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Verso un sistema integrato di alternanza tra universit e lavoro

Intervista con Giancarlo Tanucci, docente di Psicologia del lavoro e delle organizzazioni presso lUniversit Aldo Moro di Bari e Revisore dei conti per la Rete Universitaria Italiana per lApprendimento Permanente
Nella I Assemblea Nazionale della RUIAP, viene spesso richiamata la Risoluzione sul contributo delle istituzioni europee al consolidamento e allavanzamento del Processo di Bologna, che chiede alle universit di adottare strategie per riconoscere limportanza di forme di apprendimento complementari come i sistemi di educazione non formale. In che modo sono collegati i temi di apprendimento formale, lifelong learning e certificazione delle competenze acquisite in contesti informali e non formali? La Rete Universitaria Italiana per lApprendimento Permanente un coordinamento informale. Loccasione per la fondazione stata la 42esima conferenza di EUCEN (European Association for University Lifelong Learning), cui fanno riferimento tutte le reti europee impegnate sul fronte del lifelong learning. Il focus del nostro interesse prevalentemente quello dei laureati che sono stati inseriti nel mercato del lavoro e che potrebbero essere interessati a proseguire, in qualche modo, un percorso di formazione, quindi coinvolgendo e chiamando in causa anche il mondo delle imprese per questo tipo di attivit. Questa opportunit nasce da quella diversa accentuazione che Europa 2020 pone sul livello di laureati auspicato in ognuno dei paesi membri. Si previsto che il livello dei laureati dai 29 ai 35 anni dovrebbe aggirarsi in Europa intorno al 30% della popolazione, e in Italia non arriviamo , attualmente, neanche al 18%. Mentre in Italia con la riforma universitaria il biennio della Magistrale gi considerato un percorso professionalizzante, relegando ad ambito puramente accademico e di ricerca dottorati, specializzazioni, ecc., vogliamo riflettere sulla possibilit di ancorare il biennio della Magistrale a percorsi successivi e di considerare la triennale come una vera e propria laurea, come tra laltro avviene sempre pi spesso per quanto attiene le selezioni nei concorsi pubblici. Le universit che intendono muoversi verso unarchitettura dei percorsi formativi articolata in cicli di 3+2+3 anni (comprendendo nellultimo 3 la formazione postuniversitaria, declinata come formazione continua e permanente). qui che si pone il problema della validation des acquis, e in questo campo si muove la RUIAP raccogliendo le diverse esperienze che sono state realizzate in ambito di formazione universitaria e che riguardano anche il recupero delle attivit formative svolte allesterno del contesto universitario, la certificazione dei crediti degli apprendimenti in azienda. Una sollecitazione in questo senso le universit la stanno ricevendo anche per la gestione della formazione permanente e continua del personale tecnico-amministrativo degli atenei stessi. Per questo in molti atenei si stanno formando, ancora senza alcun coordinamento, dei centri per lapprendimento permanente, che dovrebbero elaborare strategie per lo sviluppo e la valorizzazione delle competenze informali. Comincia a circolare, anche se in ambienti ancora di nicchia, lidea di estendere lattivit di questi centri anche al personale docente per adeguarne le competenze rispetto alle nuove domande che vengono poste dalla societ della conoscenza e dal mercato del lavoro. Alla RUIAP interessa riportare le professionalit allinterno delluniversit. Nellottica del 3+2+3, lidea di fondo quella di offrire allo studente un percorso di laurea triennale a cui far seguire unesperienza di professionalizzazione in un contesto di lavoro per sviluppare competenze dedicate e, quindi, sulla base di specifiche necessit e di sviluppo professionale, intervenire per riposizionare le proprie competenze in un quadro meno frammentario e non puramente operativo, conseguendo una laurea magistrale. Non possibile immaginare che ci si impegni per una laurea triennale, una magistrale, un dottorato senza

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soluzioni di continuit; c, sempre pi, il bisogno di muoversi verso un sistema integrato di alternanza tra universit e lavoro. E questa articolazione dei percorsi formativi va di pari passo con la costruzione di sistemi di ricognizione, validazione e certificazione delle competenze informali, soprattutto quando acquisite in contesti lavorativi.

Le ricerche sui dispositivi di certificazione delle competenze informali realizzati in Italia, a partire dal CEDEFOP fino alla ricerca condotta nellambito di SAVing, evidenziano una molteplicit di esperienze singole che non riescono a fare sistema. Che ruolo possono svolgere le universit per la definizione di un frame definitorio comune? Nei percorsi di certificazione delle competenze luniversit, attualmente, pu essere pi o meno presente e, in questo senso, la RUIAP sta raccogliendo dati sulle esperienze condotte dagli atenei per definire un set di metodologie e strumenti che possano supportare la definizione di un quadro nazionale. La questione non immediata, poich spesso gli atenei lavorano sulla certificazione delle competenze con un approccio quantomeno eterogeneo e molto articolato; in queste iniziative sono infatti coinvolti pedagogisti, filosofi, ingegneri e ingegneri gestionali, psicologi, ecc. Le universit italiane, per il riconoscimento dei crediti provenienti dalla formazione informale, devono acquisire e sviluppare strutture e principi condivisi. In seno alla RUIAP si costituito un gruppo di lavoro molto attivo sul riconoscimento e la validazione degli apprendimenti informali e non formali: lobiettivo di questo gruppo quello di fare tesoro delle esperienze universitarie che hanno realizzato esperienze di certificazione in grado di valorizzare gli apprendimenti effettivamente conseguiti al di fuori di percorsi formali. La questione della certificazione dei crediti da esperienze di lavoro particolarmente delicata anche in ragione delle non felici esperienze che hanno caratterizzato le proposte formative di alcuni atenei considerate dal MIUR al di fuori di una logica di valorizzazione dellesperienza tale da indurre lo stesso Ministero a limitare a 12 il numero di CFU certificabili come apprendimenti esperienziali, informali e non formali. E questo nuovo limite ha messo in crisi un canale di comunicazione tra universit e imprese che probabilmente non aveva fondamenta cos solide e poteva essere strutturato con maggiore coerenza interna ed esterna. Laltra questione che sta affrontando la RUIAP un coordinamento a livello regionale delle strategie e delle modalit di realizzazione di processi di apprendimento permanente e certificazione delle competenze. Il limite strutturale italiano si trova, soprattutto, nel fatto che ogni Regione, competente in materia, possa muoversi nella direzione che preferisce, limitando cos la trasferibilit dei percorsi di validazione e certificazione non solo allambito regionale ma, in diversi casi, anche a livello provinciale. Luniversit, spesso in ritardo in questo settore, ormai non solo interessata, ma anche tenuta a costruire percorsi di parallelizzazione e tra questi processi.

Il tema della certificazione delle competenze informali richiama direttamente ad un dialogo sistemico tra universit ed imprese. Che difficolt affronta la ricerca di un linguaggio comune tra questi attori dellapprendimento permanente? La certificazione delle competenze informali pu avere due output possibili: da una parte bisogna computare queste esperienze per re-incanalarle in un contesto formativo formale, dallaltra la messa in trasparenza delle competenze va interpretata nel senso di job rotation, orientamento professionale e organizzazione aziendale. E in questo senso indispensabile un rapporto diretto tra atenei e imprese. La RUIAP parte anche dalla consapevolezza che in ambito universitario si registra una eccessiva eterogeneit di proposte e programmi. Lo sforzo degli atenei deve rivolgersi verso la trasferibilit delle certificazioni che, in taluni casi, debole anche per quanto riguarda gli stessi master che spesso non vengono valorizzati in universit diverse da quelle dove vengono svolti. Anche nella definizione dei corsi di laurea, le universit sono tenute a ragionare in termini di competenze e di possibili output professionali, ma a dieci anni di distanza dalla riforma universitaria spesso

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vengono costruiti percorsi che poco hanno a che fare con i reali bisogni del mercato del lavoro. Formalmente le universit hanno bisogno di accordi con le categorie professionali, i sindacati e le forze imprenditoriali per definire i profili di competenze in uscita dalla formazione universitaria. Ad esempio, il profilo dello psicologo delle risorse umane ha bisogno delle dichiarazioni di congruit di stakeholder come lAssociazione dei Direttori del Personale, le parti sindacali e della rappresentanza delle imprese, ecc. Il problema che questa operazione si traduce troppo spesso nellallegare fogli di carta che vengono compilati e firmati senza grande riflessione. In questo processo, ragionare per discipline degli atenei, come capita di frequente, o fare riferimento alle competenze operative direttamente spendibili, come auspicato dalle parti sociali, rappresenta un ostacolo per una fattiva collaborazione/integrazione. Tutto questo nonostante i descrittori di Dublino impongano agli atenei di strutturare i curricula in base ad una definizione esplicita di quello che lo studente si deve aspettare di apprendere. Per ogni corso bisogna esplicitare non solo le conoscenze, ma anche le abilit e le competenze in uscita attese.

Il concetto di competenza ormai entrato a pieno titolo sia nel mondo delleducazione/formazione sia in quello del lavoro. Ragionare per profili di competenze pu facilitare la nascita di nuovi collegamenti tra universit e impresa? LItalia in questo ancora molto indietro: si lavora sulle conoscenze e al limite sulle abilit degli studenti. Ma pur riconoscendo che luniversit non in grado, per setting o per strumenti, di lavorare sulle competenze, c unenorme quantit di apprendimenti informali acquisiti in ambito universitario che concorrono a determinare il profilo professionale dei laureati e che non vengono assolutamente governati. Se gli atenei valorizzassero tutti gli apprendimenti informali in termini di pianificazione del lavoro, di organizzazione delle fonti di ricerca, ecc. cio tutte quelle competenze che sono poi strutturanti il profilo professionale in uscita, allora lorientamento assumerebbe una dimensione pi profonda, venendo incontro alle reali necessit delle imprese che cercano competenze e non solo conoscenze. Proprio allUniversit di Bari stiamo lavorando in questa direzione per strutturare un sistema di monitoraggio e certificazione di questi apprendimenti, in modo tale da fornire al datore di lavoro un profilo del laureando/laureato basato non soltanto sui titoli formali acquisiti ma che consideri anche le competenze sviluppate in contesti informali e non formali di apprendimento. Un sistema regionale di placement che non soltanto faciliti il collocamento ma che consenta di far dialogare sistematicamente universit ed impresa. Un dialogo di questo tipo serve anche a chiarire alle imprese il progetto di uso delle risorse umane a disposizione e/o richieste. Una profilatura approfondita dei candidati pu fornire informazioni sul percorso di studi, sulle competenze e anche sulle potenzialit. E in questo modo si pu sollecitare, attraverso interviste e altri strumenti, anche limpresa a riflettere sul tipo di investimento in risorse umane che intende realizzare. Luniversit pu aiutare le imprese a porre con maggiore precisione le proprie domande. Il lavoro di assessment che abbiamo realizzato a Bari su 800 laureati strutturato su quattro profili che vanno dai voti riportati nel percorso di studi fino alle forme di academic account, cio la rilevazione delle competenze trasversali di tipo gestionale e relazionale svolta dai docenti relatori delle tesi di laurea. Se limpresa in grado di dichiarare le previsioni di sviluppo potenziale della risorsa di cui ha bisogno, luniversit in grado di autorizzare laccesso ad un livello molto pi profondo ed articolato di informazioni sulla risorsa stessa. Il recruiting, in questo modo, non pu prescindere da una riflessione ponderata delle imprese di cosa vogliono fare con risorse da acquisire. E cos, luniversit pu strutturare percorsi di formazione e di assessment pi calibrati sulle competenze necessarie. La certificazione delle competenze informali il prerequisito necessario per spostare lattenzione dal posto di lavoro alla prospettiva di crescita. E in questo modo sia imprese che studenti/lavoratori possono ragionare e fare i propri investimenti.

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La possibilit di certificare non solo titoli ma nuclei di competenze comunque acquisite pu favorire la flessibilit dei percorsi formativi e di professionalizzazione, aprendo la strada a relazioni pi ampie tra sistemi di apprendimento e mercato del lavoro. Quali fattori favoriscono un dialogo universit-impresa con reali ricadute sul territorio? Per le universit il fatto che le imprese siano in grado di declinare e dichiarare le competenze richieste assolutamente positivo. La questione di fondo la misura in cui le universit sono in grado di declinare le competenze, e le imprese sono in grado di definire di quali competenze hanno bisogno. Nel declinare i profili, le universit si fermano a poco pi delle conoscenze e le imprese troppo spesso si attestano su un generico saper fare, collegato allesigenza del qui ed ora. I settori dove il confronto tra universit e impresa ha funzionato bene spesso sono quelli dove i docenti lavorano sul campo: Ad esempio nella mia universit (Bari) la Facolt di Agraria, tra le altre, che in questo senso lavora molto bene; il contatto tra imprenditori agricoli, ateneo e parti sociali continuo e la definizione dei profili in uscita dai corsi universitari deriva da un reale confronto con la realt produttiva. I percorsi dove la definizione di abilit e competenze sono pi avanzati in Puglia sono agraria, informatica, alcuni percorsi di laurea triennali per le professionalit sanitarie, ecc. Vuoi perch limpresa cerca un contatto diretto con luniversit per linnovazione, come succede ad agraria, o perch luniversit cerca le imprese dove si realizzano i processi innovativi che le universit vogliono certificare, come invece succede in informatica. Spesso la buona comunicazione tra impresa ed universit corrisponde alla buona impresa ed alla buona universit. O ad un legame di necessit. Faccio lesempio del mio corso di psicologia del lavoro e delle organizzazioni: nella maggior parte dei casi, le imprese non sanno che a Bari c un tale corso e sui temi delle risorse umane ancora faticano a definire le proprie domande di professionalit. In un recente contatto con una impresa del foggiano, operante nel settore biochimico e delle biotecnologie, in genere, esprimesse la necessit di reclutare uno psicologo delle risorse umane senza tuttavia saper indicare esattamente il profilo ed il campo dintervento. Piuttosto spesso, infatti, si tratta di fronteggiare domande confuse, incerte, nebulose che tuttavia segnala livelli di consapevolezza circa la necessit di valorizzare le professionalit disponibili, di rielaborare gli assetti organizzativi di fuznionalizzare i processi di gestione per ri-posizionarsi in maniera competitiva nel mercato globale. E questo un segno tangibile della difficolt di dialogo tra universit ed impresa in un ambito territoriale sottoposto a forti spinte dinnovazione.

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