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Achille Campanile L'Eroe o Si direbbe che a uno squillo di tromba...

La Scala Copyright 1976 Rizzoli Editore, Milano Prima edizione: aprile 1976 Rizzoli Editore Nella fortezza di Alcantares, gi colpita dal famoso assedio ed ora piena di ex assediati, fervono come ogni anno i preparativi per la cerimonia: si commemora il glorioso sacrificio di un giovinetto, tenuto in ostaggio e poi ucciso dalla barbarie tedesca. Come ogni anno, un pesante bustone marmoreo sar rimesso sul suo piedistallo, arriveranno i ministri e le eminenze, si svolger la cerimonia dell'ammainabandiera e quindi, in un silenzio commosso, si ascolter il disco con su incisa la famosa telefonata. Una telefonata? Ma certo, perch una telefonata fu galeotta; e si vedr il perch. In prima fila il generale (babbo del giovinetto sacrificato e allora comandante in capo della fortezza) e la generalessa sua moglie: la gentile (si fa per dire) signora Matilde, accanto ad una vecchia nutrice, altri parenti, pupi in braccio e il cavalier Zorapide, lo stolto e indaffarato conservatore della fortezzamuseo. Quest'anno ci sar anche il comandante Kapel, autore dell'efferato crimine, in visita di riappacificazione. Tutto normale? Niente affatto: colpo di scena e ricompare il giovinetto ora adulto! In carne e ossa ricompare l'eroe! Con un braccio di meno: cio un braccio finto, di legno e con la molla. Su queste due braccia: il braccio di legno e il braccio mancante, si far parecchia confusione, ma ci permetter all'autore di raccontare svariate storie collaterali che, di certo, non c'entrano niente. Poi, altri colpi di scena da mozzare il fiato. Questo L'Eroe: un romanzo tutto da ridere, bilanciato, perfetto. L'Eroe come Il povero Piero, come Ma che cos' quest'amore?, come Se la luna mi porta fortuna: un "classico Campanile". ACHILLE CAMPANILE nato a Roma nel 1900. Esord negli anni Venti come scrittore di teatro con le Tragedie in due battute, e come narratore coi romanzi Ma che cos' questo amore? (1924), Se la luna mi porta fortuna (1927). Pi tardi stamp Celestino e la famiglia Gentilissimi (1942), Il povero Piero (1959, ristampato da Rizzoli nel '73), L'inventore del cavallo e altre quindici commedie (1971), Manuale di conversazione (1973, Premio Viareggio), Gli asparagi e l'immortalit dell'anima (1974) e Vite degli uomini illustri (1975). Campanile abita e lavora a Velletri. a Pinuccia e a Gaetano I Nella mia vita avventurosa, signori, m' capitato anche di vivere per due giorni clandestinamente nel forte di Alcantares. Non al tempo del famoso assedio, ch sarebbe stato abbastanza normale anche se tutt'altro che comodo. Del quale assedio, peraltro, e delle vicende ad esso connesse, io, che ho l'imperdonabile torto di vivere sempre fra le nuvole, non sapevo addirittura niente. M'era capitato, s, di vedere qualche volta, alla porta di cinema periferici, manifesti con scene di guerra su spalti, e il titolo: L'assedio del Forte d'Alcantares; ma credevo si trattasse d'uno dei soliti film di fantasia. Fu una quindicina d'anni dopo lo storico assedio, che una notte, dovendo, per ragioni che non star a dirvi, evitare per un paio di giorni di mettermi in vista, e capitatomi di passare vicino a questo

grandioso rudere, che aveva tutta l'aria d'essere abbandonato, pensai che potesse magnificamente fare al caso mio. Era un massiccio edifizio che s'ergeva buio e solitario su un poggio in mezzo all'ondulata pianura. C'era la luna in un cielo limpidissimo e quelle mura sbrecciate dai bombardamenti, quegli spalti neri, quei pinnacoli mezzo diroccati che, al chiarore lunare, sembravano vuote occhiaie, quei contrafforti deserti e silenziosi, davano all'insieme una sinistra grandiosit. Si sarebbe detto un castello di fantasmi, o addirittura lo spettro d'un castello in rovina, e pareva lo scenario d'un romanzo di Walter Scott, suscitante immagini di lontani drammi sanguinosi, di sotterranei con catene, di crudeli scherani in ferree armature, agli ordini d'un signorotto feroce; le quali cose avrebbero dato un brivido d'orrore a uno che avesse i nervi meno saldi dei miei. Chi avrebbe potuto scovarmi fra quelle macerie? C'erano molte brecce, come caverne o grotte, aperte nei fianchi dell'imponente costruzione dal cannoneggiamento di tanti anni avanti. Senza esitare mi ficcai in una di esse e, attraverso un breve cunicolo, raggiunsi una specie di cavernetta in rovina. Non era l'ideale come alloggio, ma lo era come nascondiglio. Nessuno poteva immaginare che un uomo si celasse fra quei ruderi sinistri, nessuno poteva vedermi dall'esterno, n raggiungermi dall'interno della fortezza, da cui mi divideva una spessa muraglia. Cos mi stesi alla meno peggio su un giaciglio improvvisato con foglie secche e sterpi, e m'addormentai relativamente tranquillo. Ma ecco l'indomani mattina mi sveglia un suono di voci vicinissime. Balzai in piedi allarmato, pensando d'essermi nascosto, senza saperlo, magari in un nascondiglio di malviventi. Nessuno. M'affacciai verso l'esterno. Nessuno, salvo un magnifico sole che indorava la pianura ondulata e dava, a quello che la notte m'era parso un paesaggio sinistro, un aspetto ridente. Tornai dentro e stavo pensando d'aver sognato, quando di nuovo le voci si fecero udire vicinissime, calme. Direi addirittura voci domestiche, d'una casa che si risveglia al mattino. A questo punto, voi gi avrete pensato agli spiriti. Disilludetevi. Niente di tutto questo. Spiriti, fantasmi, sono cose che non esistono. E queste, come si vedr, erano voci di persone vive e vegete. Ma non precipitiamo gli eventi, come suol dirsi quando non si desidera che arrivare alla conclusione di una storia. Mi guardai dunque attorno sorpreso e scorsi verso l'alto una breccia, anch'essa fatta probabilmente dal cannone o da una bomba. Le voci non potevano esser venute che di lass. Cautamente arrampicandomi su un mucchio di macerie, pietre e calcinacci franati dalla breccia medesima, raggiunsi questa, feci capolino e rimasi di stucco. Dall'apertura, attraverso un intrico di ragnatele, rottami, erbacce cresciute nelle fenditure dei muri, s'intravedeva quello che meno mi sarei aspettato di vedere in quel luogo: una stanza perfettamente in ordine, salvo, anche in essa, qualche vecchia ferita di guerra non rimarginata. C'era un tavolo con carte, un tavolinetto con macchina da scrivere, alcune seggiole e qualche mobile da archivio, le quali cose davano ad essa l'aria d'un ufficetto, quanto mai in contrasto con un simile arnese di guerra. C'era persino un apparecchio telefonico sul tavolo e, a togliere ogni dubbio circa la destinazione del luogo, si vedeva, seduto alla scrivania, un signore che mi parve si desse molta importanza, immerso com'era nell'attento studio di certe carte, che l'assorbiva totalmente. Tanto che ebbi tutto il tempo di tirarmi indietro senza che mi vedesse, e mettermi in un pi discreto punto d'osservazione, nascosto da detriti che mi permettevano di vedere senza essere visto da nessuno.

Ero molto curioso di sapere che cosa fosse quell'ufficetto in un luogo cos poco adatto. Dall'alto, spiando attraverso la breccia, potevo, non visto, vedere e udire quello che avveniva nella stanza. Dai discorsi e accenni uditi, potei capire le seguenti cose: 1) la fortezza, per essere stata teatro del feroce assedio a cui ho accennato, e d'un'epica resistenza, era stata dichiarata monumento nazionale e veniva volutamente conservata nello stato in cui l'avevano ridotta i bombardamenti; 2) quella stanza, antico corpo di guardia, era stata adibita a ufficetto del conservatore della fortezzamonumento, il quale era per l'appunto il signore seduto al tavolo e che udii chiamarsi cavalier Zorapide; 3) nell'ala adiacente alla stanza era stato ricavato un appartamento, in cui viveva questo importante personaggio, con la famiglia. Dall'alto potevo vedere il cavalier Zorapide di spalle, seduto al suo tavolo di lavoro. Dico di lavoro, ma dovrei dire di riposo. Perch, per parecchio tempo, non vidi il suo occupante altro che con la guancia appoggiata al palmo della mano, e immerso nella muta contemplazione delle sue carte, su cui di quando in quando scarabocchiava qualche cosa, che poi cancellava, per scarabocchiare qualche altra cosa; oppure sonnecchiava, o stava con lo sguardo fisso nel vuoto. A meno che il suo lavoro non consistesse in questo. Non era un grande spettacolo, ma vidi anche pi d'una volta entrare o uscire sua moglie, e questa era una vista migliore, in quanto si trattava d'una giovine signora piuttosto graziosa, a nome Virginia, che qualche volta aveva in braccio il suo bimbo poppante. Ora non dovete aspettarvi ch'io sia stato scoperto nel mio nascondiglio e che ne siano seguite complicazioni pi o meno drammatiche, e nemmeno dovete sperare in sviluppi boccacceschi. Niente di tutto questo. Alla fine del mio soggiorno clandestino, che non dur pi di due giorni, potei tranquillamente andarmene e nessuno mai sospett nemmeno lontanamente che io ero stato l. Ma mi lusingo ugualmente che quello a cui assistei e che m'accingo a riferirvi minuziosamente presenti qualche interesse. Per un paio d'ore la scena fu sempre la stessa: il conservatore seduto al tavolo davanti alle sudate carte; la moglie che usciva dall'appartamento con o senza il bimbo in braccio e veniva nel corpo di guardia, se aveva qualcosa da dire al marito; o lo traversava, per uscire dal forte, o rientrare. Ogni tanto vedevo anche un inserviente factotum, che udii chiamarsi Raimondo, il quale pure traversava l'ufficio per uscire o rientrare. Perch la stanza era di passaggio. Ve la descrivo: un finestrone in fondo; a destra di me che guardavo, la porta che dava all'esterno; a sinistra, cio di fronte a quella, una porta che immetteva nel resto della fortezza, e una che dava nell'interno dell'appartamento del conservatore e famiglia. Non c'erano altre uscite o entrate, nella fortezza, salvo le brecce di cui ho parlato, come quella di cui m'ero servito io. Per conseguenza, tutti quelli che entravano o uscivano, dovevano per forza passare attraverso l'ex corpo di guardia, e quindi, per il momento, sotto i miei occhi. Vidi cos che, a visitare la fortezza, sotto la guida di ciceroni autorizzati, venivano carovane di turisti, in torpedoni, automobili, e anche mediante un piccolo tram, che la collegava con la prossima cittadina, distante pochi chilometri. La notte precedente, io ero capitato dalla parte posteriore della fortezza, e quindi non m'ero reso conto subito della faccenda, e avevo avuto della fortezza un'impressione sinistra. Dalla parte anteriore, come potei constatare in seguito, la scena era del tutto diversa. Direi perfino ridente. Specie nelle giornate di sole, lo spiazzo davanti alla fortezza si

popolava di torpedoni turistici fermi e vuoti, segno che gli occupanti stavano procedendo alla visita. Attorno ad ogni auto in arrivo piombava immediatamente un moscaio di ragazzini cenciosi, che assordavano i nuovi venuti domandando se volevano visitare la fortezza e offrendosi di sorvegliare le macchine; o, sperando di guadagnarsi pochi soldi, ronzavano attorno a quelle in sosta lungo la strada, dove cartelli e frecce indicavano la via della fortezza. Davanti alla quale c'era un cimitero di guerra con le sue file di croci tutte uguali, bianche. Poco lontano c'erano trattorie affollate e festose. Per molti, forse per tutti, la visita alla fortezza che era stata teatro d'una tragedia di cui si vedevano ancora le testimonianze intatte, altro non era, oramai, che il pretesto per una gita domenicale, con relativo pranzo sotto il sole. Tutto questo a me giungeva nuovo, non tanto perch forestiero, quanto per il mio gi lodato vivere fra le nuvole. Perch pare che visitatori ne venissero anche dall'estero, e parecchi. Nel mio osservatorio, da discorsi e da vari indizi venni anche a sapere che una volta all'anno si celebravano, con intervento di autorit, cerimonie commemorative della resistenza e, in particolare, di un eroico e glorioso episodio di essa, del quale cadeva l'anniversario; che in quest'occasione il generale Fulcs, che aveva comandato la fortezza al tempo dell'assedio, veniva con la famiglia per presenziare alle celebrazioni, ed essendo la vicina citt fornita di alberghetti non troppo confortevoli, per risparmiare al generale, ormai vecchio, disagi e spostamenti, egli e la sua famiglia venivano ospitati in casa del conservatore. Seppi infine che gli ospiti erano attesi da un momento all'altro, essendo l'indomani il giorno delle celebrazioni, come potetti arguire, oltre che dal crescente nervosismo del cavalier Zorapide, anche dai preparativi, dai colpi di martello che s'udivano nel cortile, e soprattutto dal fatto che lo stesso conservatore l'annunzi ai turisti, precisando che per quel giorno erano sospese le visite alla fortezza. Circa il generale Fulcs, udii un dialoghetto fra due turisti, che qui trascrivo: "Questa figura leggendaria, di proporzioni euripidee". "Caso mai, eschilee." "Euripidee. Sotto il segno della sventura. La fatalit, le stelle." "No, no, era ormai come un pazzo, reso feroce dall'assedio. Era come un cinghiale circondato da tutte le parti, che ormai sbranerebbe tutti." Udii allontanarsi le voci, che ripetevano: "Proporzioni euripidee...", "Caso mai, eschilee...", "Euripidee...". Basta, la monotonia di quello a cui assistei per alcune ore in questo lontano angolo di mondo, fu rotta verso la notte dal rombo d'un motore d'automobile, il quale m'avvert che arrivava qualcuno. Raggiunsi il mio posto d'osservazione e vidi entrare il conservatore Zorapide e il custode e inserviente Raimondo, con valigie che deposero sul pavimento. Proprio come in una commedia, quando stanno arrivando dei personaggi attesi, i quali metteranno in moto la macchina della vicenda. Subito dopo, mentre il conservatore diceva: "S'accomodi, eccellenza!", e dall'interno, attratta dalle voci, accorreva sua moglie, intuii ch'era arrivato il generale Fulcs. Figurarsi con quanta curiosit aspettavo di vedere questo terribile personaggio di proporzioni eschilee, o quantomeno euripidee; e con quanta sorpresa vidi entrare, al braccio d'un'anziana signora vestita di nero, un vecchiolino incerto e tremolante, avvolto in sciarpe, con qualche rara ciocca di capelli bianchi che spuntava di sotto il cappello, e che quasi non si reggeva in piedi e parlava, ma molto di

rado, con una vocina tremula, in falsetto. L'anziana signora era sua moglie. Seguiva una vecchia in costume paesano, che doveva essere un'antica balia e che portava in braccio un poppante. Chiudeva la marcia una giovine signora in abito da villeggiante in montagna, con scarponi, bastone a puntale, pantaloni e maglione, che appresi essere la figlia del generale e la mamma del poppante. Ebbi l'impressione che la fortezza e le celebrazioni nazionali fossero una specie di fatto domestico, per la famiglia del generale. Il tempo d'uno scambio di saluti con la moglie del conservatore, e li vidi tutti ritirarsi nell'interno dell'appartamento. Lo spettacolo, per me, non doveva cominciare che il giorno dopo, e appunto al giorno dopo passiamo subito, con un salto di tempo non soltanto consueto nell'arte del narrare, ma in questo caso pi che legittimo, dato che di notte non avvenne assolutamente nulla. Di buon mattino dunque raggiunsi, ai primi segni di vita del vicino appartamento, il mio osservatorio e mi misi in vedetta. E di quel che vidi e udii dar ora un fedele e minuzioso resoconto, come la memoria l'ha registrato; fin da ora prendendo congedo dal lettore, poich di me non si parler pi, preferendo io a questo punto lasciare la parola ai personaggi, cos come li vidi e udii, nel breve spazio e nel tempo che li ebbi sott'occhio. II "Bene, bene, bene" disse il cavalier Zorapide stropicciandosi vigorosamente le mani. Dalla porta dell'appartamento si affacci la testa arruffata e ancora insonnolita di sua moglie. "Zorapide!" chiam con voce soffocata. "Che c'?" fece l'uomo, voltandosi. "Parla piano!" "Dormono ancora?" "S. Che tempo fa?" Zorapide si stacc dalla finestra e and a consultare il termometro appeso a una parete dell'ufficio. "Bel tempo" disse. "Avremo un raduno spettacoloso." "La figlia del generale m'ha pregato di svegliarla presto, perch vuol portar fuori il bambino." Zorapide fece scrocchiare le nocche. "Avremo un raduno spettacoloso" ripet. E a bassa voce, tra s, mentre la moglie si ritirava: "Per fortuna, cpita una volta all'anno". La casa si svegliava. Dalla porta che immetteva nella fortezza, venne fuori l'inserviente, che portava a fatica, sulle braccia, un testone di bronzo. "Oh," fece Zorapide, disgustato, "sempre questo capoccione tra i piedi. Ormai c' il monumento, che c'entra il capoccione?" "La moglie del generale m'ha detto di metterlo sulla porta della fortezza, perch tutti possano vederlo." "Quando te l'ha detto?" "Ieri sera. Appena sono arrivati. Ha visto il testone nel sottoscala, s' arrabbiata e m'ha detto di metterlo fuori. Perch tutti lo vedano." "E cos finisca sulla testa di qualcuno. Magari di qualche autorit. Riportalo indietro. E questo?" Dall'interno della fortezza era venuto fuori un operaio che spingeva una carriola con macerie varie, e si dirigeva verso l'uscita. "Dove porta questa roba?" domand Zorapide a Raimondo, che s'avviava a riportare il testone di bronzo. "Ho fatto un po'"di pulizie," spieg Raimondo "qui non si puliva da anni. Ho spazzato i calcinacci, ho messo dei teli ai soffitti

sfondati, almeno per riparare le autorit in caso di pioggia." "Ah," fece il conservatore "e che altro hai fatto?" "Ho tolto quegli stracci marci che erano nei sotterranei. Direttore: cadevano a pezzi. Ho nascosto quegli arnesi vecchi, arrugginiti." "Bravo Raimondo. Adesso devi fare ancora una cosa." "Dica, direttore." "Rimettere i calcinacci dov'erano, togliere i teli dai soffitti sfondati e rimettere a posto gli stracci e gli arnesi arrugginiti." "Ma..." "Pezzo d'asino, non sai che quei calcinacci sono sacri? Che quegli stracci marci sono dei pagliericci storici? Che quegli arnesi sono serviti per le operazioni chirurgiche?" Trasal, come per un dubbio improvviso. "Oh, dico, la motocicletta?" "Quella" disse Raimondo in tono rassicurante "l'ho portata in garage. Ma completamente inservibile. Non la vorr nemmeno lo sfasciavetture." "Disgraziato!" ringhi Zorapide. "Quella era servita per fare il pane." "Il pane con la motocicletta?" fece Raimondo, sbalordito. "S, proprio. Non hai mai visto fare il pane con la motocicletta?" Raimondo era sempre pi sbalordito. "No" balbett. "Ma come? Eri con gli assediati, te ne vanti, e non vedesti come facevano il pane?" "Non ci si vedeva. Mancava la luce elettrica." "Lo facevano con la motocicletta." "Per questo era cos cattivo. Del resto non si vedeva nemmeno il pane. Ma questo non per mancanza di luce, ma per mancanza di farina." "Basta! Chi t'ha detto di togliere di mezzo la motocicletta?" "La figlia del generale." "E dgli. La moglie del generale, la figlia del generale. Non hai preso ordini anche dalla serva del generale, per caso?" "No. La serva non mi ha detto niente. Quella non parla mai." "Qui comando io! Il generale, la moglie, la figlia, sono ospiti per questa giornata. Perch il generale non vuole andare in albergo. Ma gli ordini li devi prendere da me." "La figlia m'aveva detto di fare un po'"di pulizia." "T'avr detto di far pulizia nell'appartamento, e non in tutta la fortezza. Qui non si deve toccare niente. V a rimettere a posto immediatamente questa roba. Bada: tutto dev'essere come al tempo dell'assedio, se no ti licenzio." Dall'esterno s'ud il chicchirich d'un gallo. "E leva le galline dal palco delle autorit!" url Zorapide. "Direttore," fece Raimondo, ch'era rimasto sempre col testone in braccio, "questo pesa. Dove lo devo mettere?" "Mettilo dove ti pare. Portalo in cantina. Basta che lo levi di mezzo. Non lo voglio pi vedere. Chiaro?" Raimondo fece dietrofront e usc dalla parte dond'era venuto, seguito dall'operaio con la carriola. "Guarda che roba!" borbott Zorapide. "Sto sgobbando da quindici giorni, e quest'animale vuol mandarmi tutto a male proprio oggi." "Ma Zorapide," esclam, entrando a precipizio, la moglie di Zorapide "sei impazzito? Mandi il testone in cantina?" "La generalessa vuol metterlo sulla porta della fortezza. Pu finire in testa a qualcuno." "Non una buona ragione per mandarlo in cantina. Aspetta almeno stasera, che siano partiti." "E intanto dove lo metto?"

"Lasciami pensare" mormor la donna concentrandosi. "Signora," disse Raimondo, che l'aveva seguita col testone, "questo pesa." "Ma s," fece la donna "mettetelo nel corridoio, sulla colonnina. E" il posto migliore." "E va bene," disse Zorapide a Raimondo "mettilo nel corridoio." Mentre Raimondo ripartiva col testone, il conservatore si volse alla donna. "A proposito, Virginia," disse "t'ho detto e ripetuto mille volte che abbiamo tutto l'anno per fare il comodo nostro. Che almeno un giorno all'anno le galline stieno chiuse. Lo Stato non mi paga uno stipendio perch si faccia il pollaio nel monumento nazionale." "E dove le metto?" fece la donna. "In salotto dorme la figlia del generale." "E vuoi mettere le galline in salotto?" "Nel sacrario non possibile. Oggi vengono le autorit." "Mettile nella nostra stanza, per il momento. Cos il generale vedr che ci sacrifichiamo. Stasera, quando tutti saranno andati via, le rimetterai sul palco delle autorit." "Che sconquasso, con questa cerimonia! Non vedo l'ora che sia finita. Ma taci, c' la figlia del generale." Entr la giovane signora, vestita da villeggiante in montagna, con scarponi, bastone a puntale, pantaloni e maglione, seguita da Raimondo col testone. "Cavalier Zorapide," disse, un po'"alterata, "no, non ci siamo. Avete detto a Raimondo di mettere il busto in corridoio, sulla colonnina a tortiglione, ma pu cadere. Io ho un bambino e me lo ammazza." Zorapide s'era prontamente alzato. "Riverisco, signora Anna" disse. "La signora mamma voleva metterlo sulla porta della fortezza, ma poteva cadere e accoppare qualcuno." "Ma anche in corridoio pericoloso." "E dove posso metterlo?" "Dove vi pare. Basta che non stia l. Mettetelo nella stanza di mia madre. Sar contentissima d'averlo sott'occhio." Zorapide si volse a Raimondo: "E va bene, quando il generale e la signora vengono fuori, porterai il busto nella loro camera". Sospirando, Raimondo torn di nuovo nell'interno dell'appartamento, quasi scontrandosi sulla porta con Virginia, che tornava col suo bimbo in braccio e che: "Zorapide," disse "io e la signora Anna portiamo un po'"fuori i bambini." "Beate voi che potete farlo!" esclam Zorapide. "Io sono inchiodato ai miei doveri." "Lo immagino," disse la signora Anna "specie di questa giornata." "Ministri, generali, autorit, debbo far fronte a tutti io." "Quando si una persona importante." "Indegnamente, signora. Ma altri due giorni di questa vita, e sono spacciato." S'udirono colpi di martello provenienti dal cortile. "Sente?" fece il conservatore. "Stanno montando il palco delle autorit. Com' possibile concentrarsi, lavorare con questo fracasso? Quest'anno poi, abbiamo la cerimonia del perdono." "Gi" disse Anna. "Una bella pretesa, no? Uno fa fuori un ragazzo innocente, e dopo quindici anni gli viene il rimorso, vuol essere perdonato. Molto comodo." "Ma sar sincero?" "Che cosa?" "Il pentimento."

"Su questo non c' dubbio" disse Anna. "S' occupato di tutte le pratiche mio marito e assicura che il pentimento sincero." "Ma gi," fece Zorapide "come mai il suo signor marito quest'anno non venuto?" "E" occupato altrove" disse Anna, rabbuiandosi. "Lui sempre in viaggio." "Sar una cosa commovente, la cerimonia del perdono" osserv Virginia. "Per me," disse Zorapide "finora, soprattutto una cosa faticosa." "E sar perdonato, il comandante Kapel?" domand Virginia. "Vedremo" fece Zorapide, con sufficienza. "Vedremo se sapr meritare il perdono." "Ma no" disse Anna. "E" gi tutto stabilito. Mio marito s' battuto come un leone per convincere mio padre. Ha dovuto fare parecchi viaggi." Si volse a Zorapide. "Non occorrer," disse ridendo "che lei faccia da paciere." Anche Virginia si mise a ridere. "Tu non hai proprio niente da fare," disse "in questa faccenda." "Come conservatore della fortezza, credo che non abbiate mai troppo da fare" osserv Anna. "Ma signora," fece Zorapide "credete che sia una cosa facile conservare una fortezza ridotta in queste condizioni?" "Perch? Che dovete fare?" "Lasciare tutto com'." "E quindi non dovete fare niente, in sostanza." Entr la vecchia in costume paesano con un altro poppante in braccio. "Ecco il suo bambino" disse Virginia alla figlia del generale. Mentre Zorapide tornava al tavolo, le due donne, seguite dalla balia, s'avviarono verso l'uscita, riprendendo una conversazione interrotta. "Le stavo dicendo," disse Virginia "che il mio ha avuto uno sfogo..." "Ah, non vuol dire." "Virginia!" chiam Zorapide. E fece cenno alla moglie d'avvicinarsi. "Un poeta antico di cinque lettere" le disse a bassa voce. Virginia stette un po'"a pensare. Poi: "Zorapide, lo sai, non voglio affaticarmi il cervello" disse. Raggiunse la figlia del generale e uscirono insieme. "Sta arrivando il generale!" disse concitato Raimondo, entrando con un vassoio coperto di tazze e bricchi, che depose sul tavolo. Zorapide s'alz precipitosamente, facendo finire nel cassetto le carte che aveva davanti e s'irrigid sull'attenti, mentre sorretto sottobraccio dalla moglie, l'anziana signora in nero, apparve sulla porta un vecchiolino incerto e tremolante, in veste da camera, che quasi non si reggeva in piedi. "La colazione" disse additando il vassoio. "Cavalier Zorapide" fece la donna in un tono che parve far tremare le mura della fortezza. Senza alzare il capo, Zorapide addit il vassoio sul tavolo: "Spero sia di loro gradimento". "Cavalier Zorapide," ripet la donna a denti stretti "avevo detto ieri sera a Raimondo di mettere il busto sulla porta della fortezza." Sempre sull'attenti e fissando il pavimento, il conservatore tir il capo nelle spalle, come una tartaruga, aspettando la bufera. "Voi avete dato un contrordine" continu la donna, gelida. "Eccellenza, ho pensato che nella camera le avrebbe fatto piacere." Tacque, sentendosi addosso lo sguardo impassibile della donna, la

guard supplice e subito riabbass la testa, confusetto, rinunziando a ulteriori spiegazioni. "Lo farete mettere sulla porta della fortezza" concluse la generalessa, gelida. Il conservatore si decise ad alzare gli occhi dal pavimento. "Signora," balbett "sulla porta potrebbe cadere, si ammacca, un peccato." "Lo sistemerete in modo che non caschi" disse seccamente la generalessa. "Va bene. Andiamo, Raimondo." Zorapide si fece da parte per lasciare il passo ai due, che erano rimasti sulla porta, e poi usc con Raimondo, il quale era palesemente contrariato di dover spostare di nuovo il pesante busto di bronzo. III Sempre sorretto dalla moglie, il generale a passettini incerti raggiunse il tavolo e prese posto davanti alla colazione. "Che ha detto?" domand con una vocina tremula, in falsetto, svolgendo il tovagliolo. La donna alz gli occhi al cielo. "Anche sordo" disse. "E adesso c' diventato. Quando non serve pi a niente. Almeno fosse stato sordo allora. Era tanto di guadagnato per tutti." "Come?" domand il generale. "Ha detto che fa mettere il busto fuori della fortezza." "E della cerimonia che ha detto?" "Tu ti preoccupi della cerimonia. Beato te. Beato te." Il generale la guard come un cane frustato. Rimise sul piatto la fetta di pane imburrato che stava per addentare. "Incominciamo la giornata, Matilde" disse. "Ti prego." "Disgraziato!" ringhi la donna. "Ma che potevo fare?" piagnucol lui in tono supplichevole e quasi scusandosi d'una colpa. "Non dovevi rispondere al telefono. Ecco quello che dovevi fare." "E dgli! Come potevo sapere chi era al telefono?" "E allora," insist lei, con astio, "quando hai saputo, dovevi togliere immediatamente la comunicazione." Il generale scosse il capo. "Avrebbe richiamato" disse, desolatamente. "Dovevi tenere il telefono staccato" fece lei. "Lo faccio tante volte io, quando non voglio essere disturbata. Lo fai anche tu, quando ti chiudi in camera per la siesta." "Figurarsi" sospir il generale. "Il telefono doveva restare staccato definitivamente." "E poi non dovevi farti riconoscere." La donna passeggiava avanti e indietro, cupa. Il generale la seguiva a passettini tremolanti, come un cagnolino. "Matilde," gemeva "ti prego, capisco il tuo stato d'animo, ma un po' di comprensione. Eravamo ridotti tutti come spettri cenciosi. Insieme con la guarnigione, s'erano rifugiati nella fortezza le donne, i bambini, i vecchi, gl'invalidi. Vivevamo da mesi nei sotterranei bui, quasi senz'armi, martellati dalle bombe che avevano sfondato i tetti, i pavimenti, i sotterranei. Nelle stanze superiori, tra i calcinacci e le voragini, attraverso il tetto sfondato si vedeva il cielo." La moglie si volt inviperita, facendogli fare un salto per lo spavento. "E che volevi vedere?" sibil. "La terra? E" logico che, se era sfondato il tetto, si vedeva il cielo." "Ti prego," supplic il generale "c' gente."

Il cavalier Zorapide rientrava, seguito da Raimondo col testone in braccio. "Allora," disse "lo mettiamo sulla porta della fortezza. Per, guardi, signora, che fuori c' anche il monumento. Questo sar un doppione." "Il monumento uno sgorbio" fece la generalessa. "Non somiglia affatto. Questo pure non somiglia gran che, ma un po'"almeno ricorda. Perci voglio che lo vedano tutti." "E va bene" fece Zorapide. "Andiamo, Raimondo." "Che cretino!" ringhi la generalessa. "Matilde!" supplic il generale. "Sembra che dici a me." "E dico proprio a te." "Ah, scusa, credevo che parlassi del cavalier Zorapide." "Dovevi alterare la voce" riprese la donna. "Anche questo lo faccio io tante volte, lo fanno tutti." "Matilde! C'era una confusione! E poi, te l'ho detto mille volte: quest'idea, in quel momento, purtroppo non mi venne. Che vuoi farci? Non mi pass nemmeno per la testa." "E gi. Avevi soltanto l'idea di far l'eroe, tu. Pensavi alla storia. Pensavi alla gloria." "Ti prego. Ti prego. Tu non hai idea dello stato d'animo in cui si viveva e che toglieva ogni possibilit di riflessione. Poi, ripensandoci a mente fredda, ho visto anch'io che c'erano altre possibilit. Avrei potuto forse traccheggiare, trattare. E soprattutto non mi venne l'idea pi semplice: avrei potuto spararmi. Ma in quel momento mancava la calma per qualsiasi decisione ponderata. Tutti son buoni, dopo, a criticare. E" il senno di poi. Ma era una vita assurda, pazzesca, quella che facevamo qua dentro." "Lo so, lo so, lo sanno tutti, nei testi scolastici, lo raccontano i ciceroni ai turisti che vengono a visitare le macerie. Perch diventata una meta turistica. Nei giorni di festa s'incrociano le carovane che hanno finito il giro, con quelle che lo cominciano, con quelle che sono a mezza strada, e si sentono da tutte le parti le stesse frasi nei medesimi punti: "Qui c'era l'unico cannone... Qui cadde una bomba...". La so a memoria, la spiegazione." "Lasciami dire. Avr diritto di difendermi, no? Di giustificare il mio operato." "Il tuo operato" sibil la donna. "Non farci ridere. L'assassinio di tuo figlio, ecco qual stato il tuo operato." Il generale emise un gemito: "Vivevamo tutti nei sotterranei da mesi". "Un ragazzo di dodici anni" fece la moglie, assorta, con voce roca. "Un bambino!" Rientr il cavalier Zorapide. "Tutto fatto" disse. "Ora, se permettono, vorrei far sentire gli appunti che ho buttato gi per il discorso del signor ministro." Estrasse alcune carte dal cassetto e cominci a leggere: ""Dormitorio delle donne. Nel buio s'intravedevano sul pavimento umido dei pagliericci mezzi vuoti o qualche straccio, qualche telo di sacco, che facevano da letti"". ""Luce non c'era,"" interloqu Matilde, cantilenando come per ripetere una filastrocca a memoria, ""vissero al buio notte e giorno per tutta la durata dell'assedio." Lo so a memoria." Zorapide s'era interrotto, un po'"sconcertato. "E" il testo della guida" disse. E riprese a leggere: ""Un altro sotterraneo umido faceva da infermeria, con un tavolino greggio e una lucernetta ad olio come tavolo operatorio. Le operazioni chirurgiche si facevano con coltelli da cucina e con arnesi da falegname e da fabbroferraio. Un'inferriata in alto, da

carcere, dava un po'"di luce durante il giorno. Per la notte, lo stoppino fumoso della lucernetta..."". "Avanti, avanti," fece Matilde, rifacendogli il verso, "ci sono state tante partorienti, tante nascite, tante morti." "Appunto" fece Zorapide. E riprese: ""S'immagini l'orribile vita, il lamento dei feriti, il vagito dei neonati. Pure, gli assediati avevano finito per abituarsi. C'erano amori, gelosie, dolori. A un certo punto, nella fortezza, erano diventati tutti come una famiglia, e forse per qualcuno sar perfino diventata a suo modo piacevole, quella vita tutti assieme, nelle lunghe sere invernali, mentre fuori infuriava la battaglia, o la bufera. Forse, qualcuno di quelli che li vissero, ricorder perfino con dolcezza quei giorni, tanta la suggestione dei ricordi..."". "Ma che sciocchezze state dicendo?" scatt la generalessa "che questo sentimentalismo fuori luogo?" "E" il testo preciso della guida" fece Zorapide. "Non ho aggiunto n tolto una virgola." Mostr dei foglietti a stampa. "Ah, avete fatto un bello sforzo a preparare gli appunti. Avete ritagliato il pezzo della guida paro paro" esclam Matilde. "Questo, il ministro poteva farlo anche da s." Zorapide apr le braccia come per scusarsi e poi curv il capo sui foglietti, cercando il punto dove riprendere la lettura. "Disgraziato!" fece Matilde, assorta. Il generale indic prima s e poi Zorapide, interrogativamente, come per dire: "Io o lui?". Matilde punt ripetutamente l'indice verso il generale, per dire: "Tu, tu, tu!". Il generale fece gesti tranquillizzanti, come per dire: "Ah, va bene, allora". Zorapide, trovato il punto, riprese, con impeto: ""E la cucina!" lesse. "Quale ironia, se si pensa che non c'era niente, o quasi, da cucinare! Come utensili, non c'erano che una motocicletta, il cui motore serviva a far ruotare una piccola mola per macinare il grano, e un coltello fatto con una scheggia d'obice. Vedi figura uno..."". S'interruppe un po'"stupito e disorientato per l'interpolazione. "Ah, questo non c'entra" disse. "Dimenticate il pi importante," fece la generalessa, ironica, "e poi c'era la stanza del telefono." "Questo si sa," disse il conservatore "c' il disco." "Gi, gi, c' il disco. Oh. Guardate che anche quest'anno si deve far sentire il disco. Lo esigo." Zorapide guard imbarazzato il generale. "Veramente," disse "col suo signor genero s'era pensato che quest'anno non era opportuno far sentire il disco, dato che viene il comandante Kapel per la cerimonia del perdono." "Il mio signor genero non c'entra in questo" disse la generalessa. "Proprio per questo, invece, si deve far andare il disco. Deve proprio sentirlo, quella belva." "Matilde!" implor il generale. "Signora," fece Zorapide "siccome si pensava di non farlo sentire, non ho ancora provveduto a mettere a posto l'altoparlante." "Provvedete. E farete una prova per farci sentire se funziona bene." "Non dubiti, signora. Ci vorr un po'"di tempo per mettere a posto l'impianto." "Avete tutto il tempo che volete." Zorapide s'inchin e usc. Matilde si volse al generale.

"Che imbecille!" esclam. "Io o lui?" domand il generale. "Tu, tu!" "Ah, va bene. Credevo che parlassi di lui. Tu non precisi mai." "Non poteva strappare i fili, no. Aveva bisogno del telefono, il disgraziato. Crepava, se non aveva il telefono. Chi sa che dovevi fare del telefono. A chi dovevi telefonare. Doveva fare le conversazioni!" "Matilde, tu queste cose non le sai, ma in guerra il telefono cosa di prima necessit." "Gi, perch Giulio Cesare aveva il telefono. Napoleone aveva il telefono." "S'intende. Avevano un loro telefono. Comunque, adesso esiste il telefono e serve." "S' visto la bella telefonata a cui t' servito. Le parole sono trascritte in tutte le lingue sulle pareti, per i turisti, per i visitatori. Perch tutti ammirino il padre che fa assassinare il figlio. La telefonata fu registrata, c' il disco." "Matilde, ti supplico." "Quando si vuole non rispondere al telefono, ci si riesce. Io ci riesco." "E di. Ricomincia. La comunicazione l'avevano gi fatta, non potevo ignorarla." "E questa stata l'imbecillit tua. Di lasciarti fare la comunicazione. Come un babbeo." Il generale, lamentoso: "Ma che cosa vuoi da me? Non mi tormentare sempre. Credevo che dopo poco sarei morto anch'io". "E questo che risolveva? Era una ragione per far ammazzare tuo figlio?" "Di te non avevo notizie." "Questa fu la disgrazia. Che io non ci fossi. Se ci fossi stata io, le cose sarebbero andate molto diversamente." "Ma fammi il piacere. Arrendersi sarebbe stato anche un problema, in quel caso. Poich c'era stata la telefonata, non era pi una normale vicenda di guerra, ma un fatto personale: per aver anteposto il sentimento di padre al dovere di soldato, sarei rimasto nella storia con un marchio d'infamia." "Ecco, quello che ti premeva: la storia! L'onore di soldato. La vita di tuo figlio non contava niente, no?" Il generale aveva lo sguardo fisso nel vuoto, dolorosamente. "Talvolta," disse con voce sorda, "l'eroismo non alternativa d'un'azione normale, ma d'una vilt. Non si ha una via di mezzo. O eroe, o traditore. L'eroismo finisce per essere imposto dalla necessit di non essere un traditore. E in questo caso c' anche minor merito. Altro essere eroe quando, se non lo si fosse, si resterebbe un fesso qualsiasi, senza infamia o senza lode. Altro esserlo quando, se non lo si , si sarebbe un traditore." "Comoda scusa." "No. Se Pietro Micca..." "Me ne infischio di Pietro Micca." "Lasciami dire. Se Pietro Micca non avesse fatto saltare la polveriera col risultato di salvar la patria immolando se stesso, non sarebbe stato un eroe, ma non sarebbe stato nemmeno un traditore n un vile." "Sarebbe stato un fesso qualunque." "Se Enrico Toti, morente, non avesse scagliato contro il nemico la propria stampella, non sarebbe stato un eroe, ma non sarebbe stato nemmeno un traditore n un vile." "Sarebbe stato un fesso qualunque."

"Nessuno l'obbligava." "Mentre tu eri obbligato." "No, ma..." "Ma non volevi essere un fesso qualunque." "Io sarei stato un traditore e un vile. Non ho scelto l'eroismo per vanit, ma per non essere un traditore. Il mio non fu un lusso, ma una necessit. Non avevo altra scelta. Eroe, non per dar lustro al mio nome, ma per evitargli infamia. Oltre che per cercare di vincere la guerra, beninteso, di salvare la patria." "A spese di tuo figlio. E" comodo far l'eroe sulla pelle degli altri." "E non conti per niente il mio sentimento di padre? Il dramma del padre che, per amor del dovere, lascia uccidere suo figlio?" "Per amor del dovere? Ma per amor di te stesso! Altrimenti, potevi ucciderti tu." "Con questo ragionamento, anche Abramo e Isacco..." "Tira in ballo anche Abramo e Isacco, adesso." "Certo. Abramo poteva uccidersi, cos evitava di ubbidire e di sacrificare il figlio." "E avrebbe fatto molto bene." "Non mi venne in mente, di uccidermi." "E gi. E" pi comodo far uccidere gli altri." "Ma vuole entrarti in testa che non potevo arrendermi?" "E chi ti dice che dovevi arrenderti?" Il generale quasi piangeva. "E che potevo fare?" supplic. "Mille cose" ans sua moglie. "Mille cose pi intelligenti che mandare tuo figlio alla morte. Intanto, potevi far rispondere che non c'eri." "Ma se eravamo assediati? Ti pare possibile che la fortezza assediata e il generale che la comanda esce a far due passi?" "E non potevi esser crepato? Che sapevano, fuori, di quello che succedeva qua dentro? In questo caso, chi potevano ricattare? Che sarebbe importato, agli altri assediati nella fortezza, se minacciavano d'uccidere tuo figlio?" "Ma ormai avevano gi sentito la mia voce al telefono." "E non c'era modo di salvare tuo figlio anche in questo caso?" "Eccoci. Eccoci alle tue idee sballate. Volevo dire che ancora non ne fosse venuta fuori una." "Non sono idee sballate. Dal momento che avevi avuto la dabbenaggine di rispondere al telefono, appena sentito di che cosa si trattava, invece di dire s o no, avresti dovuto non farti intrappolare." "Ma come?" "Ti faccio vedere io che non sono idee sballate. Ricostruiamo la scena." "E va bene" fece il generale, rassegnato. "Ogni giorno ne ha una nuova. Almeno non farti sentire." And a chiudere la porta. "Sentiamo," disse "sentiamo la nuova trovata." IV La generalessa si scost dal marito, addossandosi quasi alla parete di fronte. "Ecco," disse, disponendosi a far la scena, "io sono il telefonista di qui, della fortezza. Squilla il telefono. Driiiin!" Finse di prendere il ricevitore d'un immaginario telefono e di stare in ascolto. Poi copr con la mano l'immaginario ricevitore, come si fa quando non si vuol essere uditi dal lontano interlocutore, e si volse al generale. "Signor generale," disse, alterando la voce per fingersi il

telefonista, e nel tono soffocato d'uno che non vuol farsi udire all'altro capo del filo, " il quartier generale nemico. E" il comandante Kapel in persona, che vuol parlare con lei. Dice che si tratta di cosa d'importanza vitale." Il marito la guardava con aria imbambolata, per capire dove andava a parare. "Avanti!" gli grid lei, stizzita. "Parla! D qualche cosa. Stai l come un salame." "Che debbo dire?" balbett il generale. "Quello che vuoi. Ti lascio carta bianca. Tu sei tu, il generale Fulcs, e hai saputo che il comandante nemico, Kapel, vuole parlarti." "Come quel giorno." "Come quel giorno. Allora, che fai?" Il generale la raggiunse e fece per afferrare l'immaginario ricevitore. "D qua" disse. "Fermo l!" esclam la moglie, afferrandogli la mano. "Ecco il tuo primo errore. Non dovevi rispondere tu." "Poteva essere una comunicazione utile" disse il generale. "E va bene, facevi domandare prima che cosa volevano. O ti fingevi un altro. Cos. Adesso io sono te." La generalessa riport l'immaginario ricevitore all'orecchio, fingendo di telefonare e alterando la voce mascolinamente: "Pronto" disse. "Il generale occupato. Dica a me di che cosa si tratta." Si volse al marito: "Avanti, avanti, parla tu. D tutto quello che vuoi per intrappolarmi. Sei il nemico". Il generale, fingendo di telefonare, e alterando la voce. Con impeto: "No. Voglio lui in persona. E" cosa d'importanza vitale, urgentissima. Dobbiamo parlare con lui. Gli dica che ne va della vita di suo figlio". Si volse alla moglie, con la sua voce normale: "Lo senti? Volevano me in persona. Del resto, inutile fare quest'ipotesi, perch avevo gi risposto. Avr sbagliato, sar stato un babbeo, come dici tu, bench la storia dica il contrario, ma ormai ero al telefono, avevano sentito la mia voce e non c'era altro da fare". "Ah, non c'era altro da fare?" squitt la generalessa. "St a vedere. Sono io, il generale Fulcs al posto tuo, e tu sei il nemico. Guarda se c'era o no altro da fare." Al telefono, alterando la voce come sopra: "Pronto. Sono il generale Fulcs. Dica pure". Al marito: "Parla, parla, vedi se ti riesce d'intrappolarmi". Il generale si concentr, per impersonarsi nel nemico. Poi, alterando la voce: "Generale, abbiamo catturato suo figlio". Matilde, fingendo di telefonare come sopra: "Come? Non si sente niente". Il generale, pi forte: "Abbiamo catturato suo figlio!". Matilde, sempre fingendo di parlare al telefono: "Volete parlare con mio figlio? Non qui". F segno al marito di insistere. E lui: "Ma che parlare! Lo fuciliamo, se non vi arrendete". Matilde come sopra: "Come? Che dite? Pi forte, per favore! Abbiate la bont di parlare pi forte, perch non si sente".

Il generale, a un cenno di sua moglie, che l'esortava a parlare: "Se non v'arrendete, fra mezz'ora fucileremo vostro figlio, che abbiamo catturato". Matilde, ammiccando astutamente al marito; e fingendo come sopra: "Chi che parla? Non si capisce un accidente". Il generale, come sopra, fingendo: "Fuciliamo vostro figlio!". Matilde, serafica: "Non si sente una parola. Che dite? Chi siete?". Il generale, urlando; sempre a un immaginario telefono: "Vostro figlio sar fucilato se non v'arrendete!". Matilde, serafica e trionfante: "Macch. Non s'arriva a sentire un accidente. Ci dev'essere un contatto". Finse di riattaccare l'immaginario telefono e guard il marito con l'aria di dirgli: "Hai visto? Impara!". "Ma con questo che avrei ottenuto?" fece il marito. "Che avresti ottenuto? Avresti ottenuto che cos potevi non arrenderti, e il ragazzo sarebbe stato salvo lo stesso. Perch gli assedianti l'avrebbero tenuto in vita, aspettando di stabilire il contatto con te, per poterti ricattare." "Ma fammi il piacere! T'immagini Abramo che si finge sordo, quando il Signore gli ordina di ammazzare il figlio? "Pronto! Pronto! Signore, parli pi forte. Non ci sento!" E il Signore che se la beve, e rinunzia, aspettando che ad Abramo torni l'udito!" "Che c'entra? Il comandante Kapel non era il Padreterno. Se non fosse riuscito a stabilire il contatto con te, non avrebbe potuto ricattarti." "E non esiste la posta? Non esistono i neutrali? Non esistono mille altri mezzi?" "S, ti mandava una cartolina illustrata! Una raccomandata con ricevuta di ritorno. Ma di questo parleremo poi. Adesso guarda, guarda quello che sarebbe successo nel campo nemico. Adesso io sono il comandante Kapel." Matilde si trasfer presso la parete di fronte, riprese un immaginario telefono e finse di telefonare: "Pronto? Fuciliamo vostro figlio!". Si volse al generale. "Adesso tu sei l'aiutante di campo dell'assediante, e sei ansioso di conoscere l'esito del ricatto. Interrogami." "Per telefono?" "Ma che per telefono! Sei un ufficiale nemico e stai nel campo nemico con me, che sono il suo generale, cio il comandante Kapel. Sei il colonnello Vattelappesca e vuoi sapere che cosa mi ha risposto il generale Fulcs. Hai capito?" "S." "Avanti. Domandami che cosa hai risposto." Il marito, a Matilde: "Che cosa ho risposto?" "Che tu? Che cosa ha risposto il generale Fulcs." E poi, fingendosi il nemico, seccatissima, al comandante Kapel: "Dice che non si sente niente. Maledetto telefono!". E poi, al generale come marito: "Parla, parla. Sei sempre il colonnello, l'aiutante di campo". "Mio?" "No, del comandante Kapel." "Mi fai confondere le idee." Il marito si concentr nello sforzo di raccapezzarsi. "Allora," disse contando sulla punta delle dita "io non sono io, non sono il comandante Kapel, e non sono l'aiutante di campo mio.

Sono l'aiutante di campo del comandante Kapel..." "Colonnello Vattelappesca. E Kapel ti ha detto che non riesce a comunicare con te." "Col suo aiutante di campo?" "Ma no, col generale Fulcs. Con te te. Che dici tu?" "Io generale?" "No, tu colonnello. Che consigli? Dobbiamo rinunciare? O dobbiamo insistere?" "Insistiamo." "Va bene." Matilde finse di telefonare: "Fuciliamo vostro figlio!". F cenno al marito di far la parte. E il marito: "B?". Matilde, fingendosi contrariata, come comandante Kapel, e parlando al marito aiutante di campo: "Niente, non mi sente. E b, bisogna aspettare che la linea funzioni". F cenno al marito di fare la parte e dire qualche cosa. E lui: "Fuciliamo il ragazzo lo stesso". "Quanto sei cretino!" "Ma non stavi parlando all'aiutante di campo?" "S." "Credevo che dicessi a me." "E" lo stesso. Colonnello, quanto siete cretino!" "Perch?" "Il ragazzo prezioso, finch non riusciamo a parlare. Non capisci? Quando l'avessimo fucilato, che otterremmo? Il nemico non avrebbe pi nessuna ragione di arrendersi. Hai capito, adesso? E" l'abbicc di qualsiasi ricatto. Aspettiamo." Matilde fece l'atto di riattaccare il telefono, fingendosi contrariata, scoraggiata, avvilita, come comandante nemico, ma raggiante come madre del ragazzo, in quanto aveva dimostrato che questi avrebbe potuto esser salvato. Il marito la guard interrogativamente. "Chi sono, adesso?" domand timido. "Sei tu. Basta. La dimostrazione finita. Il ragazzo salvo: come volevasi dimostrare." Il marito smise di fingersi aiutante di campo del comandante nemico e torn ad esser se stesso. E, come tale, scosse il capo desolatamente. "Come le fai facili le cose, tu!" disse. "Come le fai semplici! Ma credi che in guerra uno rinunzi cos facilmente a una carta favorevole? Avrebbero fatto riparare la linea. Avrebbero mandato un messo." "E seppure?" disse la moglie. "Tu avevi il vantaggio d'aver saputo gi che cosa voleva, e potevi rifiutarti di riceverlo. E il ragazzo era salvo. La sua vita diventava preziosa, per i nemici, finch non fossero riusciti a stabilire un contatto con te." "Ah, mi rifiutavo di riceverlo, secondo te. Ma avrebbero minacciato di uccidere il ragazzo, se non ricevevo il messo." "Ma secondo me non avrebbero mandato nessun messo, perch per loro era indispensabile farti sentire la voce del ragazzo, perch non avessi dubbi sulla cattura, e perci ci voleva il telefono. Loro volevano che ti arrendessi, e un ricatto funziona finch la minaccia non attuata. Ammazzare il ragazzo, significava privarsi d'un'arma." "In questo caso, tu vuoi dire che il ragazzo fu rovinato dal telefono. Un guasto alla linea l'avrebbe salvato." "Fu rovinato da te. Bastava fingerlo, il guasto. Anche a costo di non diventare un eroe. Prendi la guerra di Troia."

"La guerra di Troia?" fece il generale stupito. "S. Perch io penso notte e giorno a mio figlio. Ho esaminato da tutte le parti la cosa. Chi fece vincere ai greci la guerra di Troia fu Ulisse, ma con un inganno, con un'astuzia, e non con un eroismo. I vari Ettore, Achille, Patroclo e compagnia bella, furono gli eroi, fecero gli eroismi. Grandi, nobili fin che vuoi, ma che non servirono a niente. Anzi, qualche volta furono perfino dannosi. Me li saluti? Se fosse dipeso da loro, con tutti i loro eroismi la guerra sarebbe durata all'infinito. Invece, Ulisse risolse tutto in quattro e quattr'otto, con un inganno." "Ma questo che c'entra col caso mio?" domand il generale, tutto smarrito. "Cos dovevi fare tu." "E come?" "Facevi sapere, o credere, al nemico, che era caduta una bomba sul telefono." "E via!" "E del resto, guarda, avevi un altro mezzo che tagliava la testa al toro e che era basato proprio sul telefono. Guarda. Fingiamo di telefonare. Adesso, io sono te e tu sei il generale nemico che mi ha fatto chiamare al telefono. Io vado all'apparecchio e rispondo." La generalessa prese il posto del marito, mand questo dalla parte opposta, port di nuovo all'orecchio un immaginario telefono. "Pronto" disse, fingendo di telefonare. "Sono il generale Fulcs. Parlate." Al marito: "Sei la belva. Parla. Dimmi che avete catturato mio figlio". V Il generale simulando la telefonata: "Abbiamo catturato vostro figlio. Se non vi arrendete entro mezz'ora, lo fuciliamo". Matilde, all'immaginario telefono, fingendo, emise un rantolo. Indi di un colpo in terra, finse voci confuse, alterando la voce: grida d'allarme, lamenti, richiami di soccorso. Pestando i piedi, finse passi precipitosi di persone che accorrono. Poi, con voce soffocata, ma in modo che si sentisse dall'altra parte dell'immaginario telefono; e alterando ancora la voce, ma in modo diverso da prima: "Il dottore, presto! Il generale non respira". Pestando e stropicciando i piedi e mugolando variamente, finse scalpiccio, parlottio concitato. Indi, ancora al telefono, con voce diversa: "Pronto? Pronto? assassini! Il generale morto. Ce l'avete ammazzato, col vostro ricatto. Gli venuto un accidente. Un infarto. Siamo rimasti senza generale!". La generalessa finse di riattaccare il telefono e apr le braccia, come per dire al marito: Lo vedi? E" tanto semplice. Il generale alz le spalle. "Ma che vuol dire?" disse. "Si chiama il comandante in seconda. Eh, staremmo freschi se la morte del generale dovesse paralizzare le operazioni. L'ufficiale di grado pi alto, che viene dopo di lui, assume il comando, lo sostituisce immediatamente in tutto e per tutto." La generalessa fece un gesto vezzoso, di canzonatorio invito: "E va bene, carino," disse "parla, d tutto quello che credi. Sei la belva. Hai carta bianca." Il generale, imperioso, fingendo di parlare al telefono: "Chiami il comandante in seconda!". La moglie, al marito: "Benissimo. Sono io il comandante e rispondo al ricatto".

All'immaginario telefono: "Guardi, comandante Kapel," e a bassa voce, con odio: "Che il cielo lo stramaledica!" poi, forte: "Se per il figlio del defunto generale Fulcs," (occulti scongiuri del generale Fulcs) "guardi, inutile, ormai. Ci dispiace moltissimo per lui, ci dispiace per il ragazzo, ma non sappiamo cosa farci. Fucilatelo pure. Il generale Fulcs morto, e la guerra la guerra. Non ci arrendiamo". Rise nell'immaginario telefono con un ghigno di trionfo, e riprese l'immaginaria telefonata. "Ah, ah! Adesso dovete catturare mio figlio, cari, se vi riesce. Ma sar un po'"difficile. Io, comandante in seconda, facente funzione di comandante in capo, non ho famiglia. Sono scapolo. Oppure: mio figlio gi morto. L'avete gi ammazzato voi. Colpa vostra. Siete stati troppo precipitosi. Avete avuto fretta. Avete il grilletto facile. Imparate, a sparare con tanta facilit. Un'altra volta, state pi attenti. La guerra continua. Riverisco." La generalessa fece una riverenza canzonatoria all'immaginario telefono e finse di riattaccarlo. Al marito: "St tranquillo, che tuo figlio sarebbe stato salvo. Diventava un qualsiasi prigioniero insignificante". E alludendo al marito: "Invece lui parla, l'imbecille!" (Rifacendogli il verso:) ""Sono io, dica! A sua disposizione! Ai suoi ordini!"". "Matilde, ti scongiuro" supplic il generale. "Eravamo tutti agli estremi, convinti di dover morire fra poco, te l'ho detto, quando il comandante Kapel mi telefon." La moglie non l'ascoltava nemmeno. "E per avvalorare la minaccia," continu, quasi parlando da sola, "lo fanno parlare anche con suo figlio." "Naturalmente" fece il marito. "Perch non pensassi che bleffavano. E" pi che logico." "E gi. Perch anche loro, per quanto feroci e belve, pensavano che non avresti lasciato ucciderlo. Invece, va a rinunziare perfino alla mezz'ora dell'ultimatum. Dopo aver parlato col ragazzo, parla ancora con gli assassini." Rifacendogli il verso; con prosopopea: ""Non necessario darmi mezz'ora per rispondere. La risposta ve la d subito: la fortezza non s'arrende e non s'arrender mai." Senza pensare che in mezz'ora possono succedere tante cose". "Non successe niente" disse il generale, con tristezza. "Comunque," fece lei, amaramente, "era mezz'ora di vita in pi per tuo figlio. E gli hai tolto anche questa. Per un gesto. Per una bravata. Assassino!". Il generale era annichilito, a capo basso. Improvvisamente, dall'altoparlante situato a una parete in alto, s'ud scendere un fruscio, un brontolio, che presto diventarono boati e poi la voce di Zorapide che parve scendere dal cielo: "Pronto, pronto, signor generale, signora, proviamo il disco della telefonata, pronto". Sotto il boato, il generale s'era fatto piccino, con la testa nelle spalle, come stesse per cadergli addosso un masso. Dall'altoparlante s'ud il fruscio del disco e poi le parole della telefonata, ingigantite e come scendessero dall'alto. Matilde ascoltava con lo sguardo sbarrato nel vuoto. S'ud una voce argentina, squillante. "Pap!" La voce profonda del generale, di tanti anni prima: "Figlio mio, sei tu?". "S, sono io, pap." "Hai sentito?" "S. Non cedere, pap."

"No, figlio mio, la fortezza non s'arrende. Dillo ai tuoi assassini. Sii forte. Sii coraggioso. Per la grandezza della patria." "S, pap." "Ti bacio e ti benedico." "Ti bacio, pap, addio!" "Addio, figlio mio." "Addio, pap. Addio anche a mamma. Addio a tutti." Terminata la telefonata, che Matilde aveva ascoltato impietrita, come con una maschera tragica sul volto, il generale, che aveva ascoltato a capo basso, come un colpevole, alz gli occhi timidamente e guard supplice la moglie, quasi temendo ch'ella stesse per inveire contro di lui. "Taci," gem con un fil di voce "vien gente." Matilde gli volt le spalle, brusca, and alla finestra, guardando fuori. Il generale guardava le spalle di lei avvilito, anche lui volto verso la finestra, senza osare d'avvicinarsi. Nel silenzio, s'udirono per qualche minuto i singhiozzi di Matilde, ch'ella cercava di trattenere, quasi rabbiosa, come un mugolo disperato di bestia ferita. Alle spalle dei due, rientrarono dalla passeggiata Virginia, col poppante in braccio, e Anna, la figlia del generale, seguita dalla balia, che portava in braccio il bambino di lei. "No," diceva Virginia ad Anna, proseguendo una conversazione, "quella del mio adesso bella, gialla, consistente." "Anche quella del mio" disse Anna. "C' stato un periodo ch'era un po' troppo liquida." "Non vuol dire. Il mio, per un po'"di tempo, faceva una specie di calce." "Verde?" "Biancoverdastra. Ma secca, quasi. Pareva gesso." "S, s, anche il mio, qualche volta." Virginia alz gli occhi al cielo, estasiata. "Ah, quella di oggi era cos bella!" esclam. E aggiunse, come se cantasse: "Pareva d'oro". A un tratto guard con sospetto il proprio bambino. Arricci un po'' il naso, e scapp dentro ridendo. Squill il telefono sulla scrivania e il generale fece istintivamente per andare a rispondere, ma la moglie lo ferm, autoritaria. "Ah, no, eh?" disse. "Ah, no. Tu non rispondi al telefono. Gi ne hai fatti abbastanza di disastri, col telefono. Non ti basta ancora, no?" Si volse verso l'interno, mentre il generale la guardava con un'aria di vittima. "Cavalier Zorapide," grid "il telefono!" Zorapide arriv di corsa, indaffarato. "Scusi, scusi," disse "stavo dando gli ultimi ritocchi all'impianto dell'altoparlante." Afferr il telefono. "Pronto?" grid. "Qui conservatoria della Fortezza d'Alcantares. Chi parla?" Stette un po'"in ascolto, poi copr con la mano il ricevitore. "E" uno che vuol parlare col generale" disse a Matilde. "Il generale occupato" fece questa seccamente, trattenendo il marito che stava di nuovo avviandosi col suo passettino tremolante, per rispondere. "Fatevi dire di che si tratta." "Il generale occupato in questo momento" strombett Zorapide nel telefono. "Vuol dire a me di che cosa si tratta?" Stette in ascolto con dei: "s... s... s..." e poi riattacc con

un: "D'accordo". "Che voleva?" domand la generalessa. "Dice che cosa riservata. Far un salto qui, perch telefonava da un bar vicino." "Sar un giornalista." "O uno dei soliti falsi ex assediati, che hanno qualche cosa da chiedere al generale." "Parlateci voi" disse Matilde. "Sissignora. Un attimo, quando finisco di mettere a posto l'altoparlante." Il conservatore scapp all'interno della fortezza. "Imbecille" mormor la generalessa. "Matilde!" fece il generale, in tono di blando rimprovero. "Sempre a prendertela con quel pover uomo." "Ma che pover uomo! Dico a te." "Ah, bene, bene" fece lui in tono conciliante. "Credevo." Guard l'orologio. "Credo che dovremmo cominciare a vestirci per la cerimonia" disse. "Comincia tu," fece lei "che sei lungo come la quaresima. Io vengo poi." Il generale non domandava di meglio che ritirarsi, e rientr nell'appartamento col suo passettino tremolante. Matilde si volse alla figlia, che stava ritoccandosi il trucco davanti alla finestra. "La cerimonia degli assassini che oggi fanno pace!" disse. Vide che la sofisticata figliola continuava ad occuparsi del proprio trucco e aggiunse amara: "Ma gi, a te tutto questo non interessa. Tu sei qui da turista, pare, e il resto non ti riguarda". "Mamma," fece la giovane signora, sospirando, "ho tanti guai miei. S, capisco, ma a me, che ho il marito in giro con una sgualdrina, nessuno pensa. Le cose di tanti anni fa, s, hanno il loro valore, ma per quest'anima di Dio del mio bambino, nessuno si preoccupa." Mise via lo specchietto del trucco e s'avvi verso l'appartamento. "A proposito," disse "credi che per la cerimonia vada meglio l'abito nero o il tailleur beige?" Visto che la risposta aveva tutta l'aria di non voler venire, scosse il capo e usc. Nella stanza erano rimaste soltanto la generalessa e la vecchia balia che ninnava il poppante con un mugolo. "Tu te lo ricordi, Nicola, quand'era piccolo come questo" le disse la generalessa, con voce infinitamente accorata. "Allora portavi lui in braccio. E adesso lui sta l fuori, sottoterra. Gli hanno fatto il monumento" aggiunse amaramente. La balia, vecchia vecchia, fece un mugolo, curva, a capo basso. "E ti ricordi quando faceva i compiti, d'inverno?" prosegu Matilde. "C'era un silenzio, in casa! Lui al tavolino, con la testa sotto la lampada. La rivedo ancora, quella lampada accesa, la sua testolina, il bianco dei quaderni. Si sentiva il ronfare della stufa, che metteva sonno." La vecchia nutrice faceva segno col capo che s, che s, che anche lei si ricordava. "Erano uno strazio, per lui, i compiti," continu la generalessa, con lo sguardo nel vuoto, come parlando a se stessa, "si riduceva sempre all'ultimo momento, non aveva voglia. Se sapessi che rimorso ho per tutte le volte che l'obbligavo a studiare, lo trattavo male, lo minacciavo." Rimase qualche istante in silenzio, con lo sguardo fisso nel vuoto. "Se avessi saputo come andava a finire," disse con voce sorda "gli avrei detto: "ma v!... divertiti, gioca, invece di tormentarti sui

libri". Pretendeva che gli spiegassi io certe cose, che io nemmeno sapevo: il dittongo, lo iato." Nel silenzio, la generalessa continuava a rievocare ricordi di quindici anni avanti. "E quando andava a giocare a pallone con gli amici!" disse. "Lo presero proprio mentre tornava dal gioco. Non volevo che andasse, pareva che una voce me lo dicesse. D'altronde, chi poteva immaginare? Cos lontani dal fronte com'eravamo! Lo catturarono, lo portarono via in automobile." Si pass una mano davanti agli occhi. "Che giornata fu quella! Quando cominci a far buio, e lui non tornava, e cominciammo a telefonare come pazze a tutti i ragazzi amici suoi, tutti erano tornati a casa, e lui no. S'erano lasciati poco lontano da casa, come gli altri giorni. E allora ci mettemmo a correre come pazze per la citt, io e te. C'era l'oscuramento, non si vedeva niente. Ogni tanto c'era un allarme, bisognava correre nei rifugi, speravamo di trovare anche lui in un rifugio. Poi cominci a piovere, e tutti scappavano. E noi, come pazze, correvamo a casa, per vedere se fosse tornato, e poi riscappavamo fuori, e poi di nuovo a casa, e poi fuori." La generalessa riprese fiato, ansante. "A casa," concluse con voce sorda "rimasero le sue pistole, i suoi soldatini, i fucili, le automobilette, i suoi giocattoli, tutti come li aveva lasciati. I libri di scuola ancora legati nella cinghia con cui li aveva portati a casa." La balia, vecchia vecchia, represse un singhiozzo. Matilde le pass un braccio sulle spalle curve, affettuosamente. Ma subito si stacc. "E te lo dico per l'ultima volta," disse, cambiando tono improvvisamente, diventando imperiosa, dura. "Guai a te se ancora, quando mi parli davanti alla gente, ti sento che mi di del lei." La balia fece un gesto di protesta. "Testona d'una montanara!" prosegu la generalessa. "Ha portato in braccio me bambina, i miei figli, adesso il figlio di mia figlia, e se n'esce a darmi del lei. E" ridicolo." La balia f cenno di s, umilmente. Ancora una volta, Matilde cambi tono, torn affettuosa. "Gli hai portato i fiori, stamattina" disse alla vecchia. "Ieri sera ho visto che c'era un mazzetto di fiori di campo." La balia f cenno di s. Matilde la prese sottobraccio e le due donne s'avviarono verso l'interno sostenendosi l'un l'altra faticosamente. "Li hai colti tu, eh?" prosegu, la generalessa. "Erano ancora bagnati di rugiada." Le due uscirono dalla sinistra, mentre Zorapide, rientrava per cedere il passo, inchinandosi alla generalessa. VI L'indaffarato conservatore si lasci cadere nella sua poltrona, abbandonandovisi con un sospiro di soddisfazione. Vide i resti della colazione del generale. "Raimondo!" grid. "Porti via questo vassoio, s o no?" "Vengo subito" rispose dall'interno la voce di Raimondo. Contemporaneamente s'ud una voce: "Permesso?". E sulla porta che dava all'esterno apparve uno sconosciuto. Zorapide alz gli occhi. "Ho telefonato poco fa" disse l'altro. Il conservatore lo squadr, vide che gli mancava un braccio. "Senta," gli disse "le dico subito che non c' niente da fare. Le iscrizioni sono chiuse da un pezzo, e gli ex assediati sono esattamente il triplo di quanti si trovavano qui durante l'assedio. Senza contare quelli che sono morti in questi anni. Di morte

naturale, beninteso." "Cresciuti, invece di diminuire?" fece il nuovo venuto sorridendo. "Che vuol che le dica?" fece il conservatore. "Di alcuni non stato possibile accertare se dicevano la verit. Poi ci sono state delle nascite. Per i nati fino a nove mesi dopo la fine dell'assedio, stato rivendicato il diritto alla qualifica di ex assediati, bench, a rigore, per essi non si potrebbe parlare di assedio vero e proprio." "Anzi" fece il nuovo venuto. "In un certo senso erano i pi assediati di tutti. Due volte assediati. E il fatto della loro nascita entro i nove mesi dalla fine dell'assedio, dimostra che, tutto sommato, l'assedio ebbe, per qualcuno degli altri, anche qualche lato non del tutto sgradevole." "E gi, in un certo senso" fece Zorapide, che non aveva del tutto afferrato il ragionamento. "Comunque, la conclusione che qui siamo assediati dagli ex assediati." "Come mai?" "Che vuole? Il generale vecchio, buono, chiunque gli dice di essere un ex assediato, lui ci crede." Zorapide si volse a Raimondo, venuto a ritirare il vassoio della colazione. "Raimondo!" chiam. "Comandi." "Vedesti mai questo signore durante l'assedio?" "Signor direttore," fece il brav'uomo, dopo aver squadrato il nuovo venuto, "stavamo all'oscuro, come potevo vederlo?" "Ah, gi, tu non hai visto mai niente, perch stavate all'oscuro." Mentre Raimondo si ritirava col vassoio, Zorapide si volse al visitatore. "Tutti si fanno forti del fatto che non ci si vedeva," disse "per dire che c'erano anche loro. Ma non possibile accogliere tutti. C' l'associazione, tutti hanno qualcosa da chiedere, diritti da rivendicare. Chi vuole la dentiera, perch prese i reumi durante l'assedio, chi vuole una carrozzina d'invalido, chi un impiego." "Mi scusi," interruppe cortesemente il nuovo venuto "ma io non sono un ex assediato, n aspiro a diventarlo. Sono un inviato del comandante Kapel." Zorapide s'alz prontamente. "Doveva dirmelo subito" disse. "Ma l'arrivo era previsto fra alcune ore." "Appunto. Il comandante Kapel ha voluto che lo precedessi, per far sapere, che desidera uniformarsi in tutto e per tutto ai desideri del generale Fulcs." "Credo che il generale Fulcs non abbia particolari desideri" fece Zorapide. "Pi difficile sar intendersi con la moglie." "Capisco. La madre." "Sa come sono le donne, rifiuta qualsiasi incontro col comandante Kapel." "Capisco. E" pi che giusto." "Tra l'altro, vuole che anche quest'anno si faccia udire il disco in cui fu incisa la famosa telefonata. Ma quest'anno, date le circostanze, non sembra opportuno." "Il comandante Kapel accetta qualsiasi condizione. Tuttavia pare anche me, date le circostanze... Tanto pi che il comandante Kapel in un tale stato di prostrazione, che la stessa signora, se lo sapesse... Potrei parlarle io?" "Non si faccia illusioni, non la riceverebbe. Comunque, se vuol provare, aspetti qui. Da qui dovr passare per forza, per uscire o per entrare, non abbiamo altro passaggio. Le cerimonie commemorative si svolgeranno fuori, come lei avr visto, e la signora, per

intervenirvi, dovr passare di qui. S'accomodi. Ci sar da aspettare." "Grazie. Giacch cos gentile, potrei chiederle un favore? Ho sentito che molti si rivolgono a lei per trovar lavoro. Non ci sarebbe un posticino anche per me? Ho un braccio..." "Mancante, lo vedo." "Non alludevo a quello mancante, ma all'altro. Dicevo: ho un braccio valido per lavorare." Zorapide cominci a darsi importanza. "Caro signore," disse "sapesse quanti hanno non uno, ma due braccia valide per lavorare, e non possiamo dar loro lavoro." "Allora mi appeller al braccio mancante" fece l'altro. "Vede, caro," disse Zorapide "fra gli ex assediati ce n' qualcuno che ha non uno solo, ma tutt'e due i bracci mancanti, e lo stesso non possiamo farlo lavorare." Zorapide si gonfiava sempre pi d'importanza. "Benedetta gente," continu "credete che io possa far miracoli. Ma anche l'influenza che si pu esercitare sul prossimo, ha un limite. Voi che sapete fare?" "Tutto." "Ahi." "Tutto, beninteso, compatibilmente con le mie condizioni. Le quali, per, in compenso, dovrebbero rappresentare qualche punto di vantaggio a mio favore, ed essere esse stesse una raccomandazione." "Ecco quello che ci vorrebbe. Una raccomandazione. Non conoscete nessuno?" "Il braccio stesso mi raccomanda." "Non la stessa cosa. Ci vuole il braccio d'un'eccellenza, o d'un alto prelato. Un braccio influente, insomma, che vi raccomandi, e non il vostro. Che, tra l'altro, non c' nemmeno. Eh? Come pu raccomandarvi, se non esiste?" "Ma proprio la sua assenza dovrebb'essere un titolo preferenziale." "Sapeste quanta gente ha titoli preferenziali e non ottiene niente. Del resto, non voglio far torto ai vostri, come dite, titoli. Mi rendo perfettamente conto che la vostra una grossa disgrazia, meritevole della pi grande compassione." "Sapesse come l'ho perduto!" disse il giovane. "Questo non m'interessa" fece Zorapide. "Io sono un uomo che ragiona, nelle cose. Un uomo che pensa con la propria testa. L'importante che avete perduto il braccio, e questa gi sciagura grave per s sola." "Ma differente, secondo come uno ha perduto il braccio." "Cos ragiona il mondo" fece Zorapide. "Perch il mondo ragiona male, se lo ricordi. Per me non c' differenza." "Come?" disse l'altro, sorpreso. "Altro se uno perde un braccio andando sotto il tram, altro se lo perde in guerra, o in un conflitto con la polizia come bandito, o in uno scontro coi banditi come tutore dell'ordine, o per un volgare foruncolo. Sono altrettante circostanze, che graduano e condizionano la compassione del prossimo." "D'accordo. C' differenza fra queste cause. Ma fra quello della guerra e quello del foruncolo, la mia maggior compassione va a quello del foruncolo." Il giovane rimase sorpreso. "Come?" disse. "Credevo il contrario." "No, no, caro. E" qui che il mondo ragiona male, e si fa suggestionare dalla retorica" esclam il conservatore. "Perch chi va sotto il tram o vittima d'un'infezione da foruncolo, non ha nemmeno il vantaggio del merito, della gloria, come il guerriero; o almeno la rassegnazione di chi l'ha voluto, d'esserselo meritato, d'esserne il

responsabile, del chi causa del suo mal, come il bandito, o, per altro verso, come l'ardimentoso, o l'imprudente, che sfida i pericoli, o come il corridore automobilista..." S'interruppe, come per un dubbio improvviso. "Non mi direte," disse in tono drammatico "che avete partecipato alla Mille Miglia." "No, no," disse il giovane "non c' pericolo." "Meno male" fece l'altro, come sgravato d'un pensiero molesto. "Ma sedete, tanto abbiamo tempo, e a me piace sradicare dalla testa dei miei simili le idee sbagliate. Che non sono poche. Una sigaretta?" "Cosicch, voi date pi importanza, o almeno compassione, a chi, per una banale disgrazia..." "Ma senza dubbio! Non c' nemmeno da fare il paragone. Certo," Zorapide soggiunse a bassa voce, indicando con gesto largo le macerie della fortezza, "non voglio negare la comprensione anche agli altri. Ma vi dico in tutta confidenza che non vedo perch si debba inneggiare soltanto a uno che stato ferito in guerra, applaudendolo, glorificandolo, come se, in ogni caso, fosse rimasto ferito per un atto eroico. Vi dir che anche in guerra un'eccezione essere ferito per un atto eroico. Di solito si feriti per il solo fatto che si sta in guerra. Certe volte, addirittura mentre si scappa, mentre ci si nasconde, e perfino per il fatto che si stava scappando o nascondendosi. E" atto eroico, questo?" Zorapide procedeva soddisfattissimo d'avere un ascoltatore. "Inneggiare ad uno," continu "perch il caso l'ha prescelto fra quelli da colpire, ingiusto. Egli non ha maggior merito del suo vicino di trincea, che risparmiato dal destino e resta illeso. Perci, la mia maggior compassione va a chi rimasto vittima d'una banale disgrazia. Mi dispiace per voi..." Il giovinotto s'alz in piedi con qualche solennit. "Allora," disse "debbo dirle che questo proprio il caso mio." "Come, come, come?" "E gi. Mi dispiace di vedervi un po'"smontato per il fatto che avete involontariamente esaltato proprio uno che volevate probabilmente scoraggiare, ma proprio cos." Zorapide era rimasto un po'"disorientato. Era evidente ch'egli aveva formulato la sua teoria, convinto che l'altro fosse mutilato per ragioni meritorie, e forse l'aveva fatto anche per metter le mani avanti e scoraggiarlo, appunto, in eventuali pretese. "Voi..." disse. "Visto che il mondo, purtroppo, non la pensa come noi debbo inventare tutta una storia che "mi fa onore", in relazione alla perdita del braccio. Il che non affatto richiesto, ad esempio, per la perdita dei denti." "Che sciocchezza, caro, scusatemi," esclam Zorapide, che voleva riprendere il sopravvento nella discussione, "i denti si perdono sempre, a una certa et." "D'accordo" fece l'altro. "Allora diremo: per il taglio dell'appendice." "Scusatemi, scusatemi, voi siete un pessimo ragionatore. L'appendice non c'entra affatto. Come vorreste inventare una storia che vi fa onore, in relazione alla perdita dell'appendice?" "E" vero. Comunque, con lei mi giova di pi dire la verit, per quanto antieroica. Sissignore, io ho perso il braccio per una volgare disgrazia." "Cio?" "Scendendo dal tram..." Zorapide si copr gli occhi con la mano. "Basta, basta" disse. "Ho capito tutto. Poveretto. Che raccapriccio!"

Il giovane scosse il capo con amarezza. "Nessuna medaglia per me" esclam. "Non si danno medaglie per queste cose." "B," fece Zorapide "adesso non state ad amareggiarvi perch non vi danno una medaglia. Del resto, dovete ammettere che sarebbe anche strano dare una medaglia con la motivazione: "Perdeva un braccio in un incidente tranviario"." "D'accordo. Ma bisogna vedere come la gente cambia nei miei confronti. Perfino il modo di guardare diventa un altro. Finch non sanno del tram, mi fissano con ammirazione e benevolenza, come si guarda un eroe, e alcuni addirittura con fierezza, quasi che il presunto atto eroico l'abbiano compiuto essi." "Che imbecilli!" "Hanno l'aria di dirmi con lo sguardo: "Questa balda giovent", e quasi mi batterebbero una mano sulla spalla. Come se un arto non potesse perdersi che in azioni eroiche." "Per essi non esistono gli scivoloni da pozzanghere" fece Zorapide. "Appena vengono a sapere del tram," prosegu il giovane "alt, macchina indietro, indifferenza, freddezza, ostilit addirittura, in certi casi. Hanno l'aria di chi si sente frodato. Come se la banale disgrazia fosse un'offesa personale per loro. Qualcuno mi guarda quasi con risentimento, taglia corto e mi pianta in asso." "Che cretini" ridacchi Zorapide. "Basta, prima che partiate, vi far una lettera di raccomandazione." "Grazie, signore." "E questo vi dimostri quale considerazione io faccia della vostra disgrazia e come la ritenga pi meritevole di compassione, che se fosse dovuta a un atto eroico, il quale ha il suo premio in se stesso, e gi in certo modo vi compenserebbe." "Proprio cos" fece il giovane. "Ecco finalmente una persona che sa ragionare." "No," disse Zorapide, con modestia, "semplicemente un pacifista. Un uomo che contrario alla retorica dell'eroismo, che tante vittime ha fatto e continua a fare, e che ci porta via i nostri figli, i nostri fratelli, i mariti delle nostre mogli, i padri dei nostri figli. Che poi saremmo noi stessi." Aggiunse a mezza voce: "Almeno cos speriamo". Dall'interno dell'appartamento entr Virginia. Vide il giovinetto, sbarr gli occhi, emise un flebile gemito. "Ah!" e svenne tra le braccia di Zorapide. "Che successo?" balbett questi, sorreggendola, sgomento e sbalordito. "Credo che la signora sia svenuta" disse il giovane. "E" evidente" fece il conservatore. Chiam: "Raimondo! Raimondo!". "Comandi" disse Raimondo, accorrendo. "La signora si sente male. Porta una bacinella d'acqua." Raimondo non si mosse. "Sbrigati!" strepit il conservatore. "Signor cavaliere," fece l'inserviente "ho tagliato le tubature." "Eh?!" "Lei m'aveva detto di rimettere tutto come al tempo dell'assedio, se no mi licenziava. Al tempo dell'assedio le tubature erano state tagliate." "Idiota! Ne fai una dopo l'altra! Ma questa l'ultima. Vattene! Sei licenziato!" "Me l'aveva detto lei!" borbott Raimondo, aprendo le braccia, come chi non capisce, e uscendo.

Zorapide adagi Virginia su una sedia. "Virginia! Virginia!" chiamava. "Che hai?" La donna non dava segni di vita. Il marito si volse al giovane. "Ma scusate," disse, non senza risentimento, "c' qualcosa fra voi e mia moglie? Vi conoscevate?" "Assolutamente no" fece il giovane. "Mai vista." "Eppure," fece Zorapide " svenuta vedendovi." "Forse, la mia mutilazione..." "Mi pare eccessivo." "Comunque," disse il giovane "visto che faccio quest'effetto alla signora, non mi resta che ritirarmi." S'alz. "No, caro signore," insorse Zorapide "adesso voi non vi movete da qui, finch mia moglie non sar in grado di spiegarmi. Esigo una spiegazione." "Certamente svenuta non per causa mia" borbott il giovane, stringendosi nelle spalle. "Forse, un malore indipendente dalla mia presenza." "Lo sapremo da lei stessa" fece Zorapide, ruvidamente e in un tono non scevro di minaccia. "Ma zitto, mi pare che si riprenda." Virginia emise un altro flebile gemito, apr gli occhi, li volse intorno, come trasognata, mormorando: "Oh!...". Il suo sguardo si pos sul visitatore, nuovamente ella sbarr gli occhi, grid: "Ah...". E svenne di nuovo. Zorapide volse intorno occhi di folle. "E" svenuta di nuovo appena vi ha visto" disse al giovine. "E" proprio per causa vostra." Il giovine si strinse nelle spalle. "Non so spiegarmelo" disse. "Forse, una rassomiglianza. Se mi nascondessi?" Virginia riprese i sensi. "No," disse debolmente "restate pure. Vi spiegher. E" una storia impressionante." "Insomma, Virginia, vieni al dunque" esclam Zorapide. "Mi fai stare sui carboni ardenti!" Virginia sospir profondamente. VII "E" stato circa quindici giorni fa" disse Virginia, con voce spenta. "Ah" fece Zorapide, con voce strozzata. "Tornavo a casa in tram, e il tram era molto affollato. Era l'ora di punta." "Ah." "A un certo punto, nella ressa, mi sentii abbracciare alla vita." "Ah" fece Zorapide guardando il giovine con inquietudine mista ad ostilit. "Aspetta" disse la donna. "Cercai di scostarmi, ma la folla era cos. Allora, fulminai con lo sguardo il mio vicino, ma questi non mi guardava. Stavo per dirgliene quattro, ma poi, per non fare scandali, preferii agire. Afferrato il braccio indiscreto, lo tirai via in malo modo. A questo punto, avvenne una cosa spaventosa." La signora tacque un istante, per riprender fiato. I due uomini pendevano dalle sue labbra. "Virginia," supplic Zorapide "v avanti, non farmi penare." Nel silenzio generale la donna riprese il racconto: "Il braccio," sillab "si stacc netto e mi rimase in mano." Zorapide fremette.

"Lo sentii pendere inerte, con raccapriccio" prosegu la donna. "Ebbi la netta sensazione d'aver commesso un delitto. Lo sguardo mi si appann, la testa mi girava, stavo per svenire." Si pass un mano sugli occhi, addit il giovane. "Era il braccio di questo signore" concluse, con un fil di voce. "Ah!" fece Zorapide, indignato, fissando il giovine con occhi di bragia. "Aspetta" riprese sua moglie. "Era un braccio artificiale." "B," borbott Zorapide "meno male. Per..." Fiss severamente il giovine. "Io non ne ho colpa" fece questi. "Lasciami finire, Zorapide" disse Virginia. "Soltanto un attimo dopo mi resi conto che era artificiale. Ma nel primo istante avevo creduto di avere staccato io, involontariamente, un braccio vero, con la mia strappata." "Eh, la pepa!" esclam Zorapide. "Lo capisco anch'io adesso, e lo capii subito dopo, che era impossibile. Ma chi poteva immaginare? Mi trovai con questo affare in mano, intravidi appena, nella ressa, il colore roseo pallido dell'avambraccio, e la manina in un guanto di pelle, che pareva vera." "Difatti," spieg il giovane "uso un guanto per nascondere la mano ortopedica." "Istintivamente, con ribrezzo, coprii subito col mantello quello che credevo fosse un arto sanguinante. Ed era tale l'impressione, il raccapriccio, che non m'accorsi nemmeno che la presunta vittima non dava segni di sofferenza, anzi non pareva nemmeno essersi accorta del terribile accidente. N m'accorsi quando, un momento dopo, scese dal tram e s'allontan." "Signora," disse il giovine, cavallerescamente, "mi duole d'esserle stato involontariamente causa di tanta emozione, e gliene chiedo scusa. Ma quello che lei racconta mi giunge nuovo. Effettivamente, una quindicina di giorni or sono ero su quel tram, diretto qui per un primo sopraluogo nei paraggi e per fissare l'alloggio del comandante Kapel, e ricordo perfettamente il fastidioso accidente della perdita del mio arto ortopedico. Ma nella calca mi sfugg del tutto il particolare della sua strappata, come m'era sfuggito quello dell'involontario abbracciamento, di cui lei parla. N, nel primo momento, m'ero accorto di non aver pi il mio arto. Me ne accorsi dopo essere sceso dal tram e quando il tram era gi ripartito. Lei capisce che me ne sarei accorto subito, se il braccio fosse stato vero. Ma, nelle mie condizioni, spiegabile il ritardo. Credetti d'averlo perduto mentre scendevo dal tram, a causa della ressa. Certe volte, in tram, portano via un braccio vero, figurarsi uno finto. Essendo il tram gi ripartito, mi proposi di cercarlo l'indomani all'ufficio oggetti smarriti. L'indomani andai, ma il mio braccio non c'era, n c'era i giorni seguenti." "Difatti non ce lo portai. Per non stare a dare spiegazioni poco piacevoli" disse Virginia. "Quando mi resi conto della cosa, tremavo ancora. E s'immagini che cosa strana: tremai anche di pi. Lei non ci creder, ma in un certo senso un braccio finto mi faceva pi impressione d'un braccio vero. Col braccio nascosto sotto il mantello, scesi dal tram in fretta e corsi a casa, dove occultai l'oggetto. Che momenti d'incubo! Credo che non diversamente si trovi l'assassino che nasconde nel baule una donna tagliata a pezzi." "L'hai nascosto nel baule?" fece Zorapide, trasalendo. "No," disse Virginia "ma mi pareva quasi, che so, d'aver occultato un cadavere." "Virginia, sei troppo impressionabile" esclam il marito. "No, no, Zorapide, tu non puoi immaginare che impressione fa un

arto artificiale staccato dalla sua sede, e che uno si trova improvvisamente accanto. E" come una cosa morta, ma che ha una sua individualit e direi perfino una sua vita. Come un fantasma." La donna appariva ancora sconvolta al ricordo. "Tremavo," disse "anche al pensiero che qualcuno lo trovasse e mi domandasse conto." "Ma a me avresti dovuto dirlo." "A te meno che a tutti. Chi sa le storie che m'avresti fatto per la faccenda dell'abbracciamento. Il braccio divent un mio segreto angoscioso." Virginia addit il giovine. "Questo signore" prosegu "m'appariva alla fantasia e in sogno, che mi diceva con una voce terribile, con uno sguardo cupo: "Rendimi il mio braccio!". Mi svegliavo con un urlo." "E io non sentivo?" "Figurarsi se quando dormi tu senti qualche cosa. Un freddo sudore imperlava la mia fronte." La donna represse il respiro affannoso. "Quel braccio" concluse additando l'appartamento " di l, sotto il letto." "Santo cielo!" esclam Zorapide dando un balzo. "Cosicch il braccio di questo signore sotto il nostro tetto..." "Ho detto sotto il letto. Non l'avrei mai nascosto sotto il tetto." "Ho capito. Si dice sotto il tetto per dire in casa. Cosicch, il braccio di questo signore in casa nostra da quindici giorni, senza che io lo sappia?" Si volse alla moglie, indignato: "Ma perch m'hai taciuto che celavi...". "Ih, che esagerazioni!" esclam la donna. "Manco avessi nascosto un uomo! Era soltanto un braccio." "Eh," fece il marito, seccatissimo, "si comincia con un braccio e non si sa dove si va a finire." Si volse risentito al giovinotto: "E anche voi...". "Io?" "S, dico: siete ben sicuro di non aver perduto qualche altra cosa? Badate che far un'ispezione sotto il letto." "No, no, ho tutto a posto." "Diamine," esclam Virginia "Zorapide, che altro vorresti trovare? T'ho raccontato come sono andate le cose, no? Non vorrai farmi una scena di gelosia per un braccio, spero." "Un braccio gi qualche cosa" borbott Zorapide di pessimo umore. "E poi, per quanto artificiale, ti cingeva al di sotto della vita." "Tante volte," spieg il giovane "questi bracci ortopedici sono un po' difettosi. Scattano quando non dovrebbero, la molla s'incanta. Ma l era soprattutto la ressa che, come le ho detto, aveva portato il mio braccio fuori della posizione conveniente." "Oh, l'aveva portato a una posizione molto sconveniente, se vuol saperlo" fece Zorapide, sempre di malumore. "Non per colpa mia, signore, voglia ammetterlo. E, poi, senza mio profitto, questo almeno vorr riconoscerlo. Un braccio artificiale non ha alcuna sensibilit." "Non del tutto." "Ora si stanno studiando delle mani artificiali, munite di un congegno elettronico collegato coi centri nervosi, in modo da dare una relativa sensibilit." "Ma davvero?" "S, una spia elettrica a lampadina, con luci colorate, s'accende secondo ci che si tocca. Rossa per le sensazioni forti, verde per le blande, bianca per le pure. Il che, tuttavia, una soddisfazione

molto relativa." "E" gi qualche cosa." "Comunque, non il caso mio." "Non lo so." "Basta, Zorapide!" disse Virginia. "E" una cosa che poteva capitare a chiunque." "A me non sarebbe capitata" borbott Zorapide, acido. "Grazie al cielo, tu non hai un arto ortopedico" disse la moglie. "Oh, se anche l'avessi, saprei ben farlo stare a posto." "Non facile, signore, gliel'ho gi detto" disse il giovane. "Comunque, signore," borbott ancora Zorapide "il fatto che voi abbiate avuto per tanto tempo il vostro braccio sotto il nostro tetto..." "Sotto il nostro letto" corresse ancora la donna. "Tanto peggio. Il fatto che questo signore abbia avuto per tanto tempo il braccio sotto il nostro letto, non pu certo farmi piacere." "S'immagini a me," disse l'altro "che alloggio in un albergo a tre chilometri da qui." "Insomma," esclam Virginia "tutto bene quel che finisce bene. Ora vado a prendere il braccio del signore. Con permesso." Aveva ormai riacquistato la sua abituale vivacit. Svolazzando come un passerotto, la giovine donna scomparve nell'interno dell'appartamento. VIII Zorapide rimase a misurare nervosamente, a grandi passi avanti e indietro, il proprio ufficio, sogguardando di quando in quando il visitatore, quasi non fosse ancora del tutto convinto che le cose fossero andate proprio nel modo narrato. A un tratto si ferm di botto davanti al giovine, come per un'idea improvvisa. "Ma scusate," disse, apostrofandolo con malgarbo, "quando poco fa m'avete detto d'aver perduto il braccio scendendo dal tram, vi riferivate per caso a questo episodio?" "Precisamente" fece l'altro. "E" un fatto piuttosto comune. Avrete letto chi sa quante volte nei giornali il titolo: "Perde un braccio" o "Perde una gamba, scendendo dal tram"." "Ma tutta un'altra cosa!" sbuff Zorapide. "Questo titolo si riferisce al caso di uno che, scendendo dal tram, finisce sotto le ruote e ci rimette un braccio o una gamba." "A maggior ragione," esclam il giovine "deve poter riferirsi a un caso come il mio, che letteralmente e non metaforicamente un caso di smarrimento. E come tale lo denunziai appunto all'ufficio oggetti smarriti o ritrovati. E questa la miglior prova della mia innocenza nei riguardi della vostra signora moglie, e mi pare che dovrebbe tranquillizzarvi del tutto circa il mio contegno." "Lo vedremo dall'esame dell'arto. Ma ora non si tratta di questo. Voglio dirvi, invece, che allora, la vostra situazione personale nei riguardi delle mie opinioni circa la vostra mutilazione, cambia aspetto." "In che senso?" "E gi. Io vi ho detto che faccio maggior conto d'una disgrazia, che d'una mutilazione dovuta ad atto eroico, e voi, in un certo senso, avete estorto la mia simpatia, facendomi credere una cosa non vera, cio che avete perduto il braccio scendendo dal tram." "Non mi pare che la cosa cambi molto. Invece che scendendo dal tram, l'ho perduto sul tram, poco prima di scendere, perch mi fu strappato dalla sua signora." "Forse non mi sono spiegato" disse Zorapide. "Io volevo sapere come avete perduto non questo braccio, ma l'altro." "L'altro non l'ho perduto" fece il giovinotto e mostr il braccio sinistro. "Eccolo."

"Ma dico quello che avevate prima!" strill Zorapide. "Ah," fece il giovine "una caduta." "Possibile? Una caduta grave." "La caduta del fascismo." Zorapide s'irrigid in un'espressione di disgusto. "Ah, no, eh?" grid indignato. "Vittima dell'antifascismo." "Precisamente." "Siete un fascista, dunque" fece Zorapide con crescente ribrezzo. "Ma nemmeno per sogno. Fui vittima dell'antifascismo, bench io non fossi affatto un fascista. Questa l'ironia della sorte." "Ah, s, eh?" esclam Zorapide, ironico. "Strano. Strano davvero. Il solito errore. La solita ingiustizia. Epurazione d'un innocente. E come mai si dette questo strano caso?" "Glielo spiego subito" fece l'altro col massimo candore e molta sollecitudine. "La mattina in cui era caduto il fascismo, io uscii di casa, per partecipare alle manifestazioni di giubilo. Era la mattina in cui, lo ricorderete, per le strade si camminava calpestando uno strato di distintivi fascisti, come avesse grandinato." "Naturalmente" disse Zorapide. "Tutti avevano buttato via l'odiato emblema, simbolo di violenza e di tracotanza. Anch'io m'affrettai a disfarmi di esso, con ribrezzo." "Lo immagino. Bene. Lei ha mai sentito parlare del fascismo e del cosiddetto ventennio?" "Qualche volta. Alla Tv." "Ebbene, dalle allusioni e dalle frasi udite, bisogna dire che veramente Mussolini fu un uomo straordinario." "Perch?" "Riusc a tenere soggetti sotto di s ben quaranta milioni di persone che non lo volevano. Ce ne fosse stata una che lo gradisse. Niente. Tutti contrari. Tutti che mordevano il freno." "E come!" "Oh, ma erano quaranta milioni a mordere il freno. Forse sarebbe bastato che qualcuno, invece di mordere il freno, mordesse lui. Viceversa, tutti ostili, tutti contrari, ma in quaranta milioni non ce la potettero contro un solo uomo. Non c'era uno, che cos' uno?, che lo volesse. Eppure, lui riusc a tenerli tutti sotto, per ben venti anni. Che uomo straordinario!" "Ma che c'entra questo?" "Ecco. La mattina in cui era caduto il fascismo, io, calpestando uno spesso strato di distintivi, camminavo per la citt percorsa da camion irti di dimostranti che esultavano, gridavano: "Abbasso!" e "Morte!", e cercavano disperatamente almeno un fascista per percuoterlo, per sfogare finalmente l'odio per le angherie subite in venti anni. Ma niente. In tutta la citt non si trovava uno che fosse stato fascista. Tutti erano stati segretamente antifascisti. A un certo punto arrivo dove si stava riunendo una colonna di dimostranti per andare a caccia di fascisti da percuotere, e in quel momento, per un guasto nel congegno, il maledettissimo braccio scatta in alto e si mette in posizione di saluto romano. Cos." Il giovanotto fece il gesto, con vivo raccapriccio di Zorapide. "Figurarsi," prosegu "quello che successe. "Finalmente!" gridavano tutti. "E" un fascista! Dlli al fascista! Piglialo!" Per poco non mi linciarono. Credendo che facessi il saluto fascista per provocazione. Io cerco di spiegare: "Guardate, s' guastato il meccanismo". Purtroppo, il mio arto artificiale aveva questo difetto, comune del resto, a molti di questi arti." "E come!" fece Zorapide, con un'ironia del tutto fuori luogo. "L'abbiamo visto per vent'anni: tutti arti difettosi. Ma quelli non erano arti artificiali." "Il mio ogni tanto scattava in alto. S'inceppava la cerniera del

gomito e il braccio restava teso in su, come nel saluto romano. Finch c'era il fascismo, la cosa and liscia, anzi mi procur qualche vantaggio. Ma, come le dico, quella mattina, appena caduto il fascismo, fu un disastro. Io dicevo: "E" un braccio finto". Ma chi mi stava a sentire? E pi lo tiravo gi, pi il braccio scattava nuovamente in alto. Me ne dettero tante, ma tante, che il braccio si stacc e quei bruti lo fecero a pezzi." Tacque, come rivedendo la scena con la fantasia. "Sotto i miei occhi!" aggiunse commosso. Segu un penoso silenzio. Che fu Zorapide a rompere, con riguardo. "Amico mio," disse "non sono insensibile alle vostre disgrazie, ma mi duole dirvi che non ci siamo ancora capiti. Voi continuate a raccontarmi storie del vostro braccio finto. Io voglio sapere come perdeste il braccio che avevate prima." "Ah," fece il giovane "glielo dico subito." Stava per cominciare il racconto, ma dovette interrompersi, vedendo rientrare Virginia alterata. "Zorapide!" grid la giovine donna, che appariva fuori di s. "Che altro c'?" fece il marito. "Il braccio scomparso!" "Scomparso?" "Sotto il letto non c' pi." "Diamine," esclam Zorapide "non pu essersene andato via da solo. Capirei, fosse una gamba." "Probabilmente," disse la donna "Raimondo, facendo le pulizie, l'avr trovato, e chi sa dove l'ha messo. Dov' Raimondo?" "Santo cielo," esclam Zorapide "l'ho licenziato poco fa." "Disgraziato! Era l'unico ex assediato autentico, e vai a licenziarlo. E proprio adesso!" "E b," disse Zorapide "lo ritroveremo. Non pu essere arrivato molto lontano. Sar probabilmente fuori della fortezza, a far baldoria con gli ex assediati intervenuti al raduno. Virginia! Andiamo a cercarlo. E voi, signore, non ve ne andrete se prima non si ritrova il vostro braccio." "Magari si ritrovasse!" "Virginia! Seguimi. Tu sei responsabile. Devi ritrovarlo." "Ma tu devi ritrovare Raimondo." "Raimondo si ritrova. Signore, restate qui. Altrimenti debbo pensare..." Mentre i due uscivano all'aperto, dall'interno della casa vennero fuori il generale in uniforme, Matilde vestita di nero, e Anna in toletta per la cerimonia. "Non sono una madre spartana" borbottava Matilde. "Non sono Cornelia madre dei Gracchi. Sono una madre qualunque. Lascio gli eroismi agli altri. E, in ogni caso, sono ben altri gli eroismi da fare." "Matilde," supplic il generale "non ricominciamo." "Ma s, io me ne infischio degli eroismi. Non avevo messo mio figlio al mondo perch te ne servissi per far l'eroe, e perch diventasse un eroe." "Non ti far sentire. Quando uno diventato eroe, conviene far credere che ci si teneva, che la cosa stata fatta di proposito." "Comunque, sarai tu, se vuoi, ad incontrare l'assassino di tuo figlio. Io non voglio vederlo. Io non perdono. A quella belva. A quel criminale." "Matilde, ti prego. C' gente." A questo punto, l'emissario del generale Kapel, che si teneva nel vano della finestra, si fece avanti. Guard Matilde. Guard il generale ed Anna. Torn a guardare Matilde. "Mamma!" disse con un fil di voce.

Matilde sgran gli occhi, stupefatta, incredula. Parve che le si piegassero le ginocchia. "Figlio mio!" mormor, appoggiandosi al tavolo per non cadere. IX "Figlio mio!" Ancora mezz'ora dopo quell'incontro che aveva del prodigioso, l'anziana signora non riusciva a dire altro. Imbambolata, trasfigurata, quasi non credendo ai propri occhi, guardava il giovine e di quando in quando bisbigliava trasognata, come parlando fra s: "Figlio mio! Nicola!". Erano rimasti tutti e quattro nella stanza dov'era avvenuto l'incontro ed ora, seduti attorno al tavolo come congiurati, ascoltavano il racconto delle peripezie di Nicola e di come egli era miracolosamente e a insaputa di tutti scampato alla fucilazione. S'ud all'esterno il boato dell'altoparlante, con la voce del cavalier Zorapide: "Attenzione, attenzione. L'ex assediato Raimondo pregato di recarsi in direzione. L'ex assediato Raimondo pregato di recarsi in direzione". "Quest'altoparlante!" gem Matilde, portandosi le mani alle orecchie. "E" un'ossessione." "Stanno cercando il mio braccio," spieg Nicola, ridendo, "ve l'ho detto." "E va bene," disse la sorella "ne compreremo uno nuovo. Dieci, cento bracci nuovi." "Il cavalier Zorapide cerca proprio quello, per ragioni sue; ha licenziato il custode; adesso lo cerca disperatamente, per sapere dove ha messo il mio braccio." "Cretino!" disse Matilde. Il generale ebbe un involontario sussulto e rivolse alla moglie uno sguardo sconcertato, interrogativo. "Che c'entro io?" bisbigli. "Parlo del cavalier Zorapide" disse Matilde, fra i denti, dandogli di gomito, perch tacesse in presenza del figlio. "Ah, scusa, scusa" disse il marito. "Credevo che dicessi a me." La moglie lo fiss come volesse mangiarselo. "Cretino!" bisbigli quasi impercettibilmente, a fior di labbra. Il generale, colto da dubbi circa la destinazione di questo secondo "cretino", stava per dir qualcosa, ma la moglie lo paralizz facendogli gli occhiacci. "Zitti!" fece Anna. Tese l'orecchio, inquieta, verso l'interno della casa, da cui veniva un vagito. "Il bambino" disse; "ogni volta l'altoparlante me lo sveglia." S'alz. "Ma resta qui" disse la mamma. "Di l c' Mena, che pensa al bambino." "Mena?!" esclam Nicola lietamente sorpreso. "E" ancora viva?" "E come!" disse Matilde. "Quando siamo qui, ogni mattina porta i fiori sulla tua tomba. S, cio, sulla tua presunta tomba. Un mazzetto di fiori che coglie lei stessa nei campi. E ogni sera porta un moccolotto acceso." "Povera Mena," esclam Nicola "bisognerebbe farle sapere che sono vivo. Ma ho paura che, almeno per ora, non sia prudente." "Per carit!" fece Anna. "Non starebbe zitta un minuto. E, se anche stesse zitta, si farebbe capire da tutti." La giovine donna corse via, nell'interno dell'appartamento. Il generale si volse a Nicola. "Continua il tuo racconto, figliolo. Dicevi che un bombardamento aereo uccise i fucilatori."

"C' poco da aggiungere" disse Nicola. "Di notte mi trascinai nel buio, senza sapere dove andavo, finch caddi esausto." "Figlio mio!" esclam la mamma. "Da questo momento," prosegu Nicola "non ricordo pi niente. Quando riacquistai la coscienza, mi trovai a letto, in casa di contadini, che m'avevano soccorso senza sapere chi fossi. Mi guardai bene dal dire il mio nome. Avevo sempre il terrore che spuntasse qualcuno a compier quello che non era riuscito. Poi altra fuga, altre peripezie, che sarebbe lungo raccontare." Segu un silenzio, che Matilde ruppe per esclamare con pena: "Povero figlio mio! Ma ringraziamo il Signore che sei vivo". "E sempre false generalit" riprese Nicola. "Finch ero tra nemici. Poi seppi che ero diventato un eroe, perch mi credevano morto, e allora preferii non farmi riconoscere nemmeno in seguito, per non scombinare tutto. E sono rimasto un apolide. Per anni, peripezie, fughe, guerre sotto altro nome, campi di concentramento, prigionia. Mi sono trovato coinvolto da una parte, dall'altra. Persi un braccio..." "Povero figlio mio! E come fu che poi diventasti segretario di quel mascalzone?" "Mamma, ti prego." "E" un criminale. Una belva. Ti fece fucilare. Cio, dette l'ordine." "E" la guerra. Ma, a parte quell'episodio, un buon uomo. Ha passato anche lui tanti di quei guai!" "Ben fatto." "Due volte condannato alla fucilazione." "Bastava una, ma buona." "Una volta lo condannarono i nemici. Poi collabor, e allora volevano fucilarlo gli amici. Se l' cavata con il carcere." "Sacrosanto! In galera. E" il meno che poteva capitare a un simile delinquente." "Mamma, ti prego. Fu considerato un delinquente, proprio perch smise di combattere. Prima era stato considerato un delinquente, perch aveva combattuto." "Ma sa chi sei?" domand Matilde. "Per carit! Non lo immagina nemmeno lontanamente." "E non farglielo sapere. Non si sa mai." "Se ti dico che sono il rimorso di tutta la sua vita." "Non ti fidare. Ha il rimorso finch ti crede morto. Vorrei vederlo se venisse a sapere che sei vivo. E come mai siete diventati cos amici?" "In carcere." "Anche tu?" "E" la guerra. In carcere gli fui vicino. Venne un'amnistia, perch eravamo in troppi e bisognava far posto ad altri. Mi volle con s." "Adesso bisogna adottare una linea di condotta" disse la generalessa. "Che si fa?" Il generale s'alz solennemente. "Bisogna dire tutto" disse. "Io dico che siete semplicemente matti" disse Nicola. "Volete rovinare ogni cosa? Se parliamo, io e pap cessiamo di essere eroi." "Di me non preoccuparti" fece il generale. "Non voglio assolutamente che tu ti sacrifichi per me, figliolo. Tu hai diritto alla tua vita. Ormai non si tratta pi di salvare la patria. Io non conto." "Qui c' un equivoco" disse Nicola. "Non per te, pap. Sono io che voglio restare un eroe. Vedi bene che, anche per avvicinar voi, mi sono finto un altro." "E avevi bisogno di questo, per avvicinare tuo padre e tua madre?"

disse il generale con amarezza. "Pap," fece Nicola "m'accorgo che ancora non mi sono spiegato. Io ora sono un eroe, m'hanno fatto il monumento." "E con questo?" disse il generale. "Se resuscito, che cosa divento? A chiunque, creduto morto, e che invece torna inaspettatamente, tutti farebbero festa." "Seppure." "A me, no. Me, mi si reclama morto. Se non sono morto, non sono pi niente. O, meglio, sono uno che fece quella tale telefonata, ma, se poi non sono morto, buonanotte. La telefonata diventa una qualsiasi manifestazione pi o meno retorica. Se no, dovrebbero fare il monumento a chiunque dica: "Piuttosto la morte". Per prima cosa demoliscono il mio monumento. E questo mi secca, francamente." Nicola indic le porte: "Non c' pericolo che entri qualcuno?". "In casa non c' nessuno" disse Matilde. "Soltanto i due poppanti e la balia. La porta dell'esterno l'ho chiusa a chiave." "Bene" disse Nicola. "Io ogni tanto penso: "sono un eroe. Tutti mi considerano un eroe. Rester nella storia. Sono nei libri di testo". E mi sento fiero. Se riapparissi, diventerei uno qualunque." "Ma che soddisfazione la tua," disse il generale "se non puoi dire a nessuno: sapete, sono io, quello del monumento, quello dei libri di scuola, l'eroe? Perch, se tu lo dicessi, per il solo fatto di poterlo dire, cesseresti di esserlo." "Questa l'unica nube:" disse il giovine "che non possa vantarmi con nessuno, perch cesserei d'essere un eroe. Ma rifletti, pap, che quasi tutte le azioni eroiche si compiono a questo patto. E" questo il loro prezzo." "Un momento, figliolo, un momento" interruppe Matilde. "Dici: se fossi vivo, cesserei d'essere un eroe. Ma tu quella telefonata la facesti. Quelle frasi le dicesti. C' il disco." "S, ma poi sono sopravvissuto. La telefonata perde molto del suo valore, per non dir tutto. Non si pu proclamare eroe uno che dice: "Uccidetemi", se poi non muore. E" ingiusto, lo so, ma cos, purtroppo. E poi tu, pap. Pensa che cosa diventeresti. Finch si sa che io sono morto, sei un eroico soldato che, allo strazio di perdere un figlio, ha anteposto l'amor di patria, il sentimento del dovere, eccetera. Ma, se io mi sono salvato per una ragione o per un'altra, tu diventi una specie di padre snaturato che era pronto a sacrificare il figlio, ma il nemico stesso stato pi umano di lui e mi ha risparmiato." "Ti ha risparmiato?" domand il generale, sorpreso. "No. Questo lo direbbero le male lingue. La verit, come v'ho raccontato, che quelli che dovevano fucilarmi, sentendo arrivare l'aereo che sganciava le bombe, furono presi dal panico e mancarono il bersaglio. Tremavano come foglie. E il bello che l'aereo era dei loro." "Oh, che sciocchi!" fece Anna. "Avevano paura delle loro stesse bombe." "Allora, vedi bene" disse Matilde "che, tanto tu, quanto tuo padre, restate eroi. Non colpa vostra, se i fucilatori furono codardi." "Codardi?" fece Nicola, scotendo il capo. "Si fa presto a dirlo." Come fosse la motivazione d'una medaglia, aggiunse: "Con indomito coraggio e abnegazione compievano il dovere sotto il martellare delle bombe, fino al sacrificio della vita". "Morti?" domand Matilde. "Tutti." "Allora, secondo te, gli eroi sarebbero loro." "No. Morirono perch, non fecero in tempo a scappare. Pi coraggioso, semmai, l'aviatore che li bombard sotto il tiro della

contraerea, la quale fin per abbatterlo." "Allora, l'eroe sarebbe questo aviatore." "Nemmeno. T'ho detto che era dei loro, e li bombard per isbaglio." "Oh, la guerra!" fece Matilde, reprimendo un gesto di disgusto. Rimase qualche istante con lo sguardo fisso nel vuoto. "E allora," concluse "vedi bene che l'eroe sei proprio tu. Soltanto, non capisco come non si siano accorti, dopo la tua fuga, che non c'eri pi." "Il bombardamento aveva reso irriconoscibili i cadaveri." Il generale si riscosse da una specie di torpore nel quale pareva fosse immerso. "Io" disse "voglio dire la verit e rinunciare agli onori." "Io" disse Matilde "voglio dire la verit, e avere doppi onori." "Ma possibile," fece Nicola, con voce soffocata, "che si faccia il pellegrinaggio alla tomba del caduto, con intervento del caduto?" "Hai detto" disse Matilde "che il bombardamento aveva reso irriconoscibili i cadaveri." "Sicuro" disse Nicola. "La notte misi la mia giacca su uno dei cadaveri sfigurati, e presi la sua." "Cosicch," disse Matilde "l fuori sepolto un nemico?! Io e Mena abbiamo portato i fiori a un nemico, e magari a uno dei tuoi fucilatori?!" "E" evidente." Matilde rimase per un po'"con lo sguardo perduto nel vuoto. "B," disse poi, con un sospiro, "poveretto!" Di nuovo il generale si riscosse dalla sua fissit torbida. "Voglio che si sappia," disse "per qual ragione rifiuto gli onori, che ritengo immeritati, visto che Nicola non fu fucilato." "Ma allora?" esclam Matilde. "Abramo e Isacco?" "Che c'entrano, Matilde? Tu ogni tanto te n'esci con trovate che mi disorientano" fece il generale. "Abramo non sacrific pi il figlio," disse la generalessa "ma rimasto lo stesso nella storia. E, probabilmente," aggiunse con qualche ironia "il sacrificio, per lui, non sarebbe stato nemmeno troppo grande." "Perch?" fece il generale. "Figuriamoci" esclam la moglie. "Ebbe Isacco quando aveva cent'anni d'et." Il generale aggrott le sopracciglia nello sforzo di capire. "Vuoi insinuare," disse "che forse non era suo figlio?" "Non so" fece la generalessa, con lo sguardo nel vuoto. "Senti," esclam il generale, con sdegno, "dare perfino del cornuto ad Abramo, il colmo." "Non lo so" ripet la generalessa, irritante. "Insomma," disse il generale "visto che non c' stata la fucilazione, il nostro gesto perde molto valore. Questo vorrai ammetterlo, spero. Se Pietro Micca avesse dato fuoco alle polveri ma queste, essendo bagnate, non fossero esplose e lui non fosse morto, nessuno lo considererebbe un eroe. Probabilmente, oggi la storia lo ignorerebbe. O lo conoscerebbe soltanto come un cattivo artificiere. Non basta l'atto, occorre l'effetto." "Appunto per questo," disse Nicola "io non voglio dire niente e non voglio farmi conoscere." "Non leale" esclam il generale. "Che c'entra la lealt?" fece Matilde. "Ti pare che in guerra ci sia qualcosa di leale? Io trovo che non giusto. Nicola deve farsi conoscere e deve avere doppi onori." "Questo non possibile" disse Nicola. "Comunque, non pregiudichiamo le cose. Aspettiamo, a prendere una decisione. Non turbiamo la cerimonia di oggi."

Qualcuno fece per aprire la porta interna, ma Nicola corse a tenerla chiusa. "Non c' pericolo" disse la generalessa. "In casa non c' nessuno, all'infuori dei nostri." Nicola apr la porta e rientr Anna col bambino in braccio. "Dorme" disse. "Che bello!" mormor Nicola, guardando il pargolo. "L'abbiamo chiamato Nicola, come te" disse Anna. Qualcuno buss alla porta dell'esterno. "Bussano," disse il generale "aprite." "Quindici anni fa," fece Matilde "non l'apristi nemmeno con le cannonate. E adesso basta una bussatina, per farti arrendere." "Sar il cavalier Zorapide che deve entrare nella fortezza" disse il generale. "E non c' un'altra entrata?" esclam la generalessa. "S, c'era un passaggio segreto, ma lo feci saltare io con la dinamite, al tempo dell'assedio" disse il generale. "Ne combinasti di guai, in quell'assedio!" fece la moglie. Con l'indice sulle labbra, f cenno a Nicola di tacere, e and ad aprire la porta. Entr Zorapide, affannato. Guard la generalessa con imbarazzo. "Eccellenza," disse al generale "sta arrivando il comandante Kapel." "Kapel!" gem il generale. "Che gli diciamo adesso a Kapel?" Zorapide guard ancora la generalessa con occhio timoroso. "Se la signora vuol ritirarsi di l, per non vederlo." "Il comandante Kapel?" disse, la generalessa elettrizzata. "Che venga! S'accomodi!" Zorapide la guard sbalordito. "Vado ad incontrarlo" fece Nicola, uscendo in fretta. "Cavalier Zorapide!" disse la generalessa, seccamente. "Comandi." "Niente disco!" Zorapide la guardava sempre pi sbalordito. "Non si deve far udire il disco, oggi" ripet la generalessa, perentoria. "Siamo intesi?" Zorapide aveva l'aria d'uno che crede di sognare. "Benissimo" balbett. "E togliete il busto di sulla porta" aggiunse Matilde. "Santo cielo," balbett Zorapide "adesso non c' nemmeno Raimondo per farlo togliere." "Toglietelo voi" fece la generalessa. "Copritelo. Quante storie. E subito!" "Vado" esclam Zorapide. Stupefatto, indietreggi guardando Matilde e borbottando fra s: "L'ha cambiata da cos a cos, quel giovinotto". Matilde si volse al generale, perentoria: "E tu, poche chiacchiere. Perdona, e basta". "Ma che debbo perdonare?" "Tutto!" strill Matilde, facendogli cenno di tacere perch c'era Zorapide. Il quale Zorapide non capiva pi niente. "Adesso," borbott fra s " lei che vuole perdonare, e lui no. Ci fosse una volta che vadano d'accordo." Usc, scontrandosi con Nicola che rientrava, correndo. "Prima dell'incontro in pubblico," disse questi "il comandante Kapel vorrebbe incontrare il suo ex nemico ed esprimergli il proprio pentimento." "S'accomodi" disse Matilde. "Il comandante Kapel!" annunzi Nicola.

X Tutti gli sguardi erano volti verso l'esterno. Ed ecco un penoso stupore si dipinse sui volti, direi quasi un'espressione d'orrore: entr una carrozzetta da invalido spinta da un attendente, nella quale sedeva rigido, impalato, un essere che quasi nulla aveva di umano e sembrava piuttosto uno spettro, un fantasma. Grossi occhiali neri gli davano l'aspetto d'un cieco. Aveva il volto corroso, come arso, ustionato, quasi fosse scampato da un incendio. Completamente immobile, quasi stecchito, con gli avambracci poggiati sulle cosce, si sarebbe detto uno scheletro uscito dalla tomba ed era quello quanto restava del temuto comandante Kapel che aveva fatto tremare i suoi nemici. La carrozzetta si ferm davanti al gruppo in attesa, silenzioso. Fu Nicola ad avvicinarglisi, a curvarsi su di lui, come per ascoltare. Kapel emise un debole e incerto mugolo. Nicola tradusse ai presenti: "Il comandante Kapel si scusa se non pu dire personalmente quanto vorrebbe e dovrebbe dire, ma una vecchia ferita all'epiglottide l'obbliga a servirsi d'un interprete. Io sono l'unico da cui riesce a farsi capire e attraverso cui riesce, per cos dire, ad esprimersi". Matilde era rimasta penosamente colpita dalle condizioni di Kapel, ch'ella non si aspettava di vedere in questo stato. Ammutolita, quasi incapace d'articolar parola, fece un cenno di assenso. "Prego..." bisbigli. Kapel emise un altro indistinto mugolo, che Nicola ascolt attentamente: "Il comandante Kapel" tradusse "dice che vorrebbe inginocchiarsi umilmente sulla tomba della sua vittima innocente, e davanti ai genitori di essa, ma non pu, perch ha le ginocchia anchilosate". Un senso di disagio invadeva sempre pi i presenti, che avrebbero voluto por termine al pi presto a questa scena penosa. Matilde fece un gesto di comprensione, imbarazzata e commossa suo malgrado: "Capisco," balbett "ma non occorre..." Di nuovo Kapel emise un quasi impercettibile mugolo, non dissimile, ad orecchi profani, dai due precedenti; ma che all'orecchio esercitato dell'interprete dovette suonare ben diverso, se egli tradusse dicendo: "Il comandante Kapel dice che profondamente addolorato per quello che avvenne, ma spera che il suo ex nemico, a cui chiede perdono, si render conto che fu una dolorosa determinazione a cui lo spinsero le esigenze d'una guerra feroce ed inumana. Con questo egli non vuole scusarsi n cerca attenuanti. Anzi, ora gli si sono aperti gli occhi e vede chiaro tutta la propria colpa". Ci fu un mormorio di comprensione. "Va a finire che questo lo fanno santo" mormor Zorapide, ch'era rientrato da poco e guardava sbalordito la scena. Altro mugolo di Kapel. "Il comandante Kapel" spieg Nicola, dopo essere stato di nuovo curvo sul rudere umano ad ascoltare, "vede ora tutto l'orrore e la stupidit della guerra e non intende pi partecipare a guerre, n pi macchiarsi di quelli che considera delitti. E" fermamente deciso a non spargere pi una gocciola di sangue umano." "Ci ha pensato a buon'ora" mormor Zorapide. Ma un'occhiata di Matilde lo fece ammutolire. Ancora un mugolo di Kapel. "Anzi," spieg Nicola, dopo avere ascoltato, " pronto a mettere il proprio braccio a servizio della pace, per combattere contro chiunque voglia la guerra, qualora ne venga richiesto." Mormorio d'approvazione e mugolo. "Il comandante Kapel" spieg Nicola "assicura che adesso non

farebbe pi fucilare nessuno." Mugolo. "Il comandante Kapel" disse Nicola "spera che il suo gesto serva come esempio e s'augura che possa contribuire alla pacificazione dei popoli, ideale al quale egli ora si consacra interamente, mettendo il suo braccio a servizio di esso. Oggi andr in espiazione pubblicamente sulla tomba della sua vittima innocente. Vorrebbe almeno inchinarsi, ma non pu, perch tutto ingessato, a causa di lesioni alla spina dorsale, dovute a un'ernia del disco, prodotta da fatiche di guerra. Star a capo chino, se ci riuscir, ma sar difficile, data l'artrosi cervicale che lo tormenta." Anche questa tirata era stata punteggiata da pause con relativi mugolii. E, ad ogni traduzione, seguiva un mormorio dei presenti. "Il comandante Kapel" riprese Nicola, dopo aver ascoltato attentamente un ennesimo mugolo, "desidera pubblicamente invocare il perdono, e spera di ottenerlo. Dice che le sue presenti condizioni sono un'espiazione per il suo crimine, che egli ora esecra." "Gli esce dell'acqua da un orecchio" disse Anna, impressionata. "E" il suo modo di piangere" spieg a bassa voce Nicola. "Ha il condotto lacrimale deviato, a causa d'una ferita di guerra." "Ma s" disse Matilde con slancio. "Faremo la riconciliazione fra i due ex nemici." "Mio marito," disse Anna "durante le trattative per l'incontro, s'era accordato per un abbraccio." "S," disse Nicola "lo so. Ha trattato con me, difatti. Ma sono sopravvenute complicazioni: il comandante Kapel non pu abbracciare, perch ha le braccia atrofizzate." "Un bacio?" disse Anna. Nicola fece un gesto di sconforto. "Non pu baciare," disse "perch ha la mandibola d'argento." "Una stretta di mano?" propose Matilde. "Per carit!" esclam Nicola. "E" tutto dolorante. Urlerebbe come un dannato a stringergli la mano. Sarebbe anche una cattiveria." "Ma mio marito" osserv Matilde "non stringe molto forte." Nicola scosse il capo sconsolatamente. "E" inutile," disse "ha la mano anchilosata." "Anche la sinistra?" domand Anna. "Anche." "Ma allora," esclam la giovine donna "che razza di trattative ha fatto, mio marito? Al solito, ci ha presi in giro. Non vedo proprio come potrebbe svolgersi la cerimonia della riconciliazione. Forse per telefono?" Nicola alz le spalle. "E" sordo" disse. "B," fece Anna "questo non vuol dire. Anche pap..." "Ma poi," osserv Nicola "una telefonata ricorderebbe troppo l'altra telefonata, quella di tanti anni fa. Parrebbe perfino un'ironia." "Gi, vero" disse Matilde. "Scrivere non pu, immagino." "No." "E tanto meno esprimersi a gesti" disse Anna. "Noi abbiamo tutte le buone intenzioni di venirgli incontro. Nemmeno un cenno, pu fare?" "Niente." "Ma allora, che venuto a fare?" esclam Anna. "Perch ha insistito tanto con mio marito?" "Basta la presenza" fece Matilde, con indulgenza. Dall'esterno arriv Zorapide, che portava a fatica il busto dell'eroe. "Generale," disse a Fulcs "le autorit sono arrivate. Non si

aspettano che lor signori, per la cerimonia." La carrozzetta col comandante Kapel, spinta dall'attendente, s'avvi, seguita dagli altri. Zorapide f cenno a Matilde. "Signora!" "Che c'?" "Dove lo mettiamo?" "Che cosa?" "Il test... il busto." "Dove vi pare" fece Matilde. "Nel corridoio. Anzi, no. Nella nostra stanza." "Benissimo" disse Zorapide, e pass nell'interno dell'appartamento, borbottando: "Cambia idea a ogni momento". Matilde si tenne un po'"indietro dal corteo, per fare un cenno interrogativo a Nicola. "E tu?" gli disse a bassa voce. "Io resto qui" disse Nicola. "E" meglio non mi si veda accanto al monumento." "Ma non somiglia affatto. Il busto l'ho fatto togliere." "Meglio che io resti qui. Non si sa mai." "Va bene. Ci vediamo fra poco." La generalessa raggiunse il gruppo. Nicola non rimase solo che pochi istanti, perch quasi immediatamente la sorella s'affacci titubante dalla porta da cui era uscita un momento prima e, accertatasi che non c'erano altri, entr. "Nicola!" disse con voce supplice. "Che c'?" fece Nicola, un po'"stupito per il tono. "Per me, poi, sarebbe la rovina!" "Che cosa?" "Mio marito direttore dell'Ene, l'Ente Nazionale Eroi." "Credo che non sia mai stato sotto le armi" osserv Nicola stupito. "Infatti," disse la sorella "ma ha avuto il posto perch tuo cognato e genero di pap. Se si viene a sapere che sei vivo, perde il posto. Lo licenziano. E, se lo licenziano, mi pianta. Mi ha sposato per avere quel posto. Sai, non cattivo." "S, lo so, lo conosco." "E come lo conosci?" "Per tutta questa faccenda, sono stato in rapporti con lui. Ci siamo scritti e incontrati. Mi pareva di avertelo detto." "S' dato molto da fare, infatti, per convincere pap." "Come no? Per indurre il suocero a concedere il perdono, s' fatto dare dal comandante Kapel una somma a titolo rimborso spese. Gliel'ho versata io." "Oh, mascalzone! Dovevo immaginarlo. S' battuto come un leone. Per niente non l'avrebbe fatto. E adesso sta scialacquando quattrini con l'amante." Anna si mise a piangere. "E" una canaglia" disse. "Me ne ha fatte di tutti i colori. Io non dico niente per non dare altri dispiaceri a pap e a mamma, ma la mia vita un inferno." "Mi dispiace." "A lui non bisogna dire chi sei tu. Per carit. Il meno che potrebbe fare ricattarci." "Non gli diremo niente," disse Nicola "stai tranquilla. Ma adesso v anche tu a perdonare Kapel. In fondo gli devi qualche cosa." "Mi raccomando" supplic Anna. "Fallo per quella creatura innocente." "St tranquilla" disse Nicola. "E non farti veder piangere." "Anzi. Crederanno che piango di commozione." "Giusto. Ma adesso v, ch sta arrivando qualcuno."

Un po'"rasserenata, Anna usc per raggiungere il palco delle autorit. Chi stava arrivando, era il cavalier Zorapide, sempre indaffarato. "Ma sa che lei stato formidabile?" disse a Nicola. "La moglie del generale sembra un'altra. Lei deve dirmi come ha fatto a cambiarla cos." "S' resa conto" fece Nicola, modesto. "E, scusi, si hanno notizie del mio braccio?" "Ancora non siamo riusciti a pescare Raimondo" disse il bravo conservatore. "Ma non dubiti, appena finita la cerimonia, riprenderemo le ricerche." "Grazie, mi far un gran favore." "A proposito, non m'ha detto ancora come perse il braccio buono." "Ah," disse Nicola con noncuranza "una congiura." "Una congiura?" "S. E" una storia un po'"lunga." "Me la racconti. Tanto, anche la cerimonia andr per le lunghe." "E lei non va?" "Le dir: ne ho una barba, io. Sono quindici anni che si fa." "E allora le dir. Ero stato arrestato per ragioni politiche." "Sovversivo?" "Macch. Mi trovai coinvolto per caso. Immagini ora..." A questo punto passiamo a mostrare direttamente quel che il giovane narr, nel seguente dramma intitolato: Il braccio ATTO I La prigione di St" Gail, in una republichetta di cui non ricordo il nome, desolata dal vento a pi del Cerro San Antonio, quasi fuor del mondo, un carcere alla buona, in cui si vive come in famiglia. Ruggero, l'allampanato direttore, per i detenuti quasi un padre, severo, ma giusto. La sua giovine moglie, Angelica di nome e di fatto, un'adorabile, mite creatura bionda e infelice, la buona fata del carcere, che spesso intercede per mitigare una punizione, per sedare un malcontento. Verso l'ora del tramonto, finite le opre del giorno, quando i detenuti, nelle loro celle, si preparano ad affrontare la lunga triste notte del carcere, moglie e marito scendono in cortile per respirare una boccata d'aria e dedicarsi alle loro piccole occupazioni personali, e allora la scena diventa idillica. Lui, che alle sue dure funzioni alterna per diletto la passione per la floricultura e il giardinaggio, nella sua palandrana color tabacco, troppo lunga e larga, diligentemente innaffia i fiori, che in grami vasi, tra una statuina di Eros alato e una fontanina dal sottile zampillo verticale, menano una vita stentata. Grame pianticelle, prigioniere anch'esse, che anelano quell'unica ora del giorno in cui un pallido raggio di sole scende nel tetro luogo ed per esse quello che per i prigionieri l'ora dell'aria. Quell'ultimo raggio che sta per scomparire dietro il Cerro San Antonio, cedendo il passo al buio, nel vento desolato, sconsolato, che scende gemendo dalle gole dei monti a spazzare le lunghe deserte diritte strade della povera cittadina quasi fuori del mondo, coi suoi rari passanti frettolosi intabarrati e i suoi piccoli lustrascarpe accoccolati fra i loro stracci e quasi stracci essi stessi, pare affacciarsi nel cortile per dire: "Buona notte e siate buoni, poveri carcerati!". Mentre, nell'aria chiara del crepuscolo, s'accende quasi diafano il gigantesco Crocifisso in cima al Cerro, Angelica, come ogni giorno a quell'ora, seduta davanti all'arcolaio, presso un tavolino ingombro di registri e carte del marito, lavora a un suo interminabile ricamo, cantando certe vecchie canzoni romantiche, che fanno stringere il

cuore a tutti i carcerati in invisibile ascolto nelle loro celle, dietro le finestre schermate, a imbuto. Brava gente anch'essi, in fondo, poveracci. Dal fondo di quella specie di pozzo che il cortile, il canto sale lungo le mura, verso il cielo, anch'esso anelando la libert. "Bel cavaliere, disse la fanciulla,@ bel cavaliere, portami con te...@" Angelica interrompe il canto, per sospirare. "Che vita!" esclama, agucchiando al suo ricamo. Il marito volge il capo verso di lei, tenendo fermo l'innaffiatoio sollevato. "Resisti ancora un po'," dice con dolcezza "presto ci manderanno all'ergastolo." "Bella prospettiva!" sospira Angelica. "Come direttore" aggiunge Ruggero, sospendendo di nuovo per un momento l'innaffiamento dei fiori. "E questo il guaio" dice Angelica, continuando a ricamare. "Almeno, come detenuti c' la speranza d'un condono, della grazia, si pu tentare un'evasione." "Salvognuno" mormora il marito, sul quale la parola evasione fa un effetto terrificante. "Ma noi," seguita la giovine donna, continuando a lavorare, "niente. Condannati a vita. Che prospettiva, la nostra! In cui si teme, come la maggior jattura, d'esser dimessi dal carcere. E si spera nell'ergastolo." "E" logico," fa il marito, sorridendo, " la mia carriera. Vorrei vedere." "Mi sai dire che differenza c' fra la mia vita e quella dei detenuti? Dormiamo sotto lo stesso tetto, mangiamo sotto lo stesso tetto, viviamo sotto lo stesso tetto. L'unica differenza che, invece che in una camerata o in una cella, viviamo in un appartamento. E che l'ora dell'aria, invece che nel cortile, posso averla fuori. Ma sempre qui debbo tornare. Almeno i detenuti sanno che, dopo un certo tempo, usciranno, se ne andranno." Angelica si rimette a lavorare, canticchiando tristemente: "Bella fanciulla, disse il cavaliere,@ bella fanciulla, vieni via con me!@". Il canto s'interrompe. S'ode avvicinarsi, dagli oscuri meandri del carcere, un fragore chioccio di ferraglie. Grosse chiavi girano in serrature, catenacci scorrono, e finalmente, con un cigolio pi acuto, si schiude brevemente la cancellata che separa il cortile dalla rampa elicoidale con relativi bracci, celle, e inferriate, e un secondino lascia uscire un giovinotto nel quale si riconoscerebbe Nicola di qualche anno pi giovane che al tempo del nostro racconto. Egli si dirige verso il direttore del carcere. Ha il suo bravo arto artificiale a posto e il fagottello delle sue robe. "Direttore," dice, mettendosi sull'attenti, "vengo a prendere congedo." "Ah, gi," fa il direttore, posando l'innaffiatoio e asciugandosi le mani al grembiule, "oggi avete finito di scontare la vostra pena." Va al tavolo, apre un registro. "Una firma" dice. Porge una penna al giovane. "Ma che fate?" grida, guardando di sulle spalle di lui quello che Nicola sta scrivendo. "Scrivo un pensiero" fa il giovine. E legge ad alta voce, compiaciuto: ""Porto meco imperituro il ricordo del tratto squisito..."". "Ma siete matto? L'avete preso per un albergo? Solo la firma. E l'impronta digitale. E" il regolamento."

"Scusi, scusi. Credevo." Nicola firma. "Allora," dice "grazie di tutto." "Di che? Dovere" fa Ruggero, burbanzoso, per non mostrare che un po' commosso, come ogni volta che parte uno di quelli che, nei discorsi privati, egli si compiace di chiamare "i miei ragazzi". "Beato lei che se ne va" esclama Angelica, sollevando gli occhi dal ricamo, e guardando il giovine. E" anche lui un po'"commosso. Il direttore non rinunzia al discorsetto di rito. "Voglio sperare," dice "che comincerete una nuova vita, e vi asterrete d'ora in poi da manifestazioni sediziose, moti di piazza, e compagnia bella." "Fu un equivoco," fa il giovane "gliel'ho gi spiegato." "Va bene, va bene," borbotta il direttore, burbero non senza sforzo, "dicono tutti cos. Sono momenti di torbidi politici e conviene evitare i minimi pretesti. Ora andate, ch si fa tardi e non vorrei che vi capitasse qualcosa, figliolo, qualche brutto incontro. Fuori di qui, non c' da stare punto tranquilli." Di nuovo Nicola s'irrigidisce sull'attenti, facendo battere i tacchi. "Riverisco" dice. Improvvisamente il braccio destro, ortopedico, per un guasto della molla, scatta in alto col pugno chiuso, come nel saluto comunista. Anche il direttore scatta, come lo mordesse la tarantola. "Ah, no, eh?" dice. "Ah, no! E dicevate ch'era stato un equivoco. Ma con me non attacca. Avete sbagliato. Niente da fare." "Che c'?" domanda Angelica, alzando gli occhi dal lavoro. "C' che l'amico comunista" spiega il marito. "Non vedi? Fa il saluto col pugno chiuso, in alto." "Che comunista!" esclama Nicola. "Mi si ancora una volta guastata la molla del braccio ortopedico, come quando fui arrestato. Fui arrestato proprio per questo. E" un difetto di fabbricazione. Ogni tanto scatta." "E sempre nei momenti meno adatti, mi pare" osserva Ruggero. A un tratto tende l'orecchio a un brusio minaccioso. S'odono all'esterno avvicinarsi, sempre pi distinte, grida di: "A morte!", "Alla lanterna!". "Sentite?" dice Ruggero, diventato pallido. "Ancora un tumulto di piazza. Moti sediziosi. Bastonate, al solito." Dall'esterno vengono battuti colpi violenti alla porta e s'odono grida: "Aprite! Veniamo a liberare i detenuti politici!" "Che nessuno apra!" ordina il direttore, con voce terribile. E a Nicola, che continua a stare col braccio alzato: "Ma volete metter gi quel braccio? Vi prenderanno per comunista. Volete comprometterci tutti?" "Le ho spiegato che mi si incagliato il meccanismo, direttore" esclama Nicola, cercando di mettere a posto il braccio finto, senza riuscirci. "Ma mettetelo gi!" grida Ruggero. "S' incantata la molla. Non si riesce ad abbassarlo." "Volete provocare un pandemonio con quel pugno chiuso? Aprite almeno il pugno. Cos!" Ruggero s'alza sulla punta dei piedi e allungandosi apre a forza il pugno ortopedico di Nicola. Ma, dalla padella nella brace: adesso il braccio alzato e la mano aperta e tesa. "Per carit!" esclama il direttore del carcere, coprendosi gli occhi inorridito. "Questo il saluto fascista. Volete far succedere il finimondo, con quella mano aperta?"

"Aiutatemi a richiuderla, per favore!" mugola Nicola, sforzandosi con la mano buona di chiudere quella artificiale. "Adesso," geme Ruggero, che suda freddo, unendo i suoi agli sforzi del giovane, "non si riesce pi a chiuderla." "B, b," fa Nicola ansante per lo sforzo fatto e desistendo dai tentativi, "poco male. Visto che, mio malgrado, con questo braccio fo il saluto fascista, con l'altro far il saluto comunista, e siamo a posto, l'equilibrio ristabilito." "Per carit!" sbuffa il direttore del carcere. "Vi piglieranno per un opportunista e saran dolori, per voi e per noi." "Allora," interviene Angelica, accorrendo, "facciamo cos: mezzo aperta e mezzo chiusa." Alzandosi sulle punte dei piedi, ripiega con le sue manine gentili alcune delle dita ortopediche. "Per l'amor del cielo!" strepita Ruggero. In cima al braccio teso verso l'alto, si vedono ora l'indice e il medio della mano ortopedica aperte a "v". "Questo il "Victory" di Churchill" geme Ruggero. "Vi prenderanno per un guerrafondaio, antipacifista, anglofilo, colonialista. Stringete quelle due dita!" "Cos" dice Angelica. E facendo un salto, stringe le due dita artificiali di Nicola. "Per carit!" sbraita Ruggero sempre pi spaventato. "Quella la benedizione, roba da preti, vi prenderanno per democristiano, papista, clericale." Difatti ora l'indice e il medio sono alzati, tesi, ma uniti, nella mano levata in alto, come a benedire. Nicola d una botta al braccio. "Maledetto!" esclama. Cerca di rimettere a posto l'arto artificiale, stringendolo con la sinistra alla piegatura dell'avambraccio e involontariamente l'arto, col pugno che s' richiuso, si mette a fare oscillare l'avambraccio, come facendo il gesto fallico. "Disgraziato!" grida Ruggero. "Questo un gesto offensivo, sconveniente. Volete provocarli? Farli inferocire?" "E allora," grida Nicola seccato, al braccio ribelle, "crepa!" Spazientito, d un colpo violento all'arto finto, che rotea e poi si ferma in una posizione scontorta, impossibile, come un fumaiolo di stufa a gomito, che gli spunti dietro la schiena. "Ma questa una posizione innaturale!" esclama Angelica. "Meglio innaturale che provocatoria!" rugge Ruggero. S'ode una detonazione. Una bomba ha abbattuto la porta e un'orda di scalmanati, con le camicie lacere, a brandelli, e i ceffi patibolari irrompe nel cortile della prigione, con le armi puntate. "Rivoluzione! A morte!" gridano. Alla vista di Nicola al centro del cortile col braccio nella strana posizione, l'orda degli invasori si ferma, stupita, incerta. "Non il saluto fascista" mormora uno dei rivoltosi alludendo al braccio di Nicola. "E nemmeno il saluto comunista" esclama un secondo. "Dev'essere un nuovo partito" fa qualcuno. "Forse quello che attendiamo da anni." E un altro: "Una nuova idealit". "Ma se quello non lo conosciamo nemmeno!" "Appunto." I rivoluzionari guardano stupefatti, increduli, speranzosi. "E" maraviglioso" fa quello che sembra il capo. "Guardate com' nuovo." "Non s' mai visto un saluto simile." "Chi riuscirebbe a farlo?"

"Questo s, che significa rovesciare la situazione!" "Se lo acclamassimo nostro capo?" Uno degli scalmanati si volge indietro, al grosso dei dimostranti. "Compagni!" grida. "E" lui! L'uomo del destino! Il nostro condottiero!" Segue un attimo di sospensione sbalordita. E, poi, un grido che fa tremare i vetri delle finestre e si ripercuote lontano, fin quasi nelle gole sperdute fra i monti, del Cerro San Antonio. "Viva il nostro condottiero!" "Evviva!" ripetono tutti. "Evviva!" ripetono echi lontani, mentre Nicola, sollevato di peso, viene portato fuori, a spalla, in trionfo. ATTO II A pi del Cerro San Antonio, fra le gole dei monti desolate dal vento che la notte scende sconsolatamente a spazzare le lunghe, diritte, deserte vie della citt sperduta, quasi fuori del mondo, un paese povero, ma molto povero, di povera gente e di piccoli lustrascarpe accoccolati fra i loro stracci sui marciapiedi, alla porta dei caff e degli alberghi; un paese povero che ha voluto anch'esso fare la sua piccola rivoluzione, ma non sa farla. Sognava da anni anch'esso le sue piccole fucilazioni, le sue piccole deportazioni. Non arrivava a sognare anche una camera a gas, questi son lussi da paesi ricchi, ed esso troppo poca cosa, per aspirare a tanto. Ma una sua piccola Ghestapo, una sua piccola Ghepe, una sua piccola Ceka, s, le sognava anch'esso. E cos s' contentato di quel saluto straordinario. E" tutto il lusso che pu permettersi. Non ha un grande apparato organizzativo, n cellule, n legioni, n armi nascoste, n agitprop. Ma sul terreno del saluto non lo batte nessuno. Qualche giorno dopo, nell'anticamera della Scuola del Saluto, allievi sono seduti sulle panche, lungo le pareti in attesa. Sono prevalentemente uomini anziani, tipi di professionisti col braccio in strana posizione. Dalla stanza accanto, s'ode venire la voce dell'istruttore che sta istruendo gli allievi: "Uno, due, tre, quattro... Uno, due, tre, quattro...". S'ode un urlo di dolore. "Sente?" dice uno degli allievi in attesa, a un vicino. "Sente? dev'essere terribile." "Eh, lo so" fa l'altro. E continua a provare il saluto davanti allo specchio. "Anche lei?" domanda il primo che ha parlato. E l'altro, alludendo al proprio braccio: "Mezzo stroppiato". "Siamo tutti mezzo stroppiati" mormora il primo. "Non poteva capitarci di peggio." "L'abbiamo voluto noi." "Si debbono vedere delle persone serie, dei professionisti costretti a venire alla Scuola del Saluto, nelle mani di questo maledetto istruttore." Urlo di dolore dalla stanza accanto. "Sente? E" un macellaio. Non se ne pu pi." "Sssss! Non si faccia sentire." Quegli che parla accenna agli altri in attesa e aggiunge ad alta voce: "E" un gran bel saluto". "S" fa l'altro "riconosco che il saluto bello, ma non da tutti." "Sss!" fa di nuovo il primo. L'altro alza le spalle. "La pensano tutti come me" dice a bassa voce.

"Lo so" dice il primo. "Ma non lo dicono." "Perch non gli conviene. Vede quello laggi? E" un opportunista, un profittatore." "L'altro, no, lo conosco. E" un puro." "Quello un fanatico pronto al martirio." "D'altronde, necessario, altrimenti non si vive." "Si deve vedere che alla presidenza della Tv hanno messo uno che si esibiva negli avanspettacoli." "S, ma era un contorsionista. Sa fare il saluto in modo perfetto." "Meglio del migliore?" "No, meglio del migliore, nessuno. Il migliore migliore di tutti." "S, non abbiamo mai avuto un migliore migliore di questo. Il precedente migliore era peggiore." "Non vero. Il precedente migliore era migliore. Adesso il migliore questo, ma un migliore peggiore dell'altro." "Crede davvero che l'altro migliore era migliore?" "Senza dubbio. Questo un migliore peggiore." "Credo anch'io. E" il peggior migliore che abbiamo avuto." "E non c' speranza che questo migliore migliori." "Il precedente stato il miglior migliore che si sia mai visto." "E questo, adesso, vuole anche un contributo di miglioria!" "Lo so. Chiede dei miglioramenti. L'altro giorno avevo avuto qualche speranza, perch c'era stato un bollettino che annunciava: "Il migliore migliora". M'ero illuso. Ma ben presto ho saputo: si alludeva alla sua salute. Il migliore aveva il raffreddore e, in seguito a un'energica cura, migliorava." "Che cura ha fatto?" "Aspirina." "Eh, ci vuol altro!" "Lo so. E questo il guaio. Intanto, le prigioni rigurgitano di disgraziati che non riescono a fare il saluto." "E gli ospedali, di disgraziati che ci sono riusciti." "Parliamo piano. Ci ascoltano. I muri hanno orecchie." "L'Occhio di Formica ci guarda." "L'Occhio di Formica?" "S. Non potendo avere l'Occhio di Mosca, qui hanno fatto l'Occhio di Formica. Ma acqua in bocca." "Ci sarebbe un sistema" interloquisce uno dei vicini. "Cio?" "Farsi tagliare il braccio e sostituirlo con un arto ortopedico." "T!" esclama l'altro facendo il gesto fallico. "Per carit, non vi fate vedere!" bisbiglia un vecchietto. "Crederanno che mi stia esercitando nel saluto" dice quegli del gesto. "E allora esercitatevi" dice il vecchietto. "Io m'esercito tutto il giorno davanti allo specchio." E" vero. Da che nell'anticamera, il vecchietto ha occupato il posto davanti allo specchio e non fa che esercitarsi a fare il saluto. "Scusi, sa," gli dice un tipo nervoso, avvicinandosi, "se permette. Sta sempre lei davanti allo specchio." E aggiunge, beffardo: "Con certi risultati, poi." "Che cosa vuole insinuare?" salta su il vecchietto inviperito. "Oh, niente" fa il tipo nervoso. "Trovo soltanto, mi scusi, sa, che le sue posizioni sono molto strane." "Caro signore," ringhia l'altro "se avessi gi imparato, non starei qui." "Ma ci sono anche gli altri, se permette" dice il tipo nervoso.

Al battibecco, s'affaccia dalla stanza accanto l'istruttore. "Che cos' questo chiasso, disgraziati!" ringhia. "Non sapete che oggi abbiamo la visita del migliore? Eccolo!" Squilli di tromba, colpo di cannone, rullo di tamburo. Gli allievi si schierano in attesa, tremebondi. Segue un silenzio di tomba. Si sentirebbe volare una mosca. ATTO III Nel silenzio, entra Nicola, accompagnato da Ruggero, che diventato il capo della polizia. Nicola, che ha il braccio ortopedico in posizione di saluto, cio di fumaiolo, passa in rivista la schiera. Tutti, con grande sforzo e spasimo, tentano di mettere il braccio nella stessa difficile posizione di quello di Nicola, meno il primo della fila, che sta curvo in un normale cerimonioso inchino. "E voi," dice a costui Ruggero, feroce e fanatico, "perch non fate il saluto nazionale?" "Esentato" fa costui. "Ho il certificato medico." Estrae e consegna un foglio a Ruggero, che legge a mezza voce: ""Il signor Mattia Rildoli esentato dal saluto, essendo affetto da reuma ribelle"." "Ribelle?" fa, sospettoso. "Il reuma ribelle, non io, beninteso" dice quegli. "Eh," fa Ruggero "sappiamo come vanno queste cose. Si comincia col braccio, e poi la ribellione s'estende." Il reumatizzato trema dallo spavento. "Il reuma s'estende" balbetta. "Fate vedere" ordina l'istruttore. Gli afferra il braccio e glielo articola. Il disgraziato emette un urlo di dolore. "Funzionalit perfetta" dice l'istruttore. "Come vi permettete di farvi esentare? Salutate!" Il poveretto fa un profondo inchino. "Riverisco" dice. E fa per ritirarsi, pensando d'essersela cavata a buon mercato e reiterando gl'inchini e abbozzando saluti a destra e a manca. Ruggero scuote il capo, severo. "Saluti..." dice. "Cordiali" completa il reumatizzato, cercando di ammansirlo con un sorriso servile. "Reazionari!" corregge Ruggero, con durezza. "Superati. Ma badate che l'Occhio di Formica vi osserva." "Giuro..." balbetta il reumatizzato. "E allora perch non fate il saluto?" grida Ruggero. "Mi sforzo, compagno, ma pi di cos non mi riesce" balbetta l'altro. "Arrivo fino all'inchino. E s che ho l'artrite." Interviene l'istruttore con autorit. "Guardate," dice "cos: uno, due, tre, quattro..." Ad ogni numero, complica di pi la posizione del braccio, e all'ultimo fa con impeto il saluto scontorto, a fumaiolo. Immediatamente d un urlo straziante: "Ahi!...". "Che c'?" fa Nicola. "Mi si slogato il braccio" mugola l'istruttore. "Chiamatemi il medico del pronto soccorso!" "E" una parola" dice uno degli accompagnatori. "Al pronto soccorso non c' nessuno." "Come mai?" domanda Nicola. E l'altro: "Non solo al pronto soccorso, ma in qualsiasi ambulatorio non c' anima viva. Non si trova un chirurgo disponibile." "Toh, toh, toh," fa Nicola "e perch mai?"

"Tutti occupati per slogamenti, distorsioni, strappi muscolari, lussazioni." "Guarda guarda" fa ancora Nicola. "E come mai?" "Il saluto. Sono benemeriti nazionali, martiri del saluto. E anche se ci fossero chirurghi disponibili, figurarsi se si scomodano. Ormai sono tutti arricchiti." "Oh, santo cielo!" continua a lamentarsi l'istruttore. "Ohi, ohi, ohi! Accidenti al saluto nazionale!" Se ne va sagrando, trascinato via da sgherri. "Che ha detto?" domanda Nicola a Ruggero. "Accidenti al saluto nazionale" fa l'altro. "Lo sottoporrete al lavaggio del cervello." "S, compagno." "Come lo praticate qui?" "Che cosa?" "Il lavaggio del cervello." "Al solito: acqua e sapone. E spazzola, naturalmente." "Naturalmente." "Se questo primo lavaggio non riesce, se, cio, dopo di esso il paziente non la pensa come noi, si taglia la testa e la si manda in lavanderia." "Benissimo." "Ma di solito basta il lavaggio che facciamo noi." "Bene." "Certo," fa Ruggero sospirando " un lavoro che non d tregua. Il popolo mormora." "Ah, s?" domanda Nicola. "Che dice, che dice di bello? Di che si lamenta?" "Del saluto, che troppo difficile, anzitutto." "E poi?" "Come sapete, quando ci fu il colpo di Stato, invece di liberare il reparto detenuti politici..." "Per errore fu liberato quello dei ladri, lo so." "Fu un fatale errore" sospira Ruggero. "Erano tutti avanzi di galera, galeotti incalliti. Sono stati una rovina. Ci hanno danneggiato enormemente." "Tutt'altro" fa Nicola, amabilmente. "Fu una fortuna." "Una fortuna?" esclama l'altro sbalordito. "Una fortuna" ripete il migliore. "Un governo di autentici ladri di professione, borsaioli, scassinatori, rapinatori, grassatori di strada maestra, molto meno ladro dei comuni governi che sono oggi al potere in certi paesi." "Questo vero" mormora Ruggero, ammirando una volta di pi l'acutezza del migliore. "In un certo senso," prosegue Nicola "ci siamo messi al corrente coi tempi e, in confronto con qualche altro paese, possiamo dire d'avere una casta politica integerrima." "Non dico di no, non dico di no" fa Ruggero. "Ma, vostra eccellenza m'insegna che, con gli altri governi rubano tutti, mentre, con un governo di ladri di professione, rubano soltanto questi." "E vi pare piccolo vantaggio?" "S, ma, niente da fare per il resto della nazione. Ecco perch i maggiorenti cospirano, mordono il freno." "Lavaggio del cervello anche per loro." "Con tutti i lavaggi del cervello che bisogna fare, non si arriva, non si ha un momento di tregua; notte e giorno, in tutto il paese, acqua, sapone e spazzola, acqua, sapone e spazzola." "E va bene," esclama Nicola con bonomia "adotterete una lavatrice elettrica. Date le disposizioni necessarie." Ruggero saluta e s'avvia, ma subito torna indietro.

"Ah," dice "dimenticavo! Eccellenza compagno, una signora velata chiede di essere ricevuta. Ha un pacco." Nicola aggrotta le ciglia: "Un pacco? Vi siete accertato del contenuto?" domanda. "Non ha voluto" fa Ruggero, aprendo le braccia. "Dice che far vedere soltanto a voi quello che c' dentro; e che un regalo per voi." Nicola rimane un po'"soprappensiero. "Che forma ha questo pacco?" domanda. "Sembra una scatola. Un astuccio. Un po'"come quello in cui gli orchestrali portano il flauto o il clarinetto." Nicola pare tormentato da sentimenti opposti. "Uhm", fa, quasi parlando fra s, "mi sembra strano che costei mi porti in regalo un flauto o un clarinetto." "Ora che ci penso," riprende Ruggero "somiglia anche a quegli astucci un po'"tozzi, in cui i cacciatori di camoscio portano il fucile di precisione, munito di cannocchiale, con la canna ripiegata." "Ahi" fa Nicola. "Potrebb'essere un'attentatrice" esclama Ruggero. "Bench anche questo mi sembri un po'"strano," mormora Nicola, pensoso; "che un'attentatrice venga a commettere un attentato con un'arma vistosa come un fucile. E, poi, ripiegato, chiuso in un astuccio. Occorrerebbe aprire l'astuccio, tirar fuori il fucile, raddrizzarlo, puntare, mirando nel cannocchiale... E che farei io, in tutto questo tempo? Starei ad aspettare il colpo? O addirittura mi metterei in posa, per facilitare il bersaglio?" "E poi," arrischia Ruggero "sarebbe del tutto ingiustificato l'uso del cannocchiale. Uno che intende usare il cannocchiale per colpir giusto la vittima, non chiede d'esser ricevuto da questa. Prende la mira di lontano. Sarebbe ridicolo usare il fucile a cannocchiale per un colpo alla tempia. Comunque, bisogna stare in guardia. Per il bene della nazione. Debbo farla arrestare?" "No" dice Nicola. "Potrebb'essere realmente un flauto, e ci copriremmo di ridicolo. Oltre che privarci dell'occasione d'udire della buona musica." "Il che ci renderebbe anche pi ridicoli" osserva Ruggero. "Il ridicolo schiacci pi che una bomba." "Antica verit." "S. Ma io preferisco il ridicolo." "Oggigiorno tutti preferiscono il ridicolo." "S. Ma non occorre arrestare subito. Staremo a vedere. Fate adottare la formazione B-12." "Vitamina?" "No. Quella adottata in permanenza" dice Ruggero. "Anche in questo momento, dietro ogni tenda c' un poliziotto in vedetta. Invisibili mitra sono puntati sulla poltrona del visitatore, pronti a far fuoco al minimo allarme." "Ah, per questo" fa Nicola "voi non vi mettete mai al posto dei visitatori. Credevo lo faceste per modestia." "No. Non si sa mai" dice Ruggero. "Potrebbe partire un colpo per isbaglio." "O magari a ragion veduta." "E" pi che giusto. Farete aggiungere un artificiere per disinnescare eventualmente l'ordigno, ove si trattasse di bomba. Fate passare la visitatrice." "Bene, capo." Ruggero saluta ed esce. ATTO IV Appare sulla porta la dama velata.

Nicola, tra s: "Alta, solenne, vestita di nero... Parvemi riveder nonna Lucia...". Alla dama: "Venite avanti, signora!". Angelica: "Grazie". Non si muove. Nicola: "Venite avanti, vi dico. Sedete". Indica la poltrona dei visitatori. Angelica alza l'indice: "No, no, no, caro. Sedete voi l". Nicola trasalendo, fra s: "Questa voce... Dove l'ho gi udita?". Angelica, sempre con lo stesso tono di dolce presa in giro: "Non si sa mai. Potrebbe partire un colpo per isbaglio". Nicola: "Ma...". Angelica si curva un po'"verso di lui e canticchia con voce dolce, appena accennata: "Bel cavaliere, disse la fanciulla,@ bel cavaliere, portami con te!@". Nicola, con slancio: "Angelica!". Le va incontro festoso. Angelica: "Sono la moglie dell'ex direttore del carcere che ebbe l'onore di ospitarvi, e che voi avete nominato capo della polizia". Solleva il velo che le copre il volto e sotto il quale appaiono le dolci fattezze della moglie di Ruggero. Nicola: "Ecco perch siete cos bene informata circa la poltrona dei visitatori e i rischi che essa comporta. Tirer le orecchie al mio capo della polizia, che rivela i segreti di Stato". Si curva sul citofono che ha sopra il tavolo. Con voce tagliente: "Compagno Ruggero! Non voglio essere disturbato per nessuna ragione". S'ode la vocina di Ruggero attraverso l'apparecchio: "Nemmeno da me?". Nicola (come sopra): "Soprattutto da voi. Fate smontare completamente il dispositivo B-12". La voce di Ruggero: "Bene, compagno eccellenza. Ma non sar imprudente?". Nicola, seccamente: "Occupatevi dei fatti vostri". Chiude il citofono. Angelica, sedendo sulla poltrona dei visitatori: "Questa dell'artificiere dev'essere un'idea di quell'imbecille di mio marito. Ma veniamo a noi. Tutto fu cos rapido, cos travolgente, quel giorno! Avrei voluto dirvi tante cose. I primi tempi non ebbi il coraggio di venire da voi. Siete cos in alto, ora!". Nicola fa un gesto come per dire: "Sciocchezze!". Angelica: "Ma oggi mi sono fatta coraggio, ed eccomi qua. Debbo dirvi tutto". Improvvisamente si mette a piangere. Nicola, premuroso: "Che avete?". Angelica, asciugando l'angolo d'un occhio con la punta d'un fazzolettino profumato: "Durante la vostra permanenza sotto il mio tetto, un sentimento per voi s' fatto strada nel mio cuore". "Via, via, non sono cos ingenuo. Ora sono in alto, e voi... come tutti..." "Vi giuro!" "Ma dite sul serio?" "Ve ne d la prova; vengo a dirvi, Nicola, che la nazione stanca." "Di che cosa?" Angelica: "Di questo saluto, bello, s, nobile fin che si vuole, ma troppo difficile e doloroso. Troppa gente non all'altezza di esso. Met della nazione ha il braccio al collo. Che succederebbe se scoppiasse la guerra? Chi andrebbe a combattere? Chi potrebbe usare il fucile, con un braccio slogato?". Si protende verso Nicola. "Nicola, vi supplico per il vostro bene: cambiate saluto." Nicola, con voce sorda e grave: "Angelica! Mi stupisce che siate

proprio voi a dirmi una cosa simile. Voi lo sapete benissimo, siete la sola, con vostro marito a saperlo: mi si incagliata la molla". "E con questo?" "Il braccio non torna pi a posto". Si protende verso Angelica e con voce soffocata: "Ma sapete che sono costretto a dormire col braccio in questa posizione?". "Fate riparare la molla." "Per carit. Nessuno deve sapere che un braccio finto. E" un segreto che conoscete soltanto voi e vostro marito." "Lo so." "Lo so che lo sapete." "Lo so che sapete che lo so." Nicola: "Ma se lo sapessero gli altri, chi lo sentirebbe il plenum? Il meno che potrebbe capitarmi, sarebbe d'essere accusato di deviazionismo e mandato in una dacia". Con slancio: "E io nella dacia non ci voglio andare!". Angelica apre la scatola che ha con s; la porge a Nicola e: "Perci v'ho portato un braccio nuovo." Nicola: "Anima candida! Sarei accusato di pericoloso revisionismo". Con lo sguardo fisso nel vuoto: "Quando s'imbocca questa strada, bisogna percorrerla fino in fondo. Non si pu tornare indietro". Angelica, con slancio: "E allora fuggite, finch siete ancora in tempo. Fuggir con voi". Nicola: "E vostro marito?". Angelica: "Lo manderete all'ergastolo". Nicola: "Promosso?". Angelica: "Che promosso? Condannato!". Nicola: "Poveraccio, mi sembra una cattiveria. S'aspetta d'essere mandato all'ergastolo, e voi volete invece condannarlo all'ergastolo". Angelica: "E allora non condannatelo all'ergastolo. Lo manderemo all'ergastolo". Nicola: "Condannato?". Angelica: "Promosso. Tanto, siamo l. E" pressappoco la stessa cosa". Nicola firma un decreto. "Ecco il decreto di promozione di vostro marito alla direzione dell'ergastolo. Lo metto in evidenza sul tavolo. E" il mio ultimo atto di governo." Angelica: "Vi aspetter gi in un'automobile chiusa". Nicola: "Bene. V'indicher un'uscita segreta". Premendo un bottone, fa girare un grande quadro alla parete e dietro di esso appare un altro quadro. "O questo? M'aspettavo di veder apparire l'andito buio, caratteristico delle uscite segrete, mascherate da quadri girevoli." Angelica: "Quel cretino di mio marito. E" appassionato di pittura e profitta di tutte le uscite segrete, per raddoppiare il numero dei quadri, mettendone un altro al posto dell'andito buio". Nicola: "Anima d'artista!". Esamina il secondo quadro. "E" un Raffaello?" Angelica: "Macch. E" una volgare imitazione". Nicola: "E per collezionare questa roba, intralcia e rende vani tutti gli accorgimenti clandestini". Angelica: "Ma no, guardate. In un angolino del quadro appuntato un cartellino". Nicola: "Che dice?". Angelica: "Attenzione! Vernice fresca!". Stacca il cartellino. "Sotto di esso c' un altro cartellino con la scritta: "Pregasi non

staccare"". Nicola, con impeto: "Ed io lo stacco!". Stacca il secondo cartellino. "Sotto ce n' un terzo, con la scritta: "Riservato. Personale"". Stacca anche questo. "Sotto ce n' un altro." Legge: ""L'uscita segreta trovasi di fronte. Per aprirla, usare la chiave che nel cassetto"". Con ammirazione, ad Angelica: "Maraviglioso! Sfido io, a trovare la chiave, con tutte queste precauzioni!". Va al cassetto. "Eccola la chiave. Apro la porta. T, dietro questa, invece dell'uscita, c' una grossa freccia indicatrice che indica una manina, con l'indice che addita sulla parete affianco una porticina, che si apre senza bisogno di chiavi o d'altro, e dietro la quale, come vedete, c' l'andito buio che cercavamo." Addita l'andito ad Angelica, cedendole cavallerescamente il passo. "Prego, metto sulla scrivania un cartello a stampa con la scritta "Torno subito", e v'accompagno." Scompare con Angelica nell'andito buio, la cui porta si richiude dietro di lui. ATTO V I due sono appena usciti, che dalla finestra fanno capolino, cauti, il Primo e il Secondo rivoluzionario e, visto che la stanza deserta, saltano dentro. Primo, dopo aver letto il cartello a stampa sul tavolo: "Non c', ma torna subito. Meglio cos. Prenderemo due piccioni a una fava". Cerca sulla tastiera della scrivania il bottone, mormorando: "Capo della polizia... Capo della polizia... Eccolo". Preme il bottone e si nasconde, in attesa, col compagno, dietro una tenda. Entra Ruggero, sollecito. Tra s, vedendo che non c' Nicola: "Toh, mi chiama e non si fa trovare". Vede il cartello. Legge: ""Torno subito"". Vede il decreto che lo riguarda. Raggiante: "La mia nomina!". Mentre la legge, i due rivoluzionari alle sue spalle escono dal nascondiglio, gli saltano addosso e lo immobilizzano. Secondo: "Questo lo mandiamo all'ergastolo". Ruggero: "Grazie. Era il sogno della mia vita". Impallidisce vedendo che gli mettono le manette. "Come direttore..." Primo: "Come galeotto!". Ruggero, imbavagliato e legato, viene buttato fuori. Rimasti soli, i due si scambiano un'occhiata soddisfatta. Primo: "E adesso tocca al tiranno". Secondo: "Ricordati che dobbiamo consegnarlo vivo". Primo: "Lo so. Ci hanno ordinato di colpirlo al braccio del maledetto saluto. Per questo hanno dato l'incarico a noi, tiratori scelti di coltello, infallibili. Cos, quando il braccio sar ferito, ci sar facile afferrare l'uomo e farlo prigioniero. Arriva. Nascondiamoci". Si nascondono dietro la tenda.

Nicola rientra dalla porticina segreta, sempre col braccio in posizione di fumaiolo; va alla scrivania; con la sinistra raccoglie le sue robe. Tra s: "Credo che sia davvero ora di tagliare la corda. Non pi aria per me, qui". Alle sue spalle, non visti da lui, s'affacciano dalla tenda i due rivoluzionari. L'uno prende la mira e lancia il coltello, che si conficca nel braccio destro di Nicola e vi rimane attaccato. Il braccio oscilla, ma, essendo artificiale, Nicola sembra non essersi nemmeno accorto del colpo. Calmissimo, continua a raccogliere le cose da portar via. Alle sue spalle i due rivoluzionari lo guardano esterrefatti e si scambiano occhiate sgomente. Parte un secondo coltello, che si conficca accanto al primo. Questa volta il braccio, colpito nella cerniera, si stacca e cade in terra. Nicola, guardando il braccio caduto; con indifferenza: "Toh, s' staccato. Meglio cos". Passa in un vicino sgabuzzino con l'astuccio lasciatogli da Angelica. I due rivoluzionari si scambiano occhiate di stupore. Primo: "Gli abbiamo staccato il braccio...". Secondo: "E non ha dato segni di sofferenza. E" diabolico". Dallo sgabuzzino viene fuori Nicola, tranquillissimo, col nuovo braccio attaccato. Alle sue spalle, non visti da lui, i due rivoluzionari lo guardano sbalorditi. Primo: "Gli ricresciuto il braccio!". Secondo: "E" il diavolo!". Terrorizzati, svengono. Nicola, voltatosi al grido, li vede, alza le spalle e se ne va tranquillamente, per la porticina segreta. Buio. XI "Attenzione! Attenzione!" tuon l'altoparlante, mentre Nicola terminava il suo racconto, che abbiamo riferito in forma teatrale. "L'ex assediato Raimondo pregato di recarsi in direzione!... L'ex assediato Raimondo pregato di recarsi in direzione!..." Zorapide scosse il capo, desolato. "Benedetto uomo," disse al giovinotto "mi pare che facciamo il gioco dello sproposito. Io volevo sapere come perdeste non quel braccio, ma quello che avevate prima." "Ah," fece Nicola "ve lo dico subito. Dovete sapere..." Zorapide l'interruppe. "Strano," disse, guardando fuori della finestra, "la cerimonia non ancora finita, ma pare che ci sia un'interruzione. Dev'esservi stato qualche imprevisto." "Che cosa?" fece Nicola con apprensione. "Arriva mia moglie correndo" disse Zorapide. "Col braccio?" "Come col braccio? Con le gambe." "Dico se sta arrivando col mio braccio ritrovato." "Ah, credevo che mi domandaste se stava correndo col braccio. Sarebbe stata un fenomeno. No, non ha il braccio." "Ah, poveretta! Come mai?" "Cio, non ha il braccio vostro, ha soltanto i suoi. Il vostro non lo vedo." Corse incontro alla moglie, che entrava. "Che c'?" "Zorapide," fece lei "sta succedendo l'incredibile." "Che altro?"

"Il generale si rifiuta di concedere il perdono al comandante Kapel." "Possibile?" "E" cos. Hanno insistito tutti, ma lui, niente. Non si smuove. Il comandante Kapel continua a fare acqua." "Acqua?" "S, dall'orecchio." "E" il suo modo di piangere. Per una ferita di guerra, ha il condotto lacrimale spostato." "Oh, poveretto." "Ma il generale Fulcs non si commuove. Duro: no, no e no. La cosa strana che fino a stamattina, lui era dispostissimo a perdonare, e chi non voleva perdonare era sua moglie. Adesso, le parti sono invertite. La moglie perdona, ha gi perdonato. Ed lui, adesso, che non vuol perdonare. Eccoli." Entrarono il generale e Matilde. "Luigi, ti prego," diceva la donna "perdonalo." "Ma che debbo perdonare?" fece il generale, stizzito. "Zitto" supplic Matilde. "Sta arrivando." Tutti tacquero, mentre rientrava la carrozzetta spinta dall'attendente, col comandante Kapel stecchito, che emise una serie di mugolii quasi impercettibili. "Lo senti?" disse Matilde. "Ti supplica ancora di concedergli il perdono. Deciditi. Hai visto che io ho perdonato senza farmi tanto pregare." "Tu hai perdonato," fece seccamente il marito "ma io non ho niente da perdonare. Perch nostro figlio vivo!" Matilde sussult, si fece di bragia. "Ma s!" esclam con qualche imbarazzo, cercando di rappezzare la frase del marito. "Lo sappiamo tutti. E" vivo nella gloria. Nella Storia. Che sciocchezze dici?" "Non sono sciocchezze" borbott il marito. "Oh, basta!" grid Matilde. "Perdona immediatamente il comandante Kapel." "Ma di che debbo perdonarlo?" "Di aver dato l'ordine di fucilazione. A questo non puoi rifiutarti." "E va bene, di questo lo perdono." "Oh!" fecero tutti con sollievo. Allora, si vide una scena che nessuno si aspettava. Nicola usc e subito dopo Kapel, fra la sorpresa generale, si alz con impeto, scese dalla carrozzetta agilmente, si tolse gli occhiali neri e li chiuse nell'astuccio con uno schiocco secco. "E" guarito!" mormor Matilde, sbalordita. "Miracolo!" "No" fece Kapel con semplicit e parlando con una scioltezza che nessuno avrebbe sospettato in lui un minuto prima. "Il materialismo non ammette miracoli. La prego, signora, la prego, signor generale, di volermi perdonare anche di questo. Tenevo talmente al loro perdono, che, per ottenerlo, mi sono determinato a fare questa piccola finzione: i miei malanni non erano che una commedia." "Ma comandante!" esclam Matilde con slancio "perch prendersi tutto questo fastidio! Non era necessario arrivare a tanto." "Eh, no" fece Kapel. "Sono convinto che lei specialmente, signora, non mi avrebbe perdonato, se non mi avesse visto in quelle condizioni pietose. Sono convinto che debbo il suo perdono al mio, diciamo cos, espediente." "E invece si sbaglia" scapp detto a Matilde. Che s'affrett a correggersi: "S, forse ha ragione. Vederla in quello stato miserando, mi ha impietosita".

"Vede?" disse Kapel. "Finzione, lo so. Ma che dimostra quanto io tenessi al loro perdono. Sono un soldato, signora, vorr scusarmi. Il fine giustifica i mezzi." "Lo sappiamo, lo sappiamo" fece Matilde, con amarezza. E si pass una mano sulla fronte, quasi a scacciare spaventosi ricordi. "E il suo signor marito," prosegu Kapel "mio eroico collega, soldato valorosissimo, potr spiegarle che non biasimevole il soldato che ricorre a uno stratagemma per vincere una battaglia. Anche Troia..." Matilde dardeggi un'occhiata significativa al marito. "Lo so" disse. "Questa" continu Kapel "era la pi grande battaglia della mia vita, e lo stratagemma nulla toglie al mio sincero pentimento e alla mia sete di espiazione, mi creda, signora." Si port il fazzoletto all'orecchio. "Piange?" fece Matilde. "No, perch?" "Vedo che si asciuga l'orecchio." "Ah, no, un graffio" spieg Kapel. E aggiunse, un po'"confuso: "Anche il condotto lacrimale deviato stata una mia finzione. Una pompettina. Che dimostra sempre pi quanto tenessi al perdono." "Siete un impostore" disse Matilde con scherzosa severit. "Tutta una vita d'espiazione," riprese Kapel "non baster a lavare la mia colpa." Appariva sinceramente commosso. Verit? O finzione anche questa? Non lo sapremo mai. Ma contentiamoci delle apparenze. Come fece Matilde, che: "Bene, bene," disse "tutto bene quel che finisce bene. Mangia un boccone con noi, comandante? Fra poco ci sar il rancio delle autorit." "Grazie, signora," disse Kapel "ma io sono qui unicamente per espiare." "Le dir," disse Matilde a bassa voce "che questo rancio un'espiazione." "Grazie di nuovo, signora. Ma fra poco dovr ripartire." "Signori!" disse Zorapide, ancora sbalordito dal colpo di scena, "vado a sorvegliare i preparativi del rancio." "Eccolo, l'avvelenatore" mormor Matilde, additando Zorapide che usciva in fretta. Messa in euforia dalla piega che avevano preso gli avvenimenti e dal loro felice epilogo, la buona signora cicalava ormai perdutamente col comandante Kapel. "Le dir, comandante," disse "secondo me il difetto nel manico." "Cio?" "Le guerre. Bisognerebbe abolire le guerre." "Eh," fece Kapel scotendo il capo "abolire le guerre. Si fa presto a dirlo. E" vero, generale?" "Che? Ah, s, certo" fece il generale Fulcs che, nell'incalzare degli eventi, ormai si raccapezzava sempre meno. "Bisognerebbe abolire le guerre ingiuste, non le guerre giuste" esclam Kapel. "Ma le guerre si fanno sempre almeno fra due nemici" disse Matilde. "Se da una parte la guerra giusta, dall'altra non pu essere che ingiusta." "Si abolisca soltanto la guerra ingiusta," disse Kapel "e resti soltanto quella giusta." "Ma la guerra non pu essere fatta da uno soltanto, senza il nemico. S'immagina un duello con un solo duellante? Perch resti la guerra giusta, deve restare anche l'ingiusta. Questa la dolorosa brutalit della guerra: che, a farla, bisogna essere sempre almeno in

due. Come l'amore." "Cribbio! Deve restare soltanto la guerra giusta. La nostra. Noi combattiamo per far cessare le guerre ingiuste." "Tutti dicono cos. E" inutile discutere. Piuttosto, mi dica, comandante, mi tolga una curiosit, lei s' mai esercitato al tiro a segno?" "Certamente, signora. Tiro a segno, tiro al poligono, esercitazioni d'artiglieria. Sono l'abbicc del nostro mestiere. Bench io non sia un militare di professione. Io non sono che un rivoluzionario. Ma di queste arti deve saperne bene qualcosa suo marito, no, generale?" "No, certo" s'affrett a dire il generale Fulcs. "Come no?! S, vuol dire." "Cio, s." "Almeno," riprese Matilde "bisognerebbe abolire le fucilazioni." Kapel sussult. "Che?" disse. "Trova preferibili le impiccagioni?" "Cribbio, sono cose orrende." "D'accordo. La sola idea d'un capestro al collo, e della stretta, a me personalmente d, come dire, quasi un senso di soffocazione. Per questo, tutti i miei amici mi prendono in giro, ma io sono fatto cos. Che so, le tonsille, la lingua che viene fuori. E poi l'impiccagione macchinosa. Mentre la fucilazione: pum! E" fatta. Per me, poi, l'impiccagione un enigma, come mezzo di suicidio. Veda in Cecoslovacchia. Tutti miei buoni amici, intendiamoci, ma quello che successo laggi atroce. Alludo alla serie di suicidi di alti personaggi, coinvolti in delitti politici dell'era staliniana. Perfino un medico, accusato d'aver rilasciato certificati falsi. Non voglio sapere se le accuse fossero vere o false, in certi casi; e se, in altri, a spingere al suicidio non sia il rimorso o la paura, o che so io. Parlo del tipo di suicidio." "Capisco." "Per la maggior parte, costoro vennero trovati impiccati a un albero, in una qualche foresta." "Lo so. Che orrore!" "Ora, infiniti sono i modi per togliersi la vita. Talvolta, laggi, in questi casi, si trattava di militari, alti ufficiali, funzionari di polizia, a cui non facevano difetto le armi. Una leggera pressione a un grilletto, o una lama, e tutto sarebbe stato risolto. Per non parlare di veleno, o del comodo e indolore sonnifero, alla portata di chicchessia. Invece, costoro ricorsero all'impiccagione in una foresta: suicidio, lo ammetto, tipico d'una regione di grandi foreste, di castelli, di cacce, di tradizioni feudali dure forse a morire. Ma anche, riconosciamolo, di complicata attuazione, come suicidio. Anzitutto, bisogna equipaggiarsi. Non si va in una foresta, sia pure per suicidarsi, di pieno inverno, come s'andrebbe in ufficio, o al circolo, o a passeggio, o all'Opera. Poi, ci vuole una corda. Una corda piuttosto lunga, e robusta." "Ci vuole un mezzo di trasporto." "Naturalmente. Non si pu raggiungere a piedi una foresta che, per quanto vicina, dista sempre alcuni chilometri da una citt. Ma ammettiamo che l'aspirante suicida superi brillantemente tutte le difficolt preliminari, senza destar sospetti n trovare inciampi. Arriva sul luogo. Qui ti ci voglio. Deve scegliere l'albero. Evidentemente, un albero piuttosto alto, senn il nostro personaggio toccher la terra coi piedi. N pu pensare d'impiccarsi in posizione rattrappita, come fosse seduto in un'immaginaria seggioletta. E un albero forte, con rami robusti. Ch, con un ramo debole, l'aspirante suicida se la caverebbe, temo, con un'ammaccatura, con rispetto parlando, al sedere, o con una caviglia slogata. Accidenti fastidiosi, lo riconosco, ma che sono ben lontani dal procurare la

morte." Kapel s'interruppe un attimo, forse per vedere con la fantasia la scena evocata. "Ma ecco," riprese "trova l'albero adatto, con un ramo all'altezza giusta e della robustezza voluta. Bisogna attaccarci la corda. Lanciarla, come un lazo? E" una parola. Ci si pu riuscire, come ci si pu non riuscire. Perch, tra l'altro, sono tutte cose che per forza bisogna fare da soli. Intanto, dev'essere una corda lunga il doppio del necessario, perch ricada dall'altra parte. E questo, tra parentesi, non fa che accrescere le difficolt iniziali di procurarsi la corda, uscir di casa e avviarsi col grosso rotolo al braccio. Poi, una volta sul luogo, c' da combattere con l'intrico dei rami. Operazione difficile e di dubbio successo, laddove bisogna far le cose bene, se si vuol riuscire nell'intento." "Non resta che arrampicarsi." "E questa la difficolt maggiore, secondo me. Si tratta di persone d'et. Ve li immaginate, un alto funzionario ministeriale, un vecchio magistrato importante, un generale, che s'arrampicano su un albero, come scolaretti che hanno marinato la scuola e vanno a rubare i nidi?" "E, poi, un albero grosso, dal tronco grosso come una colonna." "Ci vorrebbero, a dir poco, i ramponi, ammesso che uno sapesse servirsene. Portarsi una scala? Uno sgabello? Sarebbe l'unico modo per risolvere il problema, se non fosse anche il modo d'accrescere le difficolt iniziali. Come uscir di casa portando, oltre a una lunga e robusta corda arrotolata al braccio, anche una scala in spalla, o quanto meno uno sgabello, senza suscitar sospetti di suicidio?" "B, si potrebbe pensare a uno che vada ad attaccare i manifesti." "Non il caso d'un generale, d'un alto funzionario. E poi la corda, signora mia, la corda! Come la giustificheranno? Per saltare come una fanciulla? Basterebbe una corda molto pi corta e meno robusta. Dato pure che sia verosimile che un alto funzionario vada a saltare con la corda sui prati. N si pu dire che si va a fare lo spazzacamino, che so, o il lampionaio. Perci le dicevo, signora, che, per me, questo tipo di suicidio un enigma." "Eppure c' stata gente che ha adottato questo tipo di suicidio." Kapel fiss il vuoto davanti a s, cogitabondo. "Forse," riprese "l'unica spiegazione questa." "Che, per espiare," azzard la generalessa "si voglia far la morte che si fece fare a chi sa quanti altri?" "No. In certi casi non si tratta di colpevoli, ma di innocenti vittime. Forse, c' perfino una felicit del suicidio. Pensi alla canzone: Vecchio frac." Canticchi: "E" giunta mezzanotte,@ si spengono i rumori,@ si spegne anche l'insegna@ di quell'ultimo caff...@". "Non vedo che cosa c'entri." Kapel, con trasporto: "Pensi all'ultima strofa: "E" giunta ormai l'aurora...@" "Alba, tuffo nel fiume, sole, senso di freschezza, di liberazione. Forse per qualcuno, in certe condizioni, un'ebrezza, una vertigine. Cos nei boschi. Il contatto con la natura. Tornare alle cose pure. Certe sensazioni dell'infanzia...". Generalessa: "Sar". Kapel estrasse l'orologio. "E" l'ora che io tolga il fastidio" disse, alzandosi. "Anzi," fece Matilde "ci ha fatto piacere. Cosicch, non vuol proprio far penitenza con noi?" "Guardi, signora, per farle piacere, accetter il pane del perdono, come fece padre Cristoforo" disse Kapel, curvando umilmente il capo. "Lo dicevo, io, che questo finisce santo" borbott Zorapide che,

indaffarato nei preparativi del cosiddetto rancio delle autorit, andava e veniva dall'interno all'esterno della fortezza. Sogguard il generale Fulcs, mezzo appisolato. "E magari," aggiunse fra i denti "all'inferno va quell'altro. Guardatelo l. Dorme. Se ne infischia del figlio che aveva lasciato fucilare." A un cenno di Matilde, accorse con un panino su un vassoio, che present a Kapel. "Lo conserver per tutta la vita" disse l'ex nemico, prendendo il panino e accingendosi a partire. "Mi permetta di riprendere la mia truccatura..." Improvvisamente rientr Nicola e trasecol alla vista di Kapel non pi invalido. "Ma s," fece Matilde, ridendo, "il comandante Kapel faceva una commedia, per ottenere il nostro perdono." Nicola era diventato gelido. "Comandante Kapel," disse "lei, per anni, ha ingannato il suo paese. Quand' cos, le rivelo che io sono un agente del nostro servizio segreto, messole alle costole con pieni poteri, per sorvegliare le sue mosse." "E crede che non lo sapessi?" fece Kapel. "Tanto meglio" concluse Nicola. "Di fronte alla nuova situazione, la dichiaro in arresto. Mi segua. Anzi, mi preceda." Kapel ebbe un riso beffardo. "Io me ne infischio del vostro servizio segreto" disse. "Anch'io ho da svelarle qualcosa. Da tempo faccio parte della quinta colonna d'una potenza molto pi forte, che ha ramificazioni in tutto il mondo merc le idealit che professa. Mi preceda lei!" "No, lei." "La far fucilare!" "Che?!" grid Matilde, scagliandosi come una belva contro Kapel. "Rinnegato, vigliacco! Fucilare per la seconda volta mio figlio?" "Vostro figlio?" fece Kapel, stupefatto. "Mamma, mamma!" grid Nicola, cercando di far tacere la donna. Ma questa ormai non sentiva nessuno. "S!" grid. "Mio figlio. Sfuggito al plotone d'esecuzione, che non seppe eseguire bene i vostri ordini criminali!" Kapel era livido. "Quel testa di cazzo del sergente Mulga!" ringhi. "Non ne ha mai fatta una buona." "Siete anche volgare" esclam Matilde. "Mi ci tirano per i capelli. Gli avevo tanto raccomandato di far le cose bene, a quel perfetto idiota, pace all'anima sua, quella testa di rapa..." "E non siete contento? Dicevate d'avere il rimorso." "Lo avevo" disse "finch credevo d'aver fatto uccidere l'innocente ragazzo. Invece, sono stato giocato. E adesso..." Cadde a sedere, disfatto. "Adesso, tutta la mia vita d'uomo di parte sconquassata" rantol. "Avevo un posto direttivo nel comitato segreto del partito, perch feci fucilare il ragazzo. Volevano farmi senatore. Adesso, un paio di coglioni, ecco quello che mi daranno." "E chi se ne frega?" strill Matilde, che aveva perso il lume degli occhi. "Matilde," gem il generale "ti supplico." "Ma che vuole, questo rettile?" grid la donna. "Prendilo a calci. Si permette anche il turpiloquio, si permette." "Generale," intervenne il marito "vi proibisco, in presenza di mia moglie..." "E lasciatemi sfogare!" url Kapel. "La mia carriera di

rivoluzionario spezzata, dovr fare l'autocritica." "All'inferno!" strill Matilde, uscendo e trascinandosi dietro Nicola e il marito, mentre Kapel si lasciava andare riverso sulla sedia, ansando. "Permesso?" disse Zorapide. "Finita la cerimonia della riconciliazione?" Vide Kapel stravolto. "Comandante," esclam "che ha, si sente male?" "No. C' un bosco, da queste parti?" fece l'altro, affannoso. "La regione tutta boscosa" fece Zorapide prontamente. "Una boccata d'aria le far bene." "Ho bisogno del contatto con la natura... Tornare alle cose pure... Certe sensazioni dell'infanzia... Avete una corda robusta?" "Subito, comandante!" fece Zorapide, correndo via. "Quest'altro cretino! "Subito, comandante!" Manco gli avessi chiesto un bicchiere d'acqua." "Ecco la corda!" esclam Zorapide, rientrando con una corda da alpinista arrotolata. "Vuol fare un'ascensione?" "S, un'ascensione." "Le far molto bene." "Credo anch'io." Kapel usc curvo, improvvisamente invecchiato di dieci anni. Ma subito rientr. "Scusate" disse a Zorapide, torvo. "Ho bisogno anche d'una scala." "Subito, comandante!" Zorapide part come un razzo. "Razza di cretino, non sa dir altro che: "Subito, comandante!"" "Ecco la scala" fece Zorapide, rientrando, premuroso. "Ma per le scalate..." "Che scalate?" "Per fare eventualmente un ponte di fortuna? Una barella?" "S. Una barella." "C' un ferito?" "Un moribondo." "Mi dispiace, io ho i preparativi della cerimonia, se no verrei a darle una mano." "Grazie. Ah, dimenticavo: avrei anche bisogno d'un pezzo di sapone." "Subito, comandante!" "E insiste, col "subito, comandante"." "Ecco il sapone. E" profumato." "Grazie." "Ah, mi raccomando: dopo che l'ha usata, le sarei grato se mi riportasse la scala, perch mi serve. Con permesso." Mentre Zorapide rientrava con l'abituale leggerezza, Kapel s'avvi curvo, avvilito, coi suoi arnesi. Ma sulla porta si ferm di nuovo. "Non mi riuscir, sono sicuro che non mi riuscir di arrampicarmi su un albero!" mormor sconfortato. "Saranno cinquant'anni che non lo faccio." "Ma che fa?" La voce di Matilde, risuonando improvvisa alle sue spalle, lo riscosse dalle sue tetre riflessioni. La donna era col marito e con Nicola. "E" pazzo?" grid. "Dove va con quella corda e quella scala?" "Ma non capite che sono rovinato di fronte ai compagni? Ero il fucilatore del ragazzo." "Ma, ma, ma, dico! La faccia finita con queste ridicolaggini. Proprio, per voi la vita umana non conta niente?" "La prego, mi lasci andare." La generalessa gli di uno schiaffo.

"Gi questa roba! Via, via, via, non se la prenda. Non diremo niente a nessuno. Nessuno sapr che mio figlio vivo." Kapel parve riaversi. "Davvero?" disse, incredulo. "Cos vuole egli stesso." Kapel si volse a Nicola. "Grazie" disse. "Ci posso contare?" "Assolutamente." "Posso partire tranquillo?" "Se glielo diciamo!" esclam Matilde. "Si fidi. Nessuno dir che questo mio figlio." Kapel consegn il sapone e porse anche il panino. "Lo vuole indietro?" disse a Matilde. La donna alz le spalle. "Lo tenga pure," disse "se le viene fame in viaggio. Anzi. Se vuole anche qualcosa da metterci dentro. Un po'"di salame." "No, grazie" fece Kapel, con un groppo in gola. "Lei molto buona, ma il salame sarebbe troppo e non voglio abusare." S'inchin umilmente. "Addio, signori" disse. Fece per uscire. "Se capita dalle nostre parti," disse il generale Fulcs "ci dia un colpo di telefono." La moglie gli di una gomitata. "Le tue solite uscite infelici" disse. "Non ti basta il colpo di telefono che ti dette quindici anni fa?" Il generale si morse le labbra. Kapel era ancora esitante. "Vi dir una cosa," bisbigli la generalessa "che forse vi dissuader dal far fucilare ulteriormente Nicola. Ricordate la tragica notte in cui veniste a incendiare la nostra casa?" "S. Quanti ricordi! Che spettacolo sublime! le fiamme, il rugghio, i crolli!" "Ricordate che, tra le macerie, trovaste una giovanetta svenuta per lo spavento? Quella giovanetta ero io." "Era lei?" "S. E voi profittaste del mio stato..." "Questo non lo ricordo bene." "Ah, s? Ricordate solo quello che vi fa comodo. Ma sappiate che il vostro turpe delitto ebbe le sue naturali conseguenze, nove mesi dopo." "Nicola?!" "S: quegli che faceste fucilare e ora volevate di nuovo far fucilare!" "Figlio mio!" "Tacete! Non siete degno di pronunziare questa parola." "E suo marito sa?" "Niente!" "Addio, signora!" XII Zorapide entr affannato, al solito, e in preda alla pi grande costernazione. "Signora!" disse drammaticamente, aprendo le braccia, "siamo nei guai." "Che successo?" fece Matilde, allarmata. "S'immagini che, dopo i primi discorsi, il generale ha preso improvvisamente la parola e ha detto: "Eccellenze, signore e signori, ringrazio tutti, ma ho il dovere di dirvi che questa solenne cerimonia, di cui vi ringrazio, non pu farsi, perch c' una lieta novit da annunziarvi: mio figlio vivo! E" di l! La fucilazione non fu potuta eseguire, a causa d'un bombardamento aereo, che uccise

tutti i fucilatori, per errore, e cancell ogni traccia dell'esecuzione, che fu ritenuta eseguita, mentre mio figlio riusc a fuggire e soltanto oggi potuto rientrare in patria. Tutto questo, anche se non menoma la sostanza del suo eroico contegno in quel giorno lontano, rende inammissibile la cerimonia odierna"." "Oh, santo cielo!" esclam Matilde, che aveva ascoltato il racconto con crescente agitazione. "Ed ora che si fa?" "La situazione grave" fece Zorapide, costernato. "Un altro attacco d'arteriosclerosi, l'ho capito subito, e l'ho detto ai presenti. Volevo far fare un'iniezione al generale, ma non s' trovato uno che potesse farla. C' il ministro della Sanit, pensi, che non sa fare un'iniezione! E" il colmo!" "Vado io!" balbett Matilde. E usc in fretta. "Purtroppo," disse Zorapide a Nicola, che aveva assistito impassibile alla scena, "purtroppo, il generale un po'"svanito. Ma dovevate vedere la faccia dello scultore, quando ha detto che il figlio non era stato fucilato. Per poco non gli venuto un accidente, pover uomo. E lo capisco. Sapeste quanto brig, per farsi assegnare il lavoro." "Oh, poveretto." "Fortuna che si trattava delle prove dei discorsi, per la televisione, e che comunque si tratta d'una registrazione. Cos il pezzo incriminato verr tagliato, e tutto salvo." "Meno male." "E avreste dovuto vedere il ministro, che l per l aveva preso per buone le esplosive dichiarazioni del generale. Coi foglietti del discorso in mano, pareva che stesse per mettersi a piangere, quando ha sentito che il figlio del generale non era stato fucilato. Per fortuna, gli ho fatto cenno che il generale un po'"svanito, che il figlio fu fucilato, come tutti sanno, e allora s' rasserenato." Zorapide accese una sigaretta. "Perch," aggiunse "c' tutta una questione politica sotto. La cerimonia la fanno non tanto per onorare il fucilato, quanto per tacciare d'infamia i fucilatori." "Possibile?" "S. Per additarli alla pubblica esecrazione." "Allora," fece Nicola "c' esecrazione, per i fucilatori." "Vi dir" spieg Zorapide. "C' e non c'. Gli avversari del loro partito li esecrano perch ad essi fa gioco tacciarli d'infamia. Il partito dei fucilatori, morde il freno. Il partito avversario ha fatto fare il monumento, perch al potere, e fa le celebrazioni, in vista delle elezioni. Ma state tranquillo che se, per disgrazia, dovesse andare al potere il partito avverso, questo butter gi il monumento, e magari condanner il generale agli arresti in fortezza, come traditore della patria. Ammesso che non fucilino anche lui, per alto tradimento." "Di questi tempi," disse Nicola "non si pu dire con precisione in che consista il tradire e il disertare. Abbiamo visto generali considerati traditori perch avevano disertato, ed altri considerati disertori perch non avevano disertato." "Come sarebbe?" fece Zorapide. "E" una questione di punti di vista," spieg Nicola "e, in certi casi, anche di risultati finali, che posson dare al medesimo atto o fatto un significato, o l'opposto. De Gaulle avrebbe potuto esser considerato un traditore, se le cose fossero andate diversamente." "Invece, considerato un salvatore della patria." "O, almeno, fu considerato un salvatore della patria. Adesso la situazione un po'"cambiata. E chi, a cuor sicuro, potrebbe sostenere realmente che Ptain fosse un traditore della patria?"

"Come no?" fece Zorapide. Nicola scosse il capo. "Forse," disse "il suo unico torto fu di vivere troppo a lungo. Se fosse morto prima, sarebbe restato un eroe nazionale. Novant'anni sono troppi, anche per un eroe, e, in tutto questo tempo, qualcosa di brutto pu capitargli. Non tutti possono avere la fortuna sfacciata d'un Churchill." "B," osserv Zorapide "quello non ha combinato che guai, al proprio paese e agli altri paesi, e guardatelo l. E" rimasto sempre sulla cresta dell'onda. Perfino dopo morto." "Stalin ha resistito finch era vivo." "Perch faceva fucilare tutti, lui." "Bisognerebbe avere la furberia di Nelson, che s'affrett a morire subito appena ebbe vinto." "Diabolico" osserv Zorapide. "Indipendentemente da tutto questo," concluse Nicola "non si pu in ogni caso nemmeno sostenere che Ptain fosse un traditore." Zorapide guard fuori della finestra. "E la morale di tutto questo" borbott " che intanto non si mangia. Erano anni che sognavo di essere accolto al tavolo delle autorit. Una volta che mi capita, guarda che va a succedere. Ci si mette perfino l'arteriosclerosi." Torn a Nicola. "B, b," disse "parliamo di cose serie. Non m'avete ancora detto come perdeste il braccio." "Ah," fece Nicola "il morso d'un pesce. Me lo strapp netto." "Urca. Un pescecane, immagino." "No. Una triglia." "All'anima. Doveva essere una triglia gigante." "No, no. Una normale triglia di scoglio." "E" mai possibile?" fece Zorapide, incredulo. Nicola: "Ero a pesca con la canna. Una triglia di scoglio abbocc. Ma, appunto essendo di scoglio, stava fra gli scogli, sicch il filo s'impigli fra questi e, quando detti la strappata, mi si stacc il braccio. Vidi poi la triglia allontanarsi portandosi a rimorchio il filo, la canna e, attaccato a questa, il braccio che galleggiava, essendo di legno. Ma non mi fu possibile recuperarlo, perch la triglia prese il largo ed io non disponevo d'un natante. Mi dispiacque per il braccio, ma, confesso, forse anche di pi per la triglia". Zorapide si drizz in tutta la sua altezza, cercando di guardare dall'alto in basso il giovinotto. "A parte il fatto," disse, piuttosto sostenuto, "che si tratta sempre del braccio finto, vorrei sapere come mai pescavate con esso, invece che con quello buono." "La pesca a canna" spieg Nicola " uno dei modi migliori d'utilizzare un braccio artificiale. D'altronde, anche la mosca con cui si pesca artificiale." "Ma io volevo sapere" strill Zorapide "come perdeste..." "Ah," fece Nicola "il braccio mio. Ve lo dico subito. Sappiate..." Ma dovette interrompersi. "Scusate un momento," disse "mi pare che venga gente." Dall'esterno, arrivava Matilde col generale, pi che mai scarruffato e con un'espressione svanita. "Devi riposare!" gli ingiunse la moglie, che quasi lo trascinava per il braccio. "Ma non sono stanco" piagnucol il vecchio. "Devi riguardarti!" fece la donna, in tono perentorio. "Ma io sto benissimo" borbott il generale, opponendo una debole

resistenza. "Andiamo!" ordin Matilde. E lo spinse nell'appartamento privato. Poi si volse a Zorapide: "Scusatelo con le autorit" disse. "Non sta bene, l'avete visto anche voi." "L'hanno visto tutti" fece Zorapide. "D'altronde non necessario che lui partecipi a questa parte delle celebrazioni, che comprende, mi pare, la visita delle autorit alla fortezza." "Lo credo bene" fece Zorapide. "Lui la conosce anche troppo, la fortezza." Mentre Matilde raggiunge il generale nell'appartamento privato, Zorapide si volse a Nicola. "Voi meglio che non veniate. Aspettate qui, e quando passa il gruppo delle autorit, cercate di accodarvi e, se qualcuno vi dice qualche cosa, dite che avete la mia autorizzazione. A pi tardi." "E voi non venite?" "L'ho vista decine di volte, la fortezza. Ne ho una barba che non immaginate. Ci sar una guida autorizzata, che fa la spiegazione. Io vado a schiacciare un sonnellino, perch non ne posso pi dalla fatica. Ecco le autorit." Zorapide si fece da parte. "Per di qua, eccellenze, signore" disse, rivolto all'esterno. E mentre il gruppo traversava la stanza, per uscire a sinistra, si profondeva in inchini, ossequiando le autorit man mano che passavano: "Eminenza... Eccellenza... Signor ministro... generale... signor prefetto... signor sindaco... colonnello... maggiore... capitano... tenente... caporale... soldato semplice...". Man mano che il grado diminuiva, diminuiva anche la profondit dell'inchino, che fin per scomparire del tutto a un semplice: "Signore", che chiudeva il corteo e che si riferiva a Nicola, che s'era accodato, scomparendo, dopo gli altri, nella porta che immetteva nell'interno della fortezza. XIII Al solito, a una certa ora, queste sagre celebrative finiscono in una sbornia generale. E" l'ora del pomeriggio avanzato, quando il sole inizia l'arco discendente, le cerimonie, il raduno, le celebrazioni, acquistano un ritmo stanco, le compagnie si sciolgono, se ne formano delle nuove, si vedono in giro sbandati che si cercano, torpedoni in attesa, con i cartelli e le scritte, che cominciano a mettersi in posizione di partenza. Per l'ondulata prateria che circondava la fortezza, si vedevano gruppi di reduci e di ex assediati partecipanti al raduno, che s'erano sbandati, con fiaschi di vino sotto il braccio, bottiglie e colazioni al sacco. Si vedevano vicine e lontane file di reduci che si tenevano sottobraccio in catena, o avanzavano in gruppetti, o a coppie, intonando cori a squarciagola, gruppi che barcollavano coi fiaschi sotto il braccio. Il fiasco pareva diventato il protagonista della celebrazione, come sempre in questi casi, e non si capiva da dove ne fossero spuntati fuori tanti, che fino a poche ore prima non si vedevano. Qualcuno portava il suo fiasco per il collo, ma i pi lo portavano affettuosamente, come un poppante in braccio alla balia, ma chi ogni tanto poppava era la balia e non il poppante. Qualcuno portava due fiaschi, uno per braccio. Erano reduci di tutte le guerre, affratellati dall'allegria della giornata serena all'aria aperta, dal trovarsi fra vecchi commilitoni, dal ricordo di giorni lontani della giovinezza e anche un po'"dalle libagioni. In borghese, ma quasi tutti, sull'abito civile, indossavano chi un

vecchio pastrano militare scolorito, chi una stinta mantellina; o avevano un frusto fazzoletto al collo, coi colori del reggimento, e quasi tutti avevano in testa il vecchio berretto, o il cappello, di quando erano soldati, chi con le piume, chi con un fiocco, chi con una penna, chi con un pennacchio spelacchiato. Attraverso la finestra aperta del corpo di guardia della fortezza, s'udivano cori e canti di tutte le guerre, che passavano, quale forte e vicino, quale fievole per la distanza, quale appena percepibile. Passavano i reduci pi vecchi, con baffoni bianchi, che intonavano baldanzosi: Daghela avanti un passo...@ Oh, la bella Gigogin!@ Pass sotto la finestra un gruppo di vecchi alpini, con la penna sul cappello, che berciavano: La custa l'on ca custa,@ viva l'Austa, viva l'Austa!@ Videro passare una bella ragazza, e introdussero una variante: La custa l'on ca custa,@ viva la fusta, viva la fusta!@ Un sadico inton una seconda variante: La custa l'on ca custa,@ viva la frusta, viva la frusta!@ Una schiera di profittatori: La custa l'on ca custa,@ viva la busta, viva la busta!@ Un gruppo di sparuti poetastri, con una grassona: La custa l'on ca custa,@ viva l'onusta, viva l'onusta!@ Pass un altro gruppo di vecchi reduci che cantavano: Tripoli sar italiana,@ sar italiana al rombo del cannon!@ Gruppetti sparsi intonavano un coro grave e triste, quasi una marcia funebre: Ti faremo@ un monumento@ di pietra@ garibaldina!@ A morte@ l'austriaca gallina,@ e noi vogliamo@ la libert.@ Morte a Franz,@ viva Oberdan,@ con le bombe in man!@ E, dietro, un coro allegro: Le ragazze, le ragazze di Trieste@ cantan tutte, cantan tutte con ardore:@ O Trieste, o Trieste del mio cuore,@ ti verremo, ti verremo a liberar!@ E, poi: La violetta la va, la va,@ la va, la va...@ Dietro: Dio del cielo,@ se fossi una rondinella,@ vorrei volare,@ vorrei volare...@ Vorrei volare@ in braccio alla mia bella!...@ Seguiva: Saluteremo il signor colonnello@ comandante il reggimento,@ la rivista all'armamento@ non ce la passa pi.@@ Siam congedati,@ torniam borghesi,@ viva sempre la libert!@ E: O macchinista,@ metti il carbone,@ alla stazione@ voglio arrivar,@ oil, oil!@@ L' l'allegria@ dei vecchi soldati,@ malinconia@ dei cappellon!@ Ancora: Sul ponte di Bassano@ noi ci darem la mano...@ ed un bacin d'amor!@ Poi: Quel mazzolin di fiori@ che vien dalla montagna,@ e bada ben che non si bagna@ ch lo voglio regalar!@ Altri vecchi alpini: Sul cappello, che noi portiamo,@ c' una lunga penna nera,@ che a noi serve da bandiera,@ su pei monti,@ a guerreggiar!@ Indi: Il ventinove giugno,@ quando matura il grano,@ nata una bambina@ con una rosa in mano.@@ Non era paesana@ e nemmeno cittadina,@ nata in un boschetto@ vicino alla marina.@ Seguivano: Montenero, Montenero,@ traditore della vita mia,@ ho lasciato la

mamma mia,@ per venirti a conquistar!@ E: E dopo aver mangiato,@ mangiato e ben bevuto...@ Se vuoi venire,@ mia bella mora,@ questa l'ora di far l'amor!@@ E dopo nove mesi,@ nato un bel bambino...@ Per biberone@ le bombe a mano,@ e in testa l'elmo del fantaccin!@ Poi: La tradotta che parte da Torino@ a Milano non si ferma pi,@ ma la va diretta al Piave,@ cimitero della giovent!@ Passava: Il quinto pezzo alla montagna,@ dove la neve la copre e i fior...@ Quando son morto il mio cadavere@ in cinque pezzi lo avete a tagliar!@ E: Non sar pi la tromba@ che ci sveglia la mattina,@ ma sar la mia biondina@ che, mi viene a risvegliar!@ Poi: E le stellette@ che noi portiamo,@@ son disciplina@ di noi sold!@ E tu biondina@ capricciosa@ garibaldina,@ trullall!@ Tu sei la stella@ di noi sold!@ Un coro malinconico cantava: Su quel monte c' un cimitero,@ cimitero di noi sold,@@ tapum, tapum, tapum,@ tapum, tapum, tapum!@@ Cimitero di noi soldati,@ forse un giorno ti vengo a trovar!@@ tapum, tapum, tapum,@ tapum, tapum, tapum...@ Un altro gruppo intonava, su un ritmo cadenzato, come d'una lunga colonna in marcia lenta e stanca, di notte, nel fango: Tutte le sere sotto quel fanal@ presso la caserma ti stavo ad aspettar...@ Forse domani piangerai,@ ma dopo tu sorriderai.@@ A chi, Lil Marlen?@ A chi, Lil Marlen?@ E infine: Fischia il vento, soffia la bufera,@ scarpe rotte, noi dobbiamo andar...@ I cori s'allontanavano, dopo esser passati sotto la finestra dell'ex corpo di guardia della fortezza, e continuavano a sentirsi smorzati, come una lontana eco. XIV Dall'esterno entr nel corpo di guardia, Virginia, stanca, di un'occhiata fuori della finestra. And a sedersi al tavolo, prese il microfono che serviva per diffondere comunicazioni. "Attenzione, attenzione!" disse nell'altoparlante, guardando fuori della finestra. "Le delegazioni sono pregate di raggrupparsi sotto i rispettivi cartelli e contrassegni di riconoscimento!" Lasci passare qualche minuto, indi riprese, sempre col microfono alla bocca, e la sua voce si sentiva ingigantita: "Attenzione! Attenzione! Il gruppo delle bandiere si porti sotto il pennone centrale". Altra pausa. Poi, ancora all'altoparlante: "Attenzione! Attenzione! I torpedoni debbono far sosta sullo spiazzo apposito. Non ingombrare la strada! Lasciate libero il passaggio". Ancora una pausa e: "Attenzione! Attenzione! I signori ex assediati e tutti gl'intervenuti che desiderano consumare la merenda al sacco, sono pregati di non lasciare cartacce, barattoli e scatole di sardine vuote davanti al sacrario. Grazie". Virginia ebbe un gesto di sdegno, guardando fuori dalla finestra e di di nuovo di piglio al microfono. Nuovamente la sua voce tuon, ingigantita:

"Attenzione! Attenzione! I signori ex assediati, reduci, intervenuti tutti, sono vivamente pregati di astenersi dal lancio dei fiaschi vuoti. Rammentarsi che l'anno scorso si ebbero a lamentare dei feriti". Virginia pos il microfono e s'abbandon sfinita sulla spalliera della poltrona. Ma subito parve rammentarsi di cosa importante e riprese il microfono: "Attenzione! Attenzione! L'ex assediato Raimondo pregato di recarsi in direzione! L'ex assediato Raimondo atteso in direzione!" Non aveva ancora terminato la frase, che dall'esterno entr barcollando Raimondo, con un fiasco sotto il braccio. "Eccomi qua" disse, con la lingua che l'incespicava parlando, a causa della sbronza. "Oh, finalmente!" esclam Virginia. "E" da stamani che vi cerchiamo." S'accorse delle condizioni anormali dell'inserviente. "Bravo, vi siete anche sbronzato!" disse. "E" per dimenticare i dispiaceri, anzi per affogarli nel vino. Vostro marito mi ha licenziato. Sono in mezzo a una strada." "Di questo parleremo poi" fece Virginia. "Vi far riassumere, se lo meriterete. Ditemi: quel braccio ch'era sotto il letto, l'avete tolto voi?" "Quel braccio che era sotto il letto" farfugli Raimondo a fatica e come sforzandosi di capire e di ricordare. "S, s, m'ha fatto prendere uno spavento. Quando l'ho visto, credevo che ci fosse un ladro nascosto. Ho girato per afferrarlo per i piedi... Ma c'era solo il braccio." "Dove l'avete messo?" domand Virginia, impaziente. "Credevo che non servisse" farfugli Raimondo. "L'avete buttato nella pattumiera?!" esclam la donna, allarmata. "L'ho regalato a un mio amico" fece Raimondo. "Veramente, a lui manca il braccio sinistro, e quello era un destro. Ma ha detto: "meglio che niente"." "Fatevelo restituire immediatamente!" grid Virginia. "Chi questo vostro amico? Dov'?" "Era qua fuori con me. Speriamo che ci sia ancora." Barcollando, Raimondo usc in cerca dell'amico, mentre Virginia s'attaccava nuovamente al microfono, poco fidandosi della collaborazione di Raimondo. "Attenzione! Attenzione!" tuon la voce della giovine donna. "E" stato perduto un braccio. Chi l'avesse rinvenuto, pregato di portarlo in direzione." Ma Raimondo rientr sventolando il braccio ortopedico. "Eccolo, eccolo" disse. "Credo che l'amico, pi che d'un braccio, avrebbe bisogno d'un paio di gambe, perch non si regge in piedi dalla sbronza." Consegn il braccio finto a Virginia, che si guard intorno. "E dov' quel signore?" diss'ella. "Adesso, trovato il braccio, s' perduto il proprietario di esso." Corse all'esterno. Raimondo profitt del fatto d'esser rimasto solo, per attaccarsi al microfono sulla tavola. Farfugliando sempre si mise a far la caricatura di Virginia al microfono, e s'ud l'altoparlante che tuonava: "Attenzione! Attenzione! E" stato smarrito il proprietario d'un braccio... Chi l'avesse trovato, pregato di riportarlo al braccio, che l'aspetta in direzione...". "Andate via, ubbriacone" grid irritata Virginia, rientrando. Spinse fuori Raimondo che si scontr con Nicola che rientrava. "Oh, bravo" disse a questo Virginia. "Ecco il suo braccio." Porse al giovine l'arto ortopedico.

"Signora," disse Nicola "le sono molto grato, perch questo braccio mi utilissimo." "Lo credo." "No, lei non immagina fino a qual punto; perch ora le riveler un segreto." Il giovine si accert che non udisse nessuno, fuori. "Non vero," disse piano, a Virginia, "che mi manca un braccio." "Come?" "Il braccio lo tengo nascosto sotto i vestiti." Virginia lo guard incredula. "E perch?" disse. "Che bisogno ha d'un braccio finto, se ha quello vero?" "Perch cos il braccio vero come un terzo braccio occulto, di cui nessuno sospetta l'esistenza e che perci mi permette di fare una quantit di cose." Cos parlando, Nicola s'era tolta la giacca e s'era agganciato il braccio artificiale. "Io" disse in tono di mistero alla giovine donna "faccio parte del servizio segreto." "Un'altra!" esclam Virginia ridendo con indulgenza. "Adesso fa parte anche del servizio segreto. Ma come mai racconta tante balle?" "Non sono balle" fece Nicola. "Le assicuro che appartengo ai servizi politici segreti." "Bel segreto, se lo spiffera con tanta facilit!" "Che c'entra? Lei non rappresenta un pericolo, per me, spero. E poi debbo spiegarle. Quando sono incaricato di sottrarre a qualcuno un documento, sempre in servizio di Stato, beninteso, trovo modo di sedermi vicino a lui al cinematografo, in treno o in tram. Sto col braccio sinistro e il destro, artificiale, appoggiati al bastone, o all'ombrello, cos." Nicola fece la scena. "Intanto," disse "lavoro col destro vero, come v'ho detto un braccio di cui nessuno sospetta l'esistenza, e tanto meno il mio vicino, che ha tutto l'agio di vedere che le mie braccia sono ben visibili e immobili. E, con questo terzo braccio, lo alleggerisco del documento. Il mio vicino, vedendo le mie braccia, o quelle ch'egli crede le mie braccia, ferme, non immagina lontanamente che sto frugandogli le tasche." "Ma v" fece Virginia, divertita. "Non solo," seguit Nicola "ma faccio un'infinit d'altri scherzetti graziosi. Per esempio, abbraccio un tizio e intanto, col terzo braccio, che estraggo al momento opportuno senza ch'egli se ne accorga, l'alleggerisco di documenti segreti." "Bella roba!" esclam Virginia. "Sono un agente segreto. Ma faccio anche altro. Certe volte, nei tram o nei luoghi affollati, le donne che mi capitano vicino arrossiscono, sbuffano, m'investono: "Signore! Stia a posto con le mani!". "Io, signora?" fo. "Guardi"; e indico le mie braccia alzate e aggrappate alle manopole." Nicola ridacchi. "Spesso," disse "se la pigliano con qualche altro, che non c'entra affatto." "Che sfacciato!" "Una volta," prosegu il giovine "mi capit d'essere arrestato..." "Ben fatto." "Dal servizio di controspionaggio, signora. Gli agenti mi ammanettarono. Ma che ammanettarono? Due mani. Con la terza, segreta ma vera, mi sciolsi subito dopo e me la battei." "Che roba!" esclam Virginia, simulando un'indignazione che in realt non provava.

"M' capitato anche, qualche volta, che un nemico, in guerra, m'intimasse il "mani in alto!". Ubbidivo con le due mani visibili, e intanto con la terza facevo fuoco sull'avversario." "Senti senti." "Certe volte vado incontro a uno che debbo colpire di sorpresa." "Bella roba!" "Un diplomatico, signora, un uomo politico nemico, la nostra vita una battaglia continua. Gli stringo con effusione entrambe le mani con le mie due mani visibili, e intanto, con la terza, allungo un pugno nello stomaco del poveraccio, che non arriva a capire da chi gli arrivi il colpo." "Siete un bel mascalzone!" esclam Virginia, indignata. "Nessuno pu cogliermi con le mani nel sacco, per la semplice ragione che nel sacco metto la terza mano." "Non le capitato mai di tradirsi?" "Una volta. Ebbi un alterco, l'avversario m'afferr entrambe le mani, tirai fuori il terzo braccio e gli affibbiai un ceffone. Fortunatamente l'altro, avendo in mano le mie due mani, non volle crederci. Pens a un'allucinazione." "Non c' che dire, ha un bello stato di servizio. Ma non si vergogna?" "No. Ma un giorno, trovandomi con una donna alla quale facevo la corte, mi and male." "Cio?" "Tentai di abbracciarla, mentre lei voleva farsi pregare. Lei reag e m'afferr ambe le mani. Accecato dalla passione, tirai fuori il terzo braccio. Apriti, cielo! "Oh, questo?" fa la bella ritrosa, sgranando gli occhi; "da dove uscito?" Le rivelai il mio segreto e feci per rimettere dentro il braccio vero. "No," fece lei, impressionata, "lasciatelo fuori". Voleva accertarsi che fosse vero. Tocca, palpa, lo stringe. E" proprio vero. Lo prova, lasciandosi abbracciare da esso." "E perch dice che le and male?" chiese la donna, ridendo. "Perch poi non riuscii pi a liberarmi della donna per due anni." "Ma non ha paura che la scoprano e la condannino?" "A che?" fece il giovine. "Al taglio della testa? Che c'entra la testa? Caso mai, al taglio del braccio." "Ma, scusi," domand Virginia "a me perch ha rivelato il suo segreto?" "Per simpatia" disse impavidamente Nicola, guardandola negli occhi. "Ed ora gliene riveler anche un altro: quando, in tram, lei si sent abbracciare, nel primo momento il braccio che la cingeva alla vita non era quello ortopedico. Era quello vero!" "Oh, sfacciato! Volevo ben dire!" esclam la donna. "Poi," seguit Nicola "quando lei mi fulmin con un'occhiata, mandai avanti il braccio finto. Cos." Nicola abbracci la giovine signora. "Ma impazzito?" fece quella, con voce soffocata. "Pu tornare mio marito. Mi lasci... Mi lasci..." S'abbandon a un lungo bacio appassionato. Dopo il quale, i due si guardarono rossi in volto, sorridendosi l'un l'altra. "Ah!..." sospir Nicola. Virginia ricambi il sorriso e il sospiro: "Ah!...". Si ricompose, si rassett. "Che canaglia!" mormor fissando il giovane di sotto in su. "La prego," disse Nicola "di non dire niente a suo marito." "Diamine," fece l'altra "staremmo freschi. Ci ammazzerebbe." "Di non dire niente, dico, circa il mio terzo braccio" precis

Nicola. "E" un segreto di Stato." "Stia tranquillo," fece lei "non parlo." "Tanto pi," riprese il giovine abbassando gli occhi un po'"confuso "che... non vero." "Nemmeno quello? E" finto?" "No. Non vero che non mi manca il braccio. Mi manca." Nicola abbass il capo, come un colpevole. "E perch m'ha raccontato tutta quella storia?" domand la donna, risentita. Pi che mai Nicola si mostrava confuso e imbarazzato. "Perch," disse "le donne hanno un debole per i mascalzoni, per gl'impostori. Anche lei. Vede? Finch credeva che io fossi monco, fredda, indifferente. Appena ha creduto che io fossi un impostore, s' elettrizzata, ha cominciato a guardarmi con interesse, con simpatia. E adesso, che ha saputo che tutta una balla e che io non inganno e sono realmente monco, di nuovo fredda, indifferente, delusa." Alz il capo, con fierezza: "E allora," disse "le dir che vero!". "E" vero che il braccio sia vero, o vero che non vero?" "E" vero che vero. Cio, non vero che non sia vero." "Ma si spieghi." "Ho scherzato, dicendo che avevo scherzato." "Insomma, ha scherzato, o detto sul serio?" "Ho scherzato." "Ha scherzato per ischerzo o sul serio?" "Io non scherzo mai per ischerzo." "Insomma, con lei non si sa mai che cosa credere. Mi faccia vedere." "Ma no, ma no, come crede subito a tutto!" "Ma no che cosa?" "Ma s, ma s." "Insomma, il braccio le manca o non le manca?" "Mi manca." "Sa che un tipo buffo? Perch si regola cos?" "Gliel'ho detto. Non essendo un mascalzone e non potendo farglielo credere per conquistare il suo interesse, questo l'unico modo per interessarla." "Ma io adesso non so pi che cosa credere. Il braccio ce l'ha o non ce l'ha?" "Vedr lei stessa. Andiamo a fare due passi." "Volentieri. Datemi il braccio." "Lo rivuole indietro?" "Dico: andiamo a braccetto." "Che bugiardo," riprese Virginia, squadrando Nicola dal capo ai piedi e poi fissandolo negli occhi con simpatia, "ma dovevo capirlo. E" venuto qui dicendosi segretario, o incaricato, del generale Kapel, e invece l'ha lasciato arrivare e ripartire da solo." "A lei," disse Nicola "non si pu nascondere niente. Di fatti, non sono il segretario del generale, n un suo incaricato." "E chi lei?" "Le dir tutto, ma mi prometta il pi assoluto segreto. Mi assicura di non dire a nessuno quanto sto per rivelarle?" "Prometto." "Giuri." "Giuro. Ma mi dica chi ." Nicola s'accert che nessuno fosse dietro le porte o potesse udire. Torn a Virginia. "Sono," disse abbassando la voce "come ho detto, un agente del servizio segreto, che ha seguito Kapel per arrestarlo."

"Per arrestarlo?" "S. La sua richiesta di perdono all'ex nemico considerata alto tradimento, specie in vista delle prossime elezioni politiche del suo paese, nelle quali il suo gesto toglier molti voti al partito che mand a morte il figlio del generale. Lo aspetta una condanna a morte." "Che pasticcio, la politica!" esclam Virginia. "E povero comandante Kapel." A un tratto, trasal. "Ma lei l'ha lasciato ripartire!" disse. "S. Poveraccio, la terza volta che viene condannato a morte, e questo, di, di, non pu che influire dannosamente sulla sua salute." "Lo credo bene." "Perci gli ho detto tutto, e l'ho lasciato scappare." "Gli ha salvato la vita." "Pare. Cos probabile che la condanna a morte aspetti me" disse Nicola, pensieroso. Rialz il capo. "Ma anch'io ci sono abituato" disse. "E non mi lascio beccare." "Che vita!" esclam Virginia. "S" concluse Nicola. "Oggi la vita una caccia all'uomo, in un modo o nell'altro. Siamo tutti braccati. Male per chi si lascia prendere." "Il generale riposa ancora" disse Zorapide rientrando, reduce dal sonnellino. Si volse a sua moglie. "E tu v un po'"a sentire se hanno bisogno di niente. Bene, bene." Vide Nicola col braccio a posto. "Avete riavuto il braccio" disse, soddisfatto. "Meglio cos. Fate vedere se ha il sensibilizzatore. No. Volevate anche una raccomandazione per un posto. Ve ne far una ad un mio amico che, se non potr darvi lavoro, vi far certo una raccomandazione per qualcun altro." "Credo senz'altro che far cos" disse Nicola. "Hanno fatto tutti cos, finora. Non ho ottenuto che delle raccomandazioni. Sono raccomandazioni per avere delle raccomandazioni. Tutti mi raccomandano, ma nessuno fa per me quello che chiede agli altri di fare." "B," fece Zorapide aprendo le braccia "si fa quel che si pu, ed gi qualche cosa." Sed al tavolo per scrivere la lettera ma, come improvvisamente ricordandosi: "A proposito," disse "non m'avete ancora detto come perdeste il braccio." "Ah," fece Nicola rabbuiandosi "vicende della vita. Per un certo tempo, sotto il nome di Dik Maser, mi sottoposi ad esperimenti nell'interesse della scienza." "Se ho ben capito," disse Zorapide penosamente impressionato "faceste da cavia." "Precisamente" disse Nicola. "Voi capite, la vita ci sballotta qua e l. La mia, poi, stata, ed tutt'ora, particolarmente avventurosa e drammatica. Il bisogno..." "Va bene. Ma siamo sempre allo stesso punto. Io voglio sapere come perdeste il braccio che avevate prima." "Ah," fece Nicola "una competizione sportiva." "Scherma?" "Braccio di ferro. L'avversario me lo stacc netto." "Faceste il braccio di ferro con il braccio di legno?" domand Zorapide con qualche stupore.

"Per l'appunto." "A parte che fu un'imprudenza, perch non si fa il braccio di ferro con un arto artificiale, sarebbe come giocare al calcio con una gamba di legno; ma vi faccio osservare che siamo sempre allo stesso punto, quanto al dirmi come perdeste il braccio." "Ah" fece Nicola, tragico. "Un foruncolo." "Capisco. Sopravvenne una setticemia..." "Ma no. Un normale foruncolo. Al braccio sinistro." "Ma voi perdeste il destro." "Appunto. Il foruncolo m'impediva di muovere il braccio sinistro, fui costretto ad usare il destro per accendere il caminetto. E il braccio mi prese fuoco, essendo di legno." "Lo usaste come combustibile?" "No, questa volta no. Lo usai per dar fuoco alla legna del caminetto e per attizzarlo con le molle. Ma il fuoco s'appicc al braccio, essendo questo, ripeto, di legno." "Scusate, un'ultima domanda, prima di rispondere al vostro racconto, perch avete detto: "questa volta no", a proposito dell'usare il braccio finto come combustibile. Forse, qualche altra volta, l'usaste come combustibile?" "Precisamente. Ma quella volta non prese fuoco. Perch il caminetto non tirava. Ed ora, m'avevate promesso una risposta al mio racconto circa il foruncolo." "Ah, s, eccola: e dgli. Continuate a raccontare storie dei vostri bracci finti. Io voglio sapere come perdeste il braccio vero, quello in carne ed ossa, che avevate prima dei finti." "Ah," fece Nicola con noncuranza "un volgare foruncolo." "Questo me l'avete gi detto. Al braccio sinistro." "No. Al braccio destro, questa volta. Segu una setticemia..." "Oh!" esclam Zorapide aprendo le braccia. "Sia lodato il cielo! Niente d'eroico, dunque." "No, no. Purtroppo." "Non ve ne crucciate. Anzi. Vi ho gi esposto il mio punto di vista. La vostra disgrazia maggiore delle altre, in quanto..." "...non mi procura n ricompense n onori, me l'ha gi detto," disse Nicola "e la ringrazio per la sua rara comprensione." "Non c' di che" fece Zorapide, modesto. "Ed ora, per curiosit, per riderne con voi, vorrei conoscere la storiella dell'atto eroico che, come mi avete detto, raccontate, di solito, per impietosire e interessare la gente, visto che non tutti hanno il mio buonsenso, di dare maggiore importanza a una banale disgrazia." "Non ho difficolt a contentarla" disse Nicola. "Racconto, s'immagini un po'," e ridacchi divertito "d'aver perduto il braccio nell'ultima guerra." Zorapide ridacchi. "Ah, ah! Bellissimo." Vide passare Virginia e la chiam: "Virginia, vieni a sentire. Il signore ci racconta come perse il braccio nell'ultima guerra." "Ah, s?" fece la giovine donna, con una punta d'ironia che sfugg al marito. "Sentiamo." "Ma dovrebbe sentire che storia!" fece Nicola sempre ridacchiando. "Racconto, pensino un po', che s'andava all'assalto d'una posizione perduta e riconquistata un'infinit di volte. Strisciavamo sotto il fuoco del nemico, soverchiante per numero e per mezzi. Eravamo addirittura al corpo a corpo, incalzati. Fummo di nuovo respinti. Ormai non c'era pi speranza, non avevamo pi munizioni, eravamo rimasti in pochi, sparuti, allucinati." Nicola si compenetrava sempre pi del suo racconto, proprio come se raccontasse un fatto vero.

"Il nemico," prosegu "dall'alto del fortilizio da cui eravamo stati scacciati, ormai ci dileggiava." "Mascalzoni!" esclam Zorapide, pur sapendo che il fatto era inventato. Ma sapeva pure che in molti casi era stato verit. Nicola lo guard severo. "Cavalier Zorapide," disse "lei un borghese e quindi non ne sa niente. Ma io di guerre ne ho fatte molte, non per mia volont, e me ne intendo un po'. Si ricordi questo: in guerra, di rispettabile, non c' che il combattente nemico." Zorapide tacque, poco convinto. "Uno dei nemici" riprese Nicola "fece il gesto di soffiarsi il naso con la nostra bandiera, rimasta ormai a brandelli a sventolare sulle macerie." "E voi dite rispettabile il nemico?" fece Zorapide, disgustato e sdegnato. "S, perch costui sapeva che quel gesto gli sarebbe forse costata la vita. Mi slanciai, lo feci fuori, afferro il drappo lacero, uno spezzone mi colpisce. Tornai indietro con l'avambraccio maciullato. Ma attorno all'avambraccio c'era impigliato quello straccetto insanguinato." Nicola riprese fiato. "Poi," disse "una triste odissea: il ritorno, la degenza. Che tristezza, quell'ospedale militare, in tempo di guerra, per di pi di guerra perduta, o che stava per perdersi. Fuori c'era l'oscuramento, c'erano i bombardamenti, c'erano il caos e la disperazione della guerra che si stava perdendo. Nella corsia caotica, piena di lamenti, dove non arrivavano che notizie di disastri, vedevo tutto in una luce gialla, pareva sempre sera, sentivo il puzzo della cancrena e dei disinfettanti. Per evitare la setticemia, mi portarono via, pezzo per pezzo, tutto il braccio. Avrei preferito morire." Durante il racconto, a poco a poco, come gi detto, Nicola si compenetrava, smise di ridacchiare, apparve turbato. Anche Zorapide e Virginia erano stati presi dal racconto e, quando Nicola tacque, rimasero in silenzio qualche minuto. "Bravo" disse poi Zorapide con voce un po'"roca, alterata dalla commozione, suo malgrado. "Avete molta fantasia" fece Virginia, mascherando la commozione in un tono ironico non del tutto sincero. "Perch non scrivete per il teatro?" Nicola sorrise. "La fantasia" disse "oggi un danno in teatro, come in letteratura e nel cinema. Oggi, il mondo degl'imbecilli e degl'impotenti." "Potreste cominciare con questa storia," insist Virginia: "il falso eroe, l'impostore, o qualcosa di simile." "Manca la conclusione." "E che vuol dire? Una conclusione si trova. S'inventa. Potreste innestarci una vicenda d'amore." "Crede che avrebbe successo," domand Nicola "con l'aggiunta d'una tesi impegnata?" "La tesi impegnata?" fece la donna, che si piccava un po'' d'intellettualismo. "Perch no? Queste tesi sono molto applaudite." "Almeno dal partito politico a cui giovano. Gli avversari fischiano, anche se si tratta d'un capolavoro." "No, non le tesi," fece Nicola "dicevo la commedia. Crede che avrebbe successo? Le storie di guerra, oggi, non vanno pi molto." "Ma la vostra tutta un'invenzione" fece Zorapide. "Gi." Dopo una pausa, Nicola aggiunse: "Quando la racconto, per far pi compassione, aggiungo che, poich abbiamo perduto la guerra, non m' stato concesso alcun

riconoscimento, anzi fui considerato un reo". "Bella storia" disse Zorapide. "E debbo confessarvi che, pur sapendola inventata, mi ha commosso. Se fosse vera, vi... vi direi un bravo di cuore." Nicola abbass il capo, imbarazzato. "E" vera" mormor. "Come?" fece Zorapide, indignato. "Mi avreste dunque ingannato, con la storia del foruncolo? O cercate ora di fare una speculazione, per avere anche delle lodi, come presunto eroe?" "Lei m'aveva detto che considera pi compassionevole la situazione non eroica" fece Nicola. "E" vero," disse Zorapide "scusatemi. E, a titolo di ammenda, eccovi un bravo di cuore." Gli batt la mano sulla spalla con fierezza. "La nostra balda giovent" disse, con un fremito d'orgoglio nella voce. "Grazie, signore" fece Nicola. "Anch'io," disse Virginia "bench non sia ben sicura che abbiate detto la verit, desidero dirvi: bravo!" "Grazie" mormor Nicola, confuso per tante manifestazioni di plauso. "Ma ora," riprese Zorapide "dovete dirmi una cosa." "Dica." "Stamani, avevate cominciato col dirmi: "Sapesse come ho perduto il braccio!". E" cos?" "Sissignore." "Ebbene, volevate raccontarmi la storia dell'atto eroico, o quella del foruncolo?" "Quella del foruncolo, signore. Oggi, l'unica che mi procuri qualche piccolo vantaggio, senza troppi rischi." "Giusto. Giusto. Ora vi faccio la lettera di raccomandazione per trovar lavoro." "Non occorre nessuna lettera di raccomandazione" esclam Matilde, uscendo dall'appartamento. "Il signore il nuovo segretario del generale." Zorapide guard sorpreso Nicola. "Complimenti" balbett. "Felicitazioni" esclam Virginia. "Vi avremo spesso fra noi, dunque." Nicola si scherm: "Bont loro" disse alla generalessa. "No, no," fece questa. "Il generale ha avuto ottime informazioni su voi dal comandante Kapel. Abbiamo saputo che siete un valoroso." "Eh, s!" esclam Zorapide con fierezza. "Fatevi raccontare come perse il braccio." "Per carit!" esclam Nicola. "Dico: il braccio vero; diciamo: il braccio di latte, per intenderci." "Zorapide," intervenne Virginia "che sciocchezze stai dicendo?" "Voglio dire," spieg il conservatore "il braccio con cui nato, e non tutti i bracci successivi." "Bene, bene, cavaliere," disse Matilde "vi annunzio che il generale interverr alla cerimonia dell'ammainabandiera." "Sta meglio?" fece Zorapide premuroso. "Un po'." "Sia lodato il cielo!" "Vedr," disse Virginia alla generalessa "che dopo una buona dormita, gli passer anche la fissazione del figlio tornato." "Speriamo" disse Matilde. "Per ora, l'unica cosa da fare secondarlo in questa sua idea."

"Eccettuato," fece Zorapide "quando dice di voler sbaraccare tutto il sacrario. Ma sa che giunto a dire che bisogna chiudere tutto e andarcene, che il monumento non ha pi ragion d'essere? Su questo terreno, francamente, non posso seguirlo." "Beninteso. Ma non bisogna contrariarlo. Per esempio, crede che questo giovinotto sia suo figlio." "Addirittura!" esclam Zorapide. "Ma non somiglia affatto. Basta vedere il monumento." "E" quello che dico anch'io" fece Matilde. "Ma il generale lo crede, e bisogna lasciarglielo credere. Anzi, proprio per questo ho addirittura assunto il giovanotto come suo segretario, o accompagnatore, cos lo avr vicino, e sar contento. Ma eccolo che viene. Vi prego, signori, secondatelo." Il generale venne fuori dall'appartamento, un po'"pi stralunato e tremolante del solito. Tutti lo guardavano con aria di circostanza, dandosi un contegno. Il generale si diresse verso Nicola. "Ho dovuto parlare, figliolo," disse "perch non era giusto che continuassimo ad avere onori che non ci spettano." Tutti tacevano imbarazzati. Attraverso la finestra aperta giungevano echi di musiche lontane, e cori di soldati e di partigiani. "Senti?" prosegu il vecchio soldato, rivolgendosi a Nicola. "Queste musiche, questi canti, non sono per noi." Alle spalle del generale, Matilde e Virginia, si scambiavano occhiate di comprensione. Zorapide insisteva a far cenni d'incoraggiamento a Nicola, acciocch secondasse la presunta follia del vecchio, e ricomponendosi in un contegno indifferente, ogni volta che questi si voltava. "Cio," si corresse il generale "sono per noi, ma non ci spettano. Con questo, intendiamoci, non voglio diminuire il tuo merito, figlio mio. Tu resti un eroe. Ma costoro" e il generale fece un gesto vago verso la finestra "celebrano un morto e non un vivo." "Va bene, va bene," intervenne Matilde, col tono di chi seconda un folle, "ma adesso vai." Il generale s'avvi verso l'uscita col suo passo tremolante. Ma di nuovo si ferm, come ricordandosi di qualcosa importante. "Ah," disse a Nicola, con tristezza e quasi con imbarazzo, "non ti chiedo di perdonarmi perch t'esortai al sacrificio, o comunque non mi opposi e non feci niente perch questo non avvenisse. Probabilmente tu non mi perdoni la contestazione." "Ma pap, che dici?" esclam Nicola, con uno slancio sincero, che gli altri apprezzarono come una straordinaria commedia. "Fui io che volli." "Comunque," seguit il generale "facesti bene a rispondere come rispondesti, al telefono, perch, se pure m'avessi esortato alla resa, non avrei potuto arrendermi, e m'avresti reso pi difficile il sacrificio e il mio compito. Capisco, avrei potuto uccidermi. Ma pensarci, in quel momento. Non mi venne l'idea. Perdonami, figlio mio." Zorapide e gli altri, che assistevano in rispettoso silenzio, con gesti esortavano Nicola a secondare il presunto folle. "Oh, pap!" esclam Nicola con commozione sincera, ma fingendo di fingere. Zorapide si volse a Matilde e a Virginia. "Come fa bene la sua parte!" disse piano, accennando a Nicola. "E" un simulatore perfetto!" disse Virginia a Zorapide, ammirata. Il generale scosse il capo. "Del resto," disse a Nicola "morivano tutti, intorno. Pareva la fine del mondo." "E" la guerra, pap" mormor Nicola, mentre tutti continuavano a

far controscena come sopra detto. Della quale controscena, a un certo punto, voltandosi, il generale s'accorse, e allora ebbe un sorriso amaro. "Credono che io sia rimbambito" disse a Nicola. "Parlano d'arteriosclerosi. E credono che io non me ne accorga." Guard i presenti, con indifferenza, senza rancore. "Ma io non sono rimbambito" disse. "Il fatto che anch'io ebbi un trauma, quel giorno. Da allora, la mia vita spezzata. Sono gesti che costano. E io sono il monumento di me stesso." Tacque un istante, abbass il capo. "Ma un monumento che non si regge in piedi" disse. "Mi dispiace, pap, che per causa mia..." cominci Nicola, con voce roca, tra le occulte approvazioni dei presenti, che gli facevano gesti di felicitazione per la sua presunta abilit di commediante. Il generale lo interruppe con un gesto. "Figlio mio," disse "dispiace a me che, per causa mia, tu..." Non complet la frase. "Perch," concluse "se io non fossi stato il generale, nessuno t'avrebbe fucilato." "Ma io non sono stato fucilato, pap" disse Nicola, commosso. "Ah, gi" fece il generale. "Mi si sono talmente confuse le idee, che quasi non mi raccapezzo. Gi, non fosti fucilato, ma per ragioni indipendenti dalla mia e tua volont." Zorapide guard l'orologio, fece un gesto di spavento. "Generale," disse con molto riguardo "le autorit ci aspettano per l'ammainabandiera." Il generale lo guard, scotendo il capo. "Ah, gi, siamo all'ammainabandiera. Questa l'unica cerimonia giusta, ormai" disse, con una punta di ironia. "Andiamo." Si volse a Nicola. "E tu non vieni?" "Dove?" fece Nicola. "Alla cerimonia di chiusura." Nicola si curv sul suo orecchio. "Ma io non debbo venirci" disse, piano. "Perch?" fece il generale. Si pass una mano sulla fronte. "Davvero" disse. "Mi si sono talmente confuse le idee." Si rasseren. "Allora," disse a Nicola "aspettaci qui. Torniamo fra poco." Si volse a Zorapide. "Avvertite le autorit che sono pronto" disse con fierezza. "Subito, eccellenza" fece Zorapide, rispettosamente. Di un'occhiata fuori della finestra, mentre il generale s'avviava. "Dove sono le autorit?" esclam. "Ah," fece Nicola "scusi, avevo dimenticato di dirglielo. Sapendo che il generale voleva restare un po'"solo, ho chiuso le autorit in cantina." Zorapide si mise le mani nei capelli. "Oh, povero me!" grid. "I ministri! Il prefetto! Il Vescovo Castrense! Adesso che c' l'ammainabandiera." "Eh!" fece Nicola. "Che sar mai? E" stato uno scherzo. Ecco la chiave." "Io credo che siete matto!" sbuff Zorapide, uscendo di corsa. Matilde era rimasta sola con Nicola. Lo guard amorosamente. "Ce n' voluto," disse "per trovare una spiegazione plausibile del fatto che tuo padre dice che il figlio tornato, e che sei tu. L'ho fatto per te. Perch tu possa restare quello che in ogni caso sei: un eroe." "E dire," fece Nicola, con l'abbandono d'uno che si mette in

libert, "che a me non importa niente, assolutamente niente, d'essere un eroe." "Come?" esclam la madre, sorpresa e sconcertata. "Dicevi di s." "Lo dicevo per voi," disse Nicola "per pap. Perch non rovinaste tutto, rivelando che sono vivo. Prima credevo anch'io a queste cose. Ma poi ho visto Gagarin e compagni. Rischiano la pelle, e gli altri ci speculano. Ed essi stessi scodinzolano davanti a quelli che ci speculano, davanti a delle nullit, degl'intriganti, che detengono il potere." Nicola scroll le spalle. "S," disse "ho finto di tenerci per pap, povero vecchio. Per evitare che rovinasse tutto, e se stesso, di fronte alla storia, rivelando che sono vivo. Ma lui a posto: l'ha rivelato e nessuno ci crede." Sorrise. "Guarda," aggiunse "se fossi realmente stato ucciso, e qualcuno ora mi dicesse: "Vuoi tornare al mondo?", direi di no. Unicamente per non dare un dispiacere a un sacco di gente." "E di me non t'importa?" fece Matilde con un tono accorato. "Certo, ma mi stava a cuore soltanto farti sapere che sono vivo. Tutto il resto non ha importanza. Perci dico di non fare tanto sconquasso." "Va bene, va bene. Tu fingerai d'essere il nuovo segretario di pap, come hai sentito. Hai visto come faccio bene la commedia? Domani, poi, si vedr." "Ed ora, mamma," concluse Nicola "devi andare anche tu. Nessuno deve sospettare nemmeno lontanamente che io sono qui, cio chi sono io. Che venga anch'io, no, non opportuno." "Hai ragione, figlio mio" mormor la generalessa. "Mi contenter d'averti vicino, vivo, anche se nessuno sa chi sei. Un bacio..." rise "che nessuno veda." Si baciarono. Si staccarono. "A tra poco, figlio mio" bisbigli la generalessa. "Aspettaci qui." Usc in fretta. "Avanti, avanti, eccellenze!" fece Zorapide, tornando dall'interno della fortezza a marcia indietro, come un maestro di ballo e di belle maniere. "Eccellenze, signore, da questa parte, per l'ammainabandiera!" Dietro di lui, apparve il corteo delle autorit, che travers la stanza e usc. Le autorit erano, come al solito, solenni, compunte. Zorapide s'inchinava a ognuna, al passaggio: "Eminenza... eccellenza... generale... colonnello... maggiore... capitano... tenente...". "Erano indignate?" domand Nicola, uscite che furono le autorit. "Fortunatamente," disse Zorapide, ancora sconvolto per l'incidente, "hanno creduto che la sosta nei sotterranei, chiuse a chiave, fosse un numero del programma rievocativo, per far provare, eccetera, eccetera." "Vedete dunque che ho fatto bene a chiuderle" disse Nicola. "Eh, siete un tipo, voi! A proposito, a me in confidenza dovete dirlo: la bandiera per cui foste ferito, di che paese era?" "Mi promettete il segreto?" disse Nicola in tono di mistero, badando che nessun altro potesse sentire all'esterno. "Giuro" fece Zorapide, solennemente. "Non lo so" disse Nicola. "Ma non lo dite a nessuno." "State tranquillo" disse Zorapide. "Ma adesso debbo andare alla cerimonia. Voi non venite?" "Me ne infischio" fece Nicola. "Sono perfettamente del vostro parere," fece Zorapide, in confidenza, "ma purtroppo io non posso esimermi."

Usc in fretta. Cominciavano a scendere le ombre della sera, che a poco a poco invadevano la stanza. Nicola si nascose, sentendo un passo avvicinarsi. Dall'interno dell'appartamento venne fuori la balia, vecchia vecchia, senza accorgersi di Nicola, portando in una mano un moccolotto acceso, a cui faceva schermo con l'altra mano, che reggeva un mazzetto di fiori campestri. Travers la stanza rapida e furtiva, e usc dalla parte del cortile della fortezza. Nicola la segu un po'"con lo sguardo poi and alla finestra, per guardar fuori. Era sera e si vedeva una luce rossa all'esterno, riverbero di fiaccole accese intorno alla statua dell'eroe. Il giovine scosse il capo. "Siamo tutti eroi" disse, parlando fra s. Dall'esterno s'ud un comando militare, secco: "Attenti!... Presentat...t'arm!". Nel silenzio assoluto, sepolcrale, segu lo scatto secco del presentat'arm. E, poi, lunghi, lenti, gli squilli di tromba dell'ammainabandiera. Nicola guardava fuori, come assorto. "Cala la bandiera lungo il pennone" mormor. Si guard intorno, quasi per imprimersi il ricordo del luogo. "Addio!" sussurr. And a un angolo della stanza, prese il fagottello delle sue robe, e usc. Fuori si stendeva il cimitero di guerra. Le file di tombe tutte uguali, con le croci uguali, davano l'idea d'un reggimento schierato sull'attenti. "Si direbbe che a uno squillo di tromba," disse Nicola "tutti sorgano in piedi per darci un monito, per dirci: "Ecco il costrutto della guerra, la morale della favola"." Sulle tombe si stendeva il cielo luminoso con la luna, che dava a tutto un biancore quasi irreale, fantomatico. Si diffusero per la campagna, smorzandosi, suonate da trombe, le note lente e malinconiche del silenzio fuori ordinanza. Di questo racconto fu recitata una breve sintesi al teatro Sant'Erasmo di Milano, la sera del 20 marzo 1965. Fine

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