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Saggio 3
Prima edizione: dicembre 1998
©
Guaraldi/Gu.Fo Edizioni srl
Via Covignano 302, 47900 Rimini,
tel 0541/752218 – fax 0541/752102
ISBN 88-8049-153-9
Domenico Colella
Manfredi Vinassa de Regny
in collaborazione con Davide Alemani e Manuela Colombini
Presentazione di
Maria Grazia Bruschi e Marco Franceschi
Guaraldi
Comunic re
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Comunicare va bene,
ma se non ci si capisce?
Introduzione
LA COSTRUZIONE DEI TERMINI. Agli inizi del nostro secolo, e più o me-
no fino alla seconda guerra mondiale, la maggior parte delle pa-
role nuove – anche della fisica e della tecnologia – veniva “co-
struita” prendendo spunto dalla tradizionale etimologia greco-lati-
na, e poco se ne discostava.
Prendiamo come esempio il caso delle particelle elementari,
quelle che si pensava fossero i costituenti ultimi della materia.
Nel 1932 l’inglese John Chadwick battezza “neutrone” la prima
particella priva di carica elettrica (e qualche anno più tardi Enri-
co Fermi si divertirà a chiamare “neutrino” un’altra particella pri-
va di carica ma molto più leggera). Ma, più o meno negli stessi
anni, inizia anche un modo diverso di costruzione dei termini: si
assume la desinenza -one (-on in inglese) come caratteristica di-
stintiva dei nomi delle particelle e si creano così il “bosone” (dal
cognome del fisico indiano Satyendranath Bose) e il “fermione”
(da Fermi).
In seguito, la particella teorizzata dal giapponese Hideki Yukawa
viene chiamata “mesone” (da alcuni addirittura “mesotrone” per
assonanza con l’elettrone) perché ha una massa intermedia tra
quella del protone e quella dell’elettrone; quando vengono indivi-
duati degli altri “mesoni”, li si distingue con lettere greche (meso-
ne-m e mesone-p). Quando i “mesoni” si moltiplicano (mesone-K,
mesone-t) e si scopre che hanno caratteristiche molto diverse, si
ricorre di nuovo alla desinenza: ecco il muone, il pione, il kaone, il
taone. Più avanti, per mettere ordine tra le particelle, si ricorre an-
cora al greco, ed ecco i “barioni”, le particelle pesanti, i “leptoni”,
le particelle leggere, e gli “adroni”, le particelle forti (che raggrup-
pano mesoni “veri” e barioni). Quest’ultima famiglia è stata creata
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in seguito a un fenomeno di reinterpretazione teorica del settore,
del tipo di quelli cui accennavo all’inizio: oggi il primo mesone
scoperto, il mesone-m, non fa più parte dei mesoni “veri”; si deve
chiamare solo “muone” e fa parte dei leptoni che non possono
più essere particelle soltanto “leggere” ma devono essere anche
“deboli”. Per fortuna la seconda caratteristica, quella della “debo-
lezza”, che attiene a una specifica proprietà comportamentale di
queste particelle, e proviene da conoscenze fisiche più recenti (la
“leggerezza” era stata definita negli Anni 30 in termini puramente
comparativi), non tradisce di molto l’etimologia originaria. Altri-
menti sarebbero stati guai seri.
L’ESEMPIO FRANCESE.
I francesi hanno una rigidissima tradizione di
sciovinismo anche nella terminologia scientifica, e mezzi assai ri-
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gorosi per farla rispettare. Una decina d’anni fa, all’inizio della
presidenza Mitterand, quando Jean-Pierre Chevenement divenne
Ministro della ricerca scientifica, i ricercatori francesi furono obbli-
gati a presentare ai congressi i loro lavori solo nella lingua madre,
pena il taglio dei finanziamenti. Tutti ovviamente giravano con in
tasca più copie della versione inglese del loro lavoro. Succede
ancora, ma i vincoli sono assai meno rigidi.
Inoltre, un’apposita commissione di saggi provvede da sempre a
“ribattezzare” i termini scientifici di origine straniera. Nel settore
dell’elaborazione elettronica nacque proprio in questo modo una
parola eccezionale come informatique, sicuramente adatta a tutte
le lingue latine ma che peraltro non si trova mai – neppure adattata
– in una pubblicazione inglese. Nacquero però anche parecchi
mostri che rendono praticamente incomprensibili ai non-francesi i
testi di informatica in francese: un esempio per tutti: logiciel al po-
sto di software. Lo stesso sta accadendo in biologia dove, tanto
per esemplificare, si usa l’espressione génie génétique per indica-
re quella che noi chiamiamo “ingegneria genetica”. Anche in italia-
no si potrebbe ovviamente parlare di “genio genetico” ma – con
tutto il rispetto per l’arma del Genio – temo si verrebbe fraintesi.