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Andarsene dal comunismo, cercare la giustizia (1)


di Marino Badiale (Universit di Torino) - 24/04/2007 Fonte: Arianna Editrice (http://www.sinistrainrete.info/pdf/scheda_fonte.php?id=1) Introduzione. Questo articolo rappresenta un intervento nel dibattito sulla nozione di comunismo sollecitato dalla redazione di Eretica. Per chiarire il senso di quanto intendo sostenere, sono necessarie tre considerazioni preliminari. 1. In primo luogo, il mio intervento una critica alla posizione di coloro che da una parte accettano il radicale fallimento dellesperienza storica del comunismo del Novecento, dallaltra ritengono che oggi sia possibile e necessario ricostruire, in Italia e pi in generale nei paesi occidentali, un orizzonte culturale e politico che possa ancora definirsi comunista (mi sembra questa la posizione del gruppo fondatore della rivista Eretica). Naturalmente, spero che le argomentazioni che svilupper possano risultare interessanti non solo per chi condivida la posizione appena descritta, ma anche per chiunque voglia riflettere sulla nozione di comunismo. 2. In secondo luogo, ritengo importante sottolineare che, a mio avviso, il tema del comunismo non deve essere il punto focale di una rivista come Eretica. La discussione sul comunismo importante e significativa solo se si ha chiaro quale sia il punto veramente fondamentale e centrale, lassioma che deve essere posto al centro di unimpresa intellettuale e politica come quella di Eretica: si tratta della tesi che lattuale capitalismo mondializzato a dominanza imperiale statunitense il nemico del genere umano, che sta trascinando lumanit verso crisi di civilt dagli sviluppi imprevedibili, e che deve essere combattuto con tutti gli strumenti intellettuali e politici a nostra disposizione. E solo a partire da questo principio che ha senso la discussione sul comunismo, o pi in generale sul marxismo e sulle tradizioni rivoluzionarie dei secoli XIX e XX. Voglio dire cio che tali discussioni devono essere rivolte a cercare cosa, allinterno di quelle tradizioni, ci pu essere ancora utile per capire e combattere il capitalismo odierno e le sue dinamiche mortifere. Che cosa sia vivo e che cosa sia morto in tali tradizioni ce lo pu dire, naturalmente, solo un rigoroso esame teorico. Ritengo che questo esame possa portare al recupero di molti aspetti concettuali del pensiero di Marx e della tradizione marxista. Per fare solo un esempio, Massimo Bontempelli ha mostrato[2] come alcune categorie marxiane (in particolare quella di sussunzione formale/sussunzione reale) possano essere importanti per capire la realt contemporanea. Un altro esempio la nozione di imperialismo, a mio avviso ancora utile per capire il mondo. Si tratta di una nozione con la quale si cerca di descrivere scientificamente la realt, e che permette in questo modo di impostare una discussione razionale. Se poi questa discussione dovesse portare al superamento di tale nozione in favore di nozioni pi precise e feconde, si tratterebbe in ogni caso di una crescita di conoscenza. 3. Infine, una precisazione terminologica, necessaria poich mi sembra che ancora non ci siano su questi temi convenzioni linguistiche accettate da tutti: parler di comunismo ortodosso (o ufficiale) del Novecento per riferirmi appunto alla corrente ortodossa del comunismo stesso, cio a quelle organizzazioni statali che erano raggruppate sotto letichetta socialismo reale e ai partiti che ad esse facevano riferimento nei paesi occidentali. Parler di comunismo eretico o comunismo eterodosso per riferirmi a quelle correnti del marxismo occidentale critiche verso il socialismo reale e verso i partiti comunisti ufficiali[3]. Linsieme formato da comunismo ufficiale e comunismo eretico lo denomino, secondo un suggerimento di Costanzo Preve[4], comunismo storico del Novecento. Dopo queste osservazioni preliminari, espongo in maniera sintetica la tesi che intendo sostenere in questo articolo. Si tratta di rispondere alla seguente domanda: la nozione di comunismo ci aiuta in qualche modo nella critica teorica e politica dellattuale capitalismo? Detto altrimenti, tale nozione possiede ancora un valore, teorico o pratico, per gli anticapitalisti e gli antimperialisti? La mia risposta a queste domande un NO semplice e netto. In questo intervento sosterr infatti che proporre oggi la ricostruzione di una organizzazione comunista o proporre il comunismo come orizzonte a partire dal quale impostare la lotta contro la disumanit del mondo contemporaneo significa commettere un catastrofico errore sia sul piano teorico sia sul piano pratico. Un errore il cui risultato finale la condanna alla pi totale irrilevanza storica. Cercher adesso di argomentare queste tesi. La discussione divisa in due parti, la prima rivolta alla teoria, la seconda alla pratica. Teoria. Il nucleo di ci che intendo sostenere molto semplice, e per spiegarlo si pu partire da una battuta letta molti anni fa, la cui sostanza era che a chi si dice comunista oggi, bisogna per prima cosa chiedere cosa vuol dire[5]. Cosa vuol dire comunismo? E una domanda semplice, chiara, sensata, alla quale dovrebbe essere possibile dare una risposta semplice, chiara, sensata. Naturalmente possibile rispondere riferendosi ad uno dei tanti significati che la parola ha avuto nel corso della storia, o ad una delle tante realt storiche che oggi classifichiamo sotto letichetta comunismo. Nel suo articolo sul primo numero di Eretica[6], per esempio, Preve elenca qualcuno dei significati che comunismo ha avuto, nel corso della storia, trattando il comunismo antico (la cui versione pi nota quella di Platone), quello dei primi cristiani, il comunismo settecentesco, il comunismo di Marx, il comunismo storico del Novecento. E se ne potrebbero aggiungere altri, per esempio il comunismo delle societ primitive. Ma ovvio che quando oggi ci si propone una prospettiva culturale e politica comunista non ci si pu riferire n a Platone n a Morelly n alle societ neolitiche. Neppure si pu accettare la definizione che propone Preve[7], affermando che il concetto di comunismo () immutabile, e significa contestazione radicale della logica distruttiva e reificante () della produzione capitalistica. Infatti, identificando comunismo e anticapitalismo, Preve commette un evidente errore logico. Se ben vero il comunismo anticapitalismo, ovvio che non vale il

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viceversa: ci possono essere molte forme di anticapitalismo che non hanno nulla a che fare con il comunismo. Si pu essere anticapitalisti perch si rifiuta la societ moderna e si vagheggia il ritorno ad una societ feudale, si pu essere anticapitalisti perch cos vuole Dio. La cosa ben chiara ai classici: Marx ed Engels nel Manifesto distinguono accuratamente la loro posizione dalle diverse forme di socialismo dellepoca, e questo mostra come per essi fosse ovvio il fatto che cerano molti modi diversi di essere socialisti (e quindi antiborghesi e anticapitalisti) che non avevano nulla a che fare con il comunismo di cui essi intendevano farsi banditori. Chi oggi propone il comunismo come prospettiva teorica e politica pensa, essenzialmente, al comunismo di Marx e al comunismo storico del Novecento. Vediamo allora se, avendo in mente questi due riferimenti, possibile dare, alla domanda cosa pu voler dire, oggi, comunismo?, una risposta che sia insieme chiara, razionale, e utile nella lotta contro il capitalismo. La nozione classica di comunismo quella di societ senza classi. La mia tesi che tale nozione non risponde ai criteri che abbiamo appena enunciato. Essa non dice, infatti, alcunch di concreto. Cosa pu mai essere una societ senza classi? Poich le classi sociali nascono dalla divisione del lavoro, una societ senza classi sarebbe o una societ senza divisione del lavoro, o una societ nella quale la divisione del lavoro non comporta ineguaglianze nella distribuzione del potere e delle opportunit di vita. Ma chi parla oggi di comunismo pensa certamente ad una societ che non ripudi in toto levoluzione tecnologica e scientifica che ha portato alla modernit, e in tale situazione impossibile non accettare una qualche forma di divisione del lavoro[8]. Lunico significato dellespressione societ senza classi pu allora essere il secondo che abbiamo elencato. La societ comunista dovrebbe essere una societ nella quale esiste la divisione del lavoro ma questa non comporta ineguaglianze. E per evidente che una simile definizione non ha alcun contenuto concreto. Infatti per una persona di formazione marxista dovrebbe essere ovvio che le ineguaglianze legate alla divisione del lavoro nascono non per la cattiveria di qualcuno, ma per dinamiche oggettive legate alla struttura dellorganizzazione produttiva. Lo slogan della societ senza classi, per poter rappresentare la configurazione concreta di una societ futura, dovrebbe quindi implicare la capacit di prevedere lintera evoluzione futura delle strutture produttive. Bisognerebbe cio essere capaci di prevedere come sar organizzata la produzione nei secoli futuri, per poter dire che di fronte allinnovazione tecnologico-produttiva X si agir politicamente nel modo Y per impedire il formarsi di una disuguaglianza di classe. Questo comporta, fra laltro, la previsione dellevoluzione tecnologica, e quindi dellevoluzione scientifica, nei secoli futuri: compito chiaramente impossibile. In mancanza di queste impossibili precisazioni, lo slogan della societ senza classi rappresenta, appunto, solo uno slogan. Esso equivale ad affermare in una situazione storica futura che non possiamo prevedere, di fronte a innovazioni tecnologico-produttive che non possiamo prevedere, occorrer agire in qualche modo imprevedibile per impedire che le nuove imprevedibili forme di divisione del lavoro si traducano in ineguaglianze e dominio di classe. Proposito condivisibile, ma di scarsa concretezza, e soprattutto di scarsa utilit nella lotta contro il capitalismo contemporaneo. A questa nozione di comunismo si collega la celebre citazione che definisce il comunismo come il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente[9]. E facile capire che questa definizione ha senso solo se si suppone che la storia abbia un percorso rigidamente determinato, che ci sia un futuro predestinato, e che esso sia appunto il comunismo, che, in quanto risolto enigma della storia[10], appare come il fine ultimo della storia stessa. Al di fuori di questo rigido determinismo, si tratta di una frase sciocca e vuota. Esistono infiniti modi di abolire lo stato di cose presente che non hanno nulla a che fare con quello che si pu intendere per comunismo. Una guerra termonucleare che distrugga la specie umana riducendo la terra ad un deserto radioattivo abitato solo da due o tre specie di licheni e due o tre specie di coleotteri, sarebbe indubbiamente un movimento reale che abolirebbe lo stato di cose presente. Dunque il comunismo una guerra termonucleare? E facile pensare altri esempi dello stesso tipo, che mostrano appunto come tale definizione abbia senso solo allinterno di un rigido determinismo storico, che appare oggi improponibile. La definizione di comunismo come societ senza classi e risolto enigma della storia fornisce una prospettiva storica che non immediatamente prospettiva politica. La prospettiva politica per il movimento comunista del Novecento stata quella del comunismo come potere dei lavoratori e socializzazione dei mezzi di produzione. La societ per la quale si battevano i comunisti la societ nella quale i lavoratori detengono il potere, in particolare e soprattutto il potere di gestire la produzione. E allora questa la nozione che ci permette di risolvere il problema di cosa si pu intendere per comunismo? Abbiamo detto allinizio che questa nostra discussione finalizzata alla ricerca degli strumenti intellettuali con i quali combattere lattuale capitalismo. Dobbiamo allora chiederci perch mai il comunismo, definito in questo modo, debba essere rilevante e significativo per un anticapitalista contemporaneo. Possiamo capirlo se riflettiamo sulle motivazioni che spingevano una persona nel Novecento a diventare comunista. Cosa voleva veramente, chi sceglieva di essere comunista? Cosa volevo io, quando mi dichiaravo comunista? Volevo la giustizia. Volevo un mondo un po pi giusto o un po meno infame e disumano del mondo che vedevo[11]. E la societ comunista era limmagine di questo mondo pi giusto. Lidea di comunismo dovrebbe dunque avere questo ruolo, per gli anticapitalisti: rappresentare limmagine di una societ pi giusta da contrapporre alle ingiustizie del presente capitalistico e imperialistico. La domanda cruciale da porsi allora la seguente: in questa fase storica, con le esperienze che abbiamo dietro le spalle, che argomentazioni sensate abbiamo per sostenere che una societ in cui il potere appartiene ai lavoratori, in cui i lavoratori gestiscono la produzione, sar una societ significativamente pi giusta dellattuale? Nella fase storica attuale, le forme che possiamo immaginare, per una tale societ, sono due: una grande comunit (nazionale o mondiale) in cui la produzione gestita da organi centrali, oppure une rete di piccole comunit indipendenti che si autogestiscono la propria vita e le proprie produzioni. Nel primo caso inevitabile pensare che la concentrazione del potere in grandi istituzioni che gestiscono la vita collettiva possa portare alla formazione di nuovi gruppi dominanti, diversi dagli attuali ma altrettanto feroci. Lesempio storico del socialismo reale ci indica con estrema chiarezza questa possibilit. Nel secondo caso, non si capisce perch mai le piccole comunit indipendenti di produttori dovrebbero convivere in pace e armonia invece che farsi la guerra. Lesempio delle comunit primitive studiate dagli antropologi ci mostra che lassenza di un autentico dominio di classe allinterno della comunit pu perfettamente convivere con uno stato di guerra continua con le altre comunit[12]. Possiamo aggiungere altre considerazioni: essendo a tutti evidente che lidea di uno sviluppo economico e tecnologico illimitato sta portando gravissimi problemi ecologici, una societ pi giusta dellattuale dovrebbe essere una societ che rinuncia allidea dello sviluppo illimitato. C qualche elemento per pensare che lautogoverno dei produttori porti di per s

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al rifiuto della nozione di sviluppo? A me sembra di no, mi sembra perfettamente pensabile che i lavoratori al potere possano continuare a preferire laumento indefinito dei consumi a scapito di ogni altra considerazione. E quello che succede oggi: i lavoratori aderiscono in massa e con entusiasmo al consumismo del capitalismo contemporaneo, e vogliono pi redditi per potere consumare di pi. Cosa fa pensare che in una societ da essi governata dovrebbero avere idee diverse? E forse necessaria qualche precisazione, per evitare fraintendimenti: non sto sostenendo che necessariamente una societ governata dai produttori sar una societ oppressiva del tipo socialismo reale, o un societ di guerre endemiche come certe societ primitive, oppure che sar necessariamente una societ consumista dedita, come lattuale, alla distruzione dellambiente. Sto sostenendo che nella situazione attuale non abbiamo nessun argomento razionale per affermare che sar in un modo piuttosto che in un altro. Le realt storiche che abbiamo conosciuto ci impediscono di pensare che quegli esiti negativi siano esclusi da una societ comunista, per il solo fatto di essere comunista (cio basata sullautogoverno dei lavoratori). Siamo cio in una situazione in cui la nostra immaginazione dialettica bloccata, e non per nostra incapacit ma per levoluzione storica che ci ha portato alla situazione attuale. Appena proviamo a dare un contenuto minimamente concreto alla nozione di societ comunista, scopriamo che non abbiamo motivo per pensare che una societ comunista debba essere significativamente pi giusta dellattuale. Ma se la societ comunista un mezzo per realizzare un mondo pi giusto, queste considerazioni tolgono ogni fondamento alla nozione di comunismo, intesa in questo senso, e allinteresse per una riproposizione di tale nozione. Se il comunismo un mezzo e la giustizia il fine, la discussione deve essere non sul comunismo ma sulla giustizia. Il programma non pu essere discutiamo per ridare un significato alla parola comunismo, ma deve essere discutiamo per capire come rendere il mondo un po pi giusto, un po meno disumano. Credo sia chiaro quale sia la pesante realt storica che sta dietro queste considerazioni: si tratta del fallimento epocale del socialismo reale. E il fatto di venire da questo colossale fallimento a bloccare la nostra capacit creativa, a impedirci di pensare una nozione di comunismo che abbia insieme un contenuto di giustizia e una concretezza storica. Questo punto merita di essere approfondito con un paragone storico che mi sembra illuminante. Chi difende la possibilit di rilanciare una nozione accettabile di comunismo, di fronte al catastrofico fallimento del socialismo reale si rif spesso e volentieri allesempio storico dei decenni di reazione susseguitisi in Europa alla definitiva sconfitta di Napoleone. La tesi che le possibilit di una societ comunista appaiono oggi deboli e sconfitte cos come apparivano deboli e sconfitte le idee della Rivoluzione Francese nellEuropa della Santa Alleanza. E come queste ultime riapparvero ben presto con forza rinnovata (in Francia nel 1830 e poi, a livello europeo, nel 1848), cos le idee comuniste potrebbero riapparire dopo qualche decennio di eclissi. Una riflessione pi approfondita ci fa capire la fallacia di questo argomento, e ci permette di dare pi forza al nostro invito a un definitivo abbandono della nozione di comunismo. Infatti la sconfitta delle istanze borghesi, democratiche e rivoluzionarie nel 1815 riguardava solo i rapporti di forza della politica. A livello della struttura economica e sociale, la marcia in avanti del capitalismo proseguiva. La restaurazione dei Borboni in Francia non aveva potuto cancellare le riforme giuridiche di Napoleone, che segnavano la vittoria dei rapporti sociali borghesi dentro la struttura giuridica del paese. E la potenza che pi di tutte si avvantaggiava della sconfitta della Francia non era lAustria clericale o la Russia autocratica, ma lInghilterra in piena Rivoluzione Industriale, e lanciata ormai verso il dominio panetario. In sostanza, nel momento stesso della peggiore sconfitta politica e militare delle idee rivoluzionarie, era possibile scorgere una possente dinamica sociale che spingeva in direzione opposta a quella dei reazionari vincitori. Niente di tutto questo possibile vedere oggi. Il comunismo sconfitto non ha lasciato nulla di concreto su cui basarsi per pensare di far ripartire una dinamica rivoluzionaria. In queste condizioni, chi parla di comunismo costretto o a ricadere negli errori del comunismo storico del Novecento, o a non dire nulla. Pratica. Passiamo ora a discutere la prassi del comunismo storico del Novecento. Discutiamo cio di un concreto progetto storico-politico che ha mirato alla realizzazione di una societ comunista. Il comunismo inteso in questo senso non una aspirazione o un ideale, ma una realt molto concreta che ha avuto unesistenza storica ben nota nel corso del Novecento. Da questa realt si pu trarre un significato chiaro, sensato, utile per la parola comunismo? A me sembra di no. Per quanto riguarda il comunismo ufficiale, penso non ci sia bisogno di spendere molte parole. Abbiamo appena sostenuto che il suo catastrofico fallimento chiude ogni possibilit di pensare in modo sensato la nozione di comunismo. Tale realt storica non ha in sostanza rappresentato un avanzamento dellideale della giustizia nel mondo. Da molti punti di vista (anche se non da tutti i punti di vista) ha rappresentato una realt pi ingiusta e disumana di quella delle democrazie occidentali. Resta allora da discutere se un significato sensato alla parola comunismo possa essere trovato nelle tante correnti del comunismo eretico del Novecento. Non sono in grado di fare un esame analitico delle infinite varianti del marxismo non dogmatico. Intendo piuttosto individuare alcuni limiti di fondo che riguardano lintera realt storica del comunismo del Novecento (ortodosso ed eretico). Si tratta di due errori storici e antropologici, che aiutano a comprendere i motivi del radicale fallimento del comunismo del Novecento (ortodosso ed eretico). Il primo errore quello relativo alla sostanza stessa della strategia comunista. Gli assunti di fondo di tale strategia sono che il partito comunista si pone come organizzazione politica della classe operaia e del proletariato, che esso ha come fine la conquista del potere e la trasformazione delle fondamentali strutture economiche e sociali, e che questa trasformazione deve essere, in ultima analisi, il passaggio dal modo di produzione capitalistico al modo di produzione comunista. La domanda radicale che occorre porsi allora se le classi sociali cui fa riferimento il partito comunista, appunto la classe operaia o il proletariato, abbiano in s le capacit storiche per questo profondo cambiamento delle strutture economiche e sociali. Il marxismo storicamente esistito si basato, a questo proposito, sullautorit di Marx. Su questo punto condivido le conclusioni alle quali arrivata la ricerca di La Grassa[13]. Secondo questa interpretazione, il comunismo di Marx si basa sullipotesi, che Marx riteneva di aver corroborato scientificamente, che il movimento autonomo del modo di produzione capitalistico produca una unificazione del lavoratore collettivo e una separazione fra il lavoratore collettivo e la propriet capitalistica. Il comunismo per Marx conseguenza di questi meccanismi inscritti nel modo di produzione, meccanismi che non garantiscono certo il carattere automatico del passaggio dal

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capitalismo al socialismo e al comunismo, ma che forniscono per la base oggettiva su cui si innesta la lotta politica dei rivoluzionari. Se viene a mancare questa evoluzione tendenziale del modo di produzione capitalistico, il senso stesso del comunismo in Marx che diventa incomprensibile. Il punto che a pi di centanni dalla morte di Marx, dopo che il modo di produzione capitalistico si esteso allintero pianeta, non vediamo traccia di questa unificazione tendenziale del lavoratore collettivo. E non si tratta di un caso. E infatti possibile argomentare che lanalisi scientifica, svolta da Marx, del modo di produzione capitalistico, non implica la necessit della formazione di tale lavoratore collettivo unificato, ma invece compatibile con esiti molto differenziati della dinamica storica capitalistica[14]. In sostanza la scienza marxiana non in realt in grado di pronosticare lavvento del lavoratore collettivo unificato. Questo significa che la mancanza di tale avvento non pu essere ritenuta una falsificazione del paradigma marxiano originale, ma implica anche che allinterno di tale paradigma non in realt articolabile il discorso che dava un significato alla parola comunismo. In mancanza del lavoratore collettivo, non sembra quindi possibile rifarsi a Marx per sostenere che la classe operaia abbia le capacit necessarie a gestire il cambiamento intermodale[15]. Non abbiamo cio motivo di pensare, come invece vuole il marxismo, che la classe operaia rappresenti uneccezione rispetto alle altre classi sfruttate della storia. Le classi sfruttate non hanno mai rivoluzionato il modo di produzione, perch dovrebbe farlo la classe operaia? Laffermazione che le classi sfruttate non hanno mai rivoluzionato il modo di produzione pu apparire eccessiva e provocatoria. Rappresenta invece una semplice constatazione di fatto, pur di chiarirne lesatto contenuto. Non si intende dire con essa che le classi sfruttate non siano capaci di ribellarsi contro lo sfruttamento, non siano capaci di dare a tali ribellioni uno sbocco politico, o non siano capaci di ottenere vittorie significative. Le classi sfruttate sono senzaltro capaci di fare tutto questo, dalle rivolte contadine cinesi che abbattono dinastie e ne fanno sorgere altre, alla Rivoluzione dOttobre. Ma cambiare il modo di produzione una cosa ben diversa. Per capirlo, riflettiamo su quali erano i modi di produzione cui pensava Marx: si tratta della successione canonica di comunismo primitivo, schiavismo, feudalesimo, capitalismo, cui ad un certo punto, in seguito al suo interessamento verso le societ asiatiche, Marx aggiunge il modo di produzione asiatico. Gli esempi di cambiamento di modo di produzione che Marx poteva avere in mente sono quindi il passaggio dal comunismo primitivo al modo di produzione schiavistico, da questo al feudalesimo, da questo al capitalismo. Ebbene, in quali casi il passaggio gestito dalle classi sfruttate? Nel comunismo primitivo le classi sfruttate non ci sono, nello schiavismo le classi sfruttate sono gli schiavi, nel feudalesimo i contadini: possiamo affermare che il passaggio dallo schiavismo al feudalesimo gestito dagli schiavi, o che quello dal feudalesimo al capitalismo gestito dai contadini? Ovviamente no. Lesempio del modo di produzione asiatico, dove le rivolte degli sfruttati (anche qui i contadini) provocano, eventualmente, cambiamenti politici, ma mai cambiamenti del modo di produzione, unaltra prova a favore della nostra tesi. Se dunque non succede mai, almeno nei principali casi storici a cui Marx faceva riferimento, che le classi sfruttate gestiscano il passaggio da un modo di produzione allaltro, perch dovremmo supporre che la classe operaia sia in grado di gestire tale passaggio? Si tratta di una assunzione del tutto ingiustificata, che occorre abbandonare: ma se si abbandona tale assunzione viene meno uno dei pilastri della nozione di comunismo come stata intesa da tutto il comunismo storicamente esistito nel Novecento (ortodosso ed eretico). Il secondo fondamentale errore antropologico del comunismo storico del Novecento quello relativo alla figura del militante. Il comunismo del Novecento, in tutte le sue versioni (ortodosse ed eretiche) ha al suo centro la figura del militante. Il comunista il militante. Questa centralit antropologica ovvia e comprensibile (nelle condizioni storiche date, i partiti comunisti potevano esistere solo grazie allattivit dei militanti); essa tende per a diventare, nel comunismo reale del Novecento, una esclusivit antropologica. Detto in maniera pi semplice, nel comunismo reale il militante tende a diventare il modello dellessere umano normale, e ci che i comunisti propongono agli altri esseri umani, in sostanza, di diventare a loro volta dei militanti. Ne risulta che lidea di societ futura quella di una societ di militanti. Tutto ci si pu leggere in molti aspetti del comunismo reale del Novecento. Per esempio si pu riflettere su come il comunismo eretico del Novecento ha risposto al problema della dominanza degli apparati di partito nei partiti comunisti tradizionali. Pur nella estrema diversit delle posizioni, la risposta in sostanza lappello alle masse perch si mobilitino, si attivino, controllino gli apparati, prendano in mano la direzione della societ. In sostanza, si chiede alle masse di trasformarsi in militanti a tempo pieno. C un profondo errore antropologico in queste concezioni. Un errore che spiega il loro radicale fallimento, il fatto cio che il comunismo eretico del Novecento ha sempre perso. Semplicemente, gli esseri umani non sono fatti cos. In larga maggioranza, non hanno nessuna voglia di militare, di partecipare, di attivarsi, di dirigere, di controllare. Lo fanno in particolarissimi momenti, quelle famose rivoluzioni alle quali agogna il comunista, che sono il risultato, storicamente raro, dellincrocio di particolari condizioni. Passato il momento magico, le masse ritornano alla loro vita particolare. E sempre andata cos, e non pu che andare cos. Chiedere alle masse di essere sempre tutti attivi, tutti militanti, come chiedere a ogni generale di essere Napoleone, a ogni scienziato di essere Einstein, a ogni calciatore di essere Maradona. Lerrore fondamentale dei comunisti (di quelli onesti, sintende) di avere in mente unimmagine di societ che pu funzionare solo se tutti sono dei militanti. Certo, se il partito rivoluzionario prende il potere sullo slancio della spinta delle masse, e poi, dopo la rivoluzione, le masse continuano nel loro impegno, si attivano, dirigono, controllano ecc.ecc. allora non ci saranno degenerazioni burocratico-staliniste. Ma le cose non vanno mai cos. Il momento dellattivit rivoluzionaria delle masse non pu essere pensato come linizio di una fase di militanza di massa, perch in questo modo ci si condanna alla sconfitta. Deve invece essere pensato come un momento in cui si abbattono vecchie istituzioni e se ne costruiscono di nuove e migliori, che devono poter funzionare, e produrre una societ pi giusta, anche senza la militanza e lattivit delle masse. Per capire lerrore di cui stiamo parlando, conviene confrontare la concezione antropologica di cui stiamo discutendo con altre concezioni. In particolare con quella della Chiesa cattolica. La Chiesa dispone infatti di unantropologia molto migliore di quella del comunismo. E per questo che la Chiesa l da duemila anni, mentre il comunismo storico del Novecento durato meno del secolo da cui prende il nome. Non ci vuol molto infatti a capire che il militante comunista, disposto allimpegno personale, fino al sacrificio, in nome dei propri ideali, lequivalente secolarizzato del santo. E la Chiesa sulla santit dice cose molto pi sagge di quante ne dicano i comunisti sulla militanza. Il punto fondamentale che per pensare una buona societ cristiana non occorre pensare a una societ di santi. Se la Chiesa avesse preteso questo, avesse preteso che la societ cristiana fosse una societ di santi (pretesa equivalente a quella

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della militanza di massa nel comunismo), si sarebbe ridotta allequivalente di un gruppetto bordighista o trotzkista e sarebbe, come questi, sparita dalla scena della storia. No, la Chiesa non pretende limpossibile dalla natura umana. La buona societ cristiana una societ aperta alla santit, una societ nella quale la santit riconosciuta e onorata, ma una societ che deve poter funzionare anche se i santi sono pochi. Un simile confronto pu essere ripetuto per altre concezioni antropologiche. Il militante, abbiamo detto, lequivalente secolarizzato del santo. Ma corrisponde anche al filosofo-politico di Platone, cio a colui (o colei) che capace di uscire dalla particolarit della propria condizione empirica, dai limiti dei propri interessi particolari, per attingere alla dimensione del bene comune. Ma, come la Chiesa non pretende che la societ cristiana, qui sulla Terra, sia fatta di santi, cos Platone non pretende certo che tutti i cittadini della sua Repubblica diventino guardiani-filosofi. La grande maggioranza continuer a dedicarsi ai propri affari particolari. Limportante , anche qui, creare una societ nella quale il bene comune sia perseguito anche se coloro che sono capaci di lavorare attivamente per esso sono una minoranza. Una societ nella quale i valori fondamentali (per Platone, la capacit di attingere al Vero e al Bene) siano riconosciuti e onorati da tutti, anche se non tutti sono in grado di praticarli ai livelli pi alti. Dal riconoscimento di questi due fondamentali errori antropologici[16] del comunismo storico del Novecento si deduce che per mantenere il comunismo come prospettiva politica occorre elaborare un comunismo che non li ripeta. Occorre cio pensare ad un comunismo nel quale 1. la classe operaia o il proletariato non sono classi che hanno la capacit di gestire la transizione al socialismo e al comunismo, 2. la militanza non il modello umano proposto alla collettivit[17]. Mi sembra si possa tranquillamente affermare che nessuno sa come sia fatto un tale comunismo. Anche in questo caso, concludiamo che, volendo evitare gli errori del comunismo storico del Novecento, si costretti in sostanza a svuotare la parola comunismo di ogni contenuto chiaro e distinto, a ridurla a una parola priva di significato. Queste considerazioni generali sono corroborate dal confronto con la concreta realt storica. Sul piano pratico, cosa significa oggi richiamarsi al comunismo? Dopo il crollo inglorioso del socialismo reale, e lo spettacolo di trasformismo dei ceti dirigenti dei partiti comunisti ufficiali, chiaro che chi oggi si dichiara comunista fa riferimento essenzialmente a qualcuna delle mille correnti del comunismo eretico del Novecento. Per un giudizio sul piano pratico, si pu partire da alcune considerazioni molto semplici. In primo luogo, richiamarsi al comunismo, nellattuale situazione delle societ occidentali, significa far scappare a gambe levate la grande maggioranza della popolazione. Chi si richiama al comunismo si condanna quindi al pi totale isolamento, dal quale pu sperare di uscire solo se dispone di idee forti e chiare sui fondamenti della propria strategia. Ma le argomentazioni svolte finora intendono appunto mostrare che non ci sono in circolazione tali idee. Questo sarebbe gi un argomento sufficiente. Ma c dellaltro. Mi sembra infatti necessario prendere atto di un fatto estremamente chiaro e semplice: se guardiamo alla storia dei paesi occidentali, vediamo che, nei suoi circa ottantanni di vita, il comunismo eretico non ha mai contato nulla, sul piano pratico. Sono circa ottantanni che i piccoli gruppi di comunisti di sinistra, gli eretici dellortodossia comunista, riproducono le loro dinamiche settarie, diffondondo volantini, stampano rivistine, fondano partitini e movimentini. Tutto ci ha prodotto talvolta qualche pensiero interessante, ma mai qualcosa di effettivo sul piano della storia reale. Su questo piano il variegato e differenziato mondo degli eretici del comunismo semplicemente non esiste. Basta questa semplice osservazione: se uno studioso volesse descrivere le fondamentali dinamiche storiche dei paesi occidentali nel Novecento, avrebbe bisogno di parlare di Bordiga o di Pannekoek, di Trotzki o di Socialisme ou barbarie? Ovviamente no. Il comunismo eretico, con il suo culto della prassi e la sua derisione per gli intellettuali chiusi nella loro torre davorio, non ha mai prodotto nulla proprio sul piano della prassi, e si ridotto in sostanza a piccoli gruppi intellettuali la cui unica prassi era la produzione di articoli e libri (qualche volta interessanti, pi spesso no)[18]. Questa totale irrilevanza storica ancora pi grave se pensiamo al fatto che il comunismo eretico ha avuto spesso ragione da vendere nei confronti dei partiti comunisti ufficiali: pensiamo in particolare alla denuncia dello stalinismo. Il punto che, su questo piano di valutazione, aver ragione quasi unaggravante: se per ottantanni non si conta mai nulla anche quando si hanno ottime ragioni dalla propria parte, vuol dire che la propria teoria e la propria prassi devono essere inficiate da qualche errore fondamentale e irrimediabile. Ritengo che le analisi svolte sopra possano aiutare a comprendere dove stiano questi fondamentali limiti teorici e pratici. Ritengo cio che i due errori antropologici di cui ho parlato in precedenza siano alla radice della totale insignificanza storica del comunismo eretico del Novecento. Essi permettono di spiegare il fatto semplice ed evidente che classe operaia, proletariato, masse popolari non hanno mai degnato di uno sguardo i vari gruppetti eterodossi, ma hanno sempre seguito o i partiti socialdemocratici, o i partiti comunisti ufficiali. Dopo questa analisi generale, cerchiamo adesso di esaminare brevemente quali siano, oggi in Italia, le concrete opzioni politiche per chi si dichiari comunista. Mi pare si riducano a tre possibilit:

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La cosiddetta sinistra radicale alleata dellUlivo (PRC, PdCI). Su tale realt ho gi spiegato in dettaglio le mie opinioni in un testo recente[19]. Sintetizzo alcuni aspetti rilevanti per lattuale discorso: in questi casi il comunismo una semplice copertura ideologica di politiche completamente e irreversibilmente capitalistiche, liberistiche e imperialistiche. I comunisti al governo (con Prodi o qualcun altro) servono semplicemente a raccattare un po di voti. A quanto pare, in Italia c un serbatoio di persone (piccolo, ma nelle attuali condizioni anche una manciata di voti pu essere importante, per le lotte di potere) che sono disposte a votare i simboli del comunismo (una bandiera rossa o una falce e martello) senza darsi minimamente pensiero del fatto che quel voto serve a politiche diametralmente opposte a quelle che dovrebbero ricollegarsi a quei simboli. E questo un dato sociologicamente e antropologicamente interessante, ma che non fornisce molto aiuto a chi vorrebbe recuperare un senso alla parola comunismo. Possiamo anzi aggiungere unipotesi: potrebbe essere proprio il carattere ormai vuoto di contenuto di questa parola a rendere cos facili quelle manipolazioni di cui sono maestri personaggi come Bertinotti o Diliberto. Se essere comunisti avesse un contenuto, chiaramente non sarebbe possibile dichiararsi comunisti e votare a favore di governi che colpiscono i redditi dei ceti medi e bassi, perseguono politiche economiche di attacco ai servizi sociali, e si mettono al servizio delle guerre USA. Il fatto che questo invece sia possibile mostra

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con chiarezza che, almeno, per lelettore e il militante di PRC e PdCI, la parola comunismo non ha nessun significato preciso. 2. Micro-partitini o micro-organizzazioni che tentano di riprendere qualcuna delle tradizioni del marxismo rivoluzionario del Novecento (oggi in Italia possiamo pensare ai CARC o a Lotta Comunista). Se chiaro il discorso che abbiamo appena fatto sulla totale ineffettualit storica delle tradizioni del comunismo eretico del Novecento, ovvio che nei confronti di tali realt non possiamo che ripetere tale giudizio. Questa totale inutilit storica, essendo ormai del tutto evidente, spinge a riflettere sulle reali motivazioni psicologiche delle persone che scelgono di far parte di tali organizzazioni. Se questo mondo continua a riprodurre le sue dinamiche dopo che la sua totale insignificanza storica divenuta del tutto palese, ci indica, a mio parere, che alla persona interna a tale mondo importa ben poco, nel profondo, degli ideali che proclama. Se gliene importasse, non potrebbe riprodurre sempre quelle stesse dinamiche che hanno mostrato a iosa la loro totale inefficacia. Al comunista della piccola setta non importa delle ingiustizie del mondo. E allora cosa cerca? Cerca, ovvio, esattamente quello che trova: un piccolo gruppo di persone con le quali condividere alcune affabulazioni su comunismo, rivoluzione, classe operaia et similia, e un lavoro pseudopolitico che lo illuda con lapparenza di unattivit sensata. C chi si ritrova con quattro amici per giocare a bocce, chi per fare meditazione zen, chi per fondare il nuovo partito comunista, che stavolta sar quello giusto, quello buono, quello veramente marxista. 3. Le piccole organizzazioni che, criticando le scelte governative di PRC e PdCI, si pongono come ala radicale della sinistra radicale (oggi in Italia possiamo pensare al Partito Comunista dei Lavoratori, al Partito dellAlternativa Comunista, alla Rete dei Comunisti). Si tratta di realt che, nella situazione italiana, non possono far altro che oscillare fra le situazioni descritte nei due punti precedenti: in sostanza, non hanno altra scelta che ritornare nellalveo dei partiti maggiori o ridursi a piccoli gruppetti insignificanti. Data questa situazione, allora evidente che ogni richiamo al comunismo assolutamente catastrofico, per chi voglia, oggi in Italia, lottare per un mondo meno ingiusto. Richiamarsi al comunismo significa mettersi in una delle tre situazioni che ho elencato sopra, e quindi condannare la propria aspirazione di giustizia alla pi totale irrilevanza storica. Conclusioni Oggi il richiamo al comunismo, sia sul piano teorico, sia sul piano pratico, una catena mentale che ci impedisce di contrastare con efficacia legemonia del mondo capitalistico e ci blocca in una condizione ultraminoritaria. Coloro che hanno fame e sete di giustizia devono liberare la propria mente e abbandonare il comunismo alle piccole sette catacombali. Cos facendo non hanno da perdere che le proprie catene, e un mondo da guadagnare. Genova, aprile 07. Articolo apparso sulla rivista ERETICA.

[1] Devo molto alle discussioni con Massimo Bontempelli, e a suoi suggerimenti. Ogni errore e imprecisione ovviamente responsabilit mia. [2] M. Bontempelli, Capitalismo, sussunzione, nuove forme della personalit, Eretica n. xx-anno xxx, pagg.xxx: [3] La maggiore ambiguit in questa classificazione mi sembra rappresentata dal maoismo, che da una parte (in quanto ideologia di uno stato socialista in una determinata fase storica) parte integrante del socialismo reale, dallaltra (in quanto ideologia di piccoli gruppi eterodossi nei paesi occidentali) appartiene piuttosto a quello che qui chiamo comunismo eretico. [4] Cfr. C. Preve, Il comunismo storico novecentesco, Edizioni Punto Rosso 1997. [5] Purtroppo non ricordo dove lho letta. Mi sembra si trattasse di un articolo di Alfonso Berardinelli. [6] C. Preve, Democrazia e comunismo, Eretica n.1-2005, pagg. 8-16. [7] C. Preve Il comunismo? Ipotesi plausibile. I Comunisti? Dio ce ne scampi, in Eretica n. 1-2006, pagg.57-62. [8] Lasciamo perdere, per carit di patria (marxiana), le amenit dellIdeologia Tedesca sulla societ nella quale gli individui nella stessa giornata faranno due o tre lavori completamente diversi. [9] K.Marx, F.Engels, LIdeologia Tedesca, Editori Riuniti 1975, pag. 25. [10] K.Marx, Manoscritti economico-fiosofici del 1844, in Opere filosofiche giovanili, Editori Riuniti 1963, pag. 226. [11] Con giustizia intendo qui un concetto che riassume gli ideali tradizionali della sinistra: libert, eguaglianza, solidariet, fuoriuscita dellumanit dal bisogno, rispetto della dignit delle persone e dei popoli. [12] Secondo P.Clastres la possibilit della violenza inscritta sin dallinizio nella societ primitiva: la guerra una struttura della societ primitiva. (P. Clastres, Archeologia della violenza, Meltemi 1998, pag.52, corsivi di P.Clastres). Certo, ci sono esempi di comunit primitive pacifiche. Il punto che, di per s, lassenza di dominio di classe non implica lesclusione della violenza. [13] Tali conclusioni sono riassunte in G.La Grassa Se il capitalismo non muore il comunismo non nasce, Eretica n.1-2006, pag. 50-56, e in G. La Grassa Nodi critici sulla teoria marxiana e marxista, Indipendenza n.19-20, 2006, pagg.32-35. [14] Cfr. Federico Dinucci, Marx prima di Marx, CRT 1998. [15] Cio appunto il passaggio dal modo di produzione capitalistico al modo di produzione comunista. Riprendo questa espressione da Costanzo Preve, che lha usata in vari luoghi. [16] Lenin ne aveva intuito lesistenza. Egli capisce che la classe operaia lasciata a se stessa non va verso la rivoluzione, e per questo teorizza la necessit del partito. Ma non sa rinunciare allidea delle masse che prendono il potere e lo gestiscono. La contraddizione evidente, e verr brutalmente risolta dalle dure repliche della storia.

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[17] il che non vuol dire, si badi bene, che non ci debbano essere militanti. [18] Vi sono due eccezioni: il 68 e il terrorismo di sinistra post-sessantottesco. Se uno storico indaga questi due fenomeni, arriva a incontrare in un modo o nellaltro il comunismo eretico. Ma nel caso del 68 mi sembra si possa affermare che i risultati storici effettivi di quel movimento sono quelli legati alle termatiche radicali di modernizzazione dei costumi piuttosto che quelli legati alle tematiche comuniste in senso proprio. Quindi, anche in questo caso, il comunismo eretico appare storicamente poco rilevante. Nel caso del terrorismo, non questo il luogo per discutere quanto il comunismo eretico del Novecento sia coinvolto in esso. In ogni caso, trattandosi di un fenomeno che giudico del tutto negativo, la mia conclusione non cambia: il comunismo eretico del Novecento o non ha avuto nessuna rilevanza storica, o lha avuta solo negativa. [19] M.Badiale-M.Bontempelli La sinistra rivelata, Massari 2007.

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