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Transalpina

Études italiennes 
14 | 2011
La littérature de jeunesse italienne du XXe siècle

Bambine protagoniste : nuovi modelli femminili


nell’opera di Bianca Pitzorno
Susanna Barsotti

Edizione digitale
URL: https://journals.openedition.org/transalpina/2428
DOI: 10.4000/transalpina.2428
ISSN: 2534-5184

Editore
Presses universitaires de Caen

Edizione cartacea
Data di pubblicazione: 30 septembre 2011
Paginazione: 131-148
ISBN: 978-2-84133-383-7
ISSN: 1278-334X
 

Notizia bibliografica digitale


Susanna Barsotti, «Bambine protagoniste : nuovi modelli femminili nell’opera di Bianca Pitzorno»,
Transalpina [Online], 14 | 2011, online dal 28 avril 2022, consultato il 05 juillet 2022. URL: http://
journals.openedition.org/transalpina/2428 ; DOI: https://doi.org/10.4000/transalpina.2428

All rights reserved


BAMBINE PROTAGONISTE :
NUOVI MODELLI FEMMINILI
NELL’OPERA DI BIANCA PITZORNO

Résumé : L’entrée de la petite fille dans la littérature pour l’enfance est relativement
récente, et pour ce qui est de l’Italie, il faudra attendre le deuxième après-guerre
pour avoir enfin des figures féminines comme protagonistes. Le « vent du Nord »,
avec l’arrivée de personnages comme Bibi de Karin Michaelis et l’extravagante Pippi,
souffle aussi sur l’Italie, et c’est par ce vent que se laisse emporter Bianca Pitzorno.
On assiste ainsi à une véritable inversion de tendance dans les livres destinés aux
petites filles, et ce sera cet auteur qui rompra avec les stéréotypes traditionnels, en
représentant de nouvelles figures féminines capables de se construire des itiné-
raires indépendants des expectatives masculines. Son œuvre se range décidément
du côté des filles, petites et faibles en tant que membres de l’« espèce fillette », mais
intelligentes, actives, passionnées, en lutte permanente avec le monde autoritaire
des adultes. Comme l’affirme B. Pitzorno dans Storia delle mie storie (une sorte
d’autobiographie littéraire), les moments inspirateurs de ses histoires lui sont offerts
pas le contact direct et la narration orale aux petites filles qui l’ont entourée. Il en
va ainsi de Il grande raduno dei cowboys, L’incredibile storia di Lavinia et La casa
sull’albero. B. Pitzorno ne craint pas d’affronter des sujets gênants, comme dans Diana,
Cupido e il commendatore ; les rapports adultes-enfants, parents-enfants, mère-fille
surtout, sont affrontés dans leur vérité avec leurs contradictions et les conflits qui le
caractérisent, comme cela arrive dans Speciale Violante et Principessa Laurentina.
Le monde de l’école, l’éducation différente donnée aux garçons et aux filles, tout
aussi stéréotypées, offrent des thématiques et des personnages qui trouvent place
dans des romans comme Extraterrestre alla pari et Ascolta il mio cuore. L’Histoire
est enfin l’autre grande protagoniste des œuvres de B. Pitzorno, comme le démontre
La bambinaia francese. Toutes les protagonistes pitzorniennes, prêtes à défier le
monde et à affronter des épreuves en tout genre afin de s’affirmer en revendiquant
leurs droits, recherchent l’émancipation, pour elles et pour les autres, sans oublier
la reconnaissance de leur différence.

Riassunto : L’ingresso della bambina nella letteratura per l’infanzia è relativamente


recente e, per quanto riguarda l’Italia, si dovrà attendere il secondo dopoguerra per
avere figure femminili finalmente protagoniste. Il « vento del Nord », con l’arrivo di
personaggi come Bibi di Karin Michaelis e la stravagante Pippi, soffia anche sull’Italia
ed è da questo vento che si lascia trasportare Bianca Pitzorno. Si assiste così ad una

Transalpina, no 14, 2011, La littérature de jeunesse italienne du XXe siècle, p. 131-148


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vera e propria inversione di tendenza nei libri destinati alle bambine, sarà questa
autrice a rompere con gli stereotipi tradizionali rappresentando nuove figure femminili
capaci di intraprendere itinerari liberi dalle aspettative maschili. Le sue sono opere
decisamente schierate dalla parte delle bambine, piccole e deboli in quanto apparte-
nenti alla « specie bambina », ma intelligenti, attive, appassionate, in lotta perenne
con il prepotente modo dei grandi. Come la stessa autrice afferma in Storia delle mie
storie, i momenti ispiratori per le storie sono rappresentati dal contatto diretto e dalla
narrazione orale alle bambine che la circondano. Così è stato per Il grande raduno
dei cowboys, L’incredibile storia di Lavinia e La casa sull’albero. Vengono affrontati
anche dei temi « imbarazzanti », come in Diana, Cupido e il commendatore ; anche il
rapporto adulti-bambini, bambini-genitori e soprattutto madre-figlia viene affrontato
nella sua verità con le contraddizioni, i conflitti che lo caratterizzano, come avviene in
Speciale Violante e Principessa Laurentina. Il mondo della scuola, la diversa educazione
impartita a bambini e bambine, ugualmente stereotipata, sono altrettante tematiche e
personaggi che trovano spazio in romanzi come Extraterrestre alla pari e Ascolta il mio
cuore. La Storia è, infine, l’altra grande protagonista delle opere di Bianca Pitzorno,
evidente in La bambinaia francese. Tutte le protagoniste pitzorniane, pronte a sfidare
il mondo e ad affrontare prove di ogni genere pur di affermare se stesse rivendicando i
propri diritti, puntano dritte all’emancipazione, per sé e per gli altri, tenendo sempre
presente il riconoscimento della loro differenza.

Immagini bambine nella letteratura per l’infanzia :


la fatica di esserci
Da sempre schiacciate sullo sfondo e celate alla vista del lettore nel rac-
conto d’avventura, confinate negli interni e precocemente costrette nel
ruolo di donne adulte, « le bambine sono state il segno di una differenza
elusa » 1. In Italia è con la modernizzazione che l’universo femminile va
incontro ad un cambiamento radicale che vede il dissolversi di quel mondo
separato e subalterno, estraneo al potere e alla cultura ufficiale, che è cul-
tura maschile, relegato nella famiglia, entro le mura domestiche, eredità
di una antichissima divisione del lavoro e di una specificità biologica, la
maternità, trasformata in condanna sociale, in destino esclusivo, che era,
per secoli, appartenuto alle donne 2. L’ingresso nel mondo del lavoro e
l’affermarsi dei movimenti femministi provocano non soltanto l’affacciarsi
delle donne sulla scena politica e sociale, ma anche notevoli trasformazioni

1. E. Beseghi, « Streghetta, Lavinia, Clorofilla e le altre », in L’insegnante, il testo e l’allieva,


Torino, Rosenberg & Sellier, 1992, p. 42.
2. Si veda F. Cambi, « La scoperta del ‘genere’. Società italiana, cultura pedagogica e questione
femminile », in S. Ulivieri (a cura di), Educazione e ruolo femminile. La condizione delle
donne in Italia dal dopoguerra a oggi, Firenze, La Nuova Italia, 1992.
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nella percezione che esse hanno di sé e nelle rappresentazioni culturali 3.


La trasformazione dell’universo femminile secondo questi parametri ha
comportato un mutamento profondo nei modelli femminili proposti alle
bambine e alle ragazzine. Vengono progressivamente abbandonati gli
stereotipi tradizionali e le giovani lettrici possono trovare finalmente figure
di protagoniste nelle quali identificarsi. Inizialmente, tuttavia, l’ingresso
di bambine protagoniste si pone all’insegna di una forte stereotipia : le
pagine dei romanzi e dei giornaletti per l’infanzia si riempiono di orfane
disperate, vittime delle peggiori privazioni e delle più infelici traversie,
incapaci di risollevarsi da sole da una sorte di sofferenza e dolore spesso
inspiegabili. Le caratteristiche immancabili che definiscono queste figure
di bambina sono lo stato di orfanità e le peripezie non tanto avventurose,
quanto dolorose e crudeli. Le storie di queste « eroine » presentano trame
tragiche, situazioni avverse che sembrano pensate apposta per esaltare la
bontà e la natura angelicata e candida delle piccole protagoniste. L’avventura
resta, invece, esclusivo appannaggio dell’eroe maschile ; le figure femminili
svolgono un ruolo di « spalla », sono fugaci presenze o eterne comprimarie.
Tra Otto e Novecento, tuttavia, l’immagine della bambina vittima e passiva
tende progressivamente a lasciare il campo ad una figura di eroina ribelle e
indipendente che viene a costituire un modello, diciamo così, « deviante »
rispetto al cliché dell’orfana paziente e lacrimosa. Antesignana di queste
figure intraprendenti è probabilmente l’Alice di Lewis Carroll, personaggio
creato « dalla parte delle bambine », il cui « diritto di pensare », rivendicato
con tanta sicurezza dalla piccola viaggiatrice nel mondo delle meraviglie,
sottolinea la necessità di lasciare maggiore spazio, maggiori diritti all’in-
fanzia in generale e alle bambine in particolare, nella produzione letteraria
destinata ai più piccoli. La protagonista del romanzo carrolliano, però, non
è da sola, le stanno accanto, sempre più numerose, giovani protagoniste a
tutto tondo, spesso vivaci intraprendenti e curiose : le Piccole donne (1867)
di Louisa May Alcott, romanzo che rappresenta un momento di rottura
importante e offre, finalmente, a bambine e ragazzine modelli femminili in

3. Per ulteriori approfondimenti si vedano, tra gli altri, E. Beseghi, V. Telmon (a cura di),
Educazione al femminile : dalla parità alla differenza, Firenze, La Nuova Italia, 1992 ;
C. Covato, M.C. Leuzzi (a cura di), E l’uomo educò la donna, Roma, Editori Riuniti, 1989 ;
D. Demetrio et al., Con voce diversa. Pedagogia e differenza sessuale e di genere, Milano,
Guerini studio, 2001 ; B. Mapelli, G. Seveso (a cura di), Una storia imprevista. Femminismi
del Novecento e educazione, Milano, Guerini studio, 2003 ; G. Seveso, Come ombre leggere.
Gesti, spazi, silenzi nella storia dell’educazione delle bambine, Milano, Unicopli, 2001 ;
S. Ulivieri (a cura di), Educazione e ruolo femminile. La condizione delle donne in Italia dal
dopoguerra a oggi ; S. Ulivieri (a cura di), Le bambine nella storia dell’educazione, Roma –
Bari, Laterza, 1999 ; S. Ulivieri, Educare al femminile, Pisa, ETS, 1995.
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cui identificarsi 4 ; l’arrivo nel Novecento di Pippi Calzelunghe creata dalla


penna di Astrid Lindgren, bambina volitiva, intrepida e intelligente, che
irride alle varie convenzioni del mondo diventando per le bambine una
compagna di giochi allegra, furba, forte ed eccezionalmente autonoma.
Sarà proprio il « vento del Nord » a contribuire, anche in Italia, ad una
trasformazione delle protagoniste bambine. Giana Anguissola è forse la
scrittrice italiana che, dal secondo dopoguerra, ha occupato un posto di
rilievo nella produzione editoriale per i più giovani. La vasta produzione
della scrittrice vede in azione numerose protagoniste che riscuotono, per
lungo tempo, un grande successo di pubblico tra le ragazzine, nonostante
vi sia talvolta un intento esplicitamente pedagogico e un contenuto un po’
antiquato. In realtà alcuni elementi fortemente innovativi emergono con
forza tra le righe e rendono attuali nel tempo le avventure delle protagoniste
anguissoliane : le donne presentate dalla scrittrice spesso lavorano o hanno
in progetto di lavorare al di fuori dell’ambito domestico e, d’altra parte,
gli uomini sono spesso affaccendati entro le mura di casa, come accade al
« casalingo » zio Giovanni in Io e mio zio del 1960, senza per questo sentirsi
umiliati. Le lettrici trovano così nelle protagoniste delle coetanee di poco
maggiori, simpatiche e convincenti.
Sono tuttavia gli anni Ottanta e Novanta del Novecento a costituire una
vera e propria svolta nella presentazione di personaggi femminili in Italia.
Soltanto relativamente di recente, infatti, appaiono eroine di solito del tutto
indipendenti dall’universo maschile o addirittura, in una sorta di rovescia-
mento delle parti, affiancate da personaggi maschili di secondo piano. Le
ragazzine che escono dalla condizione infantile e si avviano a diventare
donne, trovano adesso nelle opere di letteratura giovanile occasioni per
definire la propria identità, rispecchiandosi nelle protagoniste e nelle loro
storie, in personaggi femminili realistici, lontani dalle immagini stereotipate
dei romanzi per signorine. In ambito editoriale, la collana « Gaia Junior »
della Mondadori, dedicata alle ragazzine tra gli undici e i quattordici anni,
viene a colmare uno spazio vuoto nell’immaginario femminile costituendo
un vero e proprio progetto sulla differenza ; afferma Antonio Faeti : « la
presa in considerazione di questa differenza [lo specifico femminile] è la
ragione fondamentale dell’esistenza della collana. Le ragazzine sono state
descritte altre volte, sono state messe in scena utilizzando profili diversi.

4. Si vedano : L. Bellatalla, « Louise May Alcott : ovvero come negli Stati Uniti la pedagogia
di Pestalozzi diventò romanzo per giovinette », I problemi della pedagogia, n° 31, 1985,
p. 195-211 ; E. Terzi, « Dietro la maschera : una rilettura di Louisa May Alcott », in E. Beseghi
(a cura di), Il giardino di Gaia, Milano, Mondadori, 1994, p. 7-22 ; S. Ulivieri, Educare al
femminile, in particolare i cap. 3 e 4.
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Qui ci si vuole porre in ascolto » 5. I romanzi che, all’interno della « Gaia »,


vengono a costituire una sorta di « manifesto programmatico » sono proprio
quelli di Bianca Pitzorno le cui protagoniste, come ha rilevato Antonio
Faeti, « costituiscono ormai un significativo risarcimento nei confronti di
un apparato di negazioni da sempre edificato contro le ottiche con cui si
raffigura l’infanzia » 6.

Bianca Pitzorno da lettrice bambina a scrittrice per ragazzi :


biografia intellettuale e temi ricorrenti
È la stessa autrice ad offrirci un punto di partenza per tracciare la sua
biografia intellettuale con Storia delle mie storie 7, dove l’esperienza di
narratrice appare indissolubilmente legata all’infanzia, al mondo di affetti,
di personaggi e di storie raccontate nel quale si trova immersa. L’itinerario
qui suggerito da Pitzorno per seguire il suo percorso di formazione letteraria,
è quello che dall’ascolto di storie, passando dalle letture fatte, arriva alla
scrittura. Prima ancora di iniziare a leggere e ad elaborare quel senso critico
verso il mondo degli adulti che caratterizzerà anche la sua produzione
letteraria, infatti l’autrice conosce l’incanto esercitato dalla parola orale
che ha la capacità di creare atmosfere ricche di emozioni. Il racconto orale
cui si fa riferimento, non deve necessariamente essere una favola ; anzi,
nelle sue fasi iniziali si tratta sempre di un racconto realistico, una sorta di
« romanzo personale » che ha per protagonisti il bambino e la sua famiglia e
che ognuno di noi può rintracciare nella memoria dell’infanzia ; è da questo
« romanzo d’infanzia » dell’autrice che emerge la figura di una bambina
testarda, coraggiosa, amante degli animali e protettrice dei deboli. Quanto
alle letture, Bianca Pitzorno fin da piccola ha la possibilità di sfogliare libri
di ogni genere, ha a sua disposizione la biblioteca del padre medico e tutti
i libri che donne e uomini di famiglia lasciano in giro. Non comprende il
testo, non è ancora in grado di leggerlo, ma divora libri di ostetricia, trattati
di puericultura, libri illustrati di animali, fantasticando a partire da quelle
affascinanti illustrazioni che nella sua mente già formavano bellissime storie.
Al momento del suo ingresso nella scuola, all’età di cinque anni, avviene
poi l’incontro con la lettura vera e propria e con la scrittura, ma arriva
anche quello, di un anno successivo, con la « maestra-arpia », ispiratrice

5. A. Faeti, « Ronja e le altre », Schedario, n° 3, 1989, p. 88.


6. A. Faeti, « Bianca Pitzorno », Andersen Archivio 1989, Genova, Feguagiskià Studios Edizioni,
1989, p. 25.
7. B. Pitzorno, Storia delle mie storie, Parma, Pratiche, 1995.
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delle prime storie scritte sulle agende del padre e personificazione di una
scuola elementare ancora classista e basata sulla selezione :

Questo comportamento ingiusto e crudele da parte di un’adulta che,


cattolicissima, a parole predicava la fratellanza, la carità, la giustizia, fu
la prima causa, se non della mia decisione di scrivere che esisteva sia pur
confusamente già da prima, della mia scelta consapevole di scrivere ‘contro’
gli adulti, contro la loro ipocrisia e prepotenza. Di raccontare la vita dei
bambini governata da quell’inevitabile ma irragionevole rapporto di forza
tutto a loro svantaggio. Di raccontare la loro rabbia impotente e tutti gli
espedienti messi in atto per resistere 8.

Nei primi tre anni delle elementari l’autrice si descrive come divoratrice
di libri, molti dei quali per adulti, di cui comprende ben poco, ma che
proprio per questo trova estremamente affascinanti. Legge da sola l’Iliade
nella traduzione del Monti, ne capisce la metà ma si innamora del perso-
naggio di Achille. Comincia ad interessarsi ai libri per bambini in seconda
elementare, quando una zia le regala un’intera collana dedicata ai bambini
delle varie parti del mondo ; ma il primo libro per ragazzi che veramente la
appassiona e che segnerà il suo percorso di scrittrice è un libro « per maschi ».
In questa sorta di autobiografia, la futura scrittrice sottolinea spesso come
fin da bambina avesse ben chiara la « discriminazione di genere » operata
dall’intera famiglia, nonna paterna esclusa, nei suoi confronti. I « maschi »
erano quelli forti e coraggiosi che da grandi avrebbero potuto aspirare a pre-
stigiose professioni, lei era solamente una bambina, una sorta di giocattolo
da ornare con vestitini e fiocchetti, destinata tutt’al più a recitare poesiole per
la famiglia : « un giorno accadde che un amico dei miei genitori […] venne
a trovarci e portò in regalo ai miei fratelli non so più quali giocattoli, e a
me, solo a me, proprio a me, un romanzo ‘vero’, un classico : Il primo libro
della giungla di Kipling » 9. Tutti i libri per l’infanzia che Bianca bambina
aveva frequentato fino a quel momento non erano riconosciuti come vera e
propria letteratura ; si trattava infatti di prodotti editoriali ispirati all’antico
pregiudizio che un testo per ragazzi dovesse presentare una realtà semplice
ed edulcorata, dovesse essere leggero e spensierato, ottimista e ilare, pieno
di buoni sentimenti e diminutivi. Il libro della giungla viene invece imme-
diatamente riconosciuto come appartenente alla stessa famiglia della Divina
Commedia, che la futura scrittrice per l’infanzia aveva avuto modo di leggere
e sfogliare già dai primi anni delle elementari. Si trattava appunto di un

8. B. Pitzorno, Storia delle mie storie, p. 61.


9. Ibid., p. 65-66.
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romanzo « vero » da percepire con tutti i sensi e la mente, da fare proprio,


capace di condurre il lettore in altri mondi, di far vivere un’infinità di altre
vite e esperienze. Quando, in seconda elementare, è in grado non solo di
leggere libri di un certo spessore ma anche di padroneggiare la lingua, inizia
a scrivere nei momenti liberi, come un gioco, prendendo spunto dalla vita
quotidiana e mettendo in azione personaggi comuni. L’ispirazione vera e
propria però arriva in terza elementare, di fronte all’umiliazione inflitta
dalla maestra ad una bambina povera della classe, isolata nell’ultima fila e
oggetto costante di insulti da parte dell’insegnante. L’episodio particolare
cui la scrittrice fa riferimento suscita in lei indignazione e rabbia impo-
tente ; non potendo intervenire direttamente comincia a scrivere « contro »,
usando una delle agende delle case farmaceutiche che il padre da sempre le
regala a Capodanno. La storia diventa il primo capitolo di un romanzo che
proseguirà per tutto il ciclo delle elementari e che ha come protagonista la
terribile, odiosa e odiata maestra 10.
Le letture proseguono negli anni successivi, riguardano sia i classici per
l’infanzia che i libri per adulti, conosce Pascoli, D’Annunzio, Shakespeare,
Tolstoj, Jane Austean, ecc. ; sono gli anni che coincidono con l’interruzione
della scrittura. Bianca si considera ormai una adulta, incapace però di
scrivere romanzi per i suoi « pari », come anche di esternare, adesso che è
« grande », i suoi sentimenti più profondi : « Se i miei rapporti con l’infanzia
e con la letteratura giovanile non si interruppero, come avviene di solito a
tutti dopo le medie, lo devo alla circostanza del tutto fortuita di avere una
sorella minore di me di nove anni » 11. Durante le letture serali fatte alla
sorella, infatti, scopre un nuovo genere di letteratura per ragazzi, nuovi
autori e la collana del « Martin Pescatore » diretta da Donatella Ziliotto, e
con la scusa di leggerli alla sorella, inizia a cercarne tutti i volumi. È così
che si imbatte in Astrid Lindgren dalla quale rimane affascinata, sentendola
più vicina a sé di qualunque altro autore per bambini.
La protagonista del più famoso romanzo della Lindgren sarà tra le
ispiratrici dei romanzi per ragazzi di Bianca Pitzorno con i quali determinerà
un’inversione di tendenza nei libri destinati alle bambine, poiché romperà
con gli stereotipi tradizionali rappresentando nuove figure femminili capaci
di intraprendere itinerari liberi dalle aspettative maschili. Le sue sono opere
decisamente schierate dalla parte delle bambine, piccole e deboli in quanto
appartenenti alla « specie bambina », ma intelligenti, attive, appassionate,
in lotta perenne con il prepotente mondo dei grandi :

10. Il racconto andrà poi a costituire il nucleo centrale di uno dei più famosi romanzi di Bianca
Pitzorno, Ascolta il mio cuore.
11. B. Pitzorno, Storia delle mie storie, p. 98.
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In questi libri la trasgressione non è mai gioco gratuito e moda corriva,


ma mezzo per affermare i diritti della personalità del piccolo e quindi per
migliorare il mondo. Grazie a una insistente vena ora fantastica e ora umo-
ristica il tono non è mai predicatorio, pedagogico, ma sempre disteso con
una freschezza e una leggerezza che però non tradisce e non cancella la
passione di cui è intrisa la scrittura. Allo stesso modo la scrittrice non appare
mai indulgente verso la scuola e i suoi metodi classisti e selettivi e verso i
valori di adulti incapaci di porsi con un « orecchio acerbo » nei confronti
dei minori, come diceva Rodari 12.

Questa attenzione all’infanzia è senza dubbio uno degli aspetti essenziali


della scrittura di Pitzorno e motore di molti dei suoi romanzi ; l’altro è
probabilmente l’impegno civile che come un filo rosso lega molte delle sue
storie, sottolineando e accusando il conformismo, il sopruso, l’ipocrisia,
tenendo alto l’allarme della coscienza critica. Sopruso e ipocrisia che non
raramente arrivano dal mondo adulto e spesso proprio da quello familiare.
La famiglia è spesso un bersaglio degli attacchi della scrittrice in difesa del
« popolo dei bambini » :

Bianca Pitzorno, sia con il tono lieve dei racconti per i più piccoli sia con
la durezza del registro realistico che riserva ai romanzi per le adolescenti,
entra dentro il nodo – spesso assai dolente – della famiglia. […] nei romanzi
per i più grandi è sulla figura materna che va a radicarsi il conflitto : e così il
conflitto generazionale diventa leggibile nella contrapposizione madre-figlia
[…]. È su questa contrapposizione, è su questa frattura, talvolta dolorosis-
sima, che le giovani protagoniste riescono a elaborare il proprio, autonomo
progetto di vita e a realizzarlo 13.

I libri per l’infanzia che lei stessa leggeva da bambina presentano piccoli
protagonisti « discoli, facilmente influenzabili, capricciosi senza motivo,
d’umore instabile, sostanzialmente leggeri e superficiali nella cattiveria
come nella bontà » 14 ; di qui la necessità per questi bambini di affidarsi
ciecamente alla guida degli adulti, presentati, al contrario, come sempre
« buoni », attendibili, esperti, come positivi modelli cui tendere. Nella realtà,
afferma Pitzorno, le cose non stanno così ; la decisione, fatta a otto anni, di

12. F. Rotondo, « Bianca, Roberto e gli altri. L’eredità di Rodari negli scrittori d’oggi », in
E. Catarsi (a cura di), Gianni Rodari e la letteratura per l’infanzia, Pisa, Del Cerro, 2002,
p. 90.
13. C.I. Salviati, « Rodari, Pitzorno. Vicinanze, lontananze », in E. Catarsi (a cura di), Gianni
Rodari e la letteratura per l’infanzia, p. 108-109.
14. C. De Luca, « Dalla parte della specie bambina. Intervista a Bianca Pitzorno », in C’era due
volte…, n° 3, 1995, p. 42.
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cominciare a scrivere è presa proprio per ristabilire la verità, per presentare


i bambini e le bambine come sono veramente, molto migliori, molto più
« seri » di come venivano presentati 15. Un impegno questo che la scrittrice
prende con l’infanzia alla quale si rivolge e che convalida ulteriormente
quando, divenuta più grande, si rende conto che gli scrittori per adulti
utilizzavano, nei loro racconti, una diversa descrizione di grandi e piccoli ;
lì, infatti, gli autori sembravano avere il coraggio di dire le cose come
realmente stanno, di descrivere l’infanzia per quello che è, gli adulti per
quello che sono : evidentemente, parlando tra adulti, si potevano considerare
seriamente i sentimenti di un bambino, ma rivolgendosi a dei bambini
era come se tutti si sentissero in dovere di sminuirli, di « annacquare »
tutto quanto li riguardava, « sempre di più mi sentii in dovere di risarcire
i bambini, pensando a loro prima come oggetto che come destinatari della
mia scrittura » 16.
Bianca Pitzorno, dunque, parla direttamente a bambini e ragazzi
ponendo attenzione alla loro più vera identità, ai loro sentimenti più pro-
fondi, facendo rivivere quelli che le sono stati propri nell’infanzia, si rivolge
al suo pubblico con sincerità e onestà, consapevole di avere a che fare con
delle persone prima che con dei bambini. I libri della Pitzorno, anche
quando sono ambientati in epoche lontane o in un futuro più o meno
prossimo, affrontano sempre temi attuali e le ragazzine protagoniste dei
suoi romanzi appaiono al lettore come contemporanee, sempre alle prese
con le diverse situazioni della vita ; le storie che racconta sono un misto tra
finzione e realtà dove la fantasia stabilisce nuove relazioni con cose che già
esistono. Tutte le storie nascono da uno spunto reale : la quotidianità, le
relazioni fra le persone all’interno della famiglia e della società, combinate
poi con elementi surreali, costituiscono le fonti generatrici dei suoi romanzi,
« memoria di me bambina e osservazione dei bambini di oggi. Nessuna
invenzione. Ogni riga è un preciso riferimento alla realtà » 17.
È possibile operare una distinzione all’interno della produzione pitzor-
niana tra libri destinati ai bambini, dai sette ai dieci anni, e libri destinati
ai ragazzi più grandi, dai dieci ai tredici anni. Sono prodotti diversi nel
linguaggio, nell’ambientazione, nell’ispirazione. I racconti per i più piccoli
sono romanzi di taglio surreale e umoristico, sempre molto critici nei
confronti della realtà, sono racconti fantastici poiché nello scriverli, come
sostiene Antonio Faeti 18, si ispira al bambino che fantastica su cose reali

15. Ibid.
16. Ibid., p. 43.
17. Ibid., p. 46.
18. A. Faeti, « Bianca Pitzorno », p. 23.
140 Susanna Barsotti

dell’ambiente circostante. Il tema ricorrente è quello dello « straordinario »,


che fa irruzione nella vita quotidiana descritta nei minimi particolari. I
momenti ispiratori per le storie destinate ai più piccoli sono rappresentati
dal contatto diretto e dalla narrazione orale alle bambine che la circon-
dano. Come ricorda in Storia delle mie storie, preferendo la compagnia
dei bambini a quella dei grandi, spesso s’intrattiene con le figlie e i figli di
amici e parenti e per loro improvvisa storie originali inventate al momento.
Così è accaduto per Il grande raduno dei cowboys 19, scritto per Martino,
un bambino di tre anni che aveva difficoltà ad abbandonare il « ciuccio ».
Per farlo ridere del suo problema e per aiutarlo, l’autrice scrisse una storia
dove Martino impersonava uno dei personaggi preferiti, un cowboy molto
speciale ed eroico, che al momento di andare a letto aveva però l’abitudine
del ciuccio. Ad una piccola amica di nome Aglaia, che un giorno le chiede
una storia speciale, capace di esaudire il suo desiderio di vivere sugli alberi,
Pitzorno dedica La casa sull’albero 20. Ispiratrice di un romanzo che avrà
un enorme successo è infine Valentina, una bambina di cinque anni con
un grande interesse per « cacca » e « pipì » ; per lei è nata, durante una cena
di Natale, L’incredibile storia di Lavinia 21, storia di Lavinia appunto e del
suo anello magico molto speciale perché capace di trasformare ogni cosa in
« cacca ». I romanzi per gli adolescenti non hanno la stessa origine ispiratrice
da bambini e bambine reali, lasciano più ampio spazio all’immaginazione
e rientrano generalmente nella categoria dell’avventura e del romanzo
storico. La scrittrice cerca di evitare a tutti i costi la superficialità e gli
stereotipi, mettendo in scena personaggi verosimili in cui il lettore possa
identificarsi ; la costruzione della dimensione psicologica dei protagonisti
diventa fondamentale per l’autrice, che tenta di immaginarli disegnandone i
volti, ricercandone accuratamente nome e cognome e scegliendo l’ambiente
in cui farli muovere. Solo al momento in cui il personaggio è definito nel
fisico e nel carattere ha inizio la storia.
In generale, l’aspetto « trasgressivo » è comunque quello che caratterizza
le storie della Pitzorno, siano esse per bambini o per ragazzi più grandi ;
è l’attenzione verso tematiche ritenute proibite ad essere protagonista dei
suoi racconti, a partire proprio dalla già citata storia di Lavinia e della
« cacca ». La scelta di questo particolare elemento tabù da inserire nei libri
per l’infanzia, afferma l’autrice, è dovuta al fatto che fin dalla nascita la
vita dei bambini è scandita dai ritmi biologici, verso i quali si concentra
massimamente l’attenzione degli adulti. Quando poi il bambino supera la

19. B. Pitzorno, Il grande raduno dei cowboys, Zurigo, Edizioni Svizzere per la gioventù, 1970.
20. B. Pitzorno, La casa sull’albero, Milano, Le Stelle, 1984.
21. B. Pitzorno, L’incredibile storia di Lavinia, Trieste, EL, 1983.
Bambine protagoniste : nuovi modelli femminili… 141

fase del « pannolino », quell’elemento che fino a poco tempo prima era al
centro dell’attenzione dei genitori diventa improvvisamente argomento
proibito, di cui non è lecito parlare, così che i bambini, conseguentemente,
sviluppano un interesse particolare nei suoi confronti. Proprio per mitigare
e progressivamente far scomparire questo interesse, gli adulti dovrebbero
raccontare ai bambini e inventare per loro storie di questo genere 22. Ma i
temi « imbarazzanti » o comunque insoliti affrontati dalla scrittrice non si
limitano a questo. In Diana, Cupido e il commendatore 23 Pitzorno racconta
il disagio di Diana a cui uno sconosciuto, al cinema, tocca una gamba ; la
descrizione della scena ha suscitato il giudizio negativo di molti adulti, non
tanto per l’episodio in sé, quanto per le parole troppo crude utilizzate per
descriverlo ; la scrittrice sarda, infatti, affronta il tema senza tacere nessun
aspetto, convinta che si possa parlare di tutto. Questa stessa convinzione
la porta a trattare un altro tema spesso eluso dal panorama editoriale per
bambini, la morte. In Storia delle mie storie la scrittrice riflette sulla quasi
totale assenza di questo tema nei testi destinati all’infanzia, e rileva che
la morte, come elemento risolutivo dell’intreccio e del patetico, è stata
largamente utilizzata nella letteratura ottocentesca ma mai, o quasi mai,
è stata presentata come problema filosofico, nonostante la curiosità dei
bambini nei suoi confronti. Nel romanzo Principessa Laurentina 24 l’autrice
racconta in modo realistico le reazioni della protagonista alla morte della
madre, avvenuta all’improvviso per un incidente, proprio mentre era in atto
un dissidio profondo con la figlia. I ragazzini, sostiene Pitzorno, provano
un senso di sollievo a leggere libri come questo, non perché se ne trovano
consolati, ma perché almeno possono liberarsi dal senso angosciante del
silenzio, del non detto, del rimosso, dal desiderio di morte dei propri genitori
che, come capita in adolescenza, possono a volte aver provato.
Barbara, la protagonista del romanzo appena citato, dopo la separa-
zione dei genitori, è costretta a trasferirsi a Milano dalla madre e dal suo
nuovo compagno. Per la ragazzina ha inizio un periodo difficile di rapporti
sempre più deteriorati con il padre, che incontra solo nei giorni assegnati

22. B. Pitzorno, Storia delle mie storie, p. 135. Gianni Rodari è il primo a prestare attenzione
all’argomento escrementizio sia sul piano narrativo che su quello della riflessione, affidato
quest’ultimo alle pagine della Grammatica della fantasia, dove si sostiene la necessità di
inventare storie di « vasetti » e affini, purché siano divertenti, perché « niente come il riso
lo può aiutare [il bambino] a sdrammatizzare, equilibrare le sue relazioni con l’argomento,
a uscire dalla prigione delle impressioni inquietanti, delle terrorizzazioni nevrotiche »,
G. Rodari, Grammatica della fantasia. Introduzione all’arte di inventare storie [1973],
Torino, Einaudi, 1994, p. 121.
23. B. Pitzorno, Diana, Cupido e il commendatore, Milano, Mondadori, 1994.
24. B. Pitzorno, Principessa Laurentina, Milano, Mondadori, 1990.
142 Susanna Barsotti

dal giudice, di disgusto nei confronti della città in cui è costretta a vivere,
e di odio verso la madre, ritenuta l’unica responsabile della sua sofferenza.
Barbara diventa critica verso di lei e il suo comportamento sembra avere
l’unico scopo di ferirla ; si chiude in se stessa, rifiutando qualsiasi rapporto
con le persone che la circondano e respingendo tutti i tentativi di ricon-
ciliazione da parte della madre. Le cose non migliorano alla nascita della
sorellina Laurentina, figlia della mamma e del nuovo compagno, verso la
quale Barbara rimane del tutto indifferente. All’ennesima lite tra madre e
figlia, quest’ultima, piena di rabbia, scrive una lettera in cui esprime tutto
il suo rancore e decide di tornare a vivere con il padre. Proprio in questo
frangente la mamma parte con il patrigno per il Sudafrica per andare ad un
congresso, non riuscirà però a raggiungere mai Johannesburg perché l’aereo
precipita e l’intero equipaggio muore. Barbara, scossa dal dolore, si sente
in colpa per la morte della madre, si accusa per la lettera che le ha inviato
e per tutte le volte che sul suo diario ha scritto « Come la odio ». L’episodio
drammatico con cui il libro si chiude rappresenta, secondo la scrittrice, una
sorta di « uccisione rituale » da parte della ragazzina adolescente ; momento
di riscatto sarà il ritorno al paese d’origine con il padre e Laurentina, con
la quale sente ora un legame più profondo.
In fine, non si deve dimenticare, tra i temi affrontati nei romanzi di
Bianca Pitzorno, quello della scuola e dell’educazione. La scrittrice assume
spesso una vena polemica nei confronti di un’educazione tradizionale
che non ritiene il soggetto prima di tutto una persona, con un proprio
sistema di valori, che non può essere forzata entro schemi precostituiti
che la opprimono e la rendono infelice. Ma è la scuola, luogo per eccel-
lenza dell’educazione, che spesso Bianca Pitzorno prende di mira con i
suoi racconti : le insegnanti che prendono vita nelle pagine della Pitzorno,
sono maestre insensibili, autoritarie, incapaci di stabilire un rapporto di
empatia con le loro allieve e la personificazione emblematica di questa
figura è senz’altro la maestra 25 Sforza, raccontata nelle pagine di Ascolta
il mio cuore 26. La Sforza è espressione della logica borghese e perbenista,
che non ammette opinioni diverse dalla propria e che impone alla classe
ridicole norme di comportamento, come la marcetta alla fine della lezione,
oppure l’ispezione mattutina per verificare la pulizia del corpo, considerata
valore morale primario. Le protagoniste sono tre bambine avventurose,

25. Per un’analisi dei comportamenti, didattici e non, della maestra di Ascolta il mio cuore e le
conseguenti considerazioni sulla scuola italiana degli anni Cinquanta, si veda E. Catarsi,
I maestri e il « cuore ». La figura del maestro elementare nella letteratura per l’infanzia tra
Otto e Novecento, Pisa, Del Cerro, 1996.
26. B. Pitzorno, Ascolta il mio cuore, Milano, Mondadori, 1991.
Bambine protagoniste : nuovi modelli femminili… 143

coraggiose e forti, Elisa, Prisca e Rosalba, alunne di una quarta elementare


nella Sardegna del 1950. All’inizio dell’anno scoprono di avere una nuova
maestra, Argia 27 Sforza, subito ribattezzata Sferza, con la quale ingaggiano
una guerra che durerà per l’intero anno scolastico. In questo romanzo
Pitzorno ricostruisce il clima socio-culturale degli anni Cinquanta : la storia
della scuola, la divisione in classi, il potere, i ruoli sociali. Allo stesso tempo
la scrittrice sembra attingere da quel Cuore di De Amicis di cui riprende
la scansione mese per mese e i racconti mensili ; si tratta però soltanto
di un richiamo formale alla tradizione, poiché l’autrice si contrappone
in maniera ironica e irriverente al perbenismo e al moralismo borghese
che permea il romanzo deamicisiano e che caratterizza il mondo adulto e
quello infantile. Le protagoniste qui sono bambine vivaci che difficilmente
si sottomettono ai voleri dei grandi e instaurano un rapporto dialettico e
di contrasto con la famiglia, come tutte le eroine pitzorniane. Sono bam-
bine che provano emozioni forti come le ragazzine reali, che possiedono
una capacità di giudizio autonoma e una rara fantasia che serve loro per
sfuggire alle sopraffazioni della maestra e alle delusioni di una realtà che
non piace. « Ascolta il mio cuore » è la frase con cui Prisca si rivolge alle
amiche ogni volta che sente scoppiare dentro di sé una specie di bomba
a causa dei soprusi cui assiste. Così mentre le bambine ricche della classe
si divertono a fare il confronto con quelle povere schierandosi dalla parte
dell’insegnante arpia, le tre protagoniste si affannano per colmare queste
differenze sociali e per combattere la logica borghese della maestra.
Il tema della diversa educazione rivolta a maschi e femmine è affrontato
nel romanzo Extraterrestre alla pari 28 ; la riflessione qui è spostata sugli
stereotipi di « mascolinità » e « femminilità » così come sono intesi corren-
temente, arrivando a dimostrare che il comportamento tipico di un ruolo
sessuale è frutto di condizionamenti educativi che limitano lo sviluppo della
persona. I pregiudizi e le contraddizioni del modo « umano » di vivere e
di educare l’infanzia sono rivelati dall’agire di Mo, extraterrestre bambino
arrivato sulla Terra dal pianeta Deneb per un soggiorno « alla pari ». La
famiglia accogliente ha predisposto tutto con estrema cura e attenzione
perché la convivenza sia la migliore possibile, ma il primo problema nasce
quando ci si interroga sul sesso di Mo : questi in realtà non è ancora né
maschio né femmina ma una persona di circa dieci anni, il cui sesso si
rivelerà solo in età adulta. Questa incertezza, irrilevante per i genitori
extraterrestri, è invece di estrema importanza per i coniugi che ospitano

27. Da notare come la scelta del nome non sia casuale : « argia » è il nome di un ragno velenoso
molto diffuso in Sardegna.
28. B. Pitzorno, Extraterrestre alla pari, Milano, La Sorgente, 1979.
144 Susanna Barsotti

Mo, i quali fino a quel momento avevano ritenuto che l’ospite fosse maschio
dal momento che il nome finiva per « o » ; come comportarsi ora con questo
nuovo essere senza sapere se si tratti di un bambino o di una bambina ?
Da questo momento in poi si apre la ricerca della vera natura sessuale di
Mo, sottoposto ad una serie di test psicologici che porteranno a definirlo
come maschio per la sua originalità, la sua intolleranza creativa a schemi
imposti, qualità non riconosciute come femminili. Mo inizia una vita da
bambino che gli offre sicuramente alcuni privilegi ma che lo costringe ad
abbandonare certe abitudini per lui piacevoli, privandolo così di un lato
della sua personalità. Il ragazzino si rende subito conto della netta divisione
dei ruoli maschili e femminili fino dai semplici dettagli del vivere di tutti i
giorni, come i vestiti, tutti di colore scuro i suoi, perché maschio, di colori
più vivaci quelli delle bambine, o nel taglio dei capelli che Mo è costretto a
tenere corti. La limitazione più pesante per Mo è tuttavia dover rinunciare
alla bambola che si è portato da Deneb e alla quale è così affezionato ; un
maschio non può giocare con le bambole, e quando Mo si mette a piangere,
viene subito ripreso dal padre terrestre perché tutto quello che riguarda
la tenerezza, l’affettività e la grazia non è congeniale ai maschi, il pianto
è da « femminucce ». Nel momento in cui Mo trova un suo equilibrio e
riesce a incarnare quasi perfettamente il modello maschile che i terrestri
pretendono da lui, arriva una drastica notizia che provoca una svolta nella
vita del giovane extraterrestre : un’analisi accurata del sangue di Mo rivela
che si tratta di una femmina. Per Mo non è un trauma perché la sua inte-
riorità, la sua anima, il suo carattere, il suo spirito, sono sempre gli stessi ;
ciò non vale per la famiglia terrestre che si affretta a raddoppiare divieti
e limitazioni, cambiano vestiti e arredamento della stanza, la biblioteca
viene rinnovata con una serie di romanzi per signorine, libri lacrimosi
che hanno per protagonisti orfani, neonati rapiti e madri lagnose, anche i
giochi devono cambiare, non è più ammessa la lotta, la corsa o arrampicarsi
sugli alberi. Mo frequenta adesso una nuova scuola per sole femmine, dove
scopre che il contenuto delle lezioni è diverso rispetto alla scuola maschile
che aveva frequentato fino a quel momento. Nelle vesti di ragazzina però,
la piccola extraterrestre si sente oppressa, percepisce con forza il contrasto
tra l’aspirazione a essere se stessa e le imposizioni di un’educazione stere-
otipata. Mo, stanca di tutte le convenzioni, decide così di fare un ritorno
anticipato su Deneb.

Bambine avventurose
Bianca Pitzorno dichiara una straordinaria consapevolezza delle figure
femminili che mette in azione nei suoi testi ; ribellione e saggezza sono le
Bambine protagoniste : nuovi modelli femminili… 145

doti principali delle sue bambine, bambine attive e indipendenti, con una
personalità complessa, che sanno cavarsela da sole e che costituiscono con i
maschi un rapporto paritario. Sono figure lontane dallo stereotipo della fan-
ciulla buona e diligente, sempre votata al sacrificio, e presentano una stretta
parentela con certe « bambine del Nord » emancipate e forti, Bibi e Pippi
per prime. Le ragazzine che Pitzorno propone arrivano in genere alla soglia
dell’adolescenza senza mai superarla ; colte in questo difficile momento di
passaggio, vivono di amicizia e solidarietà cospirando piccole rivolte contro
l’ingiustizia dei grandi. Sono coetanee delle ragazzine a loro contemporanee,
alle prese con problemi comuni : la separazione dei genitori, il divorzio, il
nuovo matrimonio di uno dei due, il difficile rapporto con nuovi fratelli e
sorelle. L’atteggiamento che assumono di fronte agli eventi e ai problemi
quotidiani conferisce loro una grande modernità psicologica, e nello stesso
tempo evidenzia una nuova soggettività femminile, generalmente assente
nella narrativa tradizionale. Sono bambine che non si rassegnano alla sorte
ma agiscono senza timore. Non sono mai belle come le eroine del romanzo
rosa ; sono buffe, a volte goffe e un po’ sgraziate, come tutte le ragazzine
in crescita. La maggior parte di loro ha un forte senso dell’umorismo che
trasforma le loro vicende, che potrebbero spesso cadere nel lacrimoso,
in storie spiritose e divertenti ; Lavinia, ad esempio, riesce a sovvertire le
norme di un mondo di adulti indifferenti utilizzando il particolare prodotto
del suo anello magico come strumento di potere. La piccola fiammiferaia,
ben lontana da quella di Andersen, sottolinea con il sorriso le assurdità
della vita, rendendo meno drammatica la sua realtà quotidiana. Denutrita
e scalza sotto la neve di Milano, vende fiammiferi che nessuno compra e
morirebbe certamente di fame se non fosse per l’intervento di una fata un
po’ eccentrica e moderna, vestita di veli trasparenti, che le consegna l’anello
magico ; se usato con correttezza, Lavinia potrà procurarsi tutto quello che
desidera. L’orfana si prende così tutte le possibili rivincite, combattendo
contro i grandi e mettendoli in ridicolo grazie alla sua arma grottesca,
l’anello che trasforma tutto in « cacca ». Lavinia vendica così se stessa e
tutte le bambine che per tanto tempo hanno sopportato in tutti i racconti
per l’infanzia profonde angherie.
Bambine alla ricerca della propria identità, in un paese inventato e in un
secolo non dichiarato, sono invece le protagoniste di Polissena del porcello :
Polissena appunto e Lucrezia 29. La prima è la figlia di agiati mercanti che
scopre di essere stata adottata, e travestita da ragazzo, scappa da casa alla
ricerca dei suoi veri genitori ; la seconda è una bambina orfana che gira il
mondo in compagnia di animali capaci di fare acrobazie. Il percorso delle

29. B. Pitzorno, Polissena del porcello, Milano, Mondadori, 1993.


146 Susanna Barsotti

due bambine è un turbinare di avventure e colpi di scena tra cui le due


eroine riescono a districarsi con coraggio, e di momenti di incontro con altri
personaggi : pescatori di corallo, vecchi pirati in pensione, cattive matrigne
e principesse infelici. Polissena, bambina borghese e un po’ snob, è convinta
di essere proprio una principessa e ogni volta che incontra persone nuove
crede che siano i suoi genitori. Arrestata per lesa maestà, in cella incontrerà
un uomo che le rivelerà la sua vera origine di trovatella. Seguendo gli indizi
dati dall’uomo, Polissena e Lucrezia si mettono in cammino, arrivando a
trovare le loro vere identità : Polissena è stata rapita, abbandonata in un
bosco e adottata dai suoi veri genitori, Lucrezia è una principessa creduta
morta da tempo. La storia si conclude con il rifiuto del ruolo di principessa
da parte di Lucrezia, che decide di continuare a fare la saltimbanca e a girare
per il paese, così da conoscere i reali bisogni del suo popolo.
Il romanzo storico costituisce un genere molto praticato dall’autrice, e
tale possiamo in parte definire anche uno dei suoi racconti più recenti, La
bambinaia francese 30. Frutto, secondo quanto affermato dalla stessa autrice,
di una lunga incubazione, da quando a quindici anni ha letto per la prima
volta il romanzo di Charlotte Brontë Jane Eyre, la storia della bambinaia
Sophie sembra nascere all’insegna di un eroismo tutto al femminile : il
romanzo è caratterizzato dalla presenza di donne, ragazze, adolescenti,
bambine provenienti da classi sociali diverse, ma tutte, come ogni prota-
gonista pitzorniana, pronte a sfidare il mondo e ad affrontare prove di ogni
genere pur di affermare se stesse rivendicando i propri diritti, puntando
dritte all’emancipazione, per sé e per gli altri, tenendo sempre presente
il riconoscimento della loro differenza. Le motivazioni che hanno spinto
Bianca Pitzorno a dare vita a questo racconto, ci ricorda Mirca Casella
in una recente monografia 31, sono sostanzialmente due. Innanzitutto la
scrittrice sente la necessità di rielaborare il romanzo della Brontë di cui
avverte alcune incongruenze ; nota, infatti, uno squilibrio tra la prima
parte in cui Jane ragazzina viene descritta orgogliosa, ribelle, vittima di
numerose umiliazioni ma pronta a reagire e in cui la Brontë si dimostra
capace di descrizioni e approfondimenti psicologici, e una seconda parte
in cui l’istitutrice, dimentica del suo passato di emarginazione affettiva
e di sofferenze, tratta con distacco la piccola Adèle e dove manca una
qualsiasi attenzione all’universo infantile e alla sua psicologia. La seconda
spinta alla riscrittura è legata alla figura di Adèle che, nel romanzo della
Brontë, è descritta come una macchietta della parigina frivola alla quale si

30. B. Pitzorno, La bambinaia francese, Milano, Mondadori, 2004.


31. M. Casella, Le voci segrete. Itinerari di iniziazione al femminile nell’opera di Bianca Pitzorno,
Milano, Mondadori, 2006.
Bambine protagoniste : nuovi modelli femminili… 147

accompagna un atteggiamento di tipo pregiudiziale. Da lettrice, e ostinata


ri-lettrice, Bianca Pitzorno dichiara di aver sempre mal sopportato quel
distacco, quel sottile disprezzo che Jane Eyre rivolge alla piccola Adèle e
a Sophie, l’una ritenuta vanitosa, poco intelligente e superficiale, « come
tutte le francesi » 32, l’altra neppure considerata. Tutto questo, secondo la
Pitzorno, contrasta con l’idea di una protagonista in cerca di una propria
autonomia e che proclama, almeno a parole, i diritti delle donne senza di
fatto mostrare alcuna solidarietà con esse. L’autrice sceglie perciò con il
suo romanzo, che è insieme romanzo storico, romanzo d’appendice, epi-
stolario e altro ancora, di dare voce ai personaggi che la Brontë lascia sullo
sfondo del suo racconto : la ballerina francese Céline Varens, madre della
piccola Adèle, e Sophie, la sua bambinaia francese. Se in Jane Eyre la figura
di Céline viene presentata al lettore solo attraverso le parole dell’amante
tradito, sir Edward Rochester, e etichettata una volta per tutte come donna
frivola e capricciosa, nel racconto della Pitzorno diviene invece una creatura
speciale e delicata, circondata da personaggi controcorrente rispetto al
clima imposto dalla Restaurazione, una donna intelligente e determinata,
coraggiosa e di idee aperte. Quello di Sophie, in alcuni passi voce narrante
del libro, è un personaggio altrettanto fuori dalla « norma » ; un’orfana
che, contrariamente al cliché ottocentesco, è artefice del proprio destino e
non ha paura di affrontare le avversità che la vita pone sul suo cammino.
La rivendicazione dei diritti delle donne è una delle principali temati-
che che attraversano diacronicamente tutto il romanzo : non sono casuali
i continui richiami a Mary Wollstonecraft, come non lo è il nome di una
della compagne di Sophie, Olympe, che sin dall’inizio del romanzo vediamo
vestire come un ragazzo per godere degli stessi privilegi dei ragazzi e che
deve il suo nome a Olympe de Gouges, autrice nel 1791 della Dichiarazione
dei diritti delle donne. Ritroviamo la difesa dell’universo femminile nel
finale del romanzo : esso si conclude con il viaggio di Sophie e tutti gli altri
verso il Nuovo Mondo. Sulla nave Sophie sembrerebbe trovare l’amore,
rimangono però i puntini di sospensione su questa possibilità e la scelta
dell’autrice non è casuale : Sophie, pare dirci la Pitzorno, non può fermarsi
adesso, secondo lo stereotipo, con un matrimonio e dei figli ; ha ancora molta
strada da fare, ci sono ancora molte prove da superare, il suo viaggio non è
concluso, deve frequentare l’Università e diventare la prima donna medico
francese, e il lettore, che ha imparato a conoscere la tenacia, l’intelligenza
e il coraggio di Sophie, non ha alcun dubbio che ci riuscirà.

32. B. Pitzorno, La bambinaia francese, p. 330.


148 Susanna Barsotti

La bambinaia francese è dunque un romanzo composito, una sorta di


« patchwork storico e letterario » 33, come lo definisce Francesca Lazzarato,
in cui i diversi piani pubblici e privati si intrecciano e per mano a Sophie
veniamo condotti attraverso la Storia e le storie personali. La Grande Rivo-
luzione Francese in cui si è lottato per i principi di Uguaglianza, Fraternità
e Libertà, il colonialismo e le angherie cui gli abitanti di quei lontani paesi
erano sottoposti dai loro « padroni », l’abolizione della schiavitù, la storia
delle donne che con coraggio hanno dovuto lottare per esercitare il loro
diritto di essere considerate persone e non cose dai loro mariti, l’eredità
pedagogica di Rousseau, le barricate parigine contro i Borboni, gli echi di
Victor Hugo, Jane Austin, Charles Dickens, si compongono con le storie
della gente comune, di una étoile e del suo schiavo haitiano, di un’orfana
salvata dalla miseria e di quelli costretti invece a vivere all’Ospizio di men-
dicità, degli eredi della Rivoluzione, degli operai, dei reclusi a La Salpêtrière.
Il racconto della Pitzorno è un romanzo al femminile dove la specificità,
il coraggio, la determinazione, la solidarietà delle donne e le ingiustizie da
loro subite nei secoli vengono costantemente sottolineati. Un romanzo
arioso, affacciato sulla Storia e le sue grandi svolte e che mantiene tutto
il fascino di un romanzo dell’Ottocento, un metaromanzo che compone
sapientemente soluzioni stilistiche diverse, dalla narrazione autobiografica
all’epistolario.

Susanna Barsotti
Università di Cagliari

33. F. Lazzarato, « La rivincita dell’intrepida Sophie », Il Manifesto, 23 ottobre 2004, p. 10.

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