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EDITORIALE

Tutti coloro che affrontano un viaggio hanno bisogno di un vademecum, di un notes, della bisaccia delle esperienze e delle conoscenze che raccolgono durante lintero percorso. Le parole denotative, le espressioni connotative, i concetti, i simboli e i significati diventano appunti, pensieri che si ammassano in ordine sparso dentro un contenitore di fortuna. Quando si incontra un altro viandante, senza forma e senza articolazione logica, quelle parole non riescono ad essere trasmesse, ad essere scambiate. Non crescono, idee e concetti giacciono pigri, soffocati nel disordine di una sacca. il dramma della informazione che non riesce a diventare comunicazione, che non passa, che non sa essere scambiata e staziona in un archivio in attesa di una sua utilizzazione. La mia professione diceva Ballard attraversare frontiere. Anche la nostra; sebbene non nascondiamo una preferenza per il concetto gadameriano di orizzonte che lo sguardo non trattiene, che si sposta dal passante al passo, dal viandante al cammino, vincolo ed opportunit della strada, lirraggiungibile oltre, un limite senza essere limitato, la mta che attrae il passo, il confine che non ha fine, il luogo dei mille passaggi in una parte di mondo. Lintelligenza scriveva Jean Piaget organizza il mondo organizzando se stessa. Fare una rivista, anche semplicemente comporla, costruirla nella coerenza e nella integrazione delle sue parti, un modo per organizzare la nostra capacit di intus legere, di leggere dentro le esperienze del mondo. Fare una rivista scientifica, interamente costruita sul confronto critico tra analisti, protagonisti e problemi, poi, significa produrre significati, dare linfa vitale al corpo della realt, sangue alle membra dei fatti ammassati dalla storia. La vita una produzione di significati. La nostra rivista il luogo in cui questi significati crescono e maturano, uno spazio di comunicazione qualificata sui temi e problemi della complessit sociale che laccademia universitaria analizza, interpreta, discuta. La nostra rivista il luogo in cui lattivit di comunicazione e confronto scientifico, che si mostra nei seminari e nei convegni, si dimostra, prende forma, appare nella sua veste di coerenza epistemologica. Lambizione di realizzare una rivista che, nei settori di nostra competenza, sia un riferimento per lalta affidabilit dei suoi contenuti. Per noi anche una inderogabile esigenza di mettere ordine in una materia che, in Italia, ha sparso e talvolta disperso contributi significativi nei reticoli della varia editoria. Il suo valore consiste nella opportunit che offre nel trasformare le esperienze in conoscenze e le conoscenze in proposte, nella capacit che sapr dimostrare nel tentativo infinito di organizzare il mondo organizzando la sua intelligenza. Alessandro Ceci

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I quaderni del Campus 06 - Giugno 2011

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Il decalogo dello sproloquio


Dieci rischi del discorso politico con il nemico

di Alessandro Ceci

Alessandro Ceci, dopo essersi laureato in Scienze Politiche presso la Libera Universit Internazionale per gli Studi sociali (LUISS Roma) ha diretto (dal 1983) vari Centri di Ricerca, Consulenza e Formazione sulle Tecnologie Educative, sui Modelli Economici Turistici, sulla Scienza dell Organizzazione. In questo ambito si occupato di vari argomenti scientifici, tra cui principalmente lo studio dei modelli di simulazione, sui fenomeni sociali ed economici, e sui modelli politici relativi specificamente allo studio dei sistemi elettorali, delle organizzazioni e della teoria dei giochi. Direttore Scientifico del Campus degli Studi e delle Universit di Pomezia. Professore di Filosofia politica presso la LUM Jean Monnet, ha insegnato e insegna in varie Universit italiane (La Sapienza Roma, L Aquila, Roma Tre) e internazionali (Belgrado). Responsabile Laboratorio di Epistemologia e Logica, Campus degli Studi e delle Universit di Pomezia. L attivit di elaborazione scientifica ha avuto una particolare accelerazione a partire dal 2000, quando i modelli elaborati nel corso degli anni hanno avuto una applicazione diretta e un potenziamento in Criminologia, specificamente in ambito di Intelligence e Sicurezza, e sono stati sperimentati direttamente in vari contesti (habitat) urbani. Gi Responsabile Scientifico del Ce.A.S. Centro Alti Studi per la lotta contro la violenza politica e il terrorismo e della societ di ricerca C Cube s.r.l. Membro dellI.C.T.A.C International Counter Terrorism Academic Community, di cui oggi executive director.

Chi ha una minima esperienza politica sa che molto spesso il parlare, in politica, pu farci diventare nemici. Dipende che cosa si dice e, principalmente, a chi. Il modo tutto, perch il significato politico del confronto in un processo di pacificazione si determina in un punto ben preciso: nel trasformare parole di guerra in una guerra di parole.

1.Guerra di parole

attentato dichiarato, preannunciato. Tutti hanno pi volte affermato che gli italiani in Iraq avevano raggiunto un alto livello di partecipazione e consenso nella popolazione. Questo dimostra, semmai, che la coalizione non ha capito il codice culturale del nemico e finisce per misurarsi con un soggetto sconosciuto, invisibile, che morde quando e dove meno te lo aspetti.

Mi stupisco dello stupore di tanti analisti di fronte ad un

Le menti che hanno pianificato le operazioni militari in Iraq non avevano conoscenza della societ irachena, della sua cultura, del suo modo di funzionare, di essere. Ed oggi ne paghiamo drammaticamente il prezzo. Nel pieno del conflitto israeliano palestinese, Sharon ha permesso a una delegazione di oppositori parlamentari di incontrare la controparte bellica.

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Il tentativo dichiarato era quello di tentare, per il tramite di un interlocutore politicamente contrario al governo, una strada di dialogo con lambizione di cercare una soluzione laddove soluzione non c era. E difatti non fu trovata. Tornati in patria, i rappresentanti israeliani dovettero ammettere lincomunicabilit ed avvalorare implicitamente la politica di Sharon. Da quel momento il Governo aggressivo di destra enfatizz il calcolato risultato come controprova per un consenso aggiuntivo. Ecco un caso in cui parlare con il nemico non conviene. Sarebbe stato meglio che gli ingenui parlamentari fossero rimasti a casa loro. Il tentativo di conciliazione ha accentuato laggressivit che contestavano di quel governo; e alla fine anche con il loro tacito assenso. La strada dellinferno lastricata di buone intenzioni. E di parole inopportune. Chi ha una minima esperienza politica sa che molto spesso il parlare, in politica, pu farci diventare nemici. Dipende che cosa si dice e, principalmente, a chi. Il modo tutto, perch il significato politico del confronto in un processo di pacificazione si determina in un punto ben preciso: nel trasformare parole di guerra in una guerra di parole. Non si pu e non si deve parlare sempre e comunque.

Ci sono gesti che valgono una intera vita politica, il significato di ci che si e il senso di ci che si fa. Dal punto di vista della risoluzione dei conflitti, il passaggio determinante dunque quello della trasformazione di parole di guerra in guerra di parole. Ha senso parlare con il nemico soltanto se si riesce a determinare questo passaggio. Altrimenti il rischio troppo alto e pu convenire non parlare per far decantare le posizioni radicalizzate.

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2. Il decalogo dello sproloquio


Stabilita la necessit e la opportunit, si pu parlare con il nemico con una certa modalit utile ad evitare dei rischi. Voglio in questa sede formulare un vero e proprio decalogo dello sproloquio, cio individuare dieci rischi della parola quando viene impropriamente o inopportunamente utilizzata in un contesto politico. La parola impropria una parola inutile e pu essere falsa. La parola inopportuna pu essere anche vera ma sempre inadeguata.

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Il primo rischio nel parlare con il nemico quello del parlare logorroico. Un bombardamento di parole nasconde i concetti. Ma anche copertura della propria insicurezza o di una tensione emotiva che nevrotizza le relazioni politiche tra soggetti. Per essere chiari con il nemico indispensabile stabilire i concetti di fondo in modo da non debordare e raggiungere il pi rapidamente possibile lobiettivo informativo. Invece, la proliferazione inconcludente di incontri, decisioni, affermazioni, risoluzioni uno stato patologico di un soggetto politicamente impotente, come accaduto in certi momenti alla Organizzazione delle Nazioni Unite, o una barriera escludente, come alcune rivendicazioni delle Brigate Rosse. Tante parole non servono a dialogare. Anzi, spesso servono ad evitare il dialogo. Il secondo rischio quello del vacuo parlare. Vacuo non vago, indefinito e impreciso, ma vuoto, senza costrutto logico, inutile ed inutilizzabile. Si ascoltano spesso tante parole di cui si potrebbe fare tranquillamente a meno e con la loro inconsistenza scavano un solco, una distanza aggiuntiva di incomunicabilit tra contendenti. In questi casi sarebbe molto pi opportuno un utile tentativo di far silenzio(1). La politica, diceva Sartori (2), il fare. Soltanto che questo fare preceduto e seguito dal dire, il dire su ci che bisogna fare. Il discorrere dellhomo loquax precede l azione dell uomo operante. Il vacuo parlare consiste nel dire senza fare, nella divisione dell uomo loquace dalluomo che agisce, che opera concretamente per la riduzione dei conflitti. In molti movimenti pacifisti questo rischio del vacuo parlare ossessivo. Tante rivendicazioni senza soluzioni che spesso sono da copertura, con la loro vacuit, allorrore globale di micro tiranni locali. Sono sottoposti a questo rischio coloro che Danilo Zolo (3) ha chiamato i signori della pace, fautori di un globalismo giuridico che reclama il governo del mondo e si oppone alla polizia internazionale.
(1) Rovatti P. A., LESERCIZIO DEL SILENZIO, Raffaello Cortina Editore, Milano 1992 (2) Sartori G., LA POLITICA, LOGICA E METODO DELLAZIONE SOCIALE, Sugar, Milano (3) Zolo D., I SIGNORI DELLA PACE, Carocci, Roma 1998.

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Il terzo rischio nelle parole della divergenza, contro quelle della convergenza. Parlare presuppone un rapporto, una relazione tra gli interlocutori e tra il significato della parola e il movimento storico che la esprime. In politica lazione linguaggio. In un processo di pacificazione, sia che questa avvenga con una mediazione tra contendenti, sia che avvenga con la sconfitta di uno su laltro, tra azione politica e dialogo politico ci deve essere un unico tessuto storico. Per questo motivo fondamentale, volendo parlare con il nemico, stare bene attenti al linguaggio che si deve usare. Di parole divergenti, che bloccano i processi politici ed estremizzano i comportamenti attivi e reattivi dei contendenti siamo soffocati ogni giorno dalla politica interna a quella internazionale. Possiamo selezionare una lunga casistica di esempi: dai rappresentati di schieramenti politici che attribuiscono sempre ai loro avversari (troppo spesso scambiati per nemici) la matrice culturale o comunicativa degli attentati e degli assassini alla dichiarazione antiisraeliana del Presidente siriano Bashar Al - Assad.

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Il quarto rischio nella teatralit delle parole che troppo spesso banalizza. E la banalit irrita. La teatralit sempre una finzione, al limite, un paradosso. Invece la parola appartiene al discorso e un paradosso pu produrre uno spaesamento, una distanza con la realt della politica e lesigenza delle parti. Parlare con il nemico una attivit delicata, di ricerca, una esplorazione che consiste nel raccogliere tracce, piccoli indizi di possibilit e legarli assieme intorno al reale e non allimmaginario. Altrimenti non c corrispondenza e la relazione comunicativa viene percepita come una finzione. La teatralit scompagina. Aldo Moro, cosciente di questa esigenza, considerava la politica un lavoro quotidiano della parola che assume forma giuridica e diventa realt sociale. La teatralit una minaccia al fitto ordito del dialogo produttivo.

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Il quinto rischio nella dissimulazione. Ed il rischio pi forte e quello pi temuto, perch al tempo stesso una opportunit ed una minaccia dellazione politica. In un noto libro sulla cruenta lotta politica del seicento, lo storico Rosario Villari ci ha mostrato come la dissimulazione fosse un metodo di resistenza attiva contro la violenza politica e la repressione di quell epoca. Egli la considera una forma di conquista della razionalit politica in grado di superare lo spontaneismo sterile della protesta emotiva. Daltronde tutta la letteratura politica e lanalisi di infiniti esempi storici mostrano la frequente, quasi quotidiana, pratica della dissimulazione da parte del potere o dei suoi oppositori. In molti ne hanno addirittura riconosciuta la legittimit in funzione della Ragion di Stato o dellaffermazione di valore superiore. Tuttavia, la dissimulazione controproducente nelle strategie di risoluzione dei problemi e questo almeno per un motivo: perch utilizza i metodi che bisogna sconfiggere. Non a caso, nella polemica pro o contro la liceit della dissimulazione, Bacone (4) afferm che questa tecnica serviva soltanto ai politici minori, quelli che avevano lesigenza primaria di conservare il potere o la supremazia.
(4)Bacone F., DELLA DIGNITA E DELPROGRESSO DELLE SCIENZE, in OPERE FILOSOFICHE, Utet, Torino 1967

Gli altri, i politici di pi alto spessore, non ne avevano bisogno perch non dovevano necessariamente comandare per esistere. La dissimulazione serviva soltanto a resistere. In ogni caso, nelle strategie di comunicazione con il nemico, leccessivo uso della dissimulazione un rischio fortissimo di potenziamento esplosivo del conflitto. Esistono delle tecniche di comunicazione interamente costruite sulla dissimulazione. Il cosiddetto dilemma del prigioniero, nella teoria dei giochi, una tecnica ricorrente. Pu funzionare, ma nel brevissimo periodo. Non detto quindi che sia inutile. necessario per applicarla a quei casi che si concludono con un interrogatorio che, come noto, non proprio un dialogo e si rivolge ad individui piuttosto che a soggetti storici. Quando si vuole parlare con un nemico, ci si riferisce per forza di cose a organizzazioni politiche e quel parlare in qualche modo una forma di riconoscimento. Altrimenti soltanto una dissimulazione, cio una ottima forma di resistenza attiva, se volete anche di contrasto, al limite di governo, ma non certamente la condizione di un dialogo. Il caso irlandese dimostra che la pace stata raggiunta prima di tutto sulla base della reciproca credibilit.

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Il sesto rischio nella sospensione che pu apparire allinterlocutore un ritorno nel silenzio. Nei momenti di crisi politica pi forti, i rappresentanti dei contendenti normalmente sospendono la parola. Dopo poco, in modo informale e occulto, riprendono a contattarsi anche per verificare se ancora opportuno parlare. Nella strategia di pacificazione di un conflitto la sospensione del dialogo un rischio molto forte. Se dura per un periodo di tempo troppo lungo e se cambiano gli interlocutori diretti bisogna ricominciare da capo. E questo ingenera una fortissima sensazione di perdita. Nella mediazione politica la protratta sospensione produce distanza, perch nel frattempo la storia non si ferma e il dialogo si carica di elementi eccessivi di confronto sui quali sempre pi difficile trovare una soluzione.

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Il settimo rischio quello del conformismo, che si aggira attorno a noi costantemente e che peggio del fanatismo, dell esibizionismo, del populismo, del laicismo, del misticismo; o forse in certo senso tutti li comprende e ingloba. Come dice Gillo Dorfles (5) il conformismo la morte dell autenticit. Vi chiederete come si collega con l azione politica e al parlare con il nemico. Ebbene, quando si scarica sulla politica il conformismo assume forme devastanti, perch non il buon senso, l equilibrio e la saggezza, ma il senso comune, l opinione corrente e il pregiudizio che blocca ogni confronto. Usando gli argomenti del senso comune, i parlanti risvegliano gli stereotipi, come fossero dei mostri addormentati(6). Si tratta di un perbenismo sciocco che, specialmente nelle statistiche che orientano i leader politici democratici, determina catastrofi di fanatismo. Se dopo un cruento attacco terroristico il buon senso consiglia di abbassare il tasso conflittuale del pianeta cercando un nuovo equilibrio nel sistema delle relazioni internazionali, il senso comune dice che bisogna reagire per vendicarsi e migliaia di persone muoiono in una guerra che costa meno di quanto necessario per garantire lo sviluppo ed innalzare il tasso di sicurezza globale. Ma il conformismo non ha tregua. Preda dei mezzi di comunicazione di massa da cui si nutre e che a sua volta nutre con un infernale meccanismo autoreferenziale genera un pregiudizio di religione o di razza, un campanilismo populista che ostruisce definitivamente il dialogo. Lo sproloquio il luogo dei conformizzatori, dei tanti zii bigotti - come li chiamava Pasolini - che con maggiore o minore veemenza, decretano il paradigma della incommensurabilit comunicativa e cio che, essendo diversi da noi, con i nemici non conviene parlare. Daltra parte, se fossero uguali a noi, perch dovremmo parlare? Il conformismo ci ammutolisce in una uguaglianza che anche assimilazione. Oltre ad essere un azzardo, dunque, anche minaccia al dialogo.
(5)Dorfles G. , CONFORMISTI, Donzelli, Roma 1977 (6)Billing M., IDEOLOGIA E OPINIONI, Laterza, Bari 1995

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Lottavo rischio quello della elusivit e riguarda i conflitti di nuovo tipo, quelli di ultima generazione con i terroristi. A rigore, in questa nuova tipologia di guerra, non si sa chi il nemico e quindi non si sa nemmeno con chi parlare. Non riusciamo ad identificare il nemico e quindi rischiamo discorsi indeterminati, senza soggetti. Il terrorismo locale era identificato in un preciso contesto politico. Combatteva su un territorio conosciuto, con finalit dichiarate, per la conquista del potere. Il terrorismo di nuovo tipo, invece, si distribuisce in territori sparsi in tutto il mondo, collegati con metodi da servizi segreti, di cui si pu conoscere tuttal pi la motivazione fondamentalista, ma che non persegue un programma che vada oltre la distruzione e la produzione di insicurezza. Il dialogo oggettivamente difficile. Chi sono e dove sono? Con chi parlare che sia effettivamente rappresentativo di un movimento cos frammentato e autonomo, le cui decisioni spesso vengono prese direttamente dalle cellule localizzate senza necessariamente un collegamento lineare anche indiretto con i vertici dellorganizzazione? Non ci sono leader in grado di rappresentare lintero movimento o lorganizzazione. Al limite possibile individuare personalit virtuali con funzioni di vicarianza comunicativa. Oggi impossibile lidentificazione del nemico ed una valutazione realistica del rischio. questa elusivit che gli conferisce un nuovo profilo(7).
7.Habermas J., FONDAMENTALISMO E TERRORE, in Borradori G., FILOSOFIA DEL TERRORE, Laterza, Bari 2003.

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Il nono rischio lintransigenza, quando - come disse una volta Flaubert - le reciproche affermazioni sono due impertinenze identiche(8). Lintransigenza la forma della non discussione che in politica assume spesso la veste della intolleranza. Tuttavia, mentre la intolleranza deriva da un rifiuto, lintransigenza un aspetto della pervicacia, della insistenza, dellottusit. Se come atteggiamento logico e morale lintransigenza stupida, come atteggiamento politico un utile espediente per esercitare un ostruzionismo. Sono intransigente se pretendo di stabilire linterlocutore che mi fa comodo e non quello rappresentativo, salvo poi constatare che con un interlocutore non rappresentativo inutile parlare. Se non una follia una tattica per evitare il confronto e arrangiare una giustificazione alla mia azione offensiva. Albert Hirschman ha individuato tre caratteri della intransigenza nel discorso politico: la perversit, ovvero gli effetti perversi che ogni pervicace insistenza pu determinare conducendo a risultati opposti da quelli desiderati; la futilit, ovvero la inutilit di un atteggiamento intransigente nel dialogo di pacificazione; quello che noi chiamiamo della esorbitanza e che Lui definisce come messa a repentaglio, cio gli alti costi insiti in ogni atteggiamento intransigente contro i cambiamenti e il dialogo (9). Si tratta di argomenti ripetitivi ed estremi, altamente polarizzati in dibattiti immaginari che, quando non sono difettosi, sono semplicemente sospetti. In ogni caso, improbabile che uno dei due protagonisti di uno scontro militare accetti immediatamente di comporsi in un dialogo politico. Forse pi probabile partire dalla semplice accettazione del dissenso, senza alcuna presunzione di superamento delle contrapposizioni. Meglio un dialogo fra sordi che un sordo dialogo. Lascio a voi giudicare se lintransigenza, ad esempio nel caso Moro, sia stata il prodotto di una comunicazione difettosa o di un atteggiamento sospetto. Resta il fatto che sono passati trenta anni e i nostri nemici sono ancora organizzati.
(8)Flaubert G., CORRESPONDANCE, Paris, Conard, 1929, vol.V, pag.329 (9)Hirschman A.O., LE RETORICHE DELLINTRANSIGENZA, Il Mulino, Bologna 1991

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Il decimo rischio del parlare con il nemico la retorica, che elude limmagine reale della storia proiettandola in un tempo senza tempo, in una dimensione monumentale avulsa dalla concezione scientifica dei fenomeni politici e sociali. Fin dalla sua nascita, e precisamente attorno al 485 a. C. nei processi di propriet a Siracusa, la retorica appartenuta al tempo stesso alla democrazia e alla demagogia. Fu una eloquenza insegnata per la gestione del dialogo in varie occasioni, dalle transazioni commerciali agli accordi politici. Secondo Roland Barthes la retorica ha regnato in Occidente per due millenni e mezzo e ha visto passare dentro di s, immutabile, impassibile immortale, la democrazia ateniese, i reami egizi, la repubblica romana, limpero romano, le grandi invasioni, il feudalesimo, il rinascimento, la monarchia, la rivoluzione. La retorica, senza commuoversi e alterarsi ha digerito regimi, religioni, civilt(10) ed oggi vive la sua apoteosi. Preda e predatrice dei mezzi di comunicazione di massa, la retorica di oggi la parola falsa, quella che mistifica la natura della notizia, che altera la verit delle cose per indurre e condurre lopinione pubblica. La retorica multimediale di oggi il vero potere della eterodirezione di massa.
(10)Barthes R., LA RETORICA ANTICA, Bompiani, Milano 1993

Il rischio politico della retorica nel tentativo di istaurare un dialogo con un qualsiasi nemico la sua enfasi. L enfasi retorica fa sfuggire il confronto dai suoi aspetti reali e induce comportamenti implosivi, nel senso del rifiuto e dellabbandono di una comunicazione artificiale e artificiosa, o esplosivi, cio nella esaltazione delle passioni impulsive contro la logica delle ragioni. Alcuni psicologi, ultimamente, hanno studiato in modo approfondito la tendenza della retorica di cristallizzarsi in ideologia, sia perch i modi di pensare creati da e nellideologia siano intrinsecamente retorici, sia perch luso della retorica rispecchia le trame dellideologia(11). La retorica non cerca il confronto, ma la persuasione; non si preoccupa della coerenza logica, ma della concorrenza ideologica; non si fonda sulle ragioni, ma sulle opinioni; non esprime giudizi, ma solo pregiudizi. La retorica del fondamentalismo laico o islamico di oggi, ma anche degli innumerevoli fondamentalismi che la storia ci ha ciclicamente riproposto, causa delle pi dolorose catastrofi contemporanee. Lo sproloquio fa male.
(11)Billing M., IDEOLOGIA E OPINIONI, Laterza, Bari 1995

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3. Democrazia del linguaggio

Noi cerchiamo il dialogo. Eppure la societ contemporanea piena di monologhi. In questa nostra epoca storica tanti diversi linguaggi non si riescono a comporre tra loro. Il dialogo sovversivo. Affermare una ragione ha sempre pi il sapore di uno schieramento. C sempre lodore del pregiudizio politico nei nostri interlocutori. La societ della informazione standardizzata parla molto e ascolta poco. Non siamo ancora nellepoca in cui unit non significhi assimilazione. La sensazione che se ne deriva che, nel vuoto della legittimazione internazionale, ciascuno vuole approfittare della sua forza per regolare i conti senza troppe chiacchiere. Questo induce il rumoroso mutismo del mondo. Ha ragione Habermas, noi tutti dovremmo lavorare per una democrazia del linguaggio quotidiano. Il linguaggio presuppone lo scambio. La democrazia presuppone le opposizioni e la contestazione critica. Appunto la critica lessenza della democrazia ed anche la pi appassionante e coinvolgente partecipazione alla vita politica del pianeta. A patto che, piuttosto che dire sempre quello che si pensa, iniziamo tutti pi spesso a pensare a ci che si dice.

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