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17/1/2021 Il Medioevo nella percezione contemporanea: alcuni spunti per una riflession

Babel
Littératures plurielles

15 | 2007
Le Moyen Âge mis en scène : perspectives contemporaines

Il Medioevo nella percezione


contemporanea: alcuni spunti
per una riflession
A B I G
p. 299-315
https://doi.org/10.4000/babel.826

Résumés
Français English Italiano
Cet article retrace la perception du Moyen Âge à l’époque contemporaine en mettant en évidence
les stéréotypes avec lesquels le Moyen Âge est proposé au grand public. Le but de cet article n’est
pas de type philologique, comme celui d’indiquer des « erreurs » d'interprétation, mais plutôt
d’essayer de comprendre les attitudes culturelles et idéologiques qui sous-tendent ces « erreurs ».
Les sources de l’étude ont été choisies afin de couvrir une zone assez vaste, de la littérature
scientifique (par exemple le fameux texte du politologue britannique Hedley Bull, ‘La société
anarchiste’) à la littérature fantastique, des produits des médias traditionnels aux films et aux
jeux de rôle. Une attention particulière a été accordée à l'analyse des thèmes liés aux Croisades. A
cet égard, on a privilégié quelques films célèbres en essayant de montrer comment les topoi
médiévaux peuvent être des indicateurs de la vision politique globale des auteurs et, plus
précisément, un marqueur de leur vision de la relation entre l'Orient et l’Occident.

This paper analyzes the cultural perception of the Middle Ages in the contemporary Age by
highlighting the most successful stereotypes through which the Middle Ages has been proposed
to the public. The aim of this essay is not to correct philologically the “errors” of interpretation,
but rather to understand the cultural and ideological attitudes underlying these “errors”. The
sources of this study were chosen to cover a fairly large area: from scientific literature (for
example the famous text of British political scientist Hedley Bull, “The anarchist society”) to
fantasy literature, from the products of traditional media to films and role-playing games. A
particular attention has been paid to the analysis of the themes related to the Crusades;
privileging the analysis of some famous films, showing how the medieval topoi used to represent
the Middle Ages could be an indicator of the political ideas of the directors and, more precisely, a
marker of their vision of the relationship between Western and Eastern civilizations.

Il saggio ricostruisce la percezione del Medioevo nell’età contemporanea evidenziando quali sono
gli stereotipi di maggior successo attraverso i quali viene proposto il Medioevo: lo scopo del
saggio non è quello filologico di correggere gli “errori” di intepretazione ma, piuttosto, di
comprendere quali atteggiamenti culturali e ideologici sono sottesi agli “errori” interpretativi. Le
“fonti” sulle quali condurre lo studio sono state scelte in modo da coprire un ambito piuttosto

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vasto, dalla letteratura scientifica non medievistica (ad esempio il celebre testo del politologo
britannico Hedley Bull “La società anarchica”) alla letteratura fantasy, ai prodotti dei mass-media
tradizionali, alla filmografia, ai giochi di ruolo. Una particolare attenzione è stata riservata, poi,
all’analisi dei tematismi legati alle crociate, a questo proposito è stata privilegiata soprattutto la
produzione cinematografica, ripercorrendo alcuni celebri film e cercando di mostrare come i
topoi rappresentativi del Medioevo siano, in realtà e di volta in volta, una spia della visione
politica globale degli autori e, più precisamente, un marker della loro visione del rapporto
Occidente/Oriente.

Entrées d’index
Mots-clés : Moyen Âge, Âge contemporain, pensée politique, clash de civilisation, Occident,
Orient
Keywords: Middle Ages, clash of civilisation, political thought, Western civilisation,
contemporary Age
Parole chiave: Medioevo, contemporaneità, ideologia politica, scontro di civiltà, Oriente,
Occidente

Texte intégral
1 Il panorama più comune entro il quale si dispiega per lo più la conoscenza –
giustappunto – “comune” del medioevo rinvia frequentemente ad un orizzonte onirico-
amatoriale superstite dalle noie dei programmi scolastici o casualmente rivitalizzato da
interessi autodidatticamente emersi in età post-puberale: né è chiaro quanto questo
interesse per i secoli che universalmente vengono definiti bui – spesso nella più totale
ignoranza di essi – possa essere stimolato dalle proposte formative dei curricula
universitari, ormai così drammaticamente generiche da risultare insulse anche per i
depressi docenti che di quel periodo storico hanno fatto, se non la loro ragione di vita,
almeno quella di studio e di erudito accanimento. La curiosità, com’è noto, è figlia della
conoscenza: a fronte di una progressiva diminuzione del livello di informazione fornito
nell’età dell’apprendimento scolare si colloca una sinottica decrescita delle possibilità
“percettive” del sapere, specie se esso, sistematicamente scoraggiato dai potenti
strumenti della comunicazione mediatica, è indirizzato verso obiettivi “altri” rispetto
alla divulgazione della conoscenza storica. L’abbassarsi di questa soglia rende
oggettivamente problematica persino la percezione del medioevo come “luogo comune”,
dal momento che quei caratteri generali ad esso attribuiti fino a qualche decennio fa
dalla cultura dominante – anch’essa per lo più figlia della scuola – erano comunque
maggiormente ampi e approfonditi di quanto non lo siano attualmente. Per cui
sembrano all’oggi singolarmente dotte le osservazioni con cui “ieri” Franco Cardini
evidenziava, a proposito del dilagante segno graalico nel fantasy contemporaneo,
quanto il medioevo percepito, quello figlio del romanticismo e delle sue reazioni
culturali alle censure razionaliste dell’età dei Lumi, avesse vinto definitivamente la sua
battaglia nell’immaginario collettivo divaricando sempre più apertamente il suo destino
da quello dispensato nelle aule universitarie. “Non c’è dubbio”, esemplificava lo
studioso “che, senza Tennyson, Scott, i preraffaelliti e soprattutto Wagner, i romanzi del
Graal sarebbero rimasti una curiosità per eruditi e il faticoso balocco di pochi
specialisti”1. Era stata, a suo dire, proprio questa fortuna “estranea” alla severa
tradizione dei filologi, dei letterati e degli storici mediolatini, a stimolare una fortuna
del medioevo sempre meno ancorata alla faticosa esegesi degli studiosi e sempre più
preda dell’avventurismo esoterico e del dilettantismo misteriosofico imposto anche,
oltre che dal gusto dominante, anche dal suo riscontro negli indici di ascolto o nei
numeri delle tirature.
2 Colpisce – volendo evitare di spiegarlo entro le categorie medievali del “demoniaco”
– il sistematico privilegiare, da parte degli operatori della comunicazione mediatica,
l’approssimazione – se non la mistificazione – rispetto alla più semplice e non
necessariamente meno “affascinante” correttezza nell’informazione. “Vero nun frega”,
faceva dire Luigi Magni da Giano bifronte all’allibito Romolo/Proietti nei “Sette re di
Roma”, a conferma della fondamentale insignificanza della verità ai fini della

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costruzione del mito; e, in effetti, come non ammettere il fascino surrettizio di un falso
mistero rispetto al disincanto della realtà effettiva, nonché i risvolti maieutici che
consentono spesso alla “verità” di nascere proprio dall’errore: quante serissime tesi si
sono originate, nella carriera di ricerca dei nostri studenti, dai fuochi fatui del luogo
comune che alimenta, più di altri periodi storici, l’idea diffusa di medioevo! Forse
dobbiamo la sopravvivenza dei nostri insegnamenti medievistici più alle Nebbie di
Avalon di Marion Zimmer Bradley o a I pilastri della terra di Ken Follett che non alla
corretta preparazione manualistica (quando c’era) impostata dai professori della scuola
media.
3 Questo medioevo open source, non più rarefatta atmosfera d’indagine di pochi
specialisti ma proposta commerciale dell’onnivoro mondo della comunicazione, ha
dunque i suoi vantaggi, anche se talvolta ci invade, nelle penombre mentali dei
dopocena televisivi, con sottotitolate banalità propinateci da oscuri, ma anglofoni,
“esperti” scovati in università d’Oltreoceano o d’Oltremanica: segno non tanto di
provincialismo culturale (che invece abbonda nei criteri di “internazionalizzazione” a
senso unico che caratterizzano le impostazioni ministeriali e l’evoluzione digitale della
burocrazia anche per quanto attiene ai finanziamenti pubblici della ricerca in Italia)
quanto dell’assenza di una tradizione di corretta divulgazione storica che, di contro,
caratterizza i paesi (Inghilterra, Stati Uniti, Francia) produttori di quei format di
medio-bassa qualità che la nostra televisione è solita importare per coprire, tra una
partita di calcio e un reality show, la “quota” culturale prevista nei palinsesti. Ma
qualcosa sta evidentemente cambiando, se nei talk show il titolo di “storico” è
sottoimpresso, come segno qualificante, al mezzobusto di noti ex direttori di giornale o
a quello di opinionisti polivalenti. Si può forse sperare che in questa mediazione
giornalistica sostitutiva della professionalità degli storici si esprima anche la crescita di
una “domanda” culturale in aumento nella società: ad esempio nei progetti di
valorizzazione territoriale, nei quali lo specifico storico locale diviene marker di
eccellenza e di identità, emblema di una qualità del turismo che lo renda equilibrato e
sostenibile strumento di sviluppo; o nella ricomprensione storica di un patrimonio
artistico e monumentale che non può essere decontestualizzato come bene a sé stante
ed astrattamente musealizzato; ma anche nella inflazionata fortuna di sagre e feste
medievali nelle quali il marketing turistico si coniuga felicemente con una sincera
intenzionalità ludico-festiva – basti pensare al coinvolgimento cittadino del
Calendimaggio ad Assisi, della Giostra della Quintana ad Ascoli, della Fiera delle Gaite a
Bevagna – il cui corredo finale è spesso il divertimento raffinato della ricerca storica:
quella condotta in archivi polverosi e tra libri dimenticati.
4 Reazione, forse, a quella concentrazione sulla contemporaneità che adesso ha finito
per emarginare il passato prossimo e remoto entro confini sempre più angusti anche
nella preparazione scolastica, questo trend medievaleggiante – che fino a qualche anno
fa era letto da molti interpreti del costume come indizio di una elusiva/eversiva
tendenza alla fuga nell’irrazionale: come se l’età della Scolastica si prestasse più di altre
della nostra storia a siffatto riferimento – è comunque espressione di una curiosità alla
quale occorrono risposte più fruibili di quanto non siano quelle elaborate dalla cultura
accademica.
5 Contribuire a ridurre il divario esistente tra la rappresentazione storica dispensata
nelle aule universitarie o nei ristretti cenacoli dei tecnici e il diffuso “immaginario
medievale” è infatti un dovere raramente assolto dagli addetti ai lavori, per i quali la
divulgazione ha spesso costituito e costituisce un demerito scientifico rispetto
all’attività princeps della ricerca. Questo almeno fino a qualche anno fa, prima che
anche da noi si avviasse quel processo di “cartolarizzazione” del patrimonio pubblico
della conoscenza che un tempo le università erogavano come servizio e che invece
adesso devono sempre più ocultamente convertire in risorsa finanziaria. Può darsi che
da questo New Deal discenda una valorizzazione dell’aspetto commerciale della ricerca
che anche gli storici dovranno cominciare a considerare, abbandonando l’aristocratico
disprezzo fin qui ostentato nei confronti della diffusione del loro sapere; ma al di là dei
possibili – e forse in molti casi ipoteticamente deprecabili – esiti delle trasformazioni in
corso, l’urgenza di una maggiore condivisione culturale e l’innalzamento dei livelli
basilari della conoscenza non può non costituire un obiettivo comune anche per i
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residenti nella sempre meno eburnea turris universitaria. In che modo dunque porsi,
da specialisti, di fronte alla percezione “comune” del medioevo che la New Age ha reso
esotico integratore di sapidità in ogni pozione della sua complessa filosofia – e del suo
florido indotto commerciale – senza correre il rischio di esercitare inutili acribie
filologiche o algide esercitazioni in usum scholarum? Non certamente con una alterigia
che nessuno può più permettersi, e specialmente gli storici, ormai sconfitti e vittime dei
“modelli” dominanti del neoplatonismo della sociologia: riconoscendo semmai, con
spirito empirico di ascendenza tomista, che proprio la “volgarità” del senso comune,
nella sua ondivaga e superficiale curiositas, può prestarsi a divenire un varco semantico
per riflettere sul destino sociale della conoscenza storica: per quanto dolorosamente,
dovremo aiutarla ad abbandonare le rassicuranti “riserve” delle sedi specialistiche,
onorata e dignitosamente togata nel suo paludamento intellettuale, e sospingerla nel
ribollente mare della comunicazione mediatica dove l’inconsistente ma ingombrante
schiuma dell’informazione – spesso preclusiva dell’orizzonte – può indebolirla,
privandola del fondamento della complessità e corrodendo l’elegante profilo
dell’euristica, sua indispensabile cornice.
6 La scommessa affidata a queste pagine veloci è proprio questa: analizzare un
fenomeno cercando di astrarsi dalla superflua pedanteria di un giudizio, specie se
inutilmente inamidato su presupposti filologici ininfluenti alla funzione ed al significato
della fiction. Non sarà facile, lo anticipiamo, perché lo storico, abituato a dover
declinare le sue fonti, a rendere ragione delle proprie interpretazioni, a postillare di
note e di riferimenti ogni sua affermazione basata sul ricorso a testimonianze portatrici
di molte verità, non perdonerà al creativo che dichiarasse di fondarsi su di essa, l’uso
approssimativo del suo metodo, o peggio quel vizio attualizzante che trascolora le
diversità di tempo e di spazio per far dire al passato ciò che serve al presente.
7 Questa tendenza all’acribia ha dunque generato una vasta letteratura specialistica
sull’argomento: studiosi esperti di cinema, TV, letteratura, pubblicano testi ineccepibili,
mentre centri di studio deputati ad analizzare le interrelazioni tra storia e, soprattutto,
cinema lavorano a pieno ritmo: a tutti costoro e a tali istituzioni dovrà dunque
rivolgersi il lettore in cerca di approfondimenti2. Il nostro tentativo non ha pretese di
completezza né ambisce alla esaustività tematica: piuttosto vuole porsi quale riflessione
di due specialiste che sono al contempo fruitrici di prodotti mediatici di ambientazione
medievale. Di tali “prodotti” si è cercata la cifra comune e la si è trovata nella loro
vocazione alla formazione ed all’orientamento delle coscienze: questa ci è sembrata, in
sintesi, la non sempre consapevole – in chi la predispone –, ma non per questo meno
incisiva, cifra comune deputata a unificare espressioni della contemporaneità
appartenenti a generi diversi ma comunicanti quali il cinema e la TV, la letteratura e i
giochi; un orientamento che, nello specifico delle “citazioni mediatiche” della storia
medievale, ci appare diretto verso la proposta di un modello polemocratico
“metafisico”, ovvero verso la riproposizione dello scontro tra Bene e Male. D’altronde
gli svaghi e i giochi, o meglio i divertissements, sono il luogo privilegiato entro i cui
confini collocare quelle pre-comprensioni della realtà destinate a indirizzare i giudizi.
In buona o in cattiva fede che siano, gli attori del popolamento del “tempo libero”
sembrano aver compreso benissimo la straordinaria possibilità di segnare la scala di
valori comune per mezzo dei loro prodotti.
8 Il lessico usato dai principali veicoli dell’informazione e dell’opinionistica – dalla
carta stampata ai documenti che costellano la rete telematica – nonché le espressioni
incastonate nell’argomentare comune – spesso persino nei discorsi di studiosi e
intellettuali non medievisti – relegano il medioevo (e l’aggettivazione pertinente) alla
sfera dell’accezione semantica dispregiativa. Medioevo, medievale e le varianti possibili,
in buona sostanza, appaiono sinonimi di retrivo, arretrato, condizionato negativamente
da fattori religiosi, intollerante, irrispettoso della coscienza individuale e via
discorrendo. Il diffuso senso comune guarda con sospetto o con velleitarismo morboso
al medioevo, cannibalizza la conoscenza storica mordendone via le complessità e alla
fine imprigiona nelle trappole del presente i “viaggiatori mentali” che, all’inizio del loro
andare à rebours, avevano creduto di puntare la bussola sul passato. Si ha un bel dire
che la patinatura d’infamia di cui s’ammanta il medioevo dipenda soltanto dalla vis
polemica e dalla banalizzazione strumentale della storia effettuata sistematicamente in
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epoca di Lumi: la leggenda nera risulta più forte della storia stessa e resiste, invitta, alla
pur lucida pletora delle spiegazioni possibili.
9 Dal canto suo la comunità scientifica allargata dei non storici aveva già provveduto a
predisporre lo scenario interpretativo opportuno diversi decenni or sono, distillando un
elisir culturale capace di assicurare la longevità dell’highlander al topos del medioevo
“brumoso” e incivile. “Il mondo va verso un nuovo Medioevo”, scriveva alla fine degli
anni Settanta del Novecento il politologo britannico Hedley Bull, nel celebre testo
intitolato La società anarchica. Bull, evocando molto efficacemente il Medioevo
“prossimo venturo” intendeva qualificare un futuro caotico, insicuro e violento3. Già
all’epoca, infatti, agli interpreti più attenti era chiaro come gli Stati nazionali fossero
giunti al tramonto, come l’esercizio del potere reale fosse radicalmente mutato,
complice l’unificazione tecnologica del globo accompagnata dal revival della violenza
privata internazionale (che sia davvero tale e non sia soltanto presunta a causa degli
effetti dell’invadenza mediatica, ai fini del nostro discorso è ininfluente). Si è
menzionato unicamente Bull per esigenze di brevità: in realtà il panorama risulta assai
più nutrito e trascorre senza soluzione di continuità da alcuni tra gli storici della
politica e dell’economia ad altri studiosi di storia delle religioni a certuni sociologi,
soprattutto – ma non esclusivamente – anglo americani. Detentori di un sapere tecnico
non impermeabile, dunque, a quell’insidiosa e fatalmente attraente “idea” oscurantista
del Medioevo cui i non medievisti sembrano tanto affezionati da non volerla
abbandonare a nessun costo, gli studiosi testé evocati finiscono – eterogenesi dei fini
come scriveva Ovidio Capitani o astuta delegittimazione della storia comune europea? –
per far circolare anche tra i colti un’idea unitariamente negativa del medioevo, principio
e cardine dell’altra idea esiziale, che vorrebbe la storia giudice e non “madre” di
comprensione di un passato destinato a non ritornare. I motivi di cotanta affezione
sono molteplici ma tra i vari si segnala, per efficacia di argomentazione, la volontà di
mantenere “buio” il medioevo affinché costituisca il nero sfondo su cui far stagliare –
come è stato autorevolmente scritto – “il paradigma della Modernità”. Forse non è
aliena da una simile wave culturale neppure un’espressione artistica apparentemente
molto lontana dal contesto precipuo, come il celebre film Blade Runner di Ridley Scott
(1982), libera citazione filmografica de Il cacciatore di androidi di Philiph K. Dick,
laddove compariva un magistrale medioevo – futuro prossimo capace di imprimersi
sulle coscienze con una pervicacia a dir poco sferzante.
10 Del resto è bene ricordare come, prima che gli Hobbit di J. R. R. Tolkien uscissero
dalla Contea per invadere gli schermi di tutto il mondo, o le Cronache di Narnya
riproponessero con la fortuna di C.S. Lewis il paradigma culturale degli Inglings e del
fantastico medievale che aveva affascinato i lettori di Jurgis Baltrušaitis, quando ancora
maghi e maghette si rappresentavano coi cartoons della Disney production ed Harry
Potter era di là da venire, il proprium medievale della tradizione cinematografica non
era stato il passato prossimo della Dark Age ma il futuro – spesso anteriore – della
fantascienza; e quando l’evocazione feudale di un mondo militarizzato e gerarchico non
si era ancora spinta con l’Enterprise oltre gli ultimi baluardi della galassia (anch’essi
come i regni di Gog e Magog popolati di mostri e di maraviglie), aveva chiamato in
causa con caratteri medievali il faticoso e primitivo riemergere della civiltà all’indomani
di apocalissi nucleare. Del resto al registro del tardo antico ormai indissolubilmente
saldato all’alba medievale si erano legate, sulla scorta di Edward Gibbon, tutte le
grandiose rievocazioni futuribili del Decline and Fall of the Roman Empire: dalla
Trilogia della Fondazione di Isaac Asimov alle Guerre stellari di George Lucas.
11 L’icasticità del luogo comune – meglio se falso – ha, insomma, vita più prospera e più
lunga di mille e una ragionata interpretazione storico critica. Perché il luogo comune
possiede molti pregi, a cominciare dalla chiarezza, e, non in ultimo, gode di un
vantaggio non disprezzabile: consente gli affari. Il medioevo della leggenda nera è –
infatti e sostanzialmente – un business, anche perché, come il cielo notturno in una
serata non troppo nuvolosa, appare costellato di puntini luminosi: le stelle
fiammeggianti del nero medioevo sono gli eroici cavalieri della Tavola Rotonda, il
Graal, le eteree dame innamorate e via discorrendo, passando attraverso le fate, gli elfi
e le divinità celtiche ed arrivando, così, fino alla rivisitazione New Age dell’arcana
sapienza medico-alchemica che si vorrebbe, appunto, de-collocare nel medioevo. Per
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parte loro i divertimenti di massa fanno incetta dell’immaginario medievaleggiante e se


un numero elevatissimo di manifestazioni locali – dalle sagre paesane ai più raffinati
percorsi tematici – fungono da sicuro richiamo per i turisti, un quasi inesauribile
repertorio iconografico analogico-medievale affolla il cinema nonché la narrativa di
ampia diffusione. Tra i molti titoli che potremmo citare per esemplificare la letteratura
di gusto medievaleggiante ne scegliamo uno in virtù del suo essere un ibrido tra
un’enciclopedia del luogo comune ed un manuale di bricolage. Si tratta di una sorta di
prontuario per organizzare vacanze, festeggiamenti e feste “medievaleggianti”,
comprensivo di foto esplicative e di suggerimenti per vestirsi “alla medievale”, ovvero il
testo a firma Daniel Diehl e Mark Donnelly intitolato Medieval Celebrations: How to
Plan Holidays, Weddings and Reenactements with Recipes, Custom, Costumes,
Decorations, Songs, Dances and Games uscito nel 2001 per i tipi Stacpole Books.
Sarebbe interessante poter conoscere, cifre alla mano, quanto gradimento il testo abbia
incontrato tra i lettori, ma i dati mancano; è , in ogni caso, significativo che appaia
“rubricato” sotto il soggetto “sociologia” o addirittura “storia sociale del Medio Evo” in
numerose biblioteche e cataloghi librari. È significativo perché, meglio di qualunque
notazione critica, rivela quel misunderstanding di fondo al quale si volge l’attenzione
delle autrici di questo saggio.
12 Quanto al misunderstanding, tuttavia, occorre precisare che la narrativa cede di
fronte alla deflagrazione informatica. In ragione dell’importanza che rivestono nella
grande kermesse mediatica della storia, s’impongono all’attenzione i giochi di ruolo,
virtuali e non. Alcuni fra i più venduti giochi di strategia per computer e per
playstation, infatti, si svolgono su scenari evocanti l’età di mezzo. Age of Empires 2: the
Age of Kings (Bruce Shelley, Ensemble Studios per Microsoft), ha ottenuto un successo
di pubblico travolgente. La presentazione del gioco assicura che The Age of Kings
trascinerà l’utente:

[...] nell’affascinante e misterioso mondo medievale e [...] in intriganti sfide


militari e politiche in cui la vittoria determina la sopravvivenza e la supremazia
della propria cultura: partendo dalla disponibilità di un minimo di risorse, infatti,
gli eroi devono riuscire a costruire la propria civiltà e trasformarla in un potente
impero. I giocatori sono, infatti, proiettati all’epoca del confronto fra 13 civiltà, fra
cui Bizantini, Mongoli, Vichinghi, Celti e Franchi, e solo la loro abilità di gioco e la
loro intelligenza li aiuterà ad accumulare le risorse economiche, umane e militari
per arrivare alla vittoria finale. Ogni civiltà deve gestire tali risorse e scegliere le
armi e le formazioni militari adatte alle tattiche vincenti, sfruttare le diverse
tecniche disponibili, valutare mosse alternative combinando saggezza, tempismo e
coraggio.

13 Ancora interamente modulato sulla falsariga dello “scontro di civiltà” The


Conquerors Expansion, “puntata aggiuntiva” – o meglio espansione – di The Age of
Kings, che invita il giocatore a identificarsi con El Cid misurandosi nella riconquista
spagnola dei feudi Mori (ma tra gli eroi conquistatori cui ispirarsi compaiono anche
Attila e Montezuma), descritta come “una crociata fondamentale per la nascita del
Regno di Castiglia”.
14 Non è da meno Total War Medieval II, recente e spettacolare episodio di una serie
notissima, ambientato tra 1080 e 1503. Il medioevo, secondo la citazione testuale della
presentazione è “un’era turbolenta, tra guerre di religione, brutale combattimento
corpo a corpo e astuzia politica. Le battaglie attraverseranno l’Europa, il Medioriente e
anche il Nuovo Mondo, dove affronterai i misteriosi Aztechi”. La presentazione incalza
trionfalmente “Medieval II è impregnato di atmosfera medievale” per poi incitare il
giocatore: “Lancia animali morti nelle città assediate per spargere malattie, uccidi i
nobili catturati o usali come ostaggi, fai sposare le tue figlie alle famiglie rivali per
garantirti le alleanze, e combatti nelle crociate sotto la bandiera della tua religione”.
Come si legge – e come si sperimenta giocandoci – Total War è davvero costruito sulla
peggiore paccottiglia fanta-medievale: last but not least esercita il giocatore alla “guerra
di religione”, perché come tale è presentata l’avventura crociata, con buona pace di
Joshua Prawer e dei crociatisti successivi4. Sgombriamo subito il campo da possibili
equivoci: non è un gioco filo-cattolico, al contrario, tra i nemici compaiono
l’immancabile Vaticano, il Papa e nientedimeno che la Santa Inquisizione. È piuttosto

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un gioco dal sapore vagamente “parsoniano”, come del resto pure gli altri appena
passati in rassegna. Le regole del gioco, infatti, finiscono per evocare la “santificazione
di questo mondo” effettuata dagli Stati Uniti d’America, sublime incarnazione della
modernità, che fu oggetto della disamina sociologica di Talcott Parson. Né potrebbe
essere altrimenti: in quei giochi la comunità “dei giusti” è indistintamente quella
“occidentale” (euro-americana?): compatta, solidale, liberale, vagamente cristiana –
quel tanto che basta per trovare il movente giusto contro i mussulmani – essa si
autopropone come il tripudio della civiltà moderna contro quel medioevo europeo e
cristiano di cui si vorrebbe “figlia”. Da qui l’eco parsoniano, appunto, laddove l’autore
afferma:

I valori, sempre in potenza e in genere anche in atto, trascendono i confini di


qualsiasi data comunità. Questo è uno dei motivi per cui questo libro ha preso in
considerazione le società moderne, piuttosto che una qualsiasi singola società
moderna. Le forze e i processi che hanno trasformato la comunità societaria degli
Stati Uniti e promettono di continuare a trasformarla non sono caratteristici di
questa sola società, ma permeano tutto il sistema moderno e modernizzante.5

15 Insomma, nei giochi Microsoft, il medioevo appare non soltanto superato, bensì
addirittura negato dal suo interno: gli europei non esistono se non nella misura in cui
sono euro-americani sotto mentite spoglie, ovvero nella misura in cui sono gli interpreti
della modernità intesa come libertà, giustizia e via discorrendo, capaci di imporre alle
altre comunità la loro “civiltà” . Quest’ultima è considerata legittima in quanto appare
“sacralizzata” dalla propria indistinta identità religioso-sacrale, un’identità vagamente
attinente al cristianesimo ma rispetto al quale si trova agli antipodi. Bel saggio di “storia
globalizzata”, non c’è che dire. Parlare di “storia globalizzata” può apparire eccessivo. In
realtà non lo è affatto e non lo è in virtù del portato gnoseologico implicito al gioco6pur
quando i giocatori non finiscano per maturare un legame di dipendenza dal gioco
medesimo7.
16 Il medioevo della realtà virtuale ha cessato di essere un “luogo dell’altrove” per
divenire metafora di una aggressività virile ed eroica specchio di una precisa quanto
pericolosa immagine ideologica. Una storia, dunque, che serve per giocare – sin qui
niente di male – ma che mentre si lascia giocare insuffla nel giocatore alcune
interpretazioni (o meglio pre-comprensioni) sociologiche, per dir così, connotate in
maniera molto precisa. Giocare allo scontro di civiltà, in definitiva, non assomiglia che
in superficie alle mimesi strategiche del “Risiko”.
17 Un angolo prospettico d’indagine assai più rivelatore è offerto dall’argomento
“crociatistico” nella filmografia. Ben più delle saghe mediatiche “sorelle” – per
intendersi quelle deputate a modulare la figura del barbaro liberatore e dell’eroico
cavaliere più o meno erratico8 – le elaborazioni dedicate alle Crociate sono debitrici alla
tradizione ottocentesca e romantica di ascendenza cristiana9. O meglio dipendono,
quantunque secondo una degradante scala genetica, dal “mito” della cristianità
medievale declinato a partire dal paradigma fissato da Novalis10 e recentemente
americanizzato, trasformandolo però radicalmente fino alla prefigurazione di una
magna Europa con la testa anglo-statunitense, dalla celebre interpretazione della storia
mondiale offerta da Samuel Huntington in Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine
mondiale. Per quanto Huntington abbia finito per scatenare un dibattito di proporzioni
planetarie, è pur vero che la sua lettura degli eventi non è né il frutto isolato di un
pensatore “originale”, né tanto meno un unicum11. Al contrario si situa all’interno di un
filone interpretativo relativamente antico e autocosciente fin dal 1919, allorché veniva
istituito, negli USA, il primo corso universitario di western civilisation; allorché si
ponevano le basi per quella solida definizione della cultura WASP quale cultura
occidentale per eccellenza e che tutti noi, oramai, ci troviamo ad aver assunto quale
prerequisito di fatto: basti solamente accennare alla facilità con la quale parliamo di
Occidente e di occidentali12. Non è, inoltre, un caso che, ancor prima d’esser
consapevole della letteratura specifica, l’Europa abbia conosciuto, amato, metabolizzato
i prodotti di una tra le industrie statunitensi più pervasivamente efficaci nel plasmare la
percezione dei valori e nell’indirizzare le aspirazioni: la fiammeggiante industria del
cinema e della televisione13. Se, infatti, già nell’americano Robin Hood di Allan Dwan

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del 1922 si insisteva molto sulla partecipazione dell’ottimo re Riccardo Cuor di Leone
alla terza crociata, nel 1935 si sviluppava il “mito” di re Riccardo grazie allo statunitense
Cecil B. De Mille. In quell’anno il regista uscì con I crociati, grandioso kolossal “storico”
prodotto dal gigante Paramount. Per quanto il Time avesse recensito negativamente il
film, per quanto esso si fosse rivelato un vero e proprio fiasco, l’opera ottenne
comunque una nomination all’Oscar per la migliore fotografia. Al di là di tutto ciò, ci
interessa rilevare come, nella pur totale inattendibilità delle ricostruzioni storiche, il
film contrapponesse Riccardo al Saladino, enfatizzando la connotazione difensiva della
crociata ed esaltando la contrapposizione tra le parti di cui sottolineava reciprocamente
l’omogeneità interna. Mentre la filmografia italiana sull’argomento dichiarava, senza
mezzi termini, la propria dipendenza dal poema del Tasso14, il cinema inglese e quello
americano perfezionavano il connubio tra la “faccia buona” della monarchia britannica
(Riccardo, appunto) e l’avventura crociata, il tutto accompagnato da una nutrita serie di
opere cinematografiche e di serie televisive consacrate a Robin Hood15 – fino
all’apoteosi riccardiana King Richard and the Crusaders (USA) diretto da David Butler
nel 195416. Scelta nient’affatto neutra o casuale, piuttosto l’esito di una concezione
storiografica precisa, che della/delle crociate coglieva essenzialmente l’aspetto bellico:
con la cosiddetta terza crociata – quella di Riccardo, appunto – si lacerava infatti quel
pur precario equilibrio raggiunto tra le comunità della Terra Santa e si riapriva il
conflitto tra cristiani e mussulmani17. Nel frattempo si andava costruendo una sorta di
“consenso” del pubblico intorno alla figura del Cuor di Leone, eroico e valoroso
condottiero, cui si contrapponeva la figura di Giovanni Senza Terra. Che, poi, Giovanni
non fosse affatto quell’ignavo e deludente re fantoccio che la “leggenda” descrive, bensì
un regnante cauto e più propenso alla risoluzione diplomatica dei conflitti che alle
avventure guerresche, è dato poco rilevante agli effetti del sentimento del pubblico. Del
resto, quale efficacia possono avere i libri di storia in confronto alla geniale fecondità
mitogenetica del Robin Hood di Walt Disney18?
18 La terza crociata è uno snodo fondamentale della filmografia. Ad essa si riallaccia ma
per negarla, contrapponendole l’“irenica” situazione pregressa, il recente film di Ridley
Scott, Kingdom of Heaven (tradotto in italiano con il titolo Le Crociate)19. Il film si
conclude proprio con l’arrivo di Riccardo in Terra Santa e con la rottura della tregua tra
cristiani e mussulmani che caratterizzava l’“illuminato” regno di Baldovino20. L’arrivo
di Riccardo prelude dunque al conflitto che, come Scott dichiara servendosi di una
didascalia opportuna, sarà destinato a riproporsi dopo un millennio. La didascalia
finale funge da esplicitazione suprema dell’operazione intellettuale di Scott, che
costruisce l’intero film in stretta dipendenza dall’attualità.
19 Del resto i legami con gli scenari politici coevi, quantunque non così tanto espliciti
come nel caso di Kingdom of Heaven, serpeggiano in buona parte della filmografia
crociatistica anglosassone ma non soltanto. Persino il film El Naser Salah el Dine,
dedicato a Saladino nel 1963 dal regista egiziano Youssef Chahine, si lasciava sedurre
dalle esigenze della contemporaneità, esaltando gli appelli panarabisti del protagonista
che, così, ricevevano una sorta di “suggello” ulteriore di legittimità.
20 Ma torniamo a Ridley Scott. Il regista è accusato dal noto crociatista Franco Cardini
che, recensendo il film non esita a definire “stucchevole” il suo “insistere sui soliti temi
della pace, della tolleranza, del dialogo trattati con conformistico ossequio della
political correctness”21. La sovrascrittura è lecita, specialmente quando è esplicita –
come nel caso di Scott – e il problema cui rimanda Cardini non è soltanto questo. Il
“vizio” del film, infatti, sta altrove. Sta, per l’esattezza, nel suo volersi accreditare come
“storico” in senso rigoroso, quasi fosse una sorta di post-moderna Biblia pauperum
vocata ad insegnare la storia a quanti preferiscono guardare i film piuttosto che leggere
i libri specialistici22. Il dettagliato e lungo dossier predisposto, in Italia, dallo studio
Lucherini – Pignatelli (Roma) e distribuito ai giornalisti accreditati nel giorno
dell’anteprima romana (presso il Cinema “Fiamma”) – costituisce un’ottima
testimonianza delle velleità accademiche e docenti del film. È ancora Franco Cardini a
citarlo puntualmente nel corso di un’altra recensione dedicata al film ed è ancora
Cardini a rilevare come il pretenzioso dossier sia interamente orchestrato sulla capacità
di spacciare per acquisizioni scientifiche a firma dello sceneggiatore poche e banali
notizie tratte dall’Histoire des croisades di Jean-François Michaud, pubblicato nel 1808
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a Parigi. Non solo, commentando l’affermazione di Scott secondo la quale egli avrebbe
firmato un film storico e non un documentario e che, quindi, non avrebbe avuto
bisogno di consulenti storici, Cardini prosegue, implacabile:

Si è preferito la formula dello “spunto da eventi storici”: vale a dire la semistoria, i


personaggi e i fatti in parte veri ma fatalmente equivocati o falsati,
l’ammiccamento alle “costanti” della storia e all’ “insegnamento” che se ne può
trarre ma al tempo stesso l’arbitrio interpretativo. Il soggettista ha leggiucchiato
qua e là, alla ricerca del dato impressionistico e impressionante: ci si è fatalmente
imbattuti in Renaud de Chatillon, un perfido ma valoroso e affascinante
feudatario-bandito, e lo si è trasformato in un ridicolo bestione; si è affrontato il
tema della battaglia di Hattin del luglio del 1187 e si è seguito alla lettera il
racconto del cronista arabo Imàd ad-Din secondo il quale il Saladino giustiziò di
sua mano il perfido Renaud, ma senza comprender nulla dello spirito
dell’episodio; si sono condite le sequenze relative all’assedio di Gerusalemme
dell’ottobre 1187 con noiose quanto banali dichiarazioni d’agnosticismo religioso
del difensore Balian d’Ibelin (altro grande feudatario di Terrasanta, questi, e mai
fabbro bastardo in Francia!), ma si sono completamente fraintese figure come il
patriarca di Gerusalemme Eraclio o episodi come il permesso, dal Saladino
accordato ai difensori della città, di uscirne liberamente dopo la capitolazione.23

21 C’è, evidentemente, qualcosa di più esiziale e che non si arresta alle imprecisioni, alle
storture ideologiche e ideologizzanti, a ciò che Cardini definisce il “fervorino civico”
ammannito da Scott agli spettatori. Il nocciolo dell’esiziale, infatti, risiede nell’uso
attualizzante della storia, un uso talmente insistito da figurare nei presupposti
medesimi del film e che mira a convincere lo spettatore che, tutto sommato, passato e
presente “sono confrontabili e che la lezione della storia va presa alla lettera perché
nulla mai cambia. Un parallelismo forzoso e arbitrario che insiste su alcune somiglianze
di superficie per tradire profondamente il senso delle vicende di nove secoli or sono che
vorrebbe narrare”, come conclude Cardini. In altre parole Scott, pur criticando
ampiamente il pensiero dominante dell’era Bush non sa esimersi dal ricorrere alla
medesima struttura argomentativa usata da chi egli disapprova: nuova-mente la storia
serve per dimostrare quel che accadrà. Si sarebbe tentati di commentare che, a furia di
esercitarsi nell’alternate history, gli interpreti della contemporaneità hanno perduto le
coordinate della storia.
22 Assai meno ideologizzata ci appare la filmografia italiana di soggetto crociato: in
Italia prevale piuttosto la lettura parodistica, il “cachinno”. Se L’Armata Brancaleone di
Mario Monicelli (1966) resta un capolavoro insuperato24 nella sua consapevole ironia e
nella sua assoluta capacità evocativa d’ambiente, anche i Cavalieri che fecero l’impresa
(Pupi Avati, 2001) che, pure, avrebbe ambito a porsi quale dotta citazione di classici
(uno per tutti Il settimo sigillo di Bergman) sulla falsariga del rispetto per il dato
storico, finisce per affrescare una realtà ghignante e, alla fine, l’impressione dell’eccesso
ha la meglio sull’intelligente idea generatrice del film: contrapporre alla saga graaliana
anglosassone la latinità della ricerca della Sindone25.
23 L’essere, dunque, il cinema specchio del presente rende un cattivo servizio alle
ambizioni “storiche” dei registi. Ben lo dimostrò, ai tempi (1986), la trascrizione
cinematografica che Jean-Jacques Annaud intese fare dell’echiano Nome della rosa. La
sua intenzione fortemente filologica, assicurata dalla partecipazione di consulenti
d’eccezione come Jacques Le Goff, doveva naufragare sotto le richieste della produzione
americana, assicurando al povero Ubertino da Casale i tratti ambigui di una contorta
omosessualità ed a Bernard Guy, autore di uno dei più interessanti manuali in uso agli
inquisitori26 che il medioevo ci abbia trasmesso, la sinistra fisionomia imposta
dall’obbligatoria adesione alle attese pregiudiziali del pubblico. È questa potenzialità
nella propagazione del falso che dovrebbe rendere obbligatori, per questo tipo di
prodotti l’avvertenza “ogni riferimento a fatti o a personaggi storici è puramente
casuale”.

Notes

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1 F. Cardini, Introduzione a Il santo Graal. Un mito senza tempo, dal medioevo al cinema, a
cura M. Macconi e M. Montesano, Genova, 2002, p.9-16.
2 In particolare ricordiamo il Center for the Study of Film and History di Cleveland e le
pubblicazioni relative. Si vedano inoltre Il Medioevo. Specchio ed alibi, Spoleto, CISAM, 1997; Lo
spazio letterario del Medioevo. 1 Il Medioevo latino, volume IV, L’attualizzazione del testo, a
cura di G. Cavallo, C. Leonardi, E. Menestò, ospita numerosi ed eccellenti contributi tra i quali si
ricordano il contributo di Renato Bordone “Medioevo oggi”, quelli di Siro Ferrone e Sara
Mamone, “Il teatro”, di Vito Attolini, “Il Cinema”, di Teresa Buongiorno, “Medioevo e TV: la
storia non è fiction”, di Franco Piperno, “Il medioevo nell’immaginario operistico”, di Sergio
Valzania, “Il Medioevo nel fumetto e nel gioco”, di Rossana Boscaglia, “Il Medioevo rievocato: le
arti figurative”, di Claudio Leonardi, “Oltre il Medioevo”.
3 Hedey Bull. The Anarchical Society, London, Macmillan, 1977.
4 Il riferimento è evidentemente a The Crusaders’ Kingdom, New York and Washington, Praeger
Publishers, 1972.
5 The System of Modern Societies, trad. it. Sistemi di società II. Le società moderne, Bologna, Il
Mulino, 1972, p.190.
6 Per brevità si ricordano soltanto C. Mongardini, Saggio sul gioco, Milano, Franco Angeli, 1989
e D. G. Singer, I. L. Singer, Nel regno del possibile. Gioco infantile, creatività e sviluppo
dell’immaginazione, Firenze, Giunti, 1995.
7 Già nel 1995 il dr. Ivan Goldberg parlava di Internet Addiction Disorder con particolare
riferimento, oltre che al cybersesso, ai giochi di ruolo, si confronti A. F. Francisco, La dipendenza
dal gioco, in Le altre droghe, EUR, Roma, Eur, 1999 nonché K. Young, Internet Addiction: The
Emergence of a New Clinical Disorder, http://abs.sagepub.com/cgi/content/refs/48/4/402. Al
di là del dato patologico, un’interessante letteratura sull’argomento suscita più di una riflessione
sulle potenzialità della comunicazione on line e sui giochi di ruolo. In particolare si ricordano i
problematici e interessanti contributi di: D. Holmes, Virtual Politics: Identity and Community in
Cyberspace, London, Sage Publications, 1997, M. Augè, Non Luoghi: introduzione ad una
antropologia della submodernità, Milano, Eleuthera, 1997, M. Stefik, Internet Dreams:
archetipi, miti e metafore, Roma, Ed. Telecom Italia, 1997, P. Lévy, Cybercultura: gli usi sociali
delle nuove tecnologie, Milano, Feltrinelli, 1999. Si veda infine E. Cassirer, Linguaggio e mito,
Milano, Il Saggiatore, 1961 e il più recente G. Dorfles, L’estetica del mito. Da Vico a Wittgenstein,
Milano, Mursia, 1990.
8 Cfr. K. Harty, Cinema Arthuriana, New York, Garland, 1991.
9 La dipendenza della filmografia dalla critica storica è oggetto di dibattito tra gli studiosi da
molto tempo. Per una prima rassegna si confronti A. Lindley, The Ahistoricism of Medieval Film,
http://www.latrobe.edu.au/screeningthepast/firstrelease/fir598/ALfr3a.htm.
10 Evidentemente il riferimento è a Novalis, La cristianità ovvero l’Europa (scritto nell’anno
1799), in Opera filosofica, Torino, Einaudi, 1993, vol. II, p.591-611. Cfr. R. Manselli, Il Medioevo
come “Christianitas”: una scoperta romantica, in Concetto, storia, miti e immagini del Medio
Evo, a cura di V. Branca, Firenze, Sansoni, 1973, p.51-89.
11 Questo il titolo della tardiva traduzione in italiano. Lo studio originale, The Clash of
Civilisations uscì nel 1993 per la rivista Foreign Affairs. Da leggere anche la risposta di
Huntington alle numerose critiche che gli sono state mosse: If Not Civilisation What? Samuel
Huntington Responds to His Critics, Foreign Affairs,
http://www.foreignaffairs.org/19931201faresponse5213/samuel-p-huntington/if-not-
civilizations-what-samuel-huntington-responds-to-his-critics.html. Si vedano le riflessioni e
l’accurata disamina storiografica presenti in F. Cardini, L’invenzione dell’Occidente, Rimini, Il
Cerchio, 2004.
12 Si veda F. Cardini, Astrea e i Titani. Le lobbies americane alla conquista del mondo, Bari,
Laterza, 2003, in particolare le p.VII-21.
13 Anche la dipendenza della TV italiana da quella statunitense è evidente a tutti coloro che
abbiano possibilità di seguire i canali via satellite: dai reality alle fiction gli spettacoli si
ripropongono pressoché immutati. Che esistano i poteri forti della comunicazione o della
tecnologia non è certamente storia nuova: nuova è piuttosto la loro incisività su scala globale.
Siamo infatti di fronte a poteri trasversali e non localizzabili che risultano assai più difficili da
bilanciare di quanto non lo fossero in epoca di particolarismi nazionalistici. Del resto autori di
grande notorietà e di conclamata influenza politica come Jürgen Habermas, Ralf Dahrendorf,
Ulrich Beck, Antony Giddens, Michael Walzer, attribuiscono alla “rivoluzione informatica”
celebrata dall’Occidente (solo da esso?) il ruolo di Demiurgo supremo, di costruttore della
cosiddetta “cultura globale”, linfa vitale dell’auspicata Cosmopolis mondiale. Si confronti S.
Latouche, L’occidentalisation du monde. Essai sur la signification, la portée et les limites de
l’uniformisation planétaire, Paris, Éditions La Découverte, 1989 e si legga a tale proposito l’acuto
saggio di D. Zolo, Cosmopolis. Prospects for World Government, Cambridge, Polity Press, 1997.
14 Ad esempio Enrico Guazzoni, La Gerusalemme liberata, 1935.
15 Un buon elenco in http://www.fordham.edu/halsall/medfilms.html. Si consultino, poi, il
capitolo 3 (dedicato alla filmografia sulle Crociate) ma anche il primo (dedicato a re Artù) del
testo di J. Aberth, The Knight at the Movies. Medieval History on Film, New York & London,
Routledge, 2003, nonché M. D. Driver, S. Ray, The Medieval Hero on Screen: Representations
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from Beowulf to Buffy, Jefferson, North Carolina and London, Mc Farland & Company, 2004.
Cfr. A. Brandalise, Figure del Medioevo nell’immaginazione politica della modernità, in Lo
spazio letterario del Medioevo. 1 Il medioevo latino, volume IV L’attualizzazione del testo, a cura
di G. Cavallo, C. Leonardi, E. Menestò, Roma, Salerno, 2004, p.273-296.
16 Il film si ispirava a “The Talisman” di Walter Scott.
17 Per una lettura critica degli eventi si veda F. Cardini, Le Crociate tra il mito e la storia, Roma,
Città Nova, 1971, in particolare p.98-102.
18 U.S.A., 1973, regia di Wolfgang Reitherman.
19 U.S.A., Spagna, Regno Unito, 2005, produzione 20th Century Fox.
20 Molto chiara a riguardo la bella recensione di Vito Attolini pubblicata in
http://www.cinemedioevo.net/Film/cine_kingdom_heaven.htm. Peraltro in una intervista
pubblicata ancor su questo sito Scott dice chiaramente di coltivare un’ambizione “pacificatrice”
indotta dalla drammatica attualità degli scontri in Medio Oriente.
21 Anche la recensione di Franco Cardini è stata pubblicata Ivi.
22 Peraltro anche numerosi critici cinematografici mostrano di aver introiettato acriticamente lo
schema crociata = guerra di religione. Un esempio di pressapochismo ideologicamente orientato
è la recensione di Diego Altobelli, pubblicata in http://filmup.leonardo.it/lecrociate.htm. Il
tripudio del luogo comune è evidente, per esempio si legge: “Ambientato a cavallo tra la seconda
e la terza crociata, Le Crociate – Kingdom of Heaven racconta la saga delle Guerre di Religione
viste attraverso gli occhi di Baliano, maniscalco rimasto vedovo a cui la Morte ha sottratto anche
il figlio. Troverà il riscatto nella difesa di Gerusalemme o ‘Regno dei Cieli’, come veniva chiamata
nell’antichità”.
23 Cardini, Le crociate al cinema. Recensione pubblicata in
http://www.francocardini.net/Appunti.
24 Cfr. S. Della Casa, L’Armata Brancaleone. Quando la commedia riscrive la storia, Lindau,
2006.
25 Si veda l’intervista di Pupi Avati pubblicata in
http://www.cinemedioevo.net/film/cine_cavalieri_impresa.htm.
26 Bernard Guy, Practica inquisitionis heretice pravitatis, a cura di C. Douais, Paris, 1886.

Pour citer cet article


Référence papier
Anna Benvenuti et Isabella Gagliardi, « Il Medioevo nella percezione contemporanea: alcuni
spunti per una riflession », Babel, 15 | 2007, 299-315.

Référence électronique
Anna Benvenuti et Isabella Gagliardi, « Il Medioevo nella percezione contemporanea: alcuni
spunti per una riflession », Babel [En ligne], 15 | 2007, mis en ligne le 05 août 2012, consulté le
17 janvier 2021. URL : http://journals.openedition.org/babel/826 ; DOI :
https://doi.org/10.4000/babel.826

Auteurs
Anna Benvenuti
Università di Firenze

Isabella Gagliardi
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