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lOSSERVATORE

Ottobre 2011 N 1

Osservatorio dellAsia Orientale


Cina-Nord Africa Prospettive cinesi, allombra del gelsomino Le strategie di sviluppo di India e Cina: due modelli opposti Crescere: l' inevitabile strategia di vittoria. Post-Tsunami: la produzione industriale giapponese. Breve introduzione alla Corea del Nord Rep. Democratica Popolare di Corea. Come interpretarla? E.U. e R.O.K.: pi vicine con il Free Trade Agreement Cosa c dietro (e davanti) alla disputa su Taiwan

Leditoriale
Una volta colte, le opportunit si moltiplicano.
(Sun Tzu, L'arte della guerra)

Laforisma sopra citato rappresenta bene lo spirito con il quale inauguriamo il primo numero dellOsservatore; una rivista che nasce con lintento di fornire opportunit di conoscere. Spesso nel nostro paese, grazie anche alla scarsa attenzione mediatica, lEstremo Oriente rimane unimmagine sfocata composta da pregiudizi e stereotipi. Tramite queste pagine ci prefiggiamo di promuovere la conoscenza della macroregione dellAsia Orientale tramite approfondimenti dal carattere divulgativo sui temi di politica estera, economia, storia, sociologia. Perch? Perch oggi come mai lEstremo Oriente centrale e interrelazionato a noi: andare oltre risulta essere, non solo utile, ma necessario. In primo luogo come Associazione Culturale, ed in secondo tramite i nostri progetti, tra cui questa rivista, cerchiamo di offrire la possibilit a tutti di andare oltre. Losservatore si rivolge ad un pubblico vasto e variegato che ha colto in noi il mezzo e lopportunit di conoscere e capire. Per questo primo numero abbiamo deciso di accompagnare gli approfondimenti e le analisi ad articoli dal carattere pi introduttivo, cos da fornire basi solide anche ai lettori che per la prima volta guardano ad est.
Direttore Cesare Marco Scartozzi Autori Claudia Astarita Guidogiorgio Bodrato Giacomo Conti Enrico Nano Pietro Raviola Michele Russo Cesare Scartozzi ottobre 2011 - numero 1 Lassociazione Ass. Culturale Osseravetorio dellAsia Orientale. Via Palmieri 25, Torino, 10138, Italia. Sito internet: oao.altervista.org Contattaci a osservatorioasiaorientale@gmail.com o sul sito oao.altervista.org +39 3936327215 +39 3925303098

In questo numero:

n1

3 Cina-Nord Africa 5 Prospettive cinesi, allombra del gelsomino 7 Le strategie di sviluppo di India e Cina: due modelli opposti 10 Crescere: l' inevitabile strategia di vittoria 12 Post-Tsunami: la produzione industriale giapponese 15 Breve introduzione alla Corea del Nord 17 Repubblica Democratica Popolare di Corea. Come interpretarla? 20 E.U. e R.O.K.: pi vicine con il Free Trade Agreement 23 Cosa c dietro (e davanti) alla disputa su Taiwan

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C i n a
Ndr: Corruzione, assenza di libert individuali, violazione dei diritti umani, povert, inflazione e la maturit di una generazione nata e cresciuta senza prospettive; questi sono alcuni tra i fattori che hanno provocato le rivolte arabe. La Cina, dietro la maschera dello sviluppo armonioso e dei record, mostra la realt di un paese lacerato dalle ineguaglianze sociali, in crisi. Pechino guarda con apprensione alle dittature rovesciate dalle rivoluzioni dei gelsomini e agisce, non solo, in modo coercitivo. Per questo numero delCannocchiale proproniamo due articoli per approfondire largomento.

Cina-Nord Africa
di Claudia Astarita

La stampa cinese della Rivoluzione dei gelsomini ha parlato molto poco. Soprattutto dopo che, prendendo spunto dalle rivolte che hanno caratterizzato Medio Oriente e Nord Africa, anche i cinesi hanno iniziato ad organizzarsi per scendere in piazza e protestare contro la corruzione del sistema politico cinese. I blogger hanno lanciato pi appelli alla mobilitazione per innescare una Rivoluzione dei gelsomini sul modello di quelle africane, cercando di attirare lattenzione dei disoccupati, dei genitori dei bambini che sono rimasti avvelenanti dal latte alla melamina, dei seguaci Falun Gong, dei dissidenti e degli operai che si sentono vessati dai datori di lavoro e dal regime. Gli slogan da gridare avrebbero dovuto essere vogliamo cibo, lavoro, una casa e un po di giustizia. Ma chi ha aderito alla manifestazione ha preferito limitarsi a lanciare qualche gelsomino bianco. Alla mobilitazione delle masse sono immediatamente seguiti un dispiegamento di polizia impressionante e centinaia di arresti. Anche chi si era semplicemente limitato a re-twittare lappello sul web stato accusato di sovversione. Nonostante lesercito avesse rassicurato il partito ribadendo di essere perfettamente in grado di tenere sotto controllo la situazione, Pechino ha preferito chiedere alle universit di tenere chiusi i cancelli per evitare che gli studenti potessero mescolarsi ai movimenti di protesta, aggiungendo che una partecipazione attiva avrebbe potuto
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compromettere il buon esito del loro percorso formativo, e ha costretto i dissidenti pi noti agli arresti domiciliari. Anche i giornalisti stranieri sono stati fermati per motivi di sicurezza preventiva, mentre stata revocata lautorizzazione per tutte quelle iniziative, dal lancio di un nuovo prodotto alla presentazione di libri, in cui si sarebbero potuti creare (pericolosi) assembramenti. I quotidiani pi vicini al partito hanno cercato in tutti i modi di convincere la popolazione a tenersi lontana dai raduni di massa organizzati da quel piccolo gruppo di cinesi e stranieri che complotta contro la crescita e lascesa della Cina sul piano internazionale. Appelli per la mobilitazione di massa lanciati online hanno gi destabilizzato lAfrica del Nord e il Medio Oriente: cerchiamo di evitare lo stesso destino alla Cina. La rivoluzione stata sventata, ma linstabilit resta: ha commentato in questo modo il South China Morning Post i postumi della versione cinese della Rivoluzione dei gelsomini, ribadendo che il governo non affatto immune dai venti rivoluzionari, come ama Lavoratori cinesi in coda per evacuare la Libia ripetere Pechino. La risposta con una militarizzazione di massa a un movimento di protesta web che, in fin dei conti, non riuscito a far scendere in piazza pi di qualche centinaio di persone, spiega unevoluzione molto importante della Cina contemporanea. La classe media cinese, assieme a tutti coloro che continuano a fare fatica a lasciarsi alle spalle le conseguenze di una crisi economica che ha colpito anche la Repubblica popolare, si lasciata influenzare dalle proteste africane non tanto nella speranza di riuscire a sovvertire il regime quanto spaventata di fronte alleventualit che il contraccolpo economico che potrebbe subire la Cina dallondata di instabilit nordafricana possa di nuovo danneggiarli personalmente. Pechino non ha interessi economici e finanziari cos importanti in questa regione, ma vero che la propaganda ha convinto la popolazione che sarebbero stati proprio i nuovi mercati emergenti del Terzo mondo ad allontanare dalla Repubblica popolare il pericolo di un rallentamento della crescita. Il Partito ha fatto al popolo una promessa importante, e un
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crollo delle esportazioni legato allinstabilit politica ed economica del Nord Africa in un momento in cui anche la vendita dei prodotti cinesi a buon mercato in difficolt potrebbe far incrinare quella fiducia incondizionata che il Paese si ritrova a riporre nella classe dirigente dai tempi delle riforme economiche degli anni 70.

All'Ombra del Gelsomino


Prospettive per la Cina degli anni '10
di Guidogiorgio Bordato

L'ondata di rivolte democratiche partita dalla Tunisia sta travolgendo i regimi autoritari del medio oriente. Arriver fino a Pechino? Si interroga Francis Fukuyama, autore del celebre libro La fine della storia in un lungo saggio sul Wall Street Journal. Forse il miglior autore per comprendere il medio oriente oggi Samuel Huntington, non l'Huntington di The Clash of Civilizations che sosteneva ci fossero sostanziali incompatibilit fra Islam e la Democrazia scrive Fukuyama ma l'Huntington di Political Order in Changing Societies pubblicato nel 1968, nel quale teorizza il concetto di Divario dello sviluppo. Hungtinton prosegue Fukuyama osserva come una rapida modernizzazione socio-economica spesso conduca a rivolte e colpi di stato. Questo pu essere spiegato, sostiene, dal divario fra i nuovi ceti istruiti e ricchi e il sistema politico esistente, fra le speranze di partecipazione politica e i limiti posti ad essa dalle istituzioni. Gli attacchi all'ordine politico esistente and waiting: Many more police partono spesso dai pi poveri e vengono Ready the streets and appeared at the lined guidati da un emergente classe media places where protesters were meant to frustrata dalla mancanza di opportunit meet. economiche e politiche. A fronte delle rivolte anti-autoritarie, la classe media cinese sar pi materialista che idealista, preferendo un roseo futuro economico garantito dal regime a dispetto di maggiori diritti e di istituzioni
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democratiche? La risposta sembra essere di s. Lo stesso Fukuyama evidenzia per come la situazione cinese si differenzi molto da quella dei regimi nordafricani e medio-orientali. Il governo cinese ha sempre preferito rispondere attraverso una pacificazione, venendo incontro alle esigenze della classe media piuttosto che attraverso la repressione militare (Fukuyama ricorda come per venire incontro alla classe media, il Partito Comunista Cinese arrivato in casi eclatanti di corruzione, ad esempio le costruzioni non a orma in Sichuan, abbattute nel terremoto e il caso della melamina nel latte, a condannare a morte amministratori locali del partito). Lo studioso americano individua inoltre nell'efficace controllo di internet, nel ricambio generazionale dei vertici del Partito e nell'Esercito Popolare di Liberazione altri cardini della stabilit politica del regime di Pechino. Il punto pi forte su cui si fonda la A man is arrested by police in front of stabilit politica cinese resta Shanghai's Peace Cinema on Feb. 20, 2011 comunque la crescita economica. Contrariamente a quanto accade (o accadeva) nei regimi autoritari in Nord Africa o in Medio-oriente, la maggioranza della popolazione cinese e' soddisfatta del governo di Pechino, avendo visto aumentare notevolmente la propria ricchezza e migliorare le proprie condizioni di vita. Cosa accadrebbe se questa crescita economica venisse a mancare? La Cina ha sempre registrato una crescita eccezionale, i salari cinesi crescono del 20% annuo. Nel 2000 il salario medio di un lavoratore cinese era il 3% del salario medio di uno americano, adesso e' il 9% e la stima per il 2015 e' del 17%. Questo aumento del costo del lavoro sta portando numerose imprese occidentali a trasferire gli investimenti e soprattutto a cercare manodopera pi economica in altre zone del mondo (come il Sud Est asiatico). In questo inizio del 2011 il gigante asiatico sembra rallentare un po' il passo. La produzione industriale cresciuta del 13.5% annuo in agosto, a fronte del 14.8% dell'anno precedente e contro le attese per un 14.7%. l'indice dei prezzi al consumo 6.2%, quasi raddoppiato rispetto al 3.5% dell'anno precedente, provocando risultati
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leggermente minori delle attese per quanto riguarda le vendite al dettaglio (si registrata una flessione di 0.5%). La fuga di investimenti stranieri insieme a molti fallimenti delle imprese cinesi basate sull'esportazione verso le cosiddette economie sviluppate (basti pensare che durante il biennio 2008-2009 all'apice della crisi economica il consumo di energia industriale in Cina calato del 48% e le esportazioni cinesi del 22.9%) fanno s che vengano a mancare numerosi posti di lavoro e nonostante le stime ufficiali attestino (del 2010) la disoccupazione al 6.1%, si calcola che il reale livello di disoccupazione almeno il doppio. L'aumento della disoccupazione porta con se un altro grande problema: l'impiego dei laureati. L'esame di selezione per accedere all'universit in Cina molto selettivo (sono scartati quasi 3 candidati su 4) e i costi degli studi sono particolarmente alti per la maggioranza delle famiglie. Nonostante l'impressionante crescita economica, solo 3 milioni di laureati su 6 trovano lavoro nel primo anno dopo la laurea e spesso non nel loro ambito di studi. Una parte consistente rester quindi sul mercato del lavoro a creare ulteriore concorrenza ai laureati degli anni seguenti. La presenza di una classe istruita e disoccupata forse la pi grave minaccia alla stabilit del governo cinese, in quanto come scriveva Hungtinton spesso la mancanza di opportunit economiche e politiche a inasprire i contrasti fra classe media e il regime vigente, portandola di conseguenza a mobilitarsi; considerando la tradizionale capacit di adattamento del Partito Comunista Cinese alle richieste della societ e alle nuove condizioni dell'economia, possiamo aspettarci grandi cambiamenti in Cina nel prossimo decennio.

Le strategie di sviluppo di India e Cina: due modelli opposti


di Enrico Nano

Quale Paese scalzer per primo gli Stati Uniti diventando la prima economia globale? Cina e India sono due potenze economiche del Sud del Mondo, nel senso che il valore della loro produzione s elevato, ma si possono ritenere Paesi sottosviluppati, perch la ricchezza per abitante e il livello dei
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servizi e delle infrastrutture sono ancora modesti. Si tratta per di Paesi che crescono da anni ad un ritmo molto elevato, con un PIL che aumentato intorno al 9% lanno in Cina e al 6,5% in India. Si tratta anche dei due Paesi nettamente pi popolosi al Mondo (rispettivamente 1,4 e 1,2 miliardi di abitanti), con un reddito procapite non ancora elevato, ma con possibilit di crescita immense: se il 2% degli abitanti dei due paesi comprasse un auto, vorrebbe dire che se ne venderebbero 52 milioni, cio allincirca tutte le auto prodotte nel Mondo in un anno (nel 2010 la produzione globale stata di 50 milioni)! Proprio per questo i due paesi ricevono molti IDE (Investimenti Diretti Esteri di multinazionali) poich sono i Paesi dove le imprese mondiali pensano che sia pi interessante investire. Cina e India per stanno impostando la loro crescita in modo differente, e questo conduce a due risultati diametralmente opposti. Innanzitutto, in Cina, lattivit industriale fortemente orientata alle esportazioni e al mercato mondiale, cio estrovertita, sebbene molte imprese, soprattutto statali, producano anche per il mercato interno. Gli IDE sono stati rivolti per i due terzi al settore manifatturiero, in particolare alla fabbricazione di beni di Hu Jintao e Manmohan Singh . consumo (elettronica di consumo, abbigliamento), dove la Cina diventato il pi importante esportatore mondiale. Tuttavia, non mancano investimenti recenti nei settori dellalta tecnologia: la Cina infatti divenuta anche un luogo di progettazione e costruzione di hardware per imprese provenienti dal Nord del Mondo, come per esempio Acer, Ericsson, Intel, LG, Microsoft, Motorola, Nokia, Philips, Samsung, Sony e Toshiba, che producono in Cina per poi rivendere in tutto il pianeta; il primato stato raggiunto anche nel settore delle energie rinnovabile, nella ricerca e, addirittura, nel mercato dellarte. Se in Cina ci si orientati su un modello tendenzialmente estrovertito, lIndia persegue invece una politica industriale autocentrata, cio rivolta al mercato nazionale: gli investimenti diretti esteri contribuiscono per meno del 10% alle esportazioni del Paese, mentre nel caso cinese si
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supera il 50%. Forse che questa differenza cos netta, in futuro, si riveler vantaggiosa per lIndia e addirittura nociva per la Cina? Tradizionalmente, la strategia indiana legata a produrre sempre pi nel Paese ci che il mercato interno richiede (sostituire le importazioni con produzioni nazionali), oggi anche nei settori dellalta tecnologia. Rispetto alla Cina, si cerca di produrre e vendere per la propria popolazione e vi sono molte imprese industriali private. Nel campo dellinformatica, per esempio, si sta producendo e vendendo un computer a bassissimo costo, con caratteristiche limitate, ma adatto al mercato indiano; lo stesso vale per la produzione di auto: nel 2008, infatti, stata lanciata una vettura dal costo molto contenuto (la Tata Nano, 2500$). In questo modo si vuole portare gli abitanti del Paese ad avere una disponibilit di beni di consumo ai livelli occidentali, anche se evidentemente con standard qualitativi, ambientali e di sicurezza inferiori a quelli tipici del Mondo sviluppato, dove infatti la Tata Nano non pu essere esportata cos come stata progettata. Gli investimenti esteri in India sono comunque consistenti e orientati soprattutto nel settore della ICT (Information and Communication Technology): numerose imprese statunitensi ed europee come Amazon.com, American Express, British Airways e Dell Computer hanno trasferito funzioni legate allinformazione e comunicazione in India, e in particolare nella citt di Bangalore. Il 60% del valore aggiunto dei call-center indiani (1,5 miliardi di dollari) generato da imprese straniere, anche grazie al fatto che gli indiani conoscono bene la lingua inglese. Di fronte a questa situazione risulta evidente che il modello di sviluppo autocentrato indiano sia pi solido di quello cinese, anche se meno clamoroso e con tassi di crescita inferiori. Infatti, soddisfando la domanda interna prima di rivolgersi allesportazione, modellando lindustria sulle necessit della popolazione locale, favorendo la nascita di imprese indiane invece di permettere uninvasione di IDE su modello cinese ed eliminando gradualmente le disparit sociali (molto pi accentuate in Cina, fra campagna e citt), si garantisce al Paese una stabilit politica necessaria per portare avanti uno sviluppo che non sia solo economico. Mentre lIndia sta cercando di mantenere il titolo di pi grande democrazia del pianeta, la Cina ha storicamente seguito la via della repressione contro i dissidenti, oggi anche con metodi meno evidenti, ma
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finora efficaci. Secondo Bill Emmot, ex direttore dellEconomist, la crescita economica, se non accompagnata da un miglioramento dei diritti civili e delle reali condizioni di vita delle persone, destinata a scemare. Secondo alcuni addirittura ad implodere. E seguendo le parole del professor Mario Deaglio, la Cina si trova ora in una finestra temporale, la cui durata possiam stimare in circa 10 anni, durante i quali, se vuole scongiurare questi pericoli, deve e ha la chance di consolidare i risultati ottenuti. Molti economisti, per le motivazioni sopracitate, ritengono che a lungo andare avr pi fortuna la strategia indiana, in quanto caratterizzata da una maggiore stabilit. E ci sono gi diversi elementi che dimostrano un certo aggiustamento del tiro da parte del governo cinese, che passa in parte dagli obiettivi economici e in parte dai diritti civili e sociali.

Crescere: l' inevitabile strategia di vittoria.


di Pietro Raviola

Sgravi fiscali, servizi di consulenza gratuiti, politica economica favorevole, crescita a due cifre: sono solo alcuni dei vantaggi del progetto dedicato allinsediamento di imprese straniere nella citt Suzhou, citt dello Jiangsu ad un centinaio di chilometri da Shangai. Una possibilit per crescere sulla scena internazionale per le nostre piccole medie imprese. Da oggi sar pi facile per i piccoli del nostro paese trasferire parte della produzione in Cina, a patto che il loro piano di sviluppo preveda lintroduzione di innovazione tecnologica e ricerca, soprattutto in campo di efficienza energetica, in un paese ormai stanco di processi produttivi inquinanti ed a basso valore aggiunto. Questa la proposta che Suzhou mette sul piatto per incentivare linsediamento di unultima categorie di imprese straniere che ancora faticano a trovare la strada per lestremo oriente. E inutile negarlo. In un periodo di particolare incertezza come quello attuale, traslocare in Cina pu celare un numero considerevole di insidie per chi non in grado di attivare canali preferenziali di dialogo con le realt locali. Gestione del personale, trasporti & logistica, giurisdizione, ottimizzazione degli investimenti , lingua e tradizioni locali: perfetti sconosciuti per
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imprese non abituate ad una realt di confronto internazionale, e con a capo governance dalla visione strategica spesso ristretta e poco al passo con lera delleconomia globale. Una proposta che sarebbe giusto avanzare alla classe di giovani imprenditori italiani per fornire loro un incentivo in pi alla crescita, che rappresenta la vera carenza delle nostre imprese nella competizione internazionale, secondo il parere della stessa Confindustria. Se si fa eccezione per alcuni tipi di produzione, in cui laltissima qualit rappresenta il vero valore aggiunto, verosimile che la battaglia per la crescita industriale si combatter sempre di pi in paesi in grado di garantire il raggiungimento degli obbiettivi strategici di lungo periodo, grazie una bassa pressione fiscale, a una legislazione pi favorevole alla flessibilit del lavoro, a infrastrutture moderne e programmi di incentivazione per attrarre il capitale straniero. Questa sar la direzione che prenderanno gli investimenti, che al giorno doggi, solo per le imprese italiane, ammontano a circa 670 milioni di euro lanno nel solo distretto di Suzhou. Un giro daffari di circa 1 miliardo di euro destinato a crescere nei prossimi 5 anni. Un processo ineluttabile che non solo deve cogliere preparati i nostri imprenditori, ma anche coloro che fanno parte del mondo del lavoro, o stanno per affacciarvisi. Le specializzazioni professionali, anche al di l campo economico, devono necessariamente concentrarsi sulla realt dellEstremo Oriente, per evitare una perdita di valore aggiunto. Serve una nuova generazione di manager, consulenti legali e interpreti in grado di traghettare il mondo imprenditoriale verso le opportunit migliori, grazie ad una incessante formazione di carattere internazionale. Una formazione che passa attraverso linformazione, loriginalit delle soluzioni, in grado di accettare il cambiamento e il rifiuto della fossilizzazione su posizioni ormai indifendibili: il decentramento produttivo ormai una realt e non ha pi senso pensare a strategie per frenarlo, in particolar modo a livello di singolo stato. Un nuovo modello di sviluppo alle porte, e visto che la stessa Cina in pole-position nel chiederci di portare livelli pi elevati di tecnologia e ricerca, il know-how della produzione hi-tech, forse dovremmo partire di l.
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Giappone
Post-Tsunami: la produzione industriale giapponese.
di Pietro Raviola

Tutti coloro coloro che hanno visto le immagini del passaggio dello tsunami giapponese non hanno potuto far altro che provare un gran senso di piet per la catastrofe umanitaria che ha colpito le popolazioni del nord-est del paese: campi devastati, case distrutte, il pericolo nucleare. Forse a qualcuno sar' sfuggita una conseguenza meno evidente, ma altrettanto importante: il crollo repentino della produzione dell'industria giapponese. Il Giappone e' a tutt'oggi la terza economia del pianeta sia in termini di PIL, sia in termini di reddito Pro-Capite. Il suo apparato industriale tra i pi evoluti al mondo, ed concentrato prevalentemente nella produzione di automobili ed elettronica di consumo. La produzione dunque caratterizzata da un altissimo valore aggiunto che si basa sulla qualit e sulla relativa concorrenzialit dei prodotti sul mercato mondiale. I volumi di export si attestavano nel 2005 a circa 4000 dollari pro-capite, e con una popolazione stimata in 125 milioni di persone, il Giappone rientra nella top-five delle economie export-oriented a livello mondiale. Ma cosa cambiato in seguito ai tragici eventi dell'11 marzo? Nel breve periodo i principali analisti giapponesi e internazionali hanno previsto una contrazione pesantissima della produzione nei principali settori economici del Paese. L'industria dell'auto ha subito una frenata di circa il 57,3% su base annua, a causa dei danni o dell'impraticabilit di molti impianti nella regione pi
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colpita dall'evento naturale o nelle aree immediatamente limitrofe. I dati parlano di volumi pi che dimezzati : -62,7% per Toyota a 129.491 unit, -62,9% per Honda a 34.754 unit e -52,4% per Nissan a 47.590 unit. Questi numeri riguardano il solo Giappone e non comprendono il calo della produzione che si verificato negli altri stabilimenti stanziati in tutto il mondo, rimasti all'asciutto a causa del venir meno del flusso di forniture dalla casa madre. Inoltre l'interruzione della distribuzione d'acqua, il venir meno di alcune delle infrastrutture pi importanti, come autostrade e ferrovie hanno paralizzato il trasporto sia delle merci, che dei l a v o r a t o r i impedendo di fatto lo svolgimento del normale ciclo produttivo. Per quanto riguarda il medio-periodo, che va dai sei mesi ad un anno dal giorno del sisma, il problema principale a livello produttivo costituito dalla fornitura energetica, che negli scorsi mesi stata discontinua e tendenzialmente deficitaria. Il Giappone che per anni ha puntato sull'energia prodotta dall'atomo, in seguito al disastroso incidente di Fukushima, ha visto l'introduzione di un pacchetto di norme mirate a pilotare il paese fuori dal nucleare nel giro di un decennio, avviando la chiusura degli impianti pi obsoleti gi nei mesi successivi allo tsunami. Tepco e Tohoku Electric Power, le compagnie pi colpite dal disastro di marzo, hanno riportato una produzione, rispettivamente, di 21.300 milioni di kilowattora (-8,4%) e 5.880 milioni di kilowattora (-12,8%). Sostituire l'atomo con altre fonti di energia tutt'altro che semplice e rapido. Per ovviare a questo problema parallelamente ad un piano nazionale sull'energia, prevalentemente incentrato sulle risorse rinnovabili, si optato per un ritorno a fonti di origine fossile, i cui costi e la cui sempre pi scarsa reperibilit hanno causato la diminuzione di energia prodotta. In numeri si parla di un calo del 4,7% su base annua, a 68.980 milioni di kilowattora.
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Ma non finita qui. Il Giappone uno dei pi importanti esportatori mondiali di forniture e accessori legati all'indotto della meccanica, ed in particolare dell'autoveicolo. Moltissime Case automobilistiche europee e americane utilizzano componenti giapponesi, cos che gli effetti dell'11 marzo, non hanno tardato a farsi sentire anche a migliaia di chilometri di distanza. La pi colpita stata General Motors, che ha dovuto fermare la produzione a causa di una riduzione delle scorte di componenti giapponesi. I 923 addetti dello stabilimento di Shreveport, in Louisiana, dove sono prodotti i pick-up Chevrolet Colorado e GMC Canyon, hanno dovuto fermare gli impianti per mancanza di forniture. Sembra essere andata meglio alla Saab, che dopo un iniziale momento di incertezza legato alle forniture di sette produttori giapponesi, con stabilimenti stanziati nel nord del paese, ha riattivato il normale ciclo produttivo. In generale dopo un calo consecutivo di produzione nei 4 mesi successivi, a partire da giugno stata registrata la ripresa che, dagli ultimi dati forniti alla fine di settembre, ha riportato il paese ai livelli produttivi pretsunami. LAssociazione dei Costruttori di Auto Giapponesi afferma che nel mese di agosto sono stati prodotti 704.096 veicoli, cio l1.8% rispetto ad agosto 2010. Le esportazioni salgono del 7.6% raggiungendo quota 363.772 unit. Questi dati hanno avuto una ricaduta positiva sulle assunzioni,che sono aumentate con la finalit di spingere il sistema produttivo alla sua massima capacit per recuperare il terreno perso negli ultimi mesi: un caso per tutti quello di Toyota, che sta per assumere 4000 operai per le sue linee di montaggio. Tuttavia un'altra tegola si abbattuta sulla gi precaria situazione economica del Sol Levante: le stime di crescita del PIL sono state riviste al ribasso dal FMI, da un 1,7% ad uno 0,8%. La causa? un imprevisto apprezzamento dello Yen sulle principali valute mondiali, dovuto ad un imprevisto rientro degli asset in valuta estera, conseguente alla crisi post-tsunami, che ha provocato un picco di domanda di moneta nazionale. Le conseguenze si riscontrano principalmente in una ulteriore diminuzione dell'export, che sta vivendo un secondo momento difficile
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proprio in questi ultimi giorni. Gli analisti non hanno escluso l'ipotesi di un prossimo trasferimento di alcuni stabilimenti produttivi, legati all'industria dell'auto, nel vicino sud-est asiatico, per abbattere i costi e compensare le ricadute negative dello Yen super-valutato. Questo scenario potrebbe essere scongiurato da un intervento del nuovo governo insediatosi nel periodo successivo allo tsunami, che sta valutando un piano per affrontare un'ulteriore conseguenza del disastro naturale dell'11 marzo.

Corea del Nord


Ndr:Per la Corea del Nord abbiamo deciso in questo primo numero di scrivere due articoli dal carattere introduttivo, che forniranno spunti di approfondimento al lettore.

Breve introduzione alla Corea del Nord


di Giacomo Conti

Dello stato Corea del Nord si sa pochissimo. Si sa poco sia perch manca unadeguata fonte di informazione (almeno in Italia), sia perch, anche informandosi, spesso il lettore curioso rimane perplesso di fronte a ci che legge, e non capisce, interrogandosi e confondendosi mentre si scontra con una realt completamente diversa da quella alla quale abituato. Proprio il problema di comprensione fondamentale per spiegare perch riguardo alla Corea del Nord in pochi riuscirebbero a dire pi di qualche parola. Di questo problema necessario occuparsi prima di qualunque altra tematica, e per fare questo necessario entrare a fondo in un mondo sconosciuto, facendo tabula rasa dei propri ideali, delle virt e dei doveri tipici del mondo Occidentale. La Corea del Nord infatti un mondo a parte una sorta di Stato in perenne medioevo, socialmente slegato dal resto del mondo. Basta guardare una foto da satellite scattata
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in notturna per rendersene conto: mentre in Cina, Giappone e Corea del Sud la notte fortemente illuminata e le citt e le infrastrutture principali sono macchie gialle ben visibili dallo spazio; larea nordcoreana appare completamente buia e vuota, salvo un puntino corrispondente a Pyongyang, la capitale. E il ritratto di una regione politica oscura ed oscurantista, il cui valore primario il culto dellindividuo-societ verso la Nazione e per il Leader attuale, Kim Jong-il, figlio di Kim Il-Sung, deceduto, primo capo di stato della Corea del Nord e proclamato Presidente Eterno. Tale il culto della personalit dei sovrani che si susseguono a Kim Jong Il gives field guidance in una produzione capo della Corea del Nord che di cetrioli. nemmeno la morte elimina le loro cariche: essi perdurano nel tempo attraverso titoli, edifici, sculture. Non a caso prima si parlava di individuo-societ: se in qualsiasi nazione vigono regole e costumi variabili di tempo in tempo, e nel mondo occidentale lindividuo al centro della weltanschauung, in Corea del Nord lindividuo a s stante obliterato, e si realizza solo allinterno della comunit, del partito, dellobbedienza cieca. Non vi possibilit di emigrazione n di immigrazione. La politica economica e industriale sarebbe, tenendo fede alla propaganda, basata sullideologia dellautarchia (o Juche). Non pu esistere spirito critico in Nord Corea: i media sono completamente asserviti al Governo (e quindi allunico partito esistente); i dissidenti vengono prontamente eliminati o spediti in campi di concentramento e lavoro: una triste realt a noi ben nota che l si mantenuta nemmeno troppo segretamente. Lobiezione che naturalmente viene da porsi se gli abitanti della Corea del Nord non abbiano il desiderio di cambiare, di rivoltarsi da questo oscurantismo e di perseguire quel diritto alla felicit e alla piena realizzazione della persona umana che sta alla base del nostro modo di ragionare. Ebbene, la risposta , con tutta probabilit, un secco no.
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Questi concetti sono sconosciuti ai pi in Nord Corea, e non c modo, per la popolazione generale, di conoscerli legalmente, cosicch si crea una sorta di circolo vizioso nel quale ciascuno contento di ci che ha (o, noi diremmo, di ci che non ha) perch non ha idea di cosa, invece, potrebbe avere. Sarebbe sbagliato, tuttavia, definire negativa in assoluto questa situazione: i giudizi di merito che noi possiamo dare sono fallaci perch di parte. Quella esposta una concezione del mondo che sembra non ci appartenga e che tuttavia va conosciuta svuotandosi dai preconcetti tipici della nostra mentalit. Solo in questo modo possibile penetrare a fondo negli approfondimenti su questo luogo che seguiranno.

Repubblica Democratica Popolare di Corea. Come interpretarla?


di Cesare Marco Scartozzi

Lincontro tra Occidente ed Oriente ed stato spesso frutto di grandi incomprensioni ed equivoci; la penisola coreana esemplifica chiaramente quali furono, e quali perdurano. Le due Coree nascono dalla politica occidentale delle sfere dinfluenza, non troppo distante temporalmente ed ideologicamente dalla politica coloniale; ma si sviluppano (nel contesto asiatico) sulle ceneri, non solo metaforiche, del colonialismo giapponese. Allo stesso modo in cui il sessantennio bellicoso tra il 1885 ed il 1945, causato in un primo momento da una sorta di imperialismo preventivo giapponese e poi in seguito dalla sua deriva totalitaria (ai quali sono da attribuirsi 30 milioni ca. di vittime tra Coreani, Filippini, Malesi, Vietnamiti, Cambogiani, Indonesiani, Birmani e Cinesi) stato ridotto nellimmaginario collettivo occidentale al semplice ruolo marginale di Guerra del Pacifico (1941-1945); si (mal)interpretata la questione coreana nella sola ottica di scontro tra i blocchi comunista e capitalista. Con il collasso reale del comunismo sovietico e la fine ideologica del comunismo cinese a Tiananmen nell89, tutti diedero per finito il regime comunista nord coreano. Nel 2011, a ventanni di distanza, vista la lungimiranza del regime, si evince che: o le analisi erano sbagliate, o la Corea del Nord ha cambiato politica; paradossalmente oggi si fanno le
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stesse analisi di ventanni fa sullo stesso, immutato, stato. Lerrore di fondo nellinterpretazione occidentale della RDPC st nel ritenerlo uno stato comunista. In realt ladesione del paese al blocco comunista non fu solo dettata dalle contingenze, ma fu soprattutto un pretesto internazionale che ben maschera il nazionalismo ed etnismo che sono la vera anima del paese. Ladesione al comunismo non fu voluta dal popolo ma venne accettata ed adattata al posto del Joint Security Area, componente della confucianesimo: il laicismo, che porta a divinizzare gli antenati e quindi i fondatori delle dinastie, la mancanza di propriet privata (le terre sono del sovrano e quindi dello stato) sono elementi confuciani immutati dalla veste del comunismo. Il fatto che poi per i nord coreani la Corea del Sud fosse ancora un paese occupato (questa volta dagli americani e non dai giapponesi) spiega in parte la politica nazionalistica del paese e laggressione del 50. Ci spiega anche limpossibilit del regime di seguire una via cinese che porti a riforme economiche senza apportare riforme politiche. Mentre il regime cinese dopo Tiananmen ha dovuto costruire il consenso, non sullideale comunista o nazionalista, ma sul benessere economico; il regime dei Kim giustifica la sua esistenza con il nazionalismo antimperialista, non con leconomia. A differenza di altri paesi ex comunisti nei quali il governo scelse di adattarsi al capitalismo o il popolo lo richiese, in Corea del Nord il capitalismo solo un modo per sopravvivere. Anzi leventuale formazione di una classe media e laumento del tenore di vita creerebbero una condizione di instabilit che invece un popolo letteralmente alla fame non ha forza ed inventiva di creare. A sua volta il nazionalismo collante sociale deriva dalletnismo e dai ricordi delloccupazione giapponese, e vive grazie alla propaganda ed al revisionismo storico. Lideologia dello Juche, tesi politica ed economica elaborata da Kim Il-Sung, supera il marxismo-leninismo e il Confucianesimo proponendo una via autarchia, social-nazionalista e superomista che serve a giustificare limpermeabilit del paese consentendo cos lignoranza, meglio, lindottrinamento su cui si basa il
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consenso. Un apertura agli investimenti esteri od al commercio estero minerebbe tutto il lavoro propagandistico. Per questo motivo le regioni ad amministrazione speciale come Kaesong (commercio sud coreano) e Rason (porto aperto per il commercio cinese) sono allo stesso tempo un sostegno economico per il regime ed un rischio. Lorigine del conflittuale rapporto tra Cina e Corea del Nord non che una conseguenza delle differenze tra regimi, la prima vorrebbe che la seconda intrapprendesse uno sviluppo verso un socialismo di mercato con caratteristiche cinesi (aree come Ranson entrano in questa ottica), la seconda a sua volta sa di non essere attualmente adattabile al capitalismo, ma ricorre ad esso per la necessit di avere un sostentamento economico. Sebbene i Kim siano dipendenti dagli aiuti economici cinesi e fortemente influenzati dalle politiche del loro grande vicino, cercano spazio per un indipendenza politica chiedendo a gran voce colloqui bilaterali con gli USA, i quali sembrano non voler interferire con un paese ormai nella sfera dinfluenza cinese. Cos accade che le 200 cannonate del Nord sparate in territorio sud coreano il 23 novembre 2010 capitino proprio mentre un inviato speciale americano giungeva a Pechino per discutere un ritorno ai colloqui a sei sul disarmo nord coreano; un evento che ha avuto una duplice funzione: di mettere in imbarazzo i cinesi, i quali ancora difendevano Pyongyang riguardo allaffondamento del marzo 2010 della corvetta del sud; e ricordare agli americani limpredivilit del regime. Cambiando prospettive la Corea del Nord, sebbene sia somoda, per Cina e USA necessaria o almeno utile, poich il suo collasso obbligherebbe li Stati Uniti a fare scelte socomode, quali mantenere le basi, e ammettere quindi che esse hanno una funzione anticinese, oppure ritirarle dalla Corea e dal Giappone, rischiando cos un nuovo e veloce armamento giapponese, e la conseguente perdita della supremazia strategico-militare nel mar Cinese. Ma proprio in questa prospettiva di mantenimento dellattuale geopolitica dello scacchiere asiatico necessaria una irregimentazione della qestione nord coreana che non pu essere attuata dalla sola Cina ma che deve avere il contributo degli USA e dei paesi direttamente interessati, magari passando tramite larenato Six-Party Talks.
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COREA DEL NORD 19

Corea del Sud


Ndr: Negli anni novanta capitava spesso di sentir parlare riguardo alle quattro tigri asiatiche, che, con i loro peculiari modelli di sviluppo, avevano sperimentato decenni di costante crescita economica e sviluppo sociale. La crisi finanziaria asiatica del 97 e la crescita della Cina hanno distolto e deviato lattenzione riguardo alle trigri asiatiche, facendo si che esse venissero sottovalutate e spesso dimendicate nella cronaca economica dei media. Cogliamo oggi loccasione dellentrata in vigore del Free Trade Agreement tra lUE e la ROK per ricordare quanto i rapporti economici con questi stati siano solidi e necessari per la nostra economia.

Europa e Corea: pi vicine con il Free Trade Agreement


di Cesare Marco Scartozzi

Il 17 febbraio 2011 il Parlamento Europeo ha approvato con 465 voti a favore, 189 contrari e 19 astensioni laccordo di libero scambio tra la Repubblica di Corea, da una parte, lUnione Europea ed i suoi stati membri, dallaltra. Il Free Trade Agreement nasce dopo tre anni di negoziati tra le parti e pone le basi ad un ulteriore sviluppo del commercio che si stima in pochi anni raddoppier; Seoul oggi il quarto maggior partner commerciale dellUE, mentre Bruxelles il secondo per la Corea del Sud. Tra il 2004 ed il 2008 lexport europeo in Corea cresciuto ad una media del 7,5%, per poi rallentare al seguito della crisi finanziaria, cos nel 09 le esportazioni dellUE erano di 21.5 miliardi e le importazioni di 32.0 miliardi per un volume complessivo di scambi bilaterali che supera i 54 miliardi di euro. In aggiunta al valore di questi dati vi sono le necessit reciproche: per la Corea, la quale vive e cresce di esportazioni (che oggi costituiscono il 45% del PIL sudcoreano), il mercato europeo di fondamentale importanza per le prospettive di sviluppo futuro e stabilit; i paesi europei, invece, provano con unazione diretta da Bruxelles a trovare nuove prospettive di sviluppo, ed al contempo consolidano un rapporto
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economico con un paese centrale nello scacchiere dellAsia Orientale. Il Free Trade Agreement venne definito dalla stessa Commissione europea come il pi ambizioso accordo sul commercio mai negoziato prima dallUE, ed effettivamente vista la sua ampiezza e le sue ambizioni risulta essere secondo solo al NAFTA. I benefici che ne deriveranno dalla sua entrata in vigore nel 1 luglio 2011 sono molteplici, i principali saranno: Il FTA eliminer velocemente i 1.6 miliardi di dazi coreani allimportazione annuali per gli esportatori europei di prodotti industiali o agricoli. LUE eliminer i 1.1 miliardi di dazi dalle importazioni coreane. Per esempio gli importatori europei industriali risparmieranno 450 milioni allanno e quelli agricoli 380 milioni. Verranno abolite, nel giro di tre anni, le tariffe doganali per il 99,4% delle esportazioni coreane versu lUE e per il 95,8% di quelle europee verso la Corea. Laccordo prevede di controllare ed evitare il sorgere di non-tariff barrieres (barriere commerciali nascoste) in particolare nei settori di specifico interesse dellUE, come lindustria automobilistica, farmaceutica, elettronica. La Corea del Sud a sua volta accetter certificazioni e standard europei. Il FTA creer nuove opportunit nei settori dei servizi, nei quali lUE molto competitiva e presenta un surplus nei suoi scambi con la Corea . Il FTA offrir trasparenza e regole su questioni come la protezione dei diritti di propriet intellettuale; migliorer laccesso da parte del mercato agli appalti pubblici; cos come nuovi approcci al commercio ed allo sviluppo sostenibile, coinvolgendo la societ nel monitoraggio degli impegni. Il FTA offrir un alto livello di protezione e tracciabilit geografica dei prodotti, questi provvedimenti riguarderanno 162 prodotti europei (di cui 38 italiani) e 64 coreani del settore agroalimentare. Verr istituito un efficente sistema di regole per la risoluzione delle dispute con un arbitrato di 120 giorni (pi veloce di quello previsto dal WTO) Promuovere gli investimenti diretti esteri, nel rispetto delle leggi ambientali e sul lavoro delle parti.
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Laccordo inoltre, da parte europea, limita le critiche e le paure degli industirali ed in particolare dei politici, grazie ad alcune clausole, tramite le quali lUe potr sospendere le riduzioni delle barriere tariffarie o riportarle ai livelli precedenti nel caso che qualsiasi industria subisca un danno rilevante da un aumento eccessivo delle importazioni coreane. Anche in Contadino sud coreano durante una protesta contro il Free Trade Agreement Corea del Sud, la quale ha un mercato tradizionalmente chiuso e dominato dai grandi Chaebol (congolomerati industriali), sono sorte delle critiche alla riduzione dei dazi e allapertura dei mercati interni. Un'altra denuncia da parte coreana stata mossa dallassociazione Lawyers for Democratic Society che ha annunciato come nella versione coreana siano presenti 160 errori ti traduzione. Un ultima parentesi va aperta per lItalia. Questultima tra i paesi membri dellUE il 5 partner commerciale della Rep. di Corea, con un volume di scambi bilaterali pari a 6,3 miliardi di dollari nel 2009 e un surplus commerciale di circa 700 milioni di dollari. Con il FTA a beneficiarne di pi saranno i beni di lusso Italiani ed il settore automobilistico (il 50% delle vetture importate in Corea sono europee). Anche in Italia non sono mancate polemiche sullaccordo, alcuni partiti come la Lega Nord si sono definiti contrari, sebbene le motivazioni siano pi di carattere propagandistico-ideologico che economico. Il Free Trade Agreement segna comunque uniniziativa attiva che mira ad una ripresa dello sviluppo economico secondo il pensiero condiviso nel G20 di Seoul, per il quale la lotta al protezionismo e la liberalizzazione degli scambi a livello multilaterale sono necessari per lo sviluppo e la stabilit globale.

*per il testo integrale del Free Trade Agreement in lingua inglese visitare il sito della Commissione Europea al seguente link http://trade.ec.europa.eu/
doclib/press/index.cfm?%20id=443&serie=273&langId=en

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Taiwan
Ndr: Per le ragioni gi citate nell editoriale, si scelto di dedicare in questo numero pi spazio ad articoli di carattere introduttivo per i paesi meno conosciuti dellAsia Orientale. Cos anche nel caso di Taiwan vi proponiamo la lettura di una articolo che prima offrit unintroduzione, e poi sapr approfondire e fornirvi spunti di riflessione.

Cosa c dietro (e davanti) alla disputa su Taiwan


Di Michele Russo

I fatti I dati di fatto sono piuttosto semplici. Nella Dichiarazione del Cairo del 1943 siglata da Winston Churchill, Franklin D. Roosevelt e dal generale Chiang Kai-shek, capo del Partito Nazionalista (Kuomintang, KMT) e della Repubblica di Cina, si legge che tutti i territori che il Giappone ha sottratto alla Cina, come la Manciuria, Formosa e le Pescadores devono essere restituiti alla Repubblica di Cina. In effetti, al termine del secondo conflitto mondiale, lisola di Formosa, sotto il controllo giapponese dal 1895, viene reintegrata nel territorio della Repubblica di Cina. Fin qui tutto bene, se non fosse che dal 1945 al 1949 in Cina riprende la guerra civile tra il Partito Nazionalista di Chiang e il Partito Comunista di Mao Zedong, fino alla vittoria dell'Esercito di Liberazione Popolare (People's Liberation Army, PLA), la proclamazione il 1 novembre 1949 della in piazza Repubblica Popolare Cinese (People's Republic Mao Zedong 1949 of China, PRC) e la conseguente capitolazione Tian'anmen il Novembre 1, della durante la proclamazione dei Nazionalisti sullisola di Formosa. Un Repubblica Popolare Cinese mese pi tardi, il 7 dicembre 1949 la Repubblica di Cina (Republic Of China, ROC) dichiarava de facto la propria sovranit sullisola di Formosa con nuova capitale Taipei, e sulle Isole Pescadores, Penghu, Kinmen, Matsu, pi altre isole minori. Nonostante la
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considerevole superiorit, il PLA rinuncia alla conquista dell'isola, che rimane sotto il controllo del KMT. Sorge spontaneo chiedersi perch lesercito comunista, vittorioso sulla terraferma e forte di un ampio appoggio popolare, non conclude la campagna militare contro Chiang Kai -shek. Le cause di questa mancata unificazione, le cui conseguenze perdurano ancora oggi, sono molteplici, ma si possono riassumere in una sola espressione: guerra fredda. Come in Europa, con il delinearsi delle rispettive aree di influenza, anche in Asia Orientale si andavano delineando le premesse di uno confronto duro tra USA e URSS. In Cina, come si visto, il partito comunista, all'epoca ancora fedele alleato di Mosca, era emerso vittorioso dallo scontro con i nazionalisti; il Giappone, sconfitto e occupato fino al 1952 dalle truppe del generale Douglas McArthur sarebbe evidentemente rimasto sotto l'influenza americana; in Vietnam era in corso la guerra d'Indocina, tra la Francia e l'Esercito di liberazione di ispirazione socialista guidato da Ho Chi Min; infine, la penisola coreana: strappata ai giapponesi durante la guerra, era stata occupata dall'esercito americano a sud del 38 parallelo e da quello sovietico a nord dello stesso, cos che nel 1948, quando la riunificazione del paese si prospetta gi impraticabile, si insediano due governi sotto le rispettive aree di influenza. Proprio in Corea si accende la miccia del conflitto, questa volta non freddo, ma combattuto e cruento, le cui conseguenze si sarebbero fatte sentire anche sul rapporto tra la Repubblica Popolare Cinese e la Repubblica di Cina. Nel giugno del 1950 lesercito nordcoreano riceve da Kim Il Sung lordine di invadere la parte meridionale della penisola e di riunificare la nazione. Sfortunatamente per le ambizioni nordcoreane, per, due giorni dopo l'invasione Harry Truman, esplicitando gli interessi gli interessi americani in Asia-Pacifico e riferendosi non casualmente proprio alla problematica di Formosa, rende noto che gli USA parteciperanno al conflitto. Vale la pena rileggere la dichiarazione del presidente americano: The attack upon Korea makes it plain beyond all doubt that communism has passed beyond the use of subversion to conquer independent nations *+. In these circumstances the occupation of Formosa by Communist forces would be a direct threat to the security of the Pacific area and to United States forces performing their lawful and necessary functions in that area. Accordingly I have ordered the 7th Fleet
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to prevent any attack on Formosa. As a corollary of this action I am calling upon the Chinese Government on Formosa to cease all air and sea operations against the mainland. The 7th Fleet will see that this is done. The determination of the future status of Formosa must await the restoration of security in the Pacific, a peace settlement with Japan, or consideration by the United Nations. Successivamente gli Stati Uniti riescono a ottenere dal Consiglio di Sicurezza dellONU la Resolution 82 favorevole allintervento militare in Corea (approfittando dellassenza del consigliere sovietico che protestava, per lappunto, contro la presenza della ROC nel Consiglio di Sicurezza e lassenza della PRC di Mao) e una coalizione internazionale sotto il comando statunitense di McArthur inizia a contrastare le attivit belliche nordcoreane. La guerra si protrae per tre anni, fino allarmistizio firmato nel 1953. La guerra di Corea contribuisce a determinare lo scenario geopolitico dell'Asia Orientale: la Repubblica Popolare Democratica di Corea (DPRK) e la Repubblica di Corea (ROK) rimangono e sono tuttora formalmente in guerra, dal momento che dopo larmistizio non viene siglato alcun trattato di pace. Anche sulla questione di Taiwan si fanno sentire gli effetti dello stallo del conflitto coreano, che dopo le fasi di combattimento si inserisce a pieno titolo in quellequilibrio precario che caratterizza la Guerra fredda. Se, infatti, in un primo momento, la corruzione, linefficienza e le derive autoritarie del governo nazionalista di Chiang Kai-shek, avevano fatto nascere nell'amministrazione USA non pochi dubbi sull'opportunit dell'appoggio americano a Taiwan, in seguito al congelamento della situazione coreana e allaiuto militare che Mao aveva comunque fornito, per quanto suo malgrado, allavventurismo di Kim Il Sung, Truman e poi Eisenhower non potevano che frustrare ogni pretesa comunista sullisola di Formosa, la quale assumeva un ruolo di rilievo nellequilibrio geostrategico della Guerra fredda in Asia Orientale. I primi tentativi della Repubblica Popolare Cinese di riappropriarsi con la forza della provincia ribelle vengono infatti fermati nel 1955 dalle forze navali congiunte di ROC e USA, e si concludono con la conquista da parte della Cina maoista delle sole isole Tachen (I crisi dello stretto di Taiwan). Nello stesso anno, limpegno americano a proteggere i territori sotto la giurisdizione della Repubblica di Cina contro ogni possibile velleit della Repubblica Popolare viene sancito dalla Formosa Resolution e dal Sinolosservatore - ottobre 2011

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American Mutual Defense Treaty. Negli anni successivi ci sarebbero stati altri momenti di tensione (II e III crisi dello stretto di Taiwan, rispettivamente nel 1958 e nel 1995-1996), ma in nessun caso si giunse a una guerra aperta tra le due Cine, anche dopo che il Mutual Defense Treaty venne annullato unilateralmente dagli USA nel 1980. noto, per, che gli scenari geopolitici tendano a cambiare, talvolta anche rapidamente e in modo considerevole. Fino al 1971 la ROC ha rappresentato la Cina a livello internazionale, e il suo governo era riconosciuto dai paesi NATO e alleati, mentre dal canto suo l'Unione Sovietica riconosceva la PRC. Risultato: il governo della PRC non aveva rapporti internazionali se non con l'URSS e altre Repubbliche Popolari d'Asia, mentre la ROC aveva un proprio rappresentante permanente presso il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Questa situazione, delle per, rispondeva agli equilibri Delegazione PRC allAssemblea generale 1971 Nazioni Unite a New York, 11 novembre geopolitici delle prime fasi della guerra fredda e non era evidentemente rappresentativa della realt dei fatti. Nonostante l'esigenza americana di controllo delll'Oceano Pacifico, nonostante gli alti tassi di crescita economica di Taiwan, nonostante le turbolente vicissitudini della PRC e tutti i limiti della politica economica maoista, un'isola di un paio di decine di milioni di abitanti non poteva ambire a sostituire il quarto stato al mondo per estensione geografica e il primo per popolazione. Senza contare che gi dal 1959 tra URSS e Cina, se mai fosse corso veramente buon sangue, inizia un percorso di distacco, talora con momenti di tensione durante gli anni sessanta. Anche la posizione americana, parallelamente, si modifica, con gli USA in difficolt politiche e finanziare per una guerra che non riescono a concludere e, tantomeno, a vincere in Vietnam. Nel 1972 il cambio di scenario diventa ufficiale: dopo un incontro segreto tra il Consigliere per la sicurezza americano Henry Kissinger e il Premier Zhou Enlai, Richard Nixon e Mao Zedong si incontrano a Beijing. Da allora gli Stati Uniti riconoscono il governo della PRC come l'unico legittimo rappresentante della Cina. Le conseguenze di questo
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riavvicinamento tra Oriente e Occidente furono enormi, e forse solo ora si possono cogliere retrospettivamente in tutta la loro portata, anche al di l delle semplici motivazioni tattiche di allora, peraltro ancora connesse ad assestamenti di equilibrio con l'URSS. Tuttavia, anche se l'appoggio americano a Taiwan si riduce, fino alla soppressione nel 1980 del Trattato di difesa reciproca, rimanevano e rimangono ancora molto forti sia un informale impegno difensivo statunitense, sia la costante vendita di armi che fa degli Stati Uniti il principale fornitore di Taiwan, nonostante l'industria bellica locale abbia avuto un valido sviluppo, specialmente nel campo dell'aviazione. Il Taiwan Relations Act, varato dal Congresso nel 1979, sancisce infatti la volont degli Stati Uniti a non intervenire attivamente nella disputa, ma al tempo stesso l'interesse al mantenimento a tempo indeterminato della situazione esistente: It is the policy of the United States *+ to consider any effort to determine the future of Taiwan by other than peaceful means, including by boycotts or embargoes, a threat to the peace and security of the Western Pacific area and of grave concern to the United States.

Una questione di prospettive Secondo la prospettiva taiwanese, lisola di Formosa sede provvisoria della Repubblica di Cina, la cui sovranit si estenderebbe su tutto il territorio della Cina continentale. La Repubblica di Cina non sarebbe, pertanto, lerede della nazione fondata nel 1912 a seguito dellabdicazione dellultimo imperatore Qing, bens quella stessa nazione. In effetti a Taiwan ancora in vigore la Costituzione della ROC del 1946, anche se dal 1946 al 1987 rimasta in vigore la legge marziale (una delle pi lunghe della storia). D'altro canto, secondo il governo della Repubblica Popolare Cinese, Taiwan non uno stato indipendente con il quale si hanno delle dispute territoriali, bens una provincia ribelle che sfugge momentaneamente al controllo di Beijing. piuttosto evidente che le due prospettive non sono compatibili, e se a livello di politica interna si pu semplicemente cercare di non affrontare l'argomento, questo diventa un aut-aut nel momento in cui si pone sul piano internazionale: quale delegazione ha diritto di rappresentare la
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Cina presso l'ONU? E quale delle due siede nel Consiglio di Sicurezza in qualit di membro permanente? Presso quale capitale le altre nazioni devono aprire le proprie ambasciate? Potrebbe sembrare una questione minore, pi di principio che di rilievo strategico, ma cos non . In primis perch in Asia Orientale e la Cina non fa certo eccezione le questioni di principio assumono quasi sempre un rilievo strategico, in secondo luogo perch in gioco oltre alla piccola Taiwan paese capace, comunque, di notevoli performance economiche e potentemente armato - ci sono pesi massimi quali la Repubblica Popolare Cinese e gli Stati Uniti d'America. Da un punto di vista legale, sia la PRC che la ROC sanciscono a livello costituzionale la loro incompatibilit reciproca. Nel preambolo della costituzione della Repubblica Popolare Cinese si legge: Taiwan parte del territorio sacrosanto della PRC. Completare la grande opera dell'unione della patria un obbligo sacrosanto dell'intero popolo cinese, compresi i compatrioti di Taiwan, e nella Legge anti-secessione del 2005: There is only one China in the world. Both the mainland and Taiwan belong to one China. China's sovereignty and territorial integrity brook no division. *+. The state shall never allow the Taiwan independence secessionist forces to make Taiwan secede from China under any name or by any means [art. 2].. Dall'altra parte dello stretto, sull'isola di Formosa, si trovano asserzioni simili, per quanto si contempli la possibilit di una modifica costituzionale della sovranit, confermata e dettagliata anche da recenti emendamenti e articoli aggiuntivi: Il territoio della Repubblica di Cina secondo i suoi attuali confini non pu essere modificato se non da una decisione dell'Assemblea Nazionale [Constitution, Art. 4]. Si tratta della cosiddetta One-China Policy, che si traduce, de facto, nell'impossibilit per la comunit internazionale e per i singoli stati di riconoscere legittimit a entrambi i governi senza incorrere in proteste o ritorsioni, specialmente da parte della PRC. Da questo deriva l'assenza di ambasciate a Taipei (i rapporti internazionali con gli altri paesi vengono curati da Uffici di rappresentanza, Camere di Commercio, Uffici culturali e via dicendo). Per esempio, l'ambasciata taiwanese negli stati Uniti non un'ambasciata e si chiama Taipei Economic and Cultural Representative Office in the US, mentre sul sito del Dipartimento di Stato americano, alla voce Taiwan, un asterisco informa che The U.S. maintains unofficial
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relations with the people on Taiwan through the American Institute in Taiwan (AIT), a private nonprofit corporation, which performs citizen and consular services similar to those at diplomatic posts. Come a dire, un'ambasciata, ma che non pu averne il nome e lo status. Nel 1992, un incontro informale di rappresentanti della PRC e della ROC d luogo al cosiddetto 1992 Consensus: paradossalmente, i due governi riconoscono che esiste una sola Cina, indivisibile, che comprende i territori sotto il controllo della PRC e della ROC. Ovviamente ognuno dei due contendenti ritiene legittimo solamente s stesso e illegittimo l'altro. Va detto, peraltro, che all'interno di Taiwan questa la posizione del KMT, il Partito nazionalista, mentre il DPP, Partito democratico progressista, sarebbe pi incline alla soluzione secessionista.

Quale futuro, oltre lo status quo? Nell'ambito del pi generale riassestamento geopolitico dell'AsiaPacifico, riassumibile sostanzialmente nella dinamica di confronto tra una potenza egemone (USA) e una in ascesa (PRC), la questione taiwanese resta sicuramente una della pi rilevanti faglie di tensione, insieme alla Corea e ai contrasti per il controllo del mar cinese meridionale. Le possibilit di soluzione del contenzioso tra PRC e ROC sono sostanzialmente due: 1. reintegrazione della ROC entro la PRC, secondo le modalit gi sperimentate in occasione degli handover di Hong Kong e Macao, quindi sotto forma di Zona Economica Speciale, con ampi margini di autonomia politica, economica e giuridica; 2. secessione e costituzione di due stati sovrani e indipendenti. L'opzione 1 supportata ovviamente da Beijing attraverso la Legge antisecessione e rispondente a una logica di continuit culturale tra i due popoli, si scontrerebbe con la volont dei cittadini taiwanesi, decisamente contrari a rinunciare alla loro autonomia e relativa libert politica, ma soprattutto con quella americana, decisa tuttora ad evitare che la PRC abbia sovranit sull'isola, fondamentalmente per motivi strategici. Controllare Taiwan, infatti, significherebbe l'estensione delle acque territoriali della PRC, che tradotto in termini di alleanze americane, equivarrebbe a tagliare l'asse Giappone-Filippine e a esporre il mar cinese meridionale all'espansionismo di Beijing. La seconda opzione, sostenuta prevalentemente a Taiwan da parte del
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Partito democratico, sembra invece impraticabile perch la Legge antisecessione della PRC comporterebbe un immediato intervento militare cinese le cui conseguenze, in primis il contro-intervento americano, sarebbero imprevedibili e potenzialmente disastrose, non soltanto a livello regionale. L'opzione militare da parte della PRC, infatti, esiste, ma dovrebbe tenere conto oltre che di notevoli difficolt logistiche anche di un'aviazione e una marina quelle taiwanesi altamente equipaggiate e preparate, e del perdurare degli interessi geostrategici americani. Da questa situazione di impasse nasce la politica di mantenimento dello status quo perseguita sia dalla PRC, sia dagli USA. In realt, nel 1995 il presidente della PRC Jiang Zemin aveva avanzato una proposta di riunificazione: in ottemperanza al principio One Country, Two Systems seguito nella riunificazione con Hong Kong e Macao, Taiwan avrebbe dovuto perdere la propria sovranit e il diritto all'autodeterminazione, mantenendo per un notevole grado di autonomia amministrativa, politica, attraverso un rappresentante preso il governo centrale, e persino militare, attraverso il mantenimento delle proprie forze armate. La relativa instabilit politica di Taiwan negli ultimi anni, e l'emergere dell'istanza secessionista supportata dal DPP per, ha reso difficile la negoziazione di questa proposta. Non va poi dimenticato il fattore economico: se vero che dove passano i mercanti non occorre far passare i soldati, allora le possibilit belliche si allontanerebbero ancora di pi, visto il volume degli investimenti esteri taiwanesi in PRC e la conseguente interconnessione delle due economie. A partire dagli anni novanta gli investimenti diretti esteri dall'una all'altra sponda dello stretto sono cresciuti progressivamente fino a fare di Taiwan il primo investitore in Cina con un volume stock di FDI che nel 2010 ha raggiunto i 150 Fonte: Taiwan Bureau of Foreign Trade miliardi di dollari. Parallelamente, anche il turismo cresciuto notevolmente, in particolare
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da quando nel 2008 sono stati istituiti voli diretti a cavallo dello stretto. Bisogna ricordare a questo proposito che, gi dal 1979, la PRC promuove una riunione de facto tra i cittadini di Taiwan e del continente attraverso la politica dei Three links, ovvero l'istituzione di comunicazioni postali, di servizi di trasporti e di rapporti commerciali tra i concittadini sui due lati dello stretto, come vengono indicati nella retorica cinese. verosimile pensare che la situazione possa cambiare, in parallelo al riequilibrarsi degli assetti egemonici nel Pacifico, tuttavia non si tratta di uno scenario immediato, dal momento che equivarrebbe alla fine dell'egemonia americana sul Pacifico, una prospetiva che se non del tutto improbabile perlomeno prematura, visto il permanere della 7a Flotta della US Navy in Giappone e a Guam, e visto il perdurante primato militare americano a livello globale. Inoltre, nonostante le pressioni costanti dei cinesi affinch gli americani interrompano la vendita di armi governo di Taipei (rinnovate ancora, nell'agosto di quest'anno, al vicepresidente Joe Biden in visita in Cina), la posizione statunitense a tal riguardo non sembra possa mutare in tempi brevi. Se dal punto di vista militare l'impasse ancora in corso e non si vedono significativi passi in avanti, in ambito di cooperazione economica i segnali di riavvicinamento sono molteplici, uno su tutti la firma, il 29 giugno del 2010, dell'Economic Cooperation Framework Agreement (ECFA), al fine di facilitare il commercio e le transazioni bilaterali attraverso la riduzione dei dazi reciproci e l'apertura di alcuni settori di mercato della PRC. Nonostante i fiorenti rapporti economici di Taiwan con la PRC, in particolare con la prospiciente provincia costiera del Fujiang, se esiste una soluzione della disputa tale possibilit deve passare attraverso la politica e si trova in parte a Beijing, in parte a Washington, o pi probabilmente nel modo in cui, nei prossimi anni, andr configurandosi il loro reciproco rapporto.

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