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anche una questione di tatto

Un libro di Mazzeo Il filo conduttore gira intorno a una domanda: nell'animale umano cos' che anticipa il linguaggio e lo rende possibile? MASSIMO DE CAROLIS Chi provasse a ricostruire la concezione dell'uomo in Occidente, analizzandone con cura ogni capitolo, troverebbe di rado qualche seria obiezione alla definizione classica coniata da Aristotele: l'uomo l'animale che ha il linguaggio e nient'altro, se non la parola, lo distingue da ogni altro vivente sulla terra. Si immagina, quindi, quanto sia impegnativa la proposta teorica di Marco Mazzeo, che sposta il fondamento primario della condizione umana dal linguaggio al tatto e si spinge persino a rivalutare, contro la definizione aristotelica, una sua antica concorrente di scuola platonica che oggi non gode certo di altrettanto credito: quella che definiva sobriamente l'uomo come bipede implume. Per non equivocare il senso della proposta - che mette in campo le acquisizioni pi avanzate delle scienze cognitive accanto ai nomi illustri dell'antropologia filosofica, da Gehlen a Heidegger - va comunque precisato che l'intento non di negare la centralit antropologica del linguaggio, ma di indagarne le condizioni di possibilit, inoltrandosi nella terra di nessuno che si stende tra i due poli della definizione classica - dunque: tra l'animalit e il linguaggio. Il filo conduttore del libro - titolato Tatto e linguaggio (Editori Riuniti, 2003) - , in altri termini, un interrogativo che, in tutto il Novecento, ha inciso in profondit tanto sulla filosofia che sulle scienze cognitive o biologiche: posto, cio, che l'uomo sia l'animale che ha il linguaggio - perch proprio e solo l'uomo? Quale salto evolutivo ha predisposto Homo sapiens a una facolt che resta inaccessibile anche alle specie a lui pi affini? Che cosa insomma, gi nell'animale umano, anticipa il linguaggio e lo rende possibile? In ambito scientifico, il contributo oggi pi noto a questo genere di indagine sicuramente la teoria di Chomsky della grammatica universale. Secondo questa impostazione, il nucleo della facolt di linguaggio in senso stretto potrebbe essere uno specifico dispositivo computazionale, di tipo ricorsivo, implicito in tutte le lingue naturali e presumibilmente determinato da un tratto genetico caratteristico della nostra specie. Per quanto espressamente chiamata in causa, per, nel libro di Mazzeo questa prospettiva mantiene un peso relativamente marginale - anzi,

vengono apertamente criticati i tentativi di estrarne una concezione generale dell'uomo e della mente, tipici delle correnti pi ortodosse del cognitivismo. La linea di ricerca cui il lavoro si riallaccia espressamente invece quella dell'antropologia filosofica, da cui proviene anche l'idea che fa da sfondo all'intera costruzione teorica del libro: quella dello sviluppo neotenico dell'animale umano. Il concetto di neotenia (alla lettera: tendenza a ci che giovanile e nuovo) indica nella biologia moderna la tendenza di alcune specie a conservare, nell'individuo adulto, caratteri tipicamente infantili o persino embrionali. Homo sapiens, in effetti, un esempio estremo di neotenia, visto che si possono elencare ben venticinque caratteristiche morfologiche tipiche dei feti di scimmia, che nell'uomo permangono immutate in et adulta - dalla forma del cranio, ivi compreso l'elevato peso del cervello rispetto al corpo, alla posizione degli organi genitali femminili, fino al tratto che ci riporta appunto all'antica definizione del bipede implume: il fatto, cio, che solo l'uomo, delle quasi duecento specie di scimmie, presenta un corpo nudo e senza peli, eccezionalmente recettivo a ogni genere di stimolazione tattile. Di per s, la neotenia non un tratto esclusivamente umano - l'esempio da manuale, anzi, una curiosa salamandra chiamata axototl. Nell'uomo per questo genere d'infantilismo si associa a un altro aspetto che ne esaspera le implicazioni: si tratta della nascita prematura o progenesi. Si calcolato, infatti, che un bambino raggiunge solo dopo quasi un anno di vita un grado di sviluppo comparabile a quello degli altri primati alla nascita. Questo primo anno, perci, corrisponde a quella che Adolf Portmann chiamava una primavera extrauterina: la stessa crescita, cio, che nelle specie affini si avvale ancora delle condizioni univoche e protettive del ventre materno, nell'animale umano avviene invece a diretto contatto col mondo, sotto la pressione di un'enorme quantit di stimoli eterogenei e imprevedibili, in una lunghissima infanzia segnata dall'incapacit di provvedere anche in minima parte alle proprie esigenze biologiche. Contrariamente, insomma, alla concezione tradizionale, l'uomo si distingue dagli altri animali non per un sovrappi di potenza e perfezione, ma per la sua sprovvedutezza e per la povert di strumenti biologici idonei a garantirgli la sopravvivenza. In autori come Heidegger e Gehlen proprio questa

sprovvedutezza biologica a determinare l'apertura al mondo specifica dell'uomo e a dischiudere, quindi, anche la possibilit del linguaggio. In ogni altra specie, infatti, l'insieme degli istinti e delle dotazioni innate funge da naturale filtro protettivo nei confronti del mondo. Predisponendo ogni animale a una specifica nicchia ecologica, il corredo istintuale seleziona fin da principio gli stimoli che, per quella data specie, possono rivestire un significato biologico, accantonando invece come semplice rumore tutto ci che non incluso nei programmi innati - e questo senza che l'animale debba fare alcuno sforzo perch questa distinzione tra segnale e rumore abbia luogo. L'uomo, al contrario, proprio perch biologicamente sprovveduto, esposto continuamente a un profluvio di stimolazioni prive di un significato biologico predeterminato - ma, per la stessa ragione, dotato della flessibilit necessaria per ordinare questo caos in un sistema di significati culturali. Partendo da questo schema, che ormai un'eredit consolidata della cultura europea, il colpo d'ala del libro di Mazzeo sta nell'individuare nella specifica tattilit dell'uomo il crocevia della sua particolare condizione biologica. Nell'uomo, infatti, il tatto strutturalmente bipolare: alla percezione somestetica, diffusa sull'intera epidermide, fa da contraltare la percezione aptica localizzata principalmente nella mano, che sempre attiva e manipolativa, formatrice di mondo (Heidegger) e intimamente connessa al sistema neuronale preposto alla formazione dei concetti. Il tatto, insomma, incarna l'una e l'altra faccia della sprovvedutezza biologica dell'uomo, e fa anche di pi: nella lunga infanzia dell'animale neotenico, infatti, il bisogno di cura del bambino si traduce essenzialmente in uno scambio tattile, che d forma alla dimensione comunicativa in cui solo in seguito si insedier il linguaggio. di qui che prende le mosse la critica al cognitivismo. L'errore dei cognitivisti sarebbe infatti duplice: da un lato, aver trattato il linguaggio come un semplice istinto, capovolgendo il valore antropologico centrale della sprovvedutezza; dall'altro, aver sottovalutato la dimensione comunicativa, a favore di una indagine che si esaurisce all'interno della singola mente individuale. Difficile pensare, ovviamente, che queste critiche possano essere definitive. L'aspetto per pi interessante che non si tratta delle consuete e generiche accuse filosofiche al presunto riduzionismo

delle scienze. Come si visto, gli argomenti empirici e quelli di ordine concettuale camminano fianco a fianco, e il risultato un normale contrasto fra teorie, che pu essere discusso e sviluppato senza preclusioni, a tutto vantaggio di un progresso nelle conoscenze. Si direbbe, insomma, che l'epoca dei pregiudizi e delle polemiche di principio tra filosofi e scienziati sia finalmente chiusa - ed una buona notizia che, anche in Italia, qualcuno cominci ad accorgersene.

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