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ESSERE E PAROLA Virgilio Melchiorre

LESSERE
La filosofia si interroga sullessere. Tuttavia lessere non appare come tale, ma nella forma o nella presenza dellente. La storia del pensiero occidentale si dibattuta tra queste due proposizioni cercandone la coerenza reciproca o affermandone lincompatibilit e lopposizione. Questultima dovrebbe stabilirsi a partire dalla seconda proposizione intesa come lasserto della sola esperienza possibile, quella del determinato in s e per s. In questa prospettiva, la prima proposizione dovrebbe apparire come un non senso e la stessa dizione dellessere risultare equivoca: lessere infatti non pu intendersi come un attributo che si aggiunge ad un che di determinato; ogni determinazione gi in se stessa . Non sarebbe corretto con ci affermare che lessere appare nella forma dellente, appunto perch lessere non altro dallente, ma semplicemente il suo modo di determinarsi in un senso o nellaltro. Ma il termine essere non vale semplicemente come copula predicativa e anzi questa suppone un significato pi originario della parola, quello che appunto dice dellesistere o dellessere presente di una determinazione. Non si pu quindi dire semplicemente che qualcosa esiste o che presente: questo esistere si d in relazione al suo non essere e ne in qualche modo costituito. Come intendere il non essere? Se intendiamo nulla, lessere si risolve in ci che esiste, ma con la contraddizione di un emergere da nulla: lessere o lesistere sarebbero, allorigine, identici a nulla. Se intendiamo qualcosaltro, si deve riconoscere che lessere va predicato al di l di ci che appare, con una comprensione maggiore di ci che esiste o si presenta: qui lessere non si d come tale, ma resta velato nella forma del non essere o dellassenza. Il problema si ripropone anche in senso orizzontale. Ci che chiamiamo ente non si d mai solo in s: lesperienza di ogni determinazione non sta mai per s sola; ogni determinazione si lascia sperimentare in relazione ad altre determinazioni che essa non che come tali la costituiscono. Lessere di una determinazione quindi non si d semplicemente, ma in relazione al suo non essere. Lesperienza del reale originariamente esperienza di una totalit di determinazioni nel cui contesto qualcosa si evidenzia in modo pi o meno determinato. Dunque non basta dire dellessere come della semplice copula per questo o quel giudizio di determinazione: in ogni determinazione converge un insieme di altre determinazioni. Ma, se fra determinazione e determinazione non si d una qualche unit dessere dovremmo postulare una differenza assoluta fra determinazione e determinazione. E allora lassolutamente diverso sarebbe costitutivo della sua alterit: il non essere come nulla sarebbe il fondamento delle singole determinazioni e del loro stesso coerire. Ci si deve quindi chiedere se la reciproca costituzione dei diversi non debba piuttosto fondarsi in unidentit ricorrente, che diversamente appare e diversamente si distribuisce: unidentit che in tal senso non andrebbe pensata in termini metafisici e che, tuttavia, non si lascerebbe ridurre neppure al mondo delle determinazioni considerate in se stesse. A questo fa pensare la stessa grammatica della parola ENTE. Per un verso la parola ha valore nominale e, in quanto tale, nomina un essente (che questo piuttosto che quello). Ma, per altro verso, la 1

parola si d come un participio e, in quanto tale, dice di una partecipazione, di un essente che nellessere e per lessere. I due significati si costituiscono reciprocamente. Emerge la negativit in cui si d lesperienza dellente o della semplice determinazione: il fatto che lessere ci si manifesti immediatamente come essere della determinazione e che questa determinazione non sia mai in s e per s comprensibile, ci spinge al rilievo di una correlazione di realt che non riducibile al semplice coesistere o alla somma dei diversi. Una unit dessere, in s non costituita da alcun non essere, sembra dunque indicarsi nellintimit e nella negativit di ogni determinazione. Lesserci, il manifestarsi di ogni realt, pongono il problema dellex-sistere e questo il problema dellessere come tale, dellessere che si definisce semplicemente in opposizione, e non in correlazione, al non essere. Comunque la domanda sullessere viene sempre posta allinterno di un orizzonte determinato: lesperienza, come esperienza del determinato non pu essere trascesa; pu per essere portata a fondo ed esplorata in tutti i suoi nessi. (1.1) La determinazione pu non essere considerata in se stessa. In questo caso, il discorso sullessere si dispiega nellastrazione. La determinazione resta come tale sullo sfondo della domanda e agisce con le sue connotazioni generali con la sua presenzialit e la sua determinatezza: essa vale in quanto determinazione, non in quanto questa o quella determinazione e spinge a porre la domanda sullessere. Ma la determinazione pu essere considerata prevalentemente in se stessa e in questo caso la domanda non verte direttamente sullessere come tale. La filosofia diventa allora antropologia, estetica, cosmologia, ecc. Tuttavia tutte queste modalit della filosofia sono filosofiche in quanto mettono in tensione il proprio campo specifico con la domanda sullessere. Ci che qui interessa della determinazione il suo manifestarsi come luogo della domanda, il suo consistere come modo dellessere in quanto tale. (1.2) Lessere come tale, proprio per la sua ultimit e per il suo apparire come il comune di ogni determinazione, non giustificabile altrimenti che con se stesso. Ci che assolutamente e ultimamente comune pu essere detto solo con una tautologia: lessere lessere. Questa tautologia pu essere spinta a rivelare un suo significato proprio dal fatto che essa esprime una ultimit comune. Dellessere non si pu dire altro che e che con esso o in esso si riconosce quanto si manifesta nella presenza. Questa tautologia pu manifestare il suo valore in opposizione a quel che dellessere indicibile: il nulla o il non essere. La proposizione lessere si illumina con limpossibilit della sua contraddizione. Lessere non pu non essere. Lessere si oppone al non essere. Lesperienza dellessere si manifesta cos come negazione della negazione. Quando lessere appare, appare come negazione del non essere: il nulla non pu essere, semplicemente non . (1.3) Si deve per vedere se questa proposizione ha un significato reale sul piano dellessere come tale. Lesperienza sembra darsi sempre e solo come esperienza di questa o quella realt. E, allora, la formulazione pi corretta del principio dellessere dovrebbe dire: lente che , mentre , non pu non essere. Il che poi corrisponde alla formula pi circostanziata del principio di non contraddizione. La proposizione sullessere sarebbe una proposizione sullente ed una proposizione di tipo ipotetico: se un ente , mentre e finch , non pu non essere. In termini universali e comuni questa ipotetica non potrebbe allora garantire la salvaguardia dellessere: immediatamente essa sembra anzi garantire soltanto ci che ,

mentre ; il sopravvenire del non essere imporrebbe di conseguenza che ci che ora non sia. Tutto questo varrebbe sulla base del presupposto che lessere e lente siano lo stesso e che lesperienza dellessere sia solo lesperienza di un apparire o di un non apparire dellente. In tal caso la pretesa della filosofia sarebbe persa e non avrebbe senso chiedersi se nellessere come tale si trovi limpossibilit del nulla. Occorre approfondire lesperienza dellente. Ci che ora prima non era. Ci che era, ora non pi: cos sembra risuonare lesperienza comune, lesperienza sempre relativa allessere dellente, allessere colto come diveniente. Se quanto viene allessere viene dal non essere o dal nulla, allora dobbiamo anche dire che il nulla come tale pu essere: essere e non essere sono dunque identici? Negare lesperienza del divenire significherebbe asserire che la nostra esperienza dellente coglie solo in apparenza il divenire. Si dovrebbe allora dire che quanto viene percepito , in realt, solo una serie di diversi: non una successione ed un mutarsi del medesimo, ma una successione o una contiguit dei molti, tutti ugualmente compiuti ed immobili. Che questa molteplice diversit sia un divenire sarebbe appunto una mera apparenza. Resterebbe pur sempre un divenire dellapparenza o della coscienza che sempre uguale a se stessa e che tuttavia in questa identit via via diversamente determinata. La figura del cogito cartesiano esemplare: il dubbio radicale deve riconoscersi impossibile, deve passare nella certezza che almeno il dubitare indubitabile; questa certezza, che ora, per possibile solo in forza dellaver gi dubitato; se il dubbio radicale dato a coscienza non dunque pi un dubitare, ma un aver gi dubitato, un non essere di ci che era ed un essere di ci che non era. Il divenire, quale unit di essere e di non essere, non sembra contestabile. Il dato dellente in divenire e quello del principio che presiede ad ogni dato sono entrambi necessari: devono cio essere reciprocamente compatibili. Questa compatibilit esige allora una ulteriore revisione dei nostri dati: essi sono venuti a parola, ma le parole sembrano entrare nel circolo della contraddizione. Lessere e il non essere dello stesso ente si succedono; in quanto costituiscono la successione del medesimo, sono anche identici. E appunto questa identit che sembra insostenibile: lidentit dellessere col non essere. Il principio dellessere esige che solo lessere sia: il non essere dellente non pu pertanto essere un nulla, ma lessere stesso. Se lente succede, succede allessere; solo lessere condizione del suo stesso apparire. Daltra parte si deve tener fermo che lente succede al proprio non essere. La via una sola: quella che pone allorigine lessere e che considera lente come una determinazione di un intero dessere che lo comprende e lo determina in s e , determinandolo, lo costituisce e insieme lo trascende. Il non essere dellente ,dunque, lessere stesso nella propria assoluta purezza. Lente il non essere dellessere in quanto determinazione che si distingue da s: in questo suo distinguersi essa non era, ma questo suo non essere era la multiforme e pi ampia ricchezza dellessere. Questa continuer a vivere nellente preso a s, ma solo negativamente o relativamente: lente era nellessere, ma non nella forma della propria e distinta determinatezza; in questa forma a se stesso come dal proprio non essere, ma questo non essere proprio corrisponde allessere stesso che nellente si definito e determinato. La determinazione una negazione, ma solo in quanto costituita da una alterit. Il concetto di determinazione come negativit di un positivo pu essere tradotto in quello di esistenza: lex-sistere, come un sistere-in-forza-di, come un con-sistere. 3

La negativit del divenire dunque solo una forma di relazione: una relazione che fa esistere lente in s ma che ad un tempo lo ricomprende nellessere. Il non essere dellente tale per lente, ma in se stesso lessere stesso. E lente in se stesso solo come una negazione o come una maschera in cui la totalit dellessere negativamente e costitutivamente presente. Lessere in quanto tale ora si rivela come reale in se stesso, come relativamente altro dallente, anche se presente in tutti gli enti, come la trascendenza o la relazione in cui tutte le negativit ontiche si risolvono: logos cui tutto si riferisce e in cui ogni cosa ha senso, relazione di tutte le relazioni. (1.4) C una originaria differenza ontologica che distingue lessere dallente o, meglio, l Essere dalla totalit ontica. Tutte le determinazioni si distinguono realmente fra di loro e ad un tempo tutte partecipano di unidentit-diversit che le fonda ed insieme le trascende, che ogni volta pu determinarsi in una forma assolutamente nuova, in una nuova distribuzione delle relazioni e dei nessi. Parlando dellesperienza percettiva, Hegel affrontava la questione del non essere in cui ogni realt, presa in se stessa, appare costituita. La contraddizione viene per a cadere solo che il non essere sia inteso come relazione e partecipazione allessere dellaltro: sotto un unico e medesimo riguardo, loggetto piuttosto il contrario di se stesso: per s in quanto per altro, ed per altro in quanto per s. Che lente sia il suo contrario non va inteso nel senso dellidentit assoluta, ma nel senso della relazione. Lente il suo contrario in quanto ad un tempo per s e per altro. Lidentit relazionale vince cos la contraddizione dellente che, stando per s solo, nel proprio divenire e nella propria definitezza sarebbe costituito dal nulla: il non essere che lo precede e lo definisce sarebbe infatti equivalente a nulla. Ma lidentit relazionale vince anche la contraddizione opposta, quella dellente che si risolvesse nelle determinazioni di un altro ente o di una somma di enti: in questo caso tutte le differenze sarebbero impossibili. Le due contraddizioni sono evitate solo lasciando emergere unidentit che in se stessa esige e pone le differenze, che in esse si esprime e ricorre, senza mai esaurirsi in nessuna determinazione, ma anche senza mai negare la consistenza di alcuna determinazione. Lanalisi fenomenologica pu render conto di ogni ente rinviandolo ad un intero ontico, ma questo rinvio non basta a spiegare lidentit e la genesi dellente. Il convergere di pi enti o di pi determinazioni ontiche pu infatti esprimersi in un novum, la realt e lidentit di questo novum possono essere garantite soltanto se quel convergere implica una relazione fra le diverse componenti. Tale relazione pu essere intesa come estrinseca, ma allora il novum solo relativamente un novum e comunque non pu scaturire dai termini stessi della relazione, in se stessi: la causa o le cause materiali non sono tuttuno con la causa efficiente e neppure hanno in s la formalit in cui si traducono. La forma costituisce lessenza stessa, lidentit pi propria di un ente. Ci vuol dire che la materia preesistente produttiva di un novum solo in quanto intrinsecamente connessa con la formalit di questo. Le diverse componenti di un insieme si trascendono in un novum solo se la loro relazione pu essere intrinsecamente riferita e tradotta verso la formalit di quel novum: una relazione che mantenesse le diversit originarie non darebbe mai luogo alla reale identit di un novum. In definitiva, solo la reciproca ed intrinseca relazione fra cause materiali e cause formali pu render conto della costituzione di un reale novum. Il passaggio dalla materia delle forme originarie alle nuove forme non sarebbe per possibile senza una causalit efficiente che sia orientata e che orienti verso quelle nuove forme. Occorre che quelle forme che non sono ancora in essere siano tuttavia nella loro formalit gi presenti nellessere e, poich non lo sono se non divisamente nelle materie esistenti, devono

esserlo in una unit originaria che d conto sia dellesserci dellesistente, sia del suo intrinseco disporsi allaltro da s. Si tenga fermo lasserto che rinvia allunit originaria dellessere e al suo dispiegarsi o al suo differire nellente. E la differenza implica una trascendenza ma anche a una partecipazione. Ogni ente ripete in s la totalit dellessere, ma in un modo determinato, come una determinazione della medesima sostanza. Quando lente appare e quando trapassa, appare e trapassa in quella medesimezza in cui nessun non essere possibile. Tutto, dunque, come indefinita ripetizione, ma ad un tempo tutto nella propria forma e nella propria determinazione, come il novum in cui lintero converge e in cui il medesimo si distingue ed : un novum reale, ma sui generis, che emerge cio non come incremento dellEssere, ma come una sua parzialit, come una sua presenza ma anche come una sua mancanza. In tal senso, il medesimo continua a distinguersi da ogni ente, dalla stessa somma degli enti. (1.5)

LA TRASCENDENZA
Il discorso dellessere ha ritrovato la sua consistenza nellasserto originario e in quello del suo differire. Lessere di ogni ente non che lapparire di una determinazione dellEssere. Il fondamento, il Logos, ha trovato il suo nome indeterminato nellEssere proprio in quanto condizione di possibilit per lapparire o per lessere di ogni ente. Il rapporto fra Essere ed ente ha dovuto indicarsi nel senso di una differenza ontologica, che tuttavia mantiene pur sempre limmanenza dellEssere allente: lessere dellente non pu intendersi che come il manifestarsi stesso dellEssere. Se questa immanenza dellEssere allente va intesa come un rapporto di assoluta reciprocit, tutto quanto determina lente costituirebbe un predicato dellEssere, sicch mentre si deve dire che lente non senza lEssere, si dovrebbe dire ad un tempo che lEssere non senza lente e senza la totalit delle determinazioni dellente. Limmanenza, la differenza ontologica NON E un rapporto di assoluta reciprocit, altrimenti lessere sarebbe soggetto di ogni determinazione. La trascendenza dellEssere viene a precisarsi come unalterit che non necessariamente si partecipa dellente. In tal caso, per, lente rester con una sua oscurit insondabile, con una sua ultimit di senso inafferrabile: il finito non potr mai dileguare, non potr essere ricompresso assolutamente nellinfinito. (2.1) La negativit di ogni ente ha dovuto precisarsi come un non essere relativo, infine come una positivit determinata, come un senso dellessere e quindi come un rinvio nella radice dellEssere. Almeno in un caso, lanalisi dellente sembra impedire questa conclusione (del negativo come positivit determinata): si tratta dellesperienza umana dellerrore e del male. Errore e male sembrano riportabili ad un comune denominatore, quello della contraddizione: lerrore, sul piano conoscitivo, e il male, sul piano pratico, affermano ci che non e che non pu essere. Non si pu pensare il non essere come essere e tuttavia ci che non si pu pensare viene pronunziato e detto in giudizi che pretendono lassenso. La storia del pensiero registra per vie diverse il tentativo di dichiarare lirrealt dellerrore e del male. Se alla coscienza delluomo fosse chiara la contraddittoriet di unidea o di un atto, essa non potrebbe n sostenerla, n volerla. E allora ci che essa sostiene o vuole 5

senza la coscienza della contraddizione non ancora n errore n male: un semplice non sapere o una semplice mancanza che restano in se stessi finch il loro superamento non li dichiari irripetibili, pena la contraddizione. La contraddizione, dunque, sarebbe affermata quanto stata gi superata, quando ormai non pu essere altro che una ipotesi. La coscienza di colpa, il rimorso, ecc., sembrano attestare questa contraddizione, ambigua e mai tematizzata chiaramente. La realt della contraddizione irrecusabile. La contraddizione consiste proprio nellimpossibilit del senso, nellimpossibile copula dellessere col non essere: dobbiamo dunque parlare del contraddittorio come dellirrazionale, come di ci che non ha ragion dessere e che tuttavia . Questo non significa che dellirrazionale non si possa dare una qualche ragione. Ma la risposta sullessere dellirrazionale resta in attingibile. Questa inattingibilit stata indicata da P. Ricoeur con la distinzione fra eidetica ed empirica: dellirrazionale non pu darsi uneidetica, un rilevamento di senso, anche se pu darsi una descrizione constatativa, una empirica. Resta linesplicabilit intrinseca di ci che si palesa come irrazionale, come contraddizione di senso. (2.2) Lessere dellente ha, in generale, il suo senso nella suprema ed assoluta positivit dellEssere: questo non , per, il caso dellirrazionale. Quando parliamo di contraddittorio e di irrazionale, non possiamo esprimerci che in termini relativi. Una contraddizione assoluta non sarebbe pi tale perch avrebbe annullato ci che contraddice. Una irrazionalit assoluta non sarebbe pi tale, perch non ci sarebbe pi nessuna razionalit che possa indicarla come irrazionale. E tuttavia la contraddizione vive di una intenzionalit assoluta: tende a sopprimere la relativit che la costituisce e la giudica; tende a proporsi come un attributo proprio dellEssere o a rifiutare la propria relativit come una relazione di pura alterit. Tutto questo non pu accadere: lEssere nella sua positivit assoluta non pu affermare per se stesso che ci che non , non pu volere ci che non pu essere. Lente che portatore della contraddizione non pu dunque essere riconosciuto quale modalit dellEssere. Si deve dire quindi che una alterit assoluta si interpone fra lente e lEssere. Possiamo anche dire che se da una parte la coscienza della contraddizione ha la sua condizione di possibilit in una originaria relativit, in una originaria appartenenza allEssere, dallaltra parte, lessere della contraddizione esige una alterit dellEssere: lEssere non in questo caso altro soltanto rispetto allentit dellente, lo anche rispetto allex-sistere dellente. Se questa radicale differenza non fosse, lesserci sarebbe nella sua negativit sempre e soltanto una determinazione dellEssere. E, sul piano della coscienza finita dellessere, la negativit si darebbe solo come un non sapere o come coscienza di non sapere: non potrebbe mai darsi come un sapere che afferma di sapere ci che non sa o come un volere che vuole ed agisce per ci che non . Lesserci delluomo non si definisce in se stesso, ma nella totalit delle relazioni finite. Lirrazionalit che luomo deve riconoscere nella propria storia sembra dunque estendersi anche alla totalit delle relazioni finite: una negativit irriducibilmente negativa sembra cos attribuibile ad una totalit o ad un mondo di enti. (2.3) Si trova cos una doppia dimensione ontologica. Per un verso lente non che una determinazione dellessere: la sua realt partecipa ultimamente della stessa realt dellEssere. Per altro verso v una negativit dellente che non pu corrispondere ad una qualche determinazione dellEssere: la sua potenza di negazione e di contraddizione sta solo nellente. Questo, dunque, non rispetto allEssere in una posizione di reciprocit espressiva: non costituisce e non pu costituire una necessaria determinazione dellEssere. 6

Laffermazione di una trascendenza o di una alterit dessere pu permetterci di indicare la condizione o lo spazio possibile per questa potenza del negativo. Se lente viene costituito a s, se il suo essere non una necessit dellEssere, ci che gli proprio e lo caratterizza appartiene alla sua finitezza, al suo principium individuationis: la pulsione al s, al proprium individuationis cos primaria ed implica in se stessa una separazione. Si pu dire in tal senso che la pulsione a s naturalmente atea. Questa pulsione non coinvolge mai la sola identit del s: nessun ente solo per s, ma sempre per altro. La pulsione a s, in quanto primaria, pu allora diventare una forza di convergenza e di appropriazione dellintero ontico. Si pu dire, per contro, che lente di cui parliamo, pur non costituendo una determinazione immanente allEssere, ha tuttavia il suo senso ultimo nellEssere stesso: nellente o nellesserci in cui si disveli la notizia dellEssere, si costituisce allora anche una pulsione metafisica, una pulsione che per la sua radicalit informa ed attraversa lintero ex-sistere di questente. Tale lesserci delluomo. Ma anche con questo resta che la pulsione specifica della finitezza sta nel proprium individuationis: il metafisico nelluomo pu essere cos coniugato pur sempre solo in tale direzione; comunque sempre esposto alla possibilit che tenta di dissolverlo e di identificarlo appunto nella prepotenza del s che cerca se stessa. La contraddizione fondamentale pu dunque insinuarsi nel gioco di queste pulsioni opposte ed insieme convergenti: pu insinuarsi in forza della pulsione specifica, preponderante nella finitezza e si costituisce come la formalit essenziale di ogni contraddizione. (2.4) In quanto costituito dalla propria finitezza, luomo non pu (e non deve) sottrarsi alla propria individuazione: questa implica una pulsione radicale verso se stessa. Tuttavia, se questa pulsione specifica di ogni ente, nelluomo a sua volta specificata dalla tensione opposta, quella che si apre e si dirige sullEssere. Lapprodo alla trascendenza passato attraverso la questione delletica. La coscienza della contraddizione ha la sua condizione di possibilit in una originaria appartenenza allEssere: se in generale si pu ripetere con Cartesio che il sapere del finito si costituisce sullidea dellInfinito, si deve affermare pi in particolare che il discernimento fra vero e falso si costituisce nel riferimento allincontraddittoriet dellEssere e che la confessione del male si costituisce a sua volta sullimperativit dellEssere come Bene. LEssere non pu darsi a questo riguardo che in senso imperativo: la realt del male attesta infatti che il nesso col Bene solo un nesso possibile, quindi non un essere ma un dover essere. La trascendenza dellEssere si fa cos presente nella contraddizione delluomo (via negotionis), ma in questa si annunzia ad un tempo e positivamente come un imperativo. LEssere dunque come il differire stesso, come loriginario che, nel porre, raccoglie e custodisce i differenti nella loro connessione, nella loro reciprocit analogica. LEssere che non sta in s o che sta in s proprio mentre differisce e si dona. Luomo e la sua costitutiva relazione allEssere sono criterio e fondamento di verit, ma anche criterio di discernimento esistenziale: da questo lato lEssere si d appunto nel senso di imperativo etico. Nella sua portata trascendentale, limperativo si traduce nel comando della comunione e del raccoglimento etico della diakonia o del servizio, il cui fine appunto lessere dellaltro. Laltro non soltanto luomo, anche ogni cosa. La pulsione al s, al proprium individuationis, poteva spingere in senso contrario: non alla partecipazione, ma allappropriazione e allavere come principio primo. Solo nellesercizio della diakonia il s e il suo proprium sono sottratti alla contraddizione: nel loro perdersi sono salvati e nel custodire sono a loro volta custoditi. Al fondo di questo apparente paradosso sta la struttura relazionale dellessere: il senso di ogni determinazione e dunque anche la sua tensione esistenziale stanno nellin s della determinazione ma insieme e nello stesso tempo nellaltro da s. 7

Il volto in cui si fa presente la trascendenza dellEssere cos quello che si traduce nel rapporto etico: una presenza che nella sua assenza esige una decisione ed invoca una responsabilit.Tale il modo dessere della persona. Il riferimento allEssere viene considerato come il principio che garantisce dallerrore e dal male. Se il proprium delluomo sta nellessere conoscenza (apertura conoscitiva), il potere della decisione etica deve ogni volta tradursi in una decisione per la verit. E la verit vale come un disvelamento che lascia apparire, che manifesta lessere della cosa. Quando dunque diciamo che limperativo etico chiama alla diakonia, dobbiamo anche riferirci ad una diakonia per la verit: porsi per la verit dellaltro in definitiva operare perch il suo essere sia custodito ed insieme svelato. Custodire disporre le condizioni in cui laltro possa tenersi alla sua essenza. Ma lessenza resta un possibile che attende di venire alla luce e che come tale sempre pi comprensivo e sempre ancora non dato rispetto al suo esserci: lopera che dispone per la custodia deve porsi anche come opera di disvelamento, come condizione per il dispiegarsi dellaltro. La diakonia per la verit diventa custodia in cui lessere dellaltro viene a se stesso. Lessere di una realt non un semplice in s, ma proprio in quanto essere, rinvio e a sua volta essere-in-altro: la custodia che svela e lo svelare che custodisce sono cos, prima di tutto, un disporre al raccoglimento dellessere, alla partecipazione ed alla comunicazione. Paradosso delletica: trasgredirsi nellaltro ad un tempo donare allaltro la possibilit di trasgredirsi in me; custodendo si custoditi, mentre restando nel proprio come perdersi nella notte o nel sonno della verit. La trascendenza dellEssere viene dunque a presenza nellimperativo della verit, nelletica intesa come etica del rinvio. (2.5)

LINTENZIONALITA DELLESSERE
Con quali modalit il pensiero delluomo pensiero dellEssere? LEssere in quanto tale non pu costituire un oggetto della coscienza; in particolare, e proprio in quanto fondamento, non pu costituirlo per un pensiero di tipo dimostrativo. Dimostrare significa che qualcosa derivato o che affermato come reale solo al termine di un processo cognitivo. Lessere di ci che dimostrato costituisce, prima della dimostrazione, una semplice ipotesi e deve trovare la sua realt nel rigore o nella fondatezza della dimostrazione. Ma qui, ci che allinizio verrebbe posto come una semplice ipotesi il fondamento stesso, la garanzia di ogni essere e quindi dello stesso pensare. Porre, dunque, ad ipotesi lessere del fondamento significherebbe rendere infondato lintero processo cognitivo. Ogni pensiero, nellistante stesso in cui inizia a svolgersi, suppone gi lultimo fondamento di senso e lultima garanzia: questo inderivabile e sempre gi dato nellessere del discorso. Non si pu dire in senso proprio che lEssere possa darsi come un oggetto per la coscienza, se per oggetto intendiamo ci che viene posto-di-fronte, ci che compreso come altro rispetto alla coscienza. LEssere come senso e fondamento di ogni realt in quanto tale lintimit pi profonda della stessa coscienza, inseparabile dalla coscienza come da ogni altra met. (3.1) La tensione allEssere non pu dunque raccogliersi n in un movimento dimostrativo, n in un processo di obiettivazione: resta solo il campo dellintuizione prima. Se la certezza vuol coincidere con la verit, occorre che lintuizione medi se stessa con la propria insuperabile immediatezza. Questo processo autofondativo, questa mediazione dellimmediato un 8

semplice circolo della riflessione: il sapere assoluto non ultimamente dimostrativo, ma riflessivo. Questa riflessivit autofondativa pu essere intesa anche come una fenomenologia trascendentale dei contenuti intenzionali. La distinzione fra soggettivo ed oggettivo interna allintenzionalit della coscienza: la coscienza sempre coscienza dellessere e dei modi con cui lessere si presenta nella coscienza; lessere tuttavia non dato che nellorizzonte della comprensione coscienziale e quindi sempre e solo nel senso con cui la coscienza lo porta a presenza. Questunit coscienziale dessere e di pensiero appunto ci che chiamiamo realt intenzionale. La riflessione sullessere non ha bisogno, per giungere alle proprie condizioni di possibilit, di cedere ad un moto di oggettivazione: riandando ai propri contenuti intenzionali e alla reciprocit di soggettivit ed oggettivit in essi contenuta, pu cogliere la propria appartenenza allEssere, come alla propria originaria condizione di possibilit. Si parla di fenomenologia trascendentale in quanto qui viene raggiunta la condizione suprema e sempre necessaria di ogni vita intenzionale. (3.2) Limmediata cognizione del non essere veniva portata allassoluto, ma questa ipotesi si manifestava come autocontraddittoria ed esigeva che il non essere fosse affermato come relativo e che questa relativit si riferisse ad una originaria presenza dellEssere. Lesperienza immediata del finito si autofondava come relativa attraverso lipotesi della propria assolutezza: la contraddittoriet di questa ipotesi era dichiarata dallimprenscindibilit dellesperienza del non essere e ad un tempo dallimpossibilit di intenderla come assoluta e come reale. Lesperienza immediata si mediava cos con se stessa. E nella sua immediatezza coglieva insieme il referente primo: lEssere. A sua volta, la primitivit dellEssere era mediata dallimpossibilit di assumere la coscienza del non essere nei termini puri dellessere. Si pu cos parlare di due movimenti riflessivi concentrici, ove il soggetto della riflessione si media con lesclusione del proprio opposto. Il circolo della riflessione originaria va ripreso nel pi concreto dispiegarsi intenzionale. Questa concretezza naturalmente molteplice, ma pu essere colta nella sua forma pi elementare e dunque sempre ricorrente: parliamo della coscienza rappresentativa che costituisce una modalit presente in ogni movimento intenzionale. Ci si deve richiamare al carattere prospettico della coscienza rappresentativa. La presenza che si d in ogni processo rappresentativo data come un ripresa della cosa e come una ripresa-in-relazione-a, come un punto di vista che dispiegato a partire da uno sguardo e da un situazione dello sguardo. Per situazione sintende lesser corpo della coscienza: corpo che rivolto in un senso o nellaltro e che cos costituisce lasse di convergenza, il geometrale di riferimento per tutta la realt guardata. Ma il guardare a partire da un orientamento appunto una visione situata, prospettica: un cogliere la cosa per lati e per facce, per adombramenti. Il termine di adombramento dice che la cosa non mai colta nella sua totalit, ma sempre adombrata: sono manifesti certi aspetti, ma questi sono dati con unevidenza che non sta in s, che in se stessa lascia cogliere il proprio non essere o un rinvio di senso verso altri lati ed altri aspetti. Potr spostare la mia prospettiva verso un nuovo lato della cosa ed ora il lato di prima che riposa nellassenza, ma che ad un tempo richiamato dal lato che mi presente. Lunit della cosa, il nesso fra le diverse e successive percezioni dato dallimmaginazione. E tuttavia limmaginazione non si sovrappone al percepito, ma vi converge e ne proviene: lidentit della cosa non mai data in presenza nella sua totalit, ma pur sempre ricorrente nella diversit del suo manifestarsi. La distinzione fra immaginazione e percezione non da intendere nel senso di contiguit, bens nel senso di una continua interazione e in riferimento a una identit che, nel diverso nascondersi e nel diverso apparire, in qualche modo sempre perdura.

Si pu cos parlare di un senso fondamentale che guida le diverse prospettive e che si lascia riconoscere in esse e ad un tempo le connette. E questo senso che infatti guida la stessa trasgressione del processo percettivo. Ogni percezione coglie un lato dessere che non sta in s e che anzi appare definito nel rinvio di un proprio non essere. Se poi questo non essere fosse un semplice nulla, ci che dato nella prospettiva sarebbe come un frammento privo di senso: dovremmo considerarlo come un in s proprio mentre rinvia ad una condizione ed insieme ad un incondizionato. Questo stesso rinvio non potrebbe essere pensato senza contraddizione. Ma il movimento stesso della trasgressione percettiva dice che questa contraddizione e quella insensatezza sono inaccettabili, e che quanto si manifesta deve avere un qualche significato: significato appunto come segno che rinvia a qualcosa, come senso che direzione e ricerca dellintelligibile. Lessere si manifesta come condizione del pensare: il presupposto di ogni movimento rappresentativo resta in definitiva quello di eliminare la contraddizione del non essere. Un primo rilievo fenomenologico viene indicato da Merleau-Ponty. Lo sguardo prospettico si concentra sul lato visibile della cosa, ma sullo sfondo si stagliano anche i lati visibili dellambiente, degli altri oggetti che in qualche modo rinviano e si connettono alle parti nascoste della cosa. Ma il vedere sempre una visione dellessere. Ci che dunque si d come una condizione del movimento prospettico , per altro verso, una condizione di realt. I diversi lati di una cosa si raccolgono nellidentit che li attraversa e li compenetra e pertanto, nel limite della sua identit e della sua definizione, la cosa sta in s. Essa tuttavia non potrebbe apparire o nascere senza ci che la precede; non avrebbe la funzione che ha, se non appartenesse ad un intero che esige il suo esserci e a sua volta se ne lascia condizionare. Ogni realt cos se stessa in forza della sua identit essenziale, ma questa a sua volta non sarebbe senza un nesso con ci che essa non : nesso situazionale, ma anche nesso di funzione e di genesi. Ogni oggetto per s in quanto per altro, ed per altro in quanto per s. LEssere si manifesta nella diversit e si costituisce diversamente il molteplice dellente. Il nesso che lega gli enti non una semplice unit di rapporto, non una connessione che succeda o subentri alla realt dei diversi: il nesso o la relazione non a sua volta un ente, non appare come qualcosa in s e come tale non potrebbe comunque saldare lessere e il non essere dei diversi. Il nesso fra i diversi non pu intendersi ultimamente se non come in-essere delluno allaltro: appunto come identit radicale che diversamente si partecipa. (3.3) La purezza dellessere e quindi lEssere nella sua pienezza: questa lesigenza che muove la coscienza dalla sua situazione e la spinge a desituarsi in un incessante itinerario di trasgressione. Il conoscere che esige il nesso con lessere un conoscere che non sa, ma che ad un tempo interroga a partire da un qualche sapere. Il sapere appunto quello dellessere che si manifesta e che come tale si offre gi con un suo senso: questo senso si d anche come rinvio, cio come un senso in s inadeguato e teso ad una ulteriorit che lo ricomprende. Ci significache il senso dato immediatamente appare gi attraversato da un senso assoluto, senza del quale risulterebbe come un non senso (o come la contraddizione di ci che non in s e che insieme non in altro). La presenza e la ricerca di un senso assoluto sono gi impliciti nella necessit di cogliere il reale in modo in contraddittorio. La coscienza per s nulla ed solo come coscienza dellessere; anche quando scandisce i suoi principi in forma logica non fa che scandire la necessit di dire lessere, qualunque essere, senza contraddizione. Il rapporto con un senso assoluto, cio appunto con una realt in contraddittoria, costituisce dunque una condizione primaria nel dispiegarsi della coscienza: un rapporto con ci che devessere e che gi mi si manifesta pur nel rinvio e nella incessante in 10

adeguazione. La realt di un senso parziale, pure nella sua parzialit, poi lapparire del senso assoluto, dellEssere come tale. Questa reciprocit di implicazione costituisce lunit e la dialettica del percepire e dellimmaginare, dellessere in situazione e del trasgredire la situazione. Questunit appartiene ad ogni movimento rappresentativo. Lunit con limmaginario un nesso di continuit, un trasparire dallimmediatamente percepito allimmediatamente non percepito. Si direbbe che qui la realt della percezione continua ad essere normativa e che limmaginazione non raggiunge mai una sua autonomia o una sua preponderanza. Nella coscienza animale la cognizione del non essere immediatamente funzionale a quella dellente e nella coscienza delluomo invece dispiegata sino ai confini del nulla: solo in questo dispiegamento si manifesta che il non essere custodisce il segreto dellEssere. Limmaginario costituisce e dispiega il proprium coscienziale delluomo. LEssere viene cio a parola nella negativit che in ogni movimento coscienziale si ritrova e si supera. LEssere non mai dato in s, ma sempre nella determinazione dellente, sempre nella povert situata nella coscienza prospettica. Si tratta di una condizione e di una evidenza originaria, ma nella forma dellindeterminazione che sempre da determinare: unindeterminazione, che emerge in ogni determinazione, mentre vi partecipa. Possiamo anche parlare di una trascendenza immanente e costitutiva o di una immanenza trascendente: identit metafisica che diversamente si manifesta, ma che proprio in questa diversit ad un tempo si nasconde. LEssere cos, in quanto fondamento e principio partecipatesi, il pi vicino fra i vicini. In quanto, per, si d pi propriamente nella negativit e nellindeterminazione di ogni ente, anche il pi lontano fra i lontani. Lidentico, che diversamente si partecipa ed ogni partecipazione trascende, costituisce lanalogicit dellessere e, attraverso questa, lanalogicit del linguaggio. Bisogna ora vedere qual il linguaggio in cui pi propriamente lEssere viene a parola. Il linguaggio della riflessione non originario: la riflessione comunque un ritorno ed una ripresa. Il linguaggio delle origini deve essere un linguaggio che non evade dallente, ma che nellente indica ad un tempo laltro dallente: parola che esprime la determinazione, ma che in questa manifesta anche lindeterminazione che la costituisce e la trascende in altro. Un linguaggio del genere si rivolge immediatamente ad una realt, ma mentre va definendo questa realt finisce soprattutto per coglierne la parentela e il nesso col resto dellessere: in questa duplice tensione potr trasparire lEssere stesso, il logos che si partecipa e che lega i diversi. (3.4) Il carattere secondario dellimmaginazione comporta il suo trattenere le percezioni passate e il prospettare di quelle possibile; limmaginazione cos costituisce un nesso fra presenza ed assenza e nellassenza contiene lunit degli oggetti, ma tutto ci pure sempre a partire da un dato e in funzione del suo possibile darsi. Limmaginazione non si d mai come originariamente afferente. Se si deve dire che limmaginazione costituisce lorizzonte dellassente e del possibile, si deve anche ricordare che il possibile pur sempre un possibile-di: di nuovo, lassenza e la possibilit possono anche trovarsi nellorigine ma non stanno certo allorigine. Il campo dellassenza un campo di possibilit e il possibile non si d soltanto come possibilit di determinazioni sensibili. Posso darmi in assenza la possibilit di questo o quelluomo, ma non potrei certo farlo se non sullo sfondo del concetto di uomo quale possibilit indeterminata di ogni possibile uomo; non potrei farlo se non sullo sfondo delle categorie e dei criteri trascendentali che costituiscono i modi possibili di tutte le possibili determinazioni. Limmaginazione sensibile non dunque che lultima finita determinazione di una generale protensivit sullassente. Una originaria protensione del logos ed una sua 11

trascendentale potenza di formazione si traduce, di volta in volta, in una determinata sintesi immaginativa. Kant ha indicato questo nesso parlando dello schematismo dellintelletto e, analogamente, di uno schematismo della ragion pura: nelluno e nellaltro caso, la funzione dellimmaginario permette la sintesi dei dati coscienziali solo in quanto, mentre si partecipa della concretezza di questi dati, partecipa pure di una potenza metempirica dei giudizi e delle regole. Limmaginazione non originariamente afferente e il possibile sempre dato a partire da una presenza reale. Levidenza originaria fungente dellessere assoluto risulta come fondante condizione di possibilit per ogni processo coscienziale. Se allorigine di ogni sintesi conoscitiva poniamo la funzione trascendentale dellimmaginazione, di deve anche dire che questa ha la sua radice regolativi nella presenza originaria dellEssere. La presenza dellEssere non mai data in se stessa, ma sempre e solo come un fungenza che attraversa ogni determinazione: in se stessa, dunque, sempre e solo come una indeterminazione da determinare. A loro volta, le determinazioni offerte nel corso dellesperienza non sono che un frammento fra i dati gi percepiti e quelli ancora da percepire. Anche da questa parte il processo conoscitivo si offre come una prospettiva sempre da determinare: prospettiva, che mentre guadagna una presenza, rinvia allunit molto pi estesa dellassente o del possibile. La positivit dellintuizione o della fungenza originaria inside dunque nella negativit dellancora indeterminato e per questo si traduce nel telos che dispone al sistema delle sintesi possibili: il gioco sintetico di ogni processo immaginativo cos regolato da unapertura trascendentale, che in definitiva pu ben essere indicata come la formativit originaria dellimmaginazione. Questa non riposa in se stessa e come tale non sta allorigine, si d tuttavia come incessante fungenza della propria origine. Solo a partire da questa base che poi possiamo individuare i diversi modi dellimmaginario. Si ricorre al concetto husserliano di intuizione eidetica per riconoscere le strutture essenziali che si offrono come tali in immediata evidenza. Un duplice movimento espressivo, che anche un duplice possibile movimento della vita coscienziale: da un lato il percorso che viene dalle affinit concrete ma via via le rimuove per mirare allintelligenza delle strutture radicali, sino al massimo possibile della loro estensione e poi sino alla loro ricomprensione in una superiore affinit dei principi; dallaltro lato il percorso che, al contrario, dalle strutture essenziali e dai loro ultimi nessi ritorna alla concretezza del reale, riconoscendo in ogni determinazione il darsi di quelle stesse strutture, di quei nessi, di quelle affinit. Da un lato lastrazione eidetica e la metafora che esce da s, dallaltro la metafora che resta in se stessa e che tuttavia pur nella sua concretezza lascia trasparire le strutture, le affinit, i nessi. Da un lato il linguaggio della scienza e della teoremi, dallaltro il linguaggio della poesia. Lintuizione eidetica non pu non tener conto del fatto che lesperienza, nellimmediato, sempre esperienza di qualcosa di determinato e individuale. (3.5)

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LA PAROLA DELLESSERE
LEssere si esprime nellente, ma non si identifica con nessun ente, n con la somma degli enti. Nella sua trascendenza, lEssere si indica nel non essere dellente, in quel non essere che contiene lorigine dellente. Questo non pu corrispondere immediatamente alla realt di un altro o di altri enti, ma ci che trapassa nellente generato non si identifica con lente o con gli enti generanti: generando o costituendo, questi si fanno altro da s e si risolvono nel proprio non essere. In questo non essere si manifesta il comune fra gli enti: ci che li apparente e li unisce e ad un tempo ci che diversamente donandosi li differenzia. LEssere traspare dunque soprattutto ove, nella diversit, appare il comune, il logos come nesso e come ricorrenza. Il logos dellEssere pu qui ricorrere solo come lunit stessa delle differenza, come lunit che costituisce le differenze e che, costituendole, necessariamente le mantiene nellidentit della stessa origine: appunto la loro unit, lidentico che diversamente si manifesta. Lattenzione va portata sul differire che, nella costituzione delle differenze, indica il darsi e il ricorrere del medesimo. Si tratta di cogliere la presenza che accomuna e si tratta di coglierla nellintimit della differenza: come il differire del medesimo. Anche la differenza . E, nel suo essere, essa manifesta lirripetibile, lineguale: almeno alla prima apparenza, lessere non altro da questo esserci della determinazione, non altro dalla sua ricchezza e dal suo singolare proprium. Eppure la differenza non sta in s, non sarebbe affatto senza ci da cui differisce e che, come tale, la costituisce, la determina: la differenza manifesta in se stessa un rinvio ed una connessione costitutiva. Cogliere questo rinvio cogliere quel comune che ad un tempo contiene e fa essere le differenza: lEssere come il differire del medesimo. Questa medesimezza indicata come condizione che traspare nella differenza dellente, come quel pi dessere che, in se stesso e nella sua ricomprensivit, sempre anche altro rispetto agli enti che lo manifestano: proprio dove lente si protende oltre la propria determinatezza ed oltre la propria differenza, si manifesta che lente e lessere non sono lo stesso. E appunto in questa diversit lEssere stesso si indica ad un tempo quale trascendenza e radice partecipativa degli enti: in quanto trascendenza non mai dato in se stesso, nella sua universalit e nella sua identit metafisica; in quanto immanenza dato sempre e solo nellintimit di una determinazione che ne partecipa. La parola che dunque nomina il comune dellessere per questo parola che connota, ma non denota mai lEssere: i nomi dellEssere non giungono mai a costituire il nome. Pur nominato, lEssere resta innominabile. Le diverse forme del linguaggio possono distinguersi per la diversit con cui si approssimano a questa nominabile innominabilit, per la diversit in cui possono lasciar trasparire il comune dellessere. (4.1) Si deve dirigere lattenzione a quelle forme del linguaggio che, in un modo o nellaltro, costituiscono una traslazione di significato. La metafora, ad esempio, consiste nel trasferire a un oggetto il nome che proprio di un altro. Ma di traslazione possiamo dire anche quanto alla sineddoche e alla metonimia: la parte viene infatti detta per il tutto, o il contenente per il contenuto. La traslazione, se non convenzionale, deve avere la sua condizione di possibilit in una corrispondenza, in una qualche comunione fra significato proprio e significato improprio o traslato. Il movimento della traslazione secondario rispetto allordine della partecipazione. La nostra ricerca va pi propriamente nel senso metafisico dellantropologia: nel senso delluomo come parola dellessere. Il movimento intenzionale va colto nel concreto 13

articolarsi della parola o, pi in generale, nel concreto dispiegarsi dei segni linguistici. Il linguaggio in s sarebbe nulla, se non fosse espressione o significazione dellessere. (4.2) La traslazione semantica sembra obbedire ad un processo di invenzione dialettica. Ad un primo livello poniamo quellunit dei diversi che tuttavia detta in uno stesso ente: questa la sineddoche. Ad un secondo livello lunit supposta fra i diversi, ma si tratta di ununit ab estrinseco, che lascia i diversi nella loro diversit: questa la metonimia. Ad un terzo livello fra i diversi viene indicata una fusione e supposta una qualche identit intrinseca: questa la metafora. Ma la stessa metafora resta esposta ad una oscillazione: lidentit pu essere solo supposta ma per dire solo del significato improprio, oppure i singoli significati possono essere solo adombrati per mettere lenfasi soprattutto sulla loro identit reciproca. Solo quando la metafora giunge a perfezione dice ad un tempo dellidentit e della differenza o, meglio, dellidentit dal punto di vista del diverso. Al limite, lidentit dessere lascia qui trasparire il leghein stesso dellEssere: si parler allora di simbolicit in senso pieno o di metafora assoluta. Ma la simbolicit pu investire anche le forme pi elementari del linguaggio traslato operando uno slittamento nello stesso senso della metafora assoluta. Pu addirittura investire anche una dizione semplicissima, priva semanticamente di qualsiasi traslazione: in questo caso la traslazione operata dal nesso dialettico che linsieme semantico lascia apparire. Nella sineddoche il tutto viene nominato attraverso la parte: ad esempio, la testa del re sta per la persona del re. In questo caso il linguaggio opera sulla contiguit semantica e questa contiguit corrisponde ad una continuit ontologica. Fra la testa e il corpo del re c una continuit dessere: unidentit che fatta emergere nellimmagine della ragione ordinatrice e che da questo lato finisce col dire dellessenza stessa della regalit. Nel caso del comignolo per dire della casa, la contiguit dei termini intesa nel senso di un continuum ontico: la rappresentativit del comignolo dipende pur sempre dallunit del comignolo con la casa. Lunit della parte e del tutto, che sia ununit necessaria o ununit contingente ad una primitiva distinzione-contiguit ontica, per in ogni caso un rapporto di continuit ed interna allo stesso essere. Nella metonimia il rapporto di contiguit resta pi marcato, perch il nesso di cui ci si serve fra diversi. E tuttavia non si tratta di un nesso estrinseco, ma di un nesso di ricomprensione o di generazione: i distinti vengono guadagnati, ma il loro guadagno gi vive in forza di una relazione ontologica. La bottiglia per il vino solo un contenente estrinseco. E per questo contenente non indifferente alla forma e allessere stesso del vino. Se col rapporto metonimico gi si va disgelando una qualche identit fra i diversi, la metonimia ancora ferma nella distinzione. Anzi, attraverso una relazione pi o meno intrinseca ai diversi, essa tende soprattutto a guadagnare lidentit del distinto. La traslazione qui priva di reciprocit. La metafora vive invece di una complessit ontologicamente pi ricca e pi significatica. A partire da Aristotele si largamente parlato della metafora come di un rapporto a pi termini. Ad esempio, dicendo che la vecchiaia la sera della vita, si esprime un rapporto a quattro termini: la vecchiaia sta alla vita come la sera sta al giorno. Si tratta di un rapporto estrinseco o intrinseco? Nel primo caso la metafora sarebbe semplicemente un paragone abbreviato e non vi sarebbe nessun nesso intrinseco fra i termini presupposti. Il nesso sarebbe solo tra i modi dessere delle due realt. La somiglianza verterebbe non sulle cose, ma sulla loro relazione, sulla loro causalit. Fra i due soggetti rimarrebbe una eterogeneit ed un netto non essere. Si obietta che le relazioni, i nessi di causalit non possono essere intesi a s stanti, come se fossero una terza entit: non sono che il manifestarsi della stessa causa. Nessun ente mai dato in s, ma sempre e solo nei lati e negli aspetti del suo apparire. Dunque, in 14

tanto possiamo parlare di somiglianza tra rapporti in quanto esiste una somiglianza fra i soggetti di questi rapporti. La metafora un paragone abbreviato o questo una metafora esplicata? Il paragone dice con un come ci che la metafora dice con un . Aristotele dice che nel paragone viene aggiunto qualcosa, ma laggiunta tale da escludere una identit fra i termini: in tal modo il paragone non solo meno piacevole, ma bens impedisce che la mente esamini la relazione, impedisce cio che lo spirito trovi quello che cercava. Si tratta dunque di prendere sul serio la copula in cui la metafora consiste. La copula esprime unidentit paradossale perch fonde un senso proprio con un senso improprio; la metafora esprime unidentit fra diversi. Nel come del paragone lidentit viene solo adombrata, mentre i diversi vengono trattenuti nella loro differenza: lidentit paradossale della metafora, lunit dessere e di non essere in qualche modo scomposta e rimossa dallorizzonte dei distinti. In ogni caso lunit metaforica pi comprensiva di quella comparativa: questa ne costituisce una riduzione, ma continua a supporla. Si pu parlare di traslazione in quanto la metafora, pur asserendo una identit, sembra rivolgersi soprattutto ad una certa cosa: questa che si vuol dire servendosi di unaltra. Il significato che viene attribuito alla cosa sembra cos non essere altro che un veicolo, un foro di significazione: quel che si vuol raggiungere il tema. Lidentit del foro e del tema stabilita dalla copula e questa sembra che abbia solo la funzione di legare i due soggetti; ma ove la metafora si faccia assoluta la relazione vale anche in senso inverso e i due soggetti risuonano come predicati della copula. Tornando alla metafora aristotelica: la sera serve a nominare la vecchiaia, anzi costituisce rispetto alla vecchiaia un incremento nel nome e nella conoscenza: la vecchiaia non solo delluomo e, chiamandola sera, finiamo col riportarla ad una condizione delluniverso fisico, cio a un modo dessere che coinvolge tutta la vita. La sera ombra e nascondimento, ma anche un raccogliersi e un riposo della luce, delle piante, dei viventi: la vecchiaia partecipa di questo declino o di questo raccoglimento universale. Se la sera pu parlare della vecchiaia perch i modi dessere della sera si ritrovano, diversamente ma con una identit fondamentale, nel declino del vivente. E se la vecchiaia, a sua volta, pu parlare della sera, questo possibili sono perch nella vecchiaia la sera contiene in altra forma i suoi stessi modi di essere. Da una parte e dallaltra uno stesso predicato dellessere che si manifesta e si distribuisce: la fusione dei due soggetti non fa che esaltare il carattere analogico dello stesso predicato. Anzi i due soggetti non sono propriamente che due determinazioni dello stesso predicato: la loro fusione indica unidentit dessere che diversamente si distribuisce e si partecipa, che mentre si partecipa lega e distingue i diversi. Ma allora il vero ultimo soggetto della metafora sta nell della copula: lessere che comunque rimane nella sua trascendenza e nella sua indeterminazione. La metafora resta aperta ad una duplice tensione, in senso centrifugo e in senso centripeto. Solitamente essa ripiega lontano dal centro e si attua come semplice traslazione significativa. Il nostro parlare delle cose largamente metaforico ma occorre quasi sempre uno sforzo di riflessione per avvertirlo. La metafora pu anche raccogliersi nel suo soggetto segreto e portarlo esplicitamente a tema. LEssere viene soprattutto a parola nella dialettica e nellequilibrio fra indeterminato e determinato o, meglio, nella determinatezza che in se stessa e restando se stessa parla ad un tempo dellEssere. La metafora, la metafora assoluta in particolare, mantiene in se stessa questo duplice movimento: si raccoglie nel proprio tema immediato, ma intanto lo nomina col foro; mentre determina spinge cos verso lindeterminazione di un significato altro e fonde il proprio con limproprio. In questa duplice tensione pu appunto apparire lEssere che nellente si determina ma insieme si trascende, che nella cosa se stesso e 15

insieme altro. Ma non sempre e non necessariamente questo accade. La fusione pu essere data non solo da genere a specie o da specie a genere, ma anche da specie a specie. In questo caso, lestrema determinazione sia del foro che del tema rende evidentemente meno facile lemergere dialettico dellindeterminato. Perch la metafora sia sottratta ad ogni pulsione centrifuga occorre una pi ampia apertura contestuale. Se la parola metaforica , a sua volta, inserita e fatta significante nel contesto di altre parole ed anche di altre metafore, allora essa stessa esce da s. Se un intero contesto che si contrae e si raccoglie verso un centro metaforico, allora questo centro che lascia apparire lintero: la metafora esce da s, ma per entrare nella propria profondit e nellultima garanzia. E il contesto semantico con le sue connessioni, con le sue analogie convergenti che decide il valore simbolico di una metonimia, di una metafora o di una semplice parola. La simbolicit sta appunto nella identit e nelle differenze che raccolgono ed esprimono questa identit: sta nel dire del proprio significato e nel cogliere in questo il trasparire stesso dellEssere. (4.3) La convergenza simbolica stata indicata come una prevaricazione sui significati, come un nesso irrazionale o come una congiunzione di natura vagamente psicologica. Queste riserve potrebbero essere capovolte. Irrazionale la parola che pretende di avere un significato per s e non piuttosto nella totalit del sistema semantico che la accoglie e la esprime. Semplicemente psicologico il nesso che si formulato nel cuore di un pensiero astratto. (4.4)

PERSONA ED ESSERE
Il pensiero dellessere possibile solo nellunit col pensiero dellente. La possibilit di intendere questa unit e di coglierne ad un tempo il senso metafisico si precisa come la struttura intenzionale pi propria delluomo: nella sua forma pi compiuta, questa intenzionalit si traduce in simbolo, in parola dellEssere. Se luomo definito sostanzialmente nella coscienzialit e questa, a sua volta, nella forma del linguaggio, si inferisce poi che in ogni modo del suo esserci luomo di d come linguaggio e, al limite, quale linguaggio dellEssere. Lessenza di una realt non pu infatti concepirsi quale momento o quale centro a s stante, bens come la forma in cui quella realt si qualifica in tutte le proprie determinazioni. Se dunque parliamo delluomo in quanto intelletto e ragione, ma anche in quanto sentimento, amore, volont, ecc., dovremo dire ad un tempo che sentimento, amore, volont sono soltanto diverse modalit di un unico ordine coscienziale, diversi modi per il veniere a coscienza dellessere: il destino intenzionale che dallente spinge allessere e che, ai diversi livelli, dischiude la stessa trascendenza dellEssere coinvolge luomo nella sua totalit. In questo senso diciamo anche che luomo persona. PERSONA era in antico la maschera dellattore. Era il segno distintivo di un ruolo o di una parte da sostenere nel contesto drammaturgico ed era per questo anche il nascondimento del volto: nel nascondimento, lattore lasciava risuonare la propria voce e diventava parola del personaggio, infine anche parola di un dio. Il nascondimento non annulla, per, la singolarit dellattore, perch proprio questa che d voce al personaggio, animando in modo irripetibile il suo simulacro. Dar vita ad una persona significava distaccarsi dalla propria immediatezza e sentirla come parte di un tutto, come possibilit di considerare il tutto da un punto di vista e di rappresentarlo in una sua determinazione. 16

La persona dunque come metafora dellesistenza che si vive consapevolmente? Se ti consideri come cosa isolata, naturale che ti interessi soltanto la tua vita e il suo incremento. Ma, se invece ti consideri veramente uomo, parte di un tutto, allora comprenderai che a te spetta soltanto di rappresentare bene, quale si sia, la persona che ti destinata (Epitteto). Il passaggio dal teatro alla vita: essere parte di un tutto significa sapersi non come fini a se stessi, ma come fine e frammento di Dio. Chi non ha raggiunto questa consapevolezza, non conosce il dio che in lui, non sa con chi s messo in viaggio. Ma chi ha raggiunto questa consapevolezza deve sentirsi appunto come una persona di Dio. Lintenzionalit originaria dellEssere una condizione trascendentale dellintero processo conoscitivo. Questa trascendentalit costituisce, in definitiva, il destino personale delluomo: essa impone che la coscienza si distacchi sempre dalla propria immediatezza e che, in un modo o nellaltro, ricomprenda i propri dati in un orizzonte assoluto. Ogni dato, proprio in quanto non in s ma sempre in altro, vive di una propria simbolicit ed anche sempre traguardabile come una presenza dellEssere. Che luomo debba essere inteso come persona di Dio o come pastore dellEssere, non lo diciamo dunque in maniera accidentale, ma riferendoci alla sua struttura essenziale: in definitiva, la relazione intenzionale che lo costituisce per lessere ad un tempo la condizione di possibilit perch il suo rapporto con lente sia rivelativi dellEssere. Come ogni ente, luomo sta nella sua diversit o nella sua propriet e lessere, mentre lo costituisce, lo supera nella forma del non essere. Si parla del nesso metafisico come di una partecipazione, ma anche come di un rapporto o relazione: in quanto parola dellEssere, la persona essenzialmente relazione. Essa per s in quanto per Altro, ma insieme per Altro in quanto per s: lidentit e la differenza vengono cos a coniugarsi appunto in partecipazione e relazione. La natura razionale costituisce lapertura della persona alluniversale, giacch la via del razionale appunto quella del logos che trascende limmediatezza e dispone nellorizzonte del senso, della legge, delleidos. Ma questa apertura data in un consistere singolare e come tale inalienabile. Essa cos posta come sporgenza del singolare sulluniversale: luniversale connaturale a questa singolarit, ma anche la supera e, superandola, ne diventa lorizzonte di riferimento. Insistendo sulla persona come sostanza si rischia di metterne in ombra il carattere relazionale. Nella sua qualit, la persona sta in s e come tale parola parlante; ma nel suo ex-sistere sta nella propria radice ed insieme parola parlata. (5.1) Ci che costituisce la persona quale maschera e linguaggio dellessere, dunque come relazione determinata, va comunque riportato nella forma della singolarit. Singolarit come linalienabile, lirripetibile, dellunico. Lunicit a sua volta costituita da una determinatezza ed insieme da una individuazione: la determinazione implica una relazione rispetto ad altro, una diversit che con i suoi lati ed i suoi confini ad un tempo definita, de-terminata da altro; ma la diversit ha la sua condizione primaria in una individuazione, in un centro, in una indivisibile organicit. Lessere della coscienza pu darsi solo in quanto situato: come un esser corpo della coscienza. Lesperienza dellente costituisce ogni processo coscienziale e lesperienza, originariamente, sempre esperienza percettiva: la condizione fondamentale di ogni rapporto percettivo sta nellorientamento corporeo. Se infatti consideriamo il corpo con le sue protensioni, con il suo disporsi ed il suo orientarsi, dovremo anche riconoscere che, quanto appare, appare solo in funzione di questasse di riferimento, di questo centro corporeo. E del corpo non diciamo solo che abbiamo un corpo, ma anche che siamo un corpo: lespressione trascrive lesperienza originaria di una corporeit senziente, essa 17

stessa oggetto di esperienza. Quanto disposto nellorientamento dello sguardo e della percezione, converge dunque verso un centro corporeo che in se stesso principio di relazione e di conoscenza o punto zero per una totalit di senso e di significati. In questa direzione si pu anche parlare di una costituzione di senso. Il problema dellaltro, e quindi del senso che gli appartiene, so pone solo come un problema di relazione: lorizzonte costituito su un determinato asse conoscitivo va in definitiva inteso come costituzione di un determinato senso, come capacit di far apparire una certa faccia del reale e in ordine ad una costante prospettiva. In tal modo diciamo pure che il punto zero dello sguardo corrisponde alla posizione di un mondo: universo ordinato, totalit di senso. Lunicit dello sguardo personale manifesta in un senso, in una direzione unica e irripetibile, un orizzonte totale di significati. Questi, a loro volta, fanno apparire un centro di significazione, una particolare unit coscienziale, una capacit unica di declinare e di determinare luniversalit del reale. (Persona come stile). Se luomo si definisce nellordine della coscienza, ci vuol dire che ogni modo del suo essere in tanto umano in quanto manifesta un senso complessivo della realt. Ogni atto di volizione, di sentimento o di risentimento, damore o dodio, come ogni atto del sapere scientifico o filosofico, ciascun atto, al proprio livello, costituisce una disposizione rivelativi dellessere e manifesta una visione organica (positiva o negativa che sia) dellintero. In tal senso possiamo parlare della persona come di una unit di stile. Dire di una ricorrenza e di una costanza nel mondo espressivo della persona cio dire anche di una permanenza nel divenire delluomo. Se ogni divenire non pu essere mai preso in senso assoluto, ma soltanto come il divenire di una permanenza o come il diversificarsi di unidentit ineliminabile, possiamo infatti dire che la nozione di stile o quella di direzione qualitativa corrispondono ad un intreccio ontologico di atti e allindividuazione di una essenzialit che via via si determina e ricorre in un suo molteplice diversificarsi. (5.2) Una totalit di significati, un mondo, converge e si raccoglie nel senso di una coscienza corporea: tutto posto di fronte, come ob-jectum, ed ha il suo criterio nel tatto, nel gesto, nello sguardo, in generale nella prospettiva corporea. Questa il punto di non rinvio, punto zero, soggettivit che per a sua volta non pu entrare in prospettiva. Il corpo stesso pu essere a sua volta oggetto e in tal senso diciamo che abbiamo un corpo: anche una parte che prima fungeva da senziente, pu poi fungere da parte sentita, osservata, obiettivata. Tuttavia, mai nessuna parte e tanto meno il corpo come sintesi intenzionale possono fungere nello stesso tempo da soggetto e da oggetto: o sono luno o sono laltro. Cos, il criterio o la condizione delloggettivare resta in qualche modo sempre inverificabile. Ogni prospettiva una capacit di svelare, ma ad un tempo, appunto in quanto prospettiva, anche principio di limitazione e di occultamento. Essa, inoltre, nella sua finitezza criterio di disposizione, ma non criterio dessere, non criterio di verit: anche in questo senso condizione che svela e insieme condizione che occulta, ma con laggravante che ora essa dispone e condiziona il criterio della verit. Essa non potr mai trascendersi del tutto, mai mettersi a distanza da s, dalla parte del puro criterio dellessere: non potr da s sola mai del tutto giudicare la propria capacit di disporre; il suo trascendersi ed il suo giudicare continueranno pur sempre a presupporre quella capacit. Il punto zero sar dunque pur sempre un centro di oscurit e in se stesso non potr decidere sino a qual punto la sua forza di occultamento sia ad un tempo causa di errore e di alienazione. La situazione delluomo spaziale, in quanto anche temporale, storica: distensione fra un determinato passato e un possibile futuro. Passato e futuro sono tuttavia anchessi solo 18

come relazione a quel presente che la persona nella sua individuazione corporea: i molti nessi del processo storico hanno la loro intelligenza solo nel presente che li ricomprende e che se ne costituisce. Il geometrale della coscienza situata rimane una condizione insuperabile: lorizzonte che in un certo presente raccoglie passato e futuro costituisce anchesso una convergenza totalizzante che insieme si manifesta e nasconde. Nascondere non lo stesso che alienare. In quanto prospettiva, la coscienza mentre disvela una parte inevitabilmente ne nasconde unaltra: il non vedere e il non sapere sono dunque necessariamente un effetto del vedere e del sapere, ma come tali non costituiscono unintenzionalit di tipo primario. La negativit che ogni prospettiva implica pu anzi corrispondere al depositarsi di ci che visto e saputo nello sfondo della visione o della memoria: in ci che viene a presenza, il non pi presente pu dunque mantenersi ed essere in qualche modo ripreso. O, anche, il venir meno di una prospettiva pu essere un nascondimento che produce un pi ampio vedere. In ogni caso, linevitabile nascondimento della prospettiva pu ben restare nella verit solo che si mantenga nella coscienza come il limite della prospettiva stessa o come segno di una parzialit da superare: in definitiva, come il luogo del rinvio e dellessere che ancora ci attende. In tal senso, la coscienza del nascondimento costituisce una linea essenziale del sapere prospettico, quella che dalla consapevolezza della verit sempre inadeguata spinge appunto ad unincessante trasgressione. Nella stessa linea pu insinuarsi la corruzione del movimento conoscitivo: il mondo costituito nella convergenza dello sguardo pu essere attraversato dallalienazione. Nellessere dellente primaria laffermazione di un proprium: ogni cosa, in forza della sua essenza, tende sempre a perseverare in s. Ma questa tendenza pu farsi dominante nel senso di una convergenza assoluta. In tal caso, luomo tende a considerare il suo proprium non soltanto come primario, ma come identico allessere che lo fonda. La convergenza di mondo, che esso realizza verso di s, si d come una pulsione appropriativi e quindi alienante per il senso dessere che ogni realt ad un tempo contiene e indica. Ci che la prospettiva occulta laltro nella sua propriet e, in questa, il trasparire stesso dellEssere, o il significato dellintero: il mondo costituito nello sguardo in definitiva soltanto un ornamento contraddittorio, unassurda dipendenza da un fondamento infondato. La persona pu raggiungere, nel movimento della riflessione o dellautocoscienza, la certezza di se stessa e della propria capacit di costituire un mondo, ma questa certezza contiene ad un tempo la propria verit, cio rivelativa del proprio senso e del senso del mondo che in essa si raccoglie? Il criterio dellessere sar interpellato e permetter di riconoscere discrasie e contraddizioni. Ma il criterio dellessere, quale criterio della non contraddizione e della verit, sar pur sempre interpellato a partire dalla condizione prospettica: la condizione non il criterio, ma infine condizione per il dispiegarsi dello stesso criterio e, per questo, avrebbe potuto gi occultarlo o affievolirne la presenza. N, daltra parte, la prospettiva potrebbe mai porsi di fronte a se stessa con levidenza pienamente oggettiva di s e del suo rapporto al mondo degli oggetti. Lesercizio della riflessione, che in certo modo movimento di oggettivazione, tenta e realizza unoggettivit del suo s soggettivo, ma anche con questo continua a presupporlo come tale, come un insuperabile primum, come una condizione trascendentale che tuttavia non coincide, nella sua certezza, con la trascendentalit del verum. (5.3)

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Il circolo fra certezza e verit, coscienza ed essere, sembra impedito dalla costituzione stessa dellapertura prospettica. Un universo di puri oggetti unastrazione o una costruzione della coscienza perversa. Questa si realizza come espropriazione dellalterit: potremmo dire come riduzione di ci che appare a mero oggetto, nel senso negativo, cio nel senso del gettato-davanti per la signoria del soggetto che lo costituisce e ne dispone. Lespropriazione del mondo oggettivo sta qui nelloccultamento che misconosce il proprium di ogni alterit. In questa direzione, il misconoscimento debba essere tentato ove lalterit appaia nel segno della soggettivit, cio nel segno di un possibile antagonismo signorile. Ma tutto questo non toglie che luniverso oggettivo sia pur sempre attraversato dallesperienza di altri soggetti. E questa esperienza potrebbe tradursi in riconoscimento, invece che in misconoscimento. In quanto investiti dalla mia corrente di senso, gli altri potrebbero ben essere portatori della mia verit e, di pi, portatori non costretti al silenzio della semplice cosa. Cos, se da una parte non posso riconoscermi e giudicarmi nella mia ultimit, resta che infine potrei essere riconosciuto e giudicato da altri: potrei essere restituito a me stesso da uno sguardo che mi intende appunto come soggetto e come soggetto che costituisce unautentica corrente di senso. Nelluniverso dei miei oggetti appare dunque unaltra soggettivit: avverto uno sguardo che non posso intendere come semplice oggetto, che non si lascia appropriare nella mia costituzione di senso, e che anzi si manifesta come sguardo appunto perch, a sua volta, appare come centro di giudizio e di significazione, di convergenza e di senso. Si tratta di una coscienza situata e situante, ma con i segni di una invincibile alterit: posso riconoscervi i modi del mio essere in prospettiva, ma non posso identificarmi con tali modi; almeno in parte, mi avverto anzi come un oggetto fra gli oggetti di questo sguardo che non mi appartiene. La possibilit negativa di ogni rapporto interpersonale gi riconoscibile nellultimo senso: loggettivazione in cui mi trovo ricompreso pu, in quanto tale, giungere a compromettermi proprio nel mio centro personale, nella mia capacit di raccogliere un mondo e di costituirne un senso. Lo sguardo dellaltro sarebbe in tal caso misconoscimento e dunque alienazione: potrei salvarmi solo evitandolo, guardando altrove o sottraendomi nei gesti del pudore, oppure potrei fissarlo in modo altrettanto misconoscente e tentare a mia volta di guardarlo come cose fra le cose. Non si pu ritenere che questo antagonismo sia tanto inevitabile quanto originario: ci che si presenta con i caratteri della negativit e della contraddizione, non pu essere considerato in alcun modo come originario; una negazione, quale che sia, sempre relativa e suppone allorigine una positivit da alienare. E possibile dunque che lo sguardo dellaltro mi riconosca come unautentica sorgente di significazione, come un centro nel quale un mondo viene a manifestarsi con verit, infine come una capacit effettiva di cogliere un senso dellessere. Ancora, laltro pu essermi riconoscente perch dal mio sguardo si avverte non posseduto, ma restituito a se stesso e scoperto nella propria verit: la riconoscenza dellaltro corrisponde allora al riconoscimento che gli viene da me ed perci rivelativi di quella positivit che da solo non avrei potuto raggiungere; in qualche modo lo specchio oggettivo della mia soggettivit, finalmente il guardarsi del mio sguardo. Ma tutto questo anche il manifestarsi di una reciprocit intenzionale, di una fondamentale unit pur nella distanza e nella diversa peculiarit delle prospettive. Questa reciprocit degli sguardi non pu essere intesa come assoluta. Laltro mi restituisce nella riconoscenza e in tal senso quasi costituisce il guardarsi del mio sguardo. Si tratta, per, di una restituzione che ha il suo centro in una prospettiva che non la mia, in un punto di vista che infine non mi appartiene. E cos, anche se si pu dire che la mia certezza stata dischiusa sulla propria verit, rimane che questultima pur sempre affidata al giudizio di un altro: la copula fra certezza e verit non dunque mai perfetta.

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La verit dei soggetti sono dunque disvelate ma mai del tutto adeguate: in questo la relazione interpersonale trova un limite invalicabile e infine pu acquietarsi solo nella fede o nella fedelt fiduciosa. Alla fiducia resta, per, pur sempre contrapposta la possibilit della diffidenza e quella della gelosia. Tuttavia, linevitabile problematicit dei rapporti interpersonali non per questo destinata al fallimento. Il trascendersi dallavere allessere costituisce la reciprocit del riconoscimento ed insieme ne garantisce il criterio di verit. Porsi nella prospettiva o nel punto di vista dellessere infatti porsi, per quanto possibile, a distanza da se stessi: liberarsi dalla pulsione negativa che comunque anima ogni s, disporsi allorigine che fonda e in cui si pu dunque riconoscere la propria verit e quella dellaltro. La dialettica del riconoscimento non pu tuttavia dissolversi nel criterio che la garantisce, nel rinvio alla comune radice: se le differenza vanno rispettate, il trascendersi nel senso dellessere va ad un tempo mediato nel cuore delle parti, va custodito nel rispetto delle persone. Questa mediazione pu essere spiegata con la categoria della rappresentanza, che si contrappone a quella di sostituzione. Un rapporto di sostituzione non sembra corrispondere al potere cosificante dello sguardo ostile, lo sguardo che mi considera cosa fra le cose. Chi si sostituisce ad altri si appoggia sulla supposizione che questi sia un centro di iniziativa o di senso, e di questo centro si limita solo a constatare una debolezza che richiede di essere soccorsa ed appunto sostituita. Eppure, se il soccorso consiste nel mettersi al posto dellaltro, la supposizione solo un artificio della malafede: mettersi al posto dellaltro restare se stessi. La sostituzione in definitiva una forma appena velata di dominio: una forma dellavere che sta in luogo dellessere. La rappresentanza si costituisce invece in forza di una assenza ed come limmagine di colui che deve venire: una presenza differita o annunziata. Colui che deve venire potr tardare anche allinfinito, ma limmagine che lo rappresenta non cesser di annunziarlo nella sua possibile imminenza: la coscienza che rappresenta continua dunque a considerarsi solo in vista dellaltro, mai per s: cura che dispone, che prepara o rassicura il manifestarsi dellaltro. Il riconoscimento che viene dallo sguardo daltri comporta la verit del mio punto di vista, quella verit che nella riflessione del punto zero restava pur sempre in forse. Il ra di rappresentare lunita di ri e di ad; dice ad un tempo il movimento della ripetizione e dellavvicinamento, della custodia e del dono. Possiamo allora dire che, nel primo senso, laltro mi rappresenta perch manifesta come vera limmagine della mia prospettiva e cos ne rassicura la legittimit, e, nel secondo senso, mi rappresenta perch mi rappresenta perch, al di l delle mie debolezze e delle mie assenza, dispone lo spazio per ci che io soltanto posso essere: la rappresentanza come memoria e come anticipazione. Questo possibile perch laltro ha colto, a sua volta, nel mio sguardo una potenza non cosificante, perch nel mio sguardo si visto restituito e rapportato a se stesso. Il movimento della rappresentanza e della rappresentanza vive cos di una reciprocit, se non sempre attuale, certo imminente e in qualche modo gi operante. E in tal senso un ri-ad-presentare, un far presente di nuovo e ad altri ci che gi e che insieme pu essere, ci che costituisce il proprium delle persone ma che ad un tempo scaturisce dalla comune presenza dellEssere: il rappresentarsi delle persone pu infine venire a pienezza come rappresentanza dellEssere. La persona pu ben essere intesa nella sua ultimit essenziale: come relazione in cui viene a parola lunidiversit di una pi originaria relazione ontologica. Lessere viene a parola nella molteplicit del linguaggio, soprattutto nella tensione simbolica del linguaggio poetico ove lespressione si contrae nel trapassare delluno nellaltro. Questa modalit espressiva ci rinvia alle origini del linguaggio. In quanto persona, luomo linguaggio nel diverso atteggiarsi della sua presenza corporea: la

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tensione coscienziale lo costituisce e si traduce quindi in tutta la sua molteplicit; diventa dunque parola nella lingua e nel canto, nel gesto e nello sguardo. Ma la parola si ritaglia nellunit profonda dello stesso logos: emerge da questa comune profondit e ritrova la pienezza del senso proprio quando si lascia riapparire in se stessa il grembo dellorigine. Questa unit originaria della parola la condizione stessa dellincontro interpersonale: il conoscersi si fa autentico nella riconoscenza e la riconoscenza si attinge nella comune appartenenza che ci attraversa e trascende.

COSCIENZA E STORIA
Luomo di definisce nel proprio divenire: in quanto diviene. Ma non per questo il suo essere si definisce come storico: il divenire non solo delluomo e non di ogni divenire diciamo che storia. Il divenire storico in quanto divenire del proprium umano, delluomo come coscienza. Parliamo della coscienza nel significato di orizzonte intenzionale ove ci che viene inteso per un suo senso dessere, per il suo apparire in una prospettiva o in una direzione che lo porta a presenza. Laffermazione del cogito raggiunta riflessivamente, come ci che era sin dallinizio e che per non era nella propria verit, come lindubitabile che ogni forma di dubbio implica in s e che alla fine viene ritrovato nella sua anapodittica evidenza. La forma cartesiana del cogito ergo sum dovrebbe essere declinata nella sua complessit come un dubito ergo sum, ove appunto la verit della coscienza sopraggiunge sulla certezza del dubitare, ove cio lorizzonte della coscienza sin dallinizio ma solo alla fine, come risultato. Ci significa anche che lorizzonte della coscienza in se stesso gi in movimento: un sapere che si erge sul proprio passato e che si d in relazione ad un sapere che era nella forma della coscienza non ancora raggiunta o della verit ancora indistinta. Quanto parliamo del proprium umano come di orizzonte coscienziale, intendiamo una coscienzialit strutturalmente pluriforme e gi individuiamo in essenza lessere storico delluomo, il suo modo di essere in protensione. Orizzonte intenzionale: ci che , per luomo in relazione al suo protendersi coscienziale, attraverso e in forza del suo in-tendere. Questo rapporto intenzionale non mai assoluto, ma appunto nellindigenza di ci che si protende e va colmando il proprio non essere. Si tratta cio sempre di un intendere a partire da un tempo, da un luogo e da una prospettiva: lessere in tal modo si d per luomo sempre come un senso dessere, come un significarsi in prospettiva. Questa prospettiva in se stessa storica ed storica appunto in quanto luomo coscienza che viene a se stessa. Cos il termine storia rinvia alla stessa radice del vedere. Lo storico, in tal modo, era per i greci non solo colui che racconta, ma anche e prima colui che costituisce e vive una testimonianza. Lessere storico appare contrassegnato dal nesso passato-presente-futuro.

LA TEMPORALITA
Il linguaggio comune dice che il tempo il seguito o linsieme di passato, presente e futuro. Se consideriamo in s e per s questi tre modi, si finisce in contraddizione. O passato e futuro non sono un nulla dessere e allora sono una forma di presenza, o sono 22

un mero non essere e allora solo il presente , quel presente di cui non sarebbero predicabili n il passato n il futuro. La seconda alternativa appare in contraddizione con lesperienza: un puro presente, non contaminato da alcuna assenza o non essere, corrisponderebbe allintrasmutabile, allindivenibile, ma tale non lesperienza del nostro presente. Passato e futuro non sono un mero non essere: in quanto ne parliamo, in qualche modo sono; e in quanto sono, in qualche modo sono presenti. Passato e futuro non possono essere, cos, trascritti come un mero non pi: lesperienza del ricordo e quella dellattesa lo impediscono. Proprio questa esperienza esige che la presenza del passato e quella del futuro non sia presente allo stesso modo del presente: non come percezione e neppure come Erlebnis ritentivo, ma appunto come ricordo e come attesa, come un relativo essere e insieme come un non essere relativo. Ci equivale a dire che la presenza in se stessa costituita in relazione al duplice non essere del passato e del futuro: passato e futuro sono da definire come in non pi e come il non ancora del presente. Lambiguit del presente a sua volta duplice: c il presente del presente ed gi in se stesso una ritenzione dessere e di non essere; c il presente del passato ed il presente del futuro. E qui, in altro modo, il non essere entra a costituire il presente. Il presente in se stesso costituito da un proprio non essere.

COSCIENZA TEMPORALE E SCIENZA STORICA


Se il presente delluomo non in se stesso, il presente non pu star pago presso il suo essere, ma nel suo essere gi sempre ricerca e protensione: il senso qui anche direzione o futuro da cercare. A sua volta, per, il futuro non ha senso se non in relazione al presente che lo costituisce e che esso costituisce, un presente che ha la sua costituzione nel non essere del passato: la tensione al futuro si fonda cos nella memoria. La memoria in definitiva organo del futuro. La conoscenza storica, in quanto conoscenza del passato, nasce dunque sul non stare in s del presente. Il suo senso va cercato anche nel passato e insieme in una ulteriorit progettuale che infine potrebbe manifestarlo compiutamente. Non pu darsi pertanto una storia propriamente disinteressata. Se il presente costituito dal proprio passato e da una propria tensione al futuro, il cosiddetto disinteresse o la pretesa di obiettivit dello storico corrispondono ad una contraddizione ed equivalgono infine al massimo della nonobiettivit, al pi alienante degli interessi. Lobiettivit della ricerca storica diventa impossibile non solo quando vengono nascosti i problemi ancora dischiusi al futuro, ma anche quando si accede alla pretesa di ritrovare un passato in s: il passato in s lindicibile non essere, il passato di cui si pu parlare solo quello che costituisce il nostro presente. Tutto questo non vuol dire che la conoscenza storica si risolva nella mera attualit del nostro essere e del nostro progettarci. Il presente non in se stesso, ma in altro. La coscienza storica autentica nella misura in cui non legata alla pura identit del presente, ma anche nella misura in cui non si illude nella possibilit di ricostruire un passato astratto. Fondare la criticit della scienza storica significa avere presente la domanda a partire da cui la ricerca si instaura, anche aver presente il limite della ricerca e quindi la condizione, oltre che della sua autenticit, della sua validit. Per non obiettivit non si intende soggettivit, si intende solo limpossibilit di parlare del passato a prescindere dal presente che ci coinvolge, limpossibilit di porsi sul registro 23

dellobiettivo, di ci che posto a distanza: il registro fondamentale delle scienze esatte. Le scienze dello spirito trovano la loro legittimit proprio in questo essere costituite nellunit del presente e del passato, del soggetto storico e della sua alterit: linterrogante e linterrogato sono lo stesso, il soggetto e loggetto sono (e non sono) lo stesso. Questa impossibile obiettivit della storia ne costituisce il criterio di rigore e di superiorit rispetto alle scienze della natura. Anche nel mondo naturale c un divenire e una successione di stati, ma di questa successione luomo soltanto spettatore. Pu coglierla come una successione di stati, per i quali il continuum supposto e in qualche modo ritrovato, nei suoi segni, nelle sue tracce, ma mai colto nella sua operante identit. Nella storia, invece, loggetto ad un tempo soggetto e gli stati sono gi sempre dati nella connessione che li struttura e li causa: nelle scienze della natura la domanda sullorigine non ha cos senso ed il discorso sulla causa deve cedere il passo al discorso sulla determinazione o sul rapporto di successione determinante; nelle scienze storiche la domanda sullorigine costitutiva, com costitutiva lesperienza interna della causalit. Questa superiorit della scienza storica costituisce anche la sua debolezza. Proprio in quanto sono obiettive le scienze naturali sono anche esatte, possono cio godere del vantaggio della chiarezza distinta. Lunit di soggetto ed oggetto, di causa ed effetto, di presente e passato, costituisce invece per la scienza storica limpossibilit dellesattezza e la possibilit di una mai compiuta dialettica della finesse. Questo rinvio dialettico del giudizio storico corrisponde in radice al rapporto dei modi temporali. Lessere delluomo, nella sua corporeit, sempre situato e dunque sempre definito da relazioni spaziali. In tal senso ogni evento temporale insieme anche un evento spaziale ed quindi sempre connesso ad un perceptum: il tempo si lascia cos scandire nel movimento o nel rapporto di segni spaziali, artificiali o astronomici che siano. Questi signa temporis finiscono anzi per essere i parametri di misura o le fonti della temporalit. I signa, in quanto attinenti alla sfera del percepibile, non costituiscono loriginario dellesperienza temporale. Posso definire con esattezza i percepita temporali e fra luno e laltro indicare una continuit diveniente, ma lunit dei percepita non data nella percezione. Il parametro pi radicale della scansione temporale non sta allora nella percepibile spazialit, ma in un Erlebnis interiore, che in s raccoglie il visibile e linvisibile, il presente e lassente, il percepito e limmaginato: senza questa originaria unit interiore, i signa temporis sarebbero delle mere contiguit non temporali. Lesperienza ci fa avvisati sulla differenza fra le distanze temporali oggettivamente percepibili e la distensione interiore della temporalit. Lunit dei signa, il riferimento segnino o linteriorit del vissuto temporale, pur essendo condizionati e per cos dire provocati dai signa, ne costituiscono ad un tempo lorigine sintetica e significativa. Ed proprio per il valore non originario dei signa, proprio per una non oggettiva radice di senso, che la ricerca storica non pu tradursi in una scienza esatta anche se dellesattezza deve avvalersi.

IL GIUDIZIO STORICO
Il passato ha il suo senso e la sua reperibilit nel suo in-essere nel presente e nellapertura di questo al futuro. Dobbiamo chiederci se si possa parlare di un vero o proprio senso dellevento storico. Senso vuol dire lesserci appagante di una realt, il suo giustificarsi nellessere e il suo manifestarsi senza contraddizione: il giustificarsi, lapparire assoluto di una realt sono in una relazione che trascende limmediato esserci di tale realt. Il senso di un evento storico ha la sua assolutezza in un ancora non dato futuro: lessere si radica dunque nel non-essere-da-essere. Si tratta di un non essere del presente e dunque 24

di un futuro prefigurabile ed in qualche modo gi indicato in ci che . Non si tratta per neppure di una mera presenza: il presente, che , effettivamente dischiuso sul suo non essere. Questo non essere gi determinabile nel suo da-essere, come lo la potenza nellatto. Non si parla a proposito della storia di un assoluto divenire e quindi di una mai data identit. Lassoluto divenire sarebbe unautocontraddizione e finirebbe col convertirsi nel suo contrario: infatti, assoluto divenire significherebbe assoluto mutamento, passaggio da ci che al suo totalmente altro, ci troveremmo di fronte ad una originaria identit che immutata finch e, globalmente, ci troveremo di fronte ad una pura contiguit di diversi. Il paradosso zenoniano avrebbe qui la sua verit e il divenire non sarebbe che lapparenza dellimmobile. Tuttavia, almeno lesperienza di questo apparente divenire restano pur sempre come una insuperabile esperienza, non dellimmobile ma del mutamento. E se il divenire dato, dunque anche data limpossibilit di una sua trascrizione in termini assoluti, cio in termini tali da contraddirlo: diviene, pertanto, solo ci che permane. Il problema del giudizio storico si pone in questi termini: luomo strutturato in una identit essenziale che non una mera lidentit dessere, ma unidentit aperta nellessere e per lessere. Lequazione fra identit essenziale ed apertura o richiesta dessere non va intesa come un semplice slittamento retorico e forse neppure come una traslazione metaforica. Parliamo di apertura e di richiesta perch lidentit insuperabile e incontestabile delluomo va cercata nellarea della coscienza: ogni qualificazione delluomo pu essere rimossa nel dubbio, ma il dubitare, linterrogare resta pur sempre come lorizzonte insuperabile in cui ogni modo delluomo viene a qualificarsi. Lidentit delluomo va, cos, cercata nella coscienza e nel divenire della coscienza: la coscienza appunto come apertura e come richiesta. Interrogare qualcosa insieme sapere e non sapere: il puro sapere come la pura ignoranza non generano alcuna domanda: la domanda nasce sempre da un sapere che ad un tempo si riconosce come inadeguato. La condizione che rende possibile linterrogare e che anzi lo suscita dunque la richiesta di una adeguazione di senso: sinch la realt non manifester pienamente se stessa, sinch si manifester come rinvio di senso, la coscienza delluomo si manterr come apertura e come domanda. Nella sua pi originaria intimit, la coscienza costituita nella partecipazione allassoluto: lintenzionalit radicale e ricorrente in ogni forma di coscienza quella dellassoluto come pienezza di senso. Lassoluto senso, il logos, di ogni realt appartiene alluomo come una formalit originaria ma indeterminata: la determinazione si manifesta come rinvio di senso, come rimando ad una totalit determinata che per mai pienamente dispiegata e che nel suo insieme data solo in assenza. La determinazione che luomo interroga spesso afflitta dalla contraddizione dellerrore o del male: da ci che in se stesso non senso. La razionalit da cui la coscienza costituita e che la coscienza cerca di per s impotente di fronte al suo contrario; lirrazionale non pu essere radicato nella radicalit del logos, non pu costituire una modalit e un modo di manifestarsi dellassoluto. Qui si disvela una trascendenza inadeguabile del logos che partecipazione ma anche alterit: quanto dato, per un verso lascia trasparire la sua comunione con un senso assoluto, ma per altro verso manifesta una sua diversit ontologica che non mera apparenza. In quanto afflitto dalla contraddizione, il dato non pu essere inteso come un semplice apparire del logos, come una diversit in cui si manifesta il Medesimo: la sua determinatezza, la sua particolare diversit implica una originaria alterit rispetto al logos. La struttura dellesistenza storica, per un lato dipendente e per laltro indeterminata ed indeterminabile. Il giudizio storico nascer dallanalisi delle condizioni e delle dipendenze date e infine dallanalisi della loro capacit di mantenere aperto lorizzonte della scelta. La

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dipendenza va qui appunto intesa in due sensi: relativamente ai dati in cui emerge la coscienza storica e relativamente allintenzionalit costitutiva di ogni coscienza. La coscienza storica data a se stessa non come sapere ma come interrogazione, ovvero come un sapere che ritorna al suo esser dato e che qui pone il problema della propria identit. La coscienza, dunque, come movimento riflessivo e inoltre come riflessione che coglie se stessa in rapporto ad altro: duplice dipendenza, quella del riflettere come tale e quella della relazione ad altro. Il riflettere implica che la coscienza non si d a se stessa, ma che semmai si d a se stessa allinterno del suo esser gi data. In questo suo esser gi data essa in relazione ad una totalit altra che costituisce lorizzonte della sua identificazione: essa in s nulla, solo in quanto ad un tempo pensa laltro e laltro come riconosciuto, come dato. In questa duplice dipendenza parlare di libert assoluta o di un essere per s delluomo sarebbe mera vanit verbale: lessere storico e la sua coscienza si ergono primitivamente nel riconoscimento della necessit, quella appunto del proprio passato e quella dellaltro da s che come tali sono dati, non posti dalla coscienza. Lessere storico e la sua coscienza non sono esauriti in se stessi, non sono un senso a s, bens un senso in divenire: un senso che si va cercando nellulteriorit dellessere non ancora dato o non ancora fatto presente. Il problema delliniziativa storica: liniziativa rivolta al possibile, cio non ad un astratto non-essere-da-essere, ma a quel che non ancora dati che reso disponibile dal presente storico: anche quando si rivolge ad una mera idealit, liniziativa non pu che riuscire a quanto concesso dal presente. Ci che spinge al possibile levidenza di un senso non ancora dato: il criterio immanente alla determinazione del possibile sta, dunque, nellindividuare quella eventualit che sia concreta, cio attualmente concessa da presente storico, e che ad un tempo costituisca il massimo della adeguazione di senso. La via della adeguazione del senso sta nella possibilit di riferire un dato alla totalit dei dati che gli sono relativi e che pertanto lo costituiscono: la via che potremmo attribuire ad un intelletto astronomico, capace cio tutte le correlazioni. Se lipotesi dellintelletto astronomico potesse realizzarsi, non vi sarebbe alcuno spazio per una reale affermazione della libert storica, quale libert di scelta. Mentre la coscienza dischiude un evente come evento umano lo dischiude ad un tempo nel segno del mai totalmente determinabile: su questa base luomo non pu essere necessitato ad agire, n pu invocare una piena necessit del suo futuro; la sua decisione non che la decisione della scelta e la scelta on che il salto che si pone al limite del sapere o al culmine dellindecisione coscienziale. La via dellautenticit storica non definibile in senso deterministico. Giudizio storico come giudizio di valore. Ha valore ci che in forza, che ha potenza, che ha sanit, ossia ci che non sottomesso alla potenza del negativo e che resta aperto sulla via dellessere. La negativit di un evento o di una situazione storica cos da indicare ai diversi livelli cui siamo pervenuti: quando sul piano delle situazioni e delle istituzioni si dia come occlusiva della possibilit e del realmente novum. Quando venga a determinare una riduzione dellapertura sulla totalit del senso e si costituisco come uno sviamento rispetto allappello che viene dalla trascendenza. In definitiva, il giudizio storico un giudizio sulla misura o sullo stato di quella relazione che potremmo chiamare relazione di religiosit o di libert, nel senso dellapertura o della disposizione allEssere. Il rilievo della negativit e della positivit ha la sua fondatezza solo se si istituisce nella connessione del possibile e del necessario, del non dato e del dato: linsistenza sul solo versante della possibilit rischia la contraddizione tanto sul piano del giudizio quanto sul piano del progetto storico. Sul piano del progetto rischia la mera evasione ed infine il mantenimento delle condizioni date. Sul piano del giudizio, la ricerca sul possibile e sullimpossibile diventa del tutto impotente se non si esercita allinterno del dato, se non diviene critica delle situazioni reali che in se stesse aprono e chiudono la possibilit.

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DIALETTICA E LIBERTA
Il futuro non si presenta mai in modo determinante ed pertanto rotto nellalternativa della scelta: sempre ad un tempo possibilit dessere e possibilit di non essere. Ma il possibile che predica di ci che gi : non mai una possibilit pura, sempre possibilit di qualcosa o di qualcuno. Anche come alternativa del non essere, il possibile pertanto sempre tensione ad una determinazione, mai al puro non essere, a meno che la ricerca del non essere tenda ad annullare lo stesso portatore del possibile e costituisca il suicidio o la fine stessa della storicit. Sia il poter essere, sia il poter non essere progettano una qualche posizione di realt e la scelta delluna o dellaltra alternativa di per se stessa una tesi che respinge il non scelto ad antitesi. Ci che muove a realizzare il possibile la ricerca dellessere o duna adeguatezza di senso. La via del senso si era poi manifestata nel rimando alla totalit. Proprio questa tensione totalizzante porta a mettere in questione la tesi, non appena sia posta, e ci appunto perch essa istituisce ad un tempo unantitesi ed esclude cos o tende ad escludere unaltra positivit, un altro assetto del mondo, che ora mi sta di fronte con il vuoto della mia assenza. Ogni tesi, mentre definita dalla sua antitesi, in qualche modo un tradimento della totalit ed cos gi richiamata a riprendere quello che ha escluso. (1) Ogni tesi ha cos nuovamente di fronte due alternative: mantenersi nella propria teticit o tentare la ripresa dellantitesi con un movimento sintetico. La sintesi, tuttavia, non sar mai lidentificazione dei termini in cui si divideva il possibile. La sintesi pur sempre costituita allinterno della tesi; la svolta che ho imposto al mondo pur sempre irreversibile. La sintesi , a sua volta, una tesi di secondo grado che in se stessa costituisce ad antitesi la tesi di primo grado e dunque sar subito coinvolta dal problema di una nuova ripresa sintetica. (2) Alla linea della sintesi si contrappone lalternativa dellostinazione tetica ovvero del regime antitetico. Anche da questa parte si pu parlare di processo dialettico, perch pur sempre la tesi deve lasciarsi definire dallantitesi e questa da quella, ma al limite lesito di tale processo non pu dirsi propriamente sintetico. Si tratta duna sintesi negativa che in ultimo comporta la caduta della tesi: nella misura in cui se ne sta in s, la tesi si condanna infatti allirrelazione e quindi al non senso. (3) Il ventaglio delle possibilit dialettiche ha portato ad indicare la possibilit negativa dellostinazione antitetica e la duplice possibilit positiva della sintesi, si costituisca questa a partire dalliniziativa tetica o si costituisca a partire dalliniziativa antitetica fattasi a sua volta tesi. Una quarta possibilit pi negativa della prima: la tesi che ostinatamente si tenga a se stessa pu infatti avvertire che lantitesi respinta costituisce uninsidia ed una forza di contraddizione: la volont di mantenersi in s spinge allora la tesi alla promozione dellantitesi. E cos sembra che le distanza possano essere eliminate, ma si tratta di una compromissione: sintesi che non mira a riunire a i diversi, ma che nei diversi cerca solo lidentico. Aggregazione di simili, dunque, e non propriamente sintesi: astuzia che rinvia la morte, ma che in fondo mantiene il destino mortale dellostinazione tetica. In questa prospettiva si potrebbe leggere let contemporanea e in essa il passaggio al sistema neocapitalistico. Lappropriazione capitalistica aveva costituito un regime radicalmente antitetico. La ricchezza del capitale era, per, fondata sulla serialit del prodotto industriale e sulla stessa possibilit di incrementare la serialit della produzione: ci che doveva portare da una parte alla sempre ulteriore concentrazione dei mezzi di produzione e, dallaltra, allestensione e alla serializzazione dellarea di consumo. Cos, mentre il nuovo capitale si trov ad aggregare i suoi capitali, si vide anche costretto a 27

dilatare il potere dacquisto al di l dei propri confini: il capitale era legato allespansione dei consumi, ma lespansione non poteva essere mantenuta nellarea ristretta della signoria. La dipendenza del proletariato fu cos, almeno in apparenza, via via ridotta e la sintesi fu sempre pi adombrata nel convenire del servo col signore. Il prezzo della compromissione doveva essere, per, labbandono di quelle forma di cultura e di vita che restavano legate ad una capacit produttiva relativamente indivisa e non serializzante e che pur occorreva salvaguardare nella loro identit: la contraddizione della tesi che se ne sta per s era, cos, solo adombrata o solo rinviata nella sua forza mortale, ma era ad un tempo fatta pi ampia e pi divoratrice. (4) Lapertura del possibile ventaglio dialettico ci ha permesso di precisare il giudizio sulla libert e sullapertura della trascendenza. Dei modi possibili della totalizzazione storica, solo il primo, quello della tesi che in se stessa gi prefigura la ripresa dellantitesi e gi dilata linvenzione del senso, sembrato lunico propriamente positivo, lunico realmente libero dalla contraddizione. Si tratta, per, di un modo che sembra il meno dominante nella storia delluomo: i modi negativi e tendenzialmente antidialettici dellantitesi tenuta e della compromissione sono pi ricorrenti; il modo sintetico che si lega a partire dallantitesi disconosciuta nella propria identit poi quello che la coscienza storica si vede costretta a riconoscere con maggior speranza, ma pur sempre sintesi che si leva dalla contraddizione. Legemonia della contraddizione, positiva o negativa che sia, cos per diversi aspetti ancora la pi forte nella storia: il progresso delluomo, il salto qualitativo della disalienazione, non va allora dal regno della necessit a quello della libert, giacch la libert del possibile non pu levarsi che allinterno della necessit; il salto dovr piuttosto cercarsi rispetto al regno della contraddizione in vista di uno stato apocalittico delle libert o di un regno corale delle sintesi e delle riconoscenze. La coscienza storica cos chiamata non solo a valutare i modi dialettici delliniziativa umana, ma i luoghi pi significativi e pi dominanti della contraddizione storica. E, per farlo, essa dovr tenere sempre presente lintenzionalit costitutiva e mai del tutto sopprimibile della coscienza, quella di un senso assoluto o di una totalizzazione dei sensi. Nella misura in cui se ne sta per se stessa, la tesi non pu infatti prescindere dalla condizione che lha generata e che spinge appunto al compimento o allassolutezza di senso: solo che la tesi si appropria dellassolutezza e la scambia con la propria identit. Colui che si fa signore non ha eliminato il proprio nemico, perch nella nullit aperta dallannullamento anche il potere dellessere sarebbe scomparso e sarebbe alla fine risultato irriconoscibile: per questo il vincitore esige soltanto lasservimento, e lasservimento pi totale del vinto. La coscienza storica ha ormai unindicazione di metodo fondamentale: lindagine che deve portare in giudizio o un evento o un intero sociale finalmente avvertita che la sua attenzione deve puntare al rilievo delle totalizzazioni storiche, positive o negative che siano.

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