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Études italiennes
14 | 2011
La littérature de jeunesse italienne du XXe siècle
Edizione digitale
URL: https://journals.openedition.org/transalpina/2428
DOI: 10.4000/transalpina.2428
ISSN: 2534-5184
Editore
Presses universitaires de Caen
Edizione cartacea
Data di pubblicazione: 30 septembre 2011
Paginazione: 131-148
ISBN: 978-2-84133-383-7
ISSN: 1278-334X
Résumé : L’entrée de la petite fille dans la littérature pour l’enfance est relativement
récente, et pour ce qui est de l’Italie, il faudra attendre le deuxième après-guerre
pour avoir enfin des figures féminines comme protagonistes. Le « vent du Nord »,
avec l’arrivée de personnages comme Bibi de Karin Michaelis et l’extravagante Pippi,
souffle aussi sur l’Italie, et c’est par ce vent que se laisse emporter Bianca Pitzorno.
On assiste ainsi à une véritable inversion de tendance dans les livres destinés aux
petites filles, et ce sera cet auteur qui rompra avec les stéréotypes traditionnels, en
représentant de nouvelles figures féminines capables de se construire des itiné-
raires indépendants des expectatives masculines. Son œuvre se range décidément
du côté des filles, petites et faibles en tant que membres de l’« espèce fillette », mais
intelligentes, actives, passionnées, en lutte permanente avec le monde autoritaire
des adultes. Comme l’affirme B. Pitzorno dans Storia delle mie storie (une sorte
d’autobiographie littéraire), les moments inspirateurs de ses histoires lui sont offerts
pas le contact direct et la narration orale aux petites filles qui l’ont entourée. Il en
va ainsi de Il grande raduno dei cowboys, L’incredibile storia di Lavinia et La casa
sull’albero. B. Pitzorno ne craint pas d’affronter des sujets gênants, comme dans Diana,
Cupido e il commendatore ; les rapports adultes-enfants, parents-enfants, mère-fille
surtout, sont affrontés dans leur vérité avec leurs contradictions et les conflits qui le
caractérisent, comme cela arrive dans Speciale Violante et Principessa Laurentina.
Le monde de l’école, l’éducation différente donnée aux garçons et aux filles, tout
aussi stéréotypées, offrent des thématiques et des personnages qui trouvent place
dans des romans comme Extraterrestre alla pari et Ascolta il mio cuore. L’Histoire
est enfin l’autre grande protagoniste des œuvres de B. Pitzorno, comme le démontre
La bambinaia francese. Toutes les protagonistes pitzorniennes, prêtes à défier le
monde et à affronter des épreuves en tout genre afin de s’affirmer en revendiquant
leurs droits, recherchent l’émancipation, pour elles et pour les autres, sans oublier
la reconnaissance de leur différence.
vera e propria inversione di tendenza nei libri destinati alle bambine, sarà questa
autrice a rompere con gli stereotipi tradizionali rappresentando nuove figure femminili
capaci di intraprendere itinerari liberi dalle aspettative maschili. Le sue sono opere
decisamente schierate dalla parte delle bambine, piccole e deboli in quanto apparte-
nenti alla « specie bambina », ma intelligenti, attive, appassionate, in lotta perenne
con il prepotente modo dei grandi. Come la stessa autrice afferma in Storia delle mie
storie, i momenti ispiratori per le storie sono rappresentati dal contatto diretto e dalla
narrazione orale alle bambine che la circondano. Così è stato per Il grande raduno
dei cowboys, L’incredibile storia di Lavinia e La casa sull’albero. Vengono affrontati
anche dei temi « imbarazzanti », come in Diana, Cupido e il commendatore ; anche il
rapporto adulti-bambini, bambini-genitori e soprattutto madre-figlia viene affrontato
nella sua verità con le contraddizioni, i conflitti che lo caratterizzano, come avviene in
Speciale Violante e Principessa Laurentina. Il mondo della scuola, la diversa educazione
impartita a bambini e bambine, ugualmente stereotipata, sono altrettante tematiche e
personaggi che trovano spazio in romanzi come Extraterrestre alla pari e Ascolta il mio
cuore. La Storia è, infine, l’altra grande protagonista delle opere di Bianca Pitzorno,
evidente in La bambinaia francese. Tutte le protagoniste pitzorniane, pronte a sfidare
il mondo e ad affrontare prove di ogni genere pur di affermare se stesse rivendicando i
propri diritti, puntano dritte all’emancipazione, per sé e per gli altri, tenendo sempre
presente il riconoscimento della loro differenza.
3. Per ulteriori approfondimenti si vedano, tra gli altri, E. Beseghi, V. Telmon (a cura di),
Educazione al femminile : dalla parità alla differenza, Firenze, La Nuova Italia, 1992 ;
C. Covato, M.C. Leuzzi (a cura di), E l’uomo educò la donna, Roma, Editori Riuniti, 1989 ;
D. Demetrio et al., Con voce diversa. Pedagogia e differenza sessuale e di genere, Milano,
Guerini studio, 2001 ; B. Mapelli, G. Seveso (a cura di), Una storia imprevista. Femminismi
del Novecento e educazione, Milano, Guerini studio, 2003 ; G. Seveso, Come ombre leggere.
Gesti, spazi, silenzi nella storia dell’educazione delle bambine, Milano, Unicopli, 2001 ;
S. Ulivieri (a cura di), Educazione e ruolo femminile. La condizione delle donne in Italia dal
dopoguerra a oggi ; S. Ulivieri (a cura di), Le bambine nella storia dell’educazione, Roma –
Bari, Laterza, 1999 ; S. Ulivieri, Educare al femminile, Pisa, ETS, 1995.
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4. Si vedano : L. Bellatalla, « Louise May Alcott : ovvero come negli Stati Uniti la pedagogia
di Pestalozzi diventò romanzo per giovinette », I problemi della pedagogia, n° 31, 1985,
p. 195-211 ; E. Terzi, « Dietro la maschera : una rilettura di Louisa May Alcott », in E. Beseghi
(a cura di), Il giardino di Gaia, Milano, Mondadori, 1994, p. 7-22 ; S. Ulivieri, Educare al
femminile, in particolare i cap. 3 e 4.
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delle prime storie scritte sulle agende del padre e personificazione di una
scuola elementare ancora classista e basata sulla selezione :
Nei primi tre anni delle elementari l’autrice si descrive come divoratrice
di libri, molti dei quali per adulti, di cui comprende ben poco, ma che
proprio per questo trova estremamente affascinanti. Legge da sola l’Iliade
nella traduzione del Monti, ne capisce la metà ma si innamora del perso-
naggio di Achille. Comincia ad interessarsi ai libri per bambini in seconda
elementare, quando una zia le regala un’intera collana dedicata ai bambini
delle varie parti del mondo ; ma il primo libro per ragazzi che veramente la
appassiona e che segnerà il suo percorso di scrittrice è un libro « per maschi ».
In questa sorta di autobiografia, la futura scrittrice sottolinea spesso come
fin da bambina avesse ben chiara la « discriminazione di genere » operata
dall’intera famiglia, nonna paterna esclusa, nei suoi confronti. I « maschi »
erano quelli forti e coraggiosi che da grandi avrebbero potuto aspirare a pre-
stigiose professioni, lei era solamente una bambina, una sorta di giocattolo
da ornare con vestitini e fiocchetti, destinata tutt’al più a recitare poesiole per
la famiglia : « un giorno accadde che un amico dei miei genitori […] venne
a trovarci e portò in regalo ai miei fratelli non so più quali giocattoli, e a
me, solo a me, proprio a me, un romanzo ‘vero’, un classico : Il primo libro
della giungla di Kipling » 9. Tutti i libri per l’infanzia che Bianca bambina
aveva frequentato fino a quel momento non erano riconosciuti come vera e
propria letteratura ; si trattava infatti di prodotti editoriali ispirati all’antico
pregiudizio che un testo per ragazzi dovesse presentare una realtà semplice
ed edulcorata, dovesse essere leggero e spensierato, ottimista e ilare, pieno
di buoni sentimenti e diminutivi. Il libro della giungla viene invece imme-
diatamente riconosciuto come appartenente alla stessa famiglia della Divina
Commedia, che la futura scrittrice per l’infanzia aveva avuto modo di leggere
e sfogliare già dai primi anni delle elementari. Si trattava appunto di un
10. Il racconto andrà poi a costituire il nucleo centrale di uno dei più famosi romanzi di Bianca
Pitzorno, Ascolta il mio cuore.
11. B. Pitzorno, Storia delle mie storie, p. 98.
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Bianca Pitzorno, sia con il tono lieve dei racconti per i più piccoli sia con
la durezza del registro realistico che riserva ai romanzi per le adolescenti,
entra dentro il nodo – spesso assai dolente – della famiglia. […] nei romanzi
per i più grandi è sulla figura materna che va a radicarsi il conflitto : e così il
conflitto generazionale diventa leggibile nella contrapposizione madre-figlia
[…]. È su questa contrapposizione, è su questa frattura, talvolta dolorosis-
sima, che le giovani protagoniste riescono a elaborare il proprio, autonomo
progetto di vita e a realizzarlo 13.
I libri per l’infanzia che lei stessa leggeva da bambina presentano piccoli
protagonisti « discoli, facilmente influenzabili, capricciosi senza motivo,
d’umore instabile, sostanzialmente leggeri e superficiali nella cattiveria
come nella bontà » 14 ; di qui la necessità per questi bambini di affidarsi
ciecamente alla guida degli adulti, presentati, al contrario, come sempre
« buoni », attendibili, esperti, come positivi modelli cui tendere. Nella realtà,
afferma Pitzorno, le cose non stanno così ; la decisione, fatta a otto anni, di
12. F. Rotondo, « Bianca, Roberto e gli altri. L’eredità di Rodari negli scrittori d’oggi », in
E. Catarsi (a cura di), Gianni Rodari e la letteratura per l’infanzia, Pisa, Del Cerro, 2002,
p. 90.
13. C.I. Salviati, « Rodari, Pitzorno. Vicinanze, lontananze », in E. Catarsi (a cura di), Gianni
Rodari e la letteratura per l’infanzia, p. 108-109.
14. C. De Luca, « Dalla parte della specie bambina. Intervista a Bianca Pitzorno », in C’era due
volte…, n° 3, 1995, p. 42.
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15. Ibid.
16. Ibid., p. 43.
17. Ibid., p. 46.
18. A. Faeti, « Bianca Pitzorno », p. 23.
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19. B. Pitzorno, Il grande raduno dei cowboys, Zurigo, Edizioni Svizzere per la gioventù, 1970.
20. B. Pitzorno, La casa sull’albero, Milano, Le Stelle, 1984.
21. B. Pitzorno, L’incredibile storia di Lavinia, Trieste, EL, 1983.
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fase del « pannolino », quell’elemento che fino a poco tempo prima era al
centro dell’attenzione dei genitori diventa improvvisamente argomento
proibito, di cui non è lecito parlare, così che i bambini, conseguentemente,
sviluppano un interesse particolare nei suoi confronti. Proprio per mitigare
e progressivamente far scomparire questo interesse, gli adulti dovrebbero
raccontare ai bambini e inventare per loro storie di questo genere 22. Ma i
temi « imbarazzanti » o comunque insoliti affrontati dalla scrittrice non si
limitano a questo. In Diana, Cupido e il commendatore 23 Pitzorno racconta
il disagio di Diana a cui uno sconosciuto, al cinema, tocca una gamba ; la
descrizione della scena ha suscitato il giudizio negativo di molti adulti, non
tanto per l’episodio in sé, quanto per le parole troppo crude utilizzate per
descriverlo ; la scrittrice sarda, infatti, affronta il tema senza tacere nessun
aspetto, convinta che si possa parlare di tutto. Questa stessa convinzione
la porta a trattare un altro tema spesso eluso dal panorama editoriale per
bambini, la morte. In Storia delle mie storie la scrittrice riflette sulla quasi
totale assenza di questo tema nei testi destinati all’infanzia, e rileva che
la morte, come elemento risolutivo dell’intreccio e del patetico, è stata
largamente utilizzata nella letteratura ottocentesca ma mai, o quasi mai,
è stata presentata come problema filosofico, nonostante la curiosità dei
bambini nei suoi confronti. Nel romanzo Principessa Laurentina 24 l’autrice
racconta in modo realistico le reazioni della protagonista alla morte della
madre, avvenuta all’improvviso per un incidente, proprio mentre era in atto
un dissidio profondo con la figlia. I ragazzini, sostiene Pitzorno, provano
un senso di sollievo a leggere libri come questo, non perché se ne trovano
consolati, ma perché almeno possono liberarsi dal senso angosciante del
silenzio, del non detto, del rimosso, dal desiderio di morte dei propri genitori
che, come capita in adolescenza, possono a volte aver provato.
Barbara, la protagonista del romanzo appena citato, dopo la separa-
zione dei genitori, è costretta a trasferirsi a Milano dalla madre e dal suo
nuovo compagno. Per la ragazzina ha inizio un periodo difficile di rapporti
sempre più deteriorati con il padre, che incontra solo nei giorni assegnati
22. B. Pitzorno, Storia delle mie storie, p. 135. Gianni Rodari è il primo a prestare attenzione
all’argomento escrementizio sia sul piano narrativo che su quello della riflessione, affidato
quest’ultimo alle pagine della Grammatica della fantasia, dove si sostiene la necessità di
inventare storie di « vasetti » e affini, purché siano divertenti, perché « niente come il riso
lo può aiutare [il bambino] a sdrammatizzare, equilibrare le sue relazioni con l’argomento,
a uscire dalla prigione delle impressioni inquietanti, delle terrorizzazioni nevrotiche »,
G. Rodari, Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie [1973],
Torino, Einaudi, 1994, p. 121.
23. B. Pitzorno, Diana, Cupido e il commendatore, Milano, Mondadori, 1994.
24. B. Pitzorno, Principessa Laurentina, Milano, Mondadori, 1990.
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dal giudice, di disgusto nei confronti della città in cui è costretta a vivere,
e di odio verso la madre, ritenuta l’unica responsabile della sua sofferenza.
Barbara diventa critica verso di lei e il suo comportamento sembra avere
l’unico scopo di ferirla ; si chiude in se stessa, rifiutando qualsiasi rapporto
con le persone che la circondano e respingendo tutti i tentativi di ricon-
ciliazione da parte della madre. Le cose non migliorano alla nascita della
sorellina Laurentina, figlia della mamma e del nuovo compagno, verso la
quale Barbara rimane del tutto indifferente. All’ennesima lite tra madre e
figlia, quest’ultima, piena di rabbia, scrive una lettera in cui esprime tutto
il suo rancore e decide di tornare a vivere con il padre. Proprio in questo
frangente la mamma parte con il patrigno per il Sudafrica per andare ad un
congresso, non riuscirà però a raggiungere mai Johannesburg perché l’aereo
precipita e l’intero equipaggio muore. Barbara, scossa dal dolore, si sente
in colpa per la morte della madre, si accusa per la lettera che le ha inviato
e per tutte le volte che sul suo diario ha scritto « Come la odio ». L’episodio
drammatico con cui il libro si chiude rappresenta, secondo la scrittrice, una
sorta di « uccisione rituale » da parte della ragazzina adolescente ; momento
di riscatto sarà il ritorno al paese d’origine con il padre e Laurentina, con
la quale sente ora un legame più profondo.
In fine, non si deve dimenticare, tra i temi affrontati nei romanzi di
Bianca Pitzorno, quello della scuola e dell’educazione. La scrittrice assume
spesso una vena polemica nei confronti di un’educazione tradizionale
che non ritiene il soggetto prima di tutto una persona, con un proprio
sistema di valori, che non può essere forzata entro schemi precostituiti
che la opprimono e la rendono infelice. Ma è la scuola, luogo per eccel-
lenza dell’educazione, che spesso Bianca Pitzorno prende di mira con i
suoi racconti : le insegnanti che prendono vita nelle pagine della Pitzorno,
sono maestre insensibili, autoritarie, incapaci di stabilire un rapporto di
empatia con le loro allieve e la personificazione emblematica di questa
figura è senz’altro la maestra 25 Sforza, raccontata nelle pagine di Ascolta
il mio cuore 26. La Sforza è espressione della logica borghese e perbenista,
che non ammette opinioni diverse dalla propria e che impone alla classe
ridicole norme di comportamento, come la marcetta alla fine della lezione,
oppure l’ispezione mattutina per verificare la pulizia del corpo, considerata
valore morale primario. Le protagoniste sono tre bambine avventurose,
25. Per un’analisi dei comportamenti, didattici e non, della maestra di Ascolta il mio cuore e le
conseguenti considerazioni sulla scuola italiana degli anni Cinquanta, si veda E. Catarsi,
I maestri e il « cuore ». La figura del maestro elementare nella letteratura per l’infanzia tra
Otto e Novecento, Pisa, Del Cerro, 1996.
26. B. Pitzorno, Ascolta il mio cuore, Milano, Mondadori, 1991.
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27. Da notare come la scelta del nome non sia casuale : « argia » è il nome di un ragno velenoso
molto diffuso in Sardegna.
28. B. Pitzorno, Extraterrestre alla pari, Milano, La Sorgente, 1979.
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Mo, i quali fino a quel momento avevano ritenuto che l’ospite fosse maschio
dal momento che il nome finiva per « o » ; come comportarsi ora con questo
nuovo essere senza sapere se si tratti di un bambino o di una bambina ?
Da questo momento in poi si apre la ricerca della vera natura sessuale di
Mo, sottoposto ad una serie di test psicologici che porteranno a definirlo
come maschio per la sua originalità, la sua intolleranza creativa a schemi
imposti, qualità non riconosciute come femminili. Mo inizia una vita da
bambino che gli offre sicuramente alcuni privilegi ma che lo costringe ad
abbandonare certe abitudini per lui piacevoli, privandolo così di un lato
della sua personalità. Il ragazzino si rende subito conto della netta divisione
dei ruoli maschili e femminili fino dai semplici dettagli del vivere di tutti i
giorni, come i vestiti, tutti di colore scuro i suoi, perché maschio, di colori
più vivaci quelli delle bambine, o nel taglio dei capelli che Mo è costretto a
tenere corti. La limitazione più pesante per Mo è tuttavia dover rinunciare
alla bambola che si è portato da Deneb e alla quale è così affezionato ; un
maschio non può giocare con le bambole, e quando Mo si mette a piangere,
viene subito ripreso dal padre terrestre perché tutto quello che riguarda
la tenerezza, l’affettività e la grazia non è congeniale ai maschi, il pianto
è da « femminucce ». Nel momento in cui Mo trova un suo equilibrio e
riesce a incarnare quasi perfettamente il modello maschile che i terrestri
pretendono da lui, arriva una drastica notizia che provoca una svolta nella
vita del giovane extraterrestre : un’analisi accurata del sangue di Mo rivela
che si tratta di una femmina. Per Mo non è un trauma perché la sua inte-
riorità, la sua anima, il suo carattere, il suo spirito, sono sempre gli stessi ;
ciò non vale per la famiglia terrestre che si affretta a raddoppiare divieti
e limitazioni, cambiano vestiti e arredamento della stanza, la biblioteca
viene rinnovata con una serie di romanzi per signorine, libri lacrimosi
che hanno per protagonisti orfani, neonati rapiti e madri lagnose, anche i
giochi devono cambiare, non è più ammessa la lotta, la corsa o arrampicarsi
sugli alberi. Mo frequenta adesso una nuova scuola per sole femmine, dove
scopre che il contenuto delle lezioni è diverso rispetto alla scuola maschile
che aveva frequentato fino a quel momento. Nelle vesti di ragazzina però,
la piccola extraterrestre si sente oppressa, percepisce con forza il contrasto
tra l’aspirazione a essere se stessa e le imposizioni di un’educazione stere-
otipata. Mo, stanca di tutte le convenzioni, decide così di fare un ritorno
anticipato su Deneb.
Bambine avventurose
Bianca Pitzorno dichiara una straordinaria consapevolezza delle figure
femminili che mette in azione nei suoi testi ; ribellione e saggezza sono le
Bambine protagoniste : nuovi modelli femminili… 145
doti principali delle sue bambine, bambine attive e indipendenti, con una
personalità complessa, che sanno cavarsela da sole e che costituiscono con i
maschi un rapporto paritario. Sono figure lontane dallo stereotipo della fan-
ciulla buona e diligente, sempre votata al sacrificio, e presentano una stretta
parentela con certe « bambine del Nord » emancipate e forti, Bibi e Pippi
per prime. Le ragazzine che Pitzorno propone arrivano in genere alla soglia
dell’adolescenza senza mai superarla ; colte in questo difficile momento di
passaggio, vivono di amicizia e solidarietà cospirando piccole rivolte contro
l’ingiustizia dei grandi. Sono coetanee delle ragazzine a loro contemporanee,
alle prese con problemi comuni : la separazione dei genitori, il divorzio, il
nuovo matrimonio di uno dei due, il difficile rapporto con nuovi fratelli e
sorelle. L’atteggiamento che assumono di fronte agli eventi e ai problemi
quotidiani conferisce loro una grande modernità psicologica, e nello stesso
tempo evidenzia una nuova soggettività femminile, generalmente assente
nella narrativa tradizionale. Sono bambine che non si rassegnano alla sorte
ma agiscono senza timore. Non sono mai belle come le eroine del romanzo
rosa ; sono buffe, a volte goffe e un po’ sgraziate, come tutte le ragazzine
in crescita. La maggior parte di loro ha un forte senso dell’umorismo che
trasforma le loro vicende, che potrebbero spesso cadere nel lacrimoso,
in storie spiritose e divertenti ; Lavinia, ad esempio, riesce a sovvertire le
norme di un mondo di adulti indifferenti utilizzando il particolare prodotto
del suo anello magico come strumento di potere. La piccola fiammiferaia,
ben lontana da quella di Andersen, sottolinea con il sorriso le assurdità
della vita, rendendo meno drammatica la sua realtà quotidiana. Denutrita
e scalza sotto la neve di Milano, vende fiammiferi che nessuno compra e
morirebbe certamente di fame se non fosse per l’intervento di una fata un
po’ eccentrica e moderna, vestita di veli trasparenti, che le consegna l’anello
magico ; se usato con correttezza, Lavinia potrà procurarsi tutto quello che
desidera. L’orfana si prende così tutte le possibili rivincite, combattendo
contro i grandi e mettendoli in ridicolo grazie alla sua arma grottesca,
l’anello che trasforma tutto in « cacca ». Lavinia vendica così se stessa e
tutte le bambine che per tanto tempo hanno sopportato in tutti i racconti
per l’infanzia profonde angherie.
Bambine alla ricerca della propria identità, in un paese inventato e in un
secolo non dichiarato, sono invece le protagoniste di Polissena del porcello :
Polissena appunto e Lucrezia 29. La prima è la figlia di agiati mercanti che
scopre di essere stata adottata, e travestita da ragazzo, scappa da casa alla
ricerca dei suoi veri genitori ; la seconda è una bambina orfana che gira il
mondo in compagnia di animali capaci di fare acrobazie. Il percorso delle
Susanna Barsotti
Università di Cagliari