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Spazi metafisici di Giorgio De Chirico

Il non senso della vita nella rivisitazione mentale degli spazi urbani

Schopenhauer e Nietzsche per primi insegnarono il profondo significato del non senso della vita e come tale non senso potesse venire tramutato in arte. Quest'affermazione di De Chirico riassume una concezione dell'arte moderna fortemente innovatrice, di cui egli per primo in Italia fu portatore. Egli infranse la concezione estetica dell'arte figurativa, ricercando nuove forme espressive non necessariamente collegate alla congruit degli elementi della rappresentazione. La pittura metafisica in effetti assembla gli oggetti, li decontestualizza, li immerge in atmosfere e visioni mentali imprevedibili, quasi oniriche. Oltrepassando la soglia della pura visibilit ed attingendo all'enigmatica insensatezza delle correlazioni percettive, opera per associazioni stranianti ed emblematiche.

La piazza e il momento enigmatico della visione

Enigma di un pomeriggio d'autunno del 1910 nacque da una visione che De Chirico ebbe in un limpido pomeriggio d'autunno, in piazza S. Croce a Firenze. ... in un limpido pomeriggio autunnale ero seduto su una panca al centro di piazza Santa Croce a Firenze. Naturalmente non era la prima volta che vedevo quella piazza: ero uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale ed ero quasi in uno stato di morbida sensibilit. Tutto il mondo che mi circondava, finanche il marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. Al centro della piazza si erge una statua di Dante, vestita di una lunga tunica, il quale tiene le sue opere strette al proprio corpo ed il capo coronato dall'alloro pensosamente reclinato... Il sole autunnale, caldo e forte, rischiarava la statua e la facciata della chiesa. Allora ebbi la strana impressione di guardare quelle cose per la prima volta, e la composizione del dipinto si rivel all'occhio della mia mente. Ora, ogni volta che guardo questo quadro, rivedo ancora quel momento. Nondimeno il momento un enigma per me, in quanto esso inesplicabile. Mi piace anche chiamare enigma l'opera da esso derivata. Il momento della rivelazione coincide con il momento dell'attesa, della sospensione mentale, cercata attraverso il superamento della realt fenomenica. Anche in Enigma di un giorno, 1914 si rintracciano alcuni degli elementi strutturali che caratterizzano la visione fiorentina. Si tratta di elementi che popolano la scena urbana, ma che non appaiono verosimilmente congruenti gli uni con gli altri. I soliti alti porticati, che si restringono via via in ardua fuga prospettica < in una prospettiva psicologica e non geometrica, temporale pi che spaziale >, fino a toccare un confine unificante e periferico. Qui si stagliano le torri-ciminiere, rossi baluardi umani, ambiziose e vane proiezioni verso l'infinito. Sullo sfondo un cielo freddo, vuoto, siderale, esso stesso testimone ed osservatore dell'assenza. In lontananza due esigue sagome umane, parvenze larvali della storia e del tempo, mentre al centro campeggia la statua declamante, reificazione della parola pietrificata, inutile oggettivazione ed emblema di una memoria storica fittizia, che

identifica una nuova assenza di significato nell'esistenza. La statua una delle tante immagini "permanenti" nella citt metafisica, che non implica mai una sincronica convergenza temporale di attori e di scenari, dove invece ogni elemento della composizione pu essere considerato emblema a s stante, inserito in un simbolismo chiuso a codici esterni.

De Chirico, enigma di un pomeriggio d'autunno, 1910

De Chirico, Enigma di un giorno, 1914

Le piazze d'Italia: dimensioni mentali della condizione umana L'enigma del tempo, fissato in emblemi oggettivi che sanzionano il distacco angoscioso

G. De Chirico, L'enigma dell'ora, 1911

G. De Chirico, La conquista del filosofo, 1913

G. De Chirico, Il grande metafisico, 1917

G. De Chirico, Le Muse inquietanti, 1918 Dagli scambi culturali ed artistici ferraresi con Carr, Savinio e De Pisis e dalle riflessioni sulla filosofia di Nietzsche e Schopenhauer, nascono le celebri visioni metafisiche. La citt diventa pretesto per assemblare su un palcoscenico quasi teatrale le memorie del passato rinascimentale, affiancate agli emblemi di un'arte classica ( le statue-manichino) ormai priva di riferimenti storici e ridotta a enigmi melanconici e vuoti di significato. Sullo sfondo gli altri emblemi della societ industriale, che straniano ulteriormente rispetto all'omogeneit culturale della citt.
Il dipinto particolarmente significativo della "pittura metafisica" di questo artista dalla personalit complessa, contraddittoria e misteriosa che fu pittore, scultore, scrittore, inventore e ricercatore di tecniche pittoriche che restano sue particolari. Abile come nessun altro a creare volontariamente effetti sorprendenti e sconvolgenti, ironico osservatore della realt che non coincide con la verit ma serve a mascherarla dietro la perifrasi della dissimilitudine, questo pictor optimus pone all'osservatore inquietanti interrogativi sull'arte e sulla vita. Per queste sue caratteristiche, Giorgio De Chirico venne riconosciuto dai pittori del Surrealismo un fondamentale riferimento ed un geniale anticipatore della loro poetica, basata proprio sull'accostamento insolito di oggetti quotidiani incongrui rispetto a contesti non conformi, per le sue raffigurazioni di interni claustrofobici colmi di oggetti stravaganti, mappe, telai, manichini talvolta monumentali sullo sfondo di vedute ferraresi (come nel "Grande metafisico" del 1917). E' Apollinaire a coniare per la pittura di De Chirico sulla rivista "L'intransigeant" il termine "metafisico", mentre, attorno al 1918, sulla rivista "Valori Plastici" si comincia a parlare di "pittura metafisica". "Le muse inquietanti", un dipinto nel quale gi si colgono molto chiaramente i caratteri di quello che sar il mondo figurativo "metafisico", "al di l delle cose sensibili", di tutta la pittura seguente, rappresenta il tentativo di cogliere un mistero celato nel mondo fenomenico, al di l dell'apparenza, personale elaborazione dell'artista di contatti e frequentazioni con l'irrazionalismo tedesco e le teorie filosofiche di

G. De Chirico, Le Muse inquietanti, 1918

Schopenhauer, Nietzsche, Weininger. Le teorie di Nietzche, filosofo molto amato da De Chirico, rivivono nel rigore dei canoni compositivi tradizionali, negli spazi rarefatti e deserti, nelle architetture stilizzate dall'ordinata geometria e dalla prospettiva deformata, nel ricorrente tema del manichino, metamorfosi misteriosa ed indecifrabile della figura umana, che, non essendo umana, si presta egregiamente ad esprimere quellassenza di vita che caratterizza la pittura metafisica. Ne deriva una satira lucida dell'aspetto comune delle cose in cui la matrice classica dell'origine greca viene annullata e superata in un processo dove si rintracciano concetti postmoderni, dando forma ad una lettura anomala dello spazio e della prospettiva che, devitalizzando la realt, pongono sotto una nuova luce la stessa identit umana. Il tema dominante quello di un'eternit immobile e misteriosa, che prevarica lapparenza delle cose ed induce ad interrogarsi sul loro significato ultimo, sul perch della loro esistenza, in un'atmosfera magica da visione onirica. La piazza, scena del quadro, pavimentata di assi, somiglia ad un palcoscenico che ha come sfondale il castello di Ferrara ed una fabbrica con ciminiere, metafora della bipolarit antico-moderno, presentepassato, strutture vuote ed inutilizzate, in un complesso scenario panoramico rappresentato da due punti di vista diversi, uno in alto per la parte inferiore, uno in basso per la parte superiore, chiara citazione della pittura fiamminga del '400. Protagoniste della scena sono le Muse, che l'artista definisce inquietanti perch delega loro il dialogo con il mistero, con la verit al di l dell'apparenza, con una realt svincolata dal tempo e dallo spazio, in polemica con un concetto di modernit che nega i valori del passato, trasformandole in manichini: quello in primo piano, grazie alle pieghe verticali della veste, pare sul punto di metamorfizzarsi in colonna ionica, mentre laltro, in secondo piano, seduto, ha la testa smontata ed appoggiata a terra, simile ad una maschera che allude al negrismo caro a Pablo Picasso e allambiente parigino del suo tempo, in riferimento polemico con il Cubismo e tutte le correnti avanguardiste che De Chirico ha sempre rifiutato. I colori sono caldi, giocati sui toni del rosso-marrone, corposi, privi di vibrazioni, la luce bassa, le ombre lunghe, nette e definite, la prospettiva converge verso il fondo del palco ligneo a definire uno spazio vasto ed irreale, innaturalmente deserto e statico, un luogo allucinante, dove tutto cristallizzato in una sospesa realt atemporale e la vita umana preclusa, sostitiuita da quella puramente figurativa dei manichini.

Le Muse inquietanti: l'Opera Se esiste un dipinto che famosissimo, pubblicato su ogni libro d'arte , emblematico e rappresentativo della produzione di de Chirico, Le Muse inquietanti, il quadro simbolo della metafisica. Questa opera la sintesi di tutti gli elementi ed i caratteri iconografici, formali e stilistici della versione matura della metafisica. Domina una atmosfera sospesa ed enigmatica e rappresenta una summa della produzione metafisica di de Chirico. Eseguito nel 1918, durante il soggiorno di de Chirico a Ferrara, questa opera rappresenta uno dei massimi capolavori della metafisica: raffigura una piazza silenziosa, trasformata in un palcoscenico, chiuso ai lati e sul fondo da edifici: il castello degli Estensi, una torre, un'officina moderna con le ciminiere, un palazzo rinascimentale. Quasi nascosta all'ombra di un palazzo una statua senza volto che diventa presenza muta. In primo piano due grandi manichini disposti specularmente tra loro, in modo che l'osservatore ne veda uno di schiena e l'altro di fronte quasi a voler escludere ogni forma di comunicazione. Accanto a loro sono disposte scatole colorate, una maschera ed un bastone: oggetti di un mondo in bilico tra realt ed immaginazione, disposti su un palcoscenico misterioso e non svelato dall'artista. in tutto questo che risiede la carica enigmatica dell'immagine e la netta sensazione che non ci si trova davanti ad una visione nata da un sogno ma ad una realt concreta, strutturata in volumi e con le ombre che evidenziano l'ora pomeridiana. La forma dei manichini che ricorda la statuaria arcaica, un contesto architettonico che sfugge ad una logica temporale, oggetti che fanno eco silenziosa alle muse

inquietanti senza un motivo logico che unisca tali elementi nella loro apparizione. Il disegno dettagliato, il colore smaltato, steso in modo levigato, i chiaroscuri, la volumetria delle forme, il colore nitido che esalta la matericit dei manichini, delle scatole e degli edifici, sono elementi che accentuano la scena e fanno lievitare il carattere enigmatico dell'immagine. Il silenzio domina la scena che pare fissata e cristallizzata in una dimensione senza tempo. L'ambiguit figurativa determina l'atmosfera sospesa e le divinit protettrici delle arti sono inquietanti perch non v' spiegazione al fatto che si trovino, pietrificate e trasformate in manichini, in questa piazza-palcoscenico. Ormai tutto ci che immagina, vede, raffigura e dipinge de Chirico diventa inesorabilmente una cosa sua. Gladiatori, Cavalli antichi, Bagni Misteriosi, Mobili nella valle: tutto immortalato ed ipnotizzato in una atmosfera dechirichiana. Ogni cosa diventa meraviglia, perfino gli oggetti comuni diventano suppellettili-metafore ed assumono ruoli fantastici. Dal mondo classico e dalle rovine di templi e capitelli si passa ai mobili in serie, alle poltrone delle sale provinciali, ai letti in ghisa. L'indagine sistematica e scientifica degli scenari e il tripudio di invenzioni sono una fonte eterna di energia per la sua continua voglia di essere uno sperimentatore, un inventore: dall'idealismo passa all'ironia, dall'astrattismo passa al naturalismo, dal manichino alla natura morta. Da grande maestro di tecnica pittorica quale , riguarda, rivive, plasma, ricontempla le esperienze passate e si tuffa nella sua prodigiosa immaginazione. Non pone limiti alla sua fantasia ed applica nuove tecniche, ricerca nuove resine ed intrugli vari e riscopre l'uso dell'acqua con diverse emulsioni: "La pittura delle grandi epoche non mai pittura ad olio... ma invece una polpa di bellissima qualit tinta con del colore; ora in ogni polpa che si rispetti, da quella d'una mela o del corpo umano, vi sempre una forte percentuale d'acqua; senza l'acqua non esiste bellezza e buona qualit di materia". Ormai gli oggetti e le atmosfere non sono pi limitate dalle esigenze metafisiche: adesso dipinge tutto. Cavalli, frutta, animali vari, corazze d'oro, tappeti e tessuti, paesaggi all'aperto o solo quelli visibili dalla finestra del suo studio. Ecco allora che il cerchio si chiude e si ritorna allo studio del pittore col quale abbiamo iniziato questo viaggio. Adesso lo studio il suo mondo. Nello studio ha a portata di mano i pennelli, i pentolini per far bollire l'emulsione, i vasetti e le bottiglie con le miscele segrete, i disegni, le sue ricette misteriose che nessuno pu leggere, le nuove resine e le inimmaginabili essenze. Nel suo studio adesso trova la felicit di sentirsi "operaio" e proprio come l'operaio sognatore si curva sulla tavolozza dove stanno disposti i colori come un "minuscolo arcobaleno composto da tante palline di topazi, di zaffiri, di smeraldi, di turchesi e di rubini". In questo mondo non desidera essere un mago ma solo un operaio e scrive: "Quanto mai nobile la fatica di questi figli dell'arte, poich tanta l'oscurit e l'ignoranza, tanta la malafede e la testardaggine che li circondano, che allorquando a forza di faticare, di cercare, di frugare, di osservare, di leggere, di pensare e ripensare, di ordinare, di filtrare, di emulsionare, di unire e separare, di aggiungere, di interrogare, di guardare e riguardare, di pesare, di bagnare e di asciugare, di sperare, di disperare e risperare pi di prima, essi riescono finalmente a qualcosa di meglio, una felice sorpresa li fa tremare di pura e santa gioia, perch sentono che quello che hanno trovato permetter loro di meglio operare". In queste parole appassionate vi sono tutte le sue esperienze, le sue solitarie ricerche, le sperimentazioni, le immancabili contraddizioni di un artista: la sua vita. Il pictor optimus, l'operaio sognatore, il padre metafisico, adesso alla ricerca della perfezione e le materie coloranti con le alchimistiche essenze lo affascinano. Dipinge tutto ci che vede. Dipinge le stoffe e i costumi d'epoca, gli oggetti d'argento, i bicchieri e le teiere, la frutta, gli animali dall'oca, ai pesci alla tigre reale. Dipinge scene sacre come la crocifissione e il calvario. Ritratti ed autoritratti. Si veste da pasci con turbante di raso adornato di perle, perch il raso e le perle sono difficili da dipingere. Ormai ha alle spalle una vita di conoscenza e di coscienza del proprio mestiere.

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