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[LEDI\POGINECO\DISPENSE 2006-2007 PRIMA PARTE] [ottobre 2006] Bruno Celano Positivismo giuridico e neocostituzionalismo Dispense del corso di Filosofia

del diritto (a.a. 2006-2007) Prima parte

Indice Parte I Il problema: qual la natura dei fatti giuridici? 1. Il problema della definizione del concetto di diritto 2. Di che cosa parliamo, quando parliamo il linguaggio del diritto? 2.1 Due interrogativi 2.2 Alcuni termini problematici 2.3 Il vocabolario dei diritti 2.4 Diritto e magia 2.5 Unipotesi inquietante 2.6 Formulazioni alternative del problema 3. Positivismo giuridico e giusnaturalismo: caratterizzazioni preliminari 3.1 Giusnaturalismo 3.2 Positivismo giuridico Riferimenti bibliografici

Avvertenza. Le presenti dispense sono fornite gratuitamente agli studenti del corso di Filosofia del diritto. Il loro uso ai fini della preparazione all'esame non sostituisce lo studio degli altri testi adottati.

[LEDI\POGINECO Parte I (TXM)] [ottobre 2006] Bruno Celano Positivismo giuridico e neocostituzionalismo Dispense del corso di Filosofia del diritto (a.a. 2006-2007)

Parte I Il problema: qual la natura dei fatti giuridici? 1. Il problema della definizione del concetto di diritto (1) Cercheremo anzitutto di dare una collocazione, di mettere a fuoco, l'ambito tematico di questo corso, l'area nella quale si iscrivono i temi e i problemi che affronteremo in queste lezioni. Soprattutto, formuleremo alcuni interrogativi di fondo, cercando di articolarne il senso. Partiamo dal titolo di questo corso: "Positivismo giuridico e neocostituzionalismo". Qual il significato di queste due locuzioni? Come da intendere il loro accostamento? (2) Il modo migliore per rispondere a queste domande consiste nel prendere le mosse da un interrogativo di carattere generale (un interrogativo molto - forse troppo - ambizioso, roboante; ma lo porremo egualmente). Che cosa il diritto? Qual la natura del diritto? Positivismo giuridico e neocostituzionalismo sono etichette che designano due diverse risposte (o meglio, due diverse famiglie di risposte) a questo interrogativo. Due risposte diverse e, almeno sotto certi aspetti e in particolari versioni, confliggenti. (Come vedremo, se una teoria giuspositivista sia compatibile con una posizione neocostituzionalistica uno degli interrogativi ai quali metter capo la nostra indagine.) (3) Cerchiamo di chiarire ulteriormente l'interrogativo appena formulato. Si tratta, banalmente, della ricerca di una definizione del (concetto di) diritto. Che cosa una definizione? La teoria della definizione (l'indagine, cio, sulla natura, i compiti, i metodi, della definizione) materia alquanto complessa. E' possibile distinguere pi tipi, e pi metodi, di definizione. Non qui necessario addentrarci in queste complicazioni. Approssimativamente, definire (fornire la definizione di) qualcosa equivale a tracciare il limite, il confine, che separa la cosa in questione da altre cose; equivale, cio, a tracciare il limite fra ci che la cosa definita , e ci che essa non (il confine fra ci che le proprio, le appartiene, le sue caratteristiche peculiari, e ci che non le proprio, non le appartiene). La definizione , per cos 1 dire, delimitazione, determinazione, del territorio occupato dalla cosa definita . Positivismo giuridico e neocostituzionalismo' sono etichette che designano due diverse (famiglie di) definizioni del concetto di diritto. (Che cosa il diritto? Pu ben darsi, beninteso, che la risposta a questa domanda sia diversa in tempi e luoghi diversi - epoche e contesti storico-sociali diversi. Che, cio, non vi sia un concetto di diritto, ma che il concetto di diritto, o la natura del diritto, sia storicamente mutevole.) (4) Che cosa il diritto? Passiamo in rassegna alcune ipotesi di risposta. (a) Il diritto un insieme di libri, o di documenti. Insoddisfacente: se distruggo questo libretto (una copia della Costituzione italiana), non distruggo la Repubblica italiana. Stampare un codice, o

Ci di cui si cerca la definizione viene abitualmente denominato 'definiendum' ('ci che da definire'); il discorso che costituisce la definizione medesima viene abitualmente denominato 'definiens' ('ci che definisce'). Cos, ad es., se definiamo l'uomo 'animale razionale', 'uomo' il definiendum, 'animale razionale' il definiens.

una legge, fare una fotocopia di un fascicolo della Gazzetta ufficiale, non emanare un codice, legiferare (il numero delle leggi, o dei codici, non aumenta). (b) Un insieme di persone (membri del Parlamento, giudici, avvocati, poliziotti), o di luoghi (tribunali, prigioni, facolt di giurisprudenza). Anche questa ipotesi di risposta insoddisfacente: i giudici interpretano e applicano il diritto, le forze di polizia applicano ed eseguono disposizioni giuridiche (o almeno, cos si spera), deputati e senatori producono diritto. Ma non sono diritto. Non solo: che un individuo sia un giudice, un senatore, un poliziotto dipende, in qualche modo, dal diritto. Tribunali e prigioni sono edifici, il cui carattere di tribunali o prigioni dipende - non dalla loro struttura architettonica, dai materiali con i quali sono costruiti, ecc., ma - dal diritto. In essi, il diritto viene applicato, eseguito, o prodotto; ma non sono essi stessi diritto. Nelle facolt di giurisprudenza si studia il diritto. Ma, per lappunto, che cosa il diritto? (c) Un insieme di comportamenti, di azioni (una pratica sociale); ad es., ci che fanno i giudici e gli avvocati. Ma, ovviamente, giudici e avvocati (gli esseri umani che sono giudici, avvocati) fanno parecchie cose che col diritto non hanno nulla a che vedere; quali, fra i loro atti, abbiano carattere giuridico dipende, ancora una volta, dal diritto. E, del resto,per identificare giudici e avvocati necessario fare riferimento al diritto. (Che un certo essere umano sia un giudice o un poliziotto, si diceva prima, cosa che dipende, ancora una volta, dal diritto.) Ma che cosa il diritto? (d) Un insieme di discorsi. Molti discorsi giuridici (i discorsi degli operatori e degli studiosi del diritto) sono, per, discorsi sul diritto: discorsi che hanno il diritto come proprio oggetto, non sono essi stessi diritto. O forse ci sono discorsi che sono essi stessi diritto? (Discorsi non sul diritto, ma, per cos dire, del diritto?). Comunque sia, sembra poco plausibile che il diritto si esaurisca in un insieme di discorsi - che questa caratterizzazione, anche se corretta, sia esaustiva. (5) Queste ipotesi di risposta allinterrogativo circa la natura del diritto sono ben poco plausibili. Non stato difficile smontarle. Accenno ora a quattro ulteriori linee di risposta, storicamente molto influenti, che non sono - almeno, non a prima vista, altrettanto deboli. (a) Normativismo: il diritto norma, un insieme di norme, o di regole. Questa idea, generica, pu essere specificata, come vedremo, in una variet di modi. (b) Istituzionalismo: il diritto , prima ancora che un insieme di regole, la societ medesima, il gruppo sociale organizzato. Ubi societas ibi ius, dove c societ c diritto, poich il diritto , precisamente, lorganizzazione interna del gruppo sociale, il gruppo sociale organizzato nella sua concretezza (che pu s produrre, in modo pi o meno formale, delle regole, ma , precisamente, ci che d origine alle regole in questione, e ne costituisce il fondamento). (c) La tesi storicistica: come tanti altri concetti di fenomeni storico-sociali (e non, probabilmente, i concetti di propriet naturali, come ad es. rosso - o forse anche questi, chiss) il concetto di diritto un concetto mutevole nel corso del tempo, variabile in tempi e luoghi diversi. Una definizione che fosse adeguata al diritto quale si presenta qui e ora, ad es. nei paesi dellEuropa continentale, potrebbe rivelarsi del tutto inidonea a rendere conto della natura del diritto in altri tempi e luoghi - ad es. nei sistemi di common law. (d) Un quarta linea di risposta - una linea di dissoluzione, piuttosto che di soluzione, del nostro problema - la linea scettica: non possibile fornire alcuna definizione del concetto di diritto. Perch? La posizione scettica si presenta anchessa in una pluralit di versioni. Una risposta potrebbe essere: perch il fenomeno diritto un fenomeno talmente poliedrico, variegato e complesso da non poter essere catturato in una definizione (un fenomeno che presenta una molteplicit di aspetti diversi ed eterogenei, non riconducibili a unit, come richiesto da una definizione). Come orientarsi in questa selva di ipotesi, idee, opinioni, disparate? (6) Lasciamo per il momento da parte queste quattro linee di definizione, e seguiamo una strada diversa, cercando di aggirare queste difficolt iniziali. Prendiamo le mosse da un ulteriore interrogativo - da una ulteriore formulazione del nostro problema di fondo (Che cosa il diritto?): 3

di che cosa parliamo, quando parliamo il linguaggio del diritto? Su che cosa vertono i discorsi giuridici? In altri termini: vi sono, parrebbe, fatti giuridici (il fatto che Tizio sia proprietario di questa automobile; che Caio abbia commesso una truffa, o che Sempronio sia un giudice, o il Presidente della Repubblica italiana; che A debba a B una certa somma di denaro, in adempimento di quanto stabilito da un contratto validamente stipulato; che A e B siano sposati; che A sia l'erede di B; e cos via). Ebbene: che genere di fatti sono i fatti giuridici? Non si tratta, parrebbe, di fatti naturali, empiricamente accertabili. (Alcuni fatti, propriet, relazioni, entit, eventi, processi, ecc., sono fatti naturali, o fisici in senso lato. Ma i fatti giuridici non sono, sembrerebbe, di questo tipo.) Ma ci vuol dire che si tratta di fatti sovra-naturali, diversi e al di l di fatti naturali? Questo un punto sul quale vale la pena di soffermarsi.

2. Di che cosa parliamo, quando parliamo il linguaggio del diritto? 2.1 Due interrogativi Nel tentativo di districarci fra le diverse ipotesi di definizione del diritto, dunque, formuliamo un ulteriore interrogativo. (1) Di che cosa parliamo, quando parliamo il linguaggio del diritto? Intorno a che cosa vertono i discorsi giuridici? Nel discorso giuridico ricorrono termini ed espressioni caratteristici: termini come 'propriet', 'matrimonio', 'credito', 'diritto', 'obbligo', 'contratto', ecc. Il discorso giuridico , cio, contraddistinto dall'uso di termini ed espressioni appartenenti a un insieme (relativamente) delimitato e circoscritto, un vocabolario tecnico (risultato, in gran parte, della tecnicizzazione di vocaboli ed espressioni gi appartenenti al discorso ordinario), che chiamer 'vocabolario (o lessico) giuridico'. Ebbene: su che cosa vertono i nostri discorsi quando facciamo uso di termini ed espressioni appartenenti al vocabolario giuridico? Quando, ad es., facciamo uso di enunciati come i seguenti: (2) Il proprietario di questa automobile Tizio. (x propriet di Caio.) (3) A sposato con B. (4) Tizio ha diritto a x. (Gli X hanno il diritto di fare A.) (5) I cittadini italiani di sesso maschile, maggiorenni, hanno l'obbligo di prestare il servizio militare. (Tizio soggetto all'obbligo di fare A.) Una nozione che pu risultare utile ai fini della chiarificazione di questo interrogativo la nozione di 'riferimento', elaborata nell'ambito della filosofia del linguaggio contemporanea (in particolare, la teoria del significato; il riferimento di un'espressione linguistica abitualmente concepito come un aspetto del suo significato). In senso stretto, il riferimento di un termine o un'espressione l'insieme degli oggetti (entit individuali: 'individui', in senso lato) ai quali il termine si applica, che il termine denota o designa. In senso lato (e non tecnico), il riferimento di un'espressione linguistica (un termine, un sintagma,
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Possiamo prescindere, per il momento, dalla distinzione fra discorso del diritto e discorso sul diritto (cui si accennato sopra, 1.). Non neppure necessario assumere che sia in ultima istanza possibile tracciare, in modo netto e univoco, questa distinzione.

un enunciato) l'insieme delle cose, i fatti, ai quali essa rinvia, che essa porta alla considerazione (ci su cui, intorno a cui, essa verte). L'idea di fondo, comune a queste due accezioni del termine 'riferimento', almeno apparentemente semplice: un'espressione linguistica rinvia a qualcosa d'altro da s, qualcosa di non linguistico; ci cui essa rinvia (in un modo particolare, bisognoso di specificazione e definizione) ne costituisce, per l'appunto, il riferimento. Ovvero, termini o espressioni linguistici hanno (se non tutti, una gran parte di essi) una controparte reale: vi sono abitanti del mondo, 'cose' extralinguistiche, cui il termine o l'espressione rinviano. Determinare il riferimento dell'espressione individuare, identificare, la sua controparte nella realt, l'abitante del mondo (extralinguistico) cui essa rinvia. Cos, ad es., il riferimento del termine 'Tito' (il nome di un individuo) il mio cane, Tito; il riferimento dell'espressione 'L'autore della Divina Commedia' una certa persona, Dante Alighieri; il riferimento del termine 'rosso' (un termine che designa una propriet, o una caratteristica) costituito dal colore rosso (o da tutti gli individui rossi); il riferimento dell'enunciato 'La Terra gira intorno al Sole' costituito dal fatto che la Terra gira intorno al Sole; il riferimento dell'enunciato 'E' scoppiato un temporale' costituito da un evento, lo scoppio di un temporale. Il riferimento, in senso ampio, comprende individui, propriet (caratteristiche), relazioni, stati di cose, fatti, eventi, processi. La domanda (1) verte, per l'appunto, sul riferimento dei termini che appartengono al vocabolario del diritto e che, tipicamente, ricorrono nel discorso giuridico; in generale, sul riferimento delle espressioni (termini, sintagmi, enunciati) dalle quali il discorso giuridico costituito, delle quali esso intessuto. La riformuleremo nel modo seguente. (1') A che cosa facciamo riferimento, quando utilizziamo espressioni tipiche del lessico giuridico? Qual il riferimento di termini come 'propriet', 'matrimonio', 'diritto soggettivo', 'obbligo'? A quali fatti, stati di cose, relazioni, eventi, individui, facciamo riferimento quando facciamo uso, ad es., di enunciati della forma (2) - (5)? Ma, ci si potrebbe chiedere, si tratta di un problema genuino? A prima vista, la (1) e la (1') appaiono ben poco interessanti, se non addirittura insulse. Di fatto, si potrebbe argomentare, gran parte dei membri della nostra societ, delle societ che conosciamo - si tratti di operatori giuridici, o dell'uomo della strada - fanno abitualmente uso del vocabolario giuridico. Sapranno bene di che cosa stanno parlando. Le cose, per, non sono cos semplici. Per quanto possano apparire insulsi, non facile dare una risposta convincente ai due interrogativi appena formulati. Naturalmente, quando si fa uso del vocabolario giuridico si fa abitualmente riferimento anche a individui, propriet, fatti ed eventi del tutto ordinari, che non hanno nulla di specificamente giuridico. Un enunciato come, ad es., 'Il proprietario di questa automobile Tizio' fa riferimento a questa automobile e a Tizio, che di per se stessi non hanno nulla di specificamente giuridico. L'enunciato 'A sposato con B' fa riferimento a due persone, A e B, che non sono, come tali, entit giuridiche (sono esseri umani in carne e ossa). E cos via. Insomma: il discorso giuridico verte anche, d'ordinario, su cose (individui, fatti, ecc.) non giuridiche. Sotto questo aspetto, il riferimento dei discorsi giuridici non presenta alcun problema peculiare (alcun problema che non sia proprio anche di una teoria del riferimento per enunciati di tipo affatto ordinario, come 'Questa un'automobile', o 'A e B stanno facendo una passeggiata'). Ma il discorso giuridico intessuto di termini ed espressioni peculiari i termini e le espressioni costitutivi del vocabolario giuridico, per l'appunto che non sembrano facilmente assimilabili, sotto il profilo in esame, a termini ordinari come 'automobile', ecc. Termini, in effetti, il cui significato oscuro e dei quali, in particolare, non affatto facile specificare il riferimento. Il problema centrale, come adesso vedremo, sembra essere questo: del discorso giuridico fanno parte, parrebbe, espressioni (termini, sintagmi, enunciati) che designano oggetti, entit, propriet, relazioni, fatti, stati di cose, eventi, processi non fisici (non naturali; estranei, per cos dire, al mondo fisico): entit, propriet, fatti, eventi, che non sussistono (esistono, hanno luogo, si 5

verificano, ecc.) 'per natura', o 'in natura', e che appaiono dotati di un modo di esistenza, una forma di realt, diversa da quella dei fenomeni naturali. Ma, se non designano (fanno riferimento a) alcunch di naturale, che cosa mai designano le espressioni in questione? Che cosa c' di non naturale, non fisico? Il mondo nel quale viviamo - il mondo, tout court - non forse il mondo fisico - un mondo costituito, in ultima istanza, da entit, propriet, fatti, eventi, processi naturali? Se non a entit, propriet, ecc. di questo ordine che i termini e le espressioni caratteristici del vocabolario giuridico fanno riferimento, a che cosa mai fanno riferimento? Qual la loro controparte reale, quali sono gli abitanti del mondo cui essi rinviano? Forse gli abitanti di una 'realt non-naturale', un mondo 'al di l' del mondo fisico? Ipotesi simili sembrano assurde, eppure la considerazione del comportamento, e del significato, di termini ed espressioni tipici del vocabolario giuridico sembrano almeno suggerirle, se non imporle. Passeremo ora in rassegna alcuni esempi, che illustrano questa difficolt.

2.2 Alcuni termini problematici (1) 'Banconota da dieci euro '. Che cosa una banconota da dieci euro? Si consideri questo oggetto (Una banconota da dieci euro.) L'oggetto presenta certe propriet fisiche (colore, peso, resistenza; una certa composizione chimica). Il suo essere una banconota da dieci euro, per, non una di queste propriet. Non solo: che un oggetto di questo tipo sia una banconota da dieci euro non dipende dalle sue propriet fisiche non, almeno, allo stesso modo in cui, ad es., il suo peso dipende dalla sua composizione chimica. Le banconote da dieci euro avrebbero potuto essere di colore diverso, avere, in generale, propriet fisiche molto diverse (in effetti, le propriet fisiche delle banconote da dieci euro possono cambiare). C', palesemente, un senso nel quale il fatto che un certo tipo di oggetto sia una banconota da dieci euro indipendente dall'insieme delle caratteristiche fisiche che il tipo di oggetto in questione presenta. Dunque: che questo pezzo di carta sia una banconota da dieci euro un fatto. Ma di che genere di fatto si tratta? Non, parrebbe, di un fatto naturale: non per natura (non , cio, in virt delle loro caratteristiche naturali, o di esse soltanto) che oggetti di questo tipo sono banconote da dieci euro. Non esistono, in natura, banconote da dieci euro (o di qualsiasi altro taglio). (2) 'Frontiera. Supponiamo che un certo fiume costituisca la frontiera fra due stati. Un altro fiume, a breve distanza, non ha questa propriet: non la frontiera. Dove sta la differenza fra i due fiumi? Da che cosa dipende che l'uno, anzich l'altro, sia la frontiera? Non dalle loro propriet fisiche: l'essere questo fiume, piuttosto che quest'altro (o, perch no, quella catena montuosa), la frontiera, non dipende non necessariamente, e comunque non direttamente - dal suo costituire una barriera naturale (pu accadere, ad es., che un fiume molto largo e profondo non segni la frontiera, e che quest'ultima sia invece costituita da un rigagnolo). Che quel fiume, che occupa quella posizione, sia la frontiera, non per natura. Il fatto che un certo fiume costituisca la frontiera fra due stati , si potrebbe dire, un fatto giuridico: che esso sussista dipende dal diritto. Si tratta, per di pi, di un fatto che ha innumerevoli conseguenze (anzitutto, conseguenze giuridiche), alcune delle quali estremamente significative (se, ad es., un'azione di un certo tipo sia commessa al di qua o al di l del fiume pu fare un'enorme differenza per gli individui in essa coinvolti). Ma difficile spiegare di che genere di fatto si tratti. (Non, parrebbe, di un fatto naturale.) L'attribuire al fatto in questione la qualifica di 'giuridico' non una risposta a questo interrogativo. La domanda si ripropone: che cosa vuol dire che un fatto sia un fatto 'giuridico', o 'dipendente dal diritto'?
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Unottima presentazione, molto istruttiva, dei puzzle del denaro si trova in Searle 1999, pp. 112-3.

(3) 'Maggiore et'. L'essere maggiorenne non si identifica con l'avere (almeno) diciotto anni (una propriet fisica, naturale): chi compie diciotto anni diventa maggiorenne, ma il fatto che egli sia maggiorenne sembra essere un fatto diverso, ulteriore (qualcosa di pi), rispetto al fatto biologico dell'avere (almeno) diciotto anni. Si tratta di un fatto che si produce - viene ad esistenza - al compimento dei diciotto anni, ma che non si identifica con quest'ultimo. Un fatto, per di pi, la cui condizione di esistenza avrebbe potuto essere costituita da un fatto diverso dal compimento dei diciotto anni; ad es., il compimento di venti, o sedici, anni di et. In altri termini: le espressioni 'maggiorenne' e 'di almeno diciotto anni di et' non hanno lo stesso significato (non significano lo stesso). Se cos non fosse, l'asserto: (6) Coloro che hanno almeno diciotto anni di et sono maggiorenni non direbbe nulla di pi dell'asserto: (7) Coloro che hanno almeno diciotto anni di et hanno almeno diciotto anni di et o dell'asserto: (8) I maggiorenni sono maggiorenni. Sarebbe anch'esso, come questi ultimi, una tautologia . Ma l'asserto (6) (ossia: 'La maggiore et di acquista al compimento dei diciotto anni') non pare affatto tautologico. Lo tanto poco, che esso sembra piuttosto fornire un'informazione estremamente importante, ricca di implicazioni e conseguenze di vario genere. Se 'maggiorenne' significasse 'di almeno diciotto anni di et', la domanda: (9) Coloro che hanno compiuto diciotto anni sono maggiorenni? sarebbe equivalente alla domanda: (10) Coloro che hanno compiuto diciotto anni hanno compiuto diciotto anni? o alla domanda: (11) I maggiorenni sono maggiorenni? Sarebbe, cio, una domanda 'chiusa', contenente in s la risposta. Ma la domanda (9), o la domanda: (12) Qual l'et alla quale si diventa maggiorenni? lungi dal suonare 'chiusa' (come, ad es., le domande (10), (11), o la domanda: 'Qual l'et alla quale si compiono diciotto anni?') sembra perfettamente sensata, affatto intelligibile: , a tutti gli effetti, una domanda 'aperta'. Dunque, 'maggiorenne' non ha lo stesso significato di 'di almeno diciotto anni di et'.
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Asserti come ad es. 'I cani sono cani', o 'Piove o non piove' asserti necessariamente veri, in virt del significato dei termini dai quali sono costituiti sono detti 'tautologie' ('dire due volte la stessa cosa'). Le domande corrispondenti 'I cani sono cani?'; 'E' vero che piove o non piove?' non sono, come si suole dire, domande 'aperte': contengono in s la risposta, il che rende del tutto ozioso, se non impossibile, il porsele. (E' possibile chiedersi sinceramente 'I cani sono cani?'?)

Ma, se il fatto di essere maggiorenne non si identifica con il fatto di avere almeno diciotto anni, qual la relazione che intercorre fra di essi? Sembra si possa dire: il compimento dei diciotto anni un evento al cui prodursi segue, come conseguenza, il diventare maggiorenni: l'uno la condizione il cui verificarsi produce l'altro. In breve, il compimento del diciottesimo anno di et sembra essere la causa, il cui effetto consiste nel diventare maggiorenne; effetto, quest'ultimo, che a sua volta costituisce la causa di (svariati, e importanti) effetti ulteriori (anzitutto, effetti giuridici). Il compimento di diciotto anni, insomma, sembra essere un fatto (un fatto naturale) atto a produrre un fatto ulteriore, l'essere maggiorenne, di tipo diverso: un fatto (non naturale, biologico, ma) giuridico. Con uno schema ('>' sta qui per ' causa di'; 'ME' per 'maggiore et; 'EG' per 'effetti giuridici'): (13) (Compimento dei diciotto anni di et) > ME > EG. Ebbene: che cosa ME? Che genere di fatto (diverso dal fatto, biologico o fisico, consistente nell'avere, Tizio, almeno diciotto anni di et) il fatto consistente nell'essere, Tizio, maggiorenne? Che Tizio sia maggiorenne non vuol dire, parrebbe, che ha almeno diciotto anni di et; si tratta, apparentemente, di un fatto ulteriore (un effetto). Ma, d'altro lato, cos'altro mai potrebbe voler dire, se non che Tizio ha almeno diciotto anni? (4) Sposato. Che tipo di fatto il fatto che due persone siano sposate? Che tipo di evento, o stato di cose, un matrimonio? Che due persone siano sposate non si identifica con un insieme di relazioni fisiche fra le due persone in questione (vivere insieme, avere rapporti sessuali, prendersi per i capelli, ecc.). Pu accadere che tali relazioni sussistano, e che, tuttavia, non vi sia alcun matrimonio (che le persone in questione non siano sposate). E, viceversa, pu accadere che tali relazioni non sussistano, e vi sia matrimonio: sussista un vincolo matrimoniale. Un certo insieme di eventi ha luogo: certi individui si riuniscono in un certo luogo, compiono certi atti, pronunciano certe parole. Diciamo che un 'matrimonio' ha avuto luogo: due degli individui presenti sono, ora, 'sposati'. A quale fatto, a quali propriet, facciamo riferimento con queste espressioni? Non, parrebbe, all'insieme dei fatti fatti naturali, comportamenti osservabili, fatti psicologici dei quali diciamo che il matrimonio costituisce, per l'appunto, la conseguenza. I fatti in questione sono piuttosto rappresentati come fatti 'operativi', la cui 'operazione' consiste nel far s che venga ad esistenza qualcosa di ulteriore: il vincolo matrimoniale (l'essere, A e B, sposati). Dal fatto che due persone siano sposate seguono innumerevoli, importanti, conseguenze giuridiche; ma in che cosa consiste, precisamente, il fatto in questione? In altri termini. Il vincolo matrimoniale abitualmente rappresentato come un quid che viene ad esistenza in virt di un insieme di fatti e eventi come l'effetto di questi ultimi e che a sua volta atto a produrre certe conseguenze causa di effetti ulteriori; anzitutto, effetti giuridici ('FO' sta qui per 'fatti operativi'; 'VM' per 'vincolo matrimoniale'). (14) FO > VM > EG. Si ripropone il problema nel quale ci siamo imbattuti nel caso della maggiore et. I fatti operativi sono, in linea di principio, individuabili: siamo in grado di dire di che tipo di fatti si tratti (fatti attinenti al comportamento osservabile, o al comportamento linguistico, di individui determinati; fatti psicologici; ecc.). Le conseguenze giuridiche sembrano esserlo anch'esse (torneremo fra breve - infra, 2.3 - su questo punto). Ma che genere di 'cosa' il termine intermedio, il vincolo matrimoniale? Che genere di fatto la sussistenza di un vincolo matrimoniale (l'essere, A e B, sposati)? (5) Proprietario. Si considerino, infine, i termini 'propriet', e 'proprietario'. Che genere di caratteristica la caratteristica di un oggetto - un bene mobile o immobile - consistente nel suo 8

essere 'mia' (ossia, 'propriet' di Tizio)? Che genere di relazione la relazione che intercorre fra il proprietario di un bene e il bene di cui egli proprietario? Non, parrebbe, una relazione fisica (ad es., il possesso, il controllo, il godimento, ecc.). Data una qualsiasi relazione fisica (prossimit, controllo, manipolazione, ecc.), possibile, in linea di principio, che io sia proprietario di un bene con il quale non mi trovo nella relazione indicata, e che io non sia proprietario di un bene con il quale mi trovo in tale relazione. La propriet viene ad esistenza come effetto di certi fatti (modi di acquisizione della propriet, si badi, non della cosa); e ha, a sua volta, certe conseguenze (certi effetti giuridici). Ma in che cosa consiste la propriet stessa? Ancora una volta: (15) FO (modo di acquisizione) > PR (x mio) > EG. Che genere di cosa (fatto, ecc.) il termine intermedio? Nulla, parrebbe, di fisico, o naturale. Il discorso giuridico, dunque, appare intessuto di termini ed espressioni il cui riferimento oscuro: questi termini sembrano non fare riferimento a entit, propriet, relazioni, fatti, fisici, o naturali (dunque, osservabili). Sembra, per, che vi sia un'ovvia via d'uscita da queste difficolt. La difficolt, si potrebbe argomentare, solo apparente, poich il senso di ciascuno dei termini passati in rassegna (e, dunque, degli enunciati, e in generale delle espressioni, nei quali essi ricorrono) pu essere specificato, esplicitato, delucidato, chiarito (e dunque, per cos dire, incassato), nei termini di insiemi di posizioni giuridiche soggettive (poteri, facolt, diritti, pretese, obblighi o doveri, oneri, ecc.) che, ricorrendo certe condizioni, certi individui si trovano ad occupare. Queste posizioni sono, precisamente, gli effetti giuridici cui tali fatti danno luogo. Questa linea di dissoluzione del problema appare promettente, e proveremo ora a percorrerla. Ma, come si vedr fra breve, la difficolt, in ultima istanza, si ripropone.

2.3 Il vocabolario dei diritti Gran parte dei testi giuridici autoritativi (codici, leggi, ecc.), nonch dei discorsi degli scienziati del diritto e degli operatori giuridici, sono fraseggiati nella forma dell'attribuzione, a soggetti (persone fisiche, persone giuridiche) che soddisfano certe condizioni, di certe 'propriet' normative: poteri, prerogative, competenze, libert. privilegi, facolt, licenze, pretese, immunit, diritti, capacit, responsabilit, autorizzazioni, permessi, titoli, obblighi, oneri ecc. ('Tizio ha il diritto di...'; 'Gli x hanno facolt di...', e cos via). Molti istituti di diritto positivo (propriet, contratto, testamento, ecc.) possono essere rappresentati e analizzati, e sono abitualmente rappresentati e analizzati, in questo modo; nei termini, cio, di insiemi di attribuzioni normative spettanti a due o pi soggetti, gli uni in rapporto agli altri (talvolta, in rapporto a cose, o azioni), e delle condizioni di acquisizione, modificazione ed estinzione di tali attribuzioni. Il discorso giuridico, dunque, si presenta, in misura rilevante, nella forma dell'attribuzione a soggetti che soddisfano certe condizioni di posizioni, o situazioni, rispetto ad altri soggetti (talvolta, in rapporto a cose o azioni), comunemente denominate 'posizioni (o situazioni) giuridiche (o, in generale, normative) soggettive'. L'insieme dei termini, o concetti, che esprimono posizioni normative soggettive pu essere denominato 'vocabolario dei diritti', intendendo il termine 'diritto' 5 ('diritto' in senso soggettivo) in un'accezione molto ampia .
L'uso del termine 'diritto' nell'accezione di diritto soggettivo (ovvero, in senso soggettivo) l'uso che di esso viene fatto in locuzioni del tipo: 'Ho diritto a...', 'I diritti umani', 'Il diritto di propriet', e cos via. In enunciati di questo tipo, il termine 'diritto' sembra designare qualcosa di appartenente a un soggetto, un bene di cui egli il detentore, una sua propriet; in questo senso, un che di 'soggettivo'. Rileva C. S. Nino (1980, trad. it. p. 173): "la situazione nella quale diciamo che si d un diritto soggettivo di solito viene qualificata ricorrendo ad altre espressioni, come 'libert', 'permesso', 'licenza', 'prerogativa', 'privilegio', 'facolt', 'potere', 'possibilit', 'garanzia', e simili. Tutti questi termini sono parzialmente sinonimi di 'diritto' in senso soggettivo". La nozione di diritto soggettivo (l'uso del termine 'diritto' in
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Ebbene: sembra si possa affermare che i termini e le espressioni sulle quali ci siamo soffermati nel paragrafo precedente designino propriet, caratteristiche, relazioni, entit, ecc., che sono definibili, o analizzabili, in termini di (insiemi di) poteri, facolt, obblighi, e cos via: in termini, cio, di posizioni giuridiche soggettive. Asserti nei quali ricorrono i termini in questione paiono facilmente traducibili, senza residui, in asserti fraseggiati nei termini del vocabolario dei diritti. Queste posizioni (o insiemi determinati di esse) sono, precisamente, gli effetti cui i fatti discussi (l'essere, Tizio, maggiorenne; l'essere, A e B, sposati; ecc.) danno luogo. Cos, ad es., che Tizio sia diventato, al compimento del diciottesimo anno di et, maggiorenne, vuol dire, precisamente, che 'pu' fare certe cose che prima non 'poteva' fare: che ha acquisito certi diritti, o poteri, che si trova ora ad occupare una certa posizione giuridica. Lo stesso dicasi, ad es., dell'essere sposato; dell'essere, un certo pezzo di carta, una banconota (chi ha la banconota pu, in virt di essa, compiere particolari operazioni); della frontiera fra due stati (la cui rilevanza consiste, in ultima istanza, nella differenza che intercorre fra le posizioni giuridiche di coloro che si trovano sui due lati della frontiera stessa). Sembra, insomma, che sia possibile 'incassare' il contenuto di queste nozioni, a prima vista problematiche, nei termini della specificazione di (insiemi di) 'poteri', ecc. (posizioni giuridiche soggettive). Il problema non pu, per, considerarsi risolto. Ammettiamo pure che i fatti, le propriet, i processi, le entit sui quali ci siamo soffermati nel paragrafo precedente siano esplicabili, in modo esauriente, in termini di posizioni giuridiche soggettive - nei termini, grosso modo, dell'acquisizione, la perdita, l'esercizio di 'poteri'. Ebbene: i 'poteri' in questione sono, anch'essi, oscuri, di difficile chiarificazione. Qual il loro status, la loro natura? Che tipo di 'posizioni' sono le posizioni giuridiche soggettive? Si tratta, parrebbe, di poteri. o posizioni, non fisici, non naturali. (1) Tizio compie diciotto anni, e diventa maggiorenne; dunque, 'pu' compiere una certa azione A (ad es., recarsi in India) senza autorizzazione da parte dei suoi genitori. Tuttavia, non dispone dei mezzi per fare A: in realt, non 'pu' affatto fare A. Che genere di 'potere', dunque, il potere derivante dall'aver compiuto diciotto anni - un potere, si badi bene, compatibile con l'impossibilit materiale, fisica (il non-potere) di compiere l'azione rilevante? (2) Tizio proprietario di un'automobile; dunque, 'pu' guidarla. Ma cieco. (E' proprietario di un fondo; dunque, 'pu coltivarlo. Ma del tutto incapace di sopportare la fatica fisica del lavoro nei campi.) Ancora una volta: che genere di 'potere' il potere derivante dall'essere proprietario di un bene? (3) La 'capacit di agire' , in qualche senso, un potere (un complesso di poteri). Si tratta di un potere fisico? No. La capacit di agire non si identifica con una particolare costituzione fisica, o psicofisica, di colui che capace di agire; le azioni che colui che capace di agire pu compiere non sono azioni fisiche (l'acquisizione della capacit di agire non si identifica con l'acquisizione della capacit di compiere particolari azioni fisiche, naturali). Si tratta, piuttosto, del potere di compiere particolari atti, atti giuridici, e, in tal modo, di contribuire alla produzione di certi effetti giuridici (ad es., la redazione di un testamento). Ma che cosa vuol dire che un'azione (o un atto) sia 'giuridico'? (Gli atti giuridici sono atti non naturali, non fisici?) E che tipo di produzione la produzione di effetti giuridici? Che tipo di relazione , cio, la relazione che intercorre fra l'azione
senso soggettivo) si contrappone abitualmente alla nozione di diritto oggettivo (all'uso del termine 'diritto' in senso oggettivo); l'uso, cio, che del termine 'diritto' viene fatto in locuzioni del tipo: 'Il diritto italiano vigente', 'Il diritto romano arcaico', 'Il diritto privato', ecc. (Sulle diverse accezioni del vocabolo 'diritto' cfr. Tarello 1974, pp. 9-17, Nino 1980, trad. it. pp. 9-13, Comanducci 1992, pp. 144 sgg.; Guastini 2001, pp. 3-5; e, con riferimento alla distinzione fra 'diritto oggettivo' e 'diritto soggettivo', Nino 1980, trad. it. p. 173; Guastini 1994, pp. 147-8, e 2001, pp. 4-5, 39.) E' opportuno sottolineare che nella lingua inglese (a differenza da quanto accade in italiano, francese e tedesco) la distinzione fra diritto oggettivo e diritto soggettivo codificata a livello lessicale; il diritto oggettivo designato dal termine 'law', il diritto soggettivo dal sostantivo 'right'. (Ciascuno di questi due termini ha, per, anche altri significati; cosa, questa, che contribuisce a confondere le acque.)

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(non fisica) di colui che capace di agire (la causa), da un lato, e il venire ad esistenza di certi effetti (non fisici, ma) giuridici, d'altro lato? Non, parrebbe, una relazione di produzione, o di causalit, fisica, o naturale. (4) Un pubblico ufficiale ha certi poteri. Pu, ad es., ordinarci di tenere un certo comportamento. Ma in che senso un pubblico ufficiale 'pu' (ha il 'potere' di), ad es., ordinarci di consegnare una certa somma di denaro? Nello stesso senso nel quale, ad es., un individuo che ci minacci con un coltello 'pu' farlo? Il 'potere' del pubblico ufficiale , come il 'potere' del bandito, il potere (fisico, naturale) di fare in modo che il destinatario dell'ordine subisca certe conseguenze spiacevoli in caso di non adempimento? Che differenza c' fra il comando, l'ordine, di un pubblico ufficiale, e l'ordine emesso da un bandito? C' un senso, parrebbe, nel quale il pubblico ufficiale ha un 'potere' del quale il bandito privo. Non sembra trattarsi, per, di un potere fisico, naturale. In tutti questi casi, il 'potere' rilevante consiste in ci che (semplificando all'estremo, e 6 tralasciando alcune complicazioni) pu essere denominato un 'diritto' ('diritto' in senso soggettivo): il maggiorenne, il proprietario, colui che capace di agire, il pubblico ufficiale hanno certi diritti, o hanno il diritto di tenere certi comportamenti (indipendentemente, parrebbe, dalla questione se abbiano anche il potere fisico di farlo). Spesso, a questi diritti corrispondono, o sono correlativi, obblighi da parte di altri soggetti. Sembra si possa dire: i 'poteri' in questione non sono, ovvio, poteri naturali; sono, precisamente, diritti. Ma, per l'appunto, che genere di 'potere' un diritto? E, correlativamente, che genere di 'vincolo', o di legame, un obbligo? (5) Diritti. Si consideri un enunciato della forma: 'Tizio ha il diritto di fare A'. Il diritto un potere; ma si tratta di un potere diverso dal, non coincidente con, il potere naturale di fare A. Pu accadere sia che Tizio abbia il potere naturale di fare A (ad es., privare Caio della libert di movimento), e tuttavia non abbia il diritto di farlo; sia che Tizio abbia il diritto di fare A (ad es., andare da Palermo a Mondello in bicicletta), e tuttavia non abbia il potere fisico di farlo ( il mio caso). Asserire che Tizio ha il diritto di tenere un certo comportamento non equivale ad asserire che Tizio possa effettivamente (di fatto) tenere il comportamento in questione. (6) Obbligo. La nozione di obbligo suggerisce l'idea di un legame, o un vincolo. Chi ha l'obbligo di comportarsi in un certo modo per cos dire vincolato, legato. Ma di che tipo di vincolo, o di legame, si tratta? Non, ancora una volta, di un vincolo naturale, o fisico. Pu accadere che io sia soggetto a un vincolo fisico, senza essere soggetto a un obbligo (pu accadere, ad es., che io non possa fisicamente compiere un'azione, che tuttavia non ho l'obbligo di non compiere). Cos come pu accadere ed anzi il caso tipico che io sia soggetto all'obbligo di non compiere un'azione che posso, fisicamente, compiere. Ci che in questi casi legato, sembra si possa dire, non il mio corpo (i miei muscoli, le mie ossa), o la mia psiche (il mio carattere): sono io, la mia volont. In altri termini: colui che soggetto a un obbligo non fisicamente necessitato a comportarsi in un certo modo anzich in un altro. E' vero: costui, in un certo senso, non 'pu' comportarsi diversamente da quanto richiesto. Ma il 'potere' in questione non un potere fisico: ci che si intende dire, quando si afferma che un certo individuo non 'pu' agire in un certo modo perch soggetto all'obbligo di comportarsi diversamente, non che l'individuo in questione non possa fisicamente agire in modo difforme da quanto richiesto. Al contrario, si assume abitualmente (appartiene, per cos dire, alla grammatica della nozione di obbligo) che Tizio possa propriamente dirsi soggetto all'obbligo di comportarsi in un certo modo solo se, di fatto, pu accadere che egli agisca diversamente da quanto richiesto: che, banalmente, Tizio possa, di fatto, violare l'obbligo cui , in ipotesi, soggetto.

Non tutti i diritti sono poteri. La nozione di diritto soggettivo sar oggetto di unanalisi dettagliata infra, .

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Ma allora, di che genere di vincolo, o di legame, si tratta? Il comportamento di un individuo che si assume soggetto all'obbligo di comportarsi in un certo modo anzich un altro un comportamento, per cos dire, necessitato, o costretto: che lo desideri o meno, si assume, l'individuo 'non pu non' comportarsi nel modo indicato. Ma, al tempo stesso, il comportamento in questione non concepito come un comportamento fisicamente necessitato; l'obbligo non rappresentato come una causa, alla quale segua, come suo effetto necessario, il comportamento ad esso conforme. Che genere di necessit - una necessit non fisica, n, dunque, causale - qui in questione? Quanto si appena detto a proposito delle posizioni giuridiche soggettive ('diritti'), nei termini delle quali sembra si possa 'incassare' il contenuto di espressioni come 'banconota da dieci euro', 'frontiera', 'maggiore et', 'capacit di agire', ecc., pu dirsi anche a proposito dei rapporti intersoggettivi (rapporti giuridici) corrispondenti. Spesso, il contenuto di particolari settori del diritto positivo ad es., particolari istituti - viene presentato nella forma di un rapporto, o un insieme di rapporti, fra due o pi soggetti, detentori di fasci di diritti o doveri gli uni nei confronti degli altri (il rapporto fra creditore e debitore, ecc.). Che genere di rapporti sono i rapporti in questione? Si tratta, parrebbe, di rapporti non fisici, non naturali.

2.4 Diritto e magia Il linguaggio giuridico , dunque, pervaso da termini il cui significato in particolare, il cui riferimento - elusivo, sfuggente. Un'aura di mistero aleggia intorno ad essi. Non affatto chiaro quali siano le controparti reali, gli abitanti del mondo, cui i termini e le espressioni in questione pretendono di rinviare. Sembra di avere a che fare con entit, fatti, propriet, facolt, poteri, rapporti impalpabili, immateriali: in qualche senso, sovra- o ultra-naturali. Non solo: alcuni dei fatti in questione sono rappresentati come fatti che possibile produrre, far venire ad esistenza, mediante il proferimento di enunciati: compiendo, cio, atti linguistici. In certi casi, sembra che i fatti in questione sussistano in virt del fatto che qualcuno dice che essi sussistono; o che essi si producano in virt del fatto che qualcuno dice che li produce. Talvolta, sembra che la semplice espressione del desiderio che un fatto del tipo rilevante si produca sia sufficiente a far s che esso, effettivamente, si produca. Qualche esempio pu chiarire questo punto. (1) Supponiamo che le autorit competenti dichiarino: 'Questo tipo di banconota valuta legale in Ipazia', e che qualcuno si chieda: 'Come lo sanno?' ('Come hanno fatto a scoprirlo?'). La domanda 7 sarebbe, palesemente, sciocca . Perch? Semplice: il tipo di banconota in questione valuta legale in Ipazia se, e perch, le autorit competenti dicono che lo . Non ha senso, dunque, chiedersi come abbiano fatto le autorit competenti a sapere che il tipo di banconota in questione valuta legale; lo , precisamente perch lo hanno detto. L'enunciato rilevante un enunciato la cui enunciazione (da parte di individui appropriati, in circostanze appropriate) rende vero l'enunciato medesimo: fa s che effettivamente sussista lo stato di cose sul quale esso verte, che esso descrive. E', cio, un enunciato che si auto-verifica. (2) Si consideri la celebrazione di un matrimonio: 'Vuoi tu prendere in sposa la qui presente Serena Rossi?'; 'S, lo voglio'. Mediante il proferimento di questo enunciato, Serena Rossi diventa, effettivamente, la mia sposa. Non ho soltanto dichiarato il mio desiderio che lo diventi, la mia volont di prenderla in moglie; dichiarando tale volont, l'ho effettivamente presa in moglie. L'ho presa in moglie, mediante la dichiarazione della volont, da parte mia, di prenderla in moglie (quando dico: 'Voglio che sia mia moglie', lei diventa mia moglie). Sembra che, in questo caso, la semplice espressione del desiderio che qualcosa accada faccia s che esso, effettivamente, accada.
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Lesempio si deve a J. R. Searle.

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Qualcosa di simile accade, per fare qualche altro esempio, nel caso di donazioni, contratti, testamenti; o nel caso di molti atti, provvedimenti, decisioni, da parte di funzionari pubblici. In molti di questi casi, parrebbe, il proferimento di enunciati, l'espressione di desideri, ecc., produce effetti reali, in conformit al contenuto di tali enunciati medesimi (l'espressione del desiderio che un certo bene diventi propriet di una certa persona fa s che esso diventi propriet della persona in questione; e cos via). Ebbene: l'idea che sia possibile produrre effetti reali, cambiamenti nel mondo, mediante la semplice enunciazione di una formula linguistica - in particolare, che sia possibile fare in modo che qualcosa venga ad esistenza, o si verifichi, mediante l'espressione del desiderio che essa venga ad esistenza, si verifichi, o mediante la semplice dichiarazione del fatto che essa esiste, o ha luogo - un'idea caratteristica della mentalit magica. (Si tratta, in ultima istanza, dell'idea che le cose obbediscano alle parole; e che la conoscenza delle parole - la parola 'vera', le parole 'giuste' conferisca, a chi la possiede, una forma di potere sulle cose.) Che cosa , se non una forma di magia, il far s che le cose abbiano effettivamente luogo, accadano, vengano ad esistenza, mediante l'enunciazione della propria volont, del proprio desiderio, che esse abbiano luogo? ('Quando cade una stella, esprimi un desiderio'.) Ha carattere magico, in generale, l'idea che le cose obbediscano alle parole (alle parole 'giuste': 'Apriti Sesamo!', ma non 'Per favore, porta, potresti aprirti?'). L'enunciazione di formule al fine di produrre effetti reali, in conformit al loro contenuto il potere di cambiare il mondo mediante le parole - non forse un caso paradigmatico di potere magico? Il diritto sembra avere a che fare con poteri e facolt non naturali (sovra- o ultra-naturali); poteri il cui esercizio, a sua volta, consiste sovente nell'enunciazione di formule il cui proferimento rappresentato come atto a produrre effetti reali, in conformit al loro contenuto. Che cosa sono poteri siffatti, se non poteri magici? Il discorso giuridico sembra, dunque, essere espressione di credenze false e atteggiamenti superstiziosi: l'uso di termini ed espressioni appartenenti al vocabolario giuridico sembra potersi assimilare all'uso di formule magiche. Giuristi e operatori giuridici somigliano, parrebbe, a sciamani.

2.5 Unipotesi inquietante Termini ed espressioni appartenenti al vocabolario giuridico sembrano essere privi di riferimento: sembra non esservi alcuna controparte reale, alcun abitante del mondo, cui essi rinviino. O, peggio ancora, sembrano fare riferimento (o avanzare la pretesa di fare riferimento) a fatti, entit, relazioni, processi, eventi, ultra- o sovra-naturali, al di l del mondo fisico (fatti, 8 eventi, ecc. metafisici) . Siamo dunque costretti a trarre la conclusione che, nonostante lapparenza, i termini e le espressioni appartenenti al vocabolario giuridico siano privi di riferimento - come lo , ad es., il vocabolo unicorno, o lespressione Araba Fenice? Siamo cio costretti a trarre la conclusione che quando parliamo di obblighi, matrimoni, banconote da dieci euro, ecc., in effetti non stiamo facendo riferimento a nulla di reale? Questo sospetto aggravato, come abbiamo visto, da una circostanza ulteriore: accade sovente che i fatti giuridici siano rappresentati come fatti che possibile produrre, far venire ad esistenza, mediante il proferimento di enunciarti: mediante la dichiarazione del fatto che essi sussistono, o si producono, o addirittura mediante lespressione del desiderio che essi si producano (fatti che sussistono in virt del fatto che qualcuno dice che essi sussistono). E ci sorprendente. Questo non certamente quanto accade di solito. Se dico che la porta dellaula aperta, o che desidero che sia aperta, non per questo la porta si apre. Ma se sono il
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Ci sono, si badi bene, altri tipi di fatti il cui statuto concettuale appare incerto o problematico. Ad es., i fatti matematici (il fatto che due pi due fa quattro, e cos via), o i fatti morali (ad es., il fatto che la tortura sia un male). Anchessi sembrano avere qualcosa di metafisico.

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Presidente del Senato e dico che la seduta aperta, per ci stesso, in virt e in forza della mia dichiarazione, la seduta aperta (si apre). Se esprimo il desiderio di vivere nel medioevo, non per questo viaggio nel tempo, e mi ritrovo nel medioevo. Mentre se esprimo, nelle circostanze appropriate, il desiderio di prendere in moglie Serena Rossi, Serena Rossi diventa mia moglie. Il discorso giuridico sembra insomma pervaso dallassunto che le cose obbediscano alle parole - idea, questa, tipica di una mentalit magica, superstiziosa, primitiva. (Basta pronunciare la formula giusta - ad es. Apriti Sesamo - e le cose vanno cos come viene detto - Sesamo si apre.) Giuristi e operatori giuridici, quando parlano di obblighi, diritti, proprietari, maggiorenni, ecc., sembrano paragonabili, si diceva, a sciamani che evocano, e pretendono di controllare, potenze (forze, poteri) sovrannaturali. Tutto ci getta una luce sinistra sul discorso giuridico - genera, cio, il sospetto che debba considerarsi giustificata una posizione radicalmente scettica: il discorso giuridico, in realt, non verte su nulla, ed espressioni di credenze erronee. Non ci sono fatti, propriet, relazioni, ecc., giuridici: ci sono solo persone che credono, erroneamente, che vi siano simili fatti, propriet, ecc., o che comunque parlano come se essi esistessero. Non vi sono, in realt, obblighi, diritti, matrimoni, ecc., ma solo persone che erroneamente credono nella loro esistenza (e di poter creare e controllare queste cose mediante il proferimento di parole, di formule magiche). Dobbiamo effettivamente trarre questa conclusione? Il discorso giuridico esposto a un sospetto, radicale, di insensatezza. Questo sospetto deve considerarsi fondato?

2.6 Formulazioni alternative del problema Lasciamo in sospeso anche questo interrogativo, che rester sullo sfondo della nostra indagine. Una teoria soddisfacente del diritto dovr essere in grado di fronteggiare questa difficolt - o abbracciando la conclusione scettica, oppure trovando una risposta che riscatti il discorso giuridico dal sospetto di insensatezza che grava su di esso (determiNando quale sia il riferimento dei termini giuridici, o mostrando in che modo essi possano essere dotati di significato, pur essendo privi di riferimento). Pu essere utile, prima di proseguire, introdurre alcuni modi alternativi di formulare il problema sul quale ci siamo soffermati sino ad ora, che ci torneranno utili nel prosieguo di questo corso. L'interrogativo generale dal quale abbiamo preso le mosse (Che cosa il diritto?), e quello, pi specifico, sul quale ci siamo appena soffermati (Di che cosa parliamo, quando facciamo uso del linguaggio del diritto?) suscitano interrogativi ulteriori. (Si tratta, in generale, di specificazioni, formulazioni parziali, dell'interrogativo iniziale.) (a) Sulla base di quali considerazioni possiamo pervenire a conclusioni sul diritto, a conclusioni giuridiche? Sulla base di che cosa, cio, possiamo affermare o negare proposizioni giuridiche? Qual il fondamento di validit di conclusioni giuridiche (proposizioni giuridiche: proposizioni su fatti giuridici)? I fatti giuridici possono costituire l'oggetto di proposizioni (possono, ad es., essere asseriti). Ebbene: quando, a quali condizioni, proposizioni siffatte sono vere? Che cosa - che genere di fatti, per l'appunto - rende vere (o false) proposizioni del genere? Ovvero, quali sono le condizioni di verit di proposizioni che vertono su (asseriscono la sussistenza di) fatti giuridici? In altri termini ancora: quando, a quali condizioni, proposizioni siffatte possono correttamente essere asserite? Quali sono le loro condizioni di asseribilit? (b) Quali sono i criteri di identit del diritto? Come identificare il diritto? Sulla base di che cosa identifichiamo qualcosa come diritto? (Data una questione, una controversia, un caso, come individuare, riconoscere, che cosa diritto?) Che genere di argomenti (considerazioni) possono, o debbono, essere utilizzati ai fini dell'identificazione del diritto? 14

Positivismo giuridico e neocostituzionalismo sono posizioni teoriche che forniscono risposte almeno parzialmente diverse e, forse, confliggenti, a questi interrogativi. Quali risposte?

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3. Positivismo giuridico e giusnaturalismo: caratterizzazioni preliminari 3.1 Giusnaturalismo Un ostacolo si frappone al tentativo di dare risposta, sin dora, a questa domanda. Positivismo giuridico e neocostituzionalismo, dicevo, sono posizioni teoriche che forniscono risposte diverse a questi interrogativi. Tradizionalmente, per, l'antitesi che ha dominato la storia della cultura giuridica e della riflessione sul diritto non stata quella fra positivismo giuridico e neocostituzionalismo (quest'ultimo , come del resto suggerisce il prefisso neo, una posizione relativamente recente, risalente alla seconda met del Novecento), ma quella fra positivismo giuridico e giusnaturalismo (o dottrina del diritto naturale). Per indagare la relazione - o la contrapposizione - fra positivismo giuridico e neocostituzionalismo, necessario comprendere, anzitutto, l'antitesi tradizionale. (Come vedremo, una questione aperta se il neocostituzionalismo sia una versione della dottrina del diritto naturale. Alcune forme di neocostituzionalismo hanno un'evidente impronta giusnaturalistica.) La tradizione giusnaturalistica stata, dallantichit sino allOttocento, la tradizione egemone nella storia della cultura giuridico-politica e della filosofia occidentali. Semplificando allestremo, la resi comune alle diverse versioni del giusnaturalismo la tesi secondo cui esiste un diritto naturale: c un diritto insito nella natura degli esseri umani e dei rapporti sociali, un diritto dettato dalla natura delle cose (di quelle cose, in particolare, che sono gli esseri umani e i rapporti sociali); un diritto che discende da ci che gli esseri umani e le relazioni fra di essi, propriamente, sono. Un diritto, dunque, che valido per natura, il medesimo in ogni tempo e luogo, che esiste non come frutto di decisioni o comportamenti umani, ma - in natura. (Alcune forme di comportamento o di rapporto sociale sono secondo natura, altre contro natura.) Comportamenti e relazioni sociali sono governati da una norma naturale: da regole, principi o valori - in generale, 9 norme - che sono insiti nella loro natura (una norma costitutiva della loro natura) . Corollario si questo assunto la tesi secondo cui il diritto positivo (diritto posto, prodotto dagli esseri umani) tale - autenticamente, genuinamente diritto, vero diritto - solo se si conforma al

A titolo illustrativo, alcuni esempi - possibili - di questo modo di vedere: (1) termini che designano ruoli o funzioni sociali (un vero professore: il concetto di professore un concetto che contiene in s un ideale, una norma, un criterio di giudizio, che consente di valutare un professore reale come un buono o cattivo professore - al limite, un falso professore). (2) Termini funzionali: una vera lezione, un vero orologio (il fine per il quale si assume loggetto sia stato costruito svolge il ruolo di una norma, un criterio di valutazione). (3) Una vera amicizia. Consideriamo ora alcuni casi di immediato rilievo giuridico (sia ben chiaro: non sostengo che un giusnaturalista debba necessariamente condividere le tesi e gli argomenti che seguono; si tratta solo di esempi che illustrano in modo forse brutale ma, spero, efficace, un certo stile di argomentazione): (4) la famiglia come societ naturale fondata sul matrimonio (Cost. it. art. 29). Alcune idee che possono essere associate a questa nozione: i vincoli naturali fra genitori e figli (da cui, secondo alcuni, linammissibilit della fecondazione eterologa o della maternit surrogata); alcune persone ritengono che discenda dalla natura del vincolo matrimoniale che esso sia indissolubile, o che i coniugi debbano essere di sesso diverso (lidea - diffusa - che le coppie omosessuali siano coppie contro natura; secondo alcuni, parte integrante della natura del matrimonio, insito nel concetto medesimo di matrimonio, che i coniugi siano di sesso diverso; lidea di un matrimonio fra persone dello stesso sesso , secondo costoro, unidea incoerente, assimilabile allidea di un cerchio quadrato). (5) Lordine sociale, e politico, come ordine naturale: gerarchie di nascita (ad es., alcuni esseri umani sono per natura destinati a servire come strumenti viventi; altri a dominare o governare). (Caso paradigmatico, una societ di casta; quale sia il posto che a ciascuno spetta nellordine sociale determinato dalla sua nascita; lidea di aristocrazia.) (6) La promessa: nella natura delle promesse - deriva dal concetto medesimo di promessa - che le promesse debbano essere mantenute (dire: Ti prometto che verr a trovarti, ma non ho alcuna intenzione di farlo concettualmente incongruo; si potrebbe sostenere - ed stato sostenuto - che la norma pacta sunt servanda un principio costitutivo di ci che la promessa ). Importazione della promessa in ambito giuridico: autonomia privata (il contratto come scambio di promesse), diritto internazionale (trattato).

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diritto naturale: solo se riflette il diritto naturale, o comunque non se ne discosta, contrapponendosi 10 ad esso (solo se ne costituisce una derivazione diretta, o una determinazione, specificazione) . Consideriamo pi da vicino lipotesi di un diritto naturale (lidea di un ordinamento sociale naturale, secondo natura: fondato, radicato, nella natura stessa degli esseri umani, e della societ). Che cosa vuol dire, qui, 'naturale', o 'secondo natura'? Quando ci rappresentiamo un ordinamento sociale come un ordinamento naturale, ci che 'naturale' ('secondo natura') pensato, concepito, rappresentato, sotto almeno quattro aspetti. (1) Il 'naturale' viene pensato, in primo luogo, come ci che necessario: ci che non potrebbe essere diversamente da come , che non potrebbe stare diversamente da come sta. L'opposizione rilevante qui l'opposizione: necessario vs. contingente. (2) Il 'naturale' pensato, in secondo luogo, come ci che indipendente dall'intervento umano (in particolare, da attivit, decisioni e scelte umane). L'opposizione rilevante qui l'opposizione: 'indipendente dall'opera dell'uomo', 'dato', 'sorto (sviluppatosi) spontaneamente', 'sottratto 11 all'intervento umano' vs. 'frutto dell'opera dell'uomo', 'prodotto dall'uomo' . (3) Il 'naturale' pensato, in terzo luogo, come ci che genuino, autentico, non contraffatto: l'originale (ci che per cos dire senza additivi n conservanti, puro, il 'vero' x). L'opposizione rilevante qui l'opposizione fra il naturale, cos inteso, e la copia, l'imitazione, il succedaneo, il surrogato, la contraffazione, l'artificio. (4) Il 'naturale' viene pensato, infine, come ci che giusto, corretto, appropriato: ci che cos come deve essere, come giusto, bene, che sia. Un (ipotetico) ordinamento sociale naturale, dunque, pensato come un ordinamento che presenta le seguenti caratteristiche. (1) E' un ordinamento la cui esistenza, e il cui contenuto, sono necessari: un ordinamento che non potrebbe non esistere (che, cio, necessariamente esiste: non accade che ora esista, ora non esista, n avrebbe potuto non esistere), e il cui contenuto non potrebbe essere diverso da quello che (non suscettibile di mutamento: in ogni occasione lo stesso, n avrebbe potuto essere altro da quello che ). Un ordinamento, insomma, eterno e immutabile. (2) E' un ordinamento la cui esistenza e il cui contenuto non dipendono da comportamenti umani contingenti: non dipendono, cio, dall'intervento umano, da attivit, scelte, decisioni, compiute da esseri umani (in particolare, da autorit umane). Non si tratta di un ordinamento prodotto dall'uomo. (3) E' l'ordinamento sociale autentico, genuino: non un succedaneo, un surrogato, una contraffazione, bens un unicum: la 'vera' regolamentazione dei rapporti sociali, la genuina, autentica, originaria modalit di organizzazione dell'interazione sociale: l'unico 'vero' ordinamento sociale. (4) E' un ordinamento giusto, nel duplice senso di: (a) appropriato, confacente, conveniente, corretto; (b) conforme a giustizia. L'organizzazione (regolamentazione, ordinamento) naturale della societ l'organizzazione grazie alla quale la societ cos come, secondo natura, deve essere, o
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Cos, ad es. per proseguire con lesempio addotto nella nota precedente, una legge che istituisse la possibilit di matrimonio fra persone dello stesso sesso sarebbe - per coloro che condividono quelle idee - una cattiva legge, una non-legge: non sarebbe, in verit, una legge, ma una corruzione, degenerazione o perversione della legge, una controlegge. O ancora: discende - secondo alcuni - dalla natura dei rapporti fra genitori e figli che sia illecita (contro-diritto) la maternit surrogata, o la fecondazione eterologa. Una legge che consentisse queste pratiche sarebbe un contro-legge, non sarebbe autentico, vero diritto (si darebbe un conflitto, una discrasia, fra lordine giuridico positivo e lordine naturale). 11 E' questo uno dei modi pi profondi e radicati in cui possibile intendere l'affermazione che qualcosa , o avviene, 'per natura'. In questa accezione, il termine 'natura' designa "tutte le cose che non sono prodotte dall'uomo, tutta la parte del mondo che (...) non dipende dal fare dell'uomo, tutti gli enti ed eventi che (...) nascono, si sviluppano, muoiono in conformit a leggi non poste n modificabili dall'uomo". Il 'naturale' , in breve, l'insieme delle cose che non dipendono dall'uomo, e "sulle quali [l'uomo] non pu avere alcun potere" (Bobbio 1963, p. 26; questo, secondo Bobbio, il "significato profondo, originario, fondamentale del termine 'natura'").

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bene che sia (prima accezione). La giustizia il pi alto ideale, valore, delle relazioni sociali; dunque, una societ che sia cos come una societ deve, secondo natura, essere, come bene che sia, una societ conforme a giustizia (seconda accezione). Conclusione: un ordinamento sociale naturale , per definizione, un ordinamento sociale conforme a giustizia. Un ordinamento dell'interazione sociale che sia, in questo quadruplice senso, naturale (che, cio, abbia i caratteri della necessit, dell'indipendenza dall'intervento umano, dell'autenticit, della giustizia) ci che tradizionalmente viene denominato 'diritto naturale'. Le concezioni e le teorie del diritto secondo le quali pensabile, ed esiste, un diritto naturale sono comunemente denominate 12 'giusnaturalistiche' . (Le principali versioni della posizione giusnaturalistica: giusnaturalismo teologico, razionalistico, naturalistico.)

3.3 Positivismo giuridico Il positivismo giuridico , nella storia della cultura giuridico-politica, la tradizione antagonista rispetto al giusnaturalismo. La tesi centrale del positivismo giuridico, comune alle sue diverse 13 versioni, la tesi secondo cui non esiste altro diritto se non il diritto positivo . Diritto positivo, ossia: diritto che esiste perch e in quanto prodotto posto, stabilito, istituito, costituito, statuito, da esseri umani - mediante atti e decisioni (consapevoli e deliberati) o in generale comportamenti umani. Un diritto, dunque, che esiste non per natura, che non in natura, non discende dalla natura dei rapporti sociali, ma che piuttosto opera delluomo. Non v altro diritto se non il diritto positivo, ossia: lidea di un diritto naturale unidea vuota (secondo alcuni, unidea coerente, ma priva di riferimento, come ad es. il termine unicorno; secondo altri, unidea mal formata, incoerente, come lidea di un cerchio quadrato, o un ferro di legno). Il diritto - tutto il diritto - prodotto dell'attivit umana, ed , dunque, un che di artificiale (un artefatto), o convenzionale, non 14 un che di naturale, o divino . Corollario di questa tesi la tesi secondo cui esistenza e contenuto del diritto dipendono da, e sono identificabili sulla base di, fatti sociali (che cosa sia diritto pu essere stabilito sulla base della considerazione di semplici fatti sociali). Le fonti del diritto sono fenomeni sociali. Non v un ordine naturale dei rapporti sociali; lordine dei rapporti sociali dipende volta per volta, da decisioni o azioni umane, ed identificabile sulla base della considerazione di queste ultime. Un ordinamento sociale naturale pensato, come abbiamo visto nel paragrafo precedente, come un ordinamento sociale necessario, indipendente dall'intervento umano, autentico (il 'vero' diritto),
La locuzione 'diritto naturale' e il termine giusnaturalismo sono fra le espressioni pi usate in teoria del diritto; e sono anche, sfortunatamente, espressioni vaghe ed equivoche, sovraccariche di una molteplicit di significati spesso non adeguatamente distinti. Quella fornita nel testo una particolare accezione della locuzione 'diritto naturale', e del termine 'giusnaturalismo' - l'accezione centrale, o paradigmatica. E' possibile, per, rilevare o costruire anche altre nozioni di diritto naturale, e di teoria giusnaturalistica. 13 Bobbio, 1961, p. 15. 14 Cos, tornando agli esempi addotti sopra, (1) non v una natura del rapporto matrimoniale, o dei vincoli familiari, che il legislatore umano debba comprendere e riprodurre, ricalcare o specificare (se vuole che le sue leggi siano autenticamente tali, siano autenticamente diritto). La famiglia unistituzione umana, la cui configurazione dipende da scelte o comportamenti umani. Il legislatore, dunque, pu - sulla base dei valori, principi, ecc. ai quali presta la propria adesione - disegnare, progettare nel modo che ritiene pi opportuno i rapporti familiari, e il vincolo matrimoniale. (2) Non c una natura dellordine sociale che attribuisca a ciascuno il posto che egli deve occupare nella trama dei rapporti sociali. Piuttosto, sono scelte, atti o comportamenti umani a determinare, in modo consapevole e deliberato, o involontario, come sia strutturata la societ, quale sia la trama dei rapporti sociali. In particolare, lordine dei rapporti politici - chi comandi, lassetto del governo, lautorit politica - non un che di naturale (non un dato di natura che certi individui comandino e certi altri obbediscano), ma qualcosa di artificiale, costruito: non un dato immutabile, ma qualcosa che pu essere modificato, disegnato, progettato, costruito, sulla base di scelte o mediante comportamenti umani.
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giusto (corretto, e conforme a giustizia). Consideriamo ora l'ipotesi opposta, l'ipotesi cio di un ordinamento sociale non naturale (il diritto 'non naturale'). Un ordinamento siffatto ha le seguenti caratteristiche. (1) E' un ordinamento sociale non necessario, ma contingente (non in ogni occasione identico a se stesso): un ordinamento la cui esistenza e il cui contenuto sono contingenti (un ordinamento che avrebbe potuto non esserci, o avere un contenuto diverso da quello che di fatto ha). Che esso esista , semplicemente, un dato di fatto; un ordinamento non naturale , dunque, un ordinamento che pu iniziare ad esistere e cessare di esistere (pu, per cos dire, nascere e morire). Il suo contenuto avrebbe potuto essere altro da quello che di fatto ; , dunque, mutevole. Un ordinamento sociale non naturale insomma, sotto entrambi gli aspetti, suscettibile di mutamento nel corso del tempo: pu accadere che esso cambi, si trasformi, si modifichi, si alteri, e che esso venga ad esistenza, e cessi di esistere. (2) Un ordinamento sociale non naturale un ordinamento dipendente dall'intervento umano. E', cio, un ordinamento la cui esistenza e il cui contenuto dipendono da comportamenti umani contingenti: sono il risultato di attivit, decisioni e scelte compiute da esseri umani (in particolare, da autorit umane). Un ordinamento sociale non naturale , in breve, il frutto, il prodotto, dell'opera dell'uomo; ed , dunque, suscettibile di modificazione, di trasformazione, ad opera dell'uomo. Il diritto, se concepito come un ordinamento sociale non naturale, il prodotto di attivit umane: il suo venire ad esistenza, il suo cessare di esistere, e il suo mutamento nel corso del tempo, sono il risultato dell'azione umana. Da ci segue che una teoria che assuma come proprio oggetto d'indagine un ordinamento sociale non naturale (a fortiori, una teoria secondo la quale non v altro diritto se non il diritto positivo) sia una teoria dei processi di produzione (e distruzione) del diritto stesso. L'interrogativo fondamentale : in che modo, secondo quali modalit, il diritto viene prodotto, modificato, e distrutto, nel corso del tempo? (3) Un ordinamento sociale non naturale (il diritto non naturale) il prodotto dell'opera dell'uomo; , dunque, un artefatto, un che di artificiale. Un ordinamento siffatto non ha nulla dell'autenticit, genuinit, unicit, di ci che per natura (e, dunque, di un ipotetico diritto naturale): non l'unico 'vero' ordinamento sociale, ma uno fra gli innumerevoli ordinamenti sociali possibili. (4) Di un ordinamento sociale non naturale (a differenza da quanto accade nel caso di un ipotetico - ordinamento sociale naturale) non si pu affermare che esso sia, necessariamente (per definizione), conforme a giustizia. Banalmente, se esso sia o no un ordinamento giusto, nel duplice senso di: (a) appropriato, confacente, conveniente, corretto; (b) conforme a giustizia, non deciso a priori: , per cos dire, una questione aperta. Quale sia la risposta a questa domanda (se c' una risposta) dipende da quale contenuto esso abbia. Un ordinamento sociale naturale pensato come un ordinamento necessariamente giusto; una societ costituita da un ordinamento sociale naturale , necessariamente, una societ che cos come giusto, bene, che sia. Di una societ costituita da un ordinamento sociale non naturale, di contro, non detto ( una questione aperta) se essa sia una societ che cos come deve essere. E lo stesso pu dirsi degli ordinamenti sociali correlativi: un (ipotetico) ordinamento sociale naturale (il diritto naturale) un ordinamento che , necessariamente, cos come deve essere (un ordinamento necessariamente giusto). Relativamente a un ordinamento sociale non naturale (il diritto non naturale), di contro, possibile distinguere fra il diritto quale esso di fatto , e il diritto quale esso deve, o dovrebbe, essere (il diritto giusto, nel duplice senso sopra specificato). Non detto che il diritto quale esso - un particolare ordinamento giuridico non naturale - coincida, sia conforme, al diritto quale deve essere (sia cos come il diritto deve essere). Potrebbe non essere un ordinamento giusto. Orbene: un ordinamento dell'interazione sociale che sia, in questo quadruplice senso, non naturale (che, cio, abbia i caratteri della contingenza, della dipendenza dall'intervento umano, dell'artificialit, e che non sia pensato come per definizione giusto) ci che tradizionalmente viene denominato 'diritto positivo' (ripeto: diritto esistente perch, e in quanto, prodotto, e cio posto, 19

stabilito, costituito, istituito, statuito, mediante comportamenti e attivit umani) . Un (ipotetico) ordinamento sociale naturale (il - presunto - diritto naturale) un ordinamento che per cos dire c' gi, sussiste gi, dato, indipendentemente e preliminarmente rispetto a ogni intervento umano. E', dunque, oggetto di scoperta, di cognizione (non c' che da prendere atto della sua esistenza, e accertarne il contenuto), e non frutto di produzione (non deve essere prodotto, perch, banalmente, c' gi). Un ordinamento sociale non naturale (un ordinamento giuridico positivo), di contro, non c', non esiste, a meno che esso non sia prodotto, deliberatamente o meno, da comportamenti e attivit umani: non , dunque, un dato da scoprire, un che di preesistente del quale si debba soltanto prendere atto, ma, prima di tutto, un qualcosa da produrre (pu certo divenire, una volta prodotto, 16 oggetto di conoscenza; ma, prima che sia prodotto, non vi sar, banalmente, nulla da conoscere) . Riepiloghiamo. Abbiamo delineato due diverse (e, queste s, antitetiche) famiglie di concezioni del diritto: concezioni secondo le quali esiste un diritto naturale ('giusnaturalistiche') e concezioni secondo le quali non esiste alcun diritto naturale, e non v' altro diritto se non un diritto non naturale 17 (cio: positivo) (concezioni 'giuspositivistiche') .
La locuzione 'diritto positivo' (come gi la locuzione 'diritto naturale') una delle locuzioni pi usate in teoria del diritto; ed anch'essa, sfortunatamente, una locuzione vaga ed equivoca, sovraccarica di una molteplicit di significati spesso non adeguatamente distinti. Quella fornita nel testo una particolare accezione - l'accezione centrale, o paradigmatica - della locuzione 'diritto positivo'; possibile, per, rilevare o costruire anche altre nozioni di diritto positivo. Per orientarsi, pu essere utile riportare qui un passo, particolarmente perspicuo, di G. Tarello (1977, p. 205): "In latino medievale si chiamato ius positivum il diritto che stato posto, e prodotto, o imposto, da un soggetto individuato, per contrapporlo a quel diritto che non stato posto da nessuno ma iscritto nella natura, nell'ordine naturale delle cose, e che si chiamava - con una locuzione antichissima - jus naturale. Si chiamato cos 'diritto positivo umano' quello posto da un'autorit umana, e 'diritto positivo divino' quello posto da Dio per via di comando diretto (non, cio, indirettamente per il tramite della 'natura'). In tempi pi recenti, si considerato il diritto 'naturale' come diritto 'ideale' (cio come insieme di ideali giuridici), ed il diritto 'positivo' stato correlativamente inteso come quel diritto che (invece di avere la qualit di ideale) ha la qualit di 'reale' o 'effettivo'. Con le concezioni politiche statalistiche nell'Ottocento, per diritto reale e effettivo, cio 'positivo', si indicato il diritto proprio dello Stato, e si sostenuto che 'positivo' aggettivo pleonastico nel senso che non esiste altro diritto che quello positivo, cio statale. Pi o meno nello stesso periodo si affermarono taluni modi di pensare secondo cui la societ stessa genera diritto, che pu essere scientificamente (nel senso delle scienze naturalistiche) individuato: questi modi di pensare si espressero nelle filosofie dette positivistiche, e nell'ambito di queste filosofie si svilupparono dottrine giuridiche, i cui sostenitori chiamavano 'diritto positivo' quello che espressione della societ stessa (anzich quello 'posto' dallo Stato). Si vennero cos moltiplicando degli equivoci terminologici (...)". Cfr. inoltre, per una caratterizzazione sommaria della nozione di diritto positivo, Scarpelli 1989, pp. 461-4. 16 La locuzione 'positivismo giuridico' anch'essa, come le locuzioni 'diritto naturale' e 'diritto positivo', sovraccarica di significati spesso non adeguatamente distinti (cfr. per un primo orientamento (Bobbio 1961; Nino 1980, cap. 1; Scarpelli 1989, pp. 464-7). In estrema sintesi, "ci che caratterizza il positivismo giuridico lungo tutta la sua storia la considerazione del diritto (...) sotto specie di qualche cosa che stato prodotto, di un oggetto e di un effetto di una produzione umana, storica, convenzionale, se non addirittura artificiale"; "la differenza fra l'atteggiamento di fronte al diritto di un positivista e quello di un non positivista (...) si pu ridurre alla contrapposizione fra la considerazione del diritto come un prodotto e la considerazione del diritto come un dato. Positivista colui che crede fermamente che il diritto non esiste in natura, non esiste nella societ, e pertanto non si tratta di scoprirlo o di rivelarlo, ma ogni volta l'espressione di un'attivit umana cosciente (ma anche incosciente), e si tratta tutt'al pi di interpretarlo, tenendo presente a ogni modo che anche l'interpretazione a sua volta un'opera di creazione o di ricreazione permanente" (Bobbio 1981a, pp. 91-2). In altri termini, per il positivismo giuridico "il diritto qualche cosa di 'prodotto' dall'uomo, non esiste in natura": "diritto nel senso proprio della parola [] soltanto il diritto positivo"; dunque, "concetto fondamentale della teoria del diritto [] il concetto di produzione giuridica" (Bobbio 1981b, pp. 561-2). 17 Si noti: condizione necessaria e sufficiente affinch una teoria del diritto possa essere qualificata come 'giusnaturalistica' che essa affermi l'esistenza di un diritto naturale (un diritto, cio, concepito come necessario, indipendente dall'intervento umano, autentico - il 'vero' diritto -, e giusto). Non necessario, n abitualmente accade, che essa neghi l'esistenza di un diritto positivo, gerarchicamente subordinato al diritto naturale. Di contro, s necessario, ma non sufficiente, affinch una teoria del diritto possa essere qualificata come 'giuspositivistica', che essa affermi l'esistenza di un diritto positivo; necessario, altres, che essa neghi l'esistenza di un diritto naturale, gerarchicamente sovraordinato al diritto positivo (il diritto che , cos come deve essere). In breve: il giuspositivismo esclude l'esistenza di un diritto naturale. Certo, il positivismo giuridico pu ammettere - e di fatto molti giuspositivisti
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Il conflitto fra giusnaturalismo e positivismo giuridico uno dei conflitti teorici cruciali, forse il conflitto teorico cruciale, dell'intera storia della riflessione teorica sul diritto. (Le sue origini 18 risalgono alla controversia fra i Sofisti e Platone .) Ma il tema di questo corso non l'antitesi positivismo giuridico vs. giusnaturalismo, ma la coppia 'positivismo giuridico' e 'neocostituzionalismo'. Abbiamo visto, sommariamente, cosa sia il positivismo giuridico (e il giusnaturalismo). Ma che cosa il neocostituzionalismo? ('Neocostituzionalismo': una nuova forma di costituzionalismo. Ma che cosa il costituzionalismo? E in che cosa consiste l'elemento di novit?) Per comprendere che cosa sia il costituzionalismo, e in particolare il neocostituzionalismo, occorre assumere una prospettiva storica. Prenderemo, dunque, le mosse da una caratterizzazione (anchessa alquanto sommaria) del costituzionalismo moderno (in particolare, settecentesco), per poi soffermarci su (1) una particolare forma di organizzazione giuridico-politica, caratteristica dellEuropa continentale nel corso dellOttocento, il c.d. stato di diritto; (2) un processo che contestualmente allaffermazione dello stato di diritto - ha segnato in modo decisivo la cultura giuridico-politica dellOccidente (in particolare, dellEuropa continentale) a partire dal XIX secolo: la codificazione del diritto.

Riferimenti bibliografici Bobbio, N. 1961 Il positivismo giuridico, Giappichelli, Torino. Bobbio, N. 1963 Locke e il diritto naturale, Giappichelli, Torino. Bobbio, N. 1981a Le fonti del diritto in Kelsen, in Bobbio, Diritto e potere, ESI, Napoli 1992. Bobbio, N. 1981b Kelsen e il problema del potere, "Rivista internazionale di filosofia del diritto", 58. Comanducci, P. 1992 Assaggi di metaetica, Giappichelli, Torino. Guastini, R. 1994 Diritti, in R. Guastini, Distinguendo. Studi di teoria e metateoria del diritto, Giappichelli, Torino 1996. Guastini, R. 2001 Il diritto come linguaggio. Lezioni, Giappichelli, Torino. Nino, C. S. 1980 Introduzione all'analisi del diritto, Giappichelli, Torino 1996. Protagora, Testimonianze e frammenti, in I sofisti. Testimonianze e frammenti, a cura di M. Untersteiner, fasc. I, La Nuova Italia, Firenze 19612. Scarpelli, U. 1989 Il positivismo giuridico rivisitato, "Rivista di filosofia", 80. Searle, J. R. 1999 Mind, Language and Society. Philosophy in the Real World, Phoenix, London.
ammettono - che vi siano principi, valori, standard, criteri morali o etico-politici cui il diritto positivo deve conformarsi (un ideale di ci che il diritto deve essere). Ci che esso nega che questi principi, ecc. (che il giusnaturalista, dal canto suo, chiamerebbe diritto naturale) siano diritto. Che cosa sia, o non sia, diritto valido non dipende (non direttamente, almeno; infra, ) da essi. 18 Si consideri il seguente frammento di Protagora (uno dei pi importanti Sofisti): "quello che ad ogni citt appare giusto e bello, codesto anche , per quella citt, giusto e bello, finch essa lo sancisca come propria legge" (Protagora, fr. 21a, p. 55; da Platone, Teeteto, 166d - 167d).

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Tarello, G. 1974 Diritto, enunciati, usi, Il Mulino, Bologna. Tarello, G. 1977 La nozione di diritto positivo, in Tarello, Cultura giuridica e politica del diritto, Il Mulino, Bologna 1988.

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