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Lettera ad Andrea Ichino

Padova, martedì 30 novembre 2010

Gentile Professor Ichino,

la leggo abitualmente con attenzione e stimo le sue opinioni ma, a proposito del suo articolo contro
ulteriori benefici fiscali per la famiglia (Quoziente familiare? In Italia meglio di no, “il Riformista”, 16
novembre 2010), sono in totale disaccordo. La sua posizione mi pare anzi condensare alcuni dei luoghi
comuni che hanno fino ad ora impedito a questo paese di avere una politica seria, o per lo meno equa, sulla
famiglia.

Spesa diretta-spesa indiretta


Lei pare sostenere che le carenze dello stato italiano nella “spesa diretta” a favore della famiglia sarebbero
ampiamente compensate dalla “spesa indiretta”, rappresentata ad esempio dalla tutela della stabilità
lavorativa, unita all'elevata spesa pensionistica. Eppure non dovrebbe sfuggirle come questo tipo di tutele
non garantiscano solo le coppie con figli, bensì tutti: anche – verrebbe da dire soprattutto, dati statistici alla
mano – single, “bamboccioni” vari e coppie gay. Queste misure, soprattutto, lasciano senza tutela le famiglie
dove i genitori non lavorano e quelle che vivono lontano dai nonni.

La tassazione di favore per le donne


Ebbene qual è la sua proposta? Quella di defiscalizzare in parte il lavoro femminile, a prescindere dai figli.
Un’altra tutela “indiretta”, perfettamente in linea con le altre, da lei stesso giudicate fallimentari, che lei
stesso ha enumerato. Per rifiutare una proposta condivisa da quasi tutti gli stati europei – quella di
potenziare i servizi per le famiglie e allo stesso tempo di tener maggiormente in conto, nella tassazione del
reddito, della composizione del nucleo familiare – lei propone una misura che non è adottata da nessuno.
Una posizione che tra l’altro si basa sull'equazione donna=maternità, che è tutta da dimostrare e anche un
tantino sessista.
Potrei essere d'accordo se lei proponesse una tutela della genitorialità effettiva, e allargata anche ai padri,
che al giorno d'oggi si trovano ad avere prospettive di lavoro e di carriera limitate, anche rispetto a quelle di
donne che rinunciano consapevolmente alla famiglia. Si potrebbe detassare il lavoro dei genitori in ragione
del numero dei figli, e inoltre assegnare loro un punteggio superiore nei concorsi pubblici, ad esempio in
quello per ricercatori e professori universitari. Perché del resto chi non ha figli dovrebbe sfruttare il fatto che
altri li fanno?

Le persone: costo o risorsa?


Lo ammetto: ho trasecolato vedendola rispolverare le teorie malthusiane sulla sovrappopolazione. Ad onta
della sua forte recessione demografica, l'Italia secondo lei è sovrappopolata, e perciò bisognosa di una cura
dimagrante. A parte il fatto che la densità della popolazione europea non è di 32 persone per chilometro
quadro (mi piacerebbe sapere da dove ha pescato questo dato) 1, deve essere difficile per lei spiegare come i
paesi con una densità di popolazione superiore alla nostra, come Germania, Regno Unito, Belgio e Olanda –
giusto per lasciare fuori Montecarlo, Hong Kong, Singapore... – vantino un benessere economico superiore
al nostro. E la loro natalità rimane comunque più alta rispetto alla nostra. Anche India e Cina, con le loro
popolazioni enormi, a dispetto delle previsioni hanno conosciuto negli ultimi anni una crescita tumultuosa.
Non è che forse la depressione in cui il nostro paese versa ormai da un ventennio deriva, tra le altre cose,
proprio dalla scarsa natalità? Soprattutto per un paese povero di risorse come il nostro, le persone
dovrebbero essere considerate la prima vera ricchezza, con la loro intelligenza, creatività e spiritualità. Lei
sembra risolvere tutto auspicando un ulteriore aumento dell'immigrazione. Ma la situazione attuale
discrimina ancor più, se possibile, le famiglie immigrate.
Quello di mettere al mondo nuovi cittadini è un compito di valore imprescindibile per ogni società: anche
per quelle democratiche, anche e soprattutto in una prospettiva laica 2. Eppure lei sembra considerare far

1 Cfr. i dati Eurostat in Fatti e cifre chiave sull'Unione Europea, 2004, p. 9.


2 Cfr. ad esempio le Leges Augustae de matrimoniis, con le quali si cercò di contrastare un grave declino demografico attraverso
misure draconiane nei confronti dei celibi e delle coppie senza figli. Del resto non era Cicerone a definire la famiglia come
Seminarium Rei Publicae nostrae?
figli come una scelta personale, che “non sarebbe giusto far pagare a chi non vuole condividerla”, quasi si
trattasse di beni voluttuari. Splendido rovesciamento della realtà! Ma se sono gli stessi dati che lei cita a
dirci che al giorno d’oggi la posizione fiscale dei single e delle coppie senza figli è finanziata col maggior
carico fiscale delle famiglie!
Non solo: la genitorialità costituisce un modo di realizzarsi come persona, in una società moderna anche un
diritto. Altro che scelta consapevole: in Italia le donne fanno molti meno figli di quelli che dichiarano di
volere, e questo in primo luogo per l’assenza di servizi, a cui lei non dedica nemmeno una riga 3.

La mentalità punitiva verso le donne con figli


Oggi far figli, soprattutto farne più di uno, in Italia significa essere poveri. Eppure, nonostante tutto, sono
proprio i più poveri a sostenere il paese e a continuare a far figli. Una volta si diceva che mettere al mondo
figli fosse un atto d'amore; lei invece sembra considerarlo un atto egoistico e un po' sciocco. A queste
famiglie oggi lei dice che esse sono causa del loro male, e che non hanno diritto di chiedere alcunché. In
particolare lei sostiene, dati alla mano, la discriminazione delle famiglie monoreddito con figli, e quindi
verso le donne che lavorano in casa, che già oggi costituiscono la maggior parte della fascia di povertà 4, e
propone degli strumenti per aumentarla. Ma lei sa che esistono anche famiglie con tre o più figli? In questi
casi vuole costringere a tutti costi entrambi i genitori a lavorare?
Ma perché considerare la tutela della donna e della famiglia come contrapposte? Il quoziente familiare
infatti salvaguarderebbe anche le donne che lavorano ma hanno figli!

Il quoziente familiare
In verità, se c’è una ragione d'essere nella proposta del quoziente familiare, questa sta proprio nel
considerare che anche i figli sono persone, non costi da detrarre, peraltro in misura infima. A far
propendere per meccanismi analoghi al quoziente familiare non dovrebbe quindi tanto essere la tutela della
famiglia, quanto lo stesso principio di uguaglianza e di pari dignità delle persone, al di là della loro età e del
fatto che producano attualmente o meno un reddito.
Tanto più che il quoziente familiare c'è già, ma si applica solo alle coppie separate o divorziate, dove è
possibile detrarre dalle tasse l'intero importo dell'assegno di mantenimento corrisposto al coniuge e ai figli,
ben oltre le detrazioni minime per i familiari a carico.
Eppure il nostro ordinamento, al di là dei paroloni sulla tutela dell'infanzia, discrimina ancora
profondamente i suoi cittadini più piccoli e le loro famiglie, in primo luogo negando di fatto loro i diritti
politici. In questo senso appariva interessante la proposta del suo collega Luigi Bobba, che proponeva
venisse attribuito alle madri l'esercizio del diritto di voto relativo ai figli minori.

In conclusione mi pare che la sua proposta tenda a privilegiare i ricchi contro i poveri, i singoli contro le
famiglie, chi lavora già contro chi non ha lavoro. Una proposta perfettamente in linea con chi vede nella
famiglia patriarcale un male da estirpare. Una posizione molto diffusa anche e soprattutto nelle classi
intellettuali, di cui oggi paghiamo le conseguenze con un paese stanco, impoverito, demotivato, senza
futuro. Una posizione che tuttavia mi pare continui a riproporsi con rinnovata ottusità. Io la ringrazio di
averla espressa con la solita chiarezza, dandomi modo di rifletterci e di esprimere una mia opinione.
Mi perdoni la lunghezza, ma lei ha un incarico pubblico ed è una persona intelligente: pensavo fosse un mio
dovere di cittadino quello di esporle le ragioni di una parte del paese sfruttata e discriminata: quella
costituita dalle famiglie numerose e con figli. Le sarò grato dell'attenzione

Cordiali Saluti

Daniele Mont D'Arpizio

3 Il numero medio di figli desiderato è pari a circa 2,1, molto più alto degli attuali livelli di fecondità (1,3 figli per donna): cfr. Istat:
in Italia meno figli di quelli desiderati, in “Vita”, 21 giugno 2006.
4 Oggi le famiglie monoreddito sono il 72 per cento del quintile più basso della popolazione e solamente il 10 per cento del
quintile più alto: D. Del Boca, Perché l'Italia ha bisogno di womenomics, in “Lavoce.info”, 16.03.2010 .
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