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di Sabrina D’Orsi
I device digitali non sono stati progettati per gestire relazioni basate
sull’incontro personale mentre la famiglia è essenzialmente questo:
la cura di relazioni già esistenti basate sull’incontrarsi, confrontarsi
e scontrarsi per questioni legate a differenti punti di vista, modi di
intendere la vita, priorità e progettualità.
Quanto può essere più facile per un ragazzo che deve avvisare i
genitori che non tornerà la sera, che dormirà da un amico o che
dovrà inventare una bugia di copertura usare il messaggio vocale
invece della chiamata telefonica tradizionale? E i genitori saranno in
grado di riconoscere la differenza di coinvolgimento emotivo che il
ragazzo mette in atto nella scelta della modalità di comunicazione?
E quanto può fare la differenza nella relazione con la propria
famiglia lasciare accesa oppure no la modalità di rilevazione della
posizione GPS? Quando è lecito controllare i movimenti dei propri
figli e quanto questo influenza la loro eventuale tentazione a non
rispettare regole date a priori?
Gli adulti che, con l’intento di dare l’esempio limitano il loro uso di
schermi in casa sono considerati alla stregua dei luddisti, benchè
molti di loro siano esperti in materia, consulenti di comunicazione,
content o marketing manager. Chi conosce questi mezzi ha certo
miglior visibilità sulle problematiche che comporta l’uso smodato
di qualsiasi strumento, ma siamo ancora in una fase euforica dove
ci si sforza di valorizzarne solo le potenzialità come se queste
fossero a costo zero.