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IL MODELLO MICROSCOPICO

STORIA DELLA FISICA 1. IL MOTO BROWNIANO 16 DELLA MATERIA

EINSTEIN E IL MOTO
BROWNIANO

Già nella seconda metà dell’Ottocento, LA TEORIA DI EINSTEIN SUL MOTO


grazie soprattutto al lavoro teorico di BROWNIANO
James Clerk Maxwell (1831-1879) e di Albert Einstein (1879-1955) diede un
Ludwig Boltzmann (1844-1906), si era contributo fondamentale a questo dibat-
riusciti a giustificare il comportamento di
tito individuando un fenomeno, spie-
un gas ammettendo che esso fosse forma-
gabile soltanto all’interno del modello
to da un numero enorme di «grani» indi-
atomico e molecolare della materia, che
pendenti (chiamati molecole), dotati di
si prestava a una verifica sperimentale.
un moto continuo, velocissimo e casuale.
In particolare, nel 1905 egli pubblicò una
Anche esperienze quotidiane ci posso-
memoria scientifica nella quale esamina-
no dare un’indicazione dell’esistenza del
va il comportamento di una particella di
moto molecolare. Per esempio, come mai
dimensioni intermedie (cioè, abbastanza
avvertiamo un profumo o un odore an-
che a una certa distanza dalla sua origine? grande da potere essere esaminata con un
Evidentemente, le molecole aromatiche microscopio ottico, ma abbastanza picco-
si possono spostare nell’aria fino a rag- la da risentire degli urti molecolari) sot-
giungere il nostro naso. Anche una goccia toposta al continuo «bombardamento»
d’inchiostro posta nell’acqua si diffonde delle molecole che costituiscono un gas o
in tutte le direzioni, non soltanto verso un liquido.
l’alto (se è meno densa dell’acqua) o verso Va detto che, anche se l’esperimen-
il basso (se è più pesante). to di Brown è del 1827, Einstein non era
Ma, nonostante che le previsioni teori- a conoscenza del fenomeno del moto
che ottenute nell’ambito del modello ato- browniano. Grazie alle sue capacità teo-
mico e molecolare fossero in accordo con riche, aveva però capito che in natura un
i dati sperimentali, ancora all’inizio del movimento di tale genere poteva esse-
Novecento l’esistenza reale degli atomi e re possibile. Inoltre, fino al 1905 il moto
delle molecole era tutt’altro che accettata browniano non aveva ancora avuto una
da molti scienziati. Molti ritenevano che soddisfacente spiegazione teorica. Dopo
essi non fossero altro che delle «entità di la sua scoperta, era stato proposto che il
comodo», utili per bilanciare una reazio- moto delle particelle in sospensione in un
ne chimica o per descrivere le proprietà liquido o in un gas fosse dovuto a micro-
quantitative del gas perfetto, ma che, non scopiche correnti dovute alle piccole, ma
essendo osservabili, in fisica non si potes- reali, differenze di temperatura tra un
se parlare della loro «esistenza». punto e l’altro del fluido.
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Copyright © 2012 Zanichelli editore S.p.A., Bologna [5913]
Questo file è un’estensione online del corso Amaldi, Le traiettorie della fisica © Zanichelli 2012
IL MODELLO MICROSCOPICO
1. IL MOTO BROWNIANO 16 DELLA MATERIA

Però, se così fosse, due particelle che si trovano Per l’esperimento in esame la formula di Einstein
molto vicine tra loro all’istante iniziale dovrebbe- dava il valore teorico di D, che risultava
ro essere sottoposte a forze molto simili. Di con-
RT
seguenza, dovrebbero descrivere traiettorie non D= ,
molto diverse tra loro. Invece gli esperimenti ave- ␩N A
vano evidenziato che, in tutti i casi, i moti di due
dove R è la costante del gas perfetto, T è la tempe-
corpuscoli sono del tutto indipendenti.
ratura assoluta dell’aria, ␩ è la sua viscosità e NA
Una particella che si muove di moto brownia-
è il numero di Avogadro. Ciò significa che, visto
no subisce circa 1021 collisioni al secondo. Quindi
che le altre grandezze sono note, dall’esperimento
non è possibile seguire (o calcolare) il suo movi-
di Perrin fu possibile ricavare il valore del numero
mento nei dettagli, istante per istante, come si fa
di Avogadro NA:
in meccanica classica. Ciò che fece Einstein fu di
studiare il comportamento medio di una particella RT
NA = .
browniana sottoposta sia all’azione degli urti mo- ␩D
lecolari che alla viscosità del fluido in cui si trova.
In particolare, egli stabilì che vale la relazione Perrin ottenne il valore NA ⫽ 6 ⫻ 1023, che è in buon
accordo con quello noto al giorno d’oggi. Ma, al di
⌬ x 2 = 2D⌬ t, là del valore numerico più o meno preciso, la ve-
rifica sperimentale di Perrin della teoria del moto
dove ⌬t è l’intervallo di tempo trascorso dal- browniano proposta da Einstein è fondamentale,
l’istante in cui abbiamo iniziato a osservare il moto nella storia della fisica, per almeno due ragioni.
della particella e ⌬ x 2 è il quadrato dell’allontana- In primo luogo, perché confermò indiretta-
mento dal punto origine del moto, nell’intervallo mente la fondatezza del modello atomico e mo-
⌬t, mediato su molte particelle. D è una costante lecolare della materia: la spiegazione del moto
che si chiama coefficiente di diffusione. browniano data da Einstein si basa sull’ipotesi che
nella materia vi siano particelle (atomi o molecole,
LA VERIFICA SPERIMENTALE DELLA a seconda dei casi) in rapido movimento. La con-
TEORIA DI EINSTEIN ferma delle conseguenze quantitative di tale idea
fu una conferma indiretta dell’esistenza di atomi
Nel caso di particelle browniane in sospensione
e molecole e del loro stato di incessante agitazione
nell’aria calma, questa previsione fu conferma-
termica.
ta dal fisico francese Jean Baptiste Perrin (1870-
In secondo luogo, unendo il valore di NA tro-
1942) e dai suoi collaboratori, misurando molte
vato da Perrin con altri dati che provengono dalla
volte l’allontanamento di una particella brownia-
chimica, fu possibile avere un’idea della massa di
na dal suo punto origine a valori fissati di ⌬t. Essi
atomi e molecole. In questo modo tali particelle,
mostrarono che, disegnando il grafico di ⌬ x 2 in
pur non essendo rilevabili direttamente, vennero
funzione di ⌬t, si otteneva una retta. Dal momento
a possedere delle caratteristiche misurabili. Co-
che il coefficiente angolare di tale retta è 2D, gra-
minciarono, cioè, ad avere diritto di cittadinanza
zie allo stesso esperimento era possibile misurare
nell’ambito della fisica.
il valore numerico del coefficiente di diffusione D
(figura).

Δx2
coefficiente
angolare = 2D

O Δt

2
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Questo file è un’estensione online del corso Amaldi, Le traiettorie della fisica © Zanichelli 2012

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