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La tortura in et contemporanea: metodo di interrogatorio o strumento di potere?

Caterina Mazza

Limmagine dellagente speciale statunitense di stanza nella prigione di Abu Ghraib, Sabrina Harman, con il volto sorridente, lo sguardo fisso nel teleobbiettivo, il pollice alzato in segno di approvazione e in una posa trionfante che sovrasta il corpo torturato di un detenuto iracheno documenta la brutalit dimostrata dal contingente americano nellambito della cosiddetta global war on terrorism. La fotografia descritta, nonch le altre simili rappresentazioni,(1) oltre ad aver scosso lopinione pubblica mondiale, hanno sollevato diversi quesiti relativi alluso della tortura e in particolare alle ragioni per cui anche militari appartenenti a un paese democratico ricorrono a tal genere di violenza estrema. Linteresse per la tematica sostenuto anche dalla consapevolezza che la tortura, nonostante la pressoch unanime condanna internazionale, sia oggi una realt molto diffusa. Secondo il Rapporto Annuale 2009 redatto da Amnesty International infatti nel corso del 2008 hanno avuto luogo atti crudeli equiparabili a tortura in 80 paesi e il 79% delle violenze e maltrattamenti registrati sono stati inflitti in stati appartenenti al G20.(2) Tali evidenze spingono a indagare e riflettere sulle motivazioni alla base del continuo utilizzo della tortura; sulle condizioni politiche, militari e sociali che ne permetto il ricorso; sulle ragioni che sostengono anche paesi retti da un regime democratico a impiegare metodi coercitivi e violenti e sulle conseguenze socio-politiche delluso della pratica. Per affrontare compiutamente i diversi aspetti che compongono la complessit della questione risulta importante individuarne le caratteristiche intrinseche, nonch le implicazioni umane. Risulta decisivo tentare di comprendere i reali obiettivi di chi si avvale di tale brutalit e riconoscere le dinamiche individuali e relazionali che consentono linflizione di pene severe. Al fine di inquadrare la problematica senza incorrere in eccessive generalizzazioni occorre considerare il contesto storico-politico di riferimento. Non bisogna difatti dimenticare che la tortura ha accompagnato per secoli la storia delluomo. Essa stata per utilizzata e concepita in modi diversi e impiegata per finalit differenti a seconda dellepoca. Dallantichit fino alla fine dellAncien rgime per esempio la pratica violenta era ammessa in ambito giudiziario in quanto strumento funzionale al raggiungimento di un duplice obiettivo: avvalorare le testimonianze e fornire prove durante i processi (tortura come strumento di prova), sanzionare legalmente un reo (tortura come sanzione legale).(3) In particolare nellAtene del VI secolo a. C., e poi nel diritto romano del II secolo a. C., il problema delle evidenze processuali era intrinsecamente legato alla questione della demarcazione e distinzione sociale tra i cittadini liberi e i non-cittadini, gli schiavi, i popoli barbari, i nemici. In tale prospettiva la tortura si rivelava utile per erigere profonde barriere sociali, per separare i meritevoli di diritti dagli indegni, per far emergere lambiguit dello status proprio degli schiavi marchiandone il corpo.(4) Gli schiavi, gli stranieri erano infatti gli unici a essere sottoposti a sofferenze estreme, a essere soggetti a pene severe nel corso degli accertamenti processuali delle prove e nei tentativi di avvalorare le testimonianze rese. Con linstaurarsi del diritto imperiale e il radicamento della dottrina del tradimento (I II secolo d. C.) e la conseguente emersione della rilevanza della gravit del reato commesso la funzione sociale della tortura come spartiacque tra i privilegi degli uomini liberi e lassenza di diritti dei servi ha progressivamente perso di importanza. In luogo delle appartenenze sociali, il tipo e il livello di seriet del reato diventano gli elementi decisivi per determinare la necessit della tortura. Questa ultima, nel caso di crimini particolarmente gravi come laesae maiestatis (ingiuria allautorit imperiale, regicidio, parricidio, ) o perduellio (diserzione, resa di territori romani o aiuto al nemico, ribellione o incitamento ad opporsi al potere di Roma,), era considerata uno strumento legittimo a cui ricorrere

indipendentemente dallo status sociale del singolo imputato al fine di accertarne la colpevolezza e dar luogo a una adeguata punizione. Non bisogna dimenticare che quando si parla di tortura relativa allet antica si fa sempre riferimento a brutalit fisiche, alluso di tecniche coercitive che operano sul corpo come per esempio lutilizzo della ruota, di ferri roventi, di acqua bollente, di fruste o bastoni.(5) Aspetti particolarmente cruenti e brutali hanno caratterizzato anche la tortura giudiziaria propria dellEuropa dellepoca medievale e poi dellAncien rgime. Nel diritto canonico romano sviluppatosi in Italia nel XIII secolo e poi diffusosi in tutto il continente europeo, infatti, la pratica conservava la duplice funzione di strumento punitivo e di mezzo per estorcere confessione e avvalorare le prove processuali. Il IV Concilio Laterano del 1215, pur abolendo le antiche dure prove accusatorie come le ordalie, i duelli giudiziari e i giudizi di Dio, ha riaffermato la centralit del ruolo della confessione nel sistema giuridico. Nonostante lintenzione originaria del Concilio di diminuire larbitrariet dei processi, la funzione essenziale dellammissione di responsabilit di un crimine come elemento determinante per consentire ai giudici di condannare limputato rendeva inevitabile il ricorso alla tortura. Questa ultima, elemento chiave nei processi dellInquisizione (Roma e Spagna) al fine di punire e colpire gli eretici, stata ufficialmente dichiarata strumento ordinario del diritto canonico da Papa Innocenzo IV nel 1252 nel decreto Ad extirpanda.(6) Nella maggior parte dei paesi europei la quaestio reggeva il sistema giudiziario. La confessione, ottenuta anche attraverso le sofferenze corporali, aveva valore penale. Essa, infatti, poteva essere considerata spontanea, indipendentemente dal fatto che fosse volontaria o imposta con la violenza, se ripetuta di fronte ai giudici. Secondo tale logica, la quaestio non era una pratica barbara e sregolata, ma uno strumento procedurale ben definito, calcolato, codificato e controllato da norme scrupolose. Precisione procedurale che tuttavia non attenuava la crudelt e atrocit degli interrogatori giudiziari. La ragione di tale sistema di accertamento della verit pu essere compresa, non alla luce della formula contemporanea per cui si innocenti fino a prova contraria, ma in relazione al principio di graduazione continua secondo cui a un certo livello di dimostrazione penale corrisponde un certo grado di colpa. La semplice supposizione di colpevolezza rappresentava infatti una parziale responsabilit di un delitto e, quindi, legittimava il ricorso a pratiche coercitive prima ancora del verdetto finale amalgamando ad un tempo atto istruttorio e punizione. A denunciare la gravit e lassoluta inumanit della tortura, contribuendo alla sua progressiva abolizione sono stati i pensatori illuministi come Cesare Beccaria, Pietro Verri, Voltaire, Montesquieu.(7) Beccaria in particolare ha sottolineato e argomentato con efficacia riguardo alla totale disumanit e inutilit della pratica violenta. Questa ultima non produce verit, non rischiara i fatti e non individua le responsabilit. Essa serve solo a testare la solidit fisica del sospetto, ad assolvere i robusti scellerati e condannare i deboli innocenti. [Serve solo a confondere e] far sparire le minime differenze degli oggetti per cui si distingue talora il vero dal falso.(8) Per garantire giustizia, come sostenuto dal pensiero illuministico, i giudici dovrebbero accertare i fatti in modo trasparente, pubblico e responsabile senza usare strumenti violenti e coercitivi, senza eccedere nellesercizio del proprio potere. Una societ pu essere preservata dai crimini solo se le leggi sono eque, chiare e conosciute da tutti, solo se vi proporzione, stabilita da norme riconosciute, tra delitto e castigo, solo se vi certezza della pena e solo se il fine acclarato e condiviso delle pene non di affliggere e infierire sul reo, ma impedire che egli commetta ulteriori reati e dissuadere gli altri cittadini dal delinquere. Tale riflessione filosofico-politica ha favorito il diffondersi e il radicarsi dellidea che i castighi violenti non fanno altro che riprodurre lefferatezza dei crimini e avviare una spirale di incontrollabili vendette e ha contribuito notevolmente al progressivo addolcimento delle pene e allabolizione della tortura. Non bisogna, per, dimenticare che a livello pratico i cambiamenti sostanziali relativi al modo di punire e al graduale abbandono di procedimenti coercitivi sono legati alla riforma del sistema penale promossa e sostenuta dai magistrati e dai giuristi, pi che dai pubblicisti.(9) Nella seconda met del XVIII secolo infatti emerge la necessit di punire con umanit e misura, piuttosto che continuare a consumare la vendetta del sovrano, imporre dominio e potere e far sfogare la rabbia del popolo eccitato dalla violenza del supplizio. Labbandono della tortura, come supplizio di verit e di castigo, e

laddolcimento delle pene erano legati allesigenza e al desiderio di regolamentare gli effetti del potere, di arginare larbitrariet e gli eccessi di chi detiene lautorit di far punire. Labolizione della tortura deve essere inscritta nella prospettiva di tale riforma basata sulla libera valutazione giuridica delle evidenze. Tale abrogazione, avvenuta nella maggior parte degli stati europei nella seconda met del XVIII secolo, tuttavia non ha comportato la sua totale ed effettiva eliminazione. Nel corso del Novecento la tortura difatti diventata un mezzo, utilizzato principalmente dai regimi autoritari, per reprimere il dissenso politico, per colpire tutti gli oppositori delllite dominante e del modello ideologico proposto. Tale impiego diventato la caratteristica intrinseca del modo di operare di diversi stati autoritari, come lIran (prima per mano della SAVAK, la polizia segreta del governo di Muhammad Reza Shah e, poi, a opera dei sostenitori dellayatollah Khomeini), lIraq, la Siria, la Turchia, la Grecia dei Colonnelli, il Portogallo di Salazar, solo per citarne alcuni. La tortura , inoltre, diventata un fenomeno di massa(10) nelle diverse dittature latino-americane instauratesi negli anni Settanta del secolo scorso. Si pensi, per esempio, alla dolorosa vicenda dei desaparecidos argentini, o al tragico destino dei resistenti cileni, o boliviani, uruguayani, paraguayani, brasiliani. Tale fenomeno, purtroppo, ancora oggi diffuso in diversi regimi autocratici, come molti paesi africani. Bisogna sottolineare che il ricorso alla pratica violenta e a diversi metodi coercitivi e repressivi non sono, tuttavia, appannaggio esclusivo di dittature e totalitarismi. Alcuni governi democratici infatti, in particolari circostanze storicopolitiche, si sono serviti della tortura come strumento per colpire i nemici. Si ricordino per esempio i casi della Francia ai tempi della guerra in Algeria (1954-62) e dellInghilterra durante la campagna anti-terroristica nei confronti dellIRA (inizio degli anni Settanta del Novecento).(11) Questo ultimo caso in particolare, con le cosiddette cinque tecniche di interrogatorio(12) usate nei confronti dei prigionieri irlandesi, ha messo in evidenza che nellet contemporanea la tortura, oltre a essere una pratica ancora tragicamente diffusa, diventata uno strumento di potere altamente sofisticato e professionalizzato.

Significato e obiettivi della tortura in et contemporanea Analisi di studiosi appartenenti a discipline diverse hanno fatto emergere che il modo e le ragioni dellutilizzo della tortura, nel corso dei secoli XX e inizio XXI , si sono modificati progressivamente tanto da trasformare la pratica stessa in una vera e propria strategia di violenza la cui essenza lumiliazione e degradazione della vittima.(13) Il principale obiettivo di tale brutalit, come confermato da diverse testimonianze di ex-torturatori e da alcuni manuali di formazione per le forze speciali,(14) risulta essere la destrutturazione della personalit dellindividuo torturato attraverso la distruzione dei suoi punti di riferimento culturali.(15) Si pensi per esempio alle violenze di tipo coercitivo consistenti nel costringere la vittima a violare tab sociali, a commettere atti contrari alle proprie idee e alla propria cultura o a compiere azioni umilianti in cambio della vita di un compagno di lotta, di un amico, di un parente o della propria.(16) In tal modo il torturato viene continuamente posto di fronte a se stesso, alle proprie paure e incertezze, ai propri valori. La vittima, oltre a subire sofferenze fisiche, viene continuamente sfidata a livello psicologico, viene posta di fronte a dilemmi insolvibili, viene costretta a entrare in conflitto con se stessa. La tortura quindi non una semplice inflizione di brutalit, ma una strategia per bloccare la capacit di pensiero e piegare la volont individuale. La pratica una forma di violenza molto particolare perch implica una relazione personale e diretta tra vittima e carnefice, implica la costruzione di un rapporto di comunicazione e contatto tra i soggetti coinvolti. Un torturatore, per raggiungere il proprio obiettivo cerca di conoscere lindividuo che intende colpire, cerca di scoprire le sue debolezze, le sue paure e fobie. Non a caso in diversi manuali per torturatori vengono fornite le istruzioni necessarie al fine di indurre una regressione psicologica basata sulla perdita di autonomia e di capacit di resistenza della vittima e vengono offerte le indicazioni per individuare le caratteristiche personali

e i bisogni emotivi dellindividuo preso in custodia.(17) La comprensione del carattere e della struttura personale del perseguitato, infatti, permette di scegliere il tipo e lintensit di tortura pi adeguati, di cogliere e strumentalizzare i punti deboli dellindividuo che si intende colpire. Il torturatore instaura una relazione personale con la vittima per poterne usare lemotivit e cos colpire nellintimo, nel profondo. Lintimit ricercata e istituita dal carnefice per solo apparente e rappresenta un divario incolmabile tra i due soggetti direttamente coinvolti nellesperienza di tortura.(18) La vittima difatti bloccata dal dolore fisico, privata della possibilit e capacit di riflettere liberamente, in balia del proprio aguzzino e soggetta al suo volere. La vittima, non avendo alcun controllo sul proprio destino e non sapendo se la delazione sia la via per porre fine alle proprie sofferenze, rimane intrappolata in un eterno presente costituito da incertezza, instabilit e imprevedibilit. Il torturatore al contrario non prova alcun dolore, padrone della situazione. Tale relazione viene abilmente instaurata dal persecutore per potersi impossessare della vittima, per poter disporre del corpo e della mente del torturato e cos attualizzare il proprio desiderio di dominio. Umiliare e degradare il soggetto, costringerlo materialmente in luogo chiuso, privarlo della libert e dei bisogni minimi, obbligarlo a prendere decisioni impossibili e forzarlo a vivere una realt priva di senso sono gli elementi fondamentali della tortura in quanto permettono, uniti alla coercizione fisica, di suscitare la sensazione di impotenza e vulnerabilit nel torturato. Alcune tecniche, come la sovra-stimolazione sensoriale o la deprivazione del sonno e del cibo o la costrizione ad assumere per lungo tempo posizioni stressanti e dolorose, sono infatti finalizzate a indebolire il prigioniero, a renderlo vulnerabile sia fisicamente che intellettualmente, a renderlo malleabile e privo di volont e di capacit di resistenza. Ogni gesto e ogni parola del carnefice sono infatti funzionali a reprimere materialmente e mentalmente il prigioniero, ad annullarne il mondo e il significato come singolo. Tale obiettivo viene raggiunto anche coinvolgendo attivamente la vittima ai propri abusi, facendo in modo che essa si percepisca come causa del proprio dolore e della propria ansia e, quindi, si senta in colpa verso se stessa e verso il proprio corpo come se si fosse autotradita.(19) Obbligare un individuo a scegliere tra alternative illogiche e tra opzioni egualmente dolorose, come decidere il tipo di violenza fisica a cui venire sottoposto, suscita in lui un senso di ripugnanza verso se stesso. In tal modo il perseguitato non prova solo sofferenza, ma viene degradato a mero oggetto, vene trasformato in un essere privo di senso completamente dominato dal persecutore la cui immagine viene interiorizzata trasfigurandosi nellunico nuovo punto di riferimento. Il dolore diventa cos lelemento distintivo dellesistenza della vittima imprimendosi nella psiche e rimando attivo anche dopo molti anni dalle sofferenze subite. Il rapporto tra persecutore e vittima appena descritto fa emergere che una delle caratteristiche fondamentali della tortura la netta contrapposizione tra due mondi distinti, separati e antitetici, lopposizione tra chi sta in alto e ha il pieno controllo della situazione e chi sta in basso ed privo di ogni libert, tra quelli puliti, il cui riso mostra che sono vivi e che in ogni azione quotidiana hanno il potere di dare e di togliere, e quelli sporchi, che puzzano e strisciano gemendo. I primi rappresentano il trionfo, i secondi labisso.(20) Tale divisione riflette lordine binario che guida la percezione della realt dei soggetti coinvolti nellesperienza di tortura secondo la logica di pensiero per cui non esistono sfumature ma solo il buono e il cattivo, il pulito e lo sporco. Tale contrapposizione viene oggettivizzata, resa concreta, quasi tangibile dalla fisicit stessa dei soggetti coinvolti. La vittima con il proprio corpo martoriato difatti rende visibile anche a chi estraneo a tale esperienza il dolore subito e continuamente attivo. Il corpo del carnefice invece rappresenta il potere e lassenza di dolore, simboleggia lesistenza e la presenta del mondo di questi. In tale prospettiva, come hanno sostenuto molti studiosi che si sono occupati della tematica, la tortura qualcosa di pi di una tecnica di interrogatorio, un modo di esercitare potere. Lo stesso costringerli a parlare riguarda il potere [di chi tortura], pi che la raccolta di informazioni specifiche.(21) Linterrogatorio, la serie continua di domande, la confessione, pur essendo elementi essenziali della tortura, in realt non costituiscono, come generalmente si pensa, la ragione per cui si ricorre alla tecnica violenta e il motivo per cui si utilizza la pratica coercitiva. Lidea che porta ad associare tortura e confessione infatti un costrutto, una finzione politica atta a giustificare le violenze inflitte, una messinscena che nasce dal

tono e dallo stile dellinterrogatorio [stesso] pi che dal suo contenuto,(22) che cio nasce dal fatto che le domande vengono poste come se motivassero la coercizione. Non si intende negare che latto verbale (linterrogatorio), insieme allatto fisico (linflizione di pene e sofferenze), non sia una componente strutturale della tortura, ma si cerca di far emergere che la confessione in se stessa, indipendentemente del suo contenuto, a costituire lingranaggio decisivo che consente al carnefice di realizzare il proprio desiderio di dominio, di far trionfare il proprio mondo. Non sono dunque le informazioni, ma il fatto stesso che la vittima parli, confessi, ceda alle pressioni, e quindi tradisca se stessa, il proprio io, le proprie credenze, il proprio universo, a rappresentare il valore e il ruolo dellinterrogatorio sotto tortura. Domanda e risposta pertanto non sono n casuali, n svincolate luna dallaltra, ma hanno di per se stesse ruoli e funzioni specifiche. La prima, proprio perch interpretata e presentata come il motivo per cui si tortura, serve a de-responsabilizzare il persecutore e ad attribuire importanza e bont alle sue azioni. La seconda proprio perch intesa e percepita come auto-tradimento del perseguitato, utile per compiere uno spostamento, uno slittamento di responsabilit.(23) Un tipo di violenza cos particolare sostenuta da dinamiche specifiche, studiate appositamente e strutturate in modo che siano funzionali ad acuire e prolungare le sofferenze e a lasciare un segno indelebile nella mente e sul corpo della vittima non pu essere n casuale n improvvisata, ma richiede personale altamente preparato e formato. Le ragioni per cui si addestrano individui incaricati di infliggere materialmente brutalit estreme possono essere comprese se la tortura viene pensata come parte di una realt pi ampia e composita, come un veicolo per attualizzare unintenzione pi complessa e articolata. In tale prospettiva il torturatore pu essere considerato il rappresentante del volere del regime politico a cui appartiene. Di conseguenza le azioni e le parole del carnefice, limposizione della volont e del potere del persecutore sulla vittima rappresentano le intenzioni e gli obiettivi propri del sistema gerarchico situato a monte di ogni singolo evento di tortura. Questa ultima quindi il tramite per imporre potere e controllo sia a livello individuale nella relazione tra persecutore e perseguitato, sia a livello sistemico tra regime politico e/o gruppo litario e gruppo dappartenenza della vittima. Per cogliere appieno tali rapporti di potere si rivela fondamentale considerare e analizzare i diversi presupposti che rendono la tortura una realt concreta: formazione del personale, strutture in cui infliggere le violenze, strumenti di tortura che vengono prodotti e commerciati, istituzioni compiacenti che permettano ai differenti soggetti coinvolti di operare senza eccessivi ostacoli.

Come si diventa carnefici: formazione e addestramento Torturare un compito che richiede una grande forza di carattere e convinzione della positivit del proprio agire, richiede un forte auto-controllo e disciplina, richiede una serie di caratteristiche che vengono acquisite attraverso un peculiare percorso formativo e processo di trasformazione dellindividuo. I torturatori, infatti, devono sia possedere conoscenze tecnico-pratiche che essere in grado di gestire lo stress psicologico legato allinflizione di pene e sofferenze severe. Atti di violenza vengono quindi attuati in modo preciso, efficace, metodico da unit speciali debitamente addestrate i cui membri condividono ed esaltano fino al parossismo valori come il coraggio, la forza, la resistenza, la lealt, lobbedienza, lonore, leccellenza. La maggior parte dei torturatori appartiene alle forze speciali dellesercito soggette a un vero e proprio processo di socializzazione alla violenza(24) che si sviluppa in due momenti distinti: il corso di basic training e la fase di specializzazione, di professionalizzazione della tortura. Durante la prima fase delladdestramento di basic training, i cadetti acquisiscono sia competenze pratiche per svolgere operazioni di contro-terrorismo e contro-insorgenza, di salvataggio, di sopravvivenza e di resistenza a eventuali interrogatori, sia particolari caratteristiche individuali. I cadetti, oltre ad apprendere tecniche di sorveglianza, di spionaggio,

di infiltrazione, di reclutamento di spie e di interrogatorio, devono imparare a resistere essi stessi se catturati ed eventualmente torturati.(25) A tal fine i novizi seguano lezioni teoriche sulle diverse tecniche di interrogatorio, tenute da ex-militari o da ex-prigionieri di guerra e da persone che hanno subito tortura o altri maltrattamenti, e vengano sottoposti a diverse prove pratiche. Queste ultime sono generalmente molto dure e stressanti e sono costituite, non esclusivamente da semplici esercitazioni militari, ma da veri e propri atti umilianti e brutali. Si pensi che i cadetti sono essi stessi soggetti a tortura, vengono forzati ad assumere posizioni costrittive, vengono bendati e sottoposti a sovrastimolazioni sensoriali e vengono interrogati fino a 48 ore consecutive.(26) Questi esercizi sono altamente ritualizzati e sono finalizzati a lasciare un segno nel profondo del soggetto, a trasformare lidentit stessa del cadetto generando in lui sofferenza fisica e profonda ansia. Tale esperienza dolorosa serve a far diventare i novizi soggetti progressivamente insensibili alla sofferenza stessa sia inflitta che subita. La violenza diventa a poco a poco parte della realt quotidiana, componente quasi naturale della vita. La trasformazione degli uomini in soggetti docili, obbedienti e affidabili si completa, diventando definitiva, durante il secondo momento formativo: la fase di special training. Questa parte conclusiva delladdestramento coincide con il processo di professionalizzazione della tortura. Al fine di rimuovere definitivamente la sensazione di responsabilit personale per le azioni commesse e al fine di consentire agli stessi esecutori materiali di svolgere la propria missione senza alcun ostacolo, risulta importante trasformare la pratica violenta in un lavoro legittimo, normale, quasi necessario. Convincere i soldati di essere i membri scelti di un corpo elitario separato dalle altre unit dellesercito, governato da regole particolari ma inserito nella struttura gerarchica militare, e di appartenere a un gruppo speciale che ha come compito fondamentale quello di garantire la sicurezza nazionale, consente di giustificare e autorizzare atti crudeli e violenti come la tortura. Questa ultima viene progressivamente percepita, dagli stessi carnefici, come un semplice incarico professionale soggetto a standard e regole specifiche riconosciute come legittime e come un normale lavoro di routine per cui sono necessarie conoscenze e competenze particolari. Tutto questo aiuta i torturatori ad assumere il distacco professionale necessario a rimuovere il fatto di infliggere violenze estreme ad altri esseri umani e a mantenere ben salda la convinzione di agire per il bene e di essere moralmente buoni. La fase di professionalizzazione della tortura, che avviene con luso di strategie di persuasione, di convincimento, di indottrinamento e di esaltazione di determinati valori e ideali, completa il percorso di cambiamento essenziale dei cadetti in veri professionisti della violenza, in persone nuove. Occorre ricordare che non tutti i torturatori appartengono alle forze speciali dellesercito e non tutti hanno subito un organizzato processo di modica iniziale dellidentit individuale. Tutti i carnefici, per, condividono simili esperienze traumatiche di deculturazione e di violenza estrema o sistematica che li ha trasformati nel profondo inducendoli a uscire dal mondo comune e del quotidiano per diventare parte di un universo separato e superiore regolato da codici diversi rispetto a quelli che accomunano il resto della societ. Chi tortura sostenuto dalla convinzione di essere al di sopra della legge e di star compiendo il proprio dovere: combattere e distruggere il nemico.

Realt alla base di ogni atto di tortura Ogni singolo atto di tortura per essere commesso, per diventare realt necessita della presenza di personale specializzato e incaricato di infliggere materialmente pene severe nonch dellesistenza di una complessa burocrazia a cui appartengono diverse figure professionali, come medici e psicologi, avvocati, scienziati, produttori e trafficanti di strumenti di tortura. Il coinvolgimento del personale medico-sanitario in eventi di tortura ampiamente documentato e risulta essere un elemento essenziale della pratica stessa. Diversi studiosi hanno messo in evidenza che la presenza di questa categoria professionale durante linflizione di violenze estreme una costante storica.(27) Gi nel Medioevo i medici, oltre a curare i

malati, si occupavano di assistere i condannati a tortura giudiziaria per cercare di evitarne il decesso durante gli interrogatori o per acuire e prolungare le sofferenze generate dalle tecniche coercitive. Essi inoltre con la propria autorit fornivano unaura di legittimit alle stesse esecuzioni. La partecipazione dei medici durante atti di tortura, pur rimanendo una caratteristica durevole e costante nel tempo, si modificata nelle modalit e tipologie a seconda dellepoca storica. Occorre precisare che dopo lesperienza nazista, durante la quale il ricorso alla tortura e a esperimenti pseudo-scientifici era diventato particolarmente frequente e funzionale a migliorare le tecniche coercitive usate, lintervento e la complicit dei medici si incrementata notevolmente. Tale fenomeno stato confermato da molte testimonianze di persone vittime di abusi e torture ed stato comprovato da diversi documenti ufficiali, alcuni dei quali redatti dal Comitato di Croce Rossa Internazionale come il recente report incentrato sulla funzione svolta dal personale medico durante gli interrogatori effettuati della CIA nella base navale di Guantnamo Bay (Cuba).(28) Il materiale documentario attesta il fatto che nel corso del Novecento fino ai giorni nostri le competenze dei medici e psicologi coinvolti sono utili per assolvere funzioni diverse: fornire informazioni sulla condizione fisica e il profilo psicologico del soggetto che si intende colpire al fine di individuare il tipo di tortura pi adeguata; somministrare farmaci psicotropi o droghe non terapeutiche; fornire certificati falsi o effettuare report autoptici; monitorare la salute della vittima per evitarne il decesso e partecipare, insieme ai militari, alla formazione dei torturatori. Allinterno del sistema di cui si sta parlando svolgono un ruolo importante anche gli avvocati e i giuristi. Questi professionisti forniscono consulenze a persone o istituzioni coinvolte in atti di tortura per permettere loro di eludere le restrizioni legali ed evitare sanzioni e condanne penali.(29) Occorre precisare che gli esperti di diritto che offrono il proprio sapere professionale a chi ha commesso crimini efferati si dividono in due diverse categorie. Da una parte vi sono gli avvocati privati che difendono individui che appartengono al mondo del crimine organizzato o dispensano loro consigli su come eludere la legge. Cos facendo i giuristi spesso violano essi stessi il codice deontologico che dovrebbe guidarli nellesercizio della professione. Dallaltra parte vi sono i giuristi di governo che forniscono il quadro legale in cui si inscrivono le scelte politiche di uno stato e che, in relazione alla tortura, elaborano argomentazioni atte a legittimare o giustificare la pratica. In questo secondo caso il coinvolgimento dei legali maggiormente significativo in quanto investe gli interessi della collettivit e ha conseguenze che si riversano sulla societ tutta. Unaltra categoria professionale che appartiene al mondo della tortura costituita da ricercatori e scienziati. Lindividuazione di nuove e sofisticate tecniche coercitive che consentono di controllare la mente o le reazioni psico-fisiche dei prigionieri o che non lascino segni eccessivamente visibili sul corpo per evitare condanne penali future si rivela di fondamentale importanza. A tal fine vengono pianificati veri e propri programmi di ricerca scientifica che investono settori e discipline differenti, come la psicologia per lo studio delle dinamiche mentali e comportamentali dei singoli o la farmacologia e la chimica per la sperimentazione di nuove sostanze con effetti neuro-fisiologici atti a indebolire o confondere la vittima.(30) Occorre ricordare che le innovazioni tecnologiche e scientifiche vengono poi diffuse. Attraverso una rete relazionale informale si creano i canali per lo scambio di informazioni tra esperti di settori diversi e per la formazione di personale abilitato a usare le nuove tecniche. Tale rete relazionale non si limita allo scambio del sapere intellettuale, ma si amplia e sviluppa anche per la produzione e commercializzazione di strumenti di tortura. La fabbricazione e il commercio di equipaggiamenti atti a infliggere sofferenze o a costringere altre persone ad assumere un dato comportamento e posizioni stressanti costituiscono un business di dimensioni globali.(31) Tali strumenti possono essere di vario tipo, come vincoli meccanici (diversi modelli di manette, catene, ferri per immobilizzare le gambe, restraint chairs, hanging ropes, ), o di controllo chimico (lacrimogeni, pepper spray o pepperball) o shocking weapons (manganelli elettrici, pistole elettriche, electro-shock, stun belts, ). La principale casa produttrice degli equipaggiamenti di tipo metallico la compagnia britannica Hiatt & Co. Ltd, a cui seguono le industrie statunitensi Smith & Wesson, assorbita dalla Tompkins plc., Tryco Inc. e Sirchie Fingerprint e la spagnola Larraaga y Elorza. Le maggiori fabbriche di strumenti a controllo

chimico sono invece le case statunitensi Jaycor Tactical Systems e Jaymark Inc., oltre a diverse compagnie britanniche e francesi. Per quanto riguarda la tecnologia basata sulluso dellelettro-shock, sviluppatasi negli USA a partire dagli anni Settanta, le manifatture sono localizzate, oltre che negli Stati Uniti, anche in Cina, Taiwan, Corea del Sud, Sud Africa, Russia, Israele, Francia e Germania. Molte di queste industrie, la cui rete commerciale si estende su scala mondiale, non si occupano solo della produzione del materiale, ma organizzano anche corsi di formazione per fornire competenze adeguate riguardo al funzionamento dellequipaggiamento. Tali incontri si svolgono in modo occulto e non sono disponibili per tutti i potenziali clienti. Le informazioni riguardo alla produzione e al traffico di strumenti di tortura, nonch al coinvolgimento in tale realt di differenti settori professionali, non possono essere complete ed esaustive a causa di problemi legati allaccessibilit e fruibilit delle fonti. tuttavia possibile cogliere la dimensione del fenomeno e della rete relazionale che sostiene ogni singolo atto di tortura. Il sistema complesso descritto, costituito da una informale e occulta struttura di potere, pu esistere e funzionare grazie alla presenza si istituzioni compiacenti.

Responsabilit politiche Lanalisi delle caratteristiche strutturali della tortura mette in evidenza che la pratica violenta non una semplice inflizione di brutalit, non una realt limitata nella relazione tra vittima e carnefice e non dipende dalla sola volont nel singolo interrogante, ma un vero e proprio fenomeno sociale. Il ricorso a tale pratica dipende nella quasi totalit dei casi dalla volont della leadership delle forze armate che determina le procedure operative del personale militare e dalle intenzioni e obiettivi propri delllite politica al potere. Questo solleva la questione delle responsabilit per le modalit di svolgimento delle missioni militari, in particolare allinterno della struttura gerarchica dellesercito in cui i vertici militari stabiliscono le regole dingaggio in conformit con le scelte governative e i soldati subordinati tendenzialmente negano ogni onere decisionale per il proprio agire in quanto frutto di ordini impartiti. Di conseguenza le responsabilit effettive per le azioni, per i singoli atti violenti come eventi di tortura, commessi nel corso delle missioni militari risiedono principalmente nei vertici dellestablishment politico e delle forze armate. Luso della tortura sembra quindi essere assai raramente il prodotto dellarbitrariet dei singoli militari o il risultato di negligenza e inoperosit. Molti analisti, in particolare psicologi sociali tra i quali Philip Zimbardo e Mika Haritos-Fatouros, hanno affermato inoltre che la tortura, quando non determinata da un comando diretto e da un ordine dato esplicitamente, pu dipendere dalla situazione e dalle caratteristiche proprie dellambiente in cui i soldati si trovano a operare. La creazione di particolari condizioni (luogo costrittivo come centri di detenzione e carceri , realt coercitiva, violenta e separata dal resto della societ e dalla normalit quotidiana, presupposti e vincoli di lavoro insostenibili ed esasperati) induce i singoli ad abusare del proprio potere e ad assumere un comportamento aggressivo e brutale. Contesti particolarmente stressanti, violenti e in cui aleggia una forte sensazione di impunit quindi condizionano lagire degli individui in senso aggressivo. Anche in tal caso lonere della gravit per gli atti violenti poggia sui vertici delle forze armate che, anche quando non direttamente coinvolti nelle specifiche operazioni, sono coloro che di fatto creano latmosfera, che stabiliscono la struttura in cui i loro subordinati devono lavorare e che prendono le decisioni insieme ai detentori del potere politico. Con questo non si intende tuttavia deresponsabilizzare i singoli per le proprie azioni: la consapevolezza della responsabilit del proprio comportamento dovrebbe rimanere sempre viva e presente in modo da costituire un monito e spingere i singoli ad agire rispettando le norme giuridiche e la dignit umana.

Conclusioni

Lo studio delle dinamiche, della logica e delle peculiarit proprie della tortura nellet contemporanea ha messo in luce che il ricorso alla pratica violenta difficilmente occasionale. Essa al contrario uno strumento particolare che si inserisce in una realt complessa e poggia su unarticolata struttura composta da relazioni umane ed economiche e rapporti di potere. Nel corso del Novecento fino ai giorni nostri, la tortura diventata sempre pi sofisticata e professionalizzata trasformandosi da semplice tecnica in vera e propria strategia di violenza, in strumento di potere. La tortura inizia a essere considerata come uno strumento efficace nel momento in cui le autorit valutano che la presenza di una grave minaccia per la stabilit interna e per la legittimit del proprio potere pu essere affrontata efficacemente solo con mezzi inconsueti e straordinari. Questo avviene, nella maggior parte dei casi, nelle societ chiuse, in regimi autocratici dove vi una sola classe politica dominante retta da ununica ideologia e intollerante di ogni opposizione. Come si affermato, tuttavia, i soggetti che si avvalgono della pratica violenta in qualit di mezzo politico e di potere non sono esclusivamente stati sovrani, ma possono anche essere attori privati come gruppi di guerriglia e movimenti di liberazione. Occorre sottolineare che anche paesi democratici pluralisti hanno fatto e purtroppo fanno ancora ricorso alla tortura come strumento per colpire i nemici. La scelta di usare unarmacos violenta generalmente dipende dalla concezione che si ha del nemico. Tornando al caso statunitense richiamato in apertura del presente scritto si pu affermare che gli eventi di tortura e atti coercitivi sono riconducibili alle scelte governative e al prevalere allinterno dellamministrazione Bush di politici convinti che per affrontare e sconfiggere un nemico sia necessario terrorizzare, impaurire e mostrarsi forti e impavidi.(32) Una politica basata sulla paura, sulle preoccupazioni per la sicurezza nazionale e sulla necessit di agire con urgenza e fermezza anche utilizzando metodi coercitivi come la tortura e derogando ai diritti e libert dellindividuo tuttavia non pu che rivelarsi fallimentare. In particolare in relazione al caso statunitense, la decisione di utilizzare la guerra come mezzo per contrastare il fenomeno terroristico si rivelata non solo improduttiva, ma anche dannosa. Bisogna ancora sottolineare che la scelta di avvalersi della pratica violenta ha implicazioni che si ripercuotono su tutti i settori della societ. Gli atti di tortura per quando tenuti nascosti e avvolti da segreto non avvengono mai nel vuoto. In particolare in regimi democratici la politica della tortura per essere utilizzata deve essere accompagnata da alcuni processi sociali che ne facilitano il ricorso e laccettazione collettiva comportando il rischio di abituare la popolazione e il personale di polizia a comportamenti aggressivi e di causare un aumento dilagante di azioni ed episodi brutali. La creazione di unit speciali dellesercito capaci di infliggere sofferenze estreme e di effettuare interrogatori brutali, e la formazione di gruppi separati, rispettati ma anche molto temuti dagli altri reparti delle forze armate, pu inoltre minare la stabilit organizzativa dello stesso establishment militare. Tutto questo solleva anche il grave problema del reinserimento sociale di persone formate e abituate a lavorare al di fuori dalla legge, o meglio che si percepiscono come unlite legittimata ad agire e vivere al di sopra della legge, e che quindi non riescono pi a rispettare la catena di comando militare o a conformarsi alle regole comportamentali comuni al resto della societ. La consapevolezza di ci che la tortura significa e implica dovrebbe spingere a negare lutilit della pratica e affrontare le questioni di politica estera sulla base di unapprofondita analisi delle loro specificit e caratteristiche riaffermando il principio della dignit umana.

NOTE
1) Le fotografie sono state diffuse per la prima volta dalla CBS durante il programma televisivo 60 Minutes 2 del 28 aprile 2004. Le immagini sono oggi visibili sul sito: http://www.rainews24.rai.it/ran24/inchieste/abughraib_foto.asp. Per unanalisi sul significato delle rappresentazioni e sulle probabili ragioni per cui tali fotografie sono state scattate si veda Philip Zimbardo, The Lucifer Effect. How Good People Turn Evil, 2007 (trad. it. P. Zimbardo, Leffetto Lucifero. Cattivi si diventa?, Milano, Raffaello Cortina Ed., 2008; pagg. 510-572). 2) Amnesty International, Rapporto Annuale 2009, http://www.amnesty.it/Rapporto-Annuale-2009.html. 3) John H. Langbein, Torture and Law of Proof: Europe and England in the Ancien Regime, Chicago, University of Chicago Press, 1977. Si veda inoltre Michel Foucault, Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, Torino, Einaudi,1975. 4) Per un approfondimento si veda Page DuBoiss, Torture and Truth, London, Routledge, 1991. 5) Ivi., pagg. 35-36; William F. Schulz, The Phenomenon of Torture, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 2007; pagg. 16-18. 6) Si veda Edward Peters, Torture, Philadelphia, University of Pennsylvania Press, 1999; pag. 42 e ss. 7) Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764. Si veda inoltre Pietro Verri, Osservazioni sulla tortura, 1777; Voltaire, Dizionario filosofico, 1764; Montesquieu, LEsprit des lois, 1748. 8) Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene,, Torino, Einaudi, 1994, pagg. 38 e 42. 9) Per un approfondimento si veda John H. Langbein, Torture and Law of Proof: Europe and England in the Ancien Regime, cit.; pag. 27 e ss. 10) Antonio Cassese, I diritti umani oggi, Roma-Bari, Laterza, 2006; pag. 175. 11) Riguardo ai diversi episodi ed esperienze richiamati, si veda Pierre Vidal-Naquet, Torture: Cancer of Democracy, France and Algeria 1954-62, New York, Penguin Books, 1963 (trad. it. Lo Stato di Tortura. La Guerra dAlgeria e la crisi della democrazia francese, Bari, Laterza, 1963); Henri Alleg, La question, Parisi, Editions de Minuit, 1958 (trad. it. La tortura, Torino, Einaudi, 1958); Edward Peters, Torture, cit. Si vedano anche Darius Rejali, Torture and Modernity: Self, Society, and State in modern Iran, Boulder, Westview Press, 1994; Alfred W. McCoy, A Question of Torture: CIA interrogation from the Cold War to the War on Terror, New York, Henry Holt and C., 2006; Jennifer K. Harbury, Truth, Torture, and the American Way. History and Consequences of US involvement in Torture, Boston, Beacon Press, 2005. 12) Si fa specifico riferimento alle seguenti tecniche: a. wall standing costringere il prigioniero a stare contro il muro con le mani giunte sul capo e in punta di piedi in modo che tutto il peso poggi sulle dita; b. hooding incappucciamento del detenuto; c. subjection to noise il prigioniero viene tenuto in una stanza in cui si odono rumori molto forti e sibili continui; d. sleep deprivation deprivazioni del sonno; e. deprivation of food and drink drastica riduzione della dieta durante la detenzione. 13) Jean M. Arrigo e Vittorio Bufacchi, Torture, Terrorism and the State: a Refutation of the Ticking-Bomb Argument, in Journal of Applied Philosophy, vol. 33 n. 3, 2006; pagg. 356-7. 14) Si veda Ronald Crelinsten, In Their Own Words, in Ronald Crelinsten e Alex P. Schmid, The Politics of Pain: Torturers and their Masters, Boulder, Weatview Press, 1995. 15) Cfr., Franoise Sironi, Bourreaux et victimes. Psychologie de la torture, Paris, ditions Odile Jacob 1999 (trad. it. Persecutori e vittime. Strategie di violenza, Milano, Feltrinelli, 2001, p. 20). 16) Ivi., pag. 29 e ss. 17) Cfr., William E. Schulz, The Phenomenon of Torture, cit.; pag. 155 e ss. in cui viene analizzato criticamente lHuman Resource Exploitation Training Manual (1983). Si veda anche il Khmer Rouge Manual, cit. in Ronald Crelinsten e Alex P. Schmid, The Politics of Pain: Torturers and their Masters, cit.; pag. 38. 18) Cfr., Elaine Scarry, The Body in Pain. The Making and Unmaking of the World, New York, Oxford University Press, 1985 (trad. it., La Sofferenza del Corpo. La distruzione e la costruzione del mondo, Il Mulino, Bologna 1990, p. 61) e Franoise Sironi, Bourreaux et victimes. Psychologie de la torture, cit.; pag. 28. 19) Si veda Jean M. Arrigo e Vittorio Bufacchi, Torture, Terrorism and the State: a Refutation of the Ticking-Bomb Argument; cit.; pag. 357, ed Elaine Scarry, The Body in Pain. The Making and Unmaking of the World, cit..; pag. 77. 20) Franoise Sironi, Bourreaux et victimes. Psychologie de la torture, cit.; pagg. 35-36. 21) Ronald Crelinsten, In Their Own Words, in Ronald Crelinsten e Alex P. Schmid, The Politics of Pain: Torturers and their Masters; pag. 37. Questa posizione viene sostenuta anche da altri autori. Si veda Edward S. Herman, The Real Terror Network, Boston, South and Press, 1982; H. Huggins, M. Haritos-Fatouros e P. Zimbardo, Violence Workers: Police Torturers and Murderers Reconstruct Brazilian Atrocities, Berkeley, University of California Press, 2002; Alfred W. McCoy, A Question of Torture: CIA interrogation from the Cold War to the War on Terror, cit.; William F. Schultz, The Phenomenon of Torture, cit.; Jean M. Arrigo, An Utilitarian Argument Against Torture Interrogation of Terrorists, in Science and Engineering Ethics, n. 10, 2004; Elaine Scarry, The Body in Pain. The Making and Unmaking of the World, cit.; Franoise Sironi, Bourreaux et victimes. Psychologie de la torture, cit.; Christopher W. Tindale, The Logic of Torture: A Critical Examination, in Social Theory and Practice, vol. 22 n. 3, 1996. 22) Elaine Scarry, The Body in Pain. The Making and Unmaking of the World, cit.; pag. 51. 23) Ivi., pp. 60-61. 24) Martha K. Huggins, Mika Haritos-Fatouros e Philip G. Zimbardo, Violence Workers: Police Torturers and Murderers Reconstruct Brazilian Atrocities, cit.; pag. 143. 25) Si veda Jessica Wolfendale, Training Torturers: A critique of the Ticking Bomb Argument, in Social Theory and Practice, vol. 32 n. 2, Apr. 2006. 26) Ivi.; pagg. 275-6. 27) Riguardo alla problematica, si veda Robert J. Lifton (e al.), Doctors and Torture, in New England J. Med., vol. 351 n. 5, 2004; Steven H. Miles, Doctors complicity with torture: It is time for sanctions, in British Med. J., n. 338, 2008; Steven H. Miles, Abu Ghraib: its legacy for military medicine, in Lancet, n. 364, 2004. 28) ICRC, ICRC Report on the Treatment of Fourteen High Value Detainees in CIA Custody, February 2007, www.nybooks.com/icrc-report.pdf. 29) Christopher Kutz, The Lawyers Know Sin: Complicity in Torture e Richard B. Bilder e Detlev F. Vagts, Speaking Law to Power: Lawyers and Torture, in Karen J. Greenberg (a cura di), The Torture Debate in America, New York, Cambridge University Press, 2006. Richard H. Weisberg, Loose Professionalism, or Why Lawyers Take the Lead on Torture, in Sanford Levinson (a cura di), Torture. A Collection, Oxford-New York, Oxford University Press, 2004. 30) Per un approfondimento si veda Jean. M. Arrigo, An Utilitarian Argument Against Torture Interrogation of Terrorists; cit.; Franoise. Sironi, Bourreaux et victimes. Psychologie de la torture, cit. 31) Si veda per esempio Amnesty International, European Union: Stopping the Trade in Tools of Torture, A. I. Index: POL 34/001/2007; Amnesty International, Controlling a Deadly Trade, 2007, http://www.amnesty.ie/anmesty/upload/immages/amnesty_ie/campaigns/controlarms/ControllingaDaeadlyTrade.pdf. 32) Si veda Benjamin R. Barber, Fears Empire. War, Terrorism and Democracy, 2003 (trad. it, B. R. Barber, Limpero della paura. Potenza e impotenza dellAmerica nel nuovo millennio, Torino, Einaudi, 2004).

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