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BENEDETTO CROCE

Collana Esprit 12

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Teoria e Orizzonti

a cura di Ivan Pozzoni

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DE MARTINO, CROCE E IL PROBLEMA DELLE CATEGORIE (Sergio Fabio Berardini)

In un articolo del 1938 Ernesto De Martino (Napoli, 1908 Roma, 1965), nel rimeditare alcuni concetti analizzati da Rudolf Otto nella celebre opera Il sacro del 1917, scriveva che al tedesco era sfuggito che il tremendum mitico, in una sfera religiosa pi propriamente magica, eccita, nel rito, una reazione violenta che permette di parlare di unira hominum contrapposta allira deorum, ovvero di unira del credente verso il nume1. Nellaffermare ci, il napoletano aveva in mente due concezioni a quel tempo dominanti di considerare il fenomeno religioso: da un lato lapproccio fenomenologico di Otto, che individuava lessenza dellesperienza religiosa in quel sentimento creaturale che ogni uomo prova di fronte a una forza numinosa che lo sovrasta e lo induce ad affondare nella sua nullit; dallaltra la posizione propria dellidealismo attuale, che riduceva la religione a misticismo, considerandola come quel momento spirituale in cui il soggetto si annulla nelloggetto religioso2. Allatteggiamento di sottomissione rilevato da Otto e allannullamento mistico prospettato dallattualismo di Gentile, De Martino contrapponeva una religione attiva; ovvero una religione che, nella sua vicinanza alla magia, si precisava come una violenta reazione una ira hominum contro gli di, e in generale, contro il numinoso:
Noi abbiamo segnalato, in un saggio intorno ai Gephyrismi Eleusini, tutta una serie di disposizioni violente verso il Numinoso, in netto E. DE MARTINO, Ira deorum (1938), in Scritti minori su religione, marxismo e psicanalisi, a cura di R. Altamura e P. Ferretti, Nuove Edizioni Romane, Roma, 1993, p. 88. 2 In un articolo del 1932 estratto dalla sua tesi di laurea, De Martino affermava che falsissima appare la definizione dellidealismo attuale, la quale riduce la religione al momento delloggetto, cio al misticismo (E. DE MARTINO, Il concetto di religione [1932], ivi, p. 49).
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contrasto con codesto sentimento creaturale; ed anzi nostra convinzione, che, nella sfera pi propriamente magica, questo accentramento spasmodico di energie sia la regola, e il sentimento creaturale leccezione3.

Lo studioso napoletano scorgeva nellazione magica la resistenza delluomo a una forza numinosa; e alla luce di tale resistenza egli comprese che in ogni pratica magica, vista ab intra, noi vediamo una insurrezione del soggetto contro qualcosa, un accentramento spasmodico di energie per ridurre questo qualcosa nel dominio della volont, una giustizia fisica instaurata dal soggetto attraverso un codice di violenza, un ordine naturale morale e rituale insieme, ma che nel rito sincentra e dal rito procede4. In tal senso, De Martino rilevava nellatteggiamento religioso lurgenza di porre una separazione tra un assoluto altro (alter) avvertito come minaccioso e oscuro (ater)5 e il mondo degli uomini. Queste prime ricerche demartiniane, volte a dare maggiore dignit storica alla religione e alla magia, cio a riscattare la prima dalla sua riduzione a philosophia inferior e riconoscere alla seconda una specifica positivit, non costituivano motivo di grande interesse per Benedetto Croce, o comunque non avevano posto allinterno del suo sistema: la religione, infatti, diversamente dallarte e dalla filosofia, dalla prassi economica e dalletica, non poteva essere considerata una distinta forma del circolo spirituale; mentre la magia, volendo usare unespressione di Adolfo Omodeo, era un negativo di cui non si poteva fare la storia6. E tuttavia, queIvi, p. 48. Ivi, p. 49. 5 Cfr. E. DE MARTINO, Alter e ater (1937), ivi, pp. 86-88. 6 In una lettera a me diretta [annota De Martino], datata 24 febbraio 1941, Adolfo Omodeo osservava che a rigor di logica la storia del magismo non esiste, perch la storia si pu fare del positivo e non del negativo: il magismo una potenza di cui ci si spoglia nel processo della ragione, appunto perch si rivela inadeguata, e non creativa (E. DE MARTINO, Il mondo magico. Prolegomeni a una storia del magismo [1948], Bollati Boringhieri, Torino, 1973, p. 162, nota 133). In modo analogo, Croce negava la possibilit di fare la storia del negativo, il quale, infatti, da intendersi come emisferio di tenebre non ancora rischiarato dalla luce del vero sicch si
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sto non imped a De Martino di scegliere Croce come miglior viatico per il suo peregrinare. Il motivo di questa scelta risiedeva nella convinzione, fatta propria dal giovane studioso, che lo storicismo crociano fosse il solo approccio possibile per comprendere quei mondi culturali entro i quali la religione e la magia ebbero un ruolo determinante ai fini della loro edificazione e protezione mondi ed et primitive che lo sguardo naturalista, precipuo di molte scuole etnologiche, specie quelle francesi e angloamericane, finiva per fraintendere grossolanamente. Il risultato di questo fertile incontro, tra De Martino e gli insegnamenti di Croce, matur cos in un saggio di carattere etnologico, pubblicato nel 1941 presso leditore Laterza.

1. Intorno a Naturalismo e storicismo nelletnologia, verso Il mondo magico Durante la stesura di Naturalismo e storicismo nelletnologia De Martino ebbe modo di confrontarsi con gli studi intorno alla mentalit primitiva condotti da Durkheim e Lvy-Bruhl e in particolare con la teoria del prelogismo di questultimo. Pur riconoscendo ad essi alcuni meriti, lo studioso napoletano critic aspramente il naturalismo dei due francesi, e soprattutto ricus con forza le tesi espresse ne Les functions mentales dans les societies infrieures (1910), secondo cui esistono, in ogni uomo, due mentalit separate e in opposizione tra loro, luna primitiva che partecipa in modo affettivo al mondo, laltra adulta che invece discrimina lesistente secondo i principi di identit e non contraddizione e di causalit. Per superare tale posizione, sulla cui paradossalit non ci possiamo ora soffermare, De Martino propose di qualificare come primitive quelle et e quelle culture in cui prevale la fantasia e leconomicit7. Determinato non
fa la storia del successivo rischiaramento, non della tenebra, che senza storia perch accompagna ogni storia (B. CROCE, Saggio sullo Hegel seguito da altri scritti di storia della filosofia [1913], a cura di A. Savorelli, Bibliopolis, Napoli, 2006, p. 76). 7 E. DE MARTINO, Naturalismo e storicismo nelletnologia (1941), a cura di S. De Matteis, Argo, Lecce 1997, p. 94.

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cronologicamente, bens logicamente, secondo il napoletano il mondo primitivo era dunque segnato dal prevalere delle categorie inferiori della teoresi e della prassi una prevalenza che implicava, di contro, una povert delle superiori categorie della logica e delletica. Una simile prospettiva, per quanto ingegnosa e (in apparenza) coerente con il sistema crociano, poteva tuttavia portare turbamento entro tale ordine, arrecando squilibrio l ove uno squilibrio non poteva assolutamente darsi8. Secondo Gennaro Sasso questa soluzione, lungi dal superare le aporie del prelogismo, insisteva sul medesimo piano astratto in cui si trovava Lvy-Bruhl; e dunque, anzich dimostrare fedelt a Croce, De Martino finiva col tradirlo:
Era inevitabile che, nellanalisi che dedicava a Lvy-Bruhl, egli operasse secondo il procedimento intellettualistico e separante che, segnandolo nigro lapillo, criticava nel suo autore. Era inevitabile che, lui pure, desse luogo allastrazione. Era inevitabile che mentre, per usare il linguaggio della filosofia, riteneva di essersi innalzato alla sfera della ragione, permanesse invece in quella dellarido intelletto9.

In tal senso, Sasso procede evidenziando lerrore speculativo celato nellidea di prevalenza:
Inteso come capacit di produrre schemi e astrazioni, spazio, tempo, causalit, quantit, lo pseudoconcetto o, che si dica, lintelletto astratto, non pu non presupporre il concetto puro, o, se si preferisce, la ragione. E questo il primo argomento che, nei termini della sua filosofia, devessere opposto allidea che nelle culture magiche, e nel mondo primitivo in cui si esplicano, a prevalere siano la fantasia e leconomico []. Questa idea in effetti inammissibile, non
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Carlo Antoni, pur recensendo favorevolmente il saggio demartiniano, rilev tale squilibrio e afferm che lidea di prevalenza, cos impostata, sembra un residuo vichiano (la recensione, pubblicata in Leonardo, a. XII, 1941, ristampata in E. DE MARTINO, Naturalismo e storicismo nelletnologia, cit., pp. 297-299). 9 G. SASSO, Ernesto De Martino tra religione e filosofia, Bibliopolis, Napoli, 2001, p. 149.

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solo perch lo pseudoconcetto suppone il concetto e, dunque, tutto lo spirito nella sua realizzata potenza categoriale: tutto lo spirito e non, come qui invece avviene, la fantasia10.

Tale idea inammissibile perch essa comporta una asimmetria nel sistema categoriale una asimmetria che Croce avrebbe ricusato senza mezzi termini. Sicch, come ha potuto De Martino, nel suo testo pi crociano, professare una simile teoria? Possibile chegli non fosse consapevole di questo strappo, oppure che non se ne curasse? Non sar agevole trovare una risposta ferma a queste domande. E tuttavia, potremmo innanzitutto avanzare lipotesi che De Martino, nel formulare lidea della prevalenza, abbia inteso la fantasia e leconomicit quali forme primitive, luna della cerchia teoretica laltra della cerchia pratica11, rielaborando alcuni passi presenti nella Filosofia della pratica di Croce, in cui si affronta la relazione tra le forme economica ed etica come doppio grado e si afferma che la prima forma (inferiore) pu essere concepita indipendentemente dalla seconda, mentre la seconda (superiore) non pu essere concepita senza la prima:
La distinzione e autonomia rispettiva delle due forme, economica ed etica, [] come espressa anche nelle parole inferiore e superiore [], quella di due gradi distinti e uniti insieme: tali cio che il primo possa concepirsi in certo senso indipendentemente dal secondo, ma il secondo non sia concepibile senza il primo. In quella concepibilit di esistenza indipendente del primo il momento della distinzione; nellinconcepibilit dellesistenza indipendente del secondo il momento dellunit12.
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Ivi, p. 152. In senso ideale, primitiva la fantasia nella cerchia teoretica e la pura economicit, la pura vitalit economica, nella cerchia pratica (E. DE MARTINO, Naturalismo e storicismo nelletnologia, cit., p. 94). 12 B. CROCE, Filosofia della pratica. Economica ed etica (1909), a cura di M. Tarantino, Bibliopolis, Napoli, 1996, p. 242. Lo stesso dicasi per larte e la filosofia (ivi, pp. 245-246). Su questo punto, in particolare sul problema del doppio grado, si veda Filosofia e idealismo di Gennaro Sasso, il quale mette bene in mostra laporeticit e il travaglio che spinse Croce a oltrepas-

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Marcello Must ha inoltre rilevato che gi Croce aveva parlato del prevalere di una forma sulle altre, per indicare lattualit della singola categoria e del decadere delle altre a sua materia nel circolo indivisibile dello spirito; ma egli ha altres messo in mostra la sostanziale differenza tra le due posizioni, e dunque il vulnus provocato da De Martino nel sistema crociano: rispetto allautonomia delle forme crociane, infatti, il prevalere dellintuizione e dellutilit nel mondo primitivo assumeva tutto un altro aspetto, e rischiava di delineare una situazione nella quale le forme escluse (il concetto e la moralit) restavano obliate e rimosse dallatto spirituale, come se la loro costitutiva cooriginariet cedesse alla diversa configurazione fenomenologica e storica del loro apparire13. E tuttavia, altrove, nei suoi studi storiografici, Croce aveva gi fatto ricorso al concetto di prevalenza, e lo aveva fatto in un modo simile a quello demartiniano: nel 1934, quando laspro presente lo sollecitava a meditare sulla categoria della vitalit, egli lo utilizz per indicare quelle epoche storiche di decadenza nelle quali rilevabile un prevalere della forma vitale, cio un discendere dalle pi alte sfere dello spirito (dellarte, della filosofia, della morale) alla sfera meramente utilitaria, economica, edonistica14. E prima ancora, in Teoria e storia della storiografia,

sare tale posizione (G. SASSO, Filosofia e idealismo. I: Benedetto Croce, Bibliopolis, Napoli, 1994, pp. 101 e sgg.). 13 M. MUST, Filosofia dellidealismo italiano, Carocci editore, Roma, 2008, p. 192. 14 B. CROCE, Il concetto di decadenza, in Conversazioni critiche, serie quinta, Laterza, Bari, 1939, p. 185. Nel saggio La storia contro le illusioni del 1948, giunse ad affermare che la distinzione di civilt e di barbarie, di progresso e di decadenza da intendere in relazione al duplice ordine di forze dello spirito, quelle vitali e quelle oltre e pi che vitali, e al prevalere in certe epoche delle une o delle altre (B. CROCE, La storia contro le illusioni, in Filosofia e storiografia [1949], a cura di S. Maschietti, Bibliopolis, Napoli, 2005, p. 150). Sulla riflessione di Croce intorno al problema della decadenza rinvio a D. CONTE, Storia universale e patologia dello spirito. Saggio su Croce, Istituto Italiano per gli Studi Storici in Napoli, Il Mulino, Bologna, 2005, pp. 214-215.

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Croce parl di prevalenza della fantasia15, affermando che let medioevale, o meglio lo spirito cristiano, superava lantico non gi con la sicurezza e la calma del pensiero, ma con la violenza del sentimento e con lmpito della fantasia16. Guardando al nostro problema, possibile presumere che quando De Martino asseriva che il concetto di mondo primitivo deve essere determinato logicamente come prevalenza della fantasia nellambito della teoreticit e della mera vitalit economica nellambito della praxis, e dunque che il mondo primitivo non pu essere definito in senso cronologico, come lumanit che visse allalba dei tempi, giacch ci che viene prima nel tempo potrebbe essere dal punto di vista logico e storiografico meno primitivo17 (per cui il primitivo noi lo ricerchiamo nellalto medioevo europeo molto pi che nella precedente Roma Augustea18); possibile presumere, si diceva, che egli pensasse a una distinzione analoga a quella crociana tra epoche di civilt e di barbarie; e che egli pensasse a questa distinzione quando, nel guardare alla follia che aveva avvinto lEuropa del suo tempo, affermava che il mondo primitivo [] oggi pi che mai d segni di presenza, simile a una tradizione quasi inaridita che rinverdisca, simile a un linguaggio liturgico quasi obliato che ritorni in piena evidenza alla memoria19. Ed possibile altres presumere che, nel parlare di prevalenza, egli facesse riferimento allinteresse precipuo dellet primitiva un interesse della vita che dirige quel mondo, facendosi fantasia e vitalit economica.20 Il tema dellinteresse, che nel saggio del 41 restava inespresso, dovette tuttavia attendere alcuni anni priB. CROCE, Teoria e storia della storiografia (1917), a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano, 1989, p. 235. 16 Ivi, p. 231. 17 E. DE MARTINO, Naturalismo e storicismo nelletnologia, cit., p. 227. 18 Ivi, p. 146. 19 Ivi, p. 58. 20 In un diverso contesto, Benedetto Croce parl dellinteresse della vita presente (B. CROCE, Teoria e storia della storiografia, cit. p. 14) quale espressione dello svolgimento della cultura (ivi, p. 15) un interesse che ci muove in quanto interesse della vita che si fa pensiero, oppure della vita che si fa intuizione e fantasia (ivi, p. 41).
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ma di essere affermato con forza, pur sotto una diversa impostazione categoriale. Nel 1948 usc Il mondo magico, nel quale veniva enunciato il problema dellEsserci (Dasein) che, nel patire langosciante possibilit di non essere, manifesta la volont di esserci come presenza21: una volont che esprime il proprio doverci-essere, il proprio supremo interesse ad esserci. E fu proprio nel tentativo di delineare questo mondo in fieri il mondo magico rispetto cui le tradizionali forme non costituiscono, n possono costituire un interesse dominante22, che De Martino pens di poter ampliare i confini del sistema crociano rivolgendosi a diverse prospettive mutuate dalla filosofia, dalletnologia e dalla psicanalisi23, e dar vita a uno storiciE. DE MARTINO, Il mondo magico, cit., p. 73. Ivi, p. 164 (corsivo mio). 23 Ne Il mondo magico, al fianco della filosofia di Croce e una ricca letteratura etnologica, compaiono temi elaborati in ambito psicoanalitico da Pierre Janet, cos come gli studi sul pensiero mitico di Ernst Cassirer e i problemi sollevati dallesistenzialismo (al riguardo, una visione panoramica ce la offre il saggio di S. BARBERA, Presenza e Mondo. Modelli filosofici nellopera di Ernesto De Martino, in R. DI DONATO [a cura di], La contraddizione felice? Ernesto De Martino e gli altri, ETS editrice, Pisa, 1990, pp. 103-127). Per quanto riguarda il rapporto De Martino-Janet si veda il saggio di A. TALAMONTI, La labilit della persona magica, in C. GALLINI (a cura di), Ernesto De Martino e la formazione del suo pensiero. Note di metodo, Liguori Editore, Napoli, 2005, pp. 79-114). Riguardo al rapporto De Martino-Cassirer, rinvio a G. SASSO, Ernesto De Martino tra filosofia e religione, cit., pp. 187-203; G. IMBRUGLIA, Ernesto De Martino tra Croce, Vico e Cassirer, in Illuminismo e storicismo nella storiografia italiana, Bibliopolis, Napoli, 2003, pp. 217-256. Per lesistenzialismo, si noti che durante il periodo della stesura de Il mondo magico (1941-45) non risulta alcuna lettura diretta di Heidegger (cfr. il commento di R. Pstina in E. DE MARTINO, Le note sullesistenzialismo, in C. GALLINI [a cura di], Ernesto De Martino e la formazione del suo pensiero, cit., pp. 179-186), seppure Essere e tempo risulta tra le opere citate (cfr. E. DE MARTINO, Il mondo magico, cit., p. 160 [nota 131]). Roberto Pstina ha in tal senso rilevato che il riferimento in questione estrapolato da L. PAREYSON, La filosofia dellesistenza e Carlo Jaspers, Loffredo, Napoli, 1940, p. 23 (cfr. E. DE MARTINO, Le note sullesistenzialismo, cit., p. 185). probabile che lo studio diretto di Essere e tempo si collochi tra il 53 e il 56 (cfr. M. MASSENZIO, La problematica
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smo aperto ad altre Weltanschauungen uno storicismo per il quale fosse doveroso parlare di presenza non come dato, bens come problema proprio di una et storica: quella del magismo.

2. Il mondo magico: la presenza e il problema della storicizzazione delle categorie Attraverso Il mondo magico De Martino tent di porre in questione il valore storico tanto del mondo primitivo quanto del passaggio tra questo e il mondo civilizzato. Gi in Naturalismo e storicismo egli afferm che letnologia storicista chiamata a cogliere le alternative da cui siamo usciti al fine di comprendere meglio ci che noi siamo, qui ed ora e di dare incremento e consapevolezza al nostro essere e al nostro dover essere24; mentre in un articolo successivo egli si chiedeva: Quale fu il processo per cui dallideale della personalit magica come espressione pi alta del vivere civile si passa allideale della persona unitaria, che vive la sua giornata culturale solo nel pieno esser presente a se stessa e al mondo?25. In questo interrogativo possibile scorgere il preludiare del concetto di presenza un concetto di cui, in quel periodo, tra il 41 e il 45, durante la genesi dei suoi prolegomeni a una storia del magismo, era in atto una prima formulazione un concetto, quello di presenza, attrastorico-religiosa di Ernesto de Martino: il rimosso e linedito, in E. DE MARTINO, Storia e metastoria. I fondamenti di una teoria del sacro, a cura di M. Massenzio, Argo, Lecce, 1995, p. 31). Per unanalisi dei temi esistenzialistici in De Martino rinvio a P. CHERCHI e M. CHERCHI, Ernesto De Martino. Dalla crisi della presenza alla comunit umana, Liguori Editore, Napoli, 1987 e P. CHERCHI, Il signore del limite. Tre variazioni critiche su Ernesto De Martino, Liguori Editore, Napoli, 1994 (visti gli anni di pubblicazione, questi due saggi, cui si aggiunge quello di Barbera, non tengono per conto dei rilievi di Pstina e di Massenzio che rinviano lincontro diretto con Heidegger a un periodo successivo a Il mondo magico). 24 E. DE MARTINO, Naturalismo e storicismo nelletnologia, cit., p. 231. 25 E. DE MARTINO, Percezione extrasensoriale e magismo etnologico, Studi e Materiali di Storia delle Religioni, XIX-XX, 1942, p. 81.

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verso il quale per De Martino fu possibile distinguere unet magica, drammaticamente aperta al rischio del proprio crollo, da unet (la nostra) in cui quel rischio non costituisce pi un problema; e individuare il percorso storico lungo il quale la persona, dapprima segnata da una labilit esistenziale, giunge infine ad essere saldamente presente a se stessa e al mondo. La presenza, o Esserci, nelle pagine de Il mondo magico, viene spesso adombrata in negativo, cio evocando il rischio che la minaccia. A tal proposito, De Martino fece ricorso allabbondante materiale che la psicologia e letnologia gli offrivano relativamente al fenomeno della disgregazione della personalit. Circa lo stato olon, osservato dalletnologo Shirokogoroff, il napoletano scriveva:
Se analizziamo lo stato olon, ravvisiamo, come suo carattere, una presenza che abdica senza compenso. Tutto accade come se una presenza fragile, non garantita, labile, non resistente allo choc determinato da un particolare contenuto emozionante, non trovasse lenergia sufficiente per mantenersi presente ad esso, ricomprendendolo, riconoscendolo e padroneggiandolo in una rete di rapporti definiti. In tal guisa il contenuto perduto come contenuto di una coscienza presente. La presenza tende a restare polarizzata in un certo contenuto, non riesce ad andare oltre di esso, e perci scompare e abdica come presenza. Crolla la distinzione fra presenza e mondo che si fa presente: il soggetto, in luogo di udire o di vedere lo stormir delle foglie, diventa un albero le cui foglie sono agitate dal vento, in luogo di udire la parola diventa la parola che ode ecc.26.

De Martino ci avvertiva che lolonismo non pu essere interpretato come lesito di una azione magica; e nel descrivere il processo che, in seno alla storia, ha condotto alla dis-individuazione delluomo dalla natura27, egli procedeva compiendo una triplice distinzione.
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E. DE MARTINO, Il mondo magico, cit., p. 72. Cfr. E. DE MARTINO, Naturalismo e storicismo nelletnologia, cit., pp. 228-229. In una lettera inviata a Croce nel 1940, De Martino scriveva al maestro: Se la Natura , come voi dite, storia disindividuata, storia non pi nostra, e quindi da noi non pi dominabile secondo spirito, possibile [] che vi sia stata unepoca in cui ci che ora pur resta normalmente disindivi-

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Apprendiamo cos che da un lato vi lEsserci stabile nella sua presenza (e questo il caso del nostro mondo), mentre dallaltro vi il non-Esserci, cio il precipitare della presenza, il suo crollo senza compenso (e questo il caso dello stato olon). Al centro di questa polarit sta il mondo magico, entro il quale lEsserci combatte per il proprio riscatto, nel tentativo di farsi pienamente presente nel mondo e di costituire culturalmente una solida separazione tra lIo e il non-Io. Lo scatenarsi dellolon non ha dunque nulla di magico, ch il magico gi un mondo culturale ove quella distinzione, seppure fragile e non del tutto conquistata, pure tracciata; mentre il dissolversi della presenza comporta altres il dissolversi del mondo: Il fatto negativo della fragilit della presenza, del suo smarrirsi e abdicare, incompatibile per definizione, con qualsiasi creazione culturale, che implica sempre un modo positivo di contrapporsi della presenza al mondo, e quindi una esperienza, un dramma, un problema, uno svolgimento, un risultato28. Ebbene, quando sorge il mondo magico? Esso sorge nel momento in cui, contro il rischio del crollo, si oppone una resistenza; ovvero quando il crollo della presenza, anzich compiersi de facto, avviene nellangoscia, e quindi nellavvertire la possibilit del proprio nulla una angoscia caratteristica, questa, che esprime la volont di esserci come presenza davanti al rischio di non esserci29. Come per lira hominum, anche ora la magia si configura come resistenza, come angosciata volont di distinguere e allontanare una terribile e minacciosa alterit che rischia di dissolvere luomo. Se nel caso di crollo senza compenso vi la perdita delduato (la natura) non lo sia stato per una proto-umanit e che, quindi, erano allora possibili modi di azioni e di dominio sulla natura, che ora, normalmente, sono andati perduti. [] La magia la Storia come pensiero e come azione dei primitivi: e se la natura , come voi dite, storia senza storia da noi scritta, la magia una storia della natura rappresentata e agita se non proprio dalle piante e dagli animali che lhanno fatta, da uomini molto prossimi alle piante e agli animali, e perci in grado di rifarla pi di noi (E. DE MARTINO, Dal laboratorio del Mondo magico. Carteggi 1940-1943, a cura di P. Angelini, Argo, Lecce, 2007, pp. 61-63). 28 E. DE MARTINO, Il mondo magico, cit., p. 73. 29 Ibidem.

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la presenza e del mondo (e di questo crollo non si pu fare la storia), nel caso di crollo nellangoscia30 vi una resistenza, una volont di riscatto, un fine e un valore, e dunque vi il mondo magico (di cui si pu fare la storia), il quale continua a sussistere sino a che la presenza non viene a consolidarsi:
Per una presenza che crolla senza compenso il mondo magico non ancora apparso; per una presenza riscattata e consolidata, che non avverte pi il problema della sua labilit, il mondo magico gi scomparso. Nel concreto rapporto dei due momenti, nella opposizione e nel conflitto che ne deriva, esso si manifesta come movimento e come sviluppo, si dispiega nella variet delle sue forme culturali, vede il suo giorno nella storia umana31.

Il mondo magico si caratterizza dunque per questopera di riscatto, ove ad essere riscattata la presenza che patisce la propria labilit che patisce un rischio, quello di non esserci, che continua ad angosciare e a manifestarsi, e che deve essere incessantemente affrontato e risolto. Linteresse dominante si precisa qui nelloperare contro la possibilit di non esserci. Una possibilit che non riguarda questa o quella cosa, bens lEsserci, cio lo stesso soggetto della possibilit ed per questo essa angoscia: in quanto ne va della presenza riuscire ad affrontarla e a compiere il riscatto da essa. E dunque, proprio nella differenza tra il crollo effettivo e la possibilit del crollo (langoscia) che occorre cogliere la peculiarit del mondo magico entro cui si elude il primo combattendo la seconda un crollo di cui non si fa esperienza se non come possibilit32. Volendo ricorrere a un
Il crollo della presenza diventa un rischio appreso nellangoscia (ivi, p. 74). 31 Ibidem. 32 Loggetto [dellangoscia] non si presenta secondo un contorno definito, dentro limiti stabili per cui possa essere appreso come oggetto: il suo limite travagliato da infinite possibilit sconosciute, che accennano a un oltre carico di angosciante mistero (ivi, p. 104). In unopera del 1959 De Martino scriver che, entro la pratica magica, la negativit non attuale, ma un possibile che concerne il futuro (E. DE MARTINO, Sud e magia [1959], Feltrinelli, Milano, 2000, p. 107).
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esempio, la vertigine che mi assale mentre percorro un tratto di sentiero di montagna presentifica in me la caduta nel burrone. Tale vertigine langoscia che allude a questo rischio. Ci non vuol dire che sto effettivamente cadendo tale angoscia non coincide con la caduta effettiva, ma con la sua possibilit. Nella vertigine anticipo la caduta pur rimanendo saldo coi piedi a terra vivo quella caduta pur senza averne mai fatto reale esperienza. E poco pu servire, in questo caso, la voce amica di chi ha salda la sua presenza e che mi ricorda, con logico realismo, che non sto rovinando verso il basso e che la via permane sicura sotto i miei passi: poco pu servire poich io mi trovo su quella via come se precipitassi. A salvarmi pu essere soltanto la decisa presa del mio compagno di ascesa, il quale ben conosce dramma entro cui sto crollando e che egli ha superato a trarmi in salvo pu essere soltanto la sua presa che minfonde forza e le sue parole che mi dicono: tieniti stretto a me. La possibilit del nonEsserci, anzich essere tolta attraverso la dimostrazione della sua impossibilit, rinvia al bisogno di un sostegno affettivo, in quanto il niente, come Heidegger ha evidenziato, non rilevato dalla logica (la quale, al contrario, ne mostra la contraddittoriet) ma rivelato dallangoscia33. E dunque, la risoluzione di questo problema, cio il problema della labilit della presenza, non pu avvenire tramite confutazione, ma soltanto tramite una pratica affettiva34. Una pratica,
Compreso che il problema del niente soppresso dalla logica (cfr. M. HEIDEGGER, Was ist Metaphysik? [1929], trad. it. di F. Volpi, Che cos metafisica?, in Segnavia, Adelphi, Milano, 1987, p. 63), luomo pu comunque portarsi dinanzi ad esso: Questo accadere possibile e, bench assai di rado, pure reale, solo per degli attimi, nello stato danimo fondamentale dellangoscia (ivi, p. 67). 34 A chi angosciato dal niente, un uomo saggio potrebbe anche dimostrare, richiamandosi a Parmenide, che il non essere non e non pu essere. E tuttavia, agli occhi di chi colto dallangoscia il niente non una contraddizione che semplicemente deve essere fatta cadere, giacch essa emerge come dramma un dramma rispetto cui la logica si fa inascoltata. Per questo motivo nel mondo magico a comparire come eroe della presenza non Parmenide, bens uno sciamano oppure, volendo individuare una figura di maggior prestigio, Orfeo (in tal senso, Vittorio Macchioro, noto studioso di
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dunque, capace di guardare al dramma (che la logica nega), di ghermirlo e riplasmarlo nel valore del suo superamento35. Questo sostegno affettivo assicurato per mezzo di un istituto magico, un sapere e una tecnica capaci di salvare la presenza dal crollo, di afferrarla quando essa si trova in bilico sullabisso della possibilit; mentre colui che opera al fine di stornare tale possibilit lo sciamano, la cui azione salvifica, culturalmente fondata e regolata, lo rende meritevole di essere chiamato Cristo magico36. Insomma, contro lo sporgere del dramma esistenziale (rispetto il quale Benedetto Croce avrebbe suggerito di utilizzare la ragione, che la sola a schiarire e a disperdere loscurit tanto nel pensiero quanto nelle passioni) De Martino riconosceva il valore positivo dellintervento magico un intervento culturale, salvifico, eroico, pedagogico, di cui era doveroso raccontare la storia. La figura delleroe della presenza, che aveva turbato non poco il filosofo di Palazzo Filomarino37, il quale, allindomani della seconda guerra mondiale, mal guardava alle celebrazioni di iporeligioni misteriche che per un breve periodo della vita del giovane De Martino fu di questi suocero e mentore, era persuaso che Orfeo, quale persona storica, fosse uno sciamano capace di indurre nei suoi adepti lestasi e di ridestarli dal sogno ipnotico: la facolt cio, secondo la mentalit realistica greca, di condurre i vivi allAde e ricondurli in terra [V. MACCHIORO, Zagreus. Studi intorno allorfismo, Vallecchi, Firenze, 1930, p. 337]). 35 Giustamente, Fabio Ciaramelli afferma che esula dalle competenze [] del sapere speculativo lavvertire la crisi e il farvi fronte (F. CIARAMELLI, Croce, de Martino e il problema filosofico dellorigine, in G. CACCIATORE, G. COTRONEO, R. VITI CAVALIERE [a cura di], Croce filosofo: tomo I, Rubettino, Soveria Mannelli, 2003, p. 157). 36 La figura dello sciamano, del Cristo magico si precisa in questa sicura stretta di mano, nellintervento di colui che ha vinto la vertigine dellangoscia, che la sa affrontare e che opera per il riscatto di quanti invece subiscono la labilit e la crisi del proprio ci sono. 37 La santificazione o per lo meno la venerazione, che il De Martino coltiva per lo stregone, ponendolo a capo dellorigine della storia e della civilt, mi d qualche pensiero. Preferisco allo stregone il bestione primitivo, che, secondo il mito vichiano, allo scoppio e al lampo dei fulmini sent in s svegliarsi lidea latente di Dio (B. CROCE, Intorno al magismo come et storica, in Filosofia e storiografia, cit., p. 199).

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tetici bermenschen capaci di trascinare le masse, questo eroe della presenza, si diceva, assume i caratteri di quella personalit che, avendo la forza di vincere la propria labilit, prende su di s il destino della sua comunit, ritualizzando la vittoria sul negativo, provocando la crisi del ci sono attraverso forme controllate, facendo partecipare alla sua personale riuscita quanti, nel rischio di smarrirsi, abbisognano di trovare la giusta via per dirigersi verso una rischiarante anabasi. Ebbene, seppure ne Il mondo magico ne viene taciuto il confronto, qui pare di scorgere la primordiale incarnazione di quegli individui della storia mondiale (i weltgeschichtliche Individuen teorizzati da Hegel) mossi dalla volont dello spirito del mondo38. Con le dovute precauzioni, si badi, possibile vedere nello sciamano la manifestazione dello spirito del mondo magico: il Weltgeist di quellet impegnata a proteggere la presenza e a conquistare la libert di esserci nella distinzione, contro la possibilit dellindistinto e dellimpossibilit di qualunque storia39. Cos adombrato, lo sciamano un eroe della libert che, resistendo al rischio del crollo, facenG.W.F. HEGEL, Vorlesungen ber die Philosophie der Weltgeschichte (1840), trad. it. di G. Bonacina e L. Sichirollo, Lezioni sulla filosofia della storia, Laterza, Roma-Bari, 2003, Introduzione, p. 28. A tal proposito, Benedetto Croce critic lidea hegeliana secondo cui si danno uomini non storici e storici, ordinar e straordinar (B. CROCE, Intorno alla teoria hegeliana degli individui storici, in Filosofia e storiografia, cit., p. 143): correttamente intesi gli eroi della storia, cos cari ai poeti, altro non sono che espressioni di commozioni, sentimenti e speranze (ivi, p. 141) presenti in ogni uomo. Come Hegel e pi di Hegel, ritenendo che non il singolo a fare la storia, Croce precisava: Lattore, lunico attore della storia lo spirito del mondo, che procede per creazioni di opere individuali, ma non ha per suoi impiegati e cooperatori gli individui, i quali, in realt fanno tuttuno con le opere individue che si vengono attuando e, tratti fuori di esse, sono ombre di uomini, vanit che sembrano persone (ibidem). 39 In tal senso, su questa originaria presa della libert, e dunque sul senso storico del mondo magico, si chiude il saggio di De Martino: Hegel non sembra rendersi conto che anche la semplice e umile presenza, che sembra accompagnarci senza dramma nellagone quotidiano per i valori dello Spirito, anche lesserci pu diventare problema culturale, centro di storia e argomento di libert (E. DE MARTINO, Il mondo magico, cit., pp. 221-222).
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dosi presente in tutti gli altri40, agisce in forza di un ordine culturale capace di coinvolgere lintera comunit la quale coinvolta ed accoglie in s la presenza di questo salvatore in quanto in essa (e qui si rileva una differenza col tipo hegeliano, che sconta la propria solitudine) ogni uomo, non meno dello sciamano, esprime una volont di riscatto: infatti, in assenza di un comune valore che unisce lo sciamano alla comunit, pur nella distinzione dei ruoli, lazione magica non si esplicherebbe. Per rispondere a tale obiettivo, lopera sciamanica ordisce una trama entro la quale ciascun individuo pu trovarsi e conquistare se stesso in un solido ci sono. Il dramma evocato in questo ordine culturale pertanto una rappresentazione drammatica della crisi: non la produzione (effettiva) del rischio, ma la sua riproduzione (protettiva) che ne decide il decorso e ne custodisce la risoluzione ch vi magia quando la crisi, in luogo del suo insorgere incontrollato, decisa e indirizzata verso un fine; quando il crollo del ci sono scongiurato attraverso una sua formale anticipazione:
Si consideri p. es. il latah che riprende lo stormir delle foglie e dei rami mossi dal vento. In questa forma di imitazione passiva o ecocinetica si realizza in pieno la fusione affettiva del soggetto e delloggetto: ci non di meno qui non si ha per nulla una imitazione magica. Solo quando il rischio del ci sono avvertito, solo quando il ci sono si fa centro dellimitazione guidandola e dirigendola a un fine determinato, nasce la imitazione magica come istituto storico definito. Chi imita lo stormir delle foglie per ecocinesia non fa della magia imitativa: lo far solo quando, facendosi centro dellimitazione, imiter lo stormir delle foglie e dei rami per produrre il vento. Solo per entro questa resistenza e questo riscatto del ci sono minacciato dallecocinesia si costituisce e vive, nella sua caratteristica tensione, la imitazione magica: che s, immediata presenza, ma in atto di riscattarsi merc la finalit dellazione personale41.

Lintento di descrivere la primitiva urgenza di stornare il rischio del non-Esserci e di sancire una stabile separazione tra lIo e il mon40 41

Ivi, p. 98. Ivi, p. 111.

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do (e dunque di dare stabilit tanto allIo quanto al mondo attraverso unopera culturale), indusse De Martino a tenere distinta lunit trascendentale dellautocoscienza dalle quattro forme (larte,la filosofia, lutile, letica) del sistema crociano, e a dare alla prima uno statuto privilegiato: ch se in essa si esprime lunificazione secondo forme del reale, per essa che sorge il dramma storico originario, il dramma del mondo magico, attraverso il quale il soggetto viene a costituirsi nella sua opposizione al proprio oggetto. E come ciascuna delle quattro forme, nella sua positivit, custodisce il rischio del proprio negativo (il brutto, lerrore, il disutile, il male), secondo letnologo napoletano anche il supremo principio dellunit trascendentale della coscienza aveva in s il suo negativo, ovvero il supremo rischio di perdere quella unit di perdere la presenza:
Ogni contenuto di coscienza determinabile solo per entro un certo valore logico, o estetico, o pratico, ecc. E qui si rivela in tutta la sua portata il supremo principio dellunit trascendentale dellautocoscienza. Affinch sia possibile il contrapporsi di un soggetto a un mondo, il distinguersi di una unit soggettiva dellio da ununit oggettiva del reale, affinch sia possibile la polivalenza qualitativa dei contenuti di coscienza, necessario latto della funzione sintetica trascendentale, la unificazione secondo forme. Ma a questo punto si apre una ulteriore prospettiva della ricerca. Lunit trascendentale dellautocoscienza non fonda soltanto lautonomia della persona, ma anche la possibilit del rischio a cui questa autonomia di continuo esposta. Proprio perch qui la forma un atto di plasmazione, un farsi, essa include in s la opposizione e quindi il rischio. Per entro la forma del concetto il rischio lerrore, per entro la forma dellarte il brutto, per entro la forma della vita morale il male ecc. anche il supremo principio dellunit trascendentale dellautocoscienza comporta un supremo rischio per la persona, e cio, appunto, il rischio per essa di perdere il supremo principio che la costituisce e la fonda42.

In polemica con Kant, il quale, assumendo come dato astorico e uniforme lunit analitica dellappercezione, aveva pensato la pre42

Ivi, p. 158.

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senza nella sua immediatezza originaria e pertanto incapace nella sua propria sfera di qualsiasi dramma e di qualsiasi sviluppo43, De Martino tent di allargare la coscienza storica del suo presente e far comprendere che nella storia non soltanto entrano lo scegliere e il decidere per entro le forme dellarte, del linguaggio, della religione e del mito, del sapere scientifico, della economicit, della politicit e del diritto, ma altres lo scegliere e il decidere per entro la forma fondamentale il supremo principio dellunit trascendentale dellautocoscienza44. Intesa in questo modo, la storia, svolgendosi attraverso il vario operare delle quattro forme spirituali, abbraccia anche le vicende che vedono farsi salda la stessa unit dellautocoscienza. Cos, soltanto nel momento in cui la presenza smette dessere un problema, ch lEsserci solidamente presente a se stesso, si giunge allipostasi metafisica di una formazione storica, ovvero si fa dellunit trascendentale dellautocoscienza qualcosa di mai deciso o (che poi lo stesso) di sempre deciso e perci stesso come ci che non entra nel mondo delle decisioni storiche45, e dunque si fa dellEsserci qualcosa di dato, di ovvio, di non problematico, come un ente gettato nel mondo46.
Appena sia vinta la limitazione inerente alla nostra attuale consapevolezza storiografica, e si scopra il mondo magico come forma di civilt in cui lesserci della persona emerge come risultato mediato, si produce allora un allargamento della consapevolezza e si apprende la sua precedente limitazione; lesserci si configura ora per quel che effettivamente, cio come dato a me nella storia umana, come beIvi, p. 159. Ibidem. 45 Ivi, p. 160. 46 Lespressione esser-gettato (Geworfenheit) sta a significare leffettivit dellesser consegnato (M. HEIDEGGER, Sein und Zeit [1927], trad. it. di P. Chiodi, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 1976, 29, p. 173). In tal senso, esser-gettato sta a significare lesser consegnato di questo ente che lEsserci al suo essere, e dunque al suo Ci, cio al sentimento della propria situazione (ibidem). Luomo (lEsserci), pertanto consegnato sia al mondo (lente che non ) sia a se stesso (lente che ); e cos egli non padrone, data questa assegnazione, n delluno n dellaltro.
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ne culturale che si fatto attraverso lotte, pericoli, sconfitte, compromessi, vittorie e infine come decisione e come scelta che ancor oggi vivono in ogni nostra decisione e in ogni nostra scelta. Attraverso la storia della magia, loscuro sum, la deiezione del nostro esserci, la congiunta esperienza della caduta del peccato, sono detronizzati dalla loro pretesa assolutezza, e sono riassorbiti nel processo della storia, di cui sono una formazione particolare. Unaltra epoca, un mondo storico diverso dal nostro, il mondo magico, furono impegnati appunto nello sforzo di fondare la individualit, lesserci nel mondo, la presenza, onde ci che per noi un dato o un fatto, in quellepoca, in quellet storica, stava come compito e maturava come risultato47.

Insomma, De Martino voleva individuare, nella storia, il momento in cui linteresse dominante si precisa come movimento e sviluppo della forma suprema dellunit trascendentale dellautocoscienza48; il che implica un interesse di minor grado per i valori propri delle altre forme (arte, filosofia, economia, etica): non una loro eliminazione, bens, lo ripetiamo, un minor interesse. In altri termini, egli non voleva affermare che le categorie tradizionali non si applicano alle et primitive49, bens che per le et primitive non quelle categorie, che ivi pure operano, ma la presenza si eleva a problema, in quanto deve essere contrastato il supremo rischio che la insidia. Pertanto la ragione storica che, nel tentativo di comprendere quelle et, non guarda a questo preciso problema, non investe il magico del suo interesse individuante50. Questa posizione venne ulteriormente precisata quando De Martino afferm che senza dubbio anche nelle civilt magiche vi sono prodotti che possono essere considerati come arte, filosofia, o ethos ecc., e tuttavia ci che qui si vuol mettere in evidenza il fatto che le forme tradizionali non costituiscono, n possono costituire, per entro il mondo magico, un interesse dominan47

E. DE MARTINO, Il mondo magico, cit., p. 161. Ivi, p. 163. 49 B. CROCE, Il mondo magico, in Nuove pagine sparse, Laterza, Bari, 1966, vol. II, p. 79. Croce rinvia qui alla pagina 164 de Il mondo magico. 50 E. DE MARTINO, Il mondo magico, cit., p. 164.
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te51. Dalla lettura de Il mondo magico, Croce rilev il tentativo di abbassare le quattro forme dello Spirito dal piano ideale che spetta loro al piano fenomenologico, al mondo storico, dal quale esse non traggono origine, ma del quale invece sono leterno motore; e critic con fermezza e con una certa preoccupazione laudace sforzo di De Martino di ripercorrere lumbratile via gi calcata da maghi e sciamani al fine di pervenire a una maggiore consapevolezza storica. Guardando a questo percorso, Croce vide la contrapposizione tra il nostro mondo, che regolato dalle categorie spirituali, e un mondo magico in cui tali categorie non sono operanti, e in cui ad operare una forza che, impegnata a conquistare la presenza, e dunque la loro unit, precede la loro comparsa52. La critica insisteva nel ricordare al
Ivi, pp. 163-164. Nella pagina precedente troviamo scritto: Linteresse dominante del mondo magico non costituito dalla realizzazione delle forme particolari della vita spirituale, ma dalla conquista e dal consolidamento dellesserci elementare, o presenza, della persona (ivi, p. 163). A riprova dellincomprensione che induce a pensare al mondo magico come a un mondo in cui le categorie tradizionali non operino, o in cui non esista alcuna quotidianit, ma solo una lotta per la presenza, nella sua introduzione a Il mondo magico, Cesare Cases si chiede come mai lhomo magicus demartinianus sempre dedito ai drammi dellolonismo, dellamok o della fattura, mentre non lo vediamo mai distendersi un po per costruirsi la sua capanna, fare allamore o celebrare una festa (C. CASES, Introduzione, ivi, p. XXIV). La risposta alla domanda polemica di Cases gi presente nel passo demartiniano sopra citato, nel quale si evince chiaramente che luomo magico avr pure una quotidianit (cercare cibo, costruire un riparo, fabbricare strumenti, scambiarsi beni, celebrare una festa, ecc.), la quale non pu e certo non deve essere negata, ma tale quotidianit non il suo interesse dominante; e pertanto a questo interesse che necessario guardare per comprendere quel mondo. 52 Benedetto Croce, nella sua seconda recensione a Il mondo magico, mostr che lerrore di De Martino stava nellaver storicizzato le categorie, ovvero nellaver asserito che let del magismo cre lunit dello spirito, quando, al contrario, essa [let del magismo] fu lazione di quella unit e delle sue categorie (B. CROCE, Intorno al magismo come et storica, cit., p. 194). In modo analogo, Enzo Paci osserv che De Martino scambia la storicit con leternit della filosofia (E. PACI, Il nulla e il problema
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suo allievo che n le categorie della coscienza, il linguaggio, larte, il pensiero, la vita pratica, la vita morale, n lunit sintetica, che tutte le comprende, sono formazioni storiche, prodotti di epoche dello spirito, ma tutte sono lo spirito stesso che crea la storia53. In tal senso, lidea di affermare che la Grecia cre la poesia e la filosofia, mentre il cristianesimo la coscienza morale, nasce solo da intenti pratici di natura storiografica tant che pure Hegel pecc nel rappresentare le forme dello spirito come epoche storiche e il corso della storia come quello in cui lo spirito crea le sue categorie o crea la sua libert54. E questo riferimento a Hegel, forse meglio di altri passi, riesce a mostrare le ragioni che portarono Croce a parlare di storicizzazione delle categorie. Infatti, il passaggio dal mondo magico al nostro mondo pu far pensare a un progresso di tipo hegeliano (e altres vichiano) un progresso che Croce, come noto, non poteva assolutamente accettare. Un passaggio, quello tra let magica e let della mente tutta spiegata, che paradossalmente dovrebbe comportare la precedenza di unipotetica et impegnata nella conquista dellunit sintetica (vuota di categorie) rispetto unet (la nostra) in cui le categorie sono invece presenti (in quella unit)55; ovvero la precedenza del mondo magico rispetto la storia e le sue eterne categorie. Lobiezione del grande filosofo idealista era chiara: lunit gi unit delle forme e le forme sono tali nellunit; in altri termini, esse unit e forme sono eterne e sono lo stesso Spirito che produdelluomo [1950], Bompiani, Milano, 1988, p. 89), ovvero con leterna struttura categoriale del pensiero (ivi, p. 88). Le recensioni (le due di Croce e quella di Paci) sono pubblicate in appendice a Il mondo magico (pp. 240241, 242-253 e 254-262). 53 B. CROCE, Intorno al magismo come et storica, cit., p. 193. 54 Ibidem. 55 In tal senso, Croce parl di vulnus entro il sistema delle forme: Il battere che fa De Martino sul rischio del perdersi, al quale, secondo lui, andrebbe incontro se stessa anche lunit acquistata [], verrebbe a distaccare con un taglio impossibile lunit spirituale dalle sue forme, che non sono aggiunte a quella unit, ma sono lunit stessa, onde, a volere considerare questa per s, resterebbe nelle mani nostre ununit, peggio che inerte, vuota (B. CROCE, Intorno al magismo come et storica, cit., pp. 193-194).

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ce la storia. Eppure De Martino non capiva il motivo della critica, o meglio: concorde circa tale affermazione, non capiva perch gli si imputava di averla contraddetta. Che De Martino fosse convinto di non aver operato una simile storicizzazione (e dunque di non aver tradito il sistema crociano) possibile desumerlo da un breve scritto56 in cui il napoletano affermava: mi si accusa di aver supposto nel Mondo magico due realt diverse, una valevole quasi in tutto nel nostro mondo europeo-occidentale e laltra propria del mondo primitivo e magico. Ma io non dico questo, non proponendomi affatto di storicizzare la categoria di realt. Io ho inteso semplicemente promuovere e accrescere la coscienza dellunica categoria di realt merc un allargamento dellorizzonte storiografico che si svolge per entro di essa57. Sicch, nello svolgere i suoi prelogomeni a una storia del magismo, questo voleva fare De Martino: scrivere una storia; e non edificare quello che Croce, riferendosi agli studi sulla preistoria, defin un atrio o unantisala delledificio storico58. Dunque, una storia. Una storia con tutte le categorie; e tuttavia, non solo le categorie tradizionali, ma altres (quasi si aggiungesse a quelle come ulteriore distinto) il principio fondamentale dellunit trascendentale dellautocoscienza (e la crisi ad essa correlata) un principio in virt del quale si attua la lotta per la difesa della presenza contro il rischio del suo crollo, una lotta per la libert del ci sono entro il mondo, di cui lo sciamano ne leroica incarnazione. Convinto di non aver ridotto il piano logico al piano fenomenologico, De Martino si difendeva in tal modo: Non ho teorizzato il cangiamento storico della categoria di realt, ma ho raccontato la storia, e quindi il cangiamento, di realt di cui non si era riusciti ancora a raccontare la storia; e aggiungeva: Se, per avventura, lumanit smarrisse la
Lo scritto, che custodito presso lArchivio De Martino (q. 26.1), pubblicato in G. SASSO, Ernesto De Martino tra religione e filosofia, cit., pp. 280-281. Si tratta di una prima replica alla critica di Croce una replica che, tuttavia, fin nel cassetto. 57 Ivi, p. 280. 58 B. CROCE, Considerazioni sulla preistoria, in Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici (1952), a cura di A. Savorelli, Bibliopolis, Napoli, 1998, p. 190.
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memoria di poeti come Omero, Shakespeare e Dante, non soltanto perirebbero determinati prodotti storici del genio poetico ma ne risulterebbe altres oscurata la coscienza stessa della poesia come categoria59. In tal senso, nel recuperare alla memoria gli istituti storici che hanno contribuito alla difesa della presenza, De Martino tent di portare a coscienza la forma fondamentale dellunit trascendentale dellautocoscienza. Alla severa critica del maestro, De Martino pens inizialmente di giustificarsi cos: Laccusa mossami dal Croce di voler storicizzare le categorie trae origine da una reale oscurit e manchevolezza del Mondo magico, e cio dalla non eseguita deduzione della nuova categoria di esistenza, e dallaver contratto in una sua forma storica il dramma esistenziale magico la sua produttivit categoriale60. E tuttavia egli prefer non giustificarsi. Probabilmente perch voleva rimediare a quella oscurit in forma pi distesa, De Martino decise di non replicare immediatamente a Croce. Daltronde, ubi major minor cessat: egli chin il capo e, alcuni anni pi tardi, prima in un articolo del 1956 e poi nel 58 in Morte e pianto rituale, fece ammenda di una colpa che forse non sentiva propria, ma che comunque assunse come propria e lassunse anche per facilitare lo schiarimento di quella categoria di esistenza che a suo avviso, per proprio demerito, era rimasta in ombra. Della retractatio demartiniana diremo a breve. Ci che invece preme ora sottolineare, dopo la lettura della sua soffocata difesa, che il suo proposito non era mostrare la formazione della categoria di realt e la conseguente storicizzazione delle forme, ma scrivere la storia di quegli istituti culturali che stornano la possibilit, vissuta drammaticamente dalluomo magico, di poter perdere lunit della presenza.

Citato da G. SASSO, Ernesto De Martino tra religione e filosofia, cit., p. 280. evidente che per Croce quei prodotti storici del genio poetico, anche se dovessero cadere in oblio, non potrebbero mai perire, ma resterebbero custoditi nel grembo dello spirito. Ed proprio perch ivi sono custoditi e non sono cancellati che De Martino pu affermare di voler recuperare alla memoria gli istituti magici, di riportali cio da Lete a Mnemosyne. 60 Ivi, p. 281.

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3. Dopo Il mondo magico: Croce, la forma del vitale e lethos del trascendimento Nel 1956, in un articolo intitolato Crisi della presenza e reintegrazione religiosa, Ernesto De Martino riprese il discorso de Il mondo magico dal punto in cui allora fu lasciato61. Da subito egli mise in causa la grave contraddizione in esso presente, dichiarando che non avrebbe mai dovuto far valere il concetto di presenza come concetto di ununit precategoriale della persona e guardare al mondo magico come a unet impegnata nella conquista di quella unit62. Ebbene, tralasciando per il momento la questione circa la sua buonafede e lautenticit di questa affermazione, potremmo da subito mettere in chiaro alcuni punti. Se prendiamo il saggio del 48 leggiamo che il rischio e langoscia hanno per oggetto la persona e il mondo: tali sono contraddistinti per la loro labilit, ma pur sempre una persona e un mondo sono. E proprio il rischio e langoscia mostrano che la persona e il mondo non sono semplicemente dati, o naturalmente garantiti nel loro essere, ma sono un problema. Inoltre, quando si parla di conquista, laccento cade sempre sullazione difensiva. A tal proposito, le espressioni che pi ricorrono sono: funzione protettiva, resistenza del ci sono, riscatto dal rischio di non esserci. Infine, il rischio ha la sua radice nellunit trascendentale dellautocoscienza63; pertanto quello non precede questa, ma la accompagna come unombra. Il passaggio dal mondo magico al mondo della mente tutta spiegata deve essere dunque pensato come il passaggio (entro il mondo, entro la storia) da una situazione affettiva in cui la labilit della presenza avvertita come problema, alla risoluzione di questo problema (e al successivo oblio del processo risolutorio). Sicch, let del magismo non anticipa lunit
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E. DE MARTINO, Crisi della presenza e reintegrazione religiosa, Aut Aut, 31, 1956, p. 17. 62 Ibidem. 63 Lunit trascendentale dellautocoscienza non fonda soltanto la possibilit dellautonomia della persona, ma anche la possibilit del rischio a cui questa autonomia di continuo esposta (E. DE MARTINO, Il mondo magico, cit., p. 158).

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dello spirito, ma la difende dal perturbamento dellanimo (sempre che possa essere difesa o perturbata da alcunch), o meglio, difende la persona dallangoscia, dallinsorgere della crisi e dalla temuta possibilit di perdere quella unit la quale non pu e non deve essere pensata separata da quelle categorie chessa unifica. Lautocritica segn la volont di chiarificare la propria ricerca in quei punti rimasti oscuri e svilupparla; ma segn anche un ritorno a Croce. Un ritorno, tuttavia, sui generis: in primo luogo perch egli non pensava di essersene allontanato (almeno nella forma in cui gli era stata imputata); in secondo luogo, perch questo ritorno segn un ulteriore distacco. Egli, infatti, in vista degli spazi che voleva includere nel proprio panorama di ricerca, sempre di pi e con maggiore consapevolezza cominci a soffrire della limitatezza della filosofia crociana, e pertanto avvert la necessit di aprirsi, come gi era accaduto con Il mondo magico, ma ora con pi forza, a nuove esperienze, a nuovi orizzonti speculativi, pur mantenendo uno sguardo storicista e pur conservando (seppur modificato da ulteriori elaborazioni) limpianto categoriale del suo caro maestro64. Nel riprendere il discorso l ove era stato lasciato, dunque, egli si sofferm proprio su quella energia distinguente che nel testo del 48 era stata definita quale unit trascendentale dellautocoscienza e che tante critiche aveva generato.
Il Croce aveva ragione: il taglio, per entro la storia umana, impossibile, nel senso che si possa mai immaginare ununit a s che Il distacco da Croce, scrive Giuseppe Galasso, si determin in quanto questi appariva ora come un metro troppo corto per misurare le nuove dimensioni del mondo di oggi (G. GALASSO, Croce, Gramsci e altri storici, Il Saggiatore, Milano, 1969, p. 238). Un metro troppo corto e forse anche troppo rigido, come De Martino confess nel 1953 quando, nel ripensare alla distinzione fra umanit e natura e al modo crociano di indicare i Naturvlker come quei popoli aggiogati alla natura e incapaci di fare storia, anzich come quei popoli soggiogati dal colonialismo e dalla morsa naturalista che divide lumanit in civilt e barbarie, vide nella filosofia crociana il riflesso di una ideologia borghese, segnata da un limite dumanesimo (E. DE MARTINO, Etnologia e cultura nazionale negli ultimi dieci anni, Societ, 9, 1953, p. 317).
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formi problema storico particolare, o addirittura dominante, ununit che davvero non si intende di che e come sarebbe diventata unit, e di quale riscatto avrebbe reso partecipe. [] Tuttavia, per entro la storia umana, il rischio del taglio esiste. [] E poich il rapporto che costituisce la presenza lo stesso rapporto che rende possibile la cultura, il rischio di non esserci una storia umana si configura come rischio di perdere la cultura e di recedere senza compenso nella natura. Quando tale rischio insorge in un determinato momento critico dellesistenza storica, la presenza perde la potest di deciderlo od oltrepassarlo, e vi resta impigliata, entrando in una profonda contraddizione esistenziale con se stessa: allora si avvia alla crisi proprio come presenza, poich la sua realt tutta senza residuo nellatto di decidere o oltrepassare secondo valori le situazioni della propria storia (che questo e nullaltro lecito intendere quando si parla dellumano ex-sistere). Un rischio radicale ha dunque luogo, un rischio che non certo la perdita della mitica unit anteriore alle categorie, ma ben la perdita della unit dinamica delle categorie, lestinguersi di quella energia di distinzione secondo valori che costituisce la realt stessa dellesserci nella storia umana 65.

Ebbene, qui vi sono almeno tre passi da rilevare: il primo riguarda il momento in cui, dando ragione a Croce, De Martino diceva essere impossibile immaginare ununit a s che formi problema dominante. E che ora parlasse di problema dominante di una unit a s (cio di una unit che precede le forme), anzich, come si visto ne Il mondo magico, di interesse dominante per lunit, che comunque unit di forme, ma la cui percepita labilit la pone sun piano di maggiore preoccupazione (di interesse, appunto) rispetto quelle; che ora parlasse di problema dominante di una unit precategoriale, si diceva, significa che De Martino aveva in mente di assumere quella colpa per poter affermare con maggiore chiarezza quanto in realt era gi stato affermato. Il secondo punto relativo alla contraddi65

E. DE MARTINO, Crisi della presenza e reintegrazione religiosa, cit., p. 19. Questo passo quasi identico al primo paragrafo che d inizio al saggio del 58 (cfr. E. DE MARTINO, Morte e pianto rituale. Dal lamento funebre antico al pianto di Maria (1958), Bollati Boringhieri, Torino, 1975, pp. 15 e sgg.).

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zione esistenziale. Qui De Martino si riferiva proprio al fatto che la possibilit del taglio, che dalla logica rifiutata (cos come rifiutato il niente che langoscia rivela), sul piano esistenziale invece avvertito in virt di una contraddizione nella ragione66; e dunque che, in luogo di un dato rischioso, la persona labile esperisce drammaticamente e con angoscia una possibilit che contraddice la ragione. Per questo motivo, in riferimento al mondo magico, possibile parlare di priorit dellunit rispetto le forme: perch, patendo la sua labilit, la presenza vive nellangoscia, la quale, anzich essere risolta dalla ragione, ha bisogno innanzitutto di un sostegno affettivo (la pratica magica), ovvero di un istituto culturale capace di entrare in
E. DE MARTINO, Crisi della presenza e reintegrazione religiosa, cit., p. 24 (cfr. anche E. DE MARTINO, Morte e pianto rituale, cit. pp. 23 e sgg.). A tal proposito De Martino rinvia al paragrafo 408 della Enciclopedia di Hegel in cui si trova scritto: Quando resta [] irretita in una determinatezza particolare, la coscienza non assegna a tale contenuto il posto intellettivo e la subordinazione che gli spetta nel sistema individuale del mondo in quel sistema, cio, che costituisce un soggetto. Il soggetto si trova allora nella contraddizione tra la sua totalit, sistematizzata nella sua coscienza, e la determinatezza particolare che, in questa totalit, non ha fluidit, e non n ordinata n subordinata. Questa contraddizione la pazzia (G.W.F. HEGEL, Enzyklopdie der philosophischen Wissenschaften im Grundrisse [1830], trad. it. di V. Cicero, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, Bompiani, Milano, 2000, 408, p. 685). E ancora, in Morte e pianto rituale, nel citare un passo dalla Critica della ragion pura in cui Kant ipotizza per assurdo la possibilit che le rappresentazioni non siano comprese, nella loro molteplicit, in ununica coscienza (in tal caso si avrebbe, in luogo dellunit sintetica, un Me stesso variopinto, diverso, al pari delle rappresentazioni delle quali ho coscienza [I. KANT, Kritik der reinen Vernunft (1781-1787), trad. it. di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Critica della ragion pura, Laterza, Roma-Bari, 1981, pt. I, libro I, cap. 2, sez. 2, 16, p. 112]), De Martino chiosa: la tesi che forma il nerbo del secondo capitolo del Mondo magico interpreta come reale rischio esistenziale ci che nella critica kantiana sta solo come argomento polemico (E. DE MARTINO, Morte e pianto rituale, cit. p. 21). Quindi il taglio visto, nella sua impossibilit logica, sia come contraddizione esistenziale, sia come reale rischio esistenziale (cio come contraddizione patita da chi, nella storia, vive e muore).
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contatto con quella contraddizione, di affrontarla positivamente e risolverla. Se ne Il mondo magico De Martino aveva taciuto che linteresse dominante per lunit spirituale una contraddizione, ora questa veniva dichiarata; e tuttavia, nellessere dichiarata, era altres affermata e dunque ripresentata secondo una formula pi chiara: il taglio s logicamente impossibile, e tuttavia, esperito come rischio, ovvero come trauma67, esso deve essere considerato esistenzialmente reale. Il terzo punto riguarda lunit dinamica delle categorie, e dunque lenergia di distinzione secondo valori, cio una forza spirituale in grado dimprimere in solide forme culturali il divenire una forza che, per De Martino, si precisava in unattivit edificante che costituisce la realt stessa dellesserci nella storia umana. Questa energia altro non che il principio supremo dellunit trascendentale dellautocoscienza, visto qui, nel suo dinamico svolgimento, come slancio valorizzante produttore di storia e di civilt potenza volta a dialettizzare il vitale con lethos e col logos68. Pertanto, una energia capace, in seno alle eterne forme dello spirito, di superare la forma della vitalit nel valore (economico, morale, poetico e scientifico). E tuttavia, e non per ragioni di doppio grado, come vedremo, per De Martino il superamento della vitalit doveva compiersi soprattutto col sostegno della forma etica. In tal senso, nel citare un passo de Lautomatisme psychologique di Janet69, egli parl di potenza morale, di ethos fondamentale delluomo come potenza dialettica che tramuta la natura in cultura70. Una forza etica, dunque, ovvero un lan moral, come pi tardi troveremo scritto ne La fine del mondo71, quando il napoletano riformer lo slancio vitale bergsoniano in termini culturali. Ma a questo punto occorre accostarsi al saggio del 58 per cogliere pienaE. DE MARTINO, Crisi della presenza e reintegrazione religiosa, cit., p. 20. 68 Ivi, p. 21. 69 P. JANET, Lautomatisme psychologique, Alcan, Paris, 1889, p. 478. 70 E. DE MARTINO, Crisi della presenza e reintegrazione religiosa, cit., p. 21 (cfr. E. DE MARTINO, Morte e pianto rituale, cit., p. 22). 71 E. DE MARTINO, La fine del mondo. Contributo allanalisi delle apocalissi culturali (1977), a cura di C. Gallini, Einaudi, Torino, 2002, br. 10, p. 15.
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mente il portato di queste prime e decise riflessioni circa lattivit valorizzatrice dellethos rispetto il vitale. Il richiamo allethos avveniva, in Morte e pianto rituale, attraverso un riferimento al capitolo Lattivit morale de La storia come pensiero e come azione di Croce, in cui leggiamo che il bene il continuo ristabilimento e assicuramento dellunit, e perci della libert72; bene che, unito dialetticamente al suo contrario, il male, uscendo dal ristretto quadro della sola etica per interessare ogni forma, coincide con la vita stessa, la quale perpetuamente si distingue nelle sue forme e nel circolo di esse si unifica73. Insomma, lattivit morale regge e dirige ogni attivit: quella poetica, quella economica e quella filosofica, distinguendo e unificando ognuna di esse, alimentandone il fine, dando slancio alla realizzazione del loro valore. E a tal proposito De Martino sottolineava che lethos doveva essere considerato non pi come una distinta forma del circolo spirituale, ma come la potenza suprema che promuove e regola la stessa distinzione del vario operare umano74. Lethos, non pi visto come categoria superiore della prassi, era qui inteso in modo del tutto analogo allunit trascendentale dellautocoscienza teorizzata ne Il mondo magico; e dunque, di nuovo, esso assumeva uno statuto privilegiato rispetto quelle forme spirituali che, nella loro distinzione, doveva unificare. Alla citazione del passo crociano egli faceva seguire tali parole:
Questo ethos coincide con la presenza come volont di esserci in una storia umana, come potenza di trascendimento e di oggettivazione. infatti norma costitutiva della presenza limpossibilit di restar immediatamente immersa, senza lume di orizzonte formale, nella semplice polarit del piacere e del dolore e nel gioco delle reazioni e dei riflessi corrispondenti: se vi si immerge, dilegua come presenza. La B. CROCE, La storia come pensiero e come azione (1938), a cura di M. Conforti, Bibliopolis, Napoli, 2002, p. 51. 73 Ibidem. Una analoga espressione la ritroviamo in un successivo scritto ove detto che la moralit, tenuta ferma la distinzione delle forme, pu dirsi la potenza unificante dello spirito (B. CROCE, Intorno al mio lavoro filosofico, in Filosofia e storiografia, cit., p. 65). 74 E. DE MARTINO, Morte e pianto rituale, cit., p. 17.
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mera vitalit che sta cruda e verde nellanimale e nella pianta deve nelluomo esser trascesa nellopera, e questa energia di trascendimento che oggettiva il vitale secondo forme di coerenza culturale appunto la presenza. Esserci nella storia significa dare orizzonte formale al patire, oggettivarlo in una forma particolare di coerenza culturale, sceglierlo in una distinta potenza delloperare, trascenderlo in un valore particolare: ci definisce insieme la presenza come ethos fondamentale delluomo e la perdita della presenza come rischio radicale a cui luomo e soltanto luomo esposto75.

in questa precisazione dellethos come presenza che De Martino, confrontandosi con Croce, approfond la sua meditazione sul vitale. Una riflessione che metteva in mostra come, nel pensare quella forma, nel maestro e in molti dei suoi discepoli vi fosse incertezza e contraddittoriet a causa della mancata distinzione tra vitale ed economico76. La vitalit, infatti, dal filosofo idealista era presentata in modo non distinto dallutile, e in essa si precisava il carattere verde e crudo dellesistenza, scevro da ogni aspetto morale, artistico o logico.
Terribile forza questa, per s affatto amorale, della vitalit, che genera e assorbe o divora gli individui, che gioia ed dolore, che epopea ed tragedia, che riso ed pianto, che fa che luomo ora si senta pari a un dio, ora miserabile e vile; terribile forza che la poesia doma e trasfigura con la magia della bellezza, il pensiero discerne e conosce nella sua realt e nella realt delle sue illusioni, e la coscienza e volont morale impronta di s e santifica ma che svela sempre la sua forza propria, con le sue ragioni che si fanno valere oltre la nostra volont e riimmergono di volta in volta lumanit nella barbarie, che precede la civilt e alla civilt succede, interrompendola per far sorgere in lei nuove condizioni e nuove promesse 77.

Ibidem. Ivi, p. 18 (nota 6). 77 B. CROCE, Intorno alla categoria della vitalit, in Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, cit., p. 144.
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Nel leggere questo passo saremmo quasi tentati di pensare a un puro bios scevro di spiritualit, e tuttavia occorre tenere fermo questo aspetto: che la vitalit forma, e non soltanto (o soprattutto) materia. Giova ricordare che Benedetto Croce aveva fatto rientrare lutile (economico e vitale) entro il circolo dello spirito per non lasciare nulla fuori di questo: nulla che non fosse pura astrazione o fantasticheria. Cos pensata, la vitalit, in quanto forza amorale, cio forza cruda e verde, si pone dialetticamente come materia per ogni slancio etico, artistico e filosofico; ma anche come fiacchezza morale, come tentazione alla disgregazione dello spirito, ove il bene ne la potenza unificante. Guardata sotto questa luce, anche se la vitalit da considerarsi positiva al pari delle altre forme, pi delle altre sembra custodire la radice del negativo78 un negativo del quale la storia sempre stata e sempre sar testimone e del quale lumanit non potr liberarsi, ch la Vitalit irrequietezza e non si soddisfa mai79. Pertanto, lo svolgimento dello spirito, qui inteso non in modo cuspidale (scandito da momenti imperfetti sino a una forma ultima e perfetta), bens circolare (che non prevede alcuna fine, alcun arresto), ha nella vitalit (in quanto perpetua irrequietezza che di continuo offre problemi che le forme dellarte, della filosofia, della morale di volta in volta risolvono) materia e sempre nuova energia80.
Enzo Paci, che aveva proposto di risolvere lutile crociano nel concetto di esistenza, cio come sola materia e non anche come forma, osserv che lutile in realt quel negativo che spiega la distinzione e lopposizione tra le forme e tutte le distingue con la sua negativit, ed a tutte si pone come contrario e tutte costringe a lottare contro di lui (E. PACI, Esistenzialismo e storicismo, Mondadori, Milano, 1950, p. 217). 79 B. CROCE, Hegel e lorigine della dialettica, in Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, cit., p. 39. In questo senso, il circolo delle forme, visto come totalit che comprende altres il vitale, laccettazione piena della realt come dato nel quale, secondo lespressione paolina tante volte richiamata da Croce, vivimus et movemur et sumus (M. MAGGI, La filosofia di Benedetto Croce, Bibliopolis, Napoli, 1998, p. 360). 80 Sicch, senza la vitalit le diverse forme dello spirito non avrebbero voce, n altri organi, n forze (B. CROCE, Hegel e lorigine della dialettica, in Indagini su Hegel e schiarimenti filosofici, cit., p. 38). Giuseppe Galasso a questo proposito scrive: La vitalit, dunque, non solo come integrazione,
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Nel passo demartiniano citato poco sopra abbiamo letto che la mera vitalit che sta cruda e verde nellanimale e nella pianta deve nelluomo esser trascesa nellopera, e questa energia di trascendimento che oggettiva il vitale secondo forme di coerenza culturale appunto la presenza; e altres che il rischio di non trascendere il vitale nellopera appartiene soltanto alluomo. Ebbene, occorre rilevare che per De Martino il vitale non sta mai come forma, ma come materia: come materia trascesa nella coerenza culturale81. Diversamente da Croce, il vitale assunto come fondo naturale rispetto il quale luomo, e solo luomo, attraverso unopera di plasmazione culturale, compie (e mantiene) un distacco. Materia, dunque, che viene trascesa da quellethos fondamentale della presenza che vuole esserci in una storia umana. Tale ethos non si riduce alla sola categoria morale82, ma coinvolge tutte le forme dello spirito (ch la presenza si precisa nellunit di queste). Inoltre, entro il continuo passaggio da una forma allaltra, viene a svolgersi una spirale della vita culturale83, ch il vitale sempre si ripropone, in quanto materia informe e indefinita che alcuna forma e coerenza riesce a esaurire, per cui lethos, non potendo compiere un definitivo distacco da esso, sempre vi ritorna, ma vi ritorna pi ricco, cio arricchito dal vario operare economico, morale, artistico e filosofico; e dunque vi torna con rinnovate forze, pronto [] ad un pi vigoroso sforzo di economica coerenza, per innalzarsi nuovamente alla poesia e alla scienza e alla vita morale, a incrementare lethos nel suo civile realizzarsi84. Lo scarto rispetto Croce non stava tanto nella forma a
bens anche come promozione del circolo spirituale; non solo come complemento materiale, bens anche come garanzia del carattere umano della vicenda spirituale (G. GALASSO, Croce e lo spirito del suo tempo, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 424). 81 E. DE MARTINO, Morte e pianto rituale, cit., pp. 17-18. 82 Negli Scritti filosofici leggiamo che lethos non un valore categoriale confondibile con la consapevolezza morale (E. DE MARTINO, Scritti filosofici, a cura di R. Pstina, Istituto Italiano per gli Studi Storici in Napoli, Il Mulino, Bologna, 2005, p. 64). 83 E. DE MARTINO, Morte e pianto rituale, cit., p. 19. 84 Ibidem.

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spirale del civile progresso dello spirito, giacch anche per il filosofo idealista la storia era progresso, e mai regresso; bens stava nella irruzione di questa forza lethos capace di un continuo trascendimento della vitalit nella variet delle forme; e altres nella riforma dellutile, il quale, per De Martino, non si precisava pi e come economico e come vitalit, bens si distingueva da questultima. Insomma, nellindicare la vitalit come materia trascesa, e non come forma (ovvero, crocianamente, come forma che materia delle altre forme), egli la differenziava dallutile85 utile che (ad esempio attraverso la progettazione comunitaria degli utilizzabili86) era visto come linaugurale distacco da quella. Occorre dunque cogliere il movimento valorizzante fra la vitalit, che sempre materia, e la presenza come volont di forma87; movimento che mostra come, nelluomo, il vitale sia sempre in atto desser trasceso, ove il rischio, entro questo quadro, riguarda limpossibilit di trascenderlo, cio di far passare la naturalit del vivere nel valore della cultura:
Questo rischio concerne in primo luogo i momenti del divenire [quali, ad esempio, la perdita di una persona cara, una terribile malattia, ecc.] che nel modo pi scoperto fanno scorgere la corsa verso la morte che appartiene al vitale nella sua immediatezza: nellestrema e non eludibile tensione di questi momenti, allorch in causa lesserci o il non esserci come presenza, pu consumarsi la crisi di oggettivazione, lo scacco del trascendimento: ed invece di far passare ci che passa (cio di farlo passare nel valore) noi rischiamo di passare con ci che passa, senza margine di autonomia formale 88.

Qui il rischio non si configura pi come un tratto caratteristico di quellet magica che non ha ancora conquistato una presenza solida, ma diventa un ineliminabile carattere dellumano. Occorre a questo
Ad esempio, per letnologo napoletano il bisogno di cibarsi era distinto dalla produzione di strumenti tecnici atti a procurarselo: il primo rientrava nel vitale, la seconda nella categoria dellutile. 86 Cfr. E. DE MARTINO, La fine del mondo, cit., br. 8, p. 9 e br. 241, p. 437. 87 E. DE MARTINO, Morte e pianto rituale, cit., p. 20. 88 Ivi, pp. 20-21.
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punto richiamare un passo di Enzo Paci che sinora abbiamo taciuto. Nel suo scritto dedicato al saggio demartiniano del 48, egli suggeriva di fare chiarezza: o il mondo magico separato dal nostro mondo e non si capisce perch ne parliamo, oppure esso , come le altre forme dello spirito, eterno. E cos scriveva: Se il De Martino, in base alla sua esperienza del mondo magico, vuol far rientrare il mondo magico nelle categorie metodologiche della storia, comunque le concepisca, deve riconoscere che la forma magica non mai superata ma eterna, e, come tale, presente in ogni momento della storia come sono presenti, per esempio, larte, la filosofia, la morale, e dunque invitava il napoletano a intendere il mondo magico come un mondo non superato e morto ma sempre possibile89. Questa critica evidenziava lerrore di considerare lepoca magica come unepoca chiusa e isolata in se stessa. Ebbene, seppure gi ne Il mondo magico (almeno velatamente) si alludeva alla possibilit di ricadere sul piano arcaico dellesperienza magica, nella misura in cui abdichiamo al carattere della nostra civilt90; e seppure ancor prima, in Naturalismo e storicismo (qui meno velatamente), in riferimento allEuropa del suo tempo il mondo primitivo era indicato come risorgente91; De Martino fece proprio questo a partire da Morte e pianto rituale: consider il rischio della presenza non come un dramma esclusivo di unet passata che ci siamo lasciati dietro le spalle, ma come un rischio antropologico permanente92. Pertanto, che il supremo rischio fosse permanente e non esclusivo di unet magica che si contraddistingue per la sua labilit e altres per una particolare coscienza del rischio (dato il suo interesse dominante ad esserci), occorreva ora esplicitarlo93. Durante il periodo dedicato alla stesura de La fine del mondo, lethos trov la sua ultima determinazione come ethos trascendentale del trascendimento della vita nel valore94. Tale ethos
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E. PACI, Il nulla e il problema delluomo, cit., p. 89. E. DE MARTINO, Il mondo magico, cit., p. 167. 91 E. DE MARTINO, Naturalismo e storicismo nelletnologia, cit., p. 54. 92 E. DE MARTINO, La fine del mondo, cit., br. 9, pp. 14-15. 93 Cfr. E. PACI, Il nulla e il problema delluomo, cit., pp. 85-87 e 90-92. 94 Lethos del trascendimento una forza operante molto pi nel profondo [rispetto la consapevolezza morale], una forza che condiziona il dispiegarsi

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assumeva nuovamente laspetto di una forza non trascendibile che sta alla base di ogni trascendimento della vitalit nelle forme (economica, morale, artistica o filosofica). Cos adombrato, lethos trascendentale non lIo penso kantiano, che organizza e unifica (senza poterla creare) la molteplicit delle rappresentazioni; ma piuttosto da intendersi, se ci viene passato il termine, come un Io trascendo che crea un mondo culturale plasmando linforme materia del vitale e che d sempre nuova forma allessere95. De Martino giunse in questo modo ad affermare che lethos del trascendimento il dover essere dellessere, cio lessere in quanto valorizzazione. Come dover essere del valore lessere si realizza sempre nella effettiva valorizzazione e daltra parte nessuna opera storica pu mai definitivamente esaurirlo: la Divina Commedia realizza senza esaurirla la poetabilit dellessere96. Lintendere lethos trascendentale come forza sorgiva capace di realizzare continuamente il valore dellessere, senza per questo poterlo esaurire, era possibile in quanto, per il napoletano, tale non era lessere di Parmenide, lUno immobile ed eterno, bens era dover-essere. un tema, questo (per cui la realt viene intesa concretamente come divenire), squisitamente idealistico. Ma pi che a Croce, De Martino guardava ora allesistenzialismo positivo di Abbagnano e Paci. A tal proposito, egli fu conquistato da alcune riflessioni di Paci su Kant:
di tutti i valori categoriali, a cominciare da quello economico sociale. Lethos del trascendimento unicamente limpulso ad oltrepassare la vitalit naturale nei valori categoriali, e la totalit di questi trascendimenti valorizzanti condiziona la esistenza, in quanto vita individuale che lethos fa passare nella universalizzazione economico-sociale, e nelle altre (E. DE MARTINO, Scritti filosofici, cit., p. 65). 95 De Martino annota un passo in cui Paci afferma che lesistenza lo sforzo dellessere verso se stesso, cio lessere che si trascende e pone il fondamento trascendentale di s (E. PACI, Il nulla e il problema delluomo, cit., p. 37), e poco oltre precisa che il termine trascendentale ricorda Kant ma si pone come concreto fondamento dellesistere, mentre in Kant il trascendentale potrebbe sembrare una pura legalit e pura forma del pensiero, s che lesistenza sfugge e si apre il dualismo (ivi, p. 38). 96 E. DE MARTINO, Scritti filosofici, cit., p. 18.

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Che cosa ci che umano? La filosofia di Kant rappresenta la risposta pi chiara e pi alta che lumanit ha saputo dare a questa domanda, rappresenta cio lesame pi completo che lumanit deve porre a se stessa, lindicazione del suo fine e del suo destino. Qual questo fine? Non quello di conoscere lessere perfetto e assoluto ma di vivere in modo da fare, da costruire, con la nostra azione, un essere che sia il pi possibile perfetto e assoluto. Pu darsi che noi non ci riusciamo: ma questo e non altro il compito dellumanit. 97 Lessere assoluto non si conosce, si fa .

E pi oltre continuava:
Che cos luomo? lessere che va al di l, lessere che si trascende, lessere che non conosce Dio ma costruisce Dio nei secoli e sente la costruzione di questimmensa cattedrale come compito della sua vita, come scopo finale della natura, della storia, delluniverso 98.

Luomo come essere che si trascende il cui telos coincide con la costruzione di un fine universale che oltrepassa la sua vita empirica, ma che lo accoglie in un abbraccio comunitario. Questo approccio positivo permise a De Martino di affermare, contro le posizioni negative della Existenzphilosophie di Heidegger e Jaspers, che lessere non trascendente, non giace in un fondo abissale, ascoso, indifferente al travaglio e allumana speranza; che esso non inconoscibile o irraggiungibile, bens realizzabile, e perci conoscibile e raggiungibile attraverso tale opera di realizzazione99. In questo modo, il napoletano tent di superare lantiumanistica indifferenza per lontico che segue allheideggeriana differenza ontologica (a quel pensiero che, nel tentativo di rimediare alla trascuranza dellessere,
E. PACI, Il nulla e il problema delluomo, cit., p. 58. Ivi, p. 59. 99 Lethos del trascendimento della vita nel valore comporta la risoluzione dellessere nel dover-essere-per-il-valore. Con ci viene dissolta la trascendenza dellessere con la corrispondente alternativa dellirraggiungibilit di questo trascendente, e viene giustificata la continua accessibilit e inesauribilit dellessere in quanto essere qualificato secondo valore (E. DE MARTINO, Scritti filosofici, cit., p. 12).
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togliendo allazione una finalit e un dovere, finisce col trascurare lente100) e cerc di stabilire, pur tenuta ferma quella differenza, una (se cos si pu dire) differenza ontica, riconoscendo la positivit (la non-indifferenza) delle opere umane alle quali lessere legato e per le quali lessere viene a determinarsi. Una differenza ontica rispetto cui luomo sempre chiamato a decidere la forma dellessere, la migliore forma, la quale non simprime secondo un inviolabile e trascendente destino (che disegna la storia), bens secondo il pensiero e lazione umana (che sono artefici di storia). Fatta propria tale prospettiva, che univa, nelle sue indagini sui mondi culturali e sul tema del valore, storicismo ed esistenzialismo positivo, Ernesto De Martino intendeva contrastare le tentazioni del relativismo (per cui ogni forma vale laltra) e dellirrazionalismo (per cui ogni forma tradisce lessere nel tradurlo) cio quelle forme di fiacchezza spirituale che indeboliscono luomo e lo inducono a rinunciare al proprio ruolo storico. Ma ad essere affermata, accanto alla non-indifferenza delle opere, era altres una differenza ontologica che sanciva limpossibilit di esaurire lessere nelle sue particolari determinazioni storiche e di porre un termine al dovere delluomo. Insomma, non essere, bens dover-essere; non Esserci, bens dover-Esserci101: un essere che, coincidendo con lethos del trascendimento102, si realizza
Nella Lettera sullumanismo, affidando ai poeti e ai pensatori lautentica cura dellessere, per cui i pensatori e i poeti sono custodi della casa dellessere (M. HEIDEGGER, Brief ber den Humanismus (1946), trad. it. di F. Volpi, Lettera sullumanismo, in Segnavia, cit., p. 267), Heidegger svaluta il ruolo pratico del politico e delluomo etico. Secondo il tedesco, infatti, occorre pensare con attenzione la dimensione della verit dellessere, ma solo per la dignit dellessere e a beneficio dellesserci che luomo sopporta e-sistendo, e non a causa delluomo affinch con la sua attivit si affermino la civilt e la cultura (ivi, p. 282). 101 Se lessere dover essere, esso non pu non essere quel doverci essere cui sono chiamate le singole esistenze storiche, e che costituisce le esistenze come tali, facendole emergere dalla vita e costituendole sempre di nuovo nel loro esserci (E. DE MARTINO, Scritti filosofici, cit., p. 18). 102 Lessere il dover essere della valorizzazione, lethos trascendentale del trascendimento della vita nella distinzione valorizzante (ivi, p. 67).
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continuamente e in modo inesauribile in forme culturali e che, pertanto, incessantemente chiama luomo al dovere della valorizzazione; un Esserci che, nel rispondere a questo dovere, si precisa come movimento di valorizzazione (o apertura verso lopera che vale103) e centro operativo per ledificazione, la conservazione e linnovazione di un mondo culturale104.

4. La fine del mondo: tra storicismo crociano e umanesimo etnologico Gli studi e gli interessi di De Martino, dopo essere passati dal mondo magico al mondo subalterno delle genti del mezzogiorno, approdarono infine al mondo culturale tout court; per cui, ad essere minacciata non era pi la persona individuata nella sua fragilit esistenziale, riflesso, questa, di una fragilit comunitaria; bens lo era ogni cultura, ogni epoca, ogni storia. Nellorizzonte demartiniano il rischio di non esserci in alcun mondo culturale diventava un carattere permanente della conditio humana ed entro tale orizzonte lethos del trascendimento rispondeva non tanto allheideggeriano inder-Welt-sein, bens a un doveroso in-der-Welt-sein-sollen. Un seinsollen che si realizza in quella rete semantica che il mondo culturale entro cui ogni uomo trova il suo habitus: mondo fidato e condiviso intersoggettivamente; mondo domestico e appaesato ove i singoli, lungi dal disperdersi in un neutro essere-assieme105, in una impersonale collettivit (nellanonimo Man), hanno la possibilit di esserci e di trovarsi. Un mondo ove la tradizione non liniquo fardello dei padri che tutti i figli debbono trascinare, un peso del quale non si comprende n lorigine n il fine e che schiaccia luomo al duro suoIvi, p. 13. La persona il centro operativo, il cui ethos sta nel realizzare valori distinti (E. DE MARTINO, Scritti filosofici, cit., p. 18), sicch lessere si articola in individui finiti, emergenti come esistenze storiche per entro il doverci essere del trascendimento valorizzante (ivi, p. 169). 105 M. HEIDEGGER, Sein und Zeit (1927), trad. it. di F.Volpi, Essere e tempo, cit., 27, p. 163.
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lo; ma il suolo stesso che ogni uomo percorre, custode della sua origine e del suo fine, il solido suolo su cui sapientemente poggiano le case e saprono le piazze, il fertile suolo che traduce la voce in parola, il gesto in lavoro, la natura in cultura. Nellintima unione di mondo quale e mondo quale deve essere, il crollo dellethos non solo toglie forza alla spinta valorizzante; ma determina altres lo sgretolamento di quella fidatezza mondana che sia fiducia nel passato (fiducia che si precisa nel fare affidamento alla tradizione, nel riconoscere la sua bont ed efficacia), e sia fiducia nel futuro (laver presente il compito che deve essere svolto). Il crollo dellethos impedisce il con-muoversi, cio quel comune marciare che si svolge con fedelt (al fidato ordine dei significati) e iniziativa (a innovare tale ordine). Il crollo di questo lan moral apre uno squarcio tra terra e cielo, lasciando emergere da esso un vissuto da fine del mondo. Una crisi culturale (che allude a una drammatica fine della civilt) di cui pure Croce, il Croce degli ultimi anni, quando il peggiore degli eventi generato dalla peggiore barbarie consum la sua fiamma, si interess e sul quale con grande profondit scrisse: ora gli animi sono pervasi dalla tristezza, le menti dalla previsione del peggio, e limpeto fidente, che il buon lavoro richiede, manca, e a stento lo sostituisce il penoso senso del dovere, a cui non dato sottrarsi106. Un inquietante sentimento che De Martino tent di decifrare; non per rispondere a unestetica attrazione per la dcadence, bens per mostrarne la fiacchezza, e per indicare la necessit di immettersi nuovamente entro il corso della storia e di contribuire a un nuovo umanesimo.
Il mondo in quanto sfondo familiare, domestico, appaesato, ovvio, normale, abitudinario sta come indice di possibili percorsi operativi in cui vivono la operosit umana di millenni, le plasmazione utilizzatrici maturatesi in evi di tradizioni, e infine la biografia del singolo sino alla situazione presente: per questa multanime e corale risonanza di sforzi comunitari tradizionalizzati e trasmessi il mondo acquista inauguralmente un fondamentale senso di operabilit, e il familiare, il domestico, ecc., non vogliono altro dire che questo: avanti, non sei
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B. CROCE, La fine della civilt, in Filosofia e storiografia, cit., p. 284.

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solo, non sei il primo, non sei lunico, ma stai in una immensa schiera che marcia, e che solo per una parte infinitamente piccola composta attualmente di viventi107.

In questa prospettiva, il mondo culturale edificato, sostenuto e rinnovato dallethos del trascendimento si precisa come quel valore che risponde al dover-essere. Qui il mondo non si configura solo come un telos, il fine per cui ogni uomo chiamato ad operare, ma anche, secondo un movimento circolare (o a spirale), come base sulla quale potersi appoggiare per compiere lo slancio valorizzante una base il cui crollo porta altres al crollo di tale slancio108. Insomma, per realizzare il dover-essere, alluomo necessario un mondo, una fidata patria dellagire. E tuttavia, questa patria si conserva solo finch lo stesso ethos del trascendimento che la forma e la riforma non viene a mutare di segno: l ove lanastrofe della valorizzazione non possibile, ch non vi risposta al dover-essere, si precipita nella catastrofe. In questo caso, lintera temporalit delluomo viene a sconvolgersi: egli patisce lesserci presente, non potendo progettare un futuro, avendo perduto il rapporto di fiducia col proprio passato. E non a caso, guardando alle espressioni nichiliste ed antiborghesi della letteratura a lui contemporanea espressioni decadenti che Croce, nella sua Storia dEuropa, qualific come segni di un male del secolo: il romanticismo morale109 De Martino colse i sintomi della malattia del nostro tempo. Una malattia per la morte che, contratta dal comune sentire, ha trovato compiuta (e a volte voluttuosa) forma nelle pagine di celebri scrittori: Rimbaud, Kafka, Camus, Sartre; e ancora: Mann e Beckett, Lawrence e Moravia110. Secondo De Martino erano scrittori dellapocalisse, questi, la cui arte era meritevole
107

E. DE MARTINO, La fine del mondo, cit., br. 261, p. 471. Giustamente Clara Gallini e Marcello Massenzio osservano che la distruzione della domesticit, della patria culturale in quanto tale, priva tale ethos della base che lo sorregge, determinandone il crollo, che sidentifica con la fine di tutto (C. GALLINI e M. MASSENZIO, Introduzione, ivi, p. XIII). 109 B. CROCE, Storia dEuropa nel secolo decimonono (1932), a cura di G. Galasso, Adelphi, Milano, 1991, p. 61. 110 E. DE MARTINO, La fine del mondo, cit., pp. 504 e sgg.
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di grande attenzione, in quanto testimone della crisi e dellavvertito tramonto della civilt che teneva loro in grembo. Ma non solo tali esiti artistici mossero il suo interesse: lo studioso napoletano scandagli in profondit anche il tema apocalittico ed escatologico delle religioni, nonch della rivoluzione marxiana, e soprattutto, con particolare attenzione, analizz i casi psicopatologici di Weltuntergangserlebnis, di delirio da fine del mondo. E si potrebbe andare al fondo della questione e vedere come, per De Martino, una via di uscita da questa mortifera impasse era possibile soltanto attraverso un nuovo umanesimo, un umanesimo etnografico capace di guardare allethnos non occidentalizzato e dare pi ampio respiro e consapevolezza al nostro pensiero e alle nostre azioni (cos come lumanesimo rinascimentale riusc a trovare nuova linfa per lEuropa dei secoli XIV e XV riportando alla luce dal lungo oblio dellet di mezzo le humanae litterae). Dirigere lo sguardo verso lethnos e le sue scelte culturali, dunque, al fine di mettere in discussione le nostre contraddizioni e comprendere che queste non sono un dato strutturale, naturale e irrisolvibile, bens sono determinate da decisioni umane decisioni, dunque, e in quanto tali emendabili111. E pertanto, saper mettere in causa112 il nostro patrimonio culturale, non per liquidarlo attraverso un infecondo relativismo culturale, ma per meglio possederlo e accrescerlo, per distinguere chiaramente lattivo dal passivo113, per affermare la scelta della ragione e la nostra storia. Ma al momento non ci sar possibile approfondire la trattazione di questo tema,114 e di altri temi che si perdono nella vastit e nelleteroCrisi vuol dire scelta, e unepoca di crisi per una civilt significa che si pongono per essa alternative estreme, col rischio che il suo telos si esaurisca per esaurimento del suo stesso ethos, della volont di storia (E. DE MARTINO, Promesse e minacce delletnologia, in Furore Simbolo Valore [1962], a cura di M. Massenzio, Feltrinelli, Milano, 1980, p. 106). 112 Lespressione mettere in causa De Martino la riprende (e la mette a sua volta in causa) da C. LVI-STRAUSS, Tristes tropiques (1955), trad. it. di B. Garufi, Tristi Tropici, Il Saggiatore, Milano, 1960, p. 377. 113 E. DE MARTINO, Promesse e minacce delletnologia, cit., p. 93. 114 Per la questione demartiniana dellumanesimo etnografico rinvio al saggio di P. CHERCHI, Il peso dellombra. Letnocentrismo critico di Erne111

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geneit di questopera rimasta incompiuta. Il De Martino dellultimo periodo, pur avendo ormai accolto entro il proprio orizzonte filosofico autori di diversissimo orientamento (tra cui Husserl, Heidegger, Sartre e Paci), continu a restare fedele allo storicismo idealista, convinto, con Croce, che la realt storia e niente altro che storia115. Le indagini che, concretizzandosi in frammentari appunti e ipotesi di lavoro, incrementavano via via il voluminoso materiale preparatorio de La fine del mondo, furono segnate da una densa analisi del nostro tempo storico (passato e presente) e lo condussero allidea che lOccidente contemporaneo si fosse infine liberato dalle maschere metastoriche del mito, della religione e delle ideologie. Maschere, queste, che nascondono il carattere storico dellesistenza e che consentono alluomo di stare nella storia come se non ci stesse, cio di rifugiarsi allinterno di un edificio culturale protettivo che si erge, entro e sopra langosciosa mobilit esistenziale, come luogo di immobilit e di resistenza.
La destorificazione loccultamento protettivo della storicit dellesistere, del nesso fra situazione e trascendimento secondo forme di coerenza culturale. La destorificazione mette a capo pertanto ad un orizzonte simbolico mitico-rituale, allessere metastorico trascendente e in s gi compiuto, e che, per essere gi compiuto, non pu essere modificato, ma soltanto ripetuto (attraverso la iterazione rituale). La parola destorificazione equivale in questo senso a mistificazione e alienazione: ma accentua ci che propriamente viene mistificato e non riconosciuto come proprio, cio la storicit. Luomo questa la sua condizione fa la storia, la costruisce, scegliendo e valorizzando: non pu non storificarsi per questo suo concreto scegliere e valorizzare. Ma quando il riconoscimento integrale di tale condizione minaccia di compromettere lo stesso ethos del trascendimento, luomo, per proteggersi dalla crisi esistenziale, destorifica il suo far storia, e istituisce il dispositivo mitico-rituale, per il quale sta nella storia come se non ci stesse, cio riassorbendo

sto De Martino e il problema dellautocoscienza culturale, Liguori editore, Napoli, 1996. 115 B. CROCE, La storia come pensiero e come azione, cit., p. 59.

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la proliferazione storica del divenire, e dei momenti critici in cui la storicit sporge, nella iterazione di una metastorica realt sempre 116 identica a se stessa .

Nella misura in cui angosciato dallesistenza e ne patisce lo svolgimento, luomo trova sicuro rifugio allinterno dun spazio metastorico, affidando cos il proprio esserci a una storia gi scritta e qui riesce a nascondere a se stesso chegli sempre in atto di scriverla. In questo modo luomo vive protetto e alienato da questa tremenda verit: che la storia emerge attraverso di lui, quasi ne fosse la soglia, e che nulla di trascendente, nessun Atlante, sta sotto il mondo a reggerne il peso; e che a sostenerlo, il mondo, e a dargli direzione vi sono solo le decisioni umane e queste soltanto. Ogni cultura nata e altres ha potuto dare forma e valore allesistenza grazie a questo oblio; ma lOccidente, in seguito allinnestarsi della tradizione giudaico-cristiana sul robusto ramo della sapienza greca e ai suoi successivi sviluppi (dallumanesimo e dal rinascimento, passando per lidealismo tedesco, sino allo storicismo crociano); lOccidente ha compreso il proprio carattere storico. Cos lethos del trascendimento, libero dalle coperture metastoriche del mito e del rito, delle religioni e delle ideologie, infine emerso alla luce pervenendo a se stesso. La maschera stata tolta e oggi luomo avverte dessere chiamato a guardare direttamente il volto della storia il solo volto concreto della realt:
Ma ora c da chiedersi: che cosa significa questo? Ove mai il destino delluomo fosse quello di star mascherato nellesistenza o di perire, significa questo umanesimo semplicemente la sconfitta delluomo o almeno delluomo occidentale? E ancora: dato che non possiamo neppure cambiar maschera in quanto ora non potremmo farlo che per giuoco carnevalesco e qui non si tratta di far carnevale, ma di esistere come uomini in societ questo non poter cambiar maschera non equivale forse ad una sentenza di morte? Il sillogismo sarebbe tremendo: luomo pu vivere nella storia solo mascherandola, la vita culturale questa maschera, ma daltra parte luomo che sappia questo non pu assumere pi nessuna maschera, e quindi tale questo
116

E. DE MARTINO, Storia e metastoria, cit., p. 122.

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sillogismo luomo (e sia pure luomo che ha espresso la civilt occidentale) destinato a perire nella misura in cui demistifica la storia117.

E ancora:
Luomo vive nella storia mascherandola, una storia smascherata, ridotta a se stessa, la morte delluomo, luomo muore perch ormai prigioniero della consapevolezza che la maschera qualunque maschera non che tale, e perch daltra parte il volto dellesistenza composto nel rigore della morte118.

Ebbene, quello dellOccidente contemporaneo il tempo etico della responsabilit119. Il tempo in cui il dover-essere lancia un appello che invita luomo a decidere in prima persona del proprio mondo, nei limiti della condizione presente, dimettendo di, demoni o santi dal luogo della scelta; un tempo consapevolmente umano e sempre in fieri che risponde qui ed ora al dovere cui lessere direttamente lo chiama; il tempo eroico delledificazione del valore secondo decisioni che nascono non da necessit trascendenti, bens da possibilit umane. E tuttavia, cosa fare per rispondere eticamente a questo compito, oggi, che la maschera della storia che rende vivibile la vita caduta? Cosa fare, oggi, dinanzi alla minacciosa prospettiva duna apocalisse culturale e al rischio della fine del nostro mondo? Ben sapeva De Martino che ne va del nostro esserci e dello stesso Occidente riuscire a rispondere a questa domanda e ben sapeva che solo un nuovo umanismo storicistico, una etnologia capace di allearsi con quella philosophia perennis di cui Croce fu educatore, pu darci la forza etica per imboccare la migliore via che lOccidente, ancora oggi, di fronte al crocicchio della sua storia, in procinto di scegliere:
Lalternativa chiara: o si accetta o non si accetta la realt della condizione umana, che limite ed iniziativa che oltrepassa il limite, situazione e valore che trascende la situazione, morte e opera che so117

E. DE MARTINO, La fine del mondo, cit., br. 196, pp. 353-354. Ivi, br. 197, p. 354. 119 P. ANGELINI, Ernesto De Martino, Carocci editore, Roma, 2008, p. 138.
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pravvive alla morte. Se non si accetta questa condizione, perch laccettarla comporterebbe lannientamento dello stesso coraggio civile creatore di civilt e di storia, allora non resta che negare realt a questa condizione, e occultarla e mascherarla nei grandi temi protettivi della vita religiosa, del mito e del rito, della teologia e della metafisica, della magia e della mistica. Non resta cio che svalutare a mondo di segni e di simboli i ritmi dellopera quotidiana, e svolgere allombra di un ordine gi istituito in illo tempore il compito di istituire, qui ed ora, un ordine nuovo. Il fare sar allora mascherato nel ripetere e nellimitare, lo star desto sar ricompresso in un sognare, e nella storia si star come se non ci si stesse, perch si gi fuori; ma intanto, per questa pia fraus, si operer e si creer, e si innalzer ledificio della civilt. Se invece si accetta la condizione umana, e si riconosce senza scandalo che essa ha un limite che lopera chiamata senza sosta a valicare, e si scorge nellal di l dellopera dotata di valore lunico modo di distaccare luomo dalla natura e di avviarlo dal transeunte al permanente; se si ha coraggio e forza di creare opere di poesia e di scienza, di economia e di vita morale senza bisogno del sistema tecnico-protettivo di una vera patria in cui tutto gi a suo posto, e nella quale saremo alfine integrati: allora si batte la via dellumanismo storicistico, della civilt moderna, della coscienza che i beni culturali hanno integralmente origine e destinazione umana, sono fatti dalluomo per luomo, e chiamano al giudizio e allopera secondo questo criterio fondamentale. Lalternativa chiara: ma la prima delle due rester in piedi sempre che la rete di limiti dentro la quale siamo chiamati ad operare troppo fitta e tenace perch ci sia dato districarcene senza fare appello a un mondo metastorico gi fatto, a una civilt divina, che rassicuri il fanciullino di Cebete; e la seconda alternativa resta un compito da realizzare, e una dignit da proteggere contro linsidia rinascente della prima opzione, che sospinge verso la magia e la religione. Se dovessimo definire la nostra epoca, e noi stessi in essa, dovremmo dire che noi siamo attualmente impegnati proprio nellalternativa, e la stiamo decidendo con pena e tormento: alla mente abbiamo gi davanti il quadro di un umanesimo integrale, ma in noi e intorno a noi c linsidia dellangoscia e il bisogno del porto sicuro120.

120

E. DE MARTINO, La fine del mondo, cit., br. 198, p. 356.

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INDICE
PREFAZIONE (Girolamo Cotroneo) .................................................................................... 5

TEORIA IL RITORNO E LA PRESENZA DI CROCE NEL PENSIERO CONTEMPORANEO (Santo Coppolino)....................................................................................... 11 CRITICA E STORIA DEL TRASCENDENTALE COME CIFRA DELLET MODERNA (Gabriele Zuppa)......................................................................................... 33 RIFLESSIONI SUL RAPPORTO TRA LINTUIZIONE, LESPRESSIONE ED IL SENTIMENTO IN CROCE (Luca Viglialoro) ........................................................................................ 69 LESTETICA (Ernesto Paolozzi)....................................................................................... 81 SUL CONCETTO DI DEMOCRAZIA IN CROCE. DAL RIFIUTO DEL DEMOCRATISMO ALLE RIGENERATE ESIGENZE STORICHE (Rossella Pisconti) .................................................................................... 105 IL PROBLEMA DEL MALE IN CROCE TRA LA LOGICA E LA FILOSOFIA DELLA PRATICA (Angelo Chielli) ........................................................................................ 131 IL LIBERALISMO CROCIANO TRA LIBERISMO E SOCIALISMI. ETICA E POLITICA (Ivan Pozzoni) .......................................................................................... 141

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ORIZZONTI CERA UNA VOLTA (E) BENEDETTO CROCE (Manuela Cottini - Alberto Carli) ............................................................. 173 CROCE, ORTEGA E LANTISTORICISMO DELLUOMO-MASSA (Fabio Gembillo) ...................................................................................... 213 NORBERTO BOBBIO E BENEDETTO CROCE (Franco Manni) ......................................................................................... 229 CROCE E MORIN: CONSONANZA, FONTI E AVVERSARI COMUNI (Annamaria Anselmo) .............................................................................. 281 BENEDETTO CROCE E IL PROBLEMA DEL LINGUAGGIO (Deborah Donato) ..................................................................................... 305 DE MARTINO, CROCE E IL PROBLEMA DELLE CATEGORIE (Sergio Fabio Berardini) ........................................................................... 327 L INTERROGAZIONE JOBICA: CARACCIOLO INTERPRETE DI CROCE (Margherita Valeria Raciti) ....................................................................... 377 IL GIUDIZIO STORICO IN VAILATI E CROCE (Antonino Crimaldi) ................................................................................. 397 CARLO ANTONI INTERPRETE DI BENEDETTO CROCE (Danila Pirri) ............................................................................................. 427 GAETANO SALVEMINI E BENEDETTO CROCE LA STORIA E I DUE PARADIGMI ETEROGENEI (Antonino Di Giovanni)............................................................................ 463

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