle dei borbonici, piazzandolo
nell'atrio del Palazzo Tornabene, nella Piazza Ogninella. Aperto di colpo il portone del palazzo, il
pezzo venne scaricato dietro i nemici, che, colti di sorpresa, si diedero alla fuga. Anche se le notizie
riportate dalle fonti sono discordanti sul reale svolgimento dei fatti e la trasformazione degli episodi
sconfinino ormai nella leggenda, è indubbio che Peppa a’ cannunera abbia dato prova di impegno
civile e di coraggio.
Giuseppa Bolognara, per i suoi atti di eroismo, ebbe assegnata dal Governo italiano la medaglia
d'argento al valore militare e una pensione di 9 ducati mensili dal Comune di Catania. Il documento
che l’attesta è controfirmato da un testimone perché Giuseppa era analfabeta. Morì a Catania nel
1885.
Rose Montmasson detta Rosalia, invece, era nata nel 1826 a Saint Jorioz, nella Savoia che allora
faceva parte del Regno di Sardegna.
Rose era di umili origini e si manteneva facendo la lavandaia e la stiratrice. In Piemonte conobbe
Francesco Crispi, che, giovane rivoluzionario, era lì in esilio. Si sposarono. Rose intraprese
numerose missioni e partecipò ai preparativi della spedizione dei Mille. Voleva partire coi
garibaldini ma il marito volle che si fermasse a Quarto proibendole di partecipare alla avventurosa
spedizione colma di pericoli ed incognite.
La leggenda vuole che Rosalia si travestisse da uomo e partisse. Quello che la storia ci dice è che a
Calatafimi, a Salemi, ad Alcamo ed in altri teatri di guerra si occupò dei feriti curandoli, portandoli
in salvo e prestando servizio sulle ambulanze. Da quegli episodi ebbe nome, dai siciliani, Rosalia,
nome che le rimase per sempre tanto da essere apposto anche sulla effige tombale.
Quando Crispi, divenuto deputato, strinse una relazione con Lina Barbagallo, Rosalia si separò da
lui per andare a vivere da sola. Alla morte di Crispi, caduta nella più dura miseria, ottenne un
sussidio dalla Casa Reale e dal Governo. Morì a Roma nel 1904.

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