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IL SILENZIO ELOQUENTE

the attempt to communicate where no communication is possible is merely a simian vulgarity, or horribly comic, like the madness that holds a conversation with the furniture. Friendship, according to Proust, is the negation of that irremediable solitude to which every human being is condemned. Friendship implies an almost piteous acceptance of face values. Friendship is a social expedient, like upholstery or the dist ribution of garbage buckets. It has no spiritual significance. For the artist, who does not deal in surfaces, the rejection of friendship is not only reasonable, but a necessity. Because the only possible spiritual development is in the sense of depth. The artistic tendency is not expansive, but a contraction. And art is the apotheosis of solitude. There is no communication because there are no vehicles of communication. 1

Molto stato detto, dell opera beckettiana, probabilmente pi di quanto lo stesso autore avrebbe potuto tollerare, se fosse ancora in vita. Permane tuttavia come estremamente interessante un fil rouge che collega l intero percorso artistico di Beckett, inestricabilmente aggrovigliato alla mitologia che i suoi estimatori hanno contribuito a creare, in complicit con i suoi detrattori: la rinuncia all illusione della comunicazione e il suo procedere artistico che prende le mosse dall impossibilit della buona riuscita della scrittura. Il suo desiderio di un linguaggio inaudito e inaccessibile, che sappia rendere conto dell inadeguatezza della parola, nasce proprio dalla constatazione dall impotenza dell arte, del venire meno della capacit linguistica di far presa sulla realt. Ancora agli inizi della sua carriera letteraria, scrive:
To be an artist is to fail as no others dare fai l. Failure is his world.
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Di fatto, l intero percorso della sua opera straordinariamente unitaria e progettuale, sembra alla fin fine voler testimoniare, in modo artisticamente adeguato, il tentativo incessante ma immancabilmente fallimentare di espr imere il proprio disgusto per l arte, in un cammino lento e inarrestabile che dalle vette di uno stile maniacale, virtuosistico, sfocer, infine, nel silenzio degli ultimi rarefatti lavori. Allora il silenzio diventer il valore-limite della sua scrittura, la volont di disfarsi della tecnica e dello stile acquisiti al fine di ricreare un linguaggio secondo fatto solo di immagini visive e sonore.
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S.Beckett, Proust, Riverrun Press, 1989 S.Beckett, Three Dialogues, 1964, p.4
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Certamente, Beckett fu uno scrittore sui generis, prendendo vagamente le mosse non dal solo Joyce, che conobbe e frequent, ma anche dal movimento letterario del nouveau roman. Intendeva anch egli opporsi fermamente alla tradizione di stampo pi realistico, riformulando completamente la struttura del romanzo, dilatandola fino alle estreme conseguenze, sino a fagocitarla nell esplosione di dettagli che avrebbero potuto ordinare compitamente il reale, ma che infine falliscono nell intento. La realt diventa priva di totalit e di senso, ma nonostante ci questa assenza non pu essere detta, altrimenti si capovolgerebbe nel suo opposto: teorizzare l insensatezza della realt (come fecero per esempio Sarte, Camus e altri esponenti dell esistenzialismo) significherebbe dare al non senso della realt un senso, seppur in forma negativa. Beckett non mosso da nessuna esigenza di assolutizzare l insensatezza del mondo, n sul piano della lingua n sul piano della rappresentazione. Tutto questo si ripercuote sul linguaggio, degradato e ridotto fino all estremo: se l insensatezza non pu essere affermata nemmeno il linguaggio pu essere sensato, razionale, logico, perch finirebbe col dare senso a ci che di per s insensato. In una citatissima lettera del 1937 ad un corrispondente tedesco, Beckett non nasconde, e anzi sottolinea con vigore, la distanza che lo separa dal padre Joyce e indica quasi programmaticamente a quale trattamento intenda sottoporre il linguaggio :
As we cannot eliminate language all at once, we should at least leave nothing undone that might contribute to its falling into disrepute. To bore one hole after another in it, until what lurks behind it - be it something or nothing - begins to seep through; I cannot imagine a higher goal for a writer today. 3

Cosi si va precisando un impegno assunto dal giovane scrittore, che gi in una lettera del 1932 a un redattore editoriale citata da Knowlson profetizzava:
I vow I will get over J.J. before I die. Yessir. 4

L intenzione di Beckett era quella di superare le convenzioni del teatro naturalistico, il rivoluzionario teatro di fine Ottocento, che ai suoi occhi, come trent anni prima a quelli di Brecht, appariva ormai del tutto inadatto a rappresentare sul palcoscenico la realt del mondo contemporaneo, la realt di guerra. Mentre Brecht, con il suo
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S. Beckett, Letter to Axel Kaun 1937, in Disjecta, 1988, p.71

S.Beckett, Letter to his friend Samuel Putnam, 28 june 1932,in Damned to Fame, Knowlson, 1996, p.160.
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teatro epico , crea una griglia di soluzioni drammatiche antitetiche a quelle del naturalismo, Beckett ne propone il superamento non attraverso la contrapposizione, ma attraverso lo svuotamento delle sue convenzioni. In Waiting for Godot, infatti, come nel successivo End Game, Beckett prende a prestito la forma dominante sin dalla fine dell Ottocento, quella del dramma -conversazione , per poi svuotarla dal suo interno: innanzitutto riducendo la conversazione a un dialogo fine a se stesso, privato della sua funzione significante; e poi mettendo in scena il fatto teatrale medesimo, rivelandone la natura di rappresentazione teatrale.
CLOV: I ll leave you. HAMM: No! CLOV: What is there to keep me here? HAMM: The dialogue. [Pause.] I ve got on with my story. [Pause. ] I ve got on with it well. [Pause. Irritably.] Ask me where I ve got.5

Il monologo di Lucky un ottimo esempio di oratoria schizofrenica, un torrente di frasi spezzata e ripetute, combinazioni di idee contraddittorie, che danno l impressione di un fiume di comico nonsense. Rivela, invece, una profonda questione teologica: come conciliare l umana credenza di un potere divino, trascendente e benevolo con l innegabile esperienza del male e della miseria.
Given the existence as uttered forth in the public works of Puncher and Wattman of a personal God quaquaquaqua with the white beard quaquaquaqua outside time without extension who from the heights of divine apathia divine athambia divine aphasia loves us dearly with some exceptions for reasons unknown but time will tell and suffer like the divine Miranda with those who for reasons unknown but time will tell are plunged in torment plunged in fire 6

Molto pi spesso, le parole per Beckett non servono a descrivere determinate situazioni oggettive, ma danno vita ad associazioni irrazionali di termini, collegati fra loro da legami incomprensibili dal punto di vista logico. Il linguaggio si rende autonomo e rende evidente il fondamento che alla base delle sue opere: i personaggi non tendono n ad esprimer si, n a comunicare, non hanno bisogno del linguaggio perch non hanno nessuno scopo, non sono interessati a ci che vanno dicendo, parlano solo per accertarsi di essere ancora vivi.

S.Beckett, End Game,1957, in The Complete Dramatic Works ,London, faber and faber, 2006, p.121
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S.Beckett, Waiting for Godot, 1952, in The Complete Dramatic Works, op.cit., p. 42. 3

Il dialogo in Godot non conduce mai all azione e la conversazione si dichiara come vuoto conversare, un succedersi di frasi che serve soltanto a far passare il tempo, a ingannare l attesa in cui consiste l essen za della pice stessa e che in End Game serve soltanto ad allontanare il momento della fine inevitabile.
VALDIMIR: That passed the time. ESTRAGON: It would have passed in any case. VALDIMIR: Yes, but not so rapidly . 7

E lo stesso in molti altri lavori, quali Happy Days e Play, in cui Beckett costringe lo spettatore a riconoscere di trovarsi in un teatro, dove gli attori devono parlare a giustificazione della propria e altrui presenza: la finzione teatrale, come, seppur in modi diversi, avviene nel teatro di Brecht, si svela appunto come finzione. Dopo End Game la proposta teatrale di Beckett si traduce in una riduzione c ostante dei mezzi drammatici. In Krapp s Last Tape viene eliminato il dialogo; con Happy Days, in pratica, il movimento scompare. In molte delle opere successive l azione teatrale sar privata di questo fondamentale elemento costitutivo. Ci saranno soltanto le voci, a echeggiare su una scena sempre pi vuota, sino al t orrente di parole che in Not I proromper da una bocca illuminata da un riflettore. Eppure il risultato sar sempre di alta, seppur minimale, teatralit. In Krapp s Last Tape, Beckett cerca di infrangere ogni via d uscita offerta alla parola, che vorrebbe farsi memoria, recante l immagine del soggetto passato e la prospettiva del soggetto futuro. Krapp, sperduto senza quel supporto per raccontare gli attimi della sua vita, non riesce a riconoscersi neppure attraverso la sua stessa voce. Perfino il vocabolario che egli impiegava un tempo gli divenuto alieno tragicomica la ricerca sul dizionario per cercare di decifrarsi . Nel dipanarsi della vicenda, non difficile ravvisa rvi una metafora della propria interiorit, primo ed ultimo rifugio, fatto invadere da Beckett dall estraneit, dall inutilit dei momenti registrati che, se potevano avere un peso per chi li registrava, risultano del tutto privi di valore per chi li ascol ta. Il vivere, il continuare a compiere atti che poi saranno seppelliti dalla leggera sabbiolina del tempo che li colorer tutti con un eguale tinta sembra follia; meglio, allora, collocarsi in un buio che cancelli rumori e pensieri, nel silenzio. Ma questa via di fuga negata, Krapp continuer a dirsi,
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S.Beckett, Waiting for Godot , 1952, in The Complete Dramatic Works, op.cit., p. 46
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continuer a mangiare le sue banane, pi intimamente continuer a prendere decisioni ed a compiere atti che gli sembrano giustificati, negandone il senso e la validit non appena costretto a risentirli, r icordarli. In un suo fugace ma fondamentale contributo teorico, Beckett aveva cos definito la condizione dell artista nel mondo contemporaneo :
There is nothing to express, nothing from which to express, no power to express, no desire to express, together with an obligation to express. 8

Quell obbligo di esprimere a cui Beckett ha obbedito con sofferta determinazione, tenendo a bada la costante aspirazione al silenzio, si tradotto in un opera che rester uno dei massimi esempi di comunicazione dell esperi enza nell epoca della distruzione dell esperienza. L esperienza personale di partecipazione alla Resistenza francese, la permanenza a Roussillon per sfuggire alle persecuzioni naziste e, infine, la decisione di rientrare nella Francia distrutta al termine della guerra, offrendosi come interprete nella Croce Rossa irlandese, lo avevano condotto ad una visione dell umanit decaduta e ad un riconoscimento del processo artistico come lucida testimonianza di questo sfacelo. Ecco allora che avviene la decisione d i trasportare questo fisico disfacimento entro la propria lingua, e di farne l orizzonte gnoseologico del suo soggetto poetico. Le immagini che affiorano dai ricordi di guerra sono residui dolorosi e inquietanti. Le parole sconnesse e disarticolate sembran o emergere da un fondo oscuro della sua anima che lo divora e non gli d pace. Per descrivere il turbine caotico della vita, allora, non ha pi bisogno della costrizione vincolante di elementi esteriori quali il tempo, il luogo, la trama. Gli basta la voce , gli basta ricondurre i personaggi ad un unico io narrante che parli per tutti, che annulli ogni pretesa di individualit, come gi aveva fatto la guerra . Con il passaggio alla lingua francese nei primi romanzi e successivamente con le opere teatrali, assistiamo ad una progressiva spoliazione in cui l o scrittore si libera di tutto, interrompe i contatti col mondo, ma soprattutto, opera una decomposizione della lingua materna. Si parla, allora, della capacit dell apolide Beckett di far balbettare la lingua, ne approva il progetto di amputazione, di sottrazione indefinita, per ritrovarne un uso minoritario ed eversivo. Beckett, irlandese che
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S.Beckett, Three Dialogues, p.97, in David H. Hesla, The Shape of Chaos, 1971, Lund Press, p.4.
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scrive in francese e si traduce in inglese, opera una duplice conversione: dapprima rinunciando alla madre lingua, poi facendosi straniero nella stessa lingua che adotta, costringendola a infinite variazioni e linee di fuga, tali da renderla innaturale, astratta, inaudita. Il bilinguismo diventa interno, immanente alla stessa lingua , la costringe a bisbigliare, a sussurrare, liberata dal sistema della predominanza del senso. Far buchi nella lingua, piazzarsi nella spazio neutro del vuoto linguistico; questo il pensiero del narratore alle prese con la costruzione di un personaggio quale quello presentato in Rockaby, straordinaria sintesi di luce e ombra, suono e silenzio, moto e stasi. L impresa di Beckett si colloca nello spazio esiguo tra indicibilit del narrato e impossibilit di tacere, tra muta esistenza e il tentativo dell arte di renderne testimonianza. A partire dagli anni Sessanta, Beckett imprime un ulteriore torsione sottrattiva alla propria scrittura. Compone diversi testi teatrali brevi (Play, Come and Go, Breath), i radiodrammi Word and Music e Cascando, il teledramma Eh Joe e alcune prose in cui abbandona la forma narrativa dei romanzi adulti (la Trilogia), basata sul racconto in prima persona della voce monologante, ricorrendo ad un narratore che parla in terza persona partendo da un unica immagine. Ci che resta, ancora una volta, sono le nude, scabre parole che descrivono la fenomenologia dell evento. La progressiva rarefazione dell opera, come precedentemente accennato, parte integrante del processo di spoliazione poetica, di scarnificazione linguistica in cui la parola sopravvive come reperto estremo, come elemento residuo di una comunicazione gi di per s lacunosa e intermittente. Le opere susseguenti le grandi prove degli anni Cinquanta e Sessanta sono, quasi inevitabilmente, densissime miniature di fulminante brevit per cui Beckett crea il neologismo dramaticules . del 1972 la stesura di Not I, un difficile monologo per sola attrice, in cui la testa della protagonista, illuminata da u n violento fascio di luce, si staglia su un fondale di fitta oscurit. Il monologo composto da brandelli di frasi sconnesse, quasi una litania frammentaria di una dolorosa memoria.
when suddenly she felt gradually she felt her lips moving imagin e!.. her lips moving!.. as of course till then she had not and not alone the lips the cheeks the jaws the whole face

all those-

what? .. the tongue?.. yes without which

the tongue in the mouth no speech possible 9

all those contortions

La voce di Mouth sottopone il soggetto alla tortura del dire, del proferire parole e la maledizione della prima persona declina verso la resa estrema , quasi che il miracolo dell implorata afasia sembra essersi compiuto. La finzione dell oggettivit del logo s quindi svelata. Bench la superficie dei dialoghi, soprattutto per quel che concerne la parte teatrale e affini, appaia come assolutamente quotidiana, la lingua beckettiana non affatto naturale . L afasia si propone quale espressione dello sforzo artistico di sottrarre letteralmente le parole al nulla; con il risultato di lasciar risuonare il silenzio, senza volere in alcun modo riempirlo. Privato del supporto pi sicuro e disponibile per orientarsi nel mondo, quello cio del modello linguistico, l uomo si rivela alienato sia dal mondo naturale, sia da quello culturale. Da ci il borbottio tipico delle figure beckettiane, come in All That Fall, o il compulsivo ripetere lo stesso percorso in Come and go o Footfalls, sintomi di un rovello ricorrente che sembra essere l unico motivo di vita. L ultima ed estrema fase della produzione beckettiana ci mostra che quel che conviene la creazione, per quanto impossibile, di immagini: pure,incontaminate, perfette. Le parole, quelle che tuttavia si pronunciano, non vogliono esprimere alcun senso compiuto, non pretendono di avere ancora significati riconducibili a un potenziale bacino di utenze, perci bisogna disfarsene. Il linguaggio, nelle sue consecutive stratificazioni, ha assommato su di s calcoli, intenzioni, abitudini d uso, che lo rendono quasi impossibile da scalfire senza che questi trovi modo di rimarginare la ferita. Un esempio era gi stato presentato con il mutismo affrontato nel cortometraggio del 64, Film, realizzato con l ausilio dell attempato Buster Keaton, in cui l unico suono viene pronunciato dalla surreale passante vestita all antica che ammonisce con un Shhh! il compagno adirato. Questo paradossale invito al silenzio come una dichiarazione stilistica dell autore: come dire che ha volontariamente escluso il suono, ma soprattutto la parola dalla sua ricerca. Circondato dal ghiaccio e privo di punti di riferimento, un tipico personaggio beckettiano allora condannato a procedere nell inesplicabile babele dei silenzi e delle parole. Abita uno spazio ristretto e spoglio, quasi sempre nell immobilit e circondato da un silenzio inesorabile. Come Clov fermo davanti ad una finestra, al di l della quale c un paesaggio agghiacciante; nonostante ogni suo sforzo, non
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S.Beckett, Not I, in The Complete Dramatic Works, op.cit., p.379


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riesce a descriverlo n a commentarlo: le parole non glielo permetton o, e si ritrova bloccato nella impossibilit di esprimere il reale. Ma sente anche il bisogno di tentarci, di provare a raccontare: sceglie di farlo nella forma d un monologo interiore allucinato, sempre mischiando disperazione a sberleffo. La scena allora prima di tutto uno spazio acustico, in cui risuonano brandelli di parole, frasi ripetute, ritmi altalenanti, confusi ricordi; e in cui la parlata del personaggio procede verso l essenzialit del dire, come attraversandone i due gradi estremi: dalla parola avvolta amorevolmente dalla voce, trasformata quasi in canto, alla parola tronca, spezzata in grido, in singulto sillabato. Questo transito in Beckett, questo tributo d autore alla sua scrittura non accomodante, dunque una sorta di partitura costruita ricorrendo ad una scansione metrica franta, in cui l attore si cimenta con un linguaggio scorticato, che, nel sacrificare l armonia, esalta la forza allusiva della parola. L attore dunque sparisce e, insieme, rinasce, in un gioco fecondo di torsioni e strappi, come raccogliendo la sfida di Beckett: tentare di dire l impossibilit di dire. Uno spettacolo sulla vecchiaia, sulla memoria di s, sul tempo, sull amore, sulla paura, sulla guerra. Nessuna immedesimazione, nessuno psicologismo, nessuna quarta parete. Resta a sigillo della recita la sfida amara ma tenace a rimanere l, sul palcoscenico (e in questo mondo) a dire. Ancora e ancora. Come Beckett.
HAMM: Clov! CLOV: [Impatiently.] What is it? HAMM: We re not beginning to to mean something?

CLOV: Mean something? You and I, mean something! [Brief laugh.] Ah that s a good one! 10

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S.Beckett, End Game, 1957, in The Complete Dramatic Works, op.cit., p.108. 8

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