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Padre Fedele e la luce

Saggio su Padre Fedele Tirrito di San Biagio in occasione della realizzazione del suo cenotafio dentro la Chiesa Madre di San Biagio Platani restaurata e consacrata a San Biagio Vescovo. Autore: Michelangelo. Caldara San Biagio Platani, 12 gennaio 2005

A circa duecento anni dalla morte, Padre Fedele Tirrito, il figlio pi illustre della Terra di San Biagio Platani, torna a casa. Non tornano le sue spoglie. I sui miseri e illustri resti giacciono in uno dei tanti sacchi conservati, quasi anonimi, nel buio e nellumidit delle catacombe dei PP. Cappuccini di Palermo; citt e area ove visse a lungo, ove produsse molte delle sue opere, ove esercit pi assiduamente la missione di evangelizzazione spirituale a ed ove si spense. Grazie per all'iniziativa e all'impegno lungimirante di alcuni fra i pi illustri contemporanei sambiagesi e non, ai quali va la nostra stima, rivivono da un paio anni le sue opere pittoriche, censite, restaurate, esposte, diffuse in cataloghi; vengono ristampate alcune sue opere letterarie; tornano ad essere offerte ai siciliani tutti ed ai sambiagesi in particolare i suoi lavori di scrittore e poeta; di pittore e di pedagogo ad un tempo dell'arte figurativa, dell'anima e della coscienza dell'individuo. Buona parte dei sambiagesi conosce il concittadino illustre, purtroppo il pi delle volte, solo per " La Pastorale ", il dramma sacro-comico della nascita del Cristo e del buon "Nardo", rozzo e giullare pastore, che fra una battuta in dialetto e l'altra, dissimulando fra l'ironia e la risata, rivela grandi verit dei ceti poveri . Tale opera fino agli anni 60 del secolo scorso, quando il paese pullulava ancora di vita, veniva rappresentata per strada, in mezzo a folle di uomini, donne, e bambini.

Incarnata nelle fattezze del Nardo, interpretato negli anni, da vari bravi e spontanei attori del popolo, la Pastorale era in quel periodo vissuta con senso di viva adesione, di fede e di divertimento dalla generalit di sambiagesi. Fra le file del popolo, addirittura non era raro assistere a manifestazioni di interazione e commistione con attori e trama; si dava cos vita ad una sorta di fusione fra teatro e platea che creava diffusa intensit emozionale e ludica meraviglia. In seguito, fra gli anni 70 e 90, proprio quando il paese attraversava un periodo di crescita economica e culturale e viveva una rifioritura di tradizioni e di riti popolari e di fede, giusto nel periodo del rilancio spettacolare e di apoteosi della festa degli Archi di Pasqua, la Pastorale, come gi il resto delle altre opere di Padre Fedele, a poco a poco, cadde nel dimenticatoio. Un velo di oblo, pi grande che nel passato, si pose su di esse e sul nome dello stesso frate pittore e letterato. Nessuno, fra coloro che potevano, cap allora che la figura dell'illustre concittadino e le sue opere erano patrimonio di cultura, di fede e di arte, patrimonio e orgoglio di valori e appartenenza da custodire. Gli anni novanta, cosa triste, videro la nostra comunit incamminarsi verso un periodo di degrado politico, culturale e sociale. Colpa forse una lunga crisi economica e conseguente nuova vasta ondata migratoria, colpa anche una crisi di principi e ideali favorita, probabilmente, dalla impetuosa e indisciplinata globalizzazione, affermatasi, intanto, nel mondo. Il paese sembrato cadere da allora per anni, in un periodo di oscurantismo sempre pi accentuato, percepibile nel quasi totale abbandono delle campagne, a lungo terreno fertile di sostentamento, di socializzazione e di identit e, nella chiusura di gran parte dei centri di aggregazione sociale; il tutto, aggravato dall'assenza di apprezzabili nuove forme di sviluppo. Lapice della scomparsa progressiva di ogni luogo di interazione, di ogni specie di ritrovo e di appartenenza collettiva che non fossero i luoghi di superficiale ricreazione, si raggiunse infine probabilmente, in concomitanza e col sopravvenire dell'inagibilit della Chiesa Matrice.

La Chiesa era stata da sempre, bench non unica, sito e centro fondamentale per lo sviluppo e la valorizzazione di ogni evento di coscienza e di costume individuale e di gruppo della comunit. Tale periodo di decadenza del nostro paese probabilmente ancora oggi fa sentire i suoi effetti; ne spia principale il progressivo spopolamento che ha visto ridurre di un terzo in pochi anni la sua popolazione. In un contesto sociale e culturale, in cui in definitiva poche erano divenute le strutture idonee a favorire l'incontro e il coagulo della collettivit sambiagese, in anni di declino e di impoverimento del paese, il restauro ultimo e finalmente la riapertura della Chiesa Madre, furono per di recente eventi di grande rilevanza sociale e culturale, elementi che non hanno importanza solo di facciata o valenza esclusiva tecnicoarchitettonica , storico-monumentale, artistica e religiosa. La riapertura della Chiesa Madre, la restituzione in una veste splendida e semplice, scarna e soave, frutto di sapienti e raffinate scelte di chi ha guidato l'opera di riedificazione e di tutti coloro che esperti vi hanno collaborato, ai cattolici, ai cristiani, ai fedeli, ai laici e alla cittadinanza tutta di San Biagio, nuova pietra miliare per l'intera collettivit. Sono essi una linea, un punto che assieme ad altri fattori, non possono non rapprentare una inversione di tendenza rispetto al passato. Al di l delle metafore, l'opportunit di fruire ancora una volta di una struttura cos simbolica e cos importante, espressione, non pu non essere espressione, di rinascita dell'intera popolazione del paese. Una comunit si ritrova soprattutto nella stessa memoria, nelle stesse radici, nella stessa cultura, nell'esercizio delle funzioni sociali pi solenni e se si credenti, o qualche volta anche solo di cultura cristiana, nell'esercizio partecipativo al culto e alla fede. L' esercizio della fede, non infatti solo meditazione e preghiera, ma anche incontro, solidariet, interazione ed elevazione dello spirito; opera terrena intrisa di bene e che perci squisitamente si riempie di sapore divino.

Ora l'ultimo significativo gesto di memoria che si offre al paese fra le mura del suo tempio maggiore, frutto di elevata sensibilit culturale, sociale civile e cristiana e di un sano orgoglio di appartenenza, la realizzazione, la posa e la collocazione del sarcofago al figlio pi illustre; il giaciglio simbolico alle sue spoglie che ancora misere riposano altrove. Come si diceva all'inizio, Padre fedele idealmente torna a casa. Padre Fedele ritorna. La collettivit di San Biagio ripara l'inconsapevole torto fatto nei secoli ad uno dei figli migliori. E' tale pensiero, la creazione del cenotafio, il giusto riconoscimento al figlio pi illustre, che infine, spiritualmente, trova dimora fra i natali, dentro il tempio pi sacro della collettivit, non solo e non tanto per la sua grandezza di pittore del verbo o poeta della luce, quanto per la luminescenza dell'aver prestato il suo ingegno e ancor pi tutta la sua vita, all'umile impegno caritatevole e alla evangelizzazione. Egli merita ampiamente la collocazione fra le mura pi solenni e pi sacre della sua patria. Mura ora rese grazie all'ultimo lavoro pregevole, nell'aria e nell'atmosfera delle linee del marmo grezzo e della svelata povert stratificata, povert candida, pura, limpida, quasi francescana, idonei e consoni al suo spirito mite e umile. Il nostro frate, forse non del tutto compreso, fu tutt'altro di maniera nel dipingere e scrivere; egli, figlio di contadini, volle asservire il suo genio ad una missione che fu di elevazione dello spirito degli uomini e dei poveri in particolare. Padre Fedele, ebbe a concepire la fede non solo come riscatto dell'anima e come percorso di redenzione, bens nel profondo del suo sentire, pur senza palesarlo esplicitamente, come mezzo di elevazione della condizione umana e sociale. Alla difficolt della realizzazione di questo processo, di questo processo forse di concepimento e adesione ad un insieme di inconsci principi egualitari fondati sulla ragione della fede, alternativa embrionale di ci che forse stava per essere la rivoluzione dei lumi in Francia, testimoniato dalla

sua stessa esperienza di accademico, predicatore, di uomo di ingegno e di fede, dalla sua instancabile opera missionaria, lunga tutta una vita, forse dovuta in estrema sintesi, la tristezza dei suoi occhi e del suo volto nell'ultimo autoritratto, opera pittorica testamento, oseremmo dire senza sostituirci agli esperti di critica dell'arte. A ci dovuto forse anche la scritta che in calce accompagna lopera pittorica. " - Pergamenus Ingenium Unitim, Pictura, Poesis, Excoluere meum. Quid tamen inde? - Nihil." Tutti riconoscimenti del mio ingegno, la mia pittura e la mia poesia, tutto il mio sapere, cosa mi hanno dato?! Di essi cosa mi rimasto? Niente mi ritrovo. Nulla ho Il nulla di Padre Fedele per non un nulla assoluto; esso va visto nel contesto di tutta la sua vita e nel contesto della sua epoca. Va visto, nel contesto dei messaggi che derivano dalle sue opere, dal suo operare di evangelico, dalla sua missione di carit, da uomo di fede e civile quale egli fu. Il volto e le mani, sempre del suo autoritratto, che stringono la tavolozza di colori, il calamaio, il quaresimale e perfino le opere artistiche, bench poste alle spalle, quasi ormai disgiunte dalla realt, disgiunte forse ormai dagli scopi e quindi inutili, infatti sono baciati dalla luce; continuano ad essere baciati dalla luce; la stessa luce che illumina il Bambin Ges della Sacra Famiglia baciato da San Francesco. Il Santo che si inchina alla vita che viene da Dio; forse l'uomo a Dio devoto che riconosce e riscopre il valore dei legami della famiglia; dei legami che in quanto anche di sangue sono terreni e l, proprio l, in quel bacio che viene dall'ombra forse egli, Padre Fedele, trova il vero filo conduttore del divino che collega il cielo alla terra, del Dio che forse si fa uomo tutte le volte che un essere umano nasce; e riappare e ritorna alle sue origini, se egli puro nello spirito, ogni volta che muore. Dio in ogni creatura vivente, la accompagna in vita e la riconduce a se nella sua semplice innocenza, se nobilitata, elevata e resa migliore nella

sofferenza e nell'umilt, se resa pura nellanima; direbbe probabilmente il francescano nostro compaesano. Ecco allora che il lungo canto di lettere alla vanit di ogni bellezza del Lu Giuvini Addrottinatu, le sue prediche di evangelizzazione per elevare l'anima e la condizione umana dei poveri, le sue iperboli di chiaro-scuri e di colori, la stessa scoperta del grande nulla dovuto alle debolezze degli individui e delle societ umane, alle debolezze che non danno il necessario universale respiro alla vita e alla fede, diventano la vera luce: la luce. Questa oggi la luce che entra dentro il tempio pi sacro del nostro paese; la luce vera da cogliere nelle sue opere, nei suoi quadri, nei suoi scritti; la luce che deve illuminarci. Questa la luce che si coglie avanti al cenotafio ispirato alla crepuscolare opera pittorica del cappuccino. Questa oggi la luce delicata e forte che si coglie al cospetto dellimmagine in bronzo; figura quasi corporea , di tale autorevolezza e mitezza da sfiorare la soglia del sacro, inserita fra le mura della Chiesa Madre, fondamenta del Tempio di Dio in terra; fra i libri in marmo bianco, espressione di ingegno umano e terreno e mezzi di fede e di speranza, posati come piume candide . Una luce che emoziona. Una luce che incute silenzio e rispetto, che soffia quasi alito sublime e d sussulti danima e forza. Questo paese, questo paese da sempre povero, questo paese che forse ha nella povert la sua ricchezza, questo paese spesso sfaldato nei valori e perfino nei sogni, ha bisogno di tale luce; ha bisogno di simboli rappresentativi e densi di significato; ha bisogno dellinsegnamento che viene dal cittadino pi illustre e virtuoso; ha bisogno della stessa filosofia di operare, per rifondarsi e tornare a crescere; ha bisogno di riscoprire l'unit e l'umilt per rinascere Comunit.

La Chiesa rinnovata, il Tempio Principale splendidamente riedificato e consacrato al Santo Patrono Biagio Vescovo, una nuova guida ispiratrice, il ritorno ideale dello spirito di Padre Fedele, i simboli rappresentativi, la purezza dell'anima, la vicinanza dei nostri pensieri all' insegnamento del fare, la fede, lidea del bene comune, e il sentimento di ritrovato orgoglio di appartenenza, devono essere principio emblematico di questo processo.

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