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Che ruolo giocano i media nella relazione genitore-adolescenti?

di Sabrina D’Orsi

Uso internet da 30 anni ovvero più o meno da quando internet è


comparsa in Italia. Allora avevo 18 anni e dopo la laurea in Lettere
mi misi a studiare l’html e il marketing fino a diventare consulente
di comunicazione digitale per grandi aziende. Non sono certo una
luddista quindi e neppure una scettica, nei confronti di
un’innovazione cosi solidamente caratterizzante la nostra epoca.
Da quando sono diventata genitore ho iniziato a riflettere sul ruolo
invasivo che i media stanno progressivamente conquistando nella
vita di ogni persona e da oltre 15 anni curo un blog che tratta di
minimalismo digitale, Vivere Semplice (www.vivere-semplice.org)
Ora che i miei 3 figli maschi sono quasi tutti adolescenti mi sento di
portare una riflessione all’attenzione di chi, genitore o insegnante,
si chiede fin dove spingersi nel movimento BYOD “Bring Your
Own Device” ovvero nell’abitudine di essere collegati H24, di
portarsi il cellulare a letto, a scuola e in bagno.

L’era COVID ha portato un ulteriore livello di complessità: lo


smartphone non è più solo un’utilissima invenzione ma una vera e
propria necessità, nel momento in cui ci raccomandano di stare
fisicamente il più lontani possibile. Anche chi è rimasto scettico di
fronte a tanta invadenza della tecnologia nelle vite di tutti, giovani e
anziani, non può più esimersi dall’ulitizzarla, pena rimanere
socialmente isolati.

Nell’ambito delle relazioni genitori e figli cosa è successo in questi


ultimi anni? Compiendo una generalizzazione mi sembra di aver
individuato una prima fase in cui c’è stato uno schieramento:
genitori terrorizzati contro figli entusiasti, cui è seguita una breve
fase dove i genitori hanno iniziato a prendere confidenza cosi tanta
confidenza con i social e whatsapp da perdere di vista il loro ruolo
di “esempi degni di essere imitati”, in pratica hanno preso
l’abitudine di muoversi per casa con lo sguardo sullo smartphone,
perdendo completamente di vista i figli, i loro bisogni e le loro
lamentele sempre molto meno interessanti degli stimoli che i loro
profili social offrivano loro in qualsiasi momento della giornata.
Non sto esagerando, questa è la fase che ha coinciso con un arco di
tempo di circa sei anni, dall’arrivo del primo smarphone Android
nel 2009 al trionfo di Netflix in Italia nel 2015. Un periodo non facile
per tutto il mondo con la crisi del 2008 e con il forte bisogno di
consolazione, distrazione e intrattenimento che portano le batoste.
I figli sono finiti in priorità 2, dopo il lavoro e la carriera tramontata
per oltre un milione di persone.
Nella terza fase bambini e ragazzi hanno cominciato a richiederci
l’attenzione una volta i genitori davano loro, ed ora era risucchiata
costantemente dalla distrazione e dalla fretta. Loro hanno silenziato
i loro device e ci hanno chiesto di ascoltarli ma visto che la risposta
era negativa sono ripiombati come noi nella grande babysitter per
tutti: internet.

Internet non può farsi mediatore nella costruzione di profonde


relazioni e connessioni solide, perché non può intervenire nel livello
di concretezza della presenza fisica, della ripetitività e costanza di
certi gesti o parole o abbracci.

Ho sperimentato che alla famiglia servono affetti, abitudini


condivise e tradizioni di consolidarsi attraverso l’appartenenza a
partire da relazioni in carne ed ossa.
Ogni variazione anche temporanea rispetto alla garanzia di
prossimità fisica è un elemento di forte squilibrio, in generale, per
tutti i membri della famiglia dai più giovani ai più anziati.
Senza strumenti adatti alla costruzione e alla manutenzione delle
relazioni famigliari la tecnologia non è in grado di creare né
distruggere le relazioni. La connessione digitale non ha questo
potere.
Ciò che intendo dire è che la costruzione della famiglia (o del
gruppo classe, o della comunità) deve essere già avvenuto perché la
tecnologia mobile possa avere un’influenza di qualche tipo sul
mantenimento delle relazioni, ma allo stato attuale ci troviamo di
fronte a famiglie con bambini piccoli nelle quali il legame non è
ancora sufficientemente solido e strutturato, che anzi rischiano di
non aggregarsi mai attorno ad un qualche tipo di focolare anche
virtuale, ognuno di loro disperso all’interno del suo schermo.

Come sono cambiate le condizioni d’uso dei device mobili

I device digitali non sono stati progettati per gestire relazioni basate
sull’incontro personale mentre la famiglia è essenzialmente questo:
la cura di relazioni già esistenti basate sull’incontrarsi, confrontarsi
e scontrarsi per questioni legate a differenti punti di vista, modi di
intendere la vita, priorità e progettualità.

Inizialmente questi device erano utilizzati per comunicare in


mobilità o con persone che si trovavano in mobilità: due condizioni
essenziali che hanno in comune l’urgenza e/o la condizione di
provvisorietà e l’incertezza nella possibilità che quella stessa
comunicazione potesse avvenire.
Tale uso è cambiato radialmente negli anni fino a trasformarsi quasi
nel suo opposto: tendiamo ad usare gli smartphone sempre più con
le solite persone o le persone che frequentiamo più spesso fino ad
utilizzarlo al posto del citofono perché consideriamo tale device
un’estensione della nostra volontà di comunicare e proviamo una
sensazione di onnipotenza ogni volta che, nel pensare ad una
persona che amiamo (per esempio i nostri figli) facciamo seguire
una “immediata” telefonata con l’illusione di poter essere loro
vicino e quindi di poterli proteggere, tenerli d’occhio mentre
attraversano la strada o prendono l’autobus.

Che poi, sempre più, questi device siano utilizzati a compensazione


o in sostituzione di relazioni in carne ed ossa basate sulla
prossimità questo è dovuto chiaramente al fatto che ci si è
progressivamente abituati a comunicare con persone che non sono
fisicamente in nostra presenza e che questo tipo di comunicazione
(quella mediata) abbia presupposti nettamente diversi rispetto alle
relazioni di prossimità. Inoltre l’obbligatorietà d’uso imposta dal
Covid ha reso questa non più una scelta ma una necessità

Come è cambiata la relazione in assenza di prossimità

Oggi scambiare informazioni di persona comporta sempre più delle


difficoltà legate al “tempo reale”, al doversi senza mediazione
confrontare continuamente con elementi di non facile gestione
come la prossemica, il tono della conversazione o il tono che la
conversazione può prendere a seconda che l’altro venga percepito
più o meno collaborativo nello scambio informativo in base al
timbro e al tono stesso della suo parlare, alle espressioni che usa e
agli altri elementi performativi in base alla quale si possono
desumere più o meno chiaramente i suoi intenti che veicolano
simpatia o antipatia nei confronti di noi o dei contenuti che
mettiamo in essere.
Essere in grado di reagire e confrontarsi “di persona” e “in tempo
reale” con le opinioni altrui è considerato sempre più un lavoro che
non si ha voglia di fare, perché troppo oneroso e dispendioso in
termini di energia e di volontà. Comporta un mettersi in gioco che
non è più visto come necessario ma che è invece comodamente
evitabile con un messaggio vocale o un messaggio WhatsApp.

Quanto può essere più facile per un ragazzo che deve avvisare i
genitori che non tornerà la sera, che dormirà da un amico o che
dovrà inventare una bugia di copertura usare il messaggio vocale
invece della chiamata telefonica tradizionale? E i genitori saranno in
grado di riconoscere la differenza di coinvolgimento emotivo che il
ragazzo mette in atto nella scelta della modalità di comunicazione?
E quanto può fare la differenza nella relazione con la propria
famiglia lasciare accesa oppure no la modalità di rilevazione della
posizione GPS? Quando è lecito controllare i movimenti dei propri
figli e quanto questo influenza la loro eventuale tentazione a non
rispettare regole date a priori?

Come è cambiata la percezione della privacy

E’ indubbio che avere a disposizione un mezzo che intacca


pesantemente la propria privacy e questa volta lo fa davvero in
tempo reale non può non avere un forte impatto nella costruzione
della relazione di fiducia basata sul non visto e sulla presunta
sincerità non verificabile dell’adolescente. Non crediamo che gli
strumenti che la tecnologia mobile mette a disposizione delle
famiglie collabori alla costruzione di relazioni più autentiche di
prima, anzi sospetto fortemente del contrario.
Inoltre il ragazzo viene dotato di una sorta di “scatola nera”
testimone pressochè di ogni suo scambio comunicativo,
consultabile a posteriori dai genitori che possono valutare la bontà
o meno dei contenuti. Tale possibilità obbliga l’utente ad
“inscaltrirsi”, a rendersi sempre meno ingenuo e a valutare
continuamente se questo o quel messaggio debba essere
opportunamente cancellato, quasi a vivere in costante clandestinità
perché il mezzo di cui si è dotati può diventare una spada di
Damocle messa in mano al controllore.

Come è cambiato l’uso che facciamo della risorsa più importante a


nostra disposizione: l’attenzione.

Poi c’è il tema del multitasking e della distrazione. Le relazioni


famiglia come la costruzione di un rapporto personale richiedono
impegno, dedizione, tempo, una socializzazione a sfondo non
narcisistico in cui coltivare altro che l’ipocrisia delle buone maniere,
semmai coltivare la cura dell’altro, il farsi carico dei suoi momenti
difficili, l’esserci anche quando non si sa come essere d’aiuto. La
famiglia non è un luogo dove andare quando si ha voglia o dove
andare per farsi vedere (come sono i social) è al contrario un luogo
dove si esercitano le più umane e faticose capacità di ascoltare ed
essere ascoltati, essere solidali e ricevere solidarietà, mediare con i
fratelli, contrattare con i genitori, dare dei limiti come genitori e
contrattare oneri e onori nell’eterno tiro alla fune tra generazioni. E’
una palestra di vita che dovrebbe il più possibile rimanere offline
per essere reale. Come una palestra per l’allenamento dei muscoli
anche i muscoli emotivi richiedono uno sforzo non delegabile ad
una app.

Ma la tecnologia mobile ci permette di essere fuori dalla famiglia


anche seduti a tavola o davanti ad un film di famiglia, ci permette
di distrarci con discrezione, esserci ma non esserci. Silenziosamente
usciamo dalla stanza, attraverso il nostro schermo e nessuno se ne
accorge. Sia che siamo genitori che figli. Alla richiesta di attenzione
dei nostri figli che fanno di tutto per essere guardati, ed essere visti,
ovvero essere riconosciuti, esistere, essere amati con l’uso senza
limiti e vincoli degli smartphone in famiglia lasciamo che imperi la
regola della distrazione, dove chiunque può essere disturbato in
qualsiasi momento e durante qualsiasi attività che comprenda o
meno gli altri membri della famiglia: perché ad un telefono che
squilla non si può non rispondere. Sarà urgente e se non è urgente è
comunque più importante di quello che sto facendo qui e ora con i
miei.
Il risultato è che non esiste più priorità d’importanza di ciò che
avviene nella vita dei membri della famiglia, perchè le priorità sono
scandite da chi ci chiama, ci manda un messaggio o un alert, quindi
anche dai messaggi pubblicitari o di direct markenting, siamo alla
mercè di chiunque e permettiamo a chiunque di entrarci in casa a
qualunque ora del giorno.

Gli adulti che, con l’intento di dare l’esempio limitano il loro uso di
schermi in casa sono considerati alla stregua dei luddisti, benchè
molti di loro siano esperti in materia, consulenti di comunicazione,
content o marketing manager. Chi conosce questi mezzi ha certo
miglior visibilità sulle problematiche che comporta l’uso smodato
di qualsiasi strumento, ma siamo ancora in una fase euforica dove
ci si sforza di valorizzarne solo le potenzialità come se queste
fossero a costo zero.

Come è cambiata la relazione a scuola

Per quanto riguarda la scuola e la relazione studente/insegnante il


discorso è molto simile: parliamo della stessa necessaria relazione
di fiducia su cui si deve basare il rapporto, fiducia che non può
essere messa in pericolo dalla paura dell’insegnante che si trova, in
competizione con il linguaggio dei media, a dover escogitare mille
modi per attrarre l’attenzione di quello che dovrebbe ancora essere
il suo alunno. Se crolla l’equazione che l’insegnante ha il potere e il
carisma del maestro e che l’allievo lo segue perché in lui trova
risposte alle domande dell’essere umano (o rintraccia una buona
tecnica individuale per scovare le domande profonde sull’essere
umano) ancor prima che le domande della didattica, allora crollano
i presupposti della relazione e la tecnologia non potrà né giovare né
essere deterrente alla fine del mettersi in atto di questa relazione di
apprendimento che passa necessaria per l’intesa e la condivisione
di sentimenti ed è quindi una “storia d’amore”.
La Didattica A Distanza non ha certo aggiunto nulla alla scuola,
anzi ne ha minato le basi di fiducia perché la relazione a distanza è
minata di insuccessi, dalle mancate connessioni, alle webcam che
non funzionano fino all’incapacità di essere puntuali ed organizzati,
sia gli studenti che i docenti.

Le potenzialità della relazione

L’adulto che sia insegnante o genitore ha il compito di incoraggiare,


sostenere l’impegno, valorizzare i ripetuti tentativi anche quando
non vanno a buon fine e se non sono loro i primi ad agire avendo in
mente queste finalità come possiamo aspettarci questi
comportamenti dai ragazzi? E non si tratta solo di rendimento
scolastico o rendimento sociale, valore umano, capacità
relazionale, si tratta di tutto questo insieme. Fare paragoni e lodare
sempre i più bravi è poco efficace ai fini dell’inclusione, mentre
frasi come “hai lavorato sodo, complimenti” danno risalto e valore
allo sforzo e alla costanza.

Sia l’insegnante che il genitore devono dotare i loro bambini e


ragazzi di strumenti per costruire attenzione, autonomia e fiducia
stabilendo confini ragionevolmente progressivi e adatti alla loro età
per fare in modo che la conquista di nuovi linguaggi di
comunicazione sia una necessità di cui far virtù per fare alcuni passi
oltre quei limiti.
Lo smartphone può abilmente essere usato per sviluppare la
ricerca di strumenti, per rendere la conoscenza appassionante
come una caccia al tesoro, per andare a scovare contenuti di qualità
e avere idee innovative là dove è sempre apparentemente più facile
trovarli o concepirle.

Come costruire percorsi di avvicinamento a contenuti innovativi o


di qualità è la vera sfida. La mia tesi è che questa sfida parta
dall’assenza del mezzo più che dalla sua presenza.
Non dobbiamo insegnare agli adolescenti ad usare il web per
cercare fonti ma dobbiamo chiedere loro di risolvere dei problemi
o di elaborare delle proposte inedite a partire dalle fonti che
eventualmente vorranno mettere in campo. E per farlo devono
andare oltre il mezzo. Avere il coraggio di usare le mani, il corpo e
non solo lo schermo.
In famiglia come a scuola lo smartphone ha lo stesso valore di una
pentola o di una penna. Sta a noi escogitare soluzioni appetibili:
chiediamo agli adolescenti di cucinare un piatto tailandese per il
compleanno dei fratelli o di comporre una poesia in una lingua
sconosciuta per la lezione di letteratura, dove i versi facciano rima
mantenendo un senso compiuto, solo allora il mezzo avrà una
finalità concreta e il suo uso potrà essere apprezzato dal genitore
che gusta la cena o dall’insegnante che leggendo ad alta voce
scoppierà in una risata… quell’uso sarà davvero condiviso e darà la
possibilità all’adulto di apprezzare e congratularsi con il giovane
per il suo virtuoso uso del mezzo.

I metodi per capire i processi che incorporano i device digitali nella


vita di tutti i giorni sono tutt’altro che digitali: l’ascolto
spregiudicato, l’astensione dal giudizio e il silenzio. Metodi
antichi e forse destinati sempre più solo ad adulti “iniziati” che
conoscono bene i mezzi e i loro segreti, metodi infatti sempre meno
utilizzati nei comuni setting famigliari e scolastici dove il rumore e
la fretta dominano su tutto il resto.
Staccare l’attenzione dalla relazione a quattro occhi e incanalarla in
quell’alternativa al tubo catodico che è lo schermo dello
smartphone significa staccare la spina propriamente dalla relazione
più complessa in assoluto: quella che mette in campo il proprio
corpo fisico.
Per questo motivo è assolutamente necessario che questo contatto
venga mantenuto il più a lungo possibile (è il famoso continuum di
cui si parla nella relazione educativa dei primi momenti di vita del
bambino) perché possa essere riconosciuta come una relazione di
valore, una relazione di qualità essenzialmente superiore rispetto a
tutte le altre. Se viene messa in discussione questo assioma decade
automaticamente il concetto di relazione famigliare o di setting
primario caratterizzato dalla cura fisica, dal soddisfacimento dei
bisogni relativi alla sopravvivenza fisiologica dell’essere umano.

Nessuna potenzialità della tecnologia mobile può essere sfruttata


per contribuire allo sviluppo dell’identità, delle capacità di
apprendimento e di comunicazione degli adolescenti se non
esistono alla base altri strumenti, sempre più sottovalutati e dati
erroneamente per scontati come l’essere ascoltati, presi in
considerazione per le proprie opinioni anche opinabili, essere
visti, guardati mentre si sbaglia, consolati, aiutati, incoraggiati.

Attualmente ciò che mi sembra più probabile è che le potenzialità


della tecnologia mobile vengano usate come sostitutivo del
controllo e come megafono della voglia di comunicare e di
conoscere gli altri, senza che si trovi il modo di aiutare i giovani a
capire che non è in un setting virtuale che si può realmente
comunicare né conoscere. L’esperienza fisica e pratica di una realtà
non è mai eguagliabile alla sua trasposizione in ambiente digitale,
una chiacchierata al telefono non può essere paragonata a quella
fatta di persona e questo è il presupposto essenziale per avere ben
chiaro che alcuni discorsi non si possono fare al telefono e molte
altre azioni conoscitive come il sesso non si possono simulare o
sublimare nella fruizione di materiali pornografico.
Come dice lo psicanalista Recalcati nel libro “I tabù del mondo”,
abbiamo progressivamente abbandonato ogni tabù e stiamo
diventando la società della perversione: rendendo accessibile ogni
fantasia e trasgredibile ogni legge si vanno perdendo la curiosità e il
desiderio, che esiste solo se accompagnato dalla tentazione di
raggiungere qualcosa di segreto, di non conosciuto. Una volta tolto
il velo nulla può essere, appunto, “svelato” e perde il suo stesso
motivo di esistere.

Se il Covid ci insegna qualcosa ,dal questo nostro piccolissimo


punto di vista, è che non voglio tollerare che alla mia libertà
d’azione nel mondo fisico vengano posti eccessivi ostacoli.
Dobbiamo poterci vedere e parlare, oltre a poterci telefonare!

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