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La gelosia di Balzac si spiega. Come Walter Scott, come François-Renè de Chateubriand, come
Alfred de Vigny, come Victor Hugo e come Stendhal quindi, lui deve metterci la sua pietra al
monumento napoleonico in piena edificazione: nel periodo che segue la caduta dell’ Impero, il mito
imperiale s’ impone in una nuova religione intorno alla quale si costruisce un consenso nazionale
che trova la sua espressione monumentale all’ epoca del ritorno delle ceneri, nel 1840. Le grandi
battaglie napoleoniche sono oggetto di commemorazioni pubbliche e culturali. Quella di Waterloo
per Stendhal, pubblicata ne La Chartreuse de Parme nel 1839 si iscrive allora una storia del genere
che occorre evocare.
A Versailles, Louis-Philippe decide nel 1833 di aprire un museo dedicato “a tutte le glorie della
Francia” la cui opera principale è la Galleria delle Battaglie che accoglie dei dipinti commissionati
dall’Imperatore, quale la celebre Battaglia d’Austerlitz (1810) del barone François Gérard, che
Napoleone voleva veder ornare il soffitto del Consiglio di Stato, o delle opere più recenti, come la
trilogia di Horace Vernet: Iéna, Wagram e Friedland presentata alla fiera del 1836. L’ Imperatore
ne è la figura centrale, è riconoscibile dagli accessori che sono diventati gli attributi del suo potenza
così come le componenti del mito. È rappresentato in capo militare che passa in rassegna le sue
truppe, o in stegneggio che maltratta gli acri impegnati sul campo di battaglia, grazie alle ordinanze
che gli conferiscono informazioni o ancora grazie alla sua lunga visione che gli permette di
osservare i movimenti delle sue truppe e le falsità del trattato. In questo senso, il pittore riconosce
nell'Imperatore una sorta di doppione dello specchio: è quello quindi l'occhio vede costo. La scena
di battaglia è un genere ideale per porre la domanda dello sguardo
“In tutti questi episodi di guerra scelti certamente anno da M. Vernet, che cosa vediamo? Due
granelli di fumo in lontananza e sul primo pian un uomo a cavallo, l'invariabile ed eterno vincitore
Napoleone. Tutte queste terribili mischie, tutte queste guerre d'ambizione finiscono nel Sig. Horace
Vernet e nelle schede della Grande Armata che finiscono così: "L'Imperatore sta bene." Ci sembra
che questo non sia quello di scrivere la storia. Quando si fa dipingere la battaglia, non è, a nostro
avviso, per dire al popolo: venite a vedere, la guerra è un mestiere affascinante; ma si è pittori per
mostrare al popolo la realtà della guerra.”
“Il marchese suo padre esigette che gli fosse mostrato il latino, non secondo i vecchi autori che
parlano sempre di repubbliche, ma su un magnifico volume ornato di oltre cento incisioni,
capolavoro degli artisti del XVII secolo; era la genealogia latina dei Valserra, Marchese del
Dongo, pubblicato nel 1650 da Fabrice del Dongo, arcivescovo di Parma. Essendo la fortuna dei
Valserra soprattutto militare, le incisioni rappresentavano forza battaglie, e sempre si vedevano
alcuni eroi di questo nome che davano grandi colpi di spada. Questo libro piaceva molto al
giovane Fabrice.”
Non è difficile rendersi conto che il dettaglio è di estrema importanza: l'antenato di Fabrizio, che
porta lo stesso nome e prefigura ciò che diventerà, è all'origine dell'immagine che il giovane si fa di
lui: un eroe che dà colpi di spada. Ma questo libro gli è stato offerto da un padre che ha ragione e
odia; quindi è certamente il luogo di una menzogna storica e politica che lo scrittore si dà il compito
di correggere, con realismo. Così, Balzac non ha certo torto di evocare il pittore militare del XVII
secolo Jacques Courtois, detto il Bourguignon, il cui lavoro pone l'accento tanto sulla mischia
quanto sui morti. Ciò di cui Stendhal ci parla è della realtà della guerra, dei cadaveri di uomini e di
cavalli, del fumo, del fango (aveva piovuto alabarde nei due giorni che precedettero il 18 giugno
1815) e del rumore incessante, «scandalizzante» sul qualelo storico inglese John Keegan insiste
anche nel fare appello a diverse testimonianze.
Il rumore della battaglia:
«Gronow [...] paragona l'impatto dei proiettili delle sue guardie sulle corazze degli uomini di
Kellerman e Milhaud "al rumore di una pioggia di proiettili su lastre di vetro". C'erano anche dei
suoni che si potevano percepire solo nelle immediate vicinanze della loro origine, altrimenti la voce
generale dell'artiglieria e dei fucili li copriva interamente. Diversi testimoni però ricordano [...] il
fischio dei proiettili, che copriva il suono del cannone. Mercer lo descrive come "un gemito
misterioso, qualcosa come il ronzio di migliaia di insetti neri in una sera d'estate." [...] Mercer,
alla fine della giornata, si dice anch'egli quasi sordo, e si può credergli alla lettera. Come
comandante di una batteria le cui monete hanno sparato settecento volte ciascuna durante la
battaglia (cifra sorprendente!) si è trovato sufficientemente al centro della tempesta perché i suoi
timpani ne fossero stati colpiti. »
Non si può dire che l'Imperatore sia totalmente assente dalla battaglia di Waterloo come è vista da
Stendhal, ma si può dire, invece, che inverte i piani: Napoleone figura sul retropiano in una sorta di
nebbia formata meno dal fumo che dalla griseria di Fabrice il cui lettore adotta il punto di vista:
- Non vedete dunque l'Imperatore, s... ! Subito la scorta gridò: viva l'Imperatore! a squarciagola.
Si può pensare se il nostro eroe guardò con tutti i suoi occhi, ma vide solo dei generali che
galoppavano, seguiti anch'essi da una scorta. Le lunghe criniere pendenti che portavano ai loro
caschi i draghi gli impedirono di distinguere le figure. «Così non ho potuto vedere l'Imperatore su
un campo di battaglia, a causa di questi dannati bicchieri d'acquavite!”
Allo stesso modo, nel nostro passaggio, il maresciallo Ney appare come al secondo piano. Non è su
di lui che Stendhal focalizza l'attenzione del lettore. Nonostante l'apparizione del maresciallo di
Francia, dovuto ad Elchingen e principe della Moskova, Fabrice resta il soggetto grammaticale della
frase, colui che ne domina l'orientamento. Inoltre, il ritratto di Ney è appena abbozzato, è
accoppiato con quello di un altro generale, che Stendhal non si dà il disturbo di nominare (mentre la
leggende dei grandi quadri di battaglia dice bene quali sono i personaggi rappresentati intorno
all'Imperatore), riconosciuto da due indizi di dubbia nobiltà: è il più grande, e giura, si vorrebbe dire
come il bottaio che era. Del resto è difficile non vedere una traccia di «spirito cattivo» nella scelta
di Ney come figura del gesto napoleonico: il generale radunato a Luigi XVIII, inviato a combattere
Napoleone di ritorno dall'isola d'Elba, Si unirono a lui e furono fucilati nella seconda Restaurazione.
Infine, e per finire con questo generale di secondo piano, se indossa una occhiatura come il
Napoléon à Wagram di Horace Vernet, non può vedere nulla poiché Fabrice gli fa schermo e
Stendhal non si prende la briga di spiegarci ciò che vede. Così, Stendhal non adotta il punto di vista
sovrastante dello stratega, al contrario, sceglie di guardare attraverso gli occhi di un personaggio
neofita, «un giovincello» che sta facendo il suo apprendistato, che non capisce nulla e non afferra la
logica della battaglia: Non sa riconoscere un generale e ci si potrebbe quasi chiedere se è
consapevole del fatto che «gli abiti rossi» sono gli inglesi, che Stendhal si guarda dal designare
come tali, il che rafforza ancora la confusione.
«Grida di: Viva l'Imperatore! furono spinti dalla moltitudine entusiasta. Infine tutto tremò, tutto si
smuove, tutto si scuote. Napoleone era un cavallo. Questo movimento aveva impresso la vita a
queste masse silenziose, aveva dato voce agli strumenti, uno slancio alle aquile e alle bandiere,
un'emozione a tutte le figure. Le pareti delle alte gallerie del vecchio palazzo sembravano gridare
anche: Viva l'Imperatore! Non era qualcosa di umano, era una magia, un simulacro della potenza
divina, o meglio, un'immagine fuggitiva di questo regno così fuggevole. L'uomo circondato da tanto
amore, entusiasmo, dedizione, voti, per il quale il sole aveva scacciato le nuvole dal cielo, rimase
su san cavallo, a tre passi avanti dal piccolo squadrone Dora che lo seguiva [...], all'interno di
tanta emozione eccitata da luì, nessun tratto del suo volto sembrava commuoversi. »
Stendhal in spagnolo
Stendhal è in generale inseparabile dall'Italia, per i suoi romanzi, i suoi racconti di viaggio,anche la
sua biografia, ma non si può dimenticare ciò che la sua epoca deve alla letteratura spagnola del
Secolo d'oro, al romanzo come al teatro barocco. Se Ruy Blas è un eroe picaresco, un declassato
ingegnoso in una società ieratica e rigida, anche Fabrice è un eroe <<bastardo>> come l’ha definito
Marthe Robert, un Don Chisciotte che corre l'avventura per diventare un uomo. Alla battaglia di
Waterloo, non capisce nulla, perso tra la sua ignoranza occulta e la sua volontà di essere un eroe. Il
traduttore spagnolo ricorda il motivo del bambino trovato o rubato, che si ha in "La vita è un sogno"
di Calderón, nelle "Nuovi esemplari" di Cervantes o anche "Il matrimonio di Figaro", che si svolge
in Spagna... Così traduce <<blanc-bec>> con "mocoso", letteralmente "moccioso", parola che è
spesso usata nella letteratura picaresca per qualificare l'eroe e che partecipa alla parodia. Infatti, non
si può leggere questa battaglia di Waterloo come una parodia epica? La frase <<vuoi fermarti,
pivello! >> diventa una frase molto ampollosa all'inizio, "¿quieres hacer el favor de pararte" (mi
faresti il piacere di allontanarti>>) che termina con questa parola banale "mocoso" e questo
spostamento crea un effetto comico supplementare che non esiste in francese. Più avanti quando
Fabrice esclama: “Ah! Eccomi dunque al fuoco! ho visto il fuoco! Eccomi qui un vero militare>>, il
traduttore è costretto a ricorrere alle virgolette e all'interruzione del discorso diretto nel racconto
perché non può rispettare la diversità delle voci narrative del testo (il racconto picaresco è sempre e
solo alla prima persona), e per questo la riflessione di Fabrice è molto più banale e orale: "¡Bueno! ¡
Asi que al fin be entrado en Fuego! ¡ He visto el Figo! Heme Chi un verdadero Militar", dove
l'interezione "bueno" è popolare e il parallelismo «m’ y voilà (eccomi)/me voici (eccomi)>> è
sviluppato in due strutture diverse e di un registro più basso di lingua. Mettendo in bocca ai
personaggi le parole e le espressioni dell'eroe picaresco, trasponendo nelle prese di parola dirette le
diverse voci narrative, Il traduttore dimostra di aver letto metapoeticamente la riflessione del
narratore per lui queste parole volevano dire: «Mai sarò un eroe», invece, perde un po' della
sottigliezza stendhaliana. È del resto nel XIX secolo che "La Vida de Lazarillo de Tormes",
racconto fondatore del romanzo picaresco è stato pubblicato integralmente per la prima volta.
«Non si racconta la storia di una battaglia come si racconterebbe un ballo, alcune persone possono
bene raccogliere i piccoli eventi la cui somma risulta in una battaglia vinta o persa, ma nessuno
può ristabilire il loro ordine, né il momento esatto della loro manifestazione, che sono, tuttavia, ciò
che ne fa il vero valore dell'importanza.»
La scena che leggiamo qui ben corrisponde a questo imbroglio militare: la gioia degli ussari alla
vista dei cadaveri vestiti di rosso fa loro vedere l'azione attraverso un piccolo pezzetto della lente:
dal loro punto di vista, in questo momento della giornata, la Grande Armata è vittoriosa. Forse
bisogna anche tenere conto di questa confusione generale dei popoli e delle nazioni l'insistenza di
Stendhal a sottolineare l'italianità del suo eroe, che i francesi non cessano di considerare una spia.
Al «Vive la France! » dei patrioti, lo scrittore sostituisce una visione decentrata, quella dello
straniero che, nonostante i suoi sforzi per «sistemare una piccola frase francese», sceglie il termine
«gourmander» che non sottolinea troppo la sua differenza.
Genere maggiore del XIX secolo, il romanzo di formazione presenta il destino di un giovane
uomo volenteroso e ambizioso, spesso riempito di illusioni, pronto ad affrontare il mondo con
ingenuità, a commettere errori e storditaggini, ma capace anche di trarre vantaggio dai suoi sbagli e
di arricchirsi dell’esperienza acquisita. Le differenti prove che incontra sono tappe necessarie della
sua iniziazione. Esse scandiscono sia il percorso del personaggio che la struttura generalmente
lineare del racconto. Il tipo ne è perfettamente rappresentato da Eugène de Rastignac del quale si
può seguire l’evoluzione nei diversi romanzi della Comédie humaine, dalle lacrime dello studente
fino alle sentenze fornite dal ministro:
“Uno studente non ha tanto tempo s’egli vuole conoscere il repertorio di ogni teatro, studiare le
questioni del labirinto parigino, sapere gli usi, apprendere la lingua e abituarsi ai piaceri
particolari della capitale […]. Nelle sue iniziazioni successive, egli si spoglia del suo alburno,
amplia l’orizzonte della sua vita, e finisce per concepire stratificazione dei livelli umani che
compongono la società.”
Bisogna comprendere quindi la risonanza di due espressioni costruite parallelamente: «ben poco
eroe”, indubbiamente, ma anche “forte uomo”. Il romanzo di formazione è, in qualche modo,
distolto dalla sua vocazione primaria: il personaggio principale non apprende come diventare eroico
e virtuoso, egli apprende come essere quello che è: un uomo. Potrebbe essere questo umanismo del
soldato ad aver caratterizzato Jean Giono per il suo Hussard sur le toit (1951), fortemente ispirato
alla Certosa di Parma...
Come sospendere l’azione della battaglia mediante la contemplazione? Come sospendere il ritmo
dei galoppi che scandiscono il testo: «la scorta galoppava» («l’escorte prit le galop», «Fabrizio
galoppava sempre» («Fabrice galopait toujours»), «partimmo galoppando» («on partit au grand
galop»), «la scorta cadde ventre a terra» («l’escorte allait ventre à terre»)… Come riuscire a far
rendere conto contemporaneamente della specificità della battaglia, della velocità e dell’impegno
fisico dei corpi in movimento e della capacità di osservazione che caratterizza Fabrizio?
Innanzitutto attraverso il ritmo della frase, estremamente vivo, accelerato dall’assenza di connettori
logici, l’uso del discorso indiretto libero e l’inserimento dei dialoghi. Ma anche attraverso la
circolazione permanente dello sguardo che parte da Fabrizio, si posa sui feriti, sul maresciallo,
ritorna sugli ussardi che sono anche loro feriti, ritorna ai generali i quali, a loro volta, osservano uno
spettacolo che a noi sfugge.
Non si tratta evidentemente di affermare che il romanzo sceglie di imitare la scena del Circo
piuttosto di ricalcare la realtà, si tratta di sottolineare che gli spettacoli del Teatro olimpico hanno
permesso di proporre una soluzione alla difficoltà essenziale che presenta la rappresentazione della
scena di battaglia: associare movimenti delle truppe avverse e osservazione dominante o
contemplazione distaccata in uno stesso spettacolo. È a questa stessa sfida che il testo di Stendhal si
è interessato e ha proposto una soluzione comparabile, provocando l’invidia di un Balzac che non
riterrà più necessario redigere la sua battaglia.
A Parigi, una volta evoluta la legge sui teatri, il Circo olimpico è autorizzato a presentare delle
opere e, nel 1835, Franconi e Ferdinand Laloue, i direttori, hanno il permesso di fare agli Champs-
Elysées delle rappresentazioni equestri durante la bella stagione. Utilizzano anzitutto un’ampia
tenda al Carré Marigny, poi un circo costruito da Hittorf, che può contenere quattromila persone.
Un nuovo genere è nato: “l’hippodrame” , si tratta di un teatro di grande spettacolo dove la guerra è
rappresentata in dimensioni reali (“échelle réelle). Il genere richiede una pista, per le azioni di
cavalleria, una scena a parte per i dialoghi, e gli spalti per gli spettatori. Tra il 1807 (data
dell’entrata in vigore della legislazione napoleonica sui teatri) e il 1847, il repertorio del Circo
olimpico conta circa duecentocinquanta opere. Nel 1809, si rappresenta “La Belle Espagnole au
L’Entrée triomphale des Francais à Madrid” come anche “La Prise de Corogne ou Les Anglais en
Espagne”, e la bibliografia di Ferdinand Laloue contiene dei titoli del tutto eloquenti: Le Dernier
Voeu de l’Empereur in cinque quadri; L’Uniforme du grenadier. Tableau militaire in un atto;
Murat: tre atti, quattordici quadri; La Ferme de Montmirail; episodi dal 1812 al 1814. Pièce
militaire in tre atti e quattro quadri; L’Empire: tre atti e diciotto quadri…Un testimone racconta:
(Cité par Caroline Hodak-Druel, in Daniel Roche [dir.], Le Cheval et La Guerre. Paris, Association
pour l’Accadémie d’art équestre de Versailles, 2002).
I testi autobiografici di Stendhal mostrano la sua conoscenza del circo (Mémoires d'un touriste):
“Vedete l'Errico IV del Pont-Neuf: è un coscritto che teme di cadere da cavallo. Il Luigi XIV del
luogo delle Vittorie e più sapiente: E’ Franconi che fa fare dei giri al suo cavallo davanti ad una
camerata completa”
In Les Promenades dans Rome, raccontando l'attacco a una diligenza sulla strada da Napoli a
Capua, Stendhal fa riferimento a degli spettacoli precisi: “Questi briganti erano così comici che
pensavo a diverse scene di La Caverne, di Vieillard des Vosges, di la Diligence attaquée di
Franconi.”
in Lucien Leuwen, Stendhal riconosce le qualità di Franconi. L'estratto mostra come gli eroi del
circo hanno rimpiazzato quelli del Grande Esercito.
“Lui (Lucien) arriva davanti l’hotel di Pontlevé al gran trotto, e là precisamente il suo cavallo
inizia a galoppare in tondo e con fascino. Qualche chiamata di briglia, invisibile ai profani,
concessero al cavallo del prefetto, stupito dall’insolenza del suo cavaliere, dei piccoli movimenti di
impazienza affascinante per gli intenditori.
[…]
– il ciccione! Disse Ludwing Roller lasciando la finestra d’ira; sarà qualche scudiero della truppa
di Franconi, che Juillet avrà trasformato in eroe.”