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STÉPHANE MALLARMÉ (1842-1898)

► LA VIE

• 1842 : Mallarmé naît à Paris le 18 mars; il perd sa mère à l’âge de cinq ans
• de 1856 à 1860, il est pensionnaire au lycée de Sens, où il achève ses études secondaires (en 1857 sa sœur Marie
meurt → il est fortement marqué par ce décès)
• 1861 : il découvre les Fleurs du Mal, qui l’enthousiasment.
• 1863 : il est en Angleterre, à Londres, où il épouse une jeune Allemande, Maria-Christina Gerhardt, qu’il a connue à
Sens.
• en septembre 1863 obtient sont certificat d’aptitude pour l’enseignement de l’anglais : il est nommé professeur au
lycée de Tournon (1863-1866), où il se considère comme exilé
• 1864 : il a une fille, Geneviève
• 1866 : il donne dix poèmes au Parnasse contemporain
• 1866-1870 : il enseigne un an à Besançon (“mes supérieurs me regardent comme un homme douteux”), puis à
Avignon (il rêve de “passer sa vie entière” dans cette ville)
• 1871 : il est nommé à Paris au lycée Condorcet; son fils Anatole naît
• 1872 : Mallarmé fait la connaissance du jeune poète, Arthur Rimbaud, qu’il fréquente brièvement, puis, en 1873, du
peintre Édouard Manet
• 1874 : il cherche un lieu de villégiature du côté de Fontainebleau; le 6 août, il découvre une petite maison à Valvins,
dans laquelle il loue deux pièces pour y séjourner les fins de semaine et pendant les vacances
• 1874: il s’installe dans la rue de Rome
• 1877 : il commence la série des “Mardis” où il reçoit chez lui amis et disciples
• 1884 : Verlaine (Les Poètes maudits) et Huysmans (À Rebours → le personnage principale, Jean des Esseintes, voue
une vive admiration aux poème de Mallarmé) révèlent sa poésie au grand public
• 1885 : il publie Prose pour des Esseintes, qui est une sorte d’art poétique
• 1894: à 52 ans, il prend sa retraite ; il s’installe définitivement à Valvins
• 1897 : dans Divagations il propose ses réflexions sur la nature de la poésie ; il publie Un coup de dés jamais
n’abolira le hasard
• 1898 (9 septembre) : il meurt dans sa maison de Valvins

- è un poeta molto citato


- durante la sua vita pubblica pochissimo
- scomparsa della voce narrante e assottigliamento della vita dell’autore
- messa in discussione del rapporto tra la parola e la cosa (arbitrarietà del segno linguistico)

Baudelaire subisce il duro colpo della censura nel 1857. Mallarmé nasce nel 1842 e muore nel 1898.
Nel panorama letterario in cui entra (ha circa 20 anni: comincia a scrivere e pubblicare intorno al 1862) la poesia è
molto deditrice dei grandi modelli precedenti → in quel panorama Mallarmé sceglie come modelli coloro che
diventeranno le figure più emblematiche della letteratura:
- Charles Baudelaire
- Edgar Allan Poe
- Théophile Gautier
- Théodore de Banville
- Verlaine
- Catulle Mendès → autore ben distante da Mallarmé con un una scrittura più accademica, ma che è un grande
organizzatore del panorama letterario del momento: gode di un certo potere al punto che le Ministre de l’Instruction
Publique et des Beaux-Arts (il ministro della pubblica istruzione) lo incarica di redigere un rapporto sul movimento
poetico francese, dunque siamo in un’epoca in cui addirittura un ministro riconosce il valore della poesia e dell’arte:
Mendès deve fare una ricognizione della poesia dal 1867 al 1900 in Francia, preceduta da un rapporto sulle personalità
dei vari poeti: “Le mouvement poétique français de 1867 à 1900 : rapport à M. le ministre de l'Instruction Publique et
des Beaux-Arts ; précédé de Réflexions sur la personnalité de l'esprit poétique de France ; suivi d'un Dictionnaire
bibliographique et critique et d'une nomenclature chronologique de la plupart des poètes français du XIXe siècle”
Si parla della poesia come « verbe » con la V maiuscola , dunque la poesia viene paragonata a qualcosa di sacro.
In quest’opera la Francia viene presentata come la culla della poesia: la Francia, fin da quando era « infant », quindi si
parla di una Francia nascente, già cantava in lingua d’oc e in lingua d’oïl. Chi le ha inventate queste forme di canto che
hanno origini lontane (rimontano all’India mitica)? L’anima rustica popolare → in questo periodo infatti iniziano i
grandi studi sull’Oriente e la tradizione poetica antica viene recuperata (cosa molto importante per Mallarmé).
Si passa poi alla Chanson de Roland, fino ad arrivare alla poesia teatrale del Seicento; nel Settecento si ha poca poesia
(soprattutto prosa); infine si arriva all’Ottocento, dove si ha une vera e propria esplosione poetica.
Questo rapporto di Mendès si conclude con una sorta di dizionario bibliografico con delle voci molto ampie.

Quando parla di Mallarmé scrive veramente poco, e poi riporta alcuni giudizi di altri poeti, tra cui Verlaine: egli dice
che i testi di Mallarmé sono particolarmente belli, ma a quella di Verlaine si oppongono altre voci che dicono che
Mallarmé è troppo difficile. Un altro poeta simbolista dice che gli imbecilli non capiscono e credono che sia l’oggetto
della poesia ad essere oscuro, e non loro incapaci di vedere con chiarezza e di comprendere.

Continua dicendo: « L’opera di Mallarmé, la sua teoria del


simbolo, le sue teorie sul teatro supremo, sull’unione dell’arte
e della morale, tutto risplende nei suoi scritti » → Mallarmé ci
mostra bene come arte e morale siano unite.
E poi: « Il lavoro di Mallarmé si può riassumere così: dare un
senso più puro alla lingua della tribù », ovvero a quel
linguaggio rumoroso fatto di nulla, ovvero il linguaggio della
comunicazione ordinaria.

Mallarmé aveva dunque un rapporto molto importante con Verlaine perché, come Verlaine, partecipa a una rivista molto
importante, Le Parnasse contémporain (prima edizione: 1866, poi 1871, 1876) dell’editore Alphonse Lemerre → lì,
nel 1862 (a soli 20 anni) Mallarmé comincia a pubblicare le sue prima poesie, ma vi contribuirono alti celeberrimi
autori tra cui Théodore de Banville, Leconte de Lisle, Théophile Gautier, Catulle Mendès e Baudelaire.

Sempre a 20 anni, nella rivista L’Artiste, pubblica un saggio che è una specie di manifesto poetico, Hérésies artistiques
– L’art pour tous (1862), che fa riferimento a Hérésies modernes di Baudelaire : già dal titolo capiamo che “l'arte per
tutti” è un’eresia perché l’arte è qualcosa di riservato a poche anime elette, non tutti sono pronti ad accettare quel
distillato artistico, l’arte deve rivolgersi solo a chi l’arte la fa (in quest’epoca la lettura comincia ad essere qualcosa di
molto diffuso e reso fruibile a tutti, dunque consumare questa letteratura fa parte della modernità)
Per Mallarmé si tratta di rivendicare il ruolo dell’arte e dell’artista, e soprattutto dare massima importanza agli aspetti
formali: l’arte non è un contenuto, ma una forma dentro alla quale sta un contenuto, come la musica: la musica
non la possono leggere i non-iniziati perché è un particolare tipo di scrittura su uno spartito, dunque solo coloro che
sanno leggere il linguaggio musicale possono eseguirla, allo stesso modo la poesia ha le stesse imposizioni formali della
musica, dunque è riservata solo a coloro capaci di interpretarla.
Sempre in Hérésies artistiques Mallarmé si chiede perché di fronte a una formula matematica noi ci impegniamo per
cercare di comprenderla, ma ciò non accede nella poesie? Il problema è che la poesia è scritta con le stesse lettere che si
utilizzano per la conversazione ordinaria, dunque il lettore che trova oscuro il poeta non imputerà mai a se stesso la
colpa di non capire.
Inoltre, in quest’epoca l’arte si sta sottoponendo alle regole del profitto, ma il poeta non ha una merce da vendere, ha
delle formule misteriose come quelle del matematico: il matematico, con un linguaggio il più sintetico possibile, arriva
a formulare una verità, e la stessa cosa fa il poeta. Dunque il linguaggio dell’arte deve essere indirizzato ai pochi
iniziati: l’arte diventa quasi una religione, qualcosa di sacro che richiede, come nell’atto religioso, sacrificio, sforzo,
fede e coinvolgimento. Soprattutto l’arte si basa (come in Poe) sulla composizione, l’arte è soprattutto composizione,
l’arte è una composizione di elementi.

L’importanza che Mallarmé dà alla composizione e alla comprensione del lavoro poetico è tale che decide di imparare
l’inglese , compiendo anche un soggiorno in Inghilterra, per leggere Poe (The Philosophy of Composition, 1846) e altra
letteratura inglese, ma la famiglia lo vuole impiegare in un lavoro impiegatizio.
In uno di questi soggiorni a Londra, Mallarmé assiste a uno spettacolo teatrale innovativo e moderno, in cui viene
rappresentato un tranche de vie: in una una vetrina, un signore e una signora prendevano un tè → per Mallarmé è una
cosa scandalosa, che non significa niente, sono due persone che stanno semplicemente compiendo un gesto quotidiano
→ è una critica che fa al naturalismo1 che pretende di fare arte prendendo un pezzo della vita reale.
Inoltre Mallarmé rimane molto segnato da episodi tragici della sua vita: a 5 anni dalla perdita della madre, a 15 dalla
perdita della sorellina Marie → sono due perdite irreparabili, un dolore profondo di cui rimane una traccia nelle sue
poesie.

Sempre nel 1862, a Sens, Mallarmé conosce una giovane tedesca, Marie (stesso nome della sorella → in alcune poesie
la due figure della sorella e della moglie si sovrappongono), che si era trasferita in Francia per lavorare come educatrice
in una famiglia.
Nel 1863 Mallarmé sposerà Marie a Londra, e nel settembre dello stesso anno ottiene l’abilitazione all’insegnamento
dell’inglese → viene nominato titolare di cattedra al liceo di Tournon, dove si sente in esilio.
In questo periodo inizia la stesura di Hérodiade, come egli stesso afferma nelle lettere all’amico Cazalis.

Durante l'estate del 1864, incontra a Avignone i “félibres”, poeti di lingua provenzale: Théodore Aubanel, Joseph
Roumanille e Frédéric Mistral, con cui manterrà una corrispondenza. Nello stesso anno compone L'Azur che ha come
motivo la ricerca del bello. La figlia Geneviève nascerà a Tournon in questo periodo.

L'anno successivo, nel 1865, comporrà L'après-midi d'un faune, che spererà di veder rappresentato al Teatro Francese,
ma che gli verrà rifiutato.
Mallarmé si avvicina gradualmente a una concezione sempre più “pura” della poesia → nelle lettere a Cazalis e a
Aubanel dice di non vedere altro che “le Néant” davanti a lui → attraversa un periodo di scoraggiamento e di crisi,
durante il quale lascia da parte Hérodiade e L'après-midi d'un faune per dedicarsi alla stesura di Don du Poème.

Col tempo, abbandonata quella sensazione che lo scoraggiava, Mallarmé sembra intravedere qualcosa di sublime oltre
quel “Néant”: il suo sogno inizia a prendere forma → nelle lettere a Aubanel del 1866 dice di volersi isolare dal mondo
per dedicarsi alla meditazione, per ascoltare “les impressions extra-terrestres et nécessairement harmonieuses”.
Nell’estate dello stesso anno Mallarmé ha capito qual è il suo “rêve”: si rende conto che questo “idéal pur et
lumineux”, che dovrà fornirgli il suo soggetto poetico per eccellenza, deriva direttamente dalla crisi dell’anno
precedente → in una lettera a Cazalis scrive “après avoir trouvé le Néant, j’ai trouvé le Beau”.
Nel giugno 1866 Mallarmé invia a Aubanel la spiegazione di questo “rêve” :

Mallarmé ha davanti lui il plan della “Grand Œuvre” alla quale si dedicherà per il resto della sua vita → per una tale
realizzazione necessita però di tranquillità, riposo e grande forza fisica (di cui sarà privato poichè di lì a poco si
ammalerà).
Sempre nel 1866 viene nominato professore a Besançon, dove inizierà a novembre una corrispondenza con Paul
Verlaine.

1 Naturalismo = erede del realismo, il naturalismo è una corrente artistica, filosofica e letteraria che sceglie la realtà
quotidiana come soggetto privilegiato e la indaga con la stessa obiettività impersonale con cui viene studiata dagli
scienziati.
Nel 1867, assunto ad Avignone, comincerà la pubblicazione dei suoi poemi in prosa → qui inizia un periodo di
disperazione in cui Mallarmé, ostinato nel perseguire il sogno della“Grand Œuvre , è ossessionato dal sentimento di una
sterilità poetica. In una lettera a Coppée del 1868, rivela addirittura di essersi pentito di aver intrapreso questo percorso
verso “l’idéal”.
Inizierà a scrivere, nel 1869, Igitur, racconto poetico e filosofico, destinato a rimanere incompiuto, ma che segna la fine
del suo periodo d'impotenza poetica.

Nel 1871, dopo la nascita del figlio Anatole, si trasferisce a Parigi con la famiglia, nella rue de Moscou, dove incontra il
giovane poeta Arthur Rimbaud e il pittore Manet.
Nel frattempo Mallarmé, dopo un periodo di congedo per malattia, torna a insegnare inglese al liceo Condorcet di
Parigi.
Nello stesso anno pubblica un rivista sulla moda femminile di quegli anni, La Dernière Mode , di cui verranno
stampati otto numeri e di cui sarà l'unico redattore.

Dal 1877, le riunioni del martedì (i cosiddetti “mardis” mallarmeani) verranno organizzate a casa di Mallarmé, nella
rue de Rome, nella quale si era trasferito dal 1874.

Nel 1879 muore il figlio Anatole al quale dedica una poesia che non riuscirà a terminare (Pour un tombeau d’Anatole).

Nel frattempo, nelle sue lettere, Mallarmé continua a parlare di un’opera misteriosa a cui si sta dedicando: nonostante lo
sconforto, nonostante la sensazione di incapacità, Mallarmé non ha rinunciato al suo sogno perché, come egli stesso
afferma, i “vers de circostances ne lui suffisent point”.

Nel 1883, Paul Verlaine darà alle stampe il terzo articolo dei Poètes maudits dedicato a Mallarmé, opera che apparirà
poi nel 1884 sulla rivista Lutèce come il libro di Huysmans, À rebours, il cui personaggio principale, Des Esseintes,
destina una viva ammirazione ai poemi di Mallarmé → queste due opere contribuiranno alla notorietà del poeta.

Nel 1885, divenuto celebre e ammirato da tutti i giovani poeti, Mallarmé spiega a Verlaine la sua rassegnazione: si
rende conto che questo rêve ha messo a tacere la sua ispirazione poetica.

Nel 1894 Mallarmé ottiene il permesso per prendere la pensione e ritirarsi con la famiglia a Valvins, in una casetta sulle
rive della Senna, dove poté perseguire il suo ostinato lavoro di poeta tormentato → qui Mallarmé termina il suo poème
Un Coup de dés jamais ne abolira le hasard, unico “fragment” che reputerà degno di pubblicazione.

L'8 settembre 1898, come testamento artistico, raccomanderà con una lettera alla moglie e alla figlia di distruggere tutti
i suoi scritti, in quanto “non esiste eredità letteraria”. Morirà l'indomani e fortunatamente le due donne non vollero
esaudire la sua ultima richiesta.
Dunque sul piano biografico è un uomo profondamente segnato dalla tristezza e dai lutti
Sul piano della creazione è orfano, ovvero ha certamente dei modelli (tra cui Baudelaire, Théophile Gautier, Théodore
de Banville ), ma sente di avere un’anima poetica diversa tanto che per lui l’unico senso di vivere è una missione
artistica da portare avanti → la sfida che lancia è così ardua che tutta la sua scrittura è segnata da una grande sofferenza
(alcuni poeti per questo motivo cadono della droga, nell’alcol e nella pazzia). Mallarmé viene sempre dipinto come un
uomo accogliente, gentile, ma in realtà è un uomo profondamente triste: il mondo che lo circonda è un mondo sporco,
abitato da uomini che vengono paragonati a dei maiali e le loro case come stalle, porcili → questa visione di una poesia
distante, troppo distante dalla materialità, è soprattutto quella degli anni in cui Mallarmé si trova in provincia: nella
Francia di allora infatti Parigi è il centro di tutto, mentre lui si definisce confinato in provincia, nella piccola cittadina di
Tournon, dove insegna inglese in un liceo. Il lavoro scolastico lo vede come un compito penoso, che lo distrae dal suo
lavoro poetico, ma ormai anche i poeti sono costretti a lavorare per guadagnarsi da vivere, quindi avendo questo
interesse per la letteratura inglese Mallarmé pensa che imparando bene la lingua potrà insegnarla.
A questa figura si contrappone il Mallarmé pacato che nel 1871 si trasferisce a Parigi, nella zona nord-occidentale,
prima nella rue de Moscou, poi nella rue de Rome, nella quale fa del suo appartamento il cuore della vita intellettuale
parigina, un luogo di ritrovo senza denaro, senza interesse, ma dove si ha solo scambio di idee, come i vecchi salons
parigini dei secoli precedenti, solo che adesso siamo nel contesto di una piccola borghesia e non più in un contesto
aristocratico: qui riceve l’intelligenza parigini e straniera, quasi come un pellegrinaggio (B. Yeats, Rainer Maria
Rilke, Paul Valéry, Paul Verlaine, Claude Debussy e molti altri).
In questo modo inaugura i cosiddetti “mardis” che daranno a nuove forme di riunione letterarie.

→ quadro di Manet che ritrae Mallarmé (1876)


Martedì 22 marzo 2022

Stéphane Mallarmé (1842-1898) è un autore molto affascinante e complesso che rappresenta il culmine del mondo
simbolista. All'inizio, il lavoro poetico di Mallarmé riflette l'impronta di Théophile Gautier, Théodore de Banville e,
soprattutto, Charles Baudelaire, che riconosceva come insegnanti. Tuttavia, nel tempo ho sviluppato un'ambiziosa opera
poetica al punto di diventare un chiaro antecedente delle avanguardie che avrebbero segnato i primi anni del secolo
successivo.

Per analizzare la sua opera seguiremo l’ordine dei testi così come sono stati pubblicati da Mallarmé in vita.

Poco prima di morire Mallarmé pubblicò nel 1887 una raccolta di poesie, Poésies (Stéphane Mallarmé), presso
l’editore Edmond Deman (édition de La Revue Indépendante), riproducendo in fotolitografia il manoscritto → questa
edizione si chiama edizione fotolitografica2 perché riproduce l’immagine manoscritta (si può riprodurre a mano un
disegno).
In questa edizione compaiono molte poesie tra cui: Le Guignon, Apparition, Placet futile, Le Pitre Châtié, Une
négresse par le démon secouée, Les Fenêtres, Les Fleurs, Renouveau, L’Azur, Brise Marine, Don du Poème, Hérodide,
L’Après-midi d’un Faune, etc.

La seconda edizione nel 1899, uscita dopo la morte di Mallarmé, è quella definitiva, con 15 composizioni in più rispetto
alla prima (tra cui Salut, Éventail, La Chevelure e altre poesie aggiunte dalla figlia Geneviève Mallarmé) e il
frontespizio di Felicien Rops (“la Lyre»): l'immagine, non titolata, è un donna nuda che siede su orribili crani, reggendo
una lira.

← Les Poésies de Stéphane Mallarmé,


Bruxelles, Edmond Deman, 20 février
1899. Frontispice de Félicien Rops.

Descrizione:
- prima pagina bianca
- poi abbiamo un’ illustrazione con una figura di una donna nuda con una lira,
seduta su una sedia che ha la forma di un punto interrogativo: questa figura è su una
sorte di piedistallo ed ha una lira le cui corde vanno dal basso verso l’alto → il suono
di questa lira che ha a che fare con il divino
- nella prima pagina compare una poesia il cui titolo è Le Guignon, in terzine: le
terzine terminano poi con un verso isolato dunque siamo di fronte alla terza rima

2 La litografia (dal greco λίθος, lìthos, “pietra” e γράφειν, gràphein, “scrivere”) è una tecnica di stampa
delle immagini; il principio è estremamente semplice: un particolare tipo di pietra, opportunamente levigata e disegnata
con una matita grassa, ha la peculiarità di trattenere nelle parti non disegnate un sottile velo d'acqua, che il segno
grasso invece respinge. Passando l'inchiostro sulla pietra così trattata, esso è respinto dalle parti inumidite e trattenuto
dalle parti grasse. Al torchio, perciò, il foglio di carta riceve solo l'inchiostro che si deposita sulle parti disegnate e non
sulle altre. È considerata la tecnica di stampa più antica, ed è una vera opera dell’artista in quanto lavorata dallo stesso
autore.
(concatenarsi delle rime secondo il modello della Divina Commedia + verso isolato) → questa poesia assume un
significato particolare
- Apparition
- Placet futile
- Le Pitre châtié
- Les Fenêtres
- continua poi con altre poesie
- Mallarmé mette anche un testo teatrale all’interno della raccolta di poesie

La raccolta si presenta sotto forma di manoscritto, significa che abbiamo delle parole scritte a mano da Mallarmé: c’è
una valorizzazione del lavoro fatto a mano, della fisicità di chi fa il lavoro. Il lavoro non è stampato, ma scritto con
l’inchiostro, dunque il lettore ha davanti a sé dei segni lasciati dall’inchiostro su una pagina bianca: ecco cos’è la
creazione poetica, sono segni d’inchiostro depositati su una pagina bianca. Tutto avviene quando qualcosa si deposita
sulla pagina bianca.
Già l’aver scelto questa forma è molto indicativo del fare poetico di Mallarmé: quando Mallarmé pubblica questa
edizione la stampa esiste già da molto tempo, ma c’è la volontà di valorizzare il manoscritto → il manoscritto
nell’antichità era l’unicum, ovvero l’esemplare unico, dopodiché c’erano le copie che molto spesso presentavano delle
varianti, dunque non erano fedeli al testo originale → attraverso questa operazione Mallarmé pone tutta una serie di
questioni intorno alla creazione letteraria.

Un testo di Mallarmé che non compare nella prima raccolta (del 1887), ma verrà aggiunto in seguito, nel 1899, sarà un
testo liminare che precede tutte le altre poesie: Salut.

SALUT - Mallarmé

1. Rien, cette écume, vierge vers (schiuma vergine)


2. À ne désigner que la coupe ; (taglio o calici)
3. Telle loin se noie une troupe
4. De sirènes mainte à l'envers.

5. Nous naviguons, ô mes divers


6. Amis, moi déjà sur la poupe
7. Vous l'avant fastueux qui coupe
8. Le flot de foudres et d'hivers ; (folgori)

9. Une ivresse belle m'engage


10. Sans craindre même son tangage
11. De porter debout ce salut

12. Solitude, récif, étoile


13. À n'importe ce qui valut
14. Le blanc souci de notre toile

Analisi;
- sonetto: 2 quartine e 2 terzine
- versi ottonari
- questo testo liminare ci manda un segnale molto chiaro→ entriamo in una fase nuova del linguaggio, entriamo in una
fase di interrogazione: dobbiamo interrogarci sul linguaggio. Siccome siamo essere parlanti che hanno la facoltà di
possedere il linguaggio, su questa facoltà dobbiamo lavorarci e interrogarsi.
- “Salut” → da un lato Mallarmé saluta il lettore, dall’altro però ci manda un messaggio non immediatamente
comprensibile: è come se ci lanciasse una sfida; la poesia è come una formula matematica che all’inizio è oscura, ma
alla fine riusciamo a comprenderla. E’ questo il piacere della poesia di Mallarmé
- si fa riferimento al mare, alla navigazione:
• écume = schiuma, ma allo stesso tempo dice “rien”, come se quella schiuma prima ancora di essere detta fosse negata
• toile → vela o tela
1. Rien, cette écume, vierge vers
2. À. ne. dé.si.gner que. la. cou.pe ;
3. Telle loin se noie une troupe
4. De sirènes mainte à l'envers.
5. Nous naviguons, ô mes divers
6. Amis, moi déjà sur la poupe
7. Vous l'avant fastueux qui coupe
8. Le flot de foudres et d'hivers;

- nous → oggetto plurale che parla: c’è un “nous” che naviga


- poi c’è un’invocazione → l’ordine della frase appare dislocato
- moi à poupe = io a poppa (dietro)
- vous à l’avant = voi a prua (davanti)
La sintassi viene spinta verso la paratassi, ovvero saltano alcuni anelli di collegamento

- qui coupe le flot de foudres et d'hivers = che taglia i flutti dei fulmini e d’inverni; che immagine si ottiene accostando
ai flutti i fulmini e gli inverni? L’immagine del mare in tempesta, ma Mallarménon usa la parola “tempesta”
- la parola che chiude il primo verso è “vers” che è ripresa nella chiusura della prima quartina (“hivers”) , poi ritorna
con “envers” et “divers” a sottolineare che quella prima incursione della parola “vers” ha un’importanza fondamentale

9. Une ivresse belle m'engage


10. Sans craindre même son tangage
11. De porter debout ce salut

- c’è un soggetto che parla alla prima persona (“m’engage”), chi è?


- un’ebbrezza bella mi spinge in avanti, senza temere la sua tangage, ovvero l’instabilità che ha la barca (tangage) →
l’ivresse belle non teme questa instabilità (è una barca esposta ai flutti)
- salut → si dice anche quando si fa un brindisi: portare in alto, in piedi (debout) la coppa per fare il brindisi

12. Solitude, récif, étoile


13. À n'importe ce qui valut
14. Le blanc souci de notre toile

- terzina che torna al soggetto plurale


- non si sta parlando di viaggi, ma si sta parlando si poesia
- la poesia si conclude con “faccio un brindisi in piedi”, ma che cosa augura con questo brindisi? A qualunque cosa sia
valso, cioè ciò a cui ha dato valore.
- souci = preoccuparsi di qualcosa: la cura del bianco della nostra tela, ovvero della pagina bianca, della creazione
artistica, che diventa nostra quando il lettore è coinvolto → tutta la poesia è il racconto dell’esperienza artistica in
quanto creazione artistica (con Mallarmé il senso di deposita sempre a strati)
Nasce qui la metafora della pagina bianca: la pagina chiede di essere scritta, è il tremore della scrittura di cui
Mallarmé ci parla, ci parla del nascere dell’esigenza del costruire il nostro pensiero trasformandolo in parole e
depositandole nella pagina. Mallarmé non fa altro che parlarci della poesis, dell’arte del fare poesia.
Questa sonetto è stato scritto nel 1892, e un anno dopo, nel 1893 Mallarmé lo legge a un banchetto in onore di poeti
che partecipavano alla rivista simbolista La Plume, alla quale partecipavano Verlaine, Valéry, Baudelaire, Gautier e
Mallarmé. Il 15 febbraio 1893, nel numero 92 della rivista, compare questo sonetto con il titolo Toast ovvero “Brindisi”
che precede una poesia di Verlaine il quale rende omaggio a Rimbaud.
Il significato dunque si sposta: inizialmente rappresenta un omaggio, un brindisi ai poeti che sono presenti al banchetto
e che fanno parte della rivista La Plume; quando viene pubblicata nella rivista, la poesia diventa un omaggio a un
omaggio in quanto ha una posizione liminare rispetto a una poesia di Verlaine che rende omaggio a Rimbaud (À Arthur
Rimbaud).
Successivamente compare nel volume che verrà pubblicato postumo da Deman nel 1899 con il titolo di Salut : Deman
capì il valore liminare di questa poesia ed infatti la segnalò tipograficamente, con una tipografia diversa.

Rimbaud è un poeta giovanissimo e irrequieto che a un certo punto decide di


abbandonare non solo la poesia, ma addirittura l’Europa e decide di andare in
Africa → con Rimbaud nasce l’immagine del poeta-fiamma, del genio che
brucia tutto, infatti dopo aver portato delle poesie a Paul Demeny gli scriverà
una lettera dicendo “brucia tutti i versi che sono stato tanto sciocco da darti
durante il mio soggiorno a Douai”. Il legame con Verlaine è molto forte, ed è
intellettuale e affettivo.

Dunque questa poesia nella rivista La Plume ricopriva un ruolo di grande importanza: abbiamo una poesia (À Arthur
Rimbaud) in cui Verlaine rende omaggio a Rimbaud, che è preceduto dalla poesia di Mallarmé, Toast, che è un omaggio
a entrambi.
Dunque cambia il contesto d’enunciazione:
- primo luogo di enunciazione: momento pubblico del banchetto
- secondo luogo di enunciazione: rivista La Plume
- terzo luogo di enunciazione: edizione

Il significato del testo cambia con questo cambiamento del luogo di enunciazione:
- primo caso → Mallarmé è chiamato dai sui compagni a presiedere questo banchetto: è Mallarmé che parla ai
compagni d’avventura che fanno poesie come lui, dunque è un amico che leva il calice e fa un brindisi ai suoi amici
poeti
- secondo caso → non abbiamo più il personaggio pubblico, ma il poeta che rende omaggio alla poesie incarnata da
Verlaine e Rimbaud dentro una rivista di poesia molto elitaria: pubblicare nel La Plume significava essere accettati dalla
società letteraria (fin qui la poesia è ancora intitolata Toast)
- terzo caso → nell’edizione diventa Salut ed è un omaggio al poeta e alla poesia in generale, ma è anche un saluto
all’interno di un volume a chi leggerà il volume (il lettore), dunque è un invito al lettore a entrare in questa
disseminazione di parole

Mallarmé vediamo che pone già i problema della condizione di lettura di un testo: il testo è una testura mobile perché
variano le condizioni di appropriazioni del testo. Con il variare del contesto del saluto varia anche il senso di quel
saluto.

Analisi

1. Rien, cette écume, vierge vers


2. À ne désigner que la coupe ;
3. Telle loin se noie une troupe
4. De sirènes mainte à l'envers.

5. Nous naviguons, ô mes divers


6. Amis, moi déjà sur la poupe
7. Vous l'avant fastueux qui coupe
8. Le flot de foudres et d'hivers;

9. Une ivresse belle m'engage


10. Sans craindre même son tangage
11. De porter debout ce salut

12. Solitude, récif, étoile


13. À n'importe ce qui valut
14. Le blanc souci de notre toile

Elementi che emergono nel testo:


- immagine del calice levato (le verre du champagne)
- la creazione di versi è presentata come una schiuma di parole → ce mot est doublement mis en relief : il occupe le
centre du premier vers et il est isolé entre deux virgules: ce mot fait d’abord allusion à la mousse de champagne mais il
désigne aussi le poème lui-même
- canto di sirene, e creatrici del canto che si disperde: il canto delle sirene è incantatore (pensiamo a Ulisse) dunque le
sirene hanno a che fare con la forza ammaliante e seduttiva del canto → è forte l’evocazione del mito
- dalle sirene si passa al mare, all’onda, allo spumeggiare, alla barca, alle onde che si infrangono → queste immagini
che emergono diventano dei punti di ancoraggio per il lettore: il lettore si aggrappa a queste immagini che gli vengono
offerte ma che subito si scompongono, appaiono e scompaiono; un’altra cosa che ci colpisce è la frammentazione della
frase
- la schiuma della coppa viene poi sostituita dalla schiuma, dallo spumeggiare delle onde, a queste si aggiunge il
movimento dell’acqua, ma espresso attraverso questo movimento in avanti e indietro delle sirene (le sirene si tuffano e
si rituffano all’indietro → movimento ondulatorio che è lo stesso della barca)
- “telle”: similitudine → questa schiuma del vierge vers è paragonata a quel gruppo di sirene che si rovesciano
- poi per analogia si arriva al tema del viaggio, ma è un viaggio particolare perché, fin dal primo verso, noi notiamo una
figura retorica molto complessa e spesso utilizzata in poesia per creare un’immagine e sfasarla allo stesso tempo, è
l’ipallage: è una figura retorica che consiste nel riferire grammaticalmente una parte della frase a una parte diversa da
quella a cui dovrebbe riferirsi semanticamente; in genere la parte del discorso su cui avviene lo spostamento è
l'aggettivo, che viene attribuito a un sostantivo diverso da quello a cui il suo significato lo dovrebbe legare → in questo
caso si tratta del gioco retorico tra la verginità e il verso, cioè il verso è vergine (“vierge vers”): mentre l’aggettivo
“vierge” dovrebbe caratterizzare le sirene, qui caratterizza il verso.
- non è l’écume che è vergine, ma il verso → già dall’inizio capiamo che ci troviamo di fronte a un gioco molto poco
lineare e intrecciato, le parole e i suoni creano un intreccio complesso perché vediamo che vergine è il verso, mentre
l’arte di vertere, nel senso di rivoltarsi, di rovesciarsi, è delle sirene e non il verso (è il verso che di solito va dall’altra
parte) → è questo che ci guida nella lettura del testo e ci fa individuare l’immagine della creazione artistica come
viaggio pericoloso e solitario, ma questo viaggio offre anche qualcosa in cambio: la creazione artistica è un viaggio
che vale la tessitura dell’opera → “tessitura” significa proprio intrecciare le parole sull’asse orizzontale e verticale, e si
crea così un tessuto che tiene la parti collegate tra loro
L’opera è dunque una tessitura che nel testo è rappresentata dalla “toile” → metafora: la “toile” è il simbolo che
costruisce, per spostamento, l’immagine della pagina bianca, ovvero si sposta dal tessuto bianco della tela e si crea un
accordo con qualcos’altro di bianco, ovvero la superficie bianca su cui non c’è niente, è una superficie in attesa: essa
attende qualcosa che si possa depositare lì e creare un evento, l’evento dell’arte della creazione per mano del poeta che
trasforma le sue idee in parole legate tra loro in modo tale da fare un canto. Il grande male del poeta è il fatto di avere
qualcosa di impuro nelle mani, qualcosa che hanno tutti. La sfida è fare di queste parole qualcosa di prezioso. Il poeta
dunque diventa il distillatore.

5. Nous naviguons, ô mes divers


6. Amis, moi déjà sur la poupe
7. Vous l'avant fastueux qui coupe / 2. À ne désigner que la coupe
8. Le flot de foudres et d'hivers;

- nous (comunità di poeti) navighiamo → fanno lo stesso percorso, hanno gli stressi intenti
- lui è già sulla barca e si rivolge agli altri / loro sono il gruppo festoso che va à l’avant du bateau
- avant fastueux → è il fasto, la forza, la ricchezza
- gioco straordinario di Mallarmé: “coupe” non ha lo stesso significato della “coupe” che troviamo al secondo verso:
qui è il verbo couper alla 3 persona singolare mentre nel secondo verso della prima quartina coupe è il sostantivo
femminile → Mallarmé usa come un giocoliere tutte le forme della retorica (l’arte di usare la parola) perché la parola
sia più densa possibile di significato

Mallarmé è un grande lettore della poesia inglese, ed è un grande ammiratore delle lingue: la lingua che gli piace di più
è l’inglese,infatti traduce Poe e scrive Les mots anglais: petite philologie à l’usage des classes et du monde (1877)→ è
una riflessione sulle parole della lingua inglese: lui insegna inglese al liceo di Tournon, ma ha sempre detestato il lavoro
dell’insegnante, però questo testo lo immagina come una specie di anti-dizionario (il dizionario è un deposito di parole
morte, al contrario Mallarmé non vuole che siano morte, ma vive)
Inventa poi una rivista sulla moda femminile da solo (La dernière Mode) e scrive da solo gli articoli → scrive per un
pubblico femminile facendo descrizioni di cose e oggetti che rispondono a questo desiderio di possedere avere, queste
spinte che nella società trasformano e consumano i rapporti.

Torniamo alla poesie:


- la prua che taglia i fiotti composti da foudres e hivers → da un lato abbiamo il fulmine con la sua carica, dall’altro
l’inverno, la stagione fredda: in molte lettere Mallarmé scrive che fa freddo, ad esempio nella poesia intitolata Don du
poème compare l’immagine della moglie e della bambina (Geneviève) con i piedi freddi (“des vos pieds froids”), ma in
realtà sta parlando della poesia → si parla del freddo della notte passata a scrivere, dell’elaborazione poetica. Dunque è
un viaggio freddo perché la creazione è qualcosa di solitario che si fa anche in condizioni difficili, e l’hivers
rappresenta questa condizione difficile in cui si costruisce l’opera
Nelle terzine:

9. Une ivresse belle m'engage


10. Sans craindre même son tangage
11. De porter debout ce salut

12. Solitude, récif, étoile


13. À n'importe ce qui valut
14. Le blanc souci de notre toile

- c’è un ivresse belle→ si recupera l’immagine della coppa e del vino: è l’ivresse, eccitazione che viene dalla
creazione: in questa eccitazione, alla quale si abbandona, questo soggetto non teme le “tangage” (=beccheggio), ovvero
il movimento di avanzamento nei flutti: quando la barca avanza nei flutti non si sa se arriverà nel porto → ecco che,
ancora una volta, il viaggio è un viaggio pericoloso in cui si rischia l’insuccesso, la perdita
- “de porter debout ce salut” → “levo il calice a tutto ciò per cui (à n’importe ce qui) è valsa la cura questo bianco della
nostra (di noi poeti) tela” → è la tessitura delle parole
- il bianco della tela crea un’ immagine che è una prima forma della grande metafora mallarmiana della pagina bianca
che attende, e sulla quale si riflette anche l’angoscia dell’artista: la pagina testimonia il successo e anche l’insuccesso
infatti molti poeti (ad esempio Rimbaud)distruggono il loro manoscritti perché non vogliono che si vedano le tracce del
tangage, del naufragio
- stella polare come guida → in Mallarmé spesso c’è una rispondenza tra il mistero dell’universo costruito con le
parole, quel mistero di luci del cielo, e il mistero delle parole del poeta (analogia tra scrittura dell’universo inaccessibile
all’uomo e la scrittura del poeta)

Traduzione della poesia:

Terza traduzione:
- il vergine verso serve solo a designare la coppa → la poesia è fatta di accenni, di “touches”: la poesia è l’arte del
levare, l’arte della litote, la figura retorica che indica il fare con poco per dire molto, mentre invece la prosa è l’arte
dell’ellisse ovvero del dire di più
- le immagini si creano e subito dopo si stemperano: il saluto, la coppa, la schiuma, ma poi “rien” → è un gioco di
designazione, questo Mallarmé lo definisce “le don subtil de l’analogie”:l’analogia è un filo segreto che tiene insieme
le cose
- “noi” sono coloro che si fanno carico del vierge vers e del gioco della designazione, coloro che fanno poesia e che
amano la poesia
- “voi” sulla poppa pronti, a partire per questo viaggio che taglia l’onda fatta di fulmini come d’inverni → la taglia con i
fulmini oppure la taglia come la tagliano i fulmini e gli inverni che rendono questo viaggio difficile?
- prima versione: la traduzione “salve” non torna più con il titolo della poesia originale → oggi c’è un abuso di questa
parola: “salve” corrisponde a un modo per dimostrare la propria presenza, è una parola spoglia e priva di attenzione per
l’altro, c’è disinteresse in “salve”: è un uso sciatto della lingua
La riflessione sul linguaggio che fa Mallarmé è proprio questa: snidare quella vuotezza di linguaggio che è una
vuotezza di pensiero. Valéry dice che noi abbiamo delle idées réçues che dobbiamo smontare: da queste idées réçues
sono le idées fixes, l’incapacità di modificare un pensiero.
- bella ebbrezza → il poeta è percorso da questa ebbrezza e si erge in alto per portare questo saluto della poesia senza
temere il suo beccheggio (tangage)
- è un saluto di solitudine, di scoglio e di stella: il tema della scrittura nella solitudine torna in molte poesie di
Mallarmé; lo scoglio è la parte contro la quale la barca urta, non si vede quando si naviga e porta con se i rischio del
naufragio; la stella è ciò che si segue nel viaggio avventuroso della scrittura, ovvero è il desiderio della creazione
- infine il brindisi a tutto ciò che è valso quanto la bianca cura di questa tela, cioè a tutto ciò che abbia lo stesso valore
della cura che abbiamo posto a questa tela bianca: la tela su cui vengono intrecciate le parole che sono suoni e
significato
Venerdì 25 Marzo 2022

LE GUIGNON - Mallarmé

Il secondo testo della raccolta di poesie è intitolato Le guignon → le guignon è la scalogna, la sfortuna che perseguita il
poeta: il poeta è perseguitato dal destino ed è deriso dagli uomini. E’ a questa condizione del poeta che Mallarmé dedica
questa poesia.
Pour cette poésie, les versions destinées à la publication se répartissent en diverses étapes:

1. En 1862 Mallarmé avait envoyé un manuscrit de Le Guignon à Emmanuel des Essarts: cela servit de base à la
publication partielle du poème (seulement 5 strophes) sur la revue L’Artiste, alors dirigée par Arsène
Houssaye, un ami de Baudelaire et devenue une revue plus littéraire qu’artistique (dunque Mallarmé sceglie
una rivista legata al mondo di Baudelaire)
Donc, ce texte paraît pour la première fois le 15 mars 1862 sur la revue L’Artiste dans une forme incomplète
(seulement 5 strophes); mais comme le notent Mondor et Jean-Aubry, Mallarmé n’aurait pu approuver la
mutilation ainsi infligée à une pièce en terza rima, et le fait même que les feuilles subsistantes (=rimanenti) du
manuscrit ne transmettent que les vers 16 à 64 confirme que celles-ci ont dû se perdre, ou être indûment
écartées, avant que l’ensemble du numéro soit confié à l’imprimeur.
Ces feuilles portent plusieurs corrections que Mallarmé a vraisemblablement introduites au moment précis où
il s’apprêtait à se dessaisir de son manuscrit, ainsi que des modifications ensuite opérées par des Essarts.

2. En 1864, Mallarmé a envoyé à Théodore Aubanel un manuscrit de 1862 où il a effectué de nouvelles


corrections; dès la fin de l’ année 1883, Verlaine commençait à publier, dans la revue Lutèce, la série des
Poètes maudits*: le tour de Mallarmé vint le 17 novembre avec la publication de Placet futile et Le Guignon ,
qui reposait encore sur le travail de réécriture mené en 1864.

3. Par contre, l’édition photolithographique des Poésies (mai 1887) , un programme du Théâtre d’art (19 et
20 mars 1891) et la maquette de 1894 utilisée pour l’édition Deman des Poésies (1899) donnent un texte
profondément remanié: les 27 et 28 avril 1887, Mallarmé écrit à Édouard Dujardin, maître d’œuvre de l’édition
photolithographique: «J’ai commencé à copier hier ; puis mécontent de bien des fautes dans le Guignon, me
suis interrompu un instant, pour retoucher cette pièce dans le goût d’autrefois […] je m’occupe dans ce
moment même du Guignon, qui sera pas mal retapé, je crois, et digne d’ouvrir notre publication».
Il s’exprime de façon analogue dans une livraison postérieure de la revue Art et Critique (24 août 1889) qui
reprend la version de 1887 : « voici un poème paru dans les Poètes maudits si différent de ce que je l’ai refait,
depuis, presque mot après mot, vraiment qu’il ne peut pas laisser incurieux le lecteur instruit au texte
premier ».

Mallarmé accompagna l’invio della poesia con una lettera in cui annuncia all’editore che ha scritto di nuovo il
testo parole per parole, ma allo stesso tempo dà valore anche le altre versioni: è un’operazione straordinaria
perché legittima l’esistenza di altri testi che valgono quanto l’ultimo pubblicato, dà valore alla genesi della sua
opera, allo sviluppo della sua opera, della creazione poetica nel suo trasformarsi. Dunque la prima versione
avrebbe pari dignità alle altre.
Jules Lemaître,che scrisse molte critiche, recensioni e saggi su autori a lui contemporanei. riconobbe infatti
nella prima versione un vero e proprio capolavoro.
Mallarmé dunque riconosce l’importanza di uno studio genetico del testo: ciò che conta non è l’esito finale, ma
tutte le tappe della creazione poetica → sono dei sentieri che si biforcano, tutte le biforcazioni possibili di
un’opera.
Les Poètes maudits*

Les Poètes maudits è un’opera di Verlaine, pubblicata per la prima volta nel 1884 e poi in
edizione ampliata nel 1888, in cui il poeta rende omaggio al
“decadente” Parnaso francese che segnò la fine del Secondo Impero e l'inizio della Terza
Repubblica .
In particolare Verlaine raccoglie alcune delle migliori opere dei cosiddetti « poeti
maledetti », ovvero Tristan Corbière, Arthur Rimbaud et Stéphane Mallarmé.

In questa raccolta c’è un avertissement nel quale fa


riferimento al quadro di Manet (con cui Mallarmé aveva
un rapporto molto stretto) che ci ha dato il ritratto di
Mallarmé: è un ritratto di un uomo colto nella sua
semplicità, con un sigaro in mano, nell’atto di
partecipare a un incontro, con una mano in tasca e il
volto di un uomo in ascolto. Ma scrive “ici dans le
recueil le poète est apothéosé, immortalisé”.

Finita la parte dedicata a Corbière abbiamo la parte dedicata a Rimbaud che inizia con il
suo ritratto:qui ci mostra un Rimbaud ancora poco conosciuto.
Ci mostra le poesie attraverso le quali Verlaine vuole che il pubblico conosca Rimbaud:
Voyelles, Le bateau ivre..

Dopodiché ritorna il ritratto di Mallarmé: riproduce la


posa che ritroviamo nel quadro di Manet → questa è
un’incisione di Manet: ilo poeta con in mano un sigaro
con sguardo meditativo, immerso in una riflessione o in
un dialogo con qualcuno.
Poi segue una presentazione dell’autore e poi alcune
poesie tra cui Placet e Le guignon.

Face à ces données complexes, les éditeurs scientifiques de Mallarmé ont opté pour des stratégies divergentes:
- Mondor et Jean-Aubry impriment le texte de l’édition Deman (point 3), mais reproduisent dans leurs notes la copie
envoyée à Aubanel avec les modifications de 1864 (point 2), plus quelques variantes provenant de L’Artiste et d’un
manuscrit de 1862 (point 1).
-Barbier et Millan privilégient la version manuscrite qui figure dans le Carnet de 1864 (point 2) et le texte de l’édition
photolithographique (point 3).
- Marchal donne, quant à lui, quatre versions : les vers 1-15 imprimés dans L’Artiste, suivis des vers 16 à 64, tels qu’on
peut les lire, avant les ultimes repentirs de Mallarmé, sur le manuscrit destiné à Emmanuel des Essarts (point 1) ; les
textes des Poètes maudits (point 2), de l’édition photolithographique (point 3) et de l’édition Deman (point 3).

Conformément aux objectifs du présent article, je confronterai ici les deux états intégralement publiés du poème:

• Pour « Le Guignon I », j’adopte le texte des Poètes maudits (point 2) pourvu de deux ajouts de ponctuation
qui se fondent sur l’une ou l’autre version manuscrite. L’apparat critique, qui néglige les différences
orthographiques, typographiques ou de ponctuation, reprend, de la strate 1, les variantes attestées
dans L’Artiste (vers 1-15) et dans le manuscrit des Essarts (vers 16-64) ; je tiens alors compte des dernières
corrections dues à Mallarmé, mais je ne mentionne évidemment pas les modifications apportées par
des Essarts.

• Pour « Le Guignon II », j’adopte le texte de l’édition Deman (point 3) ; l’apparat critique, qui néglige de
nouveau les différences orthographiques, typographiques ou de ponctuation, reprend les variantes de 1887 et
1891
Analyse

Le choix de la “terza rima” s’explique, on le sait, par l’influence d’une pièce de Théophile Gautier, « Ténèbres », que
Baudelaire admirait, et qu’il associait au mot guignon afin de caractériser le destin d’Edgar Poe. Mais au-delà de
Gautier et de Poe, le corpus baudelairien tout entier fonctionne, par rapport au poème de Mallarmé, à la façon d’une
matrice qui se rattache, dans un second temps, à un faisceau intertextuel et référentiel incluant, entre autres, la
trajectoire ambiguë de Pétrus Borel, le Volupté de Sainte-Beuve et la figure hugolienne de l’exilé.
Les commentateurs n’ont donc éprouvé aucune peine à débusquer, dans le « Guignon » mallarméen, une multitude de
passages qui s’inspirent de Baudelaire.

Mallarmé emprunte chez Gautier à « Ténèbres » et, chez Baudelaire, à « Bénédiction », à « Spleen (Quand le ciel
bas et lourd…) » et au « Cygne », une phraséologie doloriste dont il bouleverse immédiatement la dimension
symbolique en distinguant deux classes de « martyrs »

Sappiamo che Mallarmé inverte la sintassi: spesso il soggetto è staccato dal verso, spesso l’aggettivo è staccato dal
sostantivo

Au-dessus du bétail écœurant des humains,


Bondissaient par instants les sauvages crinières
Des mendiants d’azur damnés dans nos chemins

- le criniere selvagge dei mendicanti d’azzurro saltavano al di sopra del bestiame spaventoso degli umani persi nelle
nostre strade→ gli umani sono assimilati a un bestiame spaventoso
- mendicanti di azzurro = l’azzurro per Mallarmé è l’infinito, l’assoluto, lo spirituale, dunque sono i poeti, ma che cosa
li caratterizza? questi mendicanti hanno delle criniere selvaggie, ma per quanto siano sauvages, le loro criniere balzano
al di sopra dell’uomo ordinario

Un vent mêlé de cendre effarait leurs bannières


Où passe le divin gonflement de la mer,
Et creusait autour d’eux de sanglantes ornières.

- intorno a loro dei solchi di sangue → una sofferenza li circonda

La tête dans l’orage, ils défiaient l’enfer:


Ils voyageaient sans pain, sans bâton et sans urnes,
Mordant au citron d’or de l’Idéal amer.

- con il pensiero rivolto all’orage (attraversamento dell’esperienza poetica) sifdavano l’inferno


- viaggiavano attraversando anche la miseria: il viaggiatore non ha pane, non ha barca: viaggia e sfida l’inferno
- mordono il limone d’oro dell’ideale amaro → si nutrono di un ideale amaro: questo ideale è rappresentato da un
limone dorato, ma il limone non è un cibo che può facilitare la strada del viaggiatore “sans pain”, non ha nutrimento
terreno → un’immagine che Mallarmé prende da Ténèbres di Gautier:

La plupart ont râlé dans des ravins nocturnes,


S’enivrant du plaisir de voir couler son sang:
La mort est un baiser sur ces fronts taciturnes.

- la gran parte di questi viaggiatori hanno urlato in luoghi notturni inebriandosi nel piacere di vedere scorrere il loro
sangue
- e sulle loro fronti silenziose (silenzio e solitudine) la morte è un bacio liberatorio

S’ils pantèlent, c’est sous un ange très-puissant,


Qui rougit l’infini des éclairs de son glaive,
L’orgueil fait éclater leur cœur reconnaissant

- e se questi viaggiatori, che attraversano l’inferno senza bastone che li aiuta nell’avanzare, vanno incontro a un
fallimento, sono vinti solo da un angelo potente che con i lampi della sua spada arrossa l’orizzonte e l’orgoglio fa
esplodere il loro cuore
- la spinta verso questo punto irradianteè l’unica cosa con la quale si misurano questi viaggiatori : se sono vinti sono
vinti da un angelo molto potente (la ricerca del poeta è una sfida con un angelo) → questo è un tema tipicamente
mallarmiano della caduta, ovvero nella sfida si può cadere, in questa sfida verso questa lotta con gli angeli c’è il rischio
della caduta
Ils tètent la Douleur comme ils tétaient le Rêve,
Et quand ils vont rythmant leurs pleurs voluptueux
Le peuple s’agenouille et leur mère se lève

- questi viaggiatori sono nutriti (tètent) da un seno non benevolo, ma del dolore: sono tenuti in vita dal dolore e dal
sogno di realizzare l’opera
- e quando ritmano le loro invocazioni (il poeta è colui che nutrendosi al seno del dolore e del sogno, produce un pianto
ritmato) il popolo si inginocchia e la madre si leva in piedi → il poeta è osannato e riconosciuto dal peuple, allo stesso
modo la madre si alza in piedi riconoscendo l’onore del filgio

Ceux-là sont consolés étant majestueux,


Mais ils ont sous les pieds leurs égaux qu’on bafoue,
Dérisoires martyrs d’un hazard tortueux.

- la poesia introduce un momento drammatico


- questi appena menzionati sono i poeti riconosciuti come maestosi di fronte ai quali il popolo si inginocchia, ma ai loro
piedi ci sono i fratelli derisi, ovvero altri poeti che sono stati derisi (qu’on bafoue) dalla folla, dai membri della
comunità, e sono anche dei martiri ridicoli: sono resi martiri dal caso della vita, il caso ha portato alcuni alla maestà,
altri vittima di un tortuoso destino

Des pleurs aussi salés rongent leur pâle joue,


Ils mangent de la cendre avec le même amour,
Mais vulgaire ou burlesque est le Sort qui les roue.

- dei pianti salati che rodono la loro pallida guancia: sono lacrime salate → l’azione del sale scava la loro guancia
pallida
- mangiano con amore la cenere
- ma volgare e burlesco è il destino che li perseguita, che li picchia

Ils pouvaient faire aussi sonner comme un tambour


La servile pitié des races à l’œil terne,
Frères de Prométhée à qui manque un vautour!

- Prometeo è colui che ruba il fuoco agli dei per darlo agli uomini: il poeta è pari a Prometeo che decide di dare il fuoco
della conoscenza che illumina gli uomini

Non: vieux, et jalousant les déserts sans citerne,


Ils marchent sous le fouet d’un Squelette rageur,
Le Guignon, dont le rire édenté les prosterne.

- questi viaggiatori vecchi non interropono la loro marcia, e frequantono deserti senza cisterne (non possono soddisfare
la loro sete)
- e camminano sotto la frusta, sotto lo scheletro rabbioso che sogghigna → questo scheletro è la scalogna il cui riso
sdentato li piega

S’ils fuient, il grimpe en croupe et se fait voyageur,


Puis, le torrent franchi, les plonge en une mare
Et fait un fou crotté d’un sublime nageur.

Grâce à lui, si l’un chante en son buccin bizarre,


Des enfants nous tordront dans un rire obstiné,
Qui, soufflant dans leurs mains, singeront sa fanfare

Et ce Squelette nain, coiffé d’un feutre à plume


Et botté, dont l’aisselle a pour poils de longs vers,
Est pour eux l’infini de l’humaine amertume.

Et si, rossés, ils ont provoqué le pervers,


Leur rapière en grinçant suit le rayon de lune
Qui neige en sa carcasse et qui passe à travers.

Harcelés, sans l’orgueil d’une austère infortune,


Dédaigneux de venger leurs os de coups de bec,
Ils convoitent la haine et n’ont que la rancune.

Ils sont l’amusement des racleurs de rebec,


Des putains, des enfants, et de la vieille engeance
Des loqueteux dansant quand le broc est à sec.

Les poètes savants leur prêchent la vengeance,


Et ne voyant leur plaie et les sachant brisés
Les disent impuissants et sans intelligence.

« Ils peuvent, sans quêter quelques soupirs gueusés,


Comme un buffle se cabre aspirant la tempête
Savourer âprement leurs maux éternisés!

« Nous enivrons d’encens les forts qui tiennent tête


Aux fauves séraphins du Mal! Ces baladins
Ne sont pas même ceux que la charité fête! »

Quand chacun a sur eux vomi tous ses dédains,


Nus, assoiffés de grand et priant le tonnerre,
Ces Hamlet abreuvés de malaises badins

Vont ridiculement se pendre au réverbère .

- Vengono raccontati tutti i doloro del viaggiatore, tutte le cattivere che si riversano su di lui, e quando qualcuno ha
sputato su di lui tutti i suoi rimproveri, nudi ma assetati di grandi cose, e invocando la tempesta (“tonnerre”→ è la
tempesta di Salut che richiede il lavoro artistico), ecco che il poeta maledetto è assimilato a un amleto a cui sono stati
rivolti tutti i lazzi, gli scherzi degli sciocchi
- quando la turba, la folla, ha rovesciato tutte la sua stupidità su questi amleti loro vanno
ridicolamente a impiccarsi a un lampione: i poeti continuano a invocare il mare in tempesta
dell’attraversamento artistico e in modo quasi ridicolo possono concludere la loro esperienza
andando ad impiccarsi → modernità del flâneur blauderiano attraverso l’immagine del réverbère:
si impiccano a un semplice arredo urbano, a un lampione: la loro luce è sostituita da una volgare
luce da metropoli.
Dunque questi cercatori di luce (di azzurro) finiscono appesi a un lampione → qui ci ricordiamo un
celebre poeta che deriso si impicca alle sbarre di una bottega, Gérard de Nerval → immagine della
distanza che separa il poeta dalla bottega, dal valore che hanno le cose materiali, dal commercio
- il verso isolato sul piano formale si stacca dalle terzine, sul piano del contenuto mima l’isolamento del poeta,

- “Ces Hamlet abreuvés de malaises badins” → dans le recueil Poésies de 1887 ce vers est modifié en :

Ces héros excédé de malaises badins

Nous pouvons présumer que Mallarmé a remaniée les poème exprès pour l’édition photolithographique des Poésies en
1887.

Intertexte

1. Il titolo rimanda a Baudelaire: Le Guignon (1851) dans Les Felura du Mal


2. La costruzione e il tema rimandano a Théophile Gautier : Ténèbres dans La comédie et la mort (1838)

Collegamento con Le Guignon (1851) de Baudelaire:


- Le Guignon di Baudelaire è l’undicesima poesia della sezione Spleen et Idéal della raccolta Les Fleurs du Mal: ci
parla di poeti che sono lontani da avere delle sepolture celebri (in Mallarmé invece i poeti sono maestosi) → il tema
della solitudine del poeta in Mallarmé si conclude e con la morte

Collegamento con Ténèbres di Gautier:


- l’idea di nutrirsi alla mammella del dolore
- immagine del raggio del sole
- “unire felicemente il sogno e l’azione” → la creazione è la realizzazione del sogno

Sono tutte esperienze di scrittura che si intrecciano l’una con l’altra: la poesia per Mallarmé è questo.
Con Le Guignon Mallarmé fa ingresso nella scena poetica in doppia veste:
- come il continuatore di Baudelaire e Gautier
- come un innovatore perché fa un’operazione di tipo editoriale importante: abbiamo detto che pubblica la poesia in
forma incompleta (solo 5 strofe) nel 1862, dopodiché il testo cresce nel 1889 (nella rivista Art et Critique) → Mallarmé
accompagna l’invio della poesia con una lettera in cui annuncia all’editore che ha scritto di nuovo il testo parole per
parole, ma allo stesso tempo dà valore anche le altre versioni: è un’operazione straordinaria perché legittima l’esistenza
di altri testi che valgono quanto l’ultimo pubblicato, dà valore alla genesi della sua opera, allo sviluppo della sua opera,
della creazione poetica nel suo trasformarsi. Dunque la prima versione avrebbe pari dignità alle altre.
Mallarmé dunque riconosce l’importanza di uno studio genetico del testo: ciò che conta non è l’esito finale, ma tutte le
tappe della creazione poetica → sono dei sentieri che si biforcano, tutte le biforcazioni possibili di un’opera.
Martedì 29 marzo 2022
LE PITRE CHÂTIÉ

- le “pitre” è un pagliaccio, un saltimbanque (figura del teatro popolare)


- “châtié” = castigato, punito

Le pitre châtié est un texte très complexe → anecdote: un lecteur de la poésie fit appel à l’éditeur de la revue sur
laquelle le poème apparut pour lui reprocher d’avoir publié quelque chose d’obscur et impénétrable. Il s’agissait d’un
type de public habitué à considérer la lecture comme une évasion, ou comme une lecture pédagogique.
Dans cette époque, caractérisée par la banalité (c’est l’époque des plaisirs immédiats, de la production, de la
consommation) Mallarmé ne veut pas jouer le jeu (=non sta al gioco), par conséquent, il demande à son lecteur un acte
de courage pour rompre cet terrible habitude à la facilité, à ce qui est facile, et il nous propose une ouvre difficile, à
travers laquelle le lecteur entre dans la dimension du beau, du spirituel ,pour s’élever, pour être ‘‘autre’’ contre ce
monde de bestialité.

Introduction
Le travail que nous faisons est un travail critique, c’est à dire de considération des phénomènes littéraires, donc il faut
voir comment l’ouvres s’est échafaudée (=sviluppata), comment elle s’est fabriquée, au fils des années.
Aujourd’hui nous allons tenter de reparcourir l’histoire du texte :
• la première version de la poésie date de 1864, mais elle ne fut jamais publiée par Mallarmé
• la deuxième version, très révisée, date de 1887 et paraît dans l’édition photolithographique Poésies
• en 1929, Edmond Bonniot, le gendre de Mallarmé, publie un article dans La Revue de France dans lequel il
révèle une version de la poésie bien antérieure à celle qui est parue dans l’édition photolithographique de 1887,
et qu’il avait trouvé dans les papiers du poète

LE PITRE CHÂTIÉ (1887) – Mallarmé

Yeux, lacs, avec ma simple ivresse de renaître


Autre que l’histrion qui du geste évoquais
Comme plume la suie ignoble des quinquets,
J’ai troué dans le mur de toile une fenêtre.

De ma jambe et de bras limpide nageur traître,


A bonds multipliés, reniant le mauvais
Hamlet! c’est comme si dans l’onde j’innovais
Mille sépulcres pour y vierge disparaître.

Hilare or de cymbale à des poings irrité,


Tout à coup le soleil frappe la nudité
Qui pure s’exhala de ma fraîcheur de nacre,

Rance nuit de la peau quand sur moi vous passiez,


Ne sachant pas, ingrat! que c’était tout mon sacre,
Ce fard noyé dans l’eau perfide des glaciers

Analyse

Yeux, lacs, avec ma simple ivresse de renaître


Autre que l’histrion qui du geste évoquais
Comme plume la suie ignoble des quinquets,
J’ai troué dans le mur de toile une fenêtre.

- le poème commence par un substantif pluriel “yeux”: nous n’avons pas d’article ni d’adjectif
- après “yeux” l’ordre syntaxique s’interrompe et reprend après la virgule
- puis, comme une apposition, on a “lacs”
- une ivresse de renaître autre, d’avoir une vie autre, une autre apparence de celle de l’histrion
- l’histrion désigne, dans le domaine du théâtre de l'antiquité romaine, un acteur comique, un comédien qui jouait des
farce grossières, très emphatique et exhibitionniste; plus en général, un individu qui s'expose aux regards, qui se
donne en spectacle, mais avec un sens de mépris
- du geste évoquais = évoquais à l’aide d’une geste, comme un mime
- il soggetto vuole diventare ‘‘altro’’ da quella roba diffiicle che gli impedisce quasi di vivere, cerca une ‘‘ivresse’’
semplice, una strada semplice per rinascere, e vuole rinascere diverso dall’istrione che col gesto solo evocava
- le sujet d’ “évoquais” est “je”
- “comme plume” → parallélisme
- suie = fuliggine
- quinquets = “lampe à huile”, mais aussi “yeux”
- j’ai troué = ho bucato
- donc il y a un sujet qui dit “j’évoquais” et “j’ai troué” (deux actions)
- le mur est comme une toile et il y a fait un troue, comme pour chercher une évasion (“fenêtre”)
- yeux et lacs→ superposition, analogie: les lacs sont une surface de miroir, et les yeux se sont transformés en lacs par
l’ivresse

De ma jambe et de bras limpide nageur traître,


A bonds multipliés, reniant le mauvais
Hamlet! c’est comme si dans l’onde j’innovais
Mille sépulcres pour y vierge disparaître.

- le sujet est toujours “je” (avec ma jambes et mes bras)


- à bonds multipliés = a salti, avec énergie
- nageur traître = nuotatore traditore → celui qui est pris par l’ivresse de renaître est un nageur traître; il ha trahi
quelque chose
- Hamlet → pesonaggio di Shakespeare che è un creatore; Hamlet è una delle figure più importanti di Mallarmé
- le sujet est un nageur : c’est comme si comme si dans l’onde il pouvait redonner vie à les choses mortes (“sépulcres”),
pour y disparaître vierge, mais où? Toujours dans l’onde

Hilare or de cymbale à des poings irrité,


Tout à coup le soleil frappe la nudité
Qui pure s’exhala de ma fraîcheur de nacre,

- “or” → synecdoque: la matière pour la chose (le cymbale)


- ‘‘hilare or de cymbale à des poings irrités’’ → i cimbali si suonano toccandoli e producono un suono allegro
- “or” → la parola si trova tra “hilare” e “cymbale” dunque questo oro è sia il suono, sia lo strumento che produce il suono
- “tout à coup” → ecco l’elemento dello stile narrativo: il sole colpisce come un dardo il suo corpo nudo perché si è
spogliato di tutto ed è entrato in questa onda per rinascere; il sole è simbolo della luce della conoscenza che porta alla
presa di coscienza, perché il corpo nella sua nudità (non ha più quegli orpelli con cui era “altro”) si scopre di aver
compiuto un gesto illusorio, perché non sapeva che tutta la sua sacralità stava proprio in tutti quegli artifici (fard e
crasse)
- d’une côté il y a la sonorité de l’instrument (cymbale), et puis, par analogie on passe à une autre image circulaire, le
soleil
- le sujet parle de “ma fraîcheur de nacre” → de cette nage un corps nouveau, fraîche comme la nacre, naît (il y a une
nouvelle naissance)
- nacre = la nudità è sorta da quella freschezza della madreperla (da cui si ricavano oggetti preziosi)
- le cœur a la fraîcheur de la nacre car le cœur est immergé dans la nudité du corps → analogie entre le cœur, la nudité
et la coquille

Rance nuit de la peau quand sur moi vous passiez,


Ne sachant pas, ingrat! que c’était tout mon sacre,
Ce fard noyé dans l’eau perfide des glaciers
Ma poi arriva il mea culpa finale:
- “quand sur moi vous passiez” → qui passe? les yeux passent sur les sujet ingrat
- “ingrat” → vocatif qui se réfère au sujet
- l’image de la fraîcheur est renversée
- sacre = la sacralité de l’art
- fard = ce sont les instrument qui servent à transformer un visage, c’est l’artifice de l’art, qui a été noyé dans l’eau
perfide des glaciers: non è un’acqua purificante, ma è un’acqua perfida che lascia dissolvere gli artifici su cui riposa
l’arte → cercando starde illuiore che allontanano dal lavoro arduo lui ha perso le sue doti, la sua arte, i suoi strumenti

Conclusione: nella speranza di rinascere come un uomo comune, un uomo normale per poter avere quegli occhi ,
l’istrione ha compiuto questa azione di sfondamento della tela: quasi rinnegando il potere salvifico della parola poetica,
sceglie di rompere la tela per immergersi nel mondo dei piaceri terreni, ma gli occhi per cui ha compiuto questo gesto
sono come dei laghi, e i laghi hanno una superficie specchiante dunque specchiano la coscienza del poeta, il quale vi
riflette sé stesso.

IL PAGLIACCIO PUNITO

Occhi, laghi e l’ingenua mia ebbrezza di rinascere


diverso dall’istrione che col gesto evocava
come piuma l’ignobile fuliggine dei lumi,
ho sfondato nel muro di tela una finestra.

Con gambe e braccia limpido nuotatore fellone,


a guizzi ripetuti, rinnegando il penoso
Amleto! è come se nell’onda io rinnovassi
mille sepolcri per vergine scomparirvi.

Oro ilare di cembalo con i pugni percosso,


colpisce il sole a un tratto la nudità che pura
si è rivelata dalla mia freschezza di perla,

rancida notte della pelle allorché passavate


su me, ignorando, ingrato! ch’unico crisma il belletto
m’era, sciolto nell’acqua perfida dei ghiacciai.

Di che cosa sta parlando il poeta in questa poesia? Chi è il pagliaccio? E perché è castigato? Il pagliaccio è colui che
compie un’azione teatrale, è dunque travestito.

Notiamo fin da subito che qui Mallarmé è distante dalla poesia di Baudelaire: la sintassi è ridotta ed è costruita
sull’ellisse (eliminazioni di elementi di connessione), infatti abbiamo un “yeux” che apre la poesia, ma dobbiamo
percorrere tutto il testo per collegare il sostantivo al verbo “sur moi vous passiez”→ dentro questa frase dilata c’è tutta
la storia del soggetto narrato.
Il soggetto è un pitre, un soggetto che cerca di rinascere diverso da quello che è, cerca di farsi un’altra identità, è
animato dall’ebbrezza di vestire altri panni, deve nascere diverso da quell’istrione: l’istrione è ancora una volta colui
che appare una cosa ma ne è un’altra, e cosa ha fatto questo istrione? Ha bucato il muro di tela e ne ha fatto una
finestra, dunque ha cercato una via d’uscita (c’è un’altra poesia intitolata Fenêtres e anche lì c’è il bisogno di andare
oltre la finestra) che si è rivelata pericolosa: la finestra è un quadro trasparente, ma quella trasparenza è un inganno →
attraverso la finestra possiamo vedere lo spazio esterno che corrisponde al desiderio di andare aldilà, di evadere, di
cancellare la divisione tra interno ed esterno, perché attratti dall’illusione che si possa davvero attraversare quella
trasparenza, ma quello spazio resta comunque esterno, distante.
La finestra nella rappresentazione artistica è un tòpos letterario molto importante: ad esempio Flaubert presenta
Madame Bovary sempre davanti a una finestra.

Il soggetto è riuscito a trasformare il muro in tela e poi a bucarlo per farci una finestra; con tutta la forza che aveva (con
gambe e braccia) ha compiuto questo gesto e tramite questo attraversamento si è trasformato: il soggetto è diventato un
nageur, ma nel fare ciò ha tradito qualcosa, cosa? Il personaggio di Amleto è chiamato in causa perché è colui che si
mette in scema, che si traveste, ma il soggetto parlante ha rinnegato il malvagio Amleto, ha rinnegato quell’esempio.
Parte si lascia andare a questa forza nella nage, come se nell’onda di questa nuotata rinnovasse mille forme ormai
morte, e in questa onda, dove cerca innovare delle forme, in questo lavoro di innovazione, scompare, rinnegando la sua
verginità.
Poi improvvisamente la scena cambia: il corpo è rimasto nudo nella nuotata, è una nudità che viene fuori dalla
freschezza del suo corpo che è la freschezza della madreperla (la madreperla è fredda, e soprattutto sta nelle profondità
dunque è preziosa).

La terzina dopo parla di una notte in cui invece questa pelle fresca diventa rancida, amara. Perché? “Quando voi occhi
passavate sul mio corpo, io prima di quella fuga/nuotata, non sapevo, che ingrato, che quel fard che mi ero dato, ovvero
quelle regole del bello che mi ero dato, invece si è disciolto nell’acqua perfida dei ghiacciai” → questo tentativo di
fuggire è un tentativo che porta a un’esperienza negativa: il poeta che ha tentato questa fuga non sapeva che la strada
della facilità era stata contrastata dalla ricerca della difficoltà e in quel fard c’era tutta la sua sacralità di fare la poesie,
ma il fard l’ha disperso nell’acqua fredda dei ghiacciai
Ancora una volta si parla dell’esperienza poetica.

 Un poète belge, Émile Verhaeren, en 1887, dans la revue L’Art moderne publie un article dans lequel il défend
Mallarmé qui a était accusé d’être un poète obscure :

Son verbe exprime plus que n’importe quoi et exprime totalement: couleur, son, goût. Et sa prodigieuse
variété et habileté de jeu! ici, les alexandrins plaqués en accords, solides comme des piédestaux, rangés
comme des colonnes, souvent hauts et sveltes comme des tours, souvent dormants et illuminés comme
des lacs et des miroirs, souvent sculptés comme des meubles et plaqués de laques et d’émaux; là, les
huitains légers comme plume, bruits de robe qui traîne, d’éventail qui s’ouvre, de lueur qui chante, de
perle qui tombe, de viole qui s’apaise de sa dernière note donnée. Le doigté de Mallarmé est prodigieux
de souplesse, d’effleurement et de force. O Wagner!

Il affirme que les poèmes de Mallarmé sont des temple et ses alexandrins des piédestaux disposés comme des colonnes
(il nous donne une image verticale de la poésie de Mallarmé).
Ces alexandrins sont souvent sculptés comme des meubles ‘‘plaqués de laques et d’émaux’’, c’est à dire couverts de
lacs et d’émaux → la lacca si mette sul legno per impreziosirlo ancora di più (l’uso delle lacche inizia nel’800
soprattutto grazie ai commerci con l’estremo oriente, si sviluppa ad esempio il ‘‘Japonisme’’ → passione incredibile per
l’arte del Giappone)

Dans ses poèmes, chaque vers n’a certes pas un sens entier et indépendant, et l’ensemble n’est point une
juxtaposition d’émiettements et de détails: ce qui frappe c’est le total lumineux et logique. Ses sonnets
n’éclairent pas; ils éclatent devant l’esprit; ce sont des blocs fulgurants et ciselés. Ils ont un sens rarement
direct; souvent sont-ils une rêveuse et symbolique évocation, une image grandiose faisant naître une
pensée hautaine.

Verhaeren dit que les mots ne créent pas un sens entier et indépendant dans la poésie de Mallarmé, mais ils le font
exploser: les paroles ne sont pas porteuses de sens, c’est un réseau de paroles qui construit le sens, comme un bloc qui
quelqu’un a assemblé et ciselé.

Ses mots sont solides, clairs, acceptés presque toujours, ils vivent par eux-mêmes comme les cellules du
corps et vivant individuellement, ils vivent socialement dès qu’on les rapproche en poèmes ou qu’on les
unit en strophes. Ils ont de plus une expression de vie soudaine, inattendue, luxueuse, que seuls des doigts
de prestidigitateur peuvent leur donner. Ils frissonnent d’une création électrique et secrète. Leur ton est
rare et splendide; leur son? pierres et métaux et lumière mêlés. D’où une poétique sereine, forte,
audacieuse, étrange parfois, pénétrante toujours. Non pas mélodique, mais harmonique, large, faite pour
dire l’universelle beauté et grandeur.
Il nous dit que les mots chez Mallarmé sont comme des cellules d’un corps qui vivent de manière indépendante , mais
qui font partie d’un ensemble de ton et de sons audaces, pénétrants, pour construire une harmonie → Verhaeren est un
poète qui comprend le travail de Mallarmé et qui essaie de l’explique aux lecteurs modernes qui ne comprennent rien.
“il faut épater le bourgeois” = on veut réveiller le consommateur bourgeois qui demande une vie simple ; le bourgeois
qu’il faut secoué est le pauvre Charles Bovary qui ne vaut rien (le bourgeois est celui qui se contente des petits plaisirs,
des certitudes de la vie)
Don avec ce poème Mallarmé dit que l’art est pour des esprits raffinés: c’est le raffinement mentale,c’est la beauté de
l’esprit, la finesse de l’esprit → son objectif est d’amener le plus grand nombre de personnes possible à éduque l’esprit
(Valéry parle de “gymnastique de l’esprit”) parce que la foule se laisse manipuler, se contente des désirs qui sont les
plus banales possible.

Martedì 5 aprile 2022

La prima versione della poesia viene scritta nel 1864 a Turnon, in un momento buio della vita di Mallarmé. Questa
versione rimane inedita fino al 1929 quando Edmond Bonniot, genero di Mallarmé, la pubblica ne La Revue de
France: avant de mourir Mallarmé avait dit à sa femme et à sa fille qu’il souhaitaient que ces papier (ce que l’auteur
était en train d’écrire, les résultats d’un travail immense, auquel il a consacré beaucoup de temps) soient brûlés.
À la mort de Mallarmé, Bonniot voit ces papiers et décide de ne pas les brûler, et il les publie ( Mallarmé ha pubblicato
poco nella sua vita: ha pubblicato l’édition photolithographique)

Questa prima versione del 64 si trova in Œuvres complètes de Mallarmé, dans la collection Pléaide:
- la prima edizione (1945) è quella che è stata curata da Henri Mondor, un grande appassionato di letteratura che
collezionò molti scritti di Mallarmée, e Jean Aubry (1 solo volume)
- la seconda edizione (1998) è stata curata da Bertrand Marchal che ha aggiunto moltissimi materiale che permette ad un
lettore di leggere i testi in ordine cronologico (2 volumi)

LE PITRE CHÂTIÉ (1864) – Mallarmé

Pour ses yeux, - pour nager dans ces lacs, dont les quais
Sont plantés de beaux cils qu'un matin bleu pénètre,
J'ai, Muse, - moi, ton pitre, - enjambé la fenêtre
Et fui notre baraque où fument tes quinquets.

Et d'herbes enivré, j'ai plongé comme un traître


Dans ces lacs défendus, et, quand tu m'appelais,
Baigné mes membres nus dans l'onde aux blancs galets,
Oubliant mon habit de pitre au tronc d'un hêtre.

Le soleil du matin séchait mon corps nouveau


Et je sentais fraîchir loin de ta tyrannie
La neige des glaciers, dans ma chair assainie,

Ne sachant pas, hélas ! quand s'en allait sur l'eau


Le suif de mes cheveux et le fard de ma peau,
Muse, que cette crasse était tout le génie !

Analyse

Pour ses yeux, —pour nager dans ces lacs, dont les quais
Sont plantés de beaux cils qu'un matin bleu pénètre,
J 'ai, Muse, moi, ton pitre, —enjambé la fenêtre
Et fui notre barraque où fument tes quinquets.

Da questa prima strofa il senso è più chiaro; nella versione dell’87 abbiamo soltanto “Yeux”:
- ‘‘per i suoi occhi, per nuotare in quei laghi sui cui bordi sono piantate delle belle ciglia che un mattino blu penetra’’
→ questi occhi sono come dei laghi che hanno delle ciglia simili ad alberi piantati sui contorni; questi laghi sono blu
perché sono attraversati dalla luce blu del mattino
- ‘‘io sono il tuo pagliaccio’’→ sottolinea che rispetto a chi si sta rivolgendo (alla Musa, alla poesie), lui è un
pagliaccio, è il pagliaccio della Musa
- poi ci descrive un’azione che ha compiuto per questi occhi: il soggetto ha attraversato la finestra con una gamba ed è
fuggito dalla baracca dove fumano le candele, ovvero dalla baracca dello spettacolo, dalla baracca dell’arte dove si
gioca l’arte del pitre

Sono gli occhi di un’amata, dunque rappresentano una passione amorosa terrena: per tutto questo il soggetto ha tentato
la fuga.
Il pagliaccio è colui che è allo stesso tempo uno e un altro (in un suo testo Rimbaud dà una definizione del soggetto che
parla nel testo poetico e dira “Je est un autre”), dunque è un soggetto che è “altro”, come un attore che si mette in
scena. Ma che che gesto ha compiuto questo pagliaccio? È fuggito dalla baracca che evoca il circo dove avviene lo
spettacolo, la celebrazione.

La seconda quartina descrive dettagliatamente questa fuga :

Et d’herbes enivré, j'ai plongé comme un traître


Dans ces lacs défendus, et, quand tu m'appelais,
Baigné mes membres nus dans l'onde aux blancs galets,
Oubliant mon habit de pitre au tronc d'un hêtre.

- colto dall’ebbrezza (enivré) delle erbe, ovvero dei paradisi artificiali, come un traditore mi sono tuffato in quei laghi
probiti → questi laghi sono probiti perché sono i laghi del piacere terreno (il poeta deve sembre prendere le distanze dal
terreno), dunque significa abbandonare la difficoltà dell’arte che quasi gli impedisce di vivere, per cecrcare una strada
più semplice, per un’evasione di gioia terrena
- la Musa lo chiama, ma lui con il corpo nudo e bagnato da quella immersione si è gettato in questa onda, nell’onda dei
sassi bianchi, dimenticando il suo abito di pagliaccio al tronco di un albero, dunque si toglia l’abito di ciò che era
prima e si fa prendere dal piacere di questa immersione

Nelle terzine, come sempre accade nel sonetto, cambia il quadro:

Le soleil du matin séchait mon corps nouveau


Et je sentais fraîchir loin de ta tyrannie
La neige des glaciers dans ma chair assainie,

- ecco che compare il sole: nell’edizion dell’87 compare invece l’immagine dei cymbales
- questo sole del mattino asciuga il suo corpo nuovo, liberato dagli abiti vecchi, e sente rinfrescare, lontano dalle leggi
tiranniche della Musa, dell’arte, l’osservazione delle regole, che comporta dolore, fatica, e quasi perdita di sé
- sente frescheggiare la neve dei ghiacciai sulla sua carne tranquilla

La terzina finale rivela che cosa è questa fuga dalla tirannia dell’arte:

Ne sachant pas, hélas! quand s'en allait sur l'eau


Le suif de mes cheveux et le fard de ma peau,
Muse, que cette crasse était tout le génie!

- dopo aver goduto dell’immesione in questa alterità, dopo aver dimenticato chi era prima, il soggetto parlante arriva a
una presa di coscienza terribile: “ho fatto tutto questo non sapendo, ahimé (presa di coscienza del gesto compiuto, della
perdita) che in quell’acqua andava via tutto il grasso dei miei capelli e il fard della mia pelle’’, cioè tutta la fatica
compiuta da questo corpo
- crasse et fard → sono gli artifici con cui l’arte si realizza: il pagliaccio diventa “altro” usando dei trucchi, dunque
mettendo del grasso nei capelli, il fard sulla pelle e vestendo abiti diversi
Questo pitre che si è illuso di lasciare l’arte difficile per un’immersione in un piacere più facile e terreno, per sfuggire al
dolore e alla fatica, non si è accorto che in questa fuga ha perso tutti i suoi artifici, tutti i suoi mezzi che gli
permettevano di fare l’arte → compiendo questa fuga le pitre abbandona l’arte perché l’arte è lavoro.

Paul Valéry dirà che l’artista è una specie di artigiano che costruisce le cose, è un fabbricatore: il défend le travail
poétique comme un faire, ciselant le vers avec la précision de l'artisan → sottolinea infatt che la parola art venga da
artisan. L’artista è un artigiano la cui mano si articola con la mente (Valéry scrivera “L’elogio del chirurgo”: il chirurgo
è colui che usa la mano collegata alla mente per correggere la vita)

 Émilie Noulet, une grande spécialiste de Mallarmé aura un rôle très important aussi dans l’analyse des poèmes de
Paul Valéry: elle dit que les deux versions du Pitre châtié doivent être considérées en relation étroite parce que la
première (de 1864) facilite la compréhension de la deuxième (1887), comme si c’était une sorte de glose (=nota
esplicativa) : « la comparaison entre les versions de 1864 et de 1887 facilite l'explication du texte définitif dont le sens
devient tout clair ».

Tuttavia, non è una teoria accettabile perché i due testi sono simili nella tematica ma distanti nella scrittura e nel
significato:

LE PITRE CHÂTIÉ (1887)


LE PITRE CHÂTIÉ (1864)

Yeux, lacs, avec ma simple ivresse de renaître


Pour ses yeux, - pour nager dans ces lacs, dont les quais
Autre que l’histrion qui du geste évoquais
Sont plantés de beaux cils qu'un matin bleu pénètre,
Comme plume la suie ignoble des quinquets,
J'ai, Muse, - moi, ton pitre, - enjambé la fenêtre
J’ai troué dans le mur de toile une fenêtre.
Et fui notre baraque où fument tes quinquets.

Et d'herbes enivré, j'ai plongé comme un traître De ma jambe et de bras limpide nageur traître,
Dans ces lacs défendus, et, quand tu m'appelais, A bonds multipliés, reniant le mauvais
Baigné mes membres nus dans l'onde aux blancs galets, Hamlet! c’est comme si dans l’onde j’innovais
Oubliant mon habit de pitre au tronc d'un hêtre. Mille sépulcres pour y vierge disparaître.
Le soleil du matin séchait mon corps nouveau
Hilare or de cymbale à des poings irrité,
Et je sentais fraîchir loin de ta tyrannie
Tout à coup le soleil frappe la nudité
La neige des glaciers, dans ma chair assainie,
Qui pure s’exhala de ma fraîcheur de nacre,
Ne sachant pas, hélas ! quand s'en allait sur l'eau
Le suif de mes cheveux et le fard de ma peau, Rance nuit de la peau quand sur moi vous passiez,
Muse, que cette crasse était tout le génie ! Ne sachant pas, ingrat! que c’était tout mon sacre,
Ce fard noyé dans l’eau perfide des glaciers

- poème avec le même titre


- du point de vue thématique ressemble a celui de 1887

● Première version (1864)


Les trois "personnages" correspondent aux trois personnes grammaticales :
1. le poète parle en son nom (première personne: "je, moi, notre, ma..")
2. il s'adresse à la Muse (deuxième personne: le "Muse" vocatif ainsi, que "ton" et "tes");
3. il parle de sa bien-aimée (troisième personn: "ses yeux") : qui della figure femminile rimane solo un’ esile e
condensata sineddocche “yeux” e poi dà una definizione di questi occhi
Dans les vers 3 et 4, le poète raconte ce qu'il a fait; dans les vers 1 et 2, il explique pourquoi → le poète se présente
comme un pitre qui a abandonné sa vocation artistique pour “ses yeux”, pour les yeux de quelqu’un (d’une femme), et il
tente de chercher un corps nouveau. Donc le poète cherche une nouvelle vie pour une femme aimée, il cherche une Art
nouvelle, mais il oublie que l’Art, avec le A majuscule, est faite d’artifice, de fard (le fard est l’artifice de l’Arte), de
fatigues.
Tout est clair ici: la syntaxe est moins modelée sur l’ellipse, les images ne présentent pas de difficultés
Ce premier renvoie à Le Guignon et Le vieux Saltimbanque.

● Deuxième version (1887)


Dans le sonnet de 1887 les imagessont raréfiées:
1. les trois personnes grammaticales sont ramenées à une seule, celle de la voix du poète qui parle toujours en son nom
("ma ... évoquais ... j'ai")
2. il n'est plus question de la Muse
3. ni, semble-t-il au premier abord, de la bien-aimée → l’image de la femme aimée disparaît et survit seulement par
synecdoque (les yeux comme lacs)
Ici, le poète utilise un lexique vertigineux dans lequel il associe le substantif à des attributs et des appositions qui
colorent les paroles.
Ce poète-pitre a été tenté par l’illusion de trouver l’absolu ailleurs (questo poeta-pagliaccio è stato tentato dall’illusione
di trovare altrove l’assoluto): il a renié sa nature et maintenant il est puni/ châtié par sa conscience ; les yeux, cette
surface-miroir (superficie specchiante) comme deux lacs, reflètent sa conscience.

Nel secondo testo la sintassi è completamente scomposta: l’azione è isolata: “J’ai troué dans le mur de toile (il tendone
del circo) une fenêtre (punto di fuga)” → questa azione è compiuta con dei balzi in avanti, con delle gambate, come un
nuotatore traditore, ed ha rinnegato quel malvagio Amleto illudendosi, come se nell’onda volesse scomparire.
C’è poi il momento della presa di coscienza: il sole è simbolo della luce della conoscenza che porta alla
consapevolezza, perché il corpo nella sua nudità (non ha più quegli orpelli con cui era “altro”) si scopre di aver
compiuto un gesto illusorio, perché non sapeva che tutta la sua sacralità stava proprio in tutti quegli artifici (fard e
crasse)

LE PITRE CHÂTIÉ (1887)


LE PITRE CHÂTIÉ (1864)

Yeux, lacs, avec ma simple ivresse de renaître


Pour ses yeux, - pour nager dans ces lacs, dont les quais
Autre que l’histrion qui du geste évoquais
Sont plantés de beaux cils qu'un matin bleu pénètre,
Comme plume la suie ignoble des quinquets,
J'ai, Muse, - moi, ton pitre, - enjambé la fenêtre
J’ai troué dans le mur de toile une fenêtre.
Et fui notre baraque où fument tes quinquets.

Et d'herbes enivré, j'ai plongé comme un traître De ma jambe et de bras limpide nageur traître,
Dans ces lacs défendus, et, quand tu m'appelais, À bonds multipliés, reniant le mauvais
Baigné mes membres nus dans l'onde aux blancs galets, Hamlet! c’est comme si dans l’onde j’innovais
Oubliant mon habit de pitre au tronc d'un hêtre. Mille sépulcres pour y vierge disparaître.
Le soleil du matin séchait mon corps nouveau
Hilare or de cymbale à des poings irrité,
Et je sentais fraîchir loin de ta tyrannie
Tout à coup le soleil frappe la nudité
La neige des glaciers, dans ma chair assainie,
Qui pure s’exhala de ma fraîcheur de nacre,
Ne sachant pas, hélas ! quand s'en allait sur l'eau
Le suif de mes cheveux et le fard de ma peau, Rance nuit de la peau quand sur moi vous passiez,
Muse, que cette crasse était tout le génie ! Ne sachant pas, ingrat! que c’était tout mon sacre,
Ce fard noyé dans l’eau perfide des glaciers

Se mettiamo a confronto i due testi ci accorgiamo che nella seconda versione del primo testo rimane solo una
sineddocche: di tutta quella attrazione esercitata dalla passione, dalla fisicità scompare tutto.
Nella prima versione il termine “fenêtre” appare alla fine del terzo verso della prima quartina (“J’ai, Muse, – Moi, ton
pitre, – enjambé la fenêtre”), assicurando così una sequenza temporale logica tra il gesto di scavalcare l’apertura e la
volontà di fuga qui esplicitamente dichiarata (“Et fui”).
Nella poesia dell’87, l’idea di fuga è condensata in un unico verbo, “J’ai troué dans le mur de toile”, e “fenêtre”
sigilla la quartina stessa, ultimo sostantivo in posizione di rilievo, simmetrico rispetto al verbo “renaître” nel primo
verso: la rima lega in modo forte i due concetti, quello della rinascita e quello della liberazione attraverso una finestra
(la finestra è un elemento di separazione che ci invita ad uscire, è quella di promessa di ottenere il desiderio di andare
oltre, ma si rivela un’illusione).
Quindi la baracca scompare e diventa solo un muro di tela, la cui tela evoca appunto la baracca del circo, ma anche la
tela su cui si realizza i fare artistico, dunque anche la pagine bianca su cui si deposita la poesie.

Conserva “traître”, mentre il verbo “plonger” lo conserva attraverso “nager” → anzichè stabilire un paragaone,
Mallarmé giustappone i termini (aggettivi + sostantivo = nageur traître )
Questo nageur è limpido perché si è liberato da tutto ciò che è l’artificio.
Come ha compiuto questa fuga? Nella prima versione riesce a compiere questo gesto quasi sotto una sorta di delirio
(d'herbes enivré), nella seconda versione invece compie questo gesto a salti rinnovati, moltiplicati (à bonds
multipliés) e rinnegando quel cattivo Amleto che invece lo inchioda al lavoro faticoso (scena di Amleto che prepara la
scena → Shakespeare è importante per Mallarmè)

Dunque le due poesie hanno un significato ben diverso: è diffiicile accettare la teoria di Noulet secondo cui il testo del
64 è una glosa dell’altro dell’87: nel secondo testo abbiamo una sovrapposizione di immagini, cosa che nel primo testo
non c’è (agli occhi si sovrappongono dei laghi, e i laghi permettono di fare questa identifcazione tra gli occhi e la
superficie specchiante).

Vediamo dunque che questa poesia, ancora una volta, parla di poesia, del fare poetico → si tratta di una strada
interessante della letteratura dell’800 che si oppone al naturalismo, che illude il lettore che l’arte sia rappresentazione
della realtà: se l’arte deve dire la verità, l’unica verità che può dire è di cosa è fatta, ovvero che è fatta di artifici.
Bisogna mostrare questa finzione → dobbiamo tenere in mente che nel Simbolismo ogni parola è sempre simbolo di
qualcosa, essa è lì per mostrare non il senso ma l’esplosione del senso.

Le Rêve de Mallarmé

Toute sa vie, Mallarmé poursuit un idéal illusoire : crée un ouvre parfait. Le projet du "Grand Œuvre" domine de plus
en plus la vie du poète, au point de se transformer en véritable obsession.
Dans ses lettres intimes, il parle très franchement à ses amis de son travail. Parfois il veut partager avec eux toute la joie
que lui cause la révélation de l'idéal; parfois il analyse avec tristesse l'impuissance totale où aboutissent ses efforts.
D'après ses lettres, la vie du poète peut se diviser en quatre parties :
- premièrement, une période de travail fructueux vers l'idéal, qui se termine vers la fin de 1865 ;
- deuxièmement, la révélation brusque: au cours d'une seule année, il passe de la joie la plus exubérante à une déception
pénible ;
- troisièmement, une phase de trois ou quatre ans d'efforts intenses et désespérés : le poète découvre peu à peu
l'impossibilité de créer l'œuvre idéal, cependant il ne veut pas être vaincu; il lutte avec acharnement contre des
difficultés surhumaines, dans le désir de réaliser son projet:
- quatrièmement, la période de résignation: n'abandonnant point son rêve, Mallarmé est obligé d'admettre que le "Grand
Œuvre" reste a jamais au delà des forces de l'homme mortel.

Des indications précises au sujet du développement du rêve peuvent être relevées dans les lettres à partir de 1862, alors
que Mallarmé séjourne en Angleterre. Le poète est tout prêt à se consacrer corps et âme au dur travail de la composition
littéraire.
En France, où il est nommé en 1863 professeur d'anglais au lycée de Tournon, il annonce une "poétique très nouvelle,"
c'est-à-dire, une poésie plus complexe, plus subtile que les formes classique, romantique ou parnassienne:
J'ai enfin commencé mon Hérodiade. Avec terreur, car j'invente une langue qui doit nécessairement jaillir
d'une poétique très nouvelle, que je pourrais définir en ces deux mots: peindre, non la chose mais l 'effet
qu'elle produit. Le vers ne doit donc pas se composer de mots, mais d'intentions, et toutes les paroles
s'effacer devant la sensation.

I1 désire la perfection dans la composition de ces vers, voulant les rendre aussi complets, aussi riches que possible: d'où
la lenteur avec laquelle il écrit. Il se plaint de sa stérilité, associe déjà la souffrance physique à tout effort de création
cérébrale:

Je me suis mis sérieusement à ma tragédie d'Hérodiade.... Si encore j'avais choisi une œuvre facile; mais
justement, moi, stérile et crépusculaire, j'ai pris un sujet effrayant, dont les sensations, quand elles sont
vives sont amenées jusqu'à l'atrocité, et, si elles flottent, ont l'attitude du mystère. Et mon vers, il me fait
mal par instants, il blesse comme du fer. J'ai, du reste, trouvé une façon intime et singulière de peindre et
de noter les impressions très fugitives. Ajoute, pour plus de terreur, que toutes ces impressions se suivent
comme dans une symphonie, et que je suis souvent des journées entières à me demander si celle-ci peut
accompagner celle-là, quelle est leur parenté et leur effet.... Tu juges que je fais peu de vers en une
semaine.

À cette époque, Mallarmé n'est pas encore arrivé à l'idée d'un œuvre monumental où chaque poème fait partie de
l'ensemble. Néanmoins, il est en train d'analyser cette poésie nouvelle, de réfléchir sur les moyens nouveaux de
la présenter. Ses études le plongent dans une rêverie de plus en plus profonde, qui va l'amener, peu à peu, à une
conception très précise de l'idéal. La naissance de sa fille Geneviève, en 1864, met fin à ses méditations. L'enfant
empêche son père de travailler, et lui, privé des moments de loisir consacrés autrefois à la poésie, se laisse aller
à la mélancolie. (pag. 3)

(pag. 10)
C'est en 1885 que Mallarmé, devenu célèbre, admiré de tous les jeunes poètes de son temps, explique à Verlaine son
attitude de résignation. Il se rend compte que ce rêve a fait tarir son inspiration poétique, lui a gâché la vie. La
confession en est poignante:

Aujourd'hui maître (d' école) plus de vingt ans et malgré la perte de tant d'heures, je crois, avec tristesse, que j'ai
bien fait. C'est que, à part les morceaux de prose et les vers de ma jeunesse et la suite, qui y faisait écho, publiée
un peu partout, chaque fois que paraissaient les premiers numéros d'une Revue Littéraire, j'ai toujours rêvé et
tenté autre chose, avec une patience d'alchimiste, prêt à y sacrifier toute vanité et toute satisfaction, comme on
brûlait jadis son mobilier et les poutres de son toit pour alimenter le fourneau du Grand Œuvre. Quoi? c'est
difficile a dire: un livre tout bonnement, en maints tomes, un livre qui soit un livre, architectural et prémédité, et
non un recueil des inspirations de hasard (sic), fussent-elles merveilleuses .... J'irai plus loin, je dirai: le Livre
persuadé qu'au fond il n'y en a qu'un, tenté à son insu par quiconque a écrit, même les Génies.... Voila l'aveu de
mon vice, mis a nu, cher ami, que mille fois j'ai rejeté, l'esprit meurtri ou las, mais cela me possède et je réussirai
peut-être ; non pas à faire cet ouvrage dans son ensemble (il faudrait être je ne sais qui pour cela!) mais à en
montrer un fragment d'exécuté, à en faire scintiller par une place l'authenticité glorieuse, en indiquant le reste
tout entier auquel ne suffit pas une vie. Prouver par les portions faites que ce livre existe, et que j'ai connu ce que
je n'aurai pu accomplir.

“Quando sono diventato una persona adulta, non c’era possibilità di vivere d’arte. Avendo imparato l’inglese a 20 anni
sono partito in Inghilterra per fuggire, ma anche per parlare la lingua e insegnarla in un posticino tranquillo per
guadagnarmi da vivere. Mi ero sposato e dunque la cosa era urgente. Credo di aver fatto una giusta scelta”
Poi si presenta a Verlaine come un poeta che ha pubblicato poco nelle riviste letterarie, e dice “io ho sempre sognato e
cercato altro, con una pazienza d’alchimista pronto a sacrificare ogni vanità, ogni soddisfazione”
Mallarmé si presenta come alchimista: l’alchimista è colui che trasforma una materia in qualcos’altro, che distilla un
liquido e ne ricava l’essenza, e in quel poco dell’essenza è racchiuso l’essenziale. Quindi il poeta è una specie di mago
perché fa apparire le cose in un altro modo liberando la materia dalle parti grezze per ottenere qualcosa di prezioso.
La lettera continua: “ero pronto a sacrificare ogni vanità come un tempo si bruciavano i propri mobili e le travi del
proprio tetto per alimentare il crogiolo, ovvero il forno della Grande Opera” → l’artista ha bisogno di molta legna per
fare un’opera, ma allora chi è l’artista? Mallarmé evoca l’immagine dell’artista-scultore che non prende la materia e la
scolpisce, ma che fa un lavoro più complesso usando il crogiolo (il recipiente in cui
vengono fusi i metalli) dove si mette ad alta temperatura il bronzo, il bronzo diventa
poi il liquido.
L’artista fa prima un gesso della sua opera, poi nel gesso vengono messe delle canne,
poi dalle canne viene fatto colare il liquido a cera persa (cera persa perché la cera viene
fusa) e ne viene fuori la scultura in bronzo. Infine fa poi il polissage, ovverola
ripulitura) → Mallarmé evoca questa immagine del crogiolo, luogo in cui avviene una
fertile fusione di elementi differenti, e del lavoro che deve essere fatto con molta
pazienza, che pur di realizzarlo l’artista è pronto a sacrificare tutto, ogni vanità.
Dunque si raffigura come un artista che fa una fusione a cera persa per le statue di
bronzo: è una tecnica molto difficile e anche molto costosa sia in termini di materia sia in termini di fatica.

Mallarmé dunque è un alchimista e un artista-scultore che lavora con la fusione a cera persa.

Vediamo che il lavoro fondamentale di Mallarmé è sottoporre la parola a un lavorio, a un tentare attraverso la parola di
fare qualcosa di nuovo, di fare qualcos’altro.
8 Aprile 2022

CRISE DE VERS (1886, 1892, 1896) - Mallarmé

“Crise de vers” = crisi del verso


E’ un saggio importante scritto nel 1886, poi ripreso nel 1892 ed infine nel 1896, in cui Mallarmé enuncia la sua visione
della letteratura, della poesia e della funzione del poeta.
Questo testo è continuamente citato quant
o si tratta della poesia di Mallarmé.

Tout à l’heure, en abandon de geste, avec la lassitude que cause le mauvais temps désespérant une après
l’autre après-midi, je fis retomber, sans une curiosité mais ce lui semble avoir lu tout voici vingt ans,
l’effilé de multicolores perles qui plaque la pluie, encore, au chatoiement des brochures dans la
bibliothèque. Maint ouvrage, sous la verroterie du rideau, alignera sa propre scintillation : j’aime comme
en le ciel mûr, contre la vitre, à suivre des lueurs d’orage.
Notre phase, récente, sinon se ferme, prend arrêt ou peut-être conscience : certaine attention dégage la
créatrice et relativement sûre volonté.
Même la presse, dont l’information veut les vingt ans, s’occupe du sujet, tout à coup, à date exacte.
La littérature ici subit une exquise crise, fondamentale.
Qui accorde à cette fonction une place ou la première, reconnaît, là, le fait d’actualité : on assiste, comme
finale d’un siècle, pas ainsi que ce fut dans le dernier, à des bouleversements ; mais, hors de la place
publique, à une inquiétude du voile dans le temple avec des plis significatifs et un peu sa déchirure.

Un lecteur français, ses habitudes interrompues à la mort de Victor Hugo, ne peut que se déconcerter.
Hugo, dans sa tâche mystérieuse, rabattit toute la prose, philosophie, éloquence, histoire au vers, et,
comme il était le vers personnellement, il confisqua chez qui pense, discourt ou narre, presque le droit à
s’énoncer.

Mallarmé parte da una riflessione sulla letteratura alla fine dell’Ottocento, dunque il suo tempo: inzia con una frase
complessa e molto articolata dove dice di trovarsi inoperoso, in un momento di stanchezza, nella stagione piovosa, in un
pomeriggio in cui gli sembra di aver letto gli ultimi vent’anni della produzione letteratura in biblioteca, mentre le opere
stanno lì, allineate e scintillano: in questo momento di inoperosità si trova delle “perle” mutlicolore in mano, ovvero dei
libri.
Poi fa un bilancio di ciò che ha letto: in questo bilancio mette sotto la lente d’ingrandimento la fase storico-artistica
della sua generazione, dicendo che è giunta a conclusione, o meglio, è arrivata a un punto di presa di coscienza: dice
che persino la stampa se ne occupa.
Sostiene che la letteratura abbia attraversato una crisi. Poi passa in rassegna questa crisi.
E’ una crisi finale di un secolo: tutti i secoli giungono a conclusione di un’esperienza:
- 1500 → fine Rinascimento
- 1600 → fine dell’assolutismo ed entriamo nella cosiddetta fase dell’Illuminismo del 1700
- 1800 → romanticismo con Verismo, Naturalismo e Simbolismo: il Simbolismo è la fase in cui si situa Mallarmé: ecco
che la letteratura del suo tempo ha subito una crisi: è una sorta d’inquietudine di fine secolo, un bouleversement. E
cos’è questo bouleversement?
Il lettore francese scopre che alla morte di Victor Hugo tutto cambia: Victor Hugo rappresenta il punto massimo
dell’esperienza romantica: Hugo è il vate, la guida del popolo, il sacerdote di una società. Egli ha impoverito, ridotto,
tutta la prosa, la filosofia, l’eloquenza, la storia, le ha rimplicciolite rispetto al verso → “era lui il verso, era lui la
poesia: ha confiscato tuta la parola, tutto il linguaggio, levando il diritto di enunciare’’

Monument en ce désert, avec le silence loin ; dans une crypte, la divinité ainsi d’une majestueuse idée
inconsciente, à savoir que la forme appelée vers est simplement elle-même la littérature ; que vers il y a
sitôt que s’accentue la diction, rythme dès que style. Le vers, je crois, avec respect attendit que le géant
qui l’identifiait à sa main tenace et plus ferme toujours de forgeron, vînt à manquer ; pour, lui, se rompre.
Toute la langue, ajustée à la métrique, y recouvrant ses coupes vitales, s’évade, selon une libre disjonction
aux mille éléments simples ; et, je l’indiquerai, pas sans similitude avec la multiplicité des cris d’une
orchestration, qui reste verbale.
“Monumento in questo deserto” → se noi osserviamo la poesia del periodo di Victor Hugo ci rendiamo conto che c’è
solo lui, la poesia è un deserto.
In questo deserto domina una forma chiamata “verso”→ con questa forma con Victor Hugo si vuole chiamare l’intera
letteratura: si pretende dire che il verso c’è quando c’è dizione, ritmo: basta che ci sia accento, ritmo e stile.
Mallarmé prende le distanze, e dice ciò che pensa lui: il verso in quella esperienza è mancato, si è rotto

La variation date de là : quoique en dessous et d’avance inopinément préparée par Verlaine, si fluide,
revenu à de primitives épellations.

Questo cambiamento della poesia trova lì, in quella esperienza la sua data: con la morte di Hugo → c’è una profonda
variazione che è stata preparata da Verlaine, il quale è tornato alle primitive sonorità, ai balbuziamenti della lingua.

Témoin de cette aventure, où l’on me voulut un rôle plus efficace quoiqu’il ne convient à personne, j’y
dirigeai, au moins, mon fervent intérêt ; et il se fait temps d’en parler, préférablement à distance ainsi que
ce fut presque anonyme.

Testimone di questa avventura, io dirigevo verso questa esperienza il mio interesse, la mia attenzione

Accordez que la poésie française, en raison de la primauté dans l’enchantement donnée à la rime, pendant
l’évolution jusqu’à nous, s’atteste intermittente: elle brille un laps ; l’épuise (=si esaurisce) et attend.
Extinction, plutôt usure à montrer la trame, redites. Le besoin de poétiser, par opposition à des
circonstances variées, fait, maintenant, après un des orgiaques excès périodiques de presque un siècle
comparable à l’unique Renaissance, ou le tour s’imposant de l’ombre et du refroidissement, pas du tout !
que l’éclat diffère, continue : la retrempe, d’ordinaire cachée, s’exerce publiquement, par le recours à de
délicieux à peu près.
Je crois départager, sous un aspect triple, le traitement apporté au canon hiératique du vers; en graduant.
Cette prosodie, règles si brèves, intraitable d’autant : elle notifie tel acte de prudence, dont l’hémistiche,
et statue du moindre effort pour simuler la versification, à la manière des codes selon quoi s’abstenir de
voler est la condition par exemple de droiture. Juste ce qu’il n’importe d’apprendre; comme ne pas l’avoir
deviné par soi et d’abord, établit l’inutilité de s’y contraindre.

Les fidèles à l’alexandrin, notre hexamètre, desserrent intérieurement ce mécanisme rigide et puéril de sa
mesure ; l’oreille, affranchie d’un compteur factice, connaît une jouissance à discerner, seule, toutes les
combinaisons possibles, entre eux, de douze timbres.

Jugez le goût très moderne.

Poi invita il lettore di questo testo a condividere la sua posizione: “convenite che la poesia francese, in ragione
dell’importanza che ha dato alla rima (l’incantesimo della poesia risiede nella rima che chiude il verso), nella sua
evoluzione, brilla per un lasso di tempo, ma superata la fase del Rinascimento (il secolo importante della poesia
francese è il Cinquecento: è il secolo dell’allontanamento dai modelli italiani, dunque dell’emancipazione dal modello
di Petrarca) la poesia francese si ancora (verbo ancorare) a delle regole, tra cui l’emistichio → il verso per eccellenza
della poesia francese diventa l’alessandrino composto da 12 sillabe diviso in 2 emistichi ciascuno di 6 sillabe (il verso
ha una costruzione quasi da tempio)
Con Baudelaire avremmo l’enjambement: la fine del verso non segna la fine del senso, ma continua nel verso
successivo e si ha un movimento ondeggiante del verso.

Un cas, aucunement le moins curieux, intermédiaire ; — que le suivant.

Le poëte d’un tact aigu qui considère cet alexandrin toujours comme le joyau définitif, mais à ne sortir,
épée, fleur, que peu et selon quelque motif prémédité, y touche comme pudiquement ou se joue à l’entour,
il en octroie de voisins accords, avant de le donner superbe et nu : laissant son doigté défaillir contre la
onzième syllabe ou se propager jusqu’à une treizième maintes fois. M Henri de Régnier excelle à ces
accompagnements, de son invention, je sais, discrète et fière comme le génie qu’il instaura et révélatrice
du trouble transitoire chez les exécutants devant l’instrument héréditaire. Autre chose ou simplement le
contraire, se décèle une mutinerie, exprès, en la vacance du vieux moule fatigué, quand Jules Laforgue,
pour le début, nous initia au charme certain du vers faux.
Mallarmé comincia a presentare i vari tentativi dell’epoca post-Hugo → cita alcuni dei poeti che hanno segnato questa
fase: Henri de Régnier, Jules Laforgue il quale introduce il “vers faux” ovvero il verso libero.

Jusqu’à présent, ou dans l’un et l’autre des modèles précités, rien, que réserve et abandon, à cause de la
lassitude par abus de la cadence nationale ; dont l’emploi, ainsi que celui du drapeau, doit demeurer
exceptionnel. Avec cette particularité toutefois amusante que des infractions volontaires ou de savantes
dissonances en appellent à notre délicatesse, au lieu que se fût, il y a quinze ans à peine, le pédant, que
nous demeurions, exaspéré, comme devant quelque sacrilège ignare ! Je dirai que la réminiscence du vers
strict hante ces jeux à côté et leur confère un profit.

Toute la nouveauté s’installe, relativement au vers libre, pas tel que le XVIIe siècle l’attribua à la fable ou
l’opéra (ce n’était qu’un agencement, sans la strophe, de mètres divers notoires) mais, nommons-le,
comme il sied, « polymorphe » : et envisageons la dissolution maintenant du nombre officiel, en ce qu’ on
veut, à l’infini, pourvu qu’un plaisir s’y réitère. Tantôt une euphonie fragmentée selon l’assentiment du
lecteur intuitif, avec une ingénue et précieuse justesse — naguère M. Moréas ; ou bien un geste, alangui,
de songerie, sursautant, de passion, qui scande — M. Vielé-Griffin ; préalablement M. Kahn avec une très
savante notation de la valeur tonale des mots. Je ne donne de noms, il en est d’autres typiques, ceux de
MM. Charles Morice, Verhaeren, Dujardin, Mockel et tous, que comme preuve à mes dires ; afin qu’on se
reporte aux publications.

Cita tutto quel mondo di poeti che si raccolgono intorno a lui: Dujardin è l’autore di un famoso saggio intitolato Le
monologue intérieur → è il primo a teorizzare il monologo interiore che avrà una grande risonanza nella letteratura
inglese.

Le remarquable est que, pour la première fois, au cours de l’histoire littéraire d’aucun peuple,
concurremment aux grandes orgues générales et séculaires, où s’exalte, d’après un latent clavier,
l’orthodoxie, quiconque avec son jeu et son ouïe individuels se peut composer un instrument, dès qu’il
souffle, le frôle ou frappe avec science ; en user à part et le dédier aussi à la Langue.

Come si presenta nel corso di questa esperienza simbolista il poeta? Per la prima volta nel corso della storia letteraria
chiunque può inventare le proprie regole poetiche: può creare la sua parola poetica e il suo orecchio personale
(attenzione alla sonorità), e con questo gioco poetico (il gioco della parola poetica e dell’orecchio) può comporsi il
proprio strumento: non delle regole fisse e fredde da rispettare, non uno stampo nel quale calare la materia linguistica,
ma uno strumento fatto di parole e di suoni che il poeta soffia, batte o sfiora applicando la sua Arte (“science”).
Bisogna usare a parte questo strumento e dedicarlo alla Lingua per farne qalcosa di diverso da ciò che di solito si fa con
la parola → creare bellezza con la lingua.

Une haute liberté d’acquise, la plus neuve : je ne vois, et ce reste mon intense opinion, effacement de rien
qui ait été beau dans le passé, je demeure convaincu que dans les occasions amples on obéira toujours à la
tradition solennelle, dont la prépondérance relève du génie classique : seulement, quand n’y aura pas lieu,
à cause d’une sentimentale bouffée ou pour un récit, de déranger les échos vénérables, on regardera à le
faire. Toute âme est une mélodie, qu’il s’agit de renouer ; et pour cela, sont la flûte ou la viole de chacun.

Una grandissima libertà acquisita: mai il poeta ha raggiunto una tale libertà; con questo non voglio cancellare il bello
che c’è stato nel passato → Mallarmé si presenta come un rivoluzionario che non vuole cancellare la tradizione, porta
rispetto a ciò che è stato fatto, ma ora è necessario “faire autre” → il linguaggio presente non ha più la forza, il
vigore necessario per raccontare il presente, occorre un linguaggio nuovo.
La crisi di cui parla Mallarmé non è solo la crisi della letteratura, è la crisi di tutta un’epoca, è la crisi di una società che
scopre le sue fragilità, è una crisi dell’Arte in generale, è la filosofia della filosofia (è necessario un nuovo modo di
pensare → il modello idealista entra crisi, il mondo appare diverso e occorrono nuovi strumenti per indagarlo), la
scienza stessa entra in crisi (cerca nuovi modelli per spiegarsi le cose del mondo)

Selon moi jaillit tard une condition vraie ou la possibilité, de s’exprimer non seulement, mais de se
moduler, à son gré.
Ecco la sua posizione: secondo me fiorisce /viene fuori tardi una condizione vera o una possibilità vera non solo di
esprimersi, ma di modulare se stessi a proprio piacimento → nasce la possibilità di esprimersi come soggetti che
percepiscono un mondo.

Les langues imparfaites en cela que plusieurs, manque la suprême : penser étant écrire sans accessoires, ni
chuchotement mais tacite encore l’immortelle parole, la diversité, sur terre, des idiomes empêche
personne de proférer les mots qui, sinon se trouveraient, par une frappe unique, elle-même matériellement
la vérité. Cette prohibition sévit expresse, dans la nature (on s’y bute avec un sourire) que ne vaille de
raison pour se considérer Dieu ; mais, sur l’heure, tourné à de l’esthétique, mon sens regrette que le
discours défaille à exprimer les objets par des touches y répondant en coloris ou en allure, lesquelles
existent dans l’instrument de la voix, parmi les langages et quelquefois chez un. À côté d’ombre, opaque,
ténèbres se fonce peu ; quelle déception, devant la perversité conférant à jour comme à nuit,
contradictoirement, des timbres obscur ici, là clair. Le souhait d’un terme de splendeur brillant, ou qu’il
s’éteigne, inverse; quant à des alternatives lumineuses simples — Seulement, sachons n’existerait pas le
vers : lui, philosophiquement rémunère le défaut des langues, complément supérieur.

Passo importante in cui Mallarmé elabora il concetto di insufficienza del linguaggio, su cui ridisiede la rivoluzione da
lui operata: le lingue come possibilità di dire tutto si rivelano imperfette, il linguaggio si rivela imperfetto: si scopre che
quella fiducia che l’uomo ha riposto nel linguaggio, nella ragione, sono insufficienti, non bastano per spiegare il mondo.
Tra le possibilità che il linguaggio ha di raccontare il mondo manca la possibilità suprema, ovvero la poesia: pensare è
scrivere, senza accessori né rumori, è la parola che ancora non esiste, non ancora detta: il pensiero è privo di accessori,
non si è ancora legato a un linguaggio, a una forma, a parole o a suoni, è un pensiero puro, è la parola ancora taciuta,
non detta.
La molteplicità di idiomi dimostra che quando noi diciamo una parola, la parola non è in un solo colpo capace di
coincidere con la verità delle cose, se questo accadesse le parole coincidirebbero materialmente con la verità.

Insufficienza del linguaggio → prendiamo la sequenza di parole “ombre, opaque, ténèbres” che usiamo per indicare il
buio: se ascoltiamo il loro sono la parola “ténèbres” si oscura poco in confronto, mentre”ombre” e “opaque” sono suoni
oscuri. Che delusione davanti alla perversità del linguaggio che conferisce contradditoriamente dei timbri oscuri a
“jour” e dei timbri chiari a “nuit” :“nuit” è un suono aperto, mentre “ jour” è un suono chiuso e lugubre → che strano
questo linguaggio ordinario che per indicare qualcosa di chiaro usa dei toni oscuri e dà invece a una cosa oscura dei
toni chiari.
Il sogno di avere una parola che brilli di splendore oppure che si spenga non ce l’abbiamo nel linguaggio perché è
povero. Se il linguaggio potesse fare questo, ovvero darci una parola di splendore brillante, darci delle semplici
immediate parole che indicano l’illuminazione, sappiate che non esisterebbe il verso (= la poesia con tutte le sue
regole)→ il verso esiste proprio per dare luce alla notte, e colorare d’oscuro il giorno; lui, il verso , complemento
superiore, remunera la manchevolezza delle lingue, è dunque la moneta d’oro che dà valore al linguaggio altrimenti
spento.
Il verso è la musica con cui la poesia mette insieme, veste, come un’orchestra che lega tutte le parole.

Arcane étrange ; et, d’intentions pas moindres, a jailli la métrique aux temps incubatoires.

Il verso è un arcano, un mistero strano: da quando è comparso sulla terra, l’uomo ha usato il linguaggio per spiegare il
mondo, il suo rapporto con il mondo, ma lo ha fatto mettendo insieme le parole che rappresentano il mistero del mondo.

Qu’une moyenne étendue de mots, sous la compréhension du regard, se range en traits définitifs, avec
quoi le silence.

Il verso è un insieme di un certo numero di parole distese sotto la comprensione dello sguardo: noi leggiamo la poesia
scorrendo con gli occhi da sinistra verso destra, scorrendo le parole, scorrendo quei disegni neri depositati sulla pagina
bianca. Quindi queste parole si stendono sotto lo sguardo che le comprende, e questo sguardo le mette insieme, ma non
si tratta solo di metterle insieme visivamente, ma è anche un comprenderle nel senso di capirle.
Questo insieme di parole si organizza in elementi definitivi, in elementi completi, non isolati, ma insieme, e tutto
questo insieme al silenzio. Cos’è il silenzio? Tra le parole ci vuole il silenzio, sopratutto nella poesia: il silenzio
ha senso, non è vuoto → faire de la poésie, ce n’est pas seulement écrire un alexandrin. La poésie, c’est une
musique faite de rythme et d’accentuations, mais aussi un art des silences le vide et tout ce qui entoure la parole
doit être imprégné de poétique.

Si, au cas français, invention privée ne surpasse le legs prosodique, le déplaisir éclaterait, cependant,
qu’un chanteur ne sût à l’écart et au gré de pas dans l’infinité des fleurettes, partout où sa voix rencontre
une notation, cueillir.. La tentative, tout à l’heure, eut lieu et, à part des recherches érudites en tel sens
encore, accentuation, etc, annoncées, je connais qu’un jeu, séduisant, se mène avec les fragments de
l’ancien vers reconnaissables, à l’éluder ou le découvrir, plutôt qu’une subite trouvaille, du tout au tout,
étrangère. Le temps qu’on desserre les contraintes et rabatte le zèle, où se faussa l’école. Très
précieusement : mais, de cette libération à supputer davantage ou, pour de bon, que tout individu apporte
une prosodie, neuve, participant de son souffle — aussi, certes, quelque orthographe — la plaisanterie rit
haut ou inspire le tréteau des préfaciers. Similitude entre les vers, et vieilles proportions, une régularité
durera parce que l’acte poétique consiste à voir soudain qu’une idée se fractionne en un nombre de motifs
égaux par valeur et à les grouper ; ils riment : pour sceau extérieur, leur commune mesure qu’apparente le
coup final.
Au traitement, si intéressant, par la versification subi, de repos et d’interrègne, gît, moins que dans nos
circonstances mentales vierges, la crise.
Ouïr l’indiscutable rayon — comme des traits dorent et déchirent un méandre de mélodies : ou la
Musique rejoint le Vers pour former, depuis Wagner, la Poésie.

In questa epoca il verso ha subito una trasformazione, ha conosciuto una crisi.


E in questa nuova fase la Musica raggiunge il Verso per formare la Poesia (questi tre elementi sono scritti con le lettere
maiuscole) → la poesia spoglia la parola del suo senso ordinario per farla rinascere e farne scaturire un senso nuovo.
La rivoluzione di Wagner: Wagner è un musicista tedesco che scrive un’importantissima opera in cui esprime la sua
estetica (Opera e Dramma); al tempo Wagner non era conosciuto, ma grazie a Baudelaire la sua opera e la sue teorie
vengono divulgate anche in Francia → Baudelaire è interessato a quest’opera perché in essa tutte le arti sono riunite:
canto, poesia, teatro, pittura (scenografie). Wagner arriva addirittura a fondare, a metà Ottocento, un teatro
completamente rinnovato, che avvolge completamente lo spettatore. Questa idea di creare un’opera totale, dove tutte le
arti siano convocate, attraversa l’immaginario di questa generazione: fare l’opera totale.
Nel 1861 Baudelaire fa venire Wagner a Parigi e organizza la messa in scena del Tannhäuser, e comincia grazie a
lui la fortuna di Wagner: Mallarmé riconosce l’importanza di Wagner in questo grande sogno di un’opera in cui
tutte les arts majeurs sono convocate per arrivare all’assoluto.

lL «musicalité du langage poétique» che scaturisce dalle parole liberate dal forzato «rapport sujet-objet» e organizzate
secondo una «ressemblance analogique entre les sons et les sens»

Nel 1885 nasce addirittura la Revue wagnérienne dove si teorizza l’unione della poesia con la musica, ma anche c’è in
ballo anche la riflessione della gerarchia delle arti (qual è l’arte suprema? la musica? la pittura? la poesia?) → si cerca la
forma che permetta all’uomo di avere un linguaggio più vergine possibile per arrivare alla verità delle cose.

Pas que l’un ou l’autre élément ne s’écarte, avec avantage, vers une intégrité à part triomphant, en tant
que concert muet s’il n’articule et le poème, énonciateur : de leurs communauté et retrempe, éclaire
l’instrumentation jusqu’à l’évidence sous le voile, comme l’élocution descend au soir des sonorités. Le
moderne des météores, la symphonie, au gré ou à l’insu du musicien, approche la pensée ; qui ne se
réclame plus seulement de l’expression courante.
Quelque explosion du Mystère à tous les cieux de son impersonnelle magnificence, où l’orchestre ne
devait pas ne pas influencer l’antique effort qui le prétendit longtemps traduire par la bouche seule de la
race.
Indice double conséquent —
Décadente, Mystique, les Écoles se déclarant ou étiquetées en hâte par notre presse d’information,
adoptent, comme rencontre, le point d’un Idéalisme qui (pareillement aux fugues, aux sonates) refuse les
matériaux naturels et, comme brutale, une pensée exacte les ordonnant ; pour ne garder de rien que la
suggestion. Instituer une relation entre les images exacte, et que s’en détache un tiers aspect fusible et
clair présenté à la divination.. Abolie, la prétention, esthétiquement une erreur, quoiqu’elle régit les chefs-
d’œuvre, d’inclure au papier subtil du volume autre chose que par exemple l’horreur de la forêt, ou le
tonnerre muet épars au feuillage : non le bois intrinsèque et dense des arbres. Quelques jets de l’intime
orgueil véridiquement trompetés éveillent l’architecture du palais, le seul habitable ; hors de toute pierre,
sur quoi les pages se refermeraient mal.

Nascono queste scuole (la scuola decadente, la scuola mistica..) → ognuna con delle etichette (l’idealismo rifiuta il
naturale come facilmente riproducibile e rappresentabile)

« Les monuments, la mer, la face humaine, dans leur plénitude, natifs, conservant une vertu autrement
attrayante que ne les voilera une description, évocation dites, allusion je sais, suggestion : cette
terminologie quelque peu de hasard atteste la tendance, une très décisive, peut-être, qu’ait subie l’art
littéraire, elle le borne et l’exempte. Son sortilège, à lui, si ce n’est libérer, hors d’une poignée de
poussière ou réalité sans l’enclore, au livre, même comme texte, la dispersion volatile soit l’esprit, qui n’a
que faire de rien outre la musicalité de tout. »
Parler n’a trait à la réalité des choses que commercialement : en littérature, cela se contente d’y faire une
allusion ou de distraire leur qualité qu’incorporera quelque idée.
À cette condition s’élance le chant, qu’une joie allégée.
Cette visée, je la dis Transposition — Structure, une autre.
L’œuvre pure implique la disparition élocutoire du poëte, qui cède l’initiative aux mots, par le heurt de
leur inégalité mobilisés ; ils s’allument de reflets réciproques comme une virtuelle traînée de feux sur des
pierreries, remplaçant la respiration perceptible en l’ancien souffle lyrique ou la direction personnelle
enthousiaste de la phrase.

Selon Mallarmé, il y a dans le langage une puissance inconsciente qui engendre indéfiniment des représentation
imaginaires: cette puissance, dont le mécanisme essentiel est la métaphore, ce « démon de l’analogie », c’est le génie
symbolique qui est à la source de la poésie.
Contre les procédures illusionnistes du langage courant, celles qui créent l’illusion réaliste ou référentielle, l’art de la
suggestion, parce qu’il rejette le réel, rappelle ainsi le langage à son génie propre, le génie symbolique,.
Mallarmé fait des correspondances baudelairiennes le principe même du langage poétique : un tiers espace, entre le
réalité objective hors de notre portée, et l’espace du dedans. Ce sont les correspondances qui fondent l’autonomie
poétique – ce que le poète appelle ‘‘l’ œuvre pure’’.

Une ordonnance du livre de vers poind innée ou partout, élimine le hasard ; encore la faut-il, pour omettre
l’auteur : or, un sujet, fatal, implique, parmi les morceaux ensemble, tel accord quant à la place, dans le
volume, qui correspond. Susceptibilité en raison que le cri possède un écho — des motifs de même jeu
s’équilibreront, balancés, à distance, ni le sublime incohérent de la mise en page romantique ni cette unité
artificielle, jadis, mesurée en bloc au livre. Tout devient suspens, disposition fragmentaire avec alternance
et vis-à-vis, concourant au rythme total, lequel serait le poème tu, aux blancs ; seulement traduit, en une
manière, par chaque pendentif. Instinct, je veux, entrevu à des publications et, si le type supposé, ne reste
pas exclusif de complémentaires, la jeunesse, pour cette fois, en poésie où s’ impose une foudroyante et
harmonieuse plénitude, bégaya le magique concept de l’Œuvre. Quelque symétrie, parallèlement, qui, de
la situation des vers en la pièce se lie à l’authenticité de la pièce dans le volume, vole, outre le volume, à
plusieurs inscrivant, eux, sur l’espace spirituel, le paraphe amplifié du génie, anonyme et parfait comme
une existence d’art.

Chimère, y avoir pensé atteste, au reflet de ses squames, combien le cycle présent, ou quart dernier de
siècle, subit quelque éclair absolu — dont l’échevèlement d’ondée à mes carreaux essuie le trouble
ruisselant, jusqu’à illuminer ceci — que, plus ou moins, tous les livres, contiennent la fusion de quelques
redites comptées : même il n’en serait qu’un — au monde, sa loi — bible comme la simulent des nations.
La différence, d’un ouvrage à l’autre, offrant autant de leçons proposées dans un immense concours pour
le texte véridique, entre les âges dits civilisés ou — lettrés.

Certainement, je ne m’assieds jamais aux gradins des concerts, sans percevoir parmi l’obscure sublimité
telle ébauche de quelqu’un des poèmes immanents à l’humanité ou leur originel état, d’autant plus
compréhensible que tu et que pour en déterminer la vaste ligne le compositeur éprouva cette facilité de
suspendre jusqu’à la tentation de s’expliquer. Je me figure par un indéracinable sans doute préjugé
d’écrivain, que rien ne demeurera sans être proféré ; que nous en sommes là, précisément, à rechercher,
devant une brisure des grands rythmes littéraires (il en a été question plus haut) et leur éparpillement en
frissons articulés proches de l’instrumentation, un art d’achever la transposition, au Livre, de la
symphonie ou uniment de reprendre notre bien : car, ce n’est pas de sonorités élémentaires par les cuivres,
les cordes, les bois, indéniablement mais de l’intellectuelle parole à son apogée que doit avec plénitude et
évidence, résulter, en tant que l’ensemble des rapports existant dans tout, la Musique.

Un désir indéniable à mon temps est de séparer comme en vue d’attributions différentes le double état de
la parole, brut ou immédiat ici, là essentiel.

Un desiderio caratteristico del mio tempo è separare, come per doverli dare compiti diversi, il doppio statuto della
parola (la parola ha uno statuto duplice):
- uno statuto brutale, immediata, commerciale → serve allo scambio dunque deve essere immediata, deve avere
valore di scambio rapido
- uno statuto essenziale, ovvero che cerca l’essenza, la verità delle cose

Narrer, enseigner, même décrire, cela va et encore qu’à chacun suffirait peut-être pour échanger la pensée
humaine, de prendre ou de mettre dans la main d’autrui en silence une pièce de monnaie, l’emploi
élémentaire du discours dessert l’universel reportage dont, la littérature exceptée, participe tout entre les
genres d’écrits contemporains.

L’uso elementare del linguaggio è servo del reportage (il giornalismo, quello con cui si dicono le cose correnti e
quotidiane), a questo discours élémentaire partecipano tutte le forme di scrittura contemporanea → Mallarmé le accusa
tutte, tutte fanno reportage, eccetto la letteratura.
Vediamo già come Mallarmé mostra che il saggio letterario, la riflessione sulla letteratura, non può fare uso di una
lingua servile, che scrive e trasmette le idee come le trasmetterebbe la cronaca, il reportage: a chi fa giornalismo
Mallarmé lascia il linguaggio tribale fatto di esigenze primarie e parole corporali; al contrrio accade per dire ciò che non
si arriva a dire, l’essenza delle cose difficile da raggiungere.

À quoi bon la merveille de transposer un fait de nature en sa presque disparition vibratoire selon le jeu de
la parole, cependant ; si ce n’est pour qu’en émane, sans la gêne d’un proche ou concret rappel, la notion
pure.

A cosa serve la meraviglia di trasportare un elemento della natura e portarlo quasi a farlo scomparire, a mantenerne una
specie di vibrazione seguendo il gioco della parola, se non perché da questa sparizione emana la nozione pura? La
nozione pura emana senza che disturbi (“sans la gêne”), senza l’incomodo di un richiamo concreto.
Ad esempio, prendere un fatto della natura (la nuit) e disporre i suoni di modo ché scompaiano affinché ne rimanga una
vibrazione.

Je dis : une fleur ! et, hors de l’oubli où ma voix relègue aucun contour, en tant que quelque chose d’autre
que les calices sus, musicalement se lève, idée même et suave, l’absente de tous bouquets.

Dico “fiore” e quando dico “fiore” in poesia di quel fiore non resta niente: tolgo a quellla parola ogni contorno che
riveli un legame con qualche cosa d’altro rispetto al calice che conosciamo, e musicalmente si leva un’idea soave di
fiore, cioè l’assente da tutti i bouquet, non è più un fiore reale, ma la nozione pura di fiore → è un fiore che va aldilà
della dimenticanza, del vuoto, in cui la mia voce nasconde ogni contorno (il contorno dell’oggetto)

C’est la poésie qui absente la fleur de « tous bouquets »

Au contraire d’une fonction de numéraire facile et représentatif, comme le traite d’abord la foule, le dire,
avant tout, rêve et chant, retrouve chez le Poëte, par nécessité constitutive d’un art consacré aux fictions,
sa virtualité.
Le vers qui de plusieurs vocables refait un mot total, neuf, étranger à la langue et comme incantatoire,
achève cet isolement de la parole : niant, d’un trait souverain, le hasard demeuré aux termes malgré
l’artifice de leur retrempe alternée en le sens et la sonorité, et vous cause cette surprise de n’avoir ouï
jamais tel fragment ordinaire d’élocution, en même temps que la réminiscence de l’objet nommé baigne
dans une neuve atmosphère.

Diversamente da quella funzione enumerativa e rappresentativa che ha la parola, così come la vuole la folla, il dire, la
parola, cioè il linguaggio, che prima di tutto è sogno e canto (deve suggerire e non deve dire subito la parola), grazie al
Poeta ritrova la sua virtualità, si ritrova allo stato virtuale con tutta la sua potenzialità ancora inesplorata → pour
Mallarmé, la notion pure, c’est la virtualité

La parola quando indica le cose poveramente, come fa un dizionario, sta isolata, invece il verso riprende più vocaboli e
crea e una parola totale, nuova: all’inzio del testo per dire “libro” Mallarmé parla di “perle” e di “luminosità”, ma se
avesse detto semplicemente “libro” sarebbe stato troppo riduttivo → il verso dunque prende più vocabili e rifà una
parola totale, nuova, estranea alla lingua, quasi che incanta, e che mette fine all’isolamento della parola, negando con un
tratto deciso, sovrano, il caso perché in questo modo di elaborare la lingua il caso non esiste, il caso è eliminato perché
il poeta costruisce questa musica delle parole, questa orchestra fatta di parole e compie il miracolo di ridare vita alla
parola.
Dunque la poesia abolisce il caso perché procura quello stupore, quella sensazione miracolosa di non aver mai sentito
una parola nel suo senso utilitario e ordinario: il ricordo dell’oggetto nominato adesso fluttua in una nuova atmosfera,
dunque non è più l’oggetto nominato, ma qualcos’altro di modificato dentro una nuova orchestrazione di parole e
dunque si ha la riproduzione di un nuovo senso.

“L’absente de tous bouquets” n’est pas une fleur ramenée (=ricondotto) à un concept de fleur, c’est une réalité
“transposée” au terme d’un double mouvement simultané consistant:
- d’une part, à absenter le mot dans le monde, afin que la réalité sonore du langage s’impose ;
- de l’autre, à ce que la concrétion musicale du poème “vous cause cette surprise de n’avoir ouï jamais tel fragment
ordinaire d’élocution, en même temps que la réminiscence de l’objet nommé baigne dans une neuve atmosphère”.

Mallarmé appellera cette opération “transposition” et la définira comme une forme de “suggestion” de l’objet ramené à
une fugacité susceptible d’accueillir et sa présence (mais volatile et translucide) et sa fondamentale dissipation. Et le
Poème sera Musique, en ce que, comme elle, il sera maintenant capable de toucher au sens, sans être encombré
(=ingombrato) de la signification des mots dont il jouera néanmoins, de biais (=distorsioni) et de façon allusive.

Ecco il grande lavoro che Mallarmé fa: si sottrae a un secolo che fa un uso indiscriminto e scellerato della lingua.
Riflettere sul linguaggio significa avere coscienza di sé come soggetto parlante e come soggetto che attraverso la parola
incide nel mondo.
Mercoledì 20 aprile 2022

C’est un un long poème de quatrains (stances de 4 vers) de 1863, dans lequel Mallarmé ne cache pas le modèle de
Baudelaire.
Le titre “les fenêtres” est au pluriel → d’abord on a une fenêtre qui va de doubler.

LES FENÊTRES - Mallarmé

Las du triste hôpital, et de l’encens fétide


Qui monte en la blancheur banale des rideaux
Vers le grand crucifix ennuyé du mur vide,
Le moribond sournois y redresse un vieux dos,

Se traîne et va, moins pour chauffer sa pourriture


Que pour voir du soleil sur les pierres, coller
Les poils blancs et les os de la maigre figure
Aux fenêtres qu’un beau rayon clair veut hâler,

Et sa bouche, fiévreuse et d’azur bleu vorace,


Telle, jeune, elle alla respirer son trésor,
Une peau virginale et de jadis ! encrasse
D’un long baiser amer les tièdes carreaux d’or.

Ivre, il vit, oubliant l’horreur des saintes huiles,


Les tisanes, l’horloge et le lit infligé,
La toux ; et quand le soir saigne parmi les tuiles,
Son œil, à l’horizon de lumière gorgé,

Voit des galères d’or, belles comme des cygnes,


Sur un fleuve de pourpre et de parfums dormir
En berçant l’éclair fauve et riche de leurs lignes
Dans un grand nonchaloir chargé de souvenir !

Ainsi, pris du dégoût de l’homme à l’âme dure


Vautré dans le bonheur, où ses seuls appétits
Mangent, et qui s’entête à chercher cette ordure
Pour l’offrir à la femme allaitant ses petits,

Je fuis et je m’accroche à toutes les croisées


D’où l’on tourne l’épaule à la vie, et, béni,
Dans leur verre, lavé d’éternelles rosées,
Que dore la main chaste de l’Infini

Je me mire et me vois ange ! et je meurs, et j’aime


— Que la vitre soit l’art, soit la mysticité —
À renaître, portant mon rêve en diadème,
Au ciel antérieur où fleurit la Beauté !

Mais, hélas ! Ici-bas est maître : sa hantise


Vient m’écœurer parfois jusqu’en cet abri sûr,
Et le vomissement impur de la Bêtise
Me force à me boucher le nez devant l’azur.

Est-il moyen, ô Moi qui connais l’amertume,


D’enfoncer le cristal par le monstre insulté,
Et de m’enfuir, avec mes deux ailes sans plume
— Au risque de tomber pendant l’éternité ?

Analyse

Las du triste hôpital, et de l’encens fétide


Qui monte en la blancheur banale des rideaux
Vers le grand crucifix ennuyé du mur vide,
Le moribond sournois y redresse un vieux dos,

- rottura dell’ordine sintattico del francese : abbiamo un soggetto “las” e dopo l’esplicitazione di tale soggetto ‘‘le
moribond’’→ sono separati (solitamente non possiamo interrompere la continuità)
- di che cosa è “las” questo soggetto? Del triste ospedale e degli incensi fetidi (gli odori degli ospedali) → evoca la
stanchezza di un corpo e soprattutto l’ambiente malato, fetido, da condanna, dell’ospedale
- importante descrizione dei colori degli odori(in questo ambiente è tutto scolorato): questo odore fetido è impregnante
come quello dell’incenso delle cerimonie funebri, e sale nel biancore banale delle tende, verso il grande crocifisso
- l’ aggettivo “ennuyé” a cosa va attribuito? Sta in mezzo dunque distribuisce il senso in entrambe le parti → ecco che
cambia tutto il senso: ennuyé è il moribondo che è annoiato dal triste ospedale, dall’incenso fetido che sale, dal
biancore banale delle tende, perciò talvolta raddrizza il suo vecchio dos (corpo) dal muro vuoto e va..
Se traîne et va, moins pour chauffer sa pourriture
Que pour voir du soleil sur les pierres, coller
Les poils blancs et les os de la maigre figure
Aux fenêtres qu’un beau rayon clair veut hâler,

- cosa fa questo vieux? Si trascina, arranca, e va, ma dove? Abbiamo una pausa: va non tanto per scaldare il suo corpo
morente (“encense fétide” si riferisce anche al suo corpo), ma per vedere il sole sulle pietre
- la frase riprende a “coller”: per incollare i peli bianchi e le ossa del magro volto alla finestra
- puisque l’hôpital est le corridor de la mort, donc il rappelle à l’homme que la loi fatale est proche, ce moribond
parfois redresse son vieux dos et il se traîne (si trascina) vers a la fenêtre
- Mallarmé cherche à ne pas évoquer des images trop concrètes: ce corps porte les signes de la mort qui n’est pas encore
arrivée, mais qui est déjà annoncée (champs sémantique de la décomposition → corps réduit à un squelette)

Et sa bouche, fiévreuse et d’azur bleu vorace,


Telle, jeune, elle alla respirer son trésor,
Une peau virginale et de jadis ! encrasse
D’un long baiser amer les tièdes carreaux d’or.

- soggetto: bouche, verbo: encrasse, complemento oggetto: les tièdes carreaux d’or → gli elementi che compongono la
frase sono allontanati per fare spazio a una descrizione densa
- ha la bocca febbricitante e vorace d’azzurro, ovvero di ciò che sta fuori dalla finestra (i colori dell’esterno si
oppongono ai colori dell’estern) → le moribond est celui qui va à la recherche d’une illusion en regardant hors de la
fenêtre, c’est à dire, il veut renaître après la mort, en passant par le corridor de l’hôpital qui met en communication le
mond terrain avec un monde idéal: cet idéal d’une vie encore possible, cet espace méta-physique est représentée pas
l’azur
- jadis → expression de temps à travers laquelle émerge le souvenir de ce vieux moribonde qui cherche à s’accrocher à
la vie de jeunesse: à travers cette fenêtre la bouche vorace cherche à attraper une imagine de jeunesse, qui appartient au
passé, à un temps très loin
- la bouche est fiévreuse, c’est à dire sèche, qui tremble, déformée
- cet élan vers la fenêtre est un geste avec lequel il encrasse avec un baiser amer (è l’amarezza di chi non ha più
l’illusione) les verres tièdes et d’or de la fenêtre (sono tiepidi perché colpiti dal sole)
“telle” → élément qui permet le parallélisme

Ivre, il vit, oubliant l’horreur des saintes huiles,


Les tisanes, l’horloge et le lit infligé,
La toux ; et quand le soir saigne parmi les tuiles,
Son œil, à l’horizon de lumière gorgé,

- ‘‘quand le soir saigne parmi les tuiles’’ → Mallarmé donne une vision vierge au lecteur qui découvre pour la première
fois des vérités
- l’œil du vieux moribond voit l’horizon plein de lumière (se avesse detto semplicemente “plein” sarebbe stato banale,
invece dire “l’horizon de lumière gorgé” è più evocativo)

Voit des galères d’or, belles comme des cygnes,


Sur un fleuve de pourpre et de parfums dormir
En berçant l’éclair fauve et riche de leurs lignes
Dans un grand nonchaloir chargé de souvenir !

- “des galères d’or” → la syntaxe se décompose


- les galères (navi) non sono d’oro, ma è importante la sonorità → il suono è fondamentale, non il colore
- le galères sont sans mouvement, comme des cygnes → annonce la calme du fleuve: i cigni quando sono nei fiumi sono
calmi
- pourpre → colore vivo
- le cygne quando si sposta sull’acqua lo fa in modo quasi impercettibile
- le souvenir apparait → vede apparire il ricordo della vita passata

Ainsi, pris du dégoût de l’homme à l’âme dure


Vautré dans le bonheur, où ses seuls appétits
Mangent, et qui s’entête à chercher cette ordure
Pour l’offrir à la femme allaitant ses petits,

- ainsi → parallélisme (d’habitude Mallarmé évite de se servir du mécanisme du parallélisme comme le fait Baudelaire:
par exemple, dans Baudelaire il y a “comme”, mais pur Mallarmé c’est trop explicite et il réduit la force de l’image)
- comme dans la poésie impressionniste, les contours ne sont pas nets
- l’autre personnage est le “Je” poétique, le narrateur → il dit qu’il 4st écœuré par l'ici-bas, il est pris du dégoût de
l’image de l’homme vulgaire qui n’a aucune sensibilité : c’est l’homme presque animal, qui se vautre (comme le porc se
vautre dans la boue = fango) dans le bonheur (les biens matériels, les plaisirs , tout ce qui satisfait son appétit)
- champ sémantique de la nourriture du ventre, du corps, de la nourriture matérielle qui n’a rien à voir avec la
nourriture spirituelle ( appétits, mangent, allaitant)
- champ sémantique de la bassesse et de la répugnance (dégoût, vautré, ordure)
- “ainsi” → l’élément qui devrait introduire un parallélisme reste suspendu e nous avons cette immense image, qui
s’étend sur les 4 vers, du monde matériel représenté par un homme à l’âme dure qui se vautre dans le bonheur, qui se
réduit à simple appétit du corps, et qui s’obstine à chercher cette ordure pour l’offrir à la femme allaitant ses petits →
non seulement cet homme est réduit à l’intérêt pour le matériel, non seulement il mange, mais aussi il produit et ré-
produit cette ordure parce qu’il donne cette ordure, c’est à dire cette pauvreté matérialiste, à sa femme qui à son tour la
transmet à ses enfants → il y a un cercle infernal
- donc ainsi, comme le moribond est allé vers la fenêtre, puisqu’il est dégoûté par le monde bas, il fuit..

Je fuis et je m’accroche à toutes les croisées


D’où l’on tourne le dos à la vie, et, béni,
Dans leur verre, lavé d’éternelles rosées,
Que dore la main chaste de l’Infini

- il nous donne la raison pour laquelle il fuit


- il s’accroche à toutes les croisées, mais c’est une croisée particulière: ce n’est pas la fenêtra vers laquelle va le
moribond qui est transparent, et donc il voit ce qu’il y au-delà
- le sujet qui dit qu’il veut tourner le dos à la vie, il ne veut pas aller vers cette illusion qui est au-delà de la fenêtre
- il bénit ce verre ‘‘indoré d’Infini’’ : c’est une fenêtre qui porte vers l’Infini, et non pas vers une illusion d’une vie qui
reste toujours liée au monde bas
- il va vers un vitre lavé par des rosées (= rugiada) → c’est l’eau du petit matin qui transforme et lave la vitre (=il vetro),
et le premier rayon de soleil qui tombe sur les gouttes des rosées, va dorer cette vitre→ le vieux moribond voyait l’or
sur les galères, ici c’est la vitre qui est d’or, car c’est une vitre précieuse qui lui permet de voir l’infinitif, mais ce n’est
pas l’illusion de l’infini

Je me mire et me vois ange ! et je meurs, et j’aime


— Que la vitre soit l’art, soit la mysticité —
À renaître, portant mon rêve en diadème,
Au ciel antérieur où fleurit la Beauté !

- ce n’est pas une fenêtre transparente qui porte son regard au dehors, en lui donnant une illusion, mais c’est une fenêtre
qui devient un miroir, qui lui permet de se refléter → le miroir est l’emblème de la spéculation, de la réflexion et de la
recherche
- “Je me mire” → c’est quelque chose qu’il trouve en lui, pas à l’extérieur, car le regard n’est par projeté vers
l’extérieur mais vers l’intérieur
- “Je me mire et me vois ange” = mi specchio e mi vedo angelo ( ange → symbole de la pureté)
- “et je meurs, et j’aime” → dans cette renaissance que lui permet le regard, il y a une partie de soi-même qui meurt
Donc le sujet se voit renaître, mais à travers quel procès a lieu cette renaissance?
- “ Que la vitre soit l’art, soit la mysticité” → c’est à travers la force mystique de l’art qu’on peut renaître et qu’on peut
échapper à la loi fatale (il néant ha un valore solo se porta a una rinascita)
- “À renaître, portant mon rêve en diadème” = incoronandomi con il mio sogno, rinascere in quel cielo che trasforma e
fa fiorire la bellezza, che celebra dunque la bellezza assoluta
Come conclude la poesia? Con “mais, hélas” (ma, ahimè):

Mais, hélas ! Ici-bas est maître : sa hantise


Vient m’écœurer parfois jusqu’en cet abri sûr,
Et le vomissement impur de la Bêtise
Me force à me boucher le nez devant l’azur.

- “ici-bas” → c’est le monde matériel dans lequel l’homme à l’âme dure se vautre
- “Ici-bas est maître” → la petitesse (pochezza), la misère de l’ âme, la vie réduite à pure matérialisme domine
- “Vient m’écœurer parfois jusqu’en cet abri sûr ”= cette image de l’ici-bas, la hantise de ce monde bas me donne la
nausée, même dans mon abri (=rifugio) privé, sûr
- la Bêtise est représentée comme une vomissure, comme quelque chose de bas et de corporal → cette bêtise l’oblige à
se boucher le nez devant l’azur, parce que ce n’est un azur idéal, mais c’est l’azur infesté par la bêtise, par l’ordure, par
les appétits

Est-il moyen, ô Moi qui connais l’amertume,


D’enfoncer le cristal par le monstre insulté,
Et de m’enfuir, avec mes deux ailes sans plume
— Au risque de tomber pendant l’éternité ?

- “ô Moi” → sujet intérieur (“Mio io”)


- “c’è un modo di nascondere/sotterrare il cristallo insultato dal mostro?” → l’homme à l’âme dure, le monde de l’ici-
bas, est représenté comme un monstre
- il cristal est expression de ce qui est précieux, de la beauté, donc il correspond à la parole poétique libérée de la boue
qui la couvre; au contraire, la boue représente tous ces éléments grossiers de raccord, nécessaires aux esprits qui
nécessitent que tout soit expliqué et raccordé, sinon il courent le risque de ne pas saisir le sens (combien d’ordure sale
on doit éliminer pour libérer ce cristal ?) → qui Mallarmé dice esattamente cosa deve essere il diamante (la parola
poetica) e cosa deve essere colui che quel diadema lo vuole comprendere e fare suo in un’esperienza umana che è
l’unica possibile per sfuggire alla fatale loi, ovvero al néant, alla morte
- “Et de m’enfuir, avec mes deux ailes sans plume” → c’è un modo per preservare il cristallo insultato dal mondo e di
fuggire con le ali
- image de l’ange avec des ailes sans plume→ ici l’image de l’ange se complète car il prend son envol pour fuir, mais
ses ailes sont faibles parce que dans un monde dominé par la bassesse il n’y a pas de place pour l’ange aux grandes
ailes : cette image de l’ange faible revient toujours chez Mallarmé et chez Baudelaire (Albatros: l’uccello che cerca di
volare lontano dall’uomo che tenta di ucciderlo), mais aussi chez plusieurs philosophes allemands.

Le monde dans lequel Mallarmé vit est un monde qui tue l’ange, c’est un monde qui n’est plus sacré: la seule sacralité
possible, dans une vision laïque, est la sacralité de l’Art → pour Mallarmé l’Art est la seule religion possible, dans un
monde qui a désormais tué Dieu : l’Arte, che ha sostituito le religioni antiche nella funzione di legittimazione
dell’esistenza, è la sola a dare valore e significato contro il rischio dell’assurdo e dell’assenza di senso.
Donc il faut s’échapper même si il y a le risque de tomber : voilà l’image de l’ange déchu dans sa tentative de voler et
découvrir l’univers → mythe de Icare: son père Dédale, pour fuir le labyrinthe, fabriqua des ailes semblables à celles
des oiseaux, confectionnées avec de la cire et des plumes ; il mit en garde son fils, lui interdisant de s'approcher trop
près de la mer, à cause de l'humidité, et du soleil, à cause de la chaleur, mais Icare, grisé par le vol, oublia l'interdit et
prit de plus en plus d'altitude. La chaleur fait fondre la cire jusqu'à ce que ses ailes finissent par le trahir → Icare
symbolise celui qui ne se contente pas de la petitesse humaine et qui aspire à devenir un Dieu, mais il y a des lois de
l’univers qui ne peuvent pas être connues.
Valéry dirà che all’uomo restano 3 cose che non è ancora riuscito a fare (il sogno di volare è stato realizzato):
- 1. la quadratura del cerchio
- 2. l’energia inesauribile
- 3. la giovinezza eterna
Questi sono i 3 grandi sogni dell’uomo perché secondo Valéry l’uomo è fatto di sogni: il più grande sognatore è stato
Leonardo da Vinci che ha cercato di costruire delle macchine che permettessero all’uomo di volare.
Donc le poème met en scène deux personnages:
- le premier est un vieux moribond qui se trouve dans un hôpital caractérisé par la blancheur, l’odeur de l’encens, la
tristesse → il va ver la la fenêtre pour s’accrocher à une illusion, l’illusion d’une vie encore possible dans le monde réel
- le deuxième personnage est le sujet “ je” qui ne se leurre (= non si illude), et va à la recherche de la vérité en lui-
même, non pas vers l’extérieur.
DON DU POÈME – Mallarmé

Poème composé d'une seule strophe de 14 alexandrins avec des rimes plates/suivies (AABB)

Je t'apporte l'enfant d'une nuit d'Idumée !


Noire, à l'aile saignante et pâle, déplumée,
Par le verre brûlé d'aromates et d'or,
Par les carreaux glacés, hélas ! mornes encor
L'aurore se jeta sur la lampe angélique,
Palmes ! et quand elle a montré cette relique
A ce père essayant un sourire ennemi,
La solitude bleue et stérile a frémi.
Ô la berceuse, avec ta fille et l'innocence
De vos pieds froids, accueille une horrible naissance
Et ta voix rappelant viole et clavecin,
Avec le doigt fané presseras-tu le sein
Par qui coule en blancheur sibylline la femme
Pour des lèvres que l'air du vierge azur affame ?

E’ un poema che è stato composto nel novembre 1865 in un momento in cui Mallarmé vive una vera e propria crisi che
segna una svolta: il passaggio da una poesia deditrice, ovvero da una poesia che ha ancora forti i suoi modelli
(Théophile Gautier e Baudelaire), a una poesia tutta nuova e personale: ricordiamo la lettera a Verlaine in cui dice di
“J’ai toujours rêvé et tenté autre chose, avec une patience d'alchimiste”, fare un’altra cosa, creare un nuovo linguaggio
poetico.
In questo periodo Mallarmé si lancia in un progetto difficilissimo, quasi mortale: la scrittura di un testo dedicato alla
figura di Hérodiade → dans le monde romane judaïque, Hérodiade est une femme impure qui a pêché (peccato) car il
a commis un adultère qui est aussi un sorte de inceste : elle quitte son mari Hérode, pour se marier avec le frère de
celui-ci, Hérode Antipas ; Jean Baptiste condamne Erodiade pour avoir épousé son beau-frère; alors Hérodiade pour se
venger demande à sa fille Salomé de danser au cours d’un banquet ; le roi, qui reste charmé, dit à la jeune fille :
« Demande-moi ce que tu voudras, je te le donnerai ». Salomé demande la tête de Jean le Baptiste sur un plat, poussé
par sa mère, donc Jean Baptiste est décapité et sa tête est offerte dans cette danse.
All’epoca di Mallarmé Salomé è presente in numerosi dipinti degli impressionisti e dei simbolisti.

Sogna di scrivere una tragedia teatrale, ed immagina di costruirla con dei versi estremamente lavorati che permettano la
nascita d’una nuova poesia. Sarà un’esperienza durissima perché deve epurare la parola poetica da tutta quella graniglia
che sta intorno, per arrivare alla purezza dell’immagine creata da accostamenti vertiginosi di termini che mai sono stati
accostati, al fine di creare stupore di un’immagine che la nostra mente assopita è spinta a lavorare per crearla. Nel
frattempo si dedica anche alla composizione di L’Après-midi d’un Faune.
Questo lavoro gli costerà talmente tanta fatica che scriverà molte al suo amico Henri Cazalis, un medico che sotto il
nome di Jean Lahor scriverà molte poesie ispirate alla filosofia orientale e al buddhismo, che sarà il grande confidente
di Mallarmé → le lettere che scrive a Cazalis sono lettere attraverso le quali noi riusciamo a cogliere il senso del lavoro
che Mallarmé sta facendo (diciamo che nelle lettere c’è la poetica di Mallarmé):

J’ai enfin commencé mon Hérodiade. Avec terreur, car j’invente une langue qui doit nécessairement jaillir
d’une poétique très nouvelle, que je pourrais définir en ces deux mots : peindre, non la chose, mais l’effet
qu’elle produit. Le vers ne doit donc pas se composer de mots, mais d’intentions, et toutes les paroles
d’effacer devant la sensation.
(Lettera a Cazalis, ottobre 1864)

Mallarmé annuncia di voler scrivere una tragedia. Quelques semaines plus tard, il précise à Cazalis ce qu’il veut
réaliser :

Je me suis mis sérieusement à ma tragédie d'Hérodiade.... Si encore j'avais choisi une œuvre facile; mais
justement, moi, stérile et crépusculaire, j'ai pris un sujet effrayant, dont les sensations, quand elles sont
vives sont amenées jusqu'à l'atrocité, et, si elles flottent, ont l'attitude du mystère. Et mon vers, il me fait
mal par instants, il blesse comme du fer. J'ai, du reste, trouvé une façon intime et singulière de peindre et
de noter les impressions très fugitives. Ajoute, pour plus de terreur, que toutes ces impressions se suivent
comme dans une symphonie, et que je suis souvent des journées entières à me demander si celle-ci peut
accompagner celle-là, quelle est leur parenté et leur effet.... Tu juges que je fais peu de vers en une
semaine.

Il est ravagé par la peur de l’impuissance: cela le desespère, il veut achever son travail. Dans toutes ses lettre, il
revient sur ce travail épuisant :

Si tu savais que de nuits désespérées et de jours de rêveries il faut sacrifier pour arriver à faire des vers
originaux et dignes, dans leurs suprêmes mystères, de réjouir l’âme du poète ! Quelle étude du son et de
la couleur ces mots, musique et peinture, par laquelle doit passer la pensée pour être poétique !

Mallarmé cherche donc à traduire ce qui est par nature intraduisible, à faire palpiter l’essence même de la vie profonde
et cachée. Le poète, en communion avec l’invisible, doit exprimer celui-ci, non certes pour la foule, mais pour la rare
élite de ceux qui, comme lui, cherchent à atteindre le réel.
Donc le travail pour Hérodiade l’écrase: Mallarmé dà al lettore un testo difficile che resiste all’attraversamento, ma
vuole che il lettore apra la sua mente, non vuole che entri facilmente nel testo. Entriamo in una fase dell’arte che cambia
il lettore nell’esperienza della lettura.

 Mallarmé veut rompre le fil qui lie le son avec l’objet ; quelques années plus tard, en 1916, deux étudiants du cours
du Saussure, Charles Bally et Albert Sechehaye, rédigent le Cours de linguistique générale, affirmant que le lien entre
le mot et la chose est arbitraire (naissance de la linguistique moderne) → cette vérité est déjà expérimentée par
Mallarmé : c’est le premier qui parle de l'arbitrairété du signe linguistique.

Le rapport entre le signifiant et le signifié est arbitraire :

Signifiant = [aRbR]

Signifié = concept de « arbre » 🌳

Non esiste tra loro nessun legame logico, ontologico o naturale : nella sequenza fonica "arbre" non c'è niente che possa
richiamare le caratteristiche intrinseche all’idea di ‘‘arbre’’, quali la forme, il colore, ecc., tant'è vero che in altre lingue
vengono usati nomi diversi per lo stesso significato (per es.: ‘‘albero’’ in italiano, ‘‘tree’’ in inglese..)

Si je dis “arbre” je parle d’un arbre abstrait , et l’ensemble a-r-b-r-e est arbitraire.
Mallarmé aveva riassunto questo concetto parlando del fiore : « Je dis: une fleure, l’absente de tous bouquets » : il veut
dire que le lien avec l’objet n’est pas directe, mais c’est une image mentale, alors à travers les mots on doit crée des
images mentales.

La naissance de sa fille Geneviève (con la quale avrà un rapporto molto stretto) en novembre 1864, met fin a ses
méditations. Avrà anche un figlio, Anatole che muore molto giovane: Mallarmé imagine de faire un tombeau pour
Anatole (tombeau = poèmes qui célèbrent les morts), il veut faire un véritable monument de paroles en mémoire de son
fils, mais il ne terminera jamais ce projet.
L'enfant empêche son père de travailler, et lui, privé des moments de loisir consacrés autrefois a la poésie, se laisse aller
a la mélancolie. Infatti, dopo la nascita di Geneviève, Mallarmé ha una fitta corrispondenza con Cazalis: scrive della
nascita della figlia come un evento che lo trasforma, ma diventare padre è una sorta di ‘‘reduction’’ de son travail
poétique: le père naturel diminue le père spirituelle, e parlando di Genevieve il parle di ‘‘une baby méchante qui échasse
Hérodiade’’. Dunque abbiamo un’opposizione tra :
- Geneviève qui a les cheveux noirs
- Hérodiade qui a des cheveux d’or
La vie de la petite avec ses cris est d’obstacle à la production du poète: Mallarmé dice che scrive poco, mais par contre
il a un baby bien rythmée, c’est à dire qu’elle remplit la maison de sonorité: il était habitué au silence que le travail
poétique exige, et maintenant, il se trouve dans cette dimension où œuvrer est très difficile, soit pour les conditions, soit
pour le défi qu’il a lancé.
Au printemps de 1865, Mallarmé semble avoir réussi le tour de force : il est assez satisfait de ce qu’il a écrit :

J’ai passé trois mois, acharné sur Hérodiade, ma lampe le sait ! J’ai écrit l’ouverture musicale, presque
encore à l’état d’ébauche... Il me faudra trois ou quatre hivers encore, pour achever cette œuvre, mais
j’aurai enfin fait ce que je rêve être un poème digne de Poe et que les siens ne surpasseront pas.
(Lettre à Cazalis, mars 1866.)

Un autre sujet le hantait aussi, auquel il se met avec ardeur dès le 1er mai 1865 :

J’ai laissé Hérodiade pour les cruels hivers ; cette ouvre solitaire m’avait stérilisé, et, dans l’intervalle, je
rime un intermède héroïque dont le héros est un faune.
[…]
Ce poème renferme une très haute et très belle idée, mais les vers sont terriblement difficiles à faire, car je
le fais absolument scénique, non possible au théâtre, mais exigeant le théâtre.
(Lettera a Cazalis, giugno 1865)

Mallarmé immagina Hérodiade come un poème théâtrale, come tragedia, ma egli stesso afferma che è un’opera è
impossibile da rappresentare a teatro, ma che richiede il teatro: il sait que, une fois représenté sur le théâtre, le poème
perd son mystère, perd sa beauté absolue (il teatro dell’epoca è in gran parte un teatro che rappresenta les tranches de
vie, dove la presenza fisica trouble l’abstrait de la poésie telle que Mallarmé l’imagine)

Poi scrive al Théodore de Banville che gli dà l’idea che quest’opera si possa portare a teatro, ma la risposta è che non
c’è scena che il pubblico rozzo possa capire, non è fatto per questo tipo di arte: Mallarmé è consapevole che la sua è
un’arte per pochi eletti, ed è fiero di questo. La vera letteratura si differenza in questo dal giornalismo, ovvero dal
racconto piatto, banale delle cose.

In un’altra lettera a Cazalis Mallarmé scrive una frase incredibile:

Malheureusement, en creusant le vers à ce point, j'ai rencontré deux abîmes qui me désespèrent. L'un
est le Néant, auquel je suis arrivé sans connaître le Bouddhisme, et je suis encore trop désolé pour
pouvoir croire même à ma poésie et me remettre au travail, que cette pensée écrasante m'a fait
abandonner. Oui, je le sais, nous ne sommes que de vaines formes de matière, mais bien sublimes pour
avoir inventé Dieu et notre âme. Si sublimes, mon ami ! que je veux me donner ce spectacle de la matière,
ayant conscience d’elle, et, cependant, s’élançant forcenément dans le Rêve qu’elle sait n’être pas.”
( Lettre à Henri Cazalis, Tournon, 28 avril 1866)

“En creusant le vers j’ai atteint le Néant” = scrivendo Hérodiade ha scavato il verso e ha raggiunto il Nulla →
Mallarmé, facendo questo lavoro estenuante sulla poesia, ha capito cos’è questo Nulla, questo sprofondamento totale,
questa negazione di tutto che ossessiona l’uomo. L’uomo normale però dimentica questo momento, Mallarmé invece
vuole arrivare a possederlo.
Dunque Hérodiade lo porta verso questa esperienza del Nulla, e questo Nulla lo incita non alla paralisi, ma al contrario
lo spinge all’azione: dice che vuole riuscire in questa impresa e che non toccherà più la penna se ne uscirà sconfitto.
Dans le travail de Mallarmé il y a désespoir de ne pas terminer l’Œuvre, car l’Œuvre avec l’Œ majuscule est la chose
plus importante.
La realizzazione di Hérodiade è dunque una scommessa, e ciò porta Mallarmé a grandissima crisi (come una
depressione): vuole riuscirci perché non può correre il rischio di essere un angelo che cade; il timore è quello del
fallimento → il fallimento in Mallarmé si presenta spesso come il disatro cosmico, come il mondo che nasce dal
disastro: da questo fallimento, da questo disastro nasce invece qualcosa di miracoloso che è appunto la poesia, così
come dal disastro cosmico è nato qualcosa di miracoloso, ovvero gli astri e la terra.

Dunque Don du poème poesia è una poesia molto importante perché rappresenta un momento di cesura.
Il titolo è apparentemente chiaro, ma come sempre la parola è densa di significato e mostra tutta la sua ambiguità: la
poesia è come dono, ma si tratta del dono che riceve il poeta o del dono che il poeta fa al lettore?

Analyse

Je t'apporte l'enfant d'une nuit d'Idumée !

- nel titolo leggiamo “dono”, dunque il poeta dona la sua poesia, ma è un dono che pesa
- il primo verso della poesia introduce un’indicazione geografica remota, ovvero la terra pre-desertica di Idumea (“terra
di Edom/Esaù”), abitata dagli Idumei, discendenti di Esaù: nella Bibbia si racconta delle lotte tra israeliti e idumei,
dunque capiamo che questa “nuit d’Idumée” ha a che fare con la lotta e con il deserto, dunque è una notte terribile, ma
Mallarmé non dice semplicement “une nuit noire” o “une nuite d’orreur”
- “enfant” → questa terra solitaria produce però qualcosa di miracoloso, qui infatti è presentata come metafora della
produzione di questo dono, ovvero della poesia, realizzata in una notte di dolori e di travagli, ovvero la notte di
sofferenza che il poeta vive mentre sta scrivendo Hérodiade a fianco di Don du poème → le poème est présenté comme
un enfant dont le poète serait le père.
- c’è un “je” e un “tu” → il “je” è il poeta che porta l’enfant, il bambino, dunque il figlio di questa notte d’Idumea : “ti
porto il dono di un figlio ciò che ho generato da una notte oscura, desertica di sofferenza” , è una notte dove ci sono
state delle lotte, sono racconti di violenza, di affronto quasi mortale,
- “nuit” → dans Crise de vers Mallarmé écrit que les mots sont quelque chose de mystérieux, comme un amas d’étoiles,
et la page blanche comme un ciel nocturne: il faut se rendre compte de la « perversité » du langage qui confère
contradictoirement des timbres obscurs ici, là clairs, comme nuit qui a un son ouvert, clair (i), contrairement à jour qui
est un mot obscur (u).

Nous sommes donc devant à un mystère, et comment peut-on entrer dans ce mystère? Il s’agit de procéder au
démontage impie de la fiction, de la fiction du sens produit par le langage de communication. Pour faire cela Mallarmé
rompt avec la syntaxe, qui est vue comme une chaîne mortelle qui enchaîne les paroles : en rompant cette chaîne on
peut libérer les mots et leur donner une nouvelle puissance.

Collegamento con Rimbaud: dans le poème Voyelles Rimbaud fait correspondre une couleur à chaque voyelle, et
chaque couleur est associée à une connotation morale:
- A noir → mort, décomposition, saleté
- E blanc → pureté, innocence
- I rouge → violence, excès
- U vert → calme, paix
- O bleu → divin
Le poème semble vouloir provoquer chez le lecteur un dérèglement (=squilibrio) de tous les sens: en effet, le poète,
voyant au-delà des apparences, découvre les correspondances cachées pour renouveler notre perception du réel.

Noire, à l'aile saignante et pâle, déplumée,


Par le verre brûlé d'aromates et d'or,
Par les carreaux glacés, hélas ! mornes encor
L'aurore se jeta sur la lampe angélique,

- “noire” a chi si rivolge? All’aurora (Mallarmé rompe la catena sintattica) : abbiamo 4 elementi per definire l’aurore:
l’aurora è nera, dall’ala sanguinante e pallida e senza piume
- “déplumée”→ ricordiamo che in Fenêtres compare un angelo le cui ali sono senza piume, dunque torna ancora
l’immagine dell’angelo destinato a cadere (ricordiamo che anche in Baudelaire gli uomini sono ATROCES con
l’albATROS, l’angelo che vuole volare lontano)
- “à l'aile saignante et pâle” → quest’ala del poeta è nera, sanguinante, porta in sé le tracce di una sofferenza, e di una
lotta
- ci dice poi che attraverso il vetro bruciato/scaldato da aromi e ori (dunque siamo una specie di luogo sacro dove
avviene una celebrazione, dove ci sono dei profumi), attraverso le vetrate, ancora fredde e oscure (perché siamo ancora
nella notte), l’aurora si è gettata sulla lampada angelica
- “lampe angélique”→ la lampada come un angelo accompagna il lavoro notturno del poeta (figura ancillare)
Opposition du jour et de la nuit:

• Caractéristique de la nuit dans ce poème : chaleureuse


- avant que l’aurore ne pénètre, « d’aromates et d’or » → richesse, chaleur, plaisir des sens.
- la nuit est éclairée par une « lampe angélique » → connotation religieuse

• Caractéristique de l’aurore :
- l'aurore est « noire » (antithèse)
- elle est semblable à un oiseau blessé → « déplumée », « saignante », « pâle »
- l’aurore efface la douceur de la nuit avec violence : « se jeta » → idée de rapidité avec laquelle l'aurore efface la nuit.
- « hélas » → regret du poète de voir cette nuit se terminer.

Palmes ! et quand elle a montré cette relique


A ce père essayant un sourire ennemi,
La solitude bleue et stérile a frémi.

- “Palmes” → l’aurora è il momento dell’uscita dalla notte, è il momento del risorgere del sole: di questa nuit d’Idumée
rimane solo un’immagine del deserto, un simbolo, ovvero la palma, che nella simbologia antica è segno di rinascita: la
palma è un elemento che collega la terra col cielo poiché i suoi rami si spingono come delle mani verso l’alto, mentre
le sue radici affondando nella terra fino a trovare nutrimento nell’acqua, rappresentando nelle vaste distese del deserto
la presenza di acqua, dunque di vita; per tale caratteristica simboleggia la rinascita
(Valéry scrive una poesia intitolata Palme poi la divide in due Aurore e Palme)

- riprendiamo la linea del discorso: l’aurora ancora nera, sanguinante, pallide, senza piuma, ha spento la lampada che
accompagnava il lavoro poetico, perciò arriva il giorno e colui che ha creato durante la notte deve osservare il suo
enfant/poème → cos’è questo lavoro? È un enfant di un deserto, di una terra terribile di sofferenze, è una reliquia
- l’aurora mostra questa reliquia a chi l’ha generata, dunque a questo père/poète che tenta un sorriso nemico
(oxymore), ovvero che guarda con inamicizia quella reliquia che lui stesso ha creato
- quando questa reliquia appare al padre, la solitudine blu, ovvero quell’isolmento necessario al poeta è attraversata da
un fremito
- “bleue” → rimanda all’idea di pureté ma..
- “stérile” → questa solitudine blu non ha prodotto nulla

Dunque abbiamo la figura di un padre che ha generato un poema, figlio di una notte di sofferenza, ma che nel momento
aurorale si scopre essere solo una reliquia, dunque qualcosa di sterile: il padre la guarda rinnegandola con sguardo
nemico, è il terrore del poeta di fronte alla propria sterilità → è la famosa metafora della pagina bianca di Mallarmé che
esprime l’impotenza: Mallarmé ha tematizzato la questione del terrore di non essere all’altezza, di non portare a
compimento il nostro lavoro.

Seconda parte della poesia:

Ô la berceuse, avec ta fille et l'innocence


De vos pieds froids, accueille une horrible naissance
Et ta voix rappelant viole et clavecin,
Avec le doigt fané presseras-tu le sein
Par qui coule en blancheur sibylline la femme
Pour des lèvres que l'air du vierge azur affame ?

- rivolge una preghiera alla berceuse (la donna che culla il bambino), symbole de pureté et source de réconfort
- la berceuse è accompagnata dalla fille: prima si parlava di un enfant non determinato, ora di una fille → è chiara
l’evocazione della figura della moglie Marie con la figlia Geneviève: la donna ha partorito la figlia, dunque ha qualcosa
da mostrare, lui invece non ha partorito niente
- la donna ha generato qualcosa di innocente, lui qualcosa di orribile
- l’innocence della donna che si alza con i piedi scalzi dal letto per prendere in braccio la sua bambina, per cullarla e
nutrirla → il soggetto è staccato, la linea sintattica è spezzata, il senso si stratifica come tanti strati di colore →
collegamento tra Mallarmé e gli artisti impressionisti, in particolare a Manet che faranno delle opere insieme: uno farà
lo scrittore dei testi e l’altro l’illustratore (comme pour la traduction de Le Courbeau de Poe) → siamo in un’epoca in
cui tutte le arti sono chiamate a intrecciarsi, un’epoca in cui il sacro sembra distrutto e viene ricreato attraverso l’Arte, e
scisso dai valori commerciali.
- la poesia termina con una domanda: il poeta chiede alla donna di accolgiere questa orribile nascita nel suo corpo
materno, ma di accoglierla anche con la voce, la voce musicale della viola e del calvicembalo, ovvero la voce dolce
della madre che canta una ninna nanna alla bambina
- sarai capace di premere con il dito il seno, attraverso il quale scorre questo bianco sibillino, per una bocca assetata di
aria del vergine azzurro? → queste labbra sono assetata da questo ideale azzurro : ricordiamoci della bocca affamata del
moribondo davanti alla finestra che si illude di acchiappare ancora una vita che ormai non c’è più, si illude che
attraverso il ricordo si possa aggrappare alla vita, e con la sua bocca sporca il vetro per cercare di catturare un’immagine
del tempo che fu, ma è soltanto un inganno; qui invece è la figura femminile ad essere portatrice di vita, è capace di
nutrire e di trasmettere la vita
- blancheur sibylline = symbole de pureté

Martedì 26 aprile 2022

Edizione La Pléiade → edizione riservata ai grandi autori come Mondadori

QUESTIONI DI TRADUZIONE MALLARMENA - Luca Bevilacqua

Il saggio di Bevilacqua sulla riflessione della traduzione mallarmeana mostra come il testo di Mallarmé si ponga in
modo problematico alla traduzione: il testo resiste al traduttore e si può consumare solo nella lingua in cui è stato
pensato, ovvero il francese.
La traduzione è un continuo ritorno sul testo, è una continua interrogazione del testo, è un tentativo di riscriverlo, di
restituirlo in un altro codice linguistico per metterlo a disposizione di un lettore che non sarebbe capace di leggerlo in
lingua originale.

Ogni qual volta ci si trova di fronte a una traduzione di Mallarmé, si prova l’impressione di un fenomeno
analogo a ciò che in fisica viene definito come dispersione di energia.

Nel passaggio dalla versione originale ala traduzione, la forza del testo si disperde → il fatto è che in Mallarmé, la
lingua di partenza è densa si effetti perché il piano fonetico (il suono) e quello semantico (il senso) si intrecciano a tal
punto da rendere tale dispersione inevitabile, allora come evitarla?

Traducendo Mallarmé in italiano si può provare a ricreare un equivalente dei suoi giochi fonetici, delle rime, un
equivalente del suo ritmo, della sua complessiva musicalità e della sua sintassi, ma bisogna comunque accettare il fatto
che quando si traduce qualcosa va inevitabilmente perduto: anche quando il traduttore si sforza di mantenere una certa
fedeltà, il rischio è che si cerchi di compensare la perdita aggiungendo degli effetti che creano degli arcaismi nella
poesia di Mallarmé → Mallarmé improvvisamente diventa un Mallarmé lezioso, compiaciuto della propria tecnica e del
proprio lessico e non lo riconosciamo più.

André Guyaux sottolinea al traduttore di Mallarmé alcuni punti importanti e specificatamente mallarmeani circa le rime
fondate sulla parola: egli individua 4 tipi di soluzioni, ovvero 4 tipi diversi di “jeux de rime”:
- la rima equivoca, quando due o più parole entrano in gioco tra loro: désires / idées / des iridées
- la rima omonimica, fondata cioè sull’omofonia: joue (verbo) / joue (sostantivo)
- la rima per segmentazione in cui una parola è il segmento di un’altra con cui viene chiamata a fare rima: astre / désastre
- la rime paronimica composta da parole che rimano per intero a eccezione della consonante iniziale: renaître / fenêtre,
nacre / sacre)
Una volta che abbiamo compreso queste caratteristiche della lingua di Mallarmé, che abbiamo visto bene il gioco che
fanno, la densità che si viene a creare (immagini che si sovrappongono e che si richiamano), questo scavo della parola
diventa impossibile da restituire passando per un altra lingua.
Quindi, sebbene la parentela linguistica tra italiano e francese consenta di salvare qualche raro caso (astri / disastri),
perdiamo comunque buona parte della vertigine vocativa che comporta l’originale, ma anche le ragioni stesse che hanno
portato Mallarmé a trovare certe soluzioni: a Mallarmé ciò che interessa è non tanto costruire il senso, quanto mettere in
movimento i suoni e i ritmi (un aneddoto racconta che Degas un giorno disse a Mallarmé si voler scrivere delle poesie
perché aveva tante idee in testa, ma Mallarmé gli rispose che la poesia non si fa con le idee ma con i suoni → sono i
suoni che guidano e portano il significato)

La grande particolarità di Mallarmé è che la sua opera tende anzitutto a se stessa: la traduzione vuole rivolgersi ai lettori
i quali chiedono una sorta di aiuto, chiedono un sostegno, ma non coglie il modo di essere della lingua, ovvero non
avverte come la lingua si dà nel testo mallarmeano.

Continua dicendo:

Ci avviciniamo a un punto decisivo e quantomai delicato: la consapevolezza riguardo la gravità delle


perdite che la traduzione comporta nei confronti di un originale estremamente denso e sofisticato, se
intesa in modo radicale , conduce alla conclusione che soltanto l’originale può e deve essere letto.

Se la perdita è alta, sopratutto nel caso di un’opera come quella di Mallarmé, si conferma il fatto che solo l’originale
può essere letto, altrimenti ciò che abbiamo letto non è ciò che è realmente.

Si può affermare in modo paradossale e provvisorio, che nel caso di Mallarmé ogni tradizione si rivela
superflua e inutile

Noi stranieri ci siamo avvicinati al testo, ci siamo serviti della traduzione, ma anche per è fondamentale lavorare sul
testo originale, altrimenti quel lavoro di avvicinamento alla sorgente primaria che è il testo originale non lo possiamo
apprezzare.

Leggendo l’opera di Mallarmé, il lettore straniere avverte l’urgente bisogno di una traduzione; in altri
termini, una discreta conoscenza del francese, sufficiente a leggere l’originale Lamartine, Hugo o
Baudelaire, risulta improvvisamente inadeguata quando si tratta di affrontare l’opera di Mallarmé: in
questi casi il lettore straniero chiede soccorso alla traduzione, che rivelandosi anche essa difficile può
diventare nella prassi il sostituto permanente dell’originale”

Qui Bevilacqua invita il lettore a fare una riflessione: l’opera di Mallarmé richiede l’aiuto della tradizione MA il rischio
è che si dimentichi l’originale per prendere come testo di riferimento quello tradotto.

La traduzione può costituire quel riferimento a fronte, quella guida per seguire il testo mallarmeano

Bevilacqua lascia spazio alla necessità di leggere Mallarmé con il testo a fronte, perché è una specie di guida che forse
anche un lettore francese non troppo abituato al linguaggio di Mallarmé impiegherebbe se ci fosse la possibilità di
tradurre nella stessa lingua, ma tradurre nella stessa lingua significa fare una glosa, una prosa, una sintesi del testo e
sarebbe un torto gravissimo fatto all’autore (Mallarmé vuole dividere il linguaggio della poesia da quello della tribù).
Molto spesso la critica stessa dell’opera di Mallarmé diventa un tentativo di mettere in un linguaggio più
accessibile ciò che invece è una sfida che viene lanciata al lettore: Mallarmé esige che quell’incontro con il lettore
ci sia un atto di tipo conoscitivo che lasci poi il segno nel lettore.

Tradurre Mallarmé è superfluo perché si perde troppo o fondamentale perché in questo modo si avvicina
il lettore al testo?
Non c’è una risposta, ma forse si può trovare un punto di mediazione: la traduzione è qualcosa “altro” rispetto al testo
originale perché il testo originale si dà in quella forma, e per il lettore straniero la traduzione non può essere che di
supporto.
Cita poi un esempio, ovvero la traduzione del Faune di Mallarmé che fa Ungaretti → alla fine il lavoro che fornisce al
lettore crea un forte squilibrio fra i vari registri linguistici e dunque anche qui abbiamo una grave perdita: Ungaretti, tra
le due guerre, è stato uno dei più grandi traduttori dal francese all’italiano, tanto da auto-tradursi in francese, e anche
figura importante per la circolazione della produzione letteraria italiana in Francia.
Insieme ad altri poeti sviluppa l’idea di tradurre bene la poesia per trasportarne la forza in un’altra lingua: elabora l’idea
che la poesia debba essere tradotta solo dai poeti, dando vita così alla traduzione di autore e della traduzione come
vera e propria creazione artistica.
L’esercizio di auto-traduzione è molto diffuso tra agli scrittori del Novecento ( Samuel Beckett è irlandese ma si auto-
traduce in francese, Nabokov scrive in inglese, ma il suo inglese è molto alterato dalla lingua materna russa).

Bevilacqua fa poi un’osservazione sulla tradizione di Patrizia Valduga: i due versi finali sulla vela di Salut diventano:

À n’importe ce qui valut


Le blanc souci de notre toile

A tutto ciò che l’alba cura


Ci valse della velatura

Salva la rima, ma attribuisce a Mallarmé un linguaggio troppo alto: i due versi finali hanno un lessico corrente
nell’originale (à n’importe qui, toile); quella della Valduga è una soluzione più raffinata dell’originale → si falsa il
lavoro della lingua di Mallarmé il quale non cerca parole arcaiche.

Mallarmé parla di “casualità del linguaggio” perché esso attribuisce suoni acuti e luminosi alla nuit e suoni oscuri e
lugubri al jour → Bevilacqua, riferendosi a questa particolarità del linguaggio mallarmeano, dice che l’ebbrezza che in
francese si insinua foneticamente nelle parole ( come in ivre) in italiano non viene data.

APPROSSIMAZIONI A MALLARMÉ TRADUTTORE – Valerio Magrelli

Nella sua riflessione sulla traduzione di Mallarmé, Valerio Magrelli afferma che non bisogna dire più di quello che dice
il testo, anche a livello di scelte linguistiche: facciamo parlare Mallarmé con una tonalità arcaica, troppo aulica, quando
invece questo tono non c’è a livello lessicale, ma si crea con l’alleanza tra suoni e senso.
Mercoledì 27 aprile 2022

LA POETICA DI MALLARMÉ VISTA ATTRAVERSO LO SGUARDO DI VALÉRY

Valéry racconta che Mallarmé lo riceveva spesso Valvins (proprietà in campagna dove Mallarmé si rifugiava), e proprio
a questi incontri Valéry dedicherà una poesia intitolata Valvins (da Album de vers ancines) → qui Mallarmé riceveva gli
amici più cari tra cui anche Manet: molti quadri di Manet sono dipinti proprio a Valvins, luogo prediletto per le loro gite
in barca.
I testi che abbiamo visto sono quelli scritti a Tournon (1863-1866), un piccolo paese in cui Mallarmé si sente esiliato
dalla civiltà che lui odia. Poi viene trasferito in un liceo ad Avignon, infine torna a Parigi (1871) dove trova il suo
habitat naturale, collabora con riviste ed editori, ed elabora il progetto folle di quell’Opera totale che deve comprendere
in sé tutte le arti, proprio come Wagner (Mallarmé, a dispetto dalla sua complessità, è il poeta che più di ogni altro è
stato messo in musica dai musicisti):
Ben presto, verso il 1877, la casa di Mallarmé alla rue de Rome diventa un punto di riferimento per artisti, poeti, pittori,
musicisti, critici non solo francesi: i “grandi” dell’epoca frequentano la sua casa che ricorda molto i salons littéraires
seicenteschi aristocratici; Mallarmé invece è figlio di una nuova società, tutta incentrata sui valori della borghesia. In
questo nuovo mondo egli cerca, da un lato, di sopperire al diktat delle riviste, dall’altro al diktat borghese, e crea il suo
milieu nella sua sua abitazione → nascono i cosiddetti “mardis” (l’appuntamento era tutti i martedì).
In futuro ci saranno le cosiddette “dimanches”, ovvero appuntamenti domenicali che riuniscono intellettuali di tutto il
mondo americani, russi, ecc. All’epoca Parigi era il cuore dell’arte dove Valéry incontrava Rilke, dove Hoffman Stalin
incontrava Joyce. Molti di questi artisti sono deditori dell’esperienza mallarmeana

Valéry è stato dunque uno dei discepoli di Mallarmé che, nonostante la venerazione nei confronti del maestro, ha avuto
anche la capacità di superarlo (Valéry ha tentato a lungo di scrivere qualcosa di organico su Mallarmé, ma è stata
chiaramente un’impresa ardua perché parlare di Mallarmé significa parlare di un affetto profondo che lo aveva
profondamente modificato).

Valéry (1871-1945) è stato un saggista prima, e poeta dopo la Prima guerra mondiale (la guerra è qualcosa che cambia
completamente il modo di essere di questi scrittori).
Uno dei suoi primi scritti in prosa è il saggio filosofico che gli viene affidato su Da Vinci, intitolato Introduction à la
méthode de Léonardo de Vinci (1894): una copia del saggio viene mandata al filologo che aveva curato gli scritti di
Leonardo, Charles Ravaisson-Mollien, figlio di un grande filosofo: è grazie ai suoi Manuscrits de Léonardo de Vinci
che Leonardo deve la sua fortuna → da questa operazione parte la grande consacrazione di Leonardo e il suo
riconoscimento, non tanto come pittore geniale e indisciplinato, che non termina mai ciò che comincia (come era stato
presentato da Vasari), ma come figura poliedrica, assetata di conoscenza. Tramite questi manoscritti Mollien mostra al
mondo intero che Leonardo era un grande pensatore, un ingegnere, un architetto, un botanico, un pittore e anche un
teorico della pittura (nei suoi manoscritti ci lascia il famoso trattato di pittura) → questi manoscritti vengono non solo
trascritti, ma anche tradotti, e grazie alla grande rivoluzione tecnica di fine Ottocento si possono riprodurre perfino le
immagini: n questa edizione infatti, Mollien imette l’immagine dei manoscritti, la trascrizione e la tradizione, dunque il
pubblico può vedere i manoscritti di Leonardo come se li avesse in mano (è un’opera gigantesca).
In quegli anni, alla fine dell’800, anche in Italia si lavora molto alla valorizzazione dell’opera di Leonardo: ad esempio,
il Codice atlantico è il manoscritto in cui Leonardo studia il movimento dell’acqua, in particolare i movimenti a
spiarali, simili ai riccioli delle donne, che essa fa quando si muove. Studia dunque le forme elementari della natura.
Leonardo diventa così un simbolo: per l’Italia e per la Francia rappresenta il genio latino per eccellenza → questa
genialità latina è radicata nel Mediterraneo, dove le grandi civiltà antiche sono nate, e dove si sono sviluppate (popolo
greco, romano, arabo e barbari) → è questo miscuglio di popoli che crea la grandezza dello spirito umano.
Il Mediterraneo diventa così una specie di di Eden al quale bisogna ritornare (dopo il 1870 invece ci sono forti tensioni
politiche in Europa).

Ravaisson-Mollien critica Valéry per il fatto di non aver parlato del suo libro e di non aver neanche suggerito al lettore
di leggerlo.
Ma di cosa tratta questo saggio? Introduction à la méthode de Léonardo de Vinci (1894) è un nuovo metodo che Valéry
propone rispetto a ciò che finora era stato il metodo per eccellenza, ovvero il metodo cartesiano: Cartesio aveva scritto
La méthode, su cui si basa tutto il razionalismo della nostra cultura (“cogito ergo sum”).
Valéry suggerisce un altro tipo di intelligenza e di metodo, è un’intelligenza interessata non più al fine delle come,
ma al procedimento → questa idea è espressa nella rappresentazione della Battaglia di Anghiari, realizzata da
Leonardo tentando una nuova tecnica, un nuovo tipo di affresco: quest’opera mostra come Leonardo studi nei minimi
dettagli un procedimento, come si può fare una cosa, e una volta capito tale procedimento la realizzazione diventa
secondaria, è interessato ai procedimenti mentali necessari a realizzare una determinata cosa, non al suo compimento
vero e proprio → per Valéry questa è la cosa più importante ed è anche ciò che lo differenzia da Mallarmé: per
Mallarmé tutto era in funzione dell’opera, per Valéry non è l’opera il risultato finale, ma il processo.

Selon Valéry, l’œuvre ne devrait jamais être achevée :

Un poème n’est jamais achevé – c’est toujours un accident qui le termine, c’est-à-dire qui le donne au
public

Egli afferma che la fine dell’opera è un “accident”: c’è qualcosa che mette un punto al processo di creazione (la
stanchezza del poeta, la pressione dell’editore, delle ragioni economiche..), dunque la fine dell’opera è un puro fatto
accidentale. L’opera in sé è infinita, è aperta per natura, perché non è mai chiusa, l’opera chiusa è un’opera morta.
Una volta consegnata al mondo, l’opera non appartiene più all’autore, appartiene a un altro soggetto che si chiama
lettore, è lui che le dà forma: senza questo processo l’opera morirebbe, mentre invece attraverso il lettore l’opera si
attualizza, diventa qualcosa che si adatta continuamente ai tempi, ha come dei caratteri mobili che in ogni epoca dicono
qualcosa di diverso → questa è la chiave della poetica di Valéry.

Tornando al rapporto con Mallarmé, Valéry manda questo saggio non solo a Ravaisson-Mollien, ma anche al suo
maestro Mallarmé: Mallarmé lo legge e gli dice “vede che lei si è messo su una promettente strada” → alla fine dell’800
questa “promettente strada” è la nuova forma letteraria che sarà il saggio, il saggismo, ovvero la riflessione sulla
letteratura, una filosofia della letteratura, che raggiungerà l’apice in in autori come Proust.
Proust è l’autore de À la recherche du temps perdu, un romanzo suddiviso in 7 volumi, in cui Proust va alla ricerca di un
tempo perduto: questo ritrovamento passa attraverso due elementi necessari, la memoria e l’arte:
- nel primo volume (Du côté de chez Swann) Proust parte con una riflessione sulla memoria → la memoria ci dà la
possibilità di rivivere momenti passati che associamo a determinate sensazioni, come il sapore della madeleine
riassaporato dopo anni, che ricorda al protagonista Marcel le giornate d'infanzia passate a casa della zia malata a
Combray
- la ricerca finisce con l’ultimo volume, Le temps retrouvé: l’artista ritrova il tempo fuggito grazie all’art, in che modo
questo tempo può diventare qualcosa? attraverso l’esperienza artistica → la recherche è il cammino dell’artista,
dell’elaborazione poetico.
In questo romanzo Proust ci consegna delle pagine straordinarie sulla memoria, sul funzionamento mentale della
memoria: cos’è la memoria? come insorge la memoria? Secondo lui esiste una memoria volontaria e una memoria
involontaria/spontanea → lui è interessato a quella involontaria: è quella riserva di esperienze che sta nel profondo di
ognuno di noi, che non sappiamo nemmeno di avere, e che basta un piccolo dettaglio, le “hasard” di cui parla Mallarmé,
per restituirci un’esperienza altrimenti destinata a essere perduta.
E dunque questo cammino, questa recherche du temps perdu, è la capacità di scavare nella nostra interiorità e
recuperare tutto quel vissuto che abbiamo perduto.

Quindi Mallarmé vede in quel saggio che Valéry gli manda il futuro della letteratura: si è messo sulla giusta strada.
Perciò la morte di Mallarmé è un disastro per Valéry: è la perdita del “padre”. Cominciamo questa ricostruzione della
notizia della sua morte che viene data a Valéry.
ŒUVRES I
BIBLIOTHÈQUE DE LA PLÉIADE

Édition Gallimard, 1957

Cette édition comprend non seulement toutes le œuvres de Valéry parues en volumes définitifs, mais un grand nombre
de ses écrits qui n’avaient pas été réunis en recueils.

Section: VARIÉTÉ
- STÉPHANE MALLARMÉ
- LE COUP DE DÉS : LETTRE AU DIRECTEUR DES MARGES
- DERNIÈRE VISITE À MALLARMÉ
- LETTRE SUR MALLARMÉ
- JE DISAIS QUELQUEFOIS À STÉPHANE MALLARMÉ...
- STÉPHANE MALLARMÉ

STÉPHANE MALLARMÉ

Un télégramme de sa fille m'apprit, le 9 septembre 1898, la mort de Mallarmé.


Ce me fut un de ces coups de foudre qui frappent d'abord au plus profond et qui abolissent
la force même de se parler. Ils laissent notre apparence intacte, et nous vivons visiblement ;
mais l'intérieur est un abîme.

- l’interiorità è un abisso

- come se certi argomenti non potessero essere toccati se non nelle conversazioni con il maestro Mallarmé
- quella perdita, quella morte brusca (le ravissement) ha reso gli argomenti intoccabili, non più violabili, come tutto ciò
che è sacro
- “pour toujours à mon attention” → li ha isolati in uno spazio sacro, interdetto, che non può più tornare sotto la sua
attenzione

- non solo era un uomo pieno di dignità, un uomo degno di essere amato per la sua grazia, ma rappresentava l’estrema
purezza della fede nella poesia
- tutti gli altri scrittori in confronto a lui praticavano l’idolatria, non erano votati all’unico dio, alla grandezza della
poesia → è attraverso la poesia che l’uomo può elevarsi: esempio della poesia di Ungaretti: gli umani sono sospesi su
un filo esile, come degli uccellini, ma da questa fragilità bisogna risollevarsi → la poesia è questo canto, anche
disperato, che l’uomo può ancora esprimere
- Valéry, ad esempio, dopo circa vent’anni di silenzio poetico in cui svolge un lavoro impiegatizio per mantenere la
famiglia, tornerà alla poesia durante la guerra (prima guerra mondiale) perché, come lui stesso afferma, in quel terribile
abisso (c’è tutta una generazione che muore al fronte, il mondo artistico si trova fortemente indebolito per la morte di
giovanissimo artisti → Apollinaire diventerà il simbolo del soldato ferito e Picasso lo rappresenta con la testa fasciata)
bisogna tornare ad essere come quei retori dell’antichità che in un angolo scrivevano degli esametri, mentre Attila
imperversava (Roma, che era stata all’apice di una grandezza della civiltà, adesso veniva distrutta dai barbari) → Valéry
dice che se nessuno avesse raccontato che c’è comunque una parte dell’essere umano che continua ad essere grande,
cosa sarebbe rimasto di quel mondo civile di Roma? Avremmo solo rovine, invece, in un angolo nascosto, dei poeti
scrivevano degli esametri per raccontare.
- qui vediamo quanto sia difficile per Valéry parlare del suo maestro, e poi passa a dirci chi è Mallarmé:

- si allontana dal gran numero, dalla moltitudine, dai favori, dalla gloria immediata che dà la fama, e guarda solo a ciò
che vuole
- disprezza ed è disprezzato

- non ci sono nell’opera di Mallarmé delle negligenze, cioè delle cose prive di valore: nella sua opera c’è un segno di
orgoglio → cos’è l’orgoglio? Quella spinta che porta ad affermarsi anche quando si sa di essere disprezzati, l’orgoglio
è la sfida

Valéry ricorda l’ultima visita fatta a Mallarmé in un testo che si intitola appunto Dernière visite à Mallarmé → parla di
Mallarmé e anche di sé stesso: après la publication dans Variété II, ces pages sont reprises une dernière fois, de manière
posthume, en 1950, au tome XII des Œuvres:

DERNIÈRE VISITE À STÉPHANE MALLARMÉ

Lorsque j’ai commencé de fréquenter Mallarmé en personne, la littérature ne m’était presque plus de rien.
Lire et écrire me pesaient, et je confesse qu’il me reste quelque chose de cet ennui.

- quando ho cominciato a frequentare Mallarmé, la letteratura per me non contava più niente
- leggere e scrivere mi pesavano, e confesso che ancora oggi mi è rimasto qualcosa di quella noia

Mallarmé, toutefois, figurait dans mon système intime le personnage de l’art savant et le suprême état de
l’ambition littéraire la plus relevée.

- Mallarmé era nel mio modo di pensare il personaggio del mondo artistico, che rappresentava l’arte più eccelsa, il punto
supremo dell’ambizione suprema, ciò il punto più alto a cui la letteratura potesse sperare di arrivare, ovvero sfidare la
parola (questo strumento così banale e volgare) e portarla a parlare di cose che hanno a che fare con il sacro

Je m’étais fait de son esprit une profonde compagnie, et j’espérais qu’en dépit de la différence de nos âges
et de l’écart immense de nos mérites le jour viendrait que je ne craindrais pas de lui proposer mes
difficultés et mes vues particulières.
- mi ero fatto della sua intelligenza una grande compagnia
- speravo che malgrado la differenza di età e lo scarto immenso dei nostri meriti, sarebbe venuto un giorno in cui avrei
temuto meno di esporgli le mie difficoltà, le mie considerazioni e punti di vista del tutto particolari (tra cui l’idea che lo
stato finale dell’opera non avesse grande importanza perché colui che termina l’opera è il lettore) → Valéry ci lascerà
delle opere straordinario e rivoluzionarie in cui prima ci dà la rappresentazione di un personaggio, poi, dopo diversi
anni, di questo personaggio viene svelato qualcosa, come se fosse un secondo capitolo di quel primo abbozzo → questo
è l’esempio del romanzo modernista, ovvero della scrittura “per frammenti”: sarà poi il lettore a mettere insieme
questi frammenti

Es. per quanto riguarda il romanzo Monsieur Teste di Valéry, ad un certo punto esce una lettera intitolata Lettre de
Madame Émilie Teste → non è Valéry che scrive: è rivoluzionario perché sono i personaggi stessi che moltiplicano
l’opera, e i lettore mette insieme tutti questi frammenti (in un’altra rivista verrà trovato il diario interiore di Monsieur
Teste)

Ce n’était point qu’il m’intimidât, car personne ne fut plus doux ni plus délicieusement simple que lui ;
mais il me semblait alors qu’il existât une sorte de contraste entre l’exercice de la littérature et la
poursuite d’une certaine rigueur et d’une entière sincérité de la pensée. La question est infiniment
délicate. Devais-je en saisir Mallarmé ? Je l’aimais et je le plaçais au-dessus de tous ; mais j’avais
renoncé à adorer ce qu’il avait adoré toute sa vie, et à quoi il l’avait toute offerte, et je ne me trouvais pas
le cœur de le lui faire entendre.

- amavo Mallarmé e lo mettevo al di sopra di tutti, ma avevo rinunciato ad adorare ciò che lui aveva adorato per tutta la
sua vita, quella cosa a cui aveva dedicato tutta la sua vita, e non trovavo il coraggio di farglielo capire

Je ne voyais cependant d’hommage plus véritable à lui rendre que de lui confier ma pensée, et que de lui
montrer combien ses recherches, et les analyses très fines et très précises dont elles procèdent, avaient
transformé à mes yeux le problème littéraire et m’avaient conduit à abandonner la partie. C’est que les
efforts de Mallarmé, très opposés aux doctrines et au souci de ses contemporains, tendaient à ordonner
tout le domaine des Lettres par la considération générale des formes. Il est extrêmement remarquable
qu’il soit arrivé, par l’étude approfondie de son art, et sans connaissances scientifiques, à une conception
si abstraite et si proche des spéculations les plus élevées de certaines sciences. Il ne parlait jamais,
d’ailleurs, de ses idées que par figures.
- non trovavo tuttavia omaggio più vero che non fosse quello di confessargli il mio pensiero; allo stesso tempo non
avevo il coraggio di mostrargli quanto le sue ricerche, le sua analisi così fini, così precise, avevano trasformato ai miei
occhi il problema letterario e mi avevano portato ad abbandonare la partita
- lo sforzo di Mallarmé andava verso una direzione in cui tutte le arti letterarie erano una questione di forme → la
letteratura è fatta di forme
- è incredibile come lui sia giunto, senza conoscenze scientifiche, ad una concezione astratta della letteratura così vicina
alle speculazioni le più alte di certa scienza → la scienza dice che un organismo è una serie di cellule con determinate
forme, la stessa cosa fa Mallarmé: questo sistema che è la letteratura è fatto di forme, e queste forme svolgono delle
funzioni, e queste funzioni creano l’organismo vivente della letteratura.

J’ai vu pour la dernière fois Stéphane Mallarmé le 14 juillet 1898 à Valvins. Le déjeuner achevé, il me
conduisit à son « cabinet de travail ». Quatre pas de long, deux de large ; la fenêtre ouverte à la Seine et à
la forêt au travers d’un feuillage tout déchiré de lumière, et les moindres frémissements de la rivière
éblouissante faiblement redits par les murs.

- Mallarmé muore il 9 settembre del 1898


- Valvins = luogo importantissimo in cui Valéry raggiunge spesso il maestro
- modestia del logis, ovvero del luogo in cui il maestro ha elaborato l’opera → è una semplice stanza: è uno spazio
minuscolo (4 passi di larghezza e 2 di lunghezza) dove viene elaborata un’opera incredibile, che ha sconvolto e
influenzato la generazione che gli sta intorno
- Valéry scriverà una poesia su Valvins in cui fa una descrizione molto poetica:la finestra aperta alla Seine (sembra
comunicare con la Seine) e la foresta attraverso un fogliame strappato dalla luce, e le piccole vibrazioni del fiume
stupefacenti, appena ripetute dai muri: questa luce che viene dalla finestra poi si proietta sul muro.

Mallarmé s’inquiétait des suprêmes détails de la fabrication du Coup de dés. L’inventeur considérait et
retouchait du crayon cette machine toute nouvelle que l’imprimerie Lahure avait accepté de construire.
Nul encore n’avait entrepris, ni rêvé d’entreprendre, de donner à la figure d’un texte une signification et
une action comparables à celles du texte même.

- Mallarmé si preoccupava dei massimi dettagli della fabbricazione del Coup de dés → “fabbricazione”: è una
fabbricazione, è un costruire → idea della fatica fisica e mentale nel costruire qualcosa che non esiste
- Mallarmé fa vedere a Valéry le bozze che l’editore ha già preparato del Coup de dés: Mallarmé sta vigilando tutti i
dettagli di questa edizione, cioè di come il testo deve essere spalmato sulle pagine, della grandezza dei caratteri, di
modo da simulare attraverso la disposizione tipografica la voce: diventa una specie di partitura dove si dice al lettore
come deve leggere, quanta distanza ci deve essere tra le parole nell’eseguire questa partitura.
- “dare alla figura di un testo un significato simile al testo stesso”

J’étais auprès de cette personne. Rien ne me disait que je ne la reverrais jamais plus. Il n’y avait point,
dans l’or du jour, de corbeau chargé de prédire.

- ancora una volta ritorna la parola poetica nel ricordare questo ultimo giorno con Mallarmé : “ero accanto a questa
persona, niente mi diceva che non l’avrei mai più ritrovata, non c’era nell’oro del giorno un corvo incaricato di predire”
→ è quasi una specie di rantolo, un pianto interiore affidato a questa sonorità
- il corvo è l’uccello del malaugurio, ma c’è anche il riferimento al corvo di Poe che ripete “never more” in maniera
lugubre → per Mallarmé Poe era stato molto importante (aveva tradotto il poema di Poe, come aveva fatto in
precedenza Baudelaire), dunque il corbeau è anche l’origine di un tipo di scrittura che parte da Poe e che poi ereditano
Baudelaire, Mallarmé e Valéry (anche per Valéry Poe sarà importantissmo soprattutto per il saggio sulla filosofia della
composizione).

Tout était calme et sûr… Mais cependant que Mallarmé me parlait, le doigt sur la page, il me souvient que
ma pensée se mit à rêver de ce moment même.

- era tutto calmo..ma mentre Mallarmé mi parlava e mi mostrava con il dito la pagina, ricordo che il mio pensiero si è
messo a sognare quel momento: sognava quel momento, quel momento di intesa massima con il maestro che riconosce
la maturazione dell’allievo e gli mostra il suo sogno, ciò che sta realizzando, che è appunto il “last point”, l’ultimo
punto verso il quale l’arte può arrivare → questo diventerà per Valéry una delle sue grandi sfide: raggiungere il punto
massimo; un’altra delle sue massime, delle sue regole, sarà “ostinato rigore”, che è la frase celebre che Leonardo Da
Vinci aveva scritto nella sua abitazione.

Son œuvre difficile à entendre, impossible à négliger, divisait le peuple lettré. Pauvre et sans honneurs, la
nudité de sa condition avilissait tous les avantages des autres ; mais il s’était assuré, sans les rechercher,
des fidélités extraordinaires. Quant à lui, dont le sourire de sage, de victime supérieure, accablait
doucement l’univers, il n’avait jamais demandé au monde que ce qu’il contient de plus rare et de plus
précieux. Il le trouvait en soi.

- la sua opera difficile da comprendere, impossibile da mettere da parte (négliger), divideva il mondo della lettere
- povero, senza onori, la nudità della sua condizione sviliva tutti i vantaggi degli altri → l’essenzialità, la povertà,
l’esiguità della sua abitazione, la semplicità della sua vita, rendeva vili e volgari i vantaggi che la condizione di scrittore
aveva dato ad altri → siamo in un’epoca in cui la letteratura diventa merce che si vende: il pubblico borghese ha
bisogno di stordimenti, ha bisogno di diversivi e dunque nasce la pubblicità (es. nei giornali e nelle riviste nasce la
distribuzione della letteratura), ma secondo Mallarmé per far sviluppare il pensiero di questo pubblico ci vuole buon
altro, ci vogliono “ricette forti” (come dirà Valéry)
- mais...nonostante questa nudità si era assicurato delle fedeltà straordinarie delle figure più grandi, infatti non possiamo
non comprendere questa grandezza di Mallarmé e pretendere poi di capire la modernità di questo straordinario
cambiamento della funzione delle lettere

Nous sommes allés dans la campagne. Le poète « artificiel » cueillait les fleurs les plus naïves. Bleuets et
coquelicots chargeaient nos bras. L’air était feu ; la splendeur absolue ; le silence plein de vertiges et
d’échanges ; la mort impossible ou indifférente ; tout formidablement beau, brûlant et dormant ; et les
images du sol tremblaient.

- è una descrizione di questa passeggiata con Mallarmé: possiamo dire che è un pezzo di “poème en prose” → siamo
andati “dans la campagne” (non “à la campagne”) dunque si sono immersi nella campagna
- qui abbiamo il poeta che va nella campagna e coglie il vero coquelicot (=papavero), il coquelicot che corrisponde a
quel fiore stesso che ha in mano → qui il poeta coglie i fiori più banali della campagna, non è quel poeta che quando
parla del “fiore” intende quel fiore che non sta in nessun bouquet
- era il mese di luglio, l’aria era infuocata → quest’immagine del sole che diventa fuoco è molto mallarmiana, ma è
molto presente anche in Valéry come una specie di palla di fuoco che rappresenta il punto di equilibrio massimo nella
volta celeste quando è mezzogiorno (ne Le Cimitère marin lo chiamerà “midi le juste” = mezzogiorno il giusto → è il
punto di equilibrio, dopodiché il sole si sposta e va verso il tramonto)
- la morte in questo paesaggio è impossibile o indifferente → l’idea di morte è il momento di assoluta bellezza, si
trovano in uno stato di grazia, sospesi in una condizione in cui non ha niente di terreno
- tutto era straordinariamente bello, bruciante e calmo → tutto brucia (anche nel senso che è toccante)

Au soleil, dans l’immense forme du ciel pur, je rêvais d’une enceinte incandescente où rien de distinct ne
subsiste, où rien ne dure, mais où rien ne cesse ; comme si la destruction elle-même se détruisît à peine
accomplie. Je perdais le sentiment de la différence de l’être et du non-être. La musique parfois nous
impose cette impression, qui est au delà de toutes les autres. La poésie, pensais-je, n’est-elle point aussi le
jeu suprême de la transmutation des idées ?…

- quindi lì al sole, in quella immensa forma di cielo puro, sognavo una barriera incandescente dove niente di distinguibile
sussista, dove niente possa durare e niente possa cessare, come se la distruzione stessa di distruggesse appena compiuta
→ è un tempo assoluto, in cui nulla dura ma nulla cessa, dunque neanche la morte è possibile in questo tempo che non è
più tempo.

Mallarmé me montra la plaine que le précoce été commençait de dorer : « Voyez, dit-il, c’est le premier
coup de cymbale de l’automne sur la terre. »
Quand vint l’automne, il n’était plus.

- Mallarmé mi mostrò la pianura che la precoce estate iniziava a indorare


- famosi cimbali nella poesia di Mallarmé

Nei Cahiers di Valéry, un’opera monumentale in cui sono raccolte le meditazioni del poeta dal 1894 fino al 1945 (anno
della sua morte), sono tanti i passaggi in cui rievoca Mallarmé → Valéry avrebbe voluto raccoglierli tutti in un’opera
organica sul maestro, ma che non è mai riuscito a compiere perché estremamente difficile dato il debito che aveva nei
suoi confronti e data la difficoltà di fare i conti con il tentativo di Mallarmé che nessuno ha proseguito con quella forza
e con quella disperazione.
Dunque il progetto di Valéry si trasforma, altrimenti il silenzio lo avrebbe sommerso: prova un’altra via, ovvero quella
di considerare l’opera come qualcosa di aperto, di non finito, e inaugura quella che noi chiamiamo l’estetica del non-
finito, per cui si rivalorizza il non-finito di Leonardo, il non-finito di Michelangelo, e tutta quell’idea del non-finito che
fa parte dell’estetica del Novecento.
Gide invece abbandona la poesia e rinnova il romanzo: cerca nel romanzo una nuova forma di sopravvivenza della
letteratura, ma anche per lui Mallarmé sarà importantissimo perché anche anche in Gide il problema della forma sarà
centrale: la letteratura è prima di tutto una questione di forma, è un’invenzione di forme.
Altri poeti, frequentatori dei cosiddetti “mardis mallarmeani”, rimangono invece impantanati nella ripetizione di
Mallarmé stesso: dunque spesso è una poesia affidata alla forza dell’immagine e costruita secondo modelli troppo fissi.
Altre figure interessanti, soprattutto i belgi, tentano di orientarsi verso la poesia fuori dal verso, ovvero il verso libero →
questa sarò la grande esplorazione della poesie del Novecento.

Differenza tra Baudelaire e Mallarmé → le grandi sperimentazioni del Novecento partono proprio da Mallarmé: quando
nel Novecento nascono grandi riviste come La Nouvelle Révue française (1909), che cerca di ammodernare e liberare la
letteratura dai modelli ottecenteschi, una delle condizione che pone Gide (uno dei fondatori della NRF) è che s’innovi la
tradizione senza però azzerare tutto, poiché Mallarmé è un caposaldo che non si può toccare → l’innovazione è
riconosciuta a partire da lì: la poesia è arrivata a “scavare il verso”, allora anche il romanzo deve riuscire a farlo. Da qui
parte una ricerca di confronto con altri modelli al di fuori della Francia, in particolare con il romanzo russo: arrivano in
Francia Dostoevskij e Tolstoj → non è più il romanzo realista, non è più il romanzo ottocentesco che parla della vita del
personaggio e la sua condizione nella società: adesso si ha un personaggio di cui si analizza l’anima, la parte spirituale,
la sua interiorità.
Poi arriva a Proust e siamo in un’altra pagina della storia della letteratura mondiale: quando il romanzo di Proust (À la
recherche du temps perdu) arriva alla redazione de La Nouvelle Révue française, Gides, che sta cercando di rinnovare il
romanzo, lo rifiuta. Dirà poi di aver fatto l’errore più grande della sua vita ad aver rifiutato questo romanzo.
Venerdì 29 aprile 2022

JE DISAIS QUELQUEFOIS À STÉPHANE MALLARMÉ...

- Valéry raconte qu’il parlait avec son maître de la manière dont son travail était perçu : les uns cherchent à lui faire des
compliments avec un intérêt particulier, et les autres se moquent de lui (narguer)
- vous irritez, vous faites pitié → voilà les deux sentiments qu’on a vis-à-vis de Mallarmé
- même les amis s’interrogent sur ce grand personnages (« vos amis hochent la tête »)

- c’est un dialogue hypothétique : même si ceux qui sont allés derrière Mallarmé ne sont la multitudes, ce jeune poème
qui a tant aimé son maître dit que dans quelque part, dans un petit coin de France, il y a un homme secret qui se ferait
couper un morceau (hacher) pour vous et pour vos vers
- « vous êtres son orgueil... »→ ce n’est pas la masse, la foule, mais quelqu’un: il suffit d’un seul qui puisse adhérer à ce
mystère, qui puisse s’isoler et trouver la confidence de l’œuvre du maître : c’est une œuvre difficile à trouver car on ne
la publie pas dans les journaux → c’est un travail qui demande beaucoup de sensibilité et d’obstination

- Valéry dit qu’il pensait à lui-même et à quelques-uns des ses amis qui se nourrissaient de la grandeur du maître
- pendant que Valéry fait à son maître ce discours, Mallarmé, face à ces mots dans les quels son disciple le vénère, se
taisait : le maître écoute

- Valéry précise au lecteur que les perfections et l’étrangeté de ses écrits rares (rares cas Mallarmé ne publie pas
beaucoup) , suggéraient l’idée de l’auteur qui est une idée très différente de l’idée qu’on se fait ordinairement des
poètes , même des grands poètes
- Valéry nous présente la réaction des amateurs de Mallarmé devant son œuvre, une œuvre sans pareil, qui surprenait : à
peine ouverte, cette œuvre suscite la surprise, elle séduisait l’oreille, elle s’imposait à la voix , et toute la parole, le
langage, se présentait à travers l’ajustement (organizzazione) des syllabes crées à force de travail, d’art → pour bien
comprendre cette idée que Valéry nous donne du travail de la syllabe (della sillaba creata a forza di cesellamento, di
lavoro), il faut se rappeler le premier vers de la poésie Don du poème:

« Je t’apporte cet enfant d’une nuit d’Idumée »


« Je t’apporte cet enfant d’une nuit d’Idumée »

- insistenza del suono « t »


- ecco cos’è questa sillaba scavata, lavorata, creata con arte, a forza di lavoro sulla materia linguistica→ i suoni si
rincorrono, si ripetono vertiginosamente : Mallarmé infatti dice che la poesia è esattamente ciò che non è la prosa : la
prosa è destinata a morire, non lascia alcun eco, mentre la poesie lascia il ricordo di una musica (Valéry dice che si
rimane stupiti da questo lavoro incessante)

- « tout de suite elle (l’œuvre de Mallarmé)... » → subito la sua opera imbarazzava la mente, lo spirito, lo stimolava,lo
sfidava nella comprensione: come dice Émilie Noulet l’opera di Mallarmé è fatta per essere letta, per rimanere alle
soglie del testo, e poi per ritornare al testo a più riprese, fino a quando non si è vinta la sua resistenza e non si è
compiuto quell’esercizio mentale che scioglie tutte le resistenze: alla fine quel testo viene a noi come una grande onda
che ci dà un’emozione
- « s’opposant.. » → opponendosi alla soluzione/trasformazione rapida del discorso in idea, quella poesia chiedeva al
lettore un lavoro molto fine dell’intelletto e una ripresa attenta del testo: è un’esigenza pericolosa, quasi sempre mortale,
mortale perché spesso il lettore chiude la pagina e non va avanti, oppure si consuma in quella lettura come una sorta di
sacrificio
- ecco che Valéry situa l’opera di Mallarmé a distanza dalla letteratura del tempo: la letteratura del suo tempo è una
letteratura dominata dalla rapidità, dunque dalla consumazione facile, perché prodotta in un tempo e in una società
dominata dalla fretta, e fatta di “feuilles” che intrattengono o esasperano questo movimento della consumazione rapida
dell’opera → fa riferimento alla letteratura ottocentesca, soprattutto alla forma del romanzo che si pubblica come una
qualunque merce che viene data in pasto ai lettori per creare illusione e evasione
- questi “feuilles” rimandano al “feuilleton”, ovvero alle pubblicazioni che venivano fatte settimanalmente o
mensilmente: un romanzo appariva sui giornali o sulle riviste a capitoli, e questo creava suspense nel lettore che era
invogliato a compare il feuilleton successivo → è la letteratura commerciale dell’Ottocento che ha creato la dipendenza
del lettore per tenerlo incollato a quell’illusione (è ciò che oggi chiamiamo “serie”); teniamo di conto che, a seconda
del successo che aveva avuto, l’editore pubblicava il volume intero del romanzo → è un fenomeno incredibile: dopo, in
questi giornali, compare la pubblicità.
- “chiunque tende a leggere ciò che chiunque avrebbe potuto scrivere”→ si tratta di qualcosa di banale, di piatto:
bisogna che chi scrive abbia un dono, un’arte che trasmetta sentimenti e sensibilità, che parli a un cuore e a una mente
→ Valéry però se la prende con questo regno della “hâte”, della fretta, e dei “feuilles”, se la prende con la letteratura che
si vende ai consumatori come una qualsiasi merce di scambio (è la regola del mercato → siamo agli albori del
capitalismo)

L’Ottocento è un’epoca complessa che ha elaborato sistemi sociali che sono tutt’ora quelli della nostra società. Ad
esempio nel romanzo naturalista Au bonheur des dames (1883) di Zola (Mallarmé riconosce che in Zola c’è della
poesia, c’è una grande attenzione alla forma) noi troviamo il mondo della mercificazione del piacere: il piacere è
rappresentato attraverso gli abiti in un grande magazzino, “Au Printemps” (sono i grands magasins di fine Ottocento),
un’enorme struttura in vetro e in ferro (come la gare d’Orsay e la Tour Eiffel).
Il mondo di Zola è appunto questo universo governato dalla legge del profitto, dalla rapidità, dalla realizzazione rapida,
ma questo tipo di economia danneggia le piccole economie: in questo Au bonheur des dames (già dal titolo si capisce
che c’è un invito a soddisfare i desideri, la felicità) c’è una quantità di merce enorme che è stata sottratta ai piccoli
negozietti, rappresentati come “piccoli mondi”, le cui vetrine iniziano a scolorire; le “bonheur des dames” invece viene
rappresentato come un grande mostro che si espande minacciosamente e divora i piccoli commercianti.
Questo romanzo è incredibilmente moderno perché è già pronto per una sceneggiatura: Zola già lo concepisce come un
sovrapporsi di immagini, che sono poi le immagini della città.
Dunque Valéry sta parlando di questo mondo.

Naturalismo
Erede del realismo, il naturalismo è una corrente artistica, filosofica e letteraria sorta in Francia e poi diffusa nel resto
d’Europa, nella seconda metà del 19° secolo, che ricerca la rappresentazione della realtà in modo obiettivo, senza gli
eccessi e la fantasia degli artisti del romanticismo → gli artisti e gli scrittori cercano di adottare la stessa obiettività e
immediatezza della macchina fotografica, dipingendo e raccontando senza alcuna modifica o intervento personale.

Prima lo scrittore poteva intervenire nella vicenda di volta in volta narrata con suoi giudizi e commenti in prima persona
(narratore onnisciente); ora, invece, all’autore naturalista viene richiesto il massimo distacco, per ottenere una
rappresentazione il più possibile impersonale: per gli scrittori naturalisti il narratore deve scomparire dietro l’azione che
racconta (narratore nascosto).

Uno dei suoi maggiori teorici fu Hyppolite Taine: legato al pensiero filosofico del determinismo, che affermava che
tutti i fenomeni sono il prodotto di alcune cause precise, Taine riconosceva nella razza, nell’ambiente e nel momento
storico i tre fattori fondamentali che determinano i comportamenti e le scelte degli esseri umani. Allo stesso modo, i
personaggi dei romanzi sono influenzati dall'ambiente (milieu) naturale.

Tra i maggiori esponenti del naturalismo francese, ricordiamo i fratelli Edmond e Jules de Goncourt, Guy de
Maupassant e soprattutto Émile Zola → quest’ultimo si sofferma spesso nei suoi libri sul motivo dell’ereditarietà, per
dimostrare come la storia di ogni persona sia determinata da fattori biologici e psicologici di origine familiare.
- “Puisqu’il s’agit en littérature d’amuser son homme ou de lui faire passe son temps”→ la letteratura deve divertire il
suo lettore oppure fargli passare il tempo
- “ici triomphe la croyance..”→ qui trionfa la credenza, l’illusione che il piacere e la fatica che escludano l’uno con
l’altro: ecco la letteratura ingannevole che vuole solo distrarre, solo far passare il tempo, che non chiede di fare uno
sforzo, che non chiede di invocare la volontà: è una letteratura di tipo reazionario perché tiene il lettore sottomesso,
mantiene il lettore in una condizione subordinata, anzi, il lettore è dominato perché non può sviluppare alcun pensiero
critico, la realtà è data così com’è e i lettore la accetta.

C’è un saggio di una semiologa francese che si è occupata di psicanalisi applicata alla letteratura e all’arte in generale,
(anche al cinema), in cui viene citato uno psicanalista francese, Octave Mannoni, che ha studiato molto il
funzionamento della mente dello spettatore davanti a uno spettacolo: Mannoni dice che lo spettatore, come il lettore, sta
sospeso di fronte all’evento riprodotto sullo schermo (nei film) o presentato sul palcoscenico, perché stipula un patto di
sospensione della credulità, di non-adesione con l’oggetto che gli viene presentato: questo patto si fonda sul “Je sais
bien, mais comme même.. ”, ovvero “lo so che è falso, ma aderisco comunque a questo mondo falso”.
In questo patto di non-adesione, di sospensione, in cui si pone il lettore / spettatore, bisogna che da un lato ci si lasci
prendere dall’emozione, ma che tutto rimanga al livello emotivo, perché se così non è c’è qualcosa di patologico → cita
l’esempio del cowboy che va al cinema e vede una scena western dove c’è un cattivo che tira fuori la pistola e uccide il
buono: il cowboy, con i suoi principi da cowboy, trova che questo sia moralmente inaccettabile, dunque a sua volta tira
fuori la pistola e spara al cattivo → cosa succede in questa scena? Lo spettatore esce dal patto, si dimentica in quale
posizione di sospensione deve rimanere, e prende per vero ciò che sapeva fin dall’inizio ciò che era falso, e si lascia
coinvolgere.
Questo tipo di letteratura, che Valéry mette in discussione e attacca, è una letteratura che fa dimenticare il patto, dunque
è una letteratura trompeuse, ingannatrice, perché chiama il lettore dentro la finzione, lo imbriglia dentro la finzione
anziché mantenerlo fuori e farlo interrogare suoi meccanismi che dovrebbero sollecitare la sua mente.

- il lettore di un tempo, che era stato educato fin dall’infanzia da Tacito e Tucidide con testi pieni d’ostacoli che
insegnavano a non indovinare la linea, ovvero a non renderla prevedibile (a volte in certi film scadenti sappiamo già
cosa dirà un personaggio → è troppo facile, è troppo lineare e banale, e lo spettatore non ha nulla di cui essere sorpreso
perché corre avanti nella storia), prometteva agli autori di essere un alleato, un complice (partenaire)
- la politica e il romanzo hanno sterminato questo lettore, il lettore disciplinato ed educato sotto la disciplina dei testi
antichi che non fugge gli ostacoli, che non percorre le linee del testo indovinandole, che non fugge di fronte a un senso
appena percepibile, a un senso che è ancora appena accennato
- invece il lettore che allontanava, che non respingeva i testi complessi di Mallarmé, era impegnato in un’operazione
che era re-imparare a leggere: abbiamo detto che la lettura è al centro della poetica di Mallarmé

- ecco che offrire al lettore questi enigmi di cristallo (da un lato, ciò che ci offre Mallarmé sono trasparenze, dall’altro
queste trasparenze sono enigmatiche), importare nell’arte del piacere, del commuovere attraverso il linguaggio (l’arte
letteraria), queste composizioni così aggraziate che però creano dei punti di resistenza davano a colui che osava
concepire l’idea di entrare in quest’arte di piacere del linguaggio, una forza, una fede, un ascetismo e un disprezzo delle
cose partagées, condivise e consumate da tute →la lettura di questi testi portava il lettore a un’esperienza rara: è
un’esperienza senza esempi nel mondo delle lettere, un’esperienza che cancellava tutte le altre esperienze meno superbe
e meno pure, ovvero quasi tutto

Valéry si chiede quale siano le opere così ardue, così pure come quelle di Mallarmé, che si possono trovare nella storia
letteraria. Forse Dante: egli ha fatto una cosa così ardua come Mallarmé → di Dante abbiamo l’illusione che tutti
possano comprenderlo perché scrive non in latino, ma in volgare, ma quello che conta è come quella lingua venga
raffinata e lavorata, e comprendere la complessità del lavoro della parola dantesca ha qualcosa che quasi assomiglia al
lavoro mallarmeano.
Valéry però è più orientato verso la lingua di Leonardo Da Vinci: in Dante lui percepisce la musica, il ritmo della terza
rima (infatti copia molti versi di Dante oppure li traduce), però dice che lo disturba l’eccessiva presenza della necessità
di costruire il senso: quando noi leggiamo Dante dobbiamo costruire il contesto e il riferimento per comprenderlo; a lui
interessa solo la sonorità. I rimandi al referente storico appesantiscono la lettura e li fanno perdere la musica.

- l’opera di Mallarmé richiedeva da ognuno un’interpretazione piuttosto personale: è evidente che ha dei punti di
ancoraggio a cui il lettore si aggrappa e costruisce il senso, tuttavia quella poesia invita a un’interpretazione piuttosto
personale → è come se la poesia appartenesse ad ogni lettore che a quella poesia si avvicina, e l’interpretazione cambi
da un lettore a un altro perché diventa esperienza euristica (di scoperta personale)
- quella poesia non richiama a sé se non delle intelligenze separate, tali da rifuggire l’unanimità, per cui non c’è un solo
modo di leggere la poesie di Mallarmé: ognuno è un’intelligenza che rende intelligibile quel testo
- tutto ciò che piace al gran numero, alla maggioranza, dall’opera di Mallarmé è eliminato: alcuna forma di eloquenza,
di racconto, di massime, nessun spazio alle passioni comuni (l’amore), nessun uso di forme scontate e familiari, niente
di quelle tracce umane, “troppo umane” che avvilisce poesia → « trop humain » è messo tra virgolette a caporale (le
virgolette alte “” invece servono per attirare l’attenzione su un senso altro della parola) perché è una citazione di
Nietzsche, ovvero, è il titolo in francese della sua opera, Humain, trop humain (1878-1879) → Valéry con «trop
humain» sta rimandando a tutta quella riflessione filosofica del pensiero e dell’opera di Nietzsche

In Nietzsche c’è l’idea del nichilismo. Anche per Mallarmé, quel “Néant” di cui parla è il punto in cui l’uomo arriva a
comprendere questo vuoto dell’esistenza e a interrogarsi su questa pochezza dell’umano: non bisogna fermarsi
nell’umano, troppo umano, ovvero all’ici bas di cui parla (Mallarmé non l’ha letto Nietzsche)

Esempio di poesia che presenta il «trop humain» , ovvero quei piccoli sentimenti, quelle cose scontate che Mallarmé
lascia fuori dalla sua poesia:

À ma mère - Théodore de Banville

Ô ma mère, ce sont nos mères


Dont les sourires triomphants
Bercent nos premières chimères
Dans nos premiers berceaux d’enfants.
Donc reçois, comme une promesse,
Ce livre où coulent de mes vers
Tous les espoirs de ma jeunesse,
Comme l’eau des lys entr’ouverts !
Reçois ce livre, qui peut-être
Sera muet pour l’avenir,
Mais où tu verras apparaître
Le vague et lointain souvenir
De mon enfance dépensée
Dans un rêve triste ou moqueur,
Fou, car il contient ma pensée,
Chaste, car il contient mon cœur.

- è una poesie semplice: le immagini sono semplicissime e le rime sono povere, basate solo sull’omofonia
- il suono è giocato tutto sulla ripetizione: ma mère / nos mères, mères / chimères, triomphants / enfants → sono delle
rime semplici che si trovano in qualsiasi rimario, ovvero un dizionario di rima
In Mallarmé invece troviamo astre / désastre → è una parola è emboitée dentro l’altra
- “Donc reçois, comme une promesse /Ce livre où coulent de mes vers” → è quella prosa che Mallarmé bandisce dalla
sua poesia: c’è l’uso del partitivo
- è una poesia che non lascia niente al lettore, è solo una poesie di intrattenimento; per il lettore invece quell’arduo
lavoro che chiede Mallarmé fa dell’atto di lettura un atto filosofico: bisogna entrare in questa ermeneutica del testo per
trarne fuori il senso → questa è la grande operazione che il lettore di Mallarmé deve fare.
Venerdì 6 maggio 2022

UN COUP DE DÉS JAMAIS NE ABOLIRA LE HASARD (1897)


Un colpo di dadi mai cancellerà il caso

Un coup de dés jamais n’abolira le hasard est l’un des tout premiers poèmes typographiques de la littérature française:
il est initialement paru, en 1897, dans le numéro 17 de la revue Cosmopolis, éditée dans sa version française
par Armand Colin; il est ensuite, sous forme de volume, republié dans La Nouvelle Revue française, le 10 juillet 1914 :
cette édition a été coordonnée par le docteur Edmond Bonniot, le gendre de Mallarmé.

Noi abbiamo visto come Mallarmé cercare di separare gli elementi della frase: lotta contro una lingua concatenata
rigidamente come quella francese: i puristi della lingua francese hanno da sempre sostenuto che il francese è la langue
de la clarté, perché è una lingua molto normata; tranne alcune eccezioni, la lingua francese risponde sempre a delle
norme molto rigide.
Mallarmé sa bene che la lingua francese è costruita in questo modo; studia molto anche l’inglese perché la ama
moltissimo: in Les Mots anglais studia come si sono sviluppate le parole inglesi, ma non fa un lavoro da linguista, bensì
da poeta, per cercare les alliances tra le parole (legami di suono e di senso): è interessato a vedere come da una radice
latina o francese sono nate la parole.
Quindi, quando si impone questo lavoro che come dice lui “nessuno ha mai fatto prima”, intende proprio il Coup de dés,
cioè il creare spazio tra le parole, per cui noi abbiamo un’opera che si deve leggere su più livelli:
- primo livello: un’unica frase essenziale a caratteri grandi forma la struttura portante dell’opera: UN COUP DE DÉS
JAMAIS N’ABOLIRA LE HASARD (ma non abbiamo tutto in una pagina: i caratteri si estendono su più pagine);
- altri livelli si sviluppa un altro tipo di testo fatto di frasi secondarie, dipendenti, incisi, apposizioni, reso attraverso
diversi caratteri tipografici;
In queste frasi esse si sviluppano i simboli e le metafore che illustrano il presupposto filosofico di una casualità che
presiede ai destini dell’uomo, indipendentemente dall’azione, che resta comunque indifferente.

Il discorso metafisico del Coup de dés, la scelta che si offre all’eroe del poema (“le Maître”) tra l’azione e la morte, si
articola attorno a simboli che si alternano e si intrecciano: il naufragio, il pugno levato del navigante sommerso che
stringe i dadi della sorte, la piuma che volteggia sull’abisso, il profilo di Amleto appena accennato, la sirena che subito
si immerge e, inulti mo, la rivelazione nel vuoto cielo lontano delle sette stelle dell’Orsa → riconosciamo i temi
ricorrenti dell’immaginario mallarmeano, arti colati attorno ad un pensiero che si rivela alla fine del poema: anche se
l’Eroe avesse gettato i dadi prima di scomparire nel mare, e anche se il Numero fosse apparso, il Caso non
sarebbe stato eliminato.
Il minimo atto, il minimo pensiero mettono in gioco il Caso e lasciano planare l’incertezza: tutto è indifferente, nulla
sarà avvenuto, ma resta l’apparizione magica nel cielo notturno di una costellazione, che riproduce il numero del colpo
di dadi in dimensioni cosmiche.
Vediamo che il testo è come disseminato sulla pagine bianca, le parole sono come gettate e sparse sulla pagine → la
versificazione si disloca nello spazio, a volte con un andamento a gradini, spesso a blocchi collocati sulla destra a volta
sulla sinistra rispetto al centro della pagina, creando suggestivi effetti spaziali che influenzano la lettura del testo
conferendo una certa drammaticità ai versi stessi. E’ un livello di sperimentazione che anticipa quella che oggi viene
chiamata ‘‘poesia visiva’'.

Ciò che che stabilisce i vari livelli di


disposizione del testo sono gli
elementi tipografici.
La sete di assoluto e il caso
Un colpo di dadi porta alle estreme conseguenze la ricerca poetica del Simbolismo decadente, riducendola alla massima
essenzialità, con esiti che verranno ripresi dalla poesia novecentesca: il Futurismo di Marinetti vi si collegherà per
quanto riguarda l’uso di diversi caratteri tipografi ci e la teoria delle “parole in libertà”; Ungaretti deriverà il concetto
della parola isolata nel silenzio e intesa come valore assoluto.
Ricollegandosi al motivo del viaggio e del mare, diffuso da Baudelaire a Rimbaud, Mallarmé ne fa l’emblema supremo
della poesia, tesa fra la sete di assoluto e l’impossibilità di raggiungerlo, per l’ineliminabile persistenza del «caso», che
vanifica ogni aspirazione a soluzioni e certezze definitive.

L’abbandono della versificazione tradizionale


In questo componimento poetico, la versificazione non segue un'impostazione grafica tradizionale ma si disloca nello
spazio, a volte con un andamento a gradini, spesso a blocchi collocati sulla destra, a volta sulla sinistra rispetto al centro
della pagina, per cui noi possiamo leggere una frase, o un pezzo di frase, dopodiché le parole possono sprofondare e
disporsi in modo sinuoso sulla pagina, disegnando quasi l’onda musicale che le accompagna: è un tentativo mai fatto
prima → se lo osserviamo a distanza sembra di vedere un diagramma, è appunto il diagramma della voce.
L’aspetto visivo diventa così fondamentale, proprio per quanto riguarda la stessa possibilità di comunicazione, sempre
più ardua e difficile, cifrata e oscura, del messaggio poetico. Le parole e i versi non vivono senza i grandi spazi bianchi
in cui sono immersi, simbolo del silenzio e del mistero indefinibile, in cui la poesia cerca disperatamente di appropriarsi
della verità.
La parola potrebbe essere vista, allora, come un relitto, che vaga nell’oceano infinito (anche questo motivo si può far
risalire a Baudelaire).

L’esperienza poetica di Mallarmé sarà alla base delle sperimentazioni delle avanguardie novecentesche, in particolare
dei futuristi, dadaisti e surrealisti, che non solo raccolsero la grande, estrema lezione del Coup de dès (che inaugurò la
spazializzazione del testo poetico e la funzione semantica assegnata agli spazi bianchi, alla disposizione tipografica e ai
corpi e ai caratteri della stampa), ma fecero proprie ed esasperarono le audacie sintattiche, le ambiguità semantiche e il
sapiente uso del «demone dell'analogia».
Il poeta che più di ogni altro è stato influenzato dal suo insegnamento è Guillaume Apollinaire (1880-1918) con i suoi
“calligrammes” (termine da lui stesso inventato, che deriva dalla contrazione di “calligraphie” e “idéogramme”), della
raccolta eponima Calligrammes (1918), in cui le parole rompono la linearità del testo, ovvero non sono più disposte da
sinistra verso destra secondo la tradizione occidentale (nella cultura cinese si scrive in verticale, in quella araba da
destra verso sinistra), ma si dispongono sulla pagina bianca per creare un disegno, generalmente collegato al sujet della
poesia, ma possiamo trovare anche forme/disegni che si oppongono al senso del testo → è una poesia visiva in cui la
parole diventano dei “misteriosi segni neri” , come li chiamava Mallarmé: da un lato c’è il suono e il senso, dall’altro la
figura che completa la produzione del significato.
Questa non è un’invenzione di Apollinaire, egli la porta all’estremo facendone la sua forma di espressione prediletta, ma
viene direttamente da Mallarmé.
Su questa linea procederanno anche i surrealisti introducendo addirittura la parola nella composizione del quadro,
dunque producendo testi che sono multifunzionali, che utilizzano la parola all’interno della produzione pittorica, oppure
portano l’immagine pittorica dentro la poesia attraverso dei collage. Ad esempio, molti sono i poeti dei paesi dell’Est
che lavorano sul collage nell’epoca in cui la libertà era pressoché inesistente → l’arte serviva a far veicolare dei
messaggi che il censore, educato a intercettare determinate parole, non sottoponeva alla censura perché non riusciva ad
entrare nella complessità dell’opera.

Adesso per ben capire quale fosse questo disegno così sconvolgente che Mallarmé fa leggiamo un altro saggio in cui
Valéry parla del suo maestro Mallarmé:

STÉPHANE MALLARMÉ

- Valéry lo presenta come un uomo il cui destino e la cui vita offrono un esempio di combinazioni più raffinate della
storia della mente (“esprit”)
-vuole presentare al lettore un episodio particolare (“singulier”)

- in questa specie di portrait, Mallarmé appare come un uomo che ha avuto un’esistenza mediocre, sottomesso alle
necessità materiali della vita: Mallarmé infatti era un insegnante, ma ha vissuto in modo semplicissimo e onesto, quasi
ai limiti della sopravvivenza → siamo in una società borghese in cui solo il lavoro che produce può essere riconosciuto,
in cui i piccoli fonctionners fanno una vita di stenti (pensiamo che gli stessi pittori impressionisti, amici di Mallarmé,
non possono permettersi di vivere solo della loro pittura)
- eppure quest’uomo che vive di poco, la cui vita è segnata dal bisogno, ha prodotto un’opera rara e difficile: è un’opera
così rara e difficile, che la gran parte di coloro che la aprono rimangono come schiacciati
- questi uomini incapaci di leggere quest’opera l’hanno derisa con questa tripla formula: oscurità, preziosità e sterilità
→ è oscura perché è difficile da penetrare, è preziosa perché è molto ricercata, ed è sterile perché non produce; è come
se Mallarmé fosse arrivato al punto massimo dal quale non può esserci uno sviluppo: tutta la generazione di poeti che
orbitano intorno a Mallarmé infatti rimangono schiacciati dal maestro, e Valéry stesso dirà che l’unica cosa da fare è
“tagliare la testa al grande maestro per salvare tutta Roma”, ovvero bisogna “eliminare”, in maniera figurata, il grande
maestro per salvare tutta quella fioritura di grandezze che erano state realizzate
- ma malgrado questa reazione, un numero molto ristretto di amatori di quest’opera impenetrabile, e per lungo tempo
introvabile, esiste: effettivamente, intorno agli anni 1890-95 si forma una grande sensibilità poetica attraverso le riviste
che, come abbiamo visto per i testi di Mallarmé, pubblicano i versi dei poeti ed hanno un circolazione limitata (vengono
diffuse tra gli amatori dei versi) ; piano piano si arriva a un’internazionalizzazione della poesia, cosicché le poesie di
Mallarmé iniziano ad essere lette anche da poeti stranieri

Quindi il grande pubblico disdegna l’opera di Mallarmé: Mallarmé dice che di fronte alla formula matematica , colui
che non ha gli strumenti per leggerla, ne riconosce la grandezza; quando invece si parla di poesia, siccome essa usa la
parola che usano tutti quotidianamente, quella parola viene tacciata di oscurità e sterilità. Al contrario, molti amatori
questa parola la apprezzano (la prisent) e se la comunicano segretamente, attraverso lo scambio di lettere, la
commentano, ma non cercano assolutamente di spanderla, di diffonderla. Essi sanno del resto che è un’impresa
impossibile, che giudicano quasi empia → è come dare in pasto a chi non sa apprezzare il bello e il sacro un oggetto che
rischia di essere disprezzato
- questo piccolo numero di persone che si crea intorno a Mallarmé, questi poeti, vengono chiamati “addetti” o “iniziati”,
come iniziati alla “religione della poesia” → c’è un saggio di uno dei maggiori critici della letteratura francese, Bertrand
Marchal, intitolato La religion de Mallarmé in cui il dio per Mallarmé è l’Arte, e la religione è la Poesia.

- “Pour le grand public..” → l’accusa del grande pubblico è che questa opera, che si deve ad una mente strana, è
sostenuta dalla foga di alcuni lettori, e dalla complicità di qualche “compare” (compagno di avventura)

- “Cependant..” → 35 anni dopo la morte di Mallarmé sono accadute molte cose, e sopratutto eventi letterari, creazioni
di scuole, opere che dovevano sorprendere e sconvolgere (Valéry parla delle avanguardie: dice che spesso lo scopo di
certa letteratura è soltanto sorprendere, scioccare, ma cosa rimarrà di tutto questo?)
- “Tout ce train..” → tutto ciò che è accaduto ha del tutto cancellato il nome, i giochi poetici, il piccolo raggio di
influenza che costituivano la notorietà di Mallarmé verso il 1895
- 17 gennaio 1933, grande evento: viene fatta una conferenza su Mallarmé, che è morto da 35 anni → è raro che si
proponga al pubblico il nome di uomo ormai caduto nel dimenticatoio; in realtà Valéry esagera un po’ le cose: il nome
di Mallarmé non viene del tutto dimenticato, infatti la rivista modernista La Nouvelle Revue française, voluta da André
Gide, amico di Valéry, e grande adepto della scuola mallarmeana, fondata nel 1908, muore immediatamente perché
alcuni redattori vogliono cancellare il nome di Mallarmé → per Gide invece una letteratura nuova può nascere, ma
deve nascere sulla tradizione, e nella tradizione iscrive in primis il nome di Mallarmé: la letteratura è cambiata a
partire da Mallarmé, e dunque non ci può essere una letteratura moderna se non si fa i conti con quella
modernità: è la quella “modernité” inaugurata da Baudelaire e Mallarmé; poi il modernismo diventerà negli ani 20-30
la ricerca di nuove forme poetiche e narrative (mentre la poesia ha fatto passi da giganti rispetto all’estetica romantica
grazie a Mallarmé, il romanzo arriva agli inizi del 900 che ha ancora a che fare con modelli del realismo)

- se qualcuno volesse fare un’indagine nel campo dell’editoria e della libreria, potrebbe mostrare che la vendita di
quest’opera giudicata impenetrabile è salita molto dopo la morte del poeta, e non ha neanche cessato di mantenersi alta
- “tandis que..” → mentre invece l’opera di tutti quei poeti che lo circondavano, tipo Catulle Mendès, adesso è
relativamente lasciata da parte
- non voglio fare nomi perché per alcuni questo distacco è qualcosa da rimpiangere, per altri invece è profondamente
ingiusto, ma mi attengo ai fatti; uno è che la storia fa giustizia: coloro che pretendevano di avere l’attenzione del
pubblico, adesso l’attenzione l’hanno persa, e colui che ne gode è proprio Mallarmé; un altro fatto è che accanto
all’opera di Mallarmé, che viene richiesta dal pubblico, sta anche una fioritura di testi, di commenti, di studi, di lavori
bibliografici e critici sull’autore, non solo in Francia, ma all’estero (vengono pubblicate le sue poesie o gli studi sulle
idee di Mallarmé )→ è sorprendente
- Valéry scrive ciò con riconoscimento la grandezza del suo maestro, ma anche con sofferenza perché la notorietà a
Mallarmé non è mai arrivata in vita (muore senza aver pubblicato l’opera più gigantesca, Le coup de dés: non riesce
nemmeno a comporre la raccolta, ha pensato a questa raccolta, ha deciso il piano generale, ma muore nel 1842 e
passeranno molti anni prima che Deman, nel 1897, pubblichi questa preziosa raccolta)
- “L’influence…” → in Italia gli studi mallarméani iniziano prestissimo: dunque vediamo che l’influenza di Mallarmé
copre l’Europa intera: la poesia tedesca, russa, italiana fanno i conti con le idee e gli scritti di Mallarmé

- “La gloire de Mallarmé..” → per molti, la gloria di Mallarmé è incomprensibile quanto il suo modo di scrivere: alcuni
autori, la cui memoria è abbastanza sbiadita e a cui fa riferimento Valéry, che però all’epoca di Mallarmé avevano titolo
per decidere per una pubblicazione, sono rimasti citati in alcuni aneddoti: uno di questi aneddoti racconta che uno di
loro avrebbe chiesto a Mallarmé “ma perché tu scrivi così la poesia?”, e lui rispose “io scrivo tutto così, anche il
biglietto della spesa” → per Mallarmé di tratta di salvare il linguaggio da questo disfacimento: il linguaggio è la cosa
più preziosa che è stata donata all’uomo (afasico → difficoltà di esprimersi e di esprimere il mondo), e secondo lui
questa facoltà deve essere sviluppata al massimo per potere renderne omaggio.
- dunque Mallarmé ha scritto per un tempo che non l’ha saputo apprezzare → questo accade spesso in letteratura come
in pittura: il povero Leonardo non fu capito dagli uomini del suo tempo, lo stesso Stendhal scrisse “J’écris pour un
lecteur qui me lira 50 ans plus tard”(scrivo per un lettore che arriverà tra cinquant’anni): lo scrittore è sempre proiettato
oltre, è colui che ha la capacità di interpretare il mondo e di superare gli strumenti di cui tutti dispongono, dunque il suo
tempo spesso non è in grado di accoglierlo e comprenderlo, perché il suo salto è troppo avanti.
- a 18 anni Valéry (nasce nel 1871) scopre la poesie e la letteratura: conosce il nome di Mallarmé soprattutto attraverso
delle presentazioni ironiche che gli venivano rivolte in varie pubblicazioni
- “la derisione è un tipo di pubblicità che no bisogna affatto trascurare” → questa legge della pubblicità “in negativo”
è una legge che regge anche la pubblicità contemporanea (“non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che
se ne parli, per essere sempre alla ribalta”): tutte le tecniche di sfruttamento della pubblicità nascono proprio
nell’Ottocento, anche se esisteva in precedenza in altre forme
- Valéry in questa presentazione di Mallarmé ci restituisce il quadro di un’epoca: quando il nome di Mallarmé comincia
a circolare e la sua opera inizia a diventare quasi un feticcio perché Huysmans scrive À Rebours: l’opera è tutta
incentrata sull’Arte del suo tempo, e il personaggio principale, Des Esseintes scopre tutta la cultura della fine
dell’Ottocento, e tra i vari volti compare proprio Mallarmé, e le citazioni delle sue poesie
- “vi ricordo che in questo libro l’autore vi descrive il modo di vivere di un raffinato, che si chiude nella solitudine,
allontanandosi dalle figure che lo disgustano, e coltiva qualche raffinatezza” (questo personaggio ricorda lo stesso
Mallarmé, schifato dal mondo e dai “porcs” che lo circondavano)
- dégoût / goût → sono collegati dall’effetto sonoro + la frase è costruita in modo simmetrico perché abbiamo il verbo
(fuit), un possessivo (ses), un aggettivo che esprime una quantità indefinita (nombreux), il complemento oggetto
(dégoût), poi di nuovo il verbo (cultive), un possessivo (ses), un aggettivo indefinito (quelques) e il complemento
oggetto (goût) → siamo in una pagina di prosa, ma vediamo l’attenzione al valore poetico della prosa (Valéry
costruisce le frasi come perfette costruzioni simmetriche ed armoniche)

- “Certains poème de Mallarmé, copiés par des calligraphes..” → nel romanzo compaiono dei versi di Mallarmé copiati
dai calligrafi: il calligrafo, figura che domina per tutto il medioevo, è colui che possiede l’arte dello “scrivere bene”, e
che deve, con molta cura, comporre il libro scritto a mano, il manoscritto; il suo lavoro è un lavoro d’artista, prezioso (le
copie vengono impreziosite con le miniature), dunque nel romanzo i versi di Mallarmé vengono copiati da calligrafi
perché è un’opera che merita la cura e l’eleganza dell’arte calligrafica
- “Huysmans cita alcuni versi di Hérodiade et de l’Après-midi d’un Faune che mi catturarono”: Hérodiade è quel
poema lungo con cui vuole rivoluzionare la poesia e il teatro per tornanre a una forma di teatro sacro, ma che non
riuscirà a terminare (questa opera lo distrugge fisicamente e mentalmente); di Hérodiade rimangono dei frammenti che
furono pubblicati dopo la morte di Mallarmé e che sono stati poi musicati da musicisti; l’altra opera che tenta di
scrivere e riesce a terminare dopo Hérodiade è L’Après-midi d’un Faune (il tema è collegato alla mitologia)
- “Les jugements..” → questo desiderio vivo di conoscere meglio Mallarmé mi venne leggendo le citazioni e le
annotazioni eccitanti del personaggio del romanzo, ma la cosa non era semplice, e qui Valéry ci dà un’idea della vita
fuori Parigi, della vita di provincia (Paris n’est pas la France, la France n’est pas Paris)...
- la vita letteraria non era quella degli anni 30: si pubblicava solo in certe riviste, dunque non era possibile cogliere i
fenomeni mentre stavano accadendo
- dice che ci si poteva accorgere tuttavia, chi si interessava alla vita letteraria, che né i parnassiani, né i naturalisti, né i
moderati che occupavano grande spazio nella repubblica delle lettere, non erano gli unici che valevano qualcosa
- “On respirait..”: nell’aria del tempo c’era qualcosa di nuovo

- un giorno trova per caso delle poesie scelte di Mallarmé che conosceva in modo vago → scopre questa poesia così
ammirabilmente costruita, e le forme così piene e preziose, e i versi così compiuti che è impossibile augurarsene dei
diversi
- Mme Moreno era un’attrice che leggeva molta poesia accompagnata dalla musica (ancora la poesia era un’arte che si
leggeva in pubblico, nei salotti letterari, nelle librerie, che erano una specie di salotti pubblici)
- Valéry ci propone Brise Marine e Fenêtres

- abbiamo un soggetto che esce dalla notte


- “j’ai lu tous les livres”→ ha consumato tutti i libri, ma questa esperienza artistica non è più sufficiente
- “fuggire! là-bas!” → opposizione mallarméana tra il “là-bas” e “l’ici-bas”
- “sento che gli uccelli sono ebbri di essere in mezzo alla schiuma sconosciuta e i cieli”→ questo luogo là-bas ha a che
fare con un confine marino, lontano dalla terra degli uomini
- “niente, né il vecchio giardino riflesso negli occhi tratterrà il cuore che già nel mare va a gettarsi”
- “o notti! né la chiarezza desertica della mia lampada” → abbiamo già visto la lampe angélique che accompagna il
lavoro poetico
- torna l’immagine della pagina bianca
- neanche la giovane donna che allatta il suo bambino tratterrà il poeta
- “je partirai” → è una promessa di partenza: questo verso di Mallarmé evoca un verso celeberrimo di Victor Hugo, in
una poesia della raccolta Contemplation, in cui racconta di un viaggio che dovrà fare, e questo viaggio è scandito da
questo imperativo/promessa a sé stesso; alla fine il luogo in cui si recherà il soggetto è la tomba della figlia morta
(Hugo come Mallarmé perde un figlio e dedicherà molte poesie alla scomparsa della figlia, come Mallarmé tenterà di
scrivere Tombeau pour Anatole)
- “lève l’ancre” → invita la barca a levare l’ancora e andare verso un mondo esotico e lontano
- “mâts” → alberi della nave
- nella seconda parte c’è questo tentativo di partire, ma c’è anche la possibilità di conoscere il naufragio; nonostante
questo, questo cuore spinto dal desiderio, anche senza alberi, anche senza fertili isole verso cui andare, si lascia trarre
dal canto del marinaio che è il canto dell’evasione
- in Brise marine Valéry dice che c’è un riferimento ad Albatros de Baudelaire

La seconda poesia di cui parla Valéry è Fenêtres:

- per quanto riguarda Fenêtres Valéry dice che è diversa dalla poesie di Baudelaire: con Fenêtres siamo già nella fase in
cui Mallarmé sta cercando di liberarsi dall’influenza baudelariana, ecerca di andare verso immagini più sintetiche
- questa costruzione per opposizione che c’è in Fenêtres diventa un elemento di tipo compositivo che viene intercettato
da Rimbaud, e che lo riutilizza
- in Rimbaud abbiamo il colore più crudo, il realismo più brutale e il lirismo meno puro che in Mallarmé (Valéry ha
amato molto Baudelaire e Mallarmé, ama anche Rimbaud)
- anche Valéry a un certo punto ha abbandonato la poesia, ma non ha incendiato tutto come fece Rimbaud: Valéry
abbandona la poesie nel 1892 circa ed entra in una crisi terribile cercando una via d’uscita, una via nuova; Rimbaud
invece arriverà a non scrivere neanche più un verso e condurrà una vita errabonda in Africa archiviando l’esperienza
artistica definitivamente
- “Mais l’un et l’autre…” → queste due figure, Mallarmé e Rimbaud, tra il 62 e il 72, sotto l’influenza della stessa
persona, ossia di Baudelaire, portano questa testimonianza: il desiderio di accrescere la tenuta della rappresentazione
realistica e la tenuta di una rappresentazione mistica che è l’anima della poesia
Martedì 10 maggio 2022
JEAN-PAUL SARTRE (1905-1980)

Jean Paul Sartre est le père de l’existentialisme, c’est à dire l’étude de l’existence de l’homme en tant que phénomène
qui faut aborder d’un point de vue philosophique.

L'existentialisme est un courant philosophique et littéraire qui embrasse tous les courants de pensée qui conçoivent la
philosophie, non pas comme savoir abstrait, mais comme effort de l’ individue dans la recherche de la signification de
l’existence.
Les auteurs Schelling, Kierkegaard, Stirner, Nietzsche, Dostoïevski et Kafka dès le XIXe siècle (1800), développent une
« philosophie existentielle » que méditeront leurs successeurs au sein de l'existentialisme.
Ce dernier prend sa forme explicite de courant philosophique au XXe siècle (1900) :
- d’abord en Allemagne, dans les travaux de Martin Heidegger (dans les années 1930)
- puis en France, dans les travaux de Jean-Paul Sartre, Simone de Beauvoir, Maurice Merleau-Ponty et Albert Camus
(dans les années 1940 et 1950).

L’existentialisme considère que l'être humain forme l'essence de sa vie par ses propres actions, celles-ci n'étant
pas prédéterminées par des doctrines théologiques, philosophiques ou morales → l’ individu est un être unique maître
de ses actes, de son destin et des valeurs qu'il décide d'adopter.
Bien qu'il existe des tendances communes entre les penseurs existentialistes, des différences subsistent :
- existentialistes athées comme Jean-Paul Sartre
- existentialistes chrétiens comme Søren Kierkegaard, Paul Tillich ou Gabriel Marcel

L’existentialisme sartrien est résumé par la célèbre formule : « l'existence précède l'essence », c'est-à-dire que chaque
individu surgit dans le monde initialement sans but ni valeurs prédéfinies, puis, lors de son existence, il se définit par
ses actes dont il est pleinement responsable et qui modifient son essence ; à sa mort, son essence se fige.
En cela, l'être vivant se distingue de l'objet manufacturé qui a été conçu pour une fin, et se définit donc plutôt par son
essence (qui, en opposition avec l'existence, serait un aboutissement et non un point de départ).

Sous cette tendance de l’existentialisme sartrien on va classer toute une grande période, alors que certains écrivain,
comme Camus et Heidegger, rejettent explicitement l'appellation « existentialisme » au sens que Sartre lui donne ; en
fait, l'existentialisme sartrien n'est pas représentatif de la philosophie existentielle en général, il n'en est qu'une version :
sans l’existentialisme il y a une vision très négative de l’existence, mais ce n’est pas le cas chez Camus.

Poésies
Poésies
Choix de vers de circonstance
Poèmes d'enfance et de jeunesse

PRÉFACE DE JEAN-PAUL SARTRE

Ce texte de Sartre sur Mallarmé est très important : Sartre réhabilite, en quelque sorte, certaines théories de la littérature
qui partent de Mallarmé, et de l’autre côté il prend la vie de Mallarmé comme un exemple d’une sorte d’existentialisme
psychologique, à travers l’examen de l’état psychologique.
Les théories de la littérature mallarméenne sont revisitées par Sartre et par Roland Barthes, donc c’est une lignée qui
permet de rependre Mallarmé et de lui rendre justice. Déjà Gide et Valéry avaient rendu justice à Mallarmé en refusant
d’omettre l’apport de Mallarmé à la définition d’une nouvelle littérature au début du XX e siècle, lorsque tous les
écrivains cherchaient à développer une nouvelle forme de roman (nous parlons du roman post-naturaliste, qui n’est pas
encore le roman moderniste): cette recherche de renouvellement du roman va amener à la nouveauté du roman
moderniste avec Joyce, Proust, Thomas Mann, etc.
Ce texte de Sartre, qui est une préface à un recueil de poèmes de Mallarmé, a été publié en 1952 :

Mallarmé
1842 – 1898

- 1842-1898 → date de naissance et de mort de Mallarmé qui servent à indiquer une précise période d’évolution des
formes poétiques
- Sartre commence par une phrase qui contient un mot très important : il présente Mallarmé comme quelqu'un qui vit un
désir de révolte qui ne trouve pas son point d’application, donc c’est une révolte qui est dominée et réprimée → il faut
faire attention au mot « révolte » : ce sera une bonne dizaine d’années plus tard qu’une jeune étudiante de Bulgarie,
Julia Kristeva, reçoit une bourse d’étude pour se former à Paris, à la Sorbonne. Elle vient donc de pays de l’Est qui,
après la Deuxième Guerre mondiale, sont tombés sous la domination soviétique. Cette jeune étudiante se rend donc à
Paris et ne rentrera jamais plus chez elle.
Elle rencontrera un personnage extraordinaire qui enseigne dans une école des Paris, Roland Barthes : c’est un grand
philosophe, critique littéraire et sémiologue français qui fait des recherches sur le langage à travers les formes et les
genres littéraires, et qui essaie de renouveler l’espace de la critique: Barthes est intéressé aux aspects formels du texte
(le texte est une sorte de machine qui produit du sens grâce aux mots et aux relations entre les mots).
Dans les pays de l’Est, d’où Julia Kristeva vient, travailler sur la littératures est un risque parce que cela signifie
travailler sur les idées, et donc tomber sus le contrôle de la censure.
Kristeva, comme beaucoup de chercheurs, travaille non pas sur les thèmes, mais sur les formes : cela permet de
spéculer sur ce qui apparemment n’expose pas une idéologie, c’est à dire sur le langage.
À travers beaucoup de linguistes qui ont crée cette orientation formaliste de l’analyse du langage , sur la base des
recherches des formalistes russes (comme Roman Jakobson qui s’installe à Paris, contribuant ainsi à cette phase
extraordinaire de réflexion sur le langage est) et des pays de l’Est, va naître le structuralisme , une démarche théorique
qui consiste à envisager la langue comme une structure, c’est-à-dire un ensemble d’éléments entretenant des relations
formelles: le texte est une structure, et on va l’analyser en tant que tel, libéré de l’auteur et de la psychologie de l’auteur.
Voilà l’ enchaînement signifié-signifiant et comment le sens se construit.
C’est une voie qui révolutionne le domaine de la critique littéraire en lui donnant un cadre et une méthode novatrice : il
permet de se libérer des critiques qui voyaient l’œuvre comme une sorte de reproduction de la vie de l’auteur.
Donc, les recherches des formalistes russes deviennent très intéressantes pour les chercheurs français. C’est ainsi que
l’analyse structuraliste s’impose comme dominante.
Kristeva, qui s’intéresse au langage poétique, va écrire une œuvre importante du point de vue théorique et de l’étude de
Mallarmé : La révolution du langage poétique dédiée à Mallarmé → on y voit de nouveau ce mot « révolte », qui est
présent déjà en Sartre : Mallarmé est un jeune qui a un désir de se révolter, une révolte qui ne trouve pas son point
d’application. Où se jeune va appliquer ce besoin? Dans le langage.

- « la société, la Nature, la famille.. » → Mallarmé est quelqu'un qui se révolte contre la société, contre la Nature, contre
la famille, et tout le le contexte sociale, jusqu'à même mettre en cause l’enfant pâle qu’il voit dans une glace (lui même)
- la contestation est énorme, mais le champs d’application est plutôt restreint
- si on veut être révolutionnaires, si on veut se révolter, il faut le faire dans le calme, sans se salir les mains
- la bombe est efficace: pour pouvoir faire sauter quelque chose, il faut savoir où il faut placer la bombe et ce qu’il faut
sauter (bisogna sapere cosa fare saltare con questa bomba)
- Mallarmé n’est pas et ne sera pas un anarchiste, il sera plutôt un pseudo-anarchiste → Sartre renvoie à la période
dans laquelle il y a dans la société française des forces anarchistes, de forces qui sont contre le pouvoir, mais qui ne
font pas partie d’un front qui s’engage → pour Sartre, l’engagement d’un homme de culture, d’un artiste, est
fondamental : l’intellectuel est un ouvrier qui travail avec l’esprit et il produit des produits de l’esprit, et pour le faire il
doit être dans la situation, doit comprendre la situation.
Mallarmé, comme Degas, sera un anarchiste, mais pas un anarchiste en tant que adhérant au mouvement anarchiste,
mais dans le sens qu’il ne sera ni d’un côté ni de l’autre, il sera dans une position détachée de tout → ils refusent toute
action singulière.
- Sartre interprète la calme qu’on attribue toujours à Mallarmé (on le présente toujours comme un homme gentil,
humble, calme) : celle de Mallarmé est une sorte de violence gouvernée, mesurée → ici Mallarmé est vu par Sartre
comme un homme qui domine sa violence et la transforme en idée de violence
- Mallarmé ne fera sauter le monde, il le mettra entre parenthèses → c’est comme si le monde, avec ses saletés, ne lui
appartient pas, ou mieux, comme si le monde était un espace de vie dans lequel il n’y a pas de place pour lui, par
conséquent, il garde toujours ses distances
- il choisit le « terrorisme de la politesse » = il choisit d’être terroriste (celui qui assume des positions extrêmes et qui
attaque)
- Mallarmé est présenté comme un homme calme qui se met à distance du monde

Mais alors, comment-il manifeste sa violence, son besoin de révolte ? Cette révolte il l’applique à la littérature, il
l’applique au vers et au verbe (la parole), il se fait terroriste en littérature en exprimant cette distance du monde à
travers le travail poétique

- « Au temps des premiers poèmes... » → dans les premiers poème de Mallarmé la dette envers son maître est
reconnaissable, donc ce sont des poèmes de ré-création (ré-écrire : nouvelle création de quelque chose qui existe déjà)
- Blanchon nous dit que la pros se contente d’elle-même
- « si le poète peut isoler un objet poétique dans le monde, il est déjà soumis aux exigences de la Poésie : il est engendré
par elle» → si le poète veut faire de la poésie et mettre dans le monde un objet poétique, cela veut dire qu’il est soumis
aux exigences de la Poésie, et donc si l’on isole un objet dans le monde, lui Mallarmé est engendré par la Poésie : c’est
la Poésie qui fait naître le poète, ce n’est pas le poète qui fait naître la Poésie : c’est la Poésie en tant que ensemble
de règles, d’exigences, qui détermine le poète
- pour Mallarmé la Poésie est une exigence, il n’en parle comme une vocation, c’est la vocation des adeptes qui sentent
cet impérative auquel il faut répondre ; Mallarmé n’est pas poussé par l’urgence d’exprimer quelque chose (un
sentiment) il est plutôt poussé par un ordre : pour lui faire de la Poésie est un ordre
- l’ordre que Mallarmé possède est : « tu manifestera par ton œuvre que tu tient l’univers à distance » → voilà ce
que la foi dans la Poésie lui suggère, lui impose: de mettre à distance, à travers l’œuvre , le monde
- et en effet, ce premiers poésie n’ont d’autres sujet que la Poésie elle même : par exemple, Salut est un hommage au
banquet de poètes, aux poète de la revue, au lecteur de la poésie ; Le pitre châtié est un saltimbanque qui produit un jeu
majestueux, qui fatigué de la fatigue que l’ordre catégorique impose, essaie de trouver des satisfactions de manière plus
simple, donc de sortir de la baraque, de tout faire sauter, et de se jeter dans les eaux fraîches, mais il s’aperçoit que dans
l’eau il a perdu tout son fard, c’est à dire tout le trucage qui lui permettait de faire quelque chose de différent par
rapport à ce qui était déjà donné ; aussi Don du poème parle de la poésie, de la nécessité et de la difficulté de produire
un objet poétique : Don du poème est aussi une sorte de accouchement (=parto) du poète, mis en relation à
l’accouchement de la femme (élément autobiographique)
- « On a fait remarquer que l’déal dont il est sans cesse question dans les poème reste une abstraction... » → plusieurs
critiques de Mallarmé ont défini cet Idéal vers lequel va le poète comme quelque chose d’abstrait
- ...et le travestissement poétique a été vu comme une simple négation → quand on s’éloigne de la réalité on va vers un
Idéal et on omit tout le reste : c’est l’espace de l’aspiration à quelque chose et de la négation de tout ce qui n’est idéal
- « en prétendant qu’on s’éloigne pour rejoindre l’idéal » → voilà les accusations à Mallarmé: qu’on s’éloigne de la
vie, du monde, pour rejoindre l’idéal..
- « Mais, il lui eût fallu croire en un Dieu » → avoir cette foi implique avoir une sorte de Dieu, un Dieu qui garantie la
poésie
- « les poètes de la génération précédente étaient des prophètes mineurs » → on parles des poètes de la génération qui a
précédé Mallarmé, par exemple Hugo: pour lui le poète était un prophète, celui qui annonce à l’homme la vérité du
monde ; dan ce sens, le poète est supérieur au philosophe (le philosophe fonde sa lecture du monde sur une base
rationnelle, tandis-que le poète somme à la raison la sensibilité, il voit les liaison sécrètes des choses)
- « Dieu parlait par leur bouche » → pour ces poètes précédents Dieu parlait à travers le poète, mais dans l’univers
mallarméen il n’y a plus de Dieu, Dieu est mort
- « il fallait que la Poésie demeurât transcendante bien qu’il eût supprimé la source de toute transcendance » → le
monde transcendent est le monde au-delà du monde matériel, c’est un monde spirituel qui a besoin d’un Dieu, ma si
Dieu n’existe plus, qui faut-il situer au sommet de ce monde transcendent ? Pour Mallarmé la Poésie : cette foi dans la
poésie est la seule possibilité d’agir spirituellement dans le monde, d’ouvrir les portes de l’esprit.
- Mallarmé donne un espace aussi à la nature : c’est le vent des ancêtres → Mallarmé veut positionner la poésie au
sommet de l’espace méta-physique, mais cette poésie c’est une poésie qui a déjà existé, c’est une poésie qui est faite de
vers anciens → il faut hériter ses vers anciens, d’en subir la force, pour pouvoir l’écrire à nouveau, pour la faire
ressusciter comme une sorte de verbe sacré → la religion, en effet, est la reprise, la résurrection du message de Dieu, et
si maintenant la Poésie est à la place de Dieu, la reprise sans cesse de la parole poétique n’est qu’une ré-actualisation de
la parole poétique
- « ainsi les poèmes remontent de notre mémoire» → si la Poésie est quelque chose dont on hérite et on mémorise,
chaque fois qu’on fait de la Poésie on ré-actualise cette Poésie, et alors c’est une question de ré-mémoration, et si c’est
une question de ré-mémoration, et pas quelque chose que monte de l’ âme, qu’est-ce c’est cette inspiration ? Mallarmé
ne croit pas à l’idée romantique du poète inspiré: la poésie de Baudelaire, de Gautier est une réminiscence, une ré-
mémoration de formes connues et ré-écrites → il n’y a pas d’inspiration, seulement des réminiscences

Donc, chez Mallarmé, Sartre le souligne avec force, il y a un refus de l’idée de la Poésie fondée sur l’inspiration.
Pour lui la Poésie est uniquement un ensemble de formes, et tous le thèmes poétiques qui ont été traités dans l’histoire
de la Poésie, pour lui se réduisent simplement à la représentation de la poésie comme concept abstrait et formel.
Le langage de Mallarmé nous le montre très biens : il nous montre que pour lui la Poésie est un ensemble de sons, il n’y
a pas de sentiments. Le devoir du poète est de montrer « les mots qui brillent » : nous pouvons dire que Mallarmé met
en scène la Poésie : le sujet en tant que sujet théâtrale pour Mallarmé est la Poésie, la Poésie joue le rôle principale sur
la scène, elle montre les jeux de formes, d’images, d’alliance, de jeux rhétoriques.

« L’apparition de l’homme transforme pour celui-ci l’éternel en temporalité et l’infini en hasard » → phrase très
importante à travers laquelle Sartre indique la philosophie de Mallarmé : si on laisse apparaître l’homme, on est dans le
matériel et dans la temporalité, on est dans le temps, et alors l’infini disparaît, l’infini est transformé en hasard.
Mallarmé arrivera à proclamer le poème qui se fait avec l’absence de l’auteur : le poète doit se taire, doit disparaître,
seulement les mots doivent venir à la surface

Et d’ailleurs le Coup de dés montre exactement cela : il n’y a pas de sujet dans le Coup de dés, il n’y a que les mots qui
sont sur scène: le mots sont jetés sur la pages et l’auteur, responsable de ce jeu, est absent → dans la poésie de
Mallarmé il n’y a plus de voix d’auteur, c’est un texte qui annonce la mort de l’auteur, et à partir de cette idée
extrêmement moderne, plus tard, dans la littérature on parlera de la « disparition de l’auteur » : le texte est présenté
sans qu’on puisse le reconduire à un point de vue précis, à un auteur responsable de la parole dite.

- « Mais pour un mode fini le monde apparaît comme une perpétuelle rencontre, une absurde succession de hasards » →
si on reste dans le monde fini, tout ce qui se passe, tout ce qui arrive, est le fruit d’une perpétuelle rencontre dans un
perpétuel hasard
- «Ainsi l’impuissance du poète symbolise l’impossibilité d’ être homme. Il n’y a qu’une tragédie, toujours la même: il
jette le dés.. » → dans ce monde que Mallarmé imagine il y a la seule possibilité de jeter les blocs de dés, les mots qui
sont jetés comme les dés.

- « L’homme de Mallarmé comme celui de Pascal s’exprime en termes de drame et non en terme d’essence» → il cite
Pascal, puis cite Ribot* (qui à-fera une théorie de cette impuissance), et il s’arrête sur l’idée d’impuissance, cette
obsession de Mallarmé de travailler et de tomber dans l’impuissance (le travail artistique est un défit continu et le risque
est la faillite, l’impuissance)
Ribot* est un des premiers médecins qui s‘intéresse au fonctionnement de l’esprit, au fonctionnement mental, mais
surtout à la formation des images mentales, des souvenirs et de la mémoire : nous sommes dans une phase pré-
freudienne où on étudie le fonctionnement du cerveau (domaine de la psychiatrie) → les travaux de Ribot précèdent les
travaux de Freud.
Donc on entrevoie chez Mallarmé une méta-physique pessimiste

- « Sa grandeur est de vivre son défaut de fabrication jusqu’à l’explosion finale » → Sartre reprend l’idée de Mallarmé
enragé, qui a un grand besoin de révolte
- « avant Mallarmé, Flaubert déjà...terroriste» → Mallarmé a souvent écrit à son ami Cazalis qu’il aurait voulu tenter le
suicide, qu’il était désespéré, donc c’était une homme traversé par une pensée suicidaire.
- « le suicide et le crime étaient les seuls faites surnaturelles.... » → l’homme, comment peut-il être surnaturel ? À
travers le suicide et le crime il s’assure du pouvoir surnaturel
- « il appartient à certains hommes de confondre leur drame avec celui de l’humanité » → et cela les sauvent car ils
disent « je ne me tue pas car mon crime est un crime contre l’humanité, contre la vie qui nous est donnée par Dieu » :
c’est quelque chose de mystérieux, il a fallu un interminable enchaînement de hasard pour détermine notre présence au
monde; donc refuser le suicide et le crime, pour certains hommes signifie sauver l’humanité, éviter de commettre
quelque chose contre l’humanité ; par contre il y en a d’autres: Mallarmé sait bien que s’il se suicide, ce drame n’est
pas le drame de l’humanité, s’il se tue l’espèce humaine ne viendra mourir avec lui. En disparaissant l’homme retrouve
en quelque sorte une pureté
- c’est la hasard qui a déterminé l’homme, et à travers l’acte extrême du suicide, le hasard s’évanouit, se réabsorbe avec
l’homme
- « L’infini enfin échappe à ma famille.. » → il cite un passage de Mallarmé : l’infini se rattache à la famille ; nous
savons que Mallarmé a perdu très jeune sa mère, et il ne se consolera jamais de la morte de sa mère et de sa sœur : la
sœur qui s’appelle Marie porte le nom de celle qui deviendra sa femme (dans certains poèmes le visage de la sœur
morte et de la jeune femme vivante vont se superposer). De cette absence de la figure maternelle Mallarmé ne pourra
jamais se consoler. Plus tard, il y aura aussi la terrible mort de son fils Anatole.

Partie finale :
« Héros, prophète, mage et tragédien, ce petit homme féminin, discret, peu porté sur le femmes, mérite de mourir au
seuil de notre siècle »
- cet homme qui a porté le fardeau de l’héritage de son siècle, un homme qui est un héros car il mène une bataille
mortelle contre sont temps, contre son héritage artistique ;
- ce prophète qui annonce de nouvelles questions, des questions qui seront centrale au XXe siècle (la mort de l’auteur,
l'arbitrairété du signe, le thème du hasard) ;
- cet homme, qui est aussi un tragédien parce qu’il a montré le drame du poète, le drame de la poésie, le drame des
mots ;
- cet petit homme féminin : « féminin » parce que dans le tableau de Manet nous voyons un homme au profil délicat,
qui n’était pas grand (Sartre interprète l’image de Mallarmé qui été transmise par la peinture et la photo, mais aussi
l’image de Mallarmé transmise par ses adeptes, par ses disciples → un homme gentil, accueillant, chaleureux, et
simple) ;
- cet homme discret parce qu’il était toujours à distance, retiré, peu porté sur les femmes
- il mérite de mourir au seuil de notre siècle : c’est une sorte de victime, et comme victime il meurt au seuil → quand
on est sur un seuil on est sur deux espaces, et en effet, avec Mallarmé meurt une forme de poésie mais, au même temps,
une nouvelle forme de poésie naît : il laisse un héritage incroyable sur le langage artistique et poétique (Mallarmé n’a
pas écrit de textes théoriques, ses positions théorique sont présent d’un côté dans la poésie, et de l’autre côté dans les
textes en prose)

« Il applique systématiquement à l’art ce qui n’était pas encore qu’un principe philosophique et devait devenir une
maxime de la politique : faire et en faisant se faire» → voilà la loi extraordinaire de l’art : l’artiste est celui qui fait, et
pendant qu’il fait, il se fait : on se construit à travers l’art, c’est en faisant des vers que je devient poète, c’est en faisant
de l’art que je me fait artiste, on devient ce que l’on est → c’est une valeur philosophique, artistique et politique même.
Pour Sartre, philosophe est écrivain, cette loi est très importante car pour lui l’action est la chose fondamentale :
participer à la vie, être active dans la vie, être responsable de ce que nous faisons et de ce que nous sommes à travers
notre faire → voilà la leçon mallarméenne, reprise par Sartre au milieu du XXe siècle : voilà ce Mallarmé situé aux
seuils du XXe siècle, qui dit « adieu » au XIXe, mais en tant que prophète et mage, annonce les thèmes fondamentaux
du siècle à venir (la question du suicide, d’être au monde, de se fabriquer..)

Les mots dans Mallarmé sont lourdes de sens, et quand on les utilise il faut être conscient de cette densité : c’est ainsi
qu’on retrouve la liberté → l’enseignement de Sartre est que la littérature enseigne la liberté d’esprit , de dominer
les choses, d’ être responsable de son propre langage
Mercoledì 11 maggio 2022

LE SYMBOLISME

Pour définir le « Symbolisme » nous allons prendre les Œuvres Complètes de Paul Valéry de l’édition Pléiade*, et nous
allons lire des pages qu’il à consacré au Symbolisme pour essayer de donner un définition précise à partir d’un texte
élaboré par un des écrivains le plus proches du mouvement.
*Nous avons deux éditions des Œuvres Complètes de Paul Valéry :
- édition La Pléiade de 1957
- édition Le Livre de Poche → cette édition, en 3 volumes, a été réalisée par Michel Giaretti, un grand spécialiste de
Paul Valéry,

Page 586 du première volume des Œuvres de Paul Valéry

ŒUVRES I
BIBLIOTHÈQUE DE LA PLÉIADE

Édition Gallimard, 1957

Section: VARIÉTÉ

Il nous guide dans cette découverte d’explication :


- Valéry essaye de montrer que ce mot « Symbolisme » est un mot qui a plusieurs sens : comme tous les mots c’ est un
gouffre (=abisso) sans fond
- le mot « Symbolisme » est aussi un énigme pour beaucoup de personnes: Valéry dit qu’il connaît quelqu'un qui s’est
interrogé sur petit mot de « symbole » auquel on attribuait une profondeur imaginaire, mais ceux qui s’interrogeaient
sur ce mot n’était pas forcement des personnes sans préparation littéraire.
- les hommes qui pouvaient être inscrits sous l’étiquette « symboliste », eux-mêmes n’ont jamais pris ce nom comme
l’on pris ceux qui sont venus après
- Valéry nous dit que lui-même il a utilisé ce terme de plusieurs façons
- Valéry nous dit clairement que c’est un mot abstrait qu’on utilise pour tâcher de définir quelque chose, pour tâcher à
résoudre la nébuleuse de chaque mot abstrait → « Symbolisme » est un mot abstrait qui définit quelque chose d’infini,
qui a plusieurs significations
- Déjà on a plusieurs manières de prendre ce mot « Symbolisme »: pour les uns obscurité, étrangeté, opacité, recherche
excessive, pour d’autres recherche d’un spiritualisme esthétique, d’une esthétique qui devient recherche spirituelle, ou
correspondances entre les choses visibles et invisibles (rendre dicible ce qui est indicible), d’autres encore prennent le
mot « Symbolisme » pour définir une certain liberté dans la forme (faire sortir le langage de lignes étroites du langage
ordinaire), pour faire sauter la prosodie, la forme, le bon sens (le bon usage → c’est la langage standard: un grand
grammairien français, Grévisse, nous a laissé un ouvrage dont le titre est Le bon usage, le bon usage c’est l’emploi de la
langue selon les règles, mais le symbolistes ne se contentent pas des règles, ils travaillent contre les règles de manière à
retrouver une sorte de virginité du langage, et dire même ce qui est indicible → le langage est toujours inadéquat pour
traduire la pensée)
- Valéry déclare que le mot a un pouvoir excitant l’illimité
- « tout l’arbitraire de l’esprit est ici à son aise » → la liberté de l’esprit d’aller où il veut, sans limite, sans discipline, à
l’aventure, dans la perspective du Symbolisme est à son aise
- on ne peut pas infirmer ni confirmer ces diverses valeurs du mot « Symbolisme » → donc il nous présente ce mot
avec plusieurs facettes, toutes sont valables
- le Symbolisme est aussi une manière de creuser les mots

- Arago est un astronome français → Valéry choisit le nom d’une scientifique pour éclairer les questions de convention
dont on se sert aussi pour classer les faits littéraires : les sciences humaines on les traite comme on traite les sciences
naturelles
- Valéry se sert d’un anecdote, sans dire quelle est la source : la question important est parler de la manière de nommer
le chose

- « le ciel de la littérature » → parallélisme


- l’arc chronologique est arbitraire « si vous voulez... » (les idées ne sont pas quelque chose qui datent d’un instant)
- « nous y trouvons quelques chose, quelques système.. » → c’est une sorte de galaxie d’auteurs qu’il rencontre dans
cette partie du ciel littéraire
- tout comme le prince qui parle à Aragon, nous ne sommes pas certains que cet mot « Symbolisme » est vraiment celui
qui indique le phénomène: nous sommes des hommes, nous n’avons que le langage pour définir les choses, mais quand
nous définissons nous réunissent dans un mot beaucoup de choses

- Valéry nous montre avec ironie que les hommes qui nous définissons « symbolistes ». ils ne s’appelaient pas
« symbolistes », comme les hommes du Moyen Âge ne doutaient guère qu’ils vivaient dans cette époque (ils ne savaient
pas que c’était le Moyen Âge), comme les hommes du XVe et du XVIe siècle ne mettaient pas sur leurs cartes de visite
« Messer Un tel, de la Renaissance » → ce mot a été choisit après, pour définir un ensemble de phénomènes qui se sont
produits à une époque donnée, mais tout les hommes qui y sont impliqué ne le savaient pas→ cela signifie qu’il y a une
distance entre le moment où les choses sont produites et le moment où les choses sont regardées de loin, et si on regarde
de loin, on voit un amas et les détails sont perdus → si cela s’applique à la littérature, quand on définit « Symbolisme »
nous définissons un amas, et nous lassions de côté tous les détails qui font d’une personne un créateur qui est différent
d’un autre (Baudelaire, Rimbaud, Valéry..)
- « ...et bien libre de le faire » → en réfléchissant sur ces choses nous montrons, dit Valéry, que nous sommes en train de
reconstruire le Symbolisme : une foule d’existences intellectuelles, d’artistes, ont été réunis avec une définition…
- « mais la présence réelle des faits a toujours fait défaut » → i fatti veri della realtà non ci sono: la storia è uno
sguardo sui fatti che si sono prodotti nel mondo, in luoghi e spazi lontani gli uni dagli altri ; diversi fenomeni sono stati
poi riuniti, ma è solo una ricostruzione illusoria perché i fatti si svolgono in tempi e luoghi separati, e il racconto storico
li mette poi tutti insieme → lo sguardo di chi compone la storia riunisce tutto in un ammasso e poi dà un nome
- dunque noi facciamo nascere il Simbolismo alla felice età di 50 anni : è lo sguardo all’indietro dello storico.
- lo facciamo nascere una volta che ha fatto fortuna, ma nel frattempo abbiamo lasciato morire molte cose : quando noi
studiamo i fenomeni, facciamo questo tipo di operazione, riuniamo cose molto diverse, e ne perdiamo i dettagli: Valéry,
parlando del Simbolismo, ci insegna a sviluppare uno spirito critico, ci dà una lezione di tipo metodologico
- « Peut-être hélas, après decès » → noi lo facciamo nascere quando il fenomeno è ormai morto
- il Simbolismo del 1886 è quello che abbiamo cercato di ricostruire e capire entrando nelle opere e nei testi degli
autori ; questo Simbolismo che invece prende forma all’interno del panorama letterario del 1936 è il frutto dello
sguardo storico del 1936, quando ormai quell’esperienza è conclusa da 50 anni, ma è proprio questo momento di
bilancio che permette a Valéry di spiegare l’importanza dell’evoluzione di Mallarmé, e a Sartre, più tardi, una volta
finita l’esperienza della seconda guerra mondiale, di ritornare indietro nel tempo, a rivedere la funzione della poesie
all’interno della società → non a caso Sartre, nella préface che precede la raccolta, prende Mallarmé come esempio di
uomo che si rivolta contro una società caratterizzata dal progresso (Adorno disse che dopo Auschwitz la poesia non era
più possibile: la poesia è l’espressione della spiritualità dell’uomo, e dopo gli orrori della seconda guerra mondiale, non
c’è più nulla di umano, c’è solo il disumano; invece Sartre vuole che la poesia torni ad essere viva, e non a caso
riprende proprio Mallarmé)

- 1936 → data molto importante: siamo a 4 anni dallo scoppio della seconda guerra mondiale: non è periodo di calma, è
un periodo di inquietudine, infatti negli scritti dei poeti di questo periodo domina la parola “inquiétude” → ecco che,
ancora una volta, siamo abituati a parlare di una prima e seconda guerra mondiale, oggi invece, riconsiderando tutto ciò
che è stato prodotto in quel periodo , ci accorgiamo che non c’è stata un’interruzione, ma c’è stata un’unica guerra, è
stato un unico grande fenomeno.

- 1936 → momento significativo: Valéry fa parte di una cooperazione intellettuale in cui gli intellettuali sono chiamati a
portare aiuto ai politici e distendere le relazioni tra i due paesi in tensione (la Francia e la Germania): la Germania,
punita dopo la seconda guerra mondiale, non accetta i limiti che le sono stati imposti, Valéry dunque sceglie questo
momento per ribadire l’importanza della cultura e della storia.

- « Oui, célébrer en 1936..c’est créer en 1936 un fait qui sera à jamais le Symbolisme 1886» → questo sguardo
cristallizza quel periodo e consegna alle epoche successive un’immagine del Simbolismo, ma questa immagine del
Simbolismo non è esattamente tutto quel pullulare di esperienze di chi ha vissuto in quel periodo
- è chiaro che nel 1886 non c’era nulla che si chiamasse « Symbolisme »
- Valéry per definire la complessità dei fatti letterari usa la fase mallarmiana “je dis une fleur, l’absente de tous
bouquets”: “io nomino Simbolismo un fatto assente nell’universo” → Valéry introduce in questa pagina di storia
letteraria la figura straordinaria di Mallarmé, sottolineando il fatto che Mallarmé va attraversato necessariamente
perché in lui stanno le radici di tutto ciò che accadrà dopo
- « Je suis hoeureux… » → sono onorato di prendere parte alla creazione di un mito in piena luce
- indicazione metodologica: “mettiamoci all’opera ed edifichiamo questo Simbolismo; per procedere con rigore
consultiamo i documenti e i ricordi di quella generazione che ha lasciato traccia del suo fare”
- come dobbiamo procedere per isolare un fatto? Il comportamento scientifico è quello di procedere per tentativi: la
scienza è il tentativo di spiegare un fatto, creandosi anche gli strumenti per spiegarlo, dunque la verità non esiste come
data, è una ri-costruzione: noi avanziamo a tentoni, produciamo un’interpretazione dei fatti, e diamo dei risultati, ma
quei risultati non sono la verità definita per sempre, ma contengono in sé quell’errare che è tipico dell’uomo (“errare”
nel senso di avanzare, testare e fare errore → questa è la ricerca della verità, se non contenesse questo errare non ci
sarebbe lo sviluppo della conoscenza)
- anche nelle scienze umane il fenomeno deve essere isolato, analizzato e compreso in modo scientifico, esattamente
come si fa nelle analisi dei fatti fisici
- « Aucun de nos trois tas ne l’admet» → nessuno dei nostri mucchietti (Classicismo, Romanticismo e Realismo)accetta
queste opere perché non rispondono ai loro criteri (non sono omogenee), dunque se non appartengono a queste tre
differenziazioni, allora ecco che ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso
- « Ou bien..séparés. » → nella nostra analisi ci troveremo di fronte a delle opere che hanno dei tratti che si mescolano,
che non permettono di inserire il testo in una di queste classificazioni, ad esempio Illuminations di Rimbaud non
assomiglia a niente, L’après-midi d’un Faune di Mallarmé supera nella tecnica e nella combinazione tutto ciò che era
stato fatto fino a quel momento, dunque nella storia letteraria non c’è nulla che assomiglia a ciò che hanno fatto
Rimbaud e Mallarmé → ci troviamo di fronte a qualcosa di nuovo
- siamo dunque tentati di formare un nuovo mucchio per queste opere ribelli (la parola “ribelle” l’aveva usata anche
Sartre nella préface), ma come dobbiamo procedere quando ci accorgiamo che queste opere non hanno nulla in
comune? → Les Illuminations sono una specie di diario in prosa di Rimbaud dove c’è la famosa frase “Je est un autre”,
che manda all’aria secoli di letteratura in cui chi dice “io” è l’io stesso (mette in guardia il lettore che non deve
automaticamente identificare l’autore nel soggetto che dice “io”), mentre L’après-midi d’un Faune è una poesia che
diventa musica, fatta con i suoni del linguaggio, ed è in forma teatrale (abbiamo delle voci che si rispondono, ma non
abbiamo nessuna azione, c’è solo scambio di parola poetica)

La seconda metà dell’Ottocento è l’epoca in cui nascono le grandi riflessioni sul linguaggio umano (missioni per
decifrare i geroglifici, la decifrazione dei manoscritti di Leonardo che non era solo un artista, ma soprattutto un uomo
che si interrogava sul mondo). Poi, agli inizi del Novecento, avremmo la grande sintesi che farà Saussure quando
raccoglierà decenni e decenni di riflessioni sul linguaggio per dare vita alla Linguistica, ossia la scienza del linguaggio
umano. Dunque è evidente che in letteratura ci sia questa grandissima attenzione sul linguaggio.
Saussure parla di arbitrarietà del segno, ma Valéry, quando studia la parola “Symbolisme”, sta dicendo anche lui che è
arbitraria, è una parola scelta in modo arbitrario per indicare un fenomeno che è accaduto nel mondo ( se dico “albero”
ognuno di noi avrà un’idea sintetica di albero che esclude i miliardi di tipi di albero)
- Verlaine, Villiers de l’Isle-Adam, Maeterlinck, Moréas et Laforgue → esponenti del Simbolismo
- Laforgue fa parte di quel gruppo che introduce la prosa in poesia (la prose poétique)
- Verhaeren, Vielé-Griffin, Henri de Régnier, Albert Mockel, Gustave Kahn → courante symboliste belge qui donnera
lieu au théâtre symboliste
- Dujardin è colui che inventa il monologo interiore
- « Il me faut revenir...entre tous ces artistes » → se noi portiamo lo sguardo sui dettagli ci accorgiamo che non c’è
compatibilità di mezzi, di ideali, di stili, ecc. tra tutti questi artisti, allora giungiamo a una doppia verità: dobbiamo
ammettere che non c’è stata né un’unità teorica (una sola teoria), né un’unica tecnica adottata da questi artisti, ma allo
stesso tempo che questi comunque sono in qualche modo assemblati.
- Si mostrano “attroupés”, cioè che fanno parte di una troupe, senza che lo siano ancora, ma se noi esaminiamo soltanto
le loro opere vedremo che sono incomparabili, distanti
- cos’è dunque che li unisce? Non c’è un’estetica simbolista, un’arte simbolista riconoscibile per tecnica, allora dove
sta questo carattere in comune che metterebbe insieme queste anime così diverse? Essi sono accomunati non da cose
che sono interne all’opera, ma da qualcosa di esterno: dalla negazione di qualche cosa
- « Ce n’est qu’une négation… » → ricordiamo la frase della lettera di Mallarmé a Verlaine in cui dice “J’ai voulu faire
autre chose”, pensiamo a Saison en enfer di Rimbaud, una stagione nell’inferno, e il successivo addio alla letteratura, lo
scomparire come una specie di meteora, di stella cadente brillante che lascia una scia (Rimbaud lascia una nostalgia di
sé)
- questi artisti sono dunque separati dagli artisti del loro tempo
- si riunivano nella decisione comune di rinunciare al suffragio del numero: spazzavano via l’idea di conquistare il
grande pubblico
- si rifiutano anche di avere rapporti con chi stabilisce ed esercita potere sulla definizione
Venerdì 13 maggio 2022

Prendiamo adesso un testo in cui Valéry parla ancora una volta di Mallarmé: è un testo importante perché si fa capire
perché Mallarmé sia questa figura chiave della modernità.
Noi abbiamo visto la prima parte della produzione mallarmeana, ovvero quella in cui Mallarmé è ancora molto vicino ai
suoi modelli; abbiamo lasciato fuori il Coup de dés perché, prima di tutto, è un’opera molto difficile → ciò che è
importante sapere è che Mallarmé tenta con quest’opera di trovare una forma nuova di poesia dopo le grandi
innovazioni che erano già state sperimentate nel periodo in cui entra nella storia letteraria, come il verso libero (rottura
del verso tradizionale di 12 sillabe suddiviso in 2 emistichi → era una sorte di codice: bisognava entrare in
quell’universo e conoscere quell’algebra da applicare alle parole e creare un messaggio artistico) e la poesia in prosa.
Mallarmé supera queste innovazioni: egli è un uomo che vive una crisi personale, ma vive anche la crisi in cui entra la
poesia, vive la crisi della figura stessa dello scrittore all’interno di una società → possiamo dire che è lo scrittore della
crisi (non a caso scrive Crise de vers).

Riprendiamo il primo volume delle Œuvres di Valéry dell’edizione Pléaide: a pag 622 compare la lettera che Valéry
scrive al direttore della rivista Marge:

Section: VARIÉTÉ

LE COUP DE DÉS : LETTRE AU DIRECTEUR DES MARGES

- Valéry ci dice che il maestro lo convocò appena ebbe terminato la sua opera straordinaria → ecco che Valéry vede il
testo come qualcosa di extra-ordinario, non ha niente di ordinario, di già sperimentato
- la Rue de Rome è la via di Parigi in cui Mallarmé abitava: nel suo salotto riuniva i maggiori artisti di fine secolo,
francesi, ma anche inglesi (che fuggivano da un’epoca soffocante alla ricerca di una città di grandi libertà come Parigi:
libertà di costumi, di pensiero..) → questi artisti erano accomunati dall’idea di fare arte mescolando le arti (musica,
teatro e poesia)
- Valéry ricostruisce il mondo creato da Mallarmé: è un mondo di straordinaria creatività, ma anche di grande semplicità
perché lo riceve nella sua stanza; questo salon della maison è contrapposto a quella che era, nella società tardo-
aristocratica, il grande salon littéraire (quello di Mallarmé non si chiama “salon”, ma semplicemente “mardi” (giorno in
cui si ritrovavano)
- Mallarmé dunque lo porta in questa stanza, e dietro una tappezzeria c’erano dei pacchi delle sue cose inedite, quasi
nascoste, che rimarranno lì fino alla sua morte, come se fosse un segnale per distruggerle: infatti, poco prima di morire,
Mallarmé aveva detto alla moglie e alla figlia che non li lasciava grandi cose: “non vi lascio un granché, ma sappiate
che doveva essere qualcosa di straordinario” → Mallarmé è consapevole di lasciare un’opera non compiuta, ma lascerà
una traccia senza la quale non avremmo avuto le avanguardie del Novecento; sarà poi Valéry colui che permetterà la
divulgazione delle sue opere
- poi Valéry ricorda al direttore della rivista Marge, che vuole pubblicare delle opere si Mallarmé, com’era esattamente
il luogo: un tavolo quadrato di legno scuro sul quale dispose il manoscritto del suo poema
- “d’une voix basse, égale, sans le moindre effet” → Valéry ricostruisce questa voce che legge: dirà che è quella la voce
con cui si leggono poesie, non artefatta, senza artificio, che viene dal profondo
- “amo questa assenza di artifici; mi piace la voce umana: quella voce che viene dall’interno è così bella, colta proprio
alla sua sorgente, nel punto in cui nasce”→ al contrario, i diseurs de profession, coloro che recitano, hanno un voce che
sale, e che viene modificata, dunque è una voce piena di artifici

- Mallarmé legge gli legge il suo Coup de dés in modo uniforme, senza interruzione, come una preparazione a una
sorpresa più grande: dopo gli fa vedere il “dispositif” → ormai, la poesia come la fa Mallarmé, ha superato perfino la
pagina, siamo oltre la pagina, siamo in nuovo “dispositivo”: Mallarmé fa saltare il supporto della pagina (lo stesso
accadrà nell’arte: il supporto è la tela, oggi invece si parla di arte di perfomance)
- Valéry vede in questo dispositivo “la figure d’une pensée”, l’immagine di un pensiero: per la prima volta
l’immagine del pensiero è mostrata nello spazio umano: il pensiero è qualcosa di stratto, lo possiamo tradurre in
parole e atti, ma non le vediamo, Mallarmé invece lo fa vedere il pensiero, ma cosa vuol dire che mostra il pensiero?
Mallarmé mostra il movimento del pensiero, ovvero il caos, il disordine, l’idea che arriva e che poi noi
cerchiamo di ordinare tramite la mente → nell’attività notturna, ad esempio, le idee sono libere, non sono
imbrigliate da un ordine, ecco Mallarmé mostra questo movimento del pensiero: che il pensiero sia ordinato è
una nostra convinzione: il pensiero nasce disordinato, siamo poi noi che lo discipliniamo

- “Ici, véritablemente..” → “in questa roba che lui mi presentò, davvero lo spazio parlava, generava forme nel tempo”
- “la mia vista (ciò che vedevo) aveva a che fare con i silenzi che avevano preso corpo”
- “io contemplavo facilmente degli istanti meravigliosi, difficili da definire, io godevo di questi istanti” → questi istanti
sono la frazione di un secondo nella quale un’idea arriva, brilla, e si cancella
- “l’atome de temps” → il tempo atomizzato, ridotto in attimi, il tempo come atomo
- “era un mormorio, insinuations, fulmini per gli occhi, una tempesta spirituale da una pagina all’altra, fino al punto
estremo del pensiero, fino a un punto di rottura” (è una specie di gioco di prestigio)
- “lì, su quella carta, uno scintillio di astri” → che cosa c’è in tutto questo ammasso? È una sorta di galassia disegnata
sulla pagina: c’è un sistema di tipo stellare, di elementi collegati tra loro e allo stesso tempo disseminati: tutta questa
cosa è la Parola
Andiamo a vedere questa scintillation, questa tempesta, questo eccesso di parola, questo amas sulla pagina di cui parla
Valéry: Mallarmé non riuscirà mai a vedere l’edizione a stampa che verrò organizzata da Valéry e dal genere di
Mallarmé, Edmond Bonniot, e che comparirà nel 1914 ne La Nouvelle Revue française:

- prima abbiamo un titolo: UN COUP DE DÉS JAMAIS N’ABOLIRSA LE HASARD, a


caratteri molto grandi, dopodiché cambia il carattere
- notiamo che JAMAIS non è allineato con la frase, è spostato, ma lo spazio non è casuale: è uno spazio di silenzio,
è lo spazio che Valéry dice che Mallarmé fa sentire quando legge

- vediamo come la frase si srotola seguendo davvero un’inclinazione: la frase qui non è più allineata, è inclinata
- parola-chiave: “Abîme” → dopo questa parola c’è l’abisso in cui cadono tutte le altre parole

Dunque:
- i caratteri più grandi disegnano un’idea portante UN COUP DE DÉS JAMAIS N’ABOLIRSA
LE HASARD → l’uomo getta i dadi: quando noi creiamo qualcosa gettiamo i dadi, il caso c’è sempre, tutto è
governato dal caso
- poi sotto questa frase principale ci sono delle frasi secondarie: LE MAÎTRE → significa “maestro”, ma
foneticamente assomiglia a “mètre”, il metro della poesia, quindi già il testo parla di un “maestro” e di un “metro”:

- “surgi” → è il metro che sorge da questa conflagrazione, da questa esplosione della parola…
- “surgi...comme” → il pensiero va avanti
- “Metro” e “Numero” → c’è un collegamento: stiamo parlando del metro che sorge da questa esplosione che lui sta
tentando, e che minaccia il numero che domina (è il grande Numero della poesia francese, ovvero il numero 12)
- la poesia parla poi di “naufrage” → ci sta parlando del naufragio di quella poesia legata al numero 12
- “fuori dai vecchi calcoli” → fuori dai calcoli di quella poesia che già conosciamo
- la cui manovra, il cui lavoro, col tempi dimenticato..

Mallarmé ci sta parlando della sua esperienza di poesia, ci sta dicendo che sta tentando una nuova poesia

- “e il maestro della poesia, colui che voleva innalzarsi, un tempo impugnava la harre (il timone che stabilisce
l’orientamento), e adesso invece si prepara a essere un altro

Tutto questo movimento del pensiero che ondeggia, che recupera, che tira fuori idee, che le abbandona: ecco cosa vede
Valéry.
- Poi riprende la grande frase con N’ABOLIRA

- poi riprende la seconda frase: COMME SI


- “une insinuation au silence” → Valéry aveva detto che sentiva queste insinuazioni, questi silenzi
- di nuovo COMME SI → il pensiero segue un altro movimento poi si riallaccia al precedente

RIEN N’AURA EU LIEU QUE LE LIEU, EXCEPTÉ PEUT-ÊTRE UNE CONSTELLATION → quando succede
qualcosa, la parola nasce, l’idea viene tradotta, ma cosa rimane di quella parola? Rien, tutto è cancellato, nulla rimane,
nulla è accaduto, se non il luogo in cui è accaduto, se non forse, una costellazione, un ammasso di parole, una
costellazione di parole.

Jules Michelet, uno dei più grandi storici francesi che ha scritto la storia della Rivoluzione francese, aveva introdotto in
uno dei suoi testi questa frase: “La vie est un coup de dés” → significa che la vita è fatta di casi, le cose avvengono per
caso, il caso è qualcosa che non possiamo sradicare dalla vita, noi siamo frutto del caso, ciò che accade è sempre
governato dal caso: l’uomo cerca di imporsi come agente motore di tutto, eppure il caso interviene sempre.
Vediamo la préface che sarebbe dovuta uscire insieme al testo:

J’aimerais qu’on ne lût pas cette Note ou que parcourue, même on l’oubliât ; elle apprend,
au Lecteur habile, peu de chose situé outre sa pénétration : mais, peut troubler l’ingénu
devant appliquer un regard aux premiers mots du Poème pour que de suivants, disposés
comme ils sont, l’amènent aux derniers, le tout sans nouveauté qu’un espacement de la
lecture. Les “blancs,” en effet, assument l’importance, frappent d’abord ; la versification en
exigea, comme silence alentour, ordinairement, au point qu’un morceau, lyrique ou de peu
de pieds, occupe, au milieu, le tiers environ du feuillet : je ne transgresse cette mesure,
seulement la disperse.

- “Mi piacerebbe molto che non si leggesse questa Nota, oppure che una volta percorsa, la si dimenticasse” → è
paradossale: la prefazione è data al lettore, ma deve essere dimenticata, perché? Perché insegna al lettore abile, ovvero
quel lettore che vuole Mallarmé, che non si addormenta su ciò che il narratore gli impone, poche cose che vadano aldilà
della sua comprensione → dunque Mallarmé ci dà una lezione di metodologia critica: il testo vale per la capacità del
lettore di penetrarlo, i dettagli, ciò che sta oltre il testo, non devono comparire, quindi la sua Nota non offre altro che
cose che riguardano la penetrazione dell’opera, l’entrare nell’opera, dopodiché la possiamo dimenticare
- “ma può turbare l’ingenuo, poiché l’ingenuo deve comunque applicare lo sguardo sulle prime parole del Poema
affinché quelle successive lo conducano fino alle ultime: tutto questo è dato senza nessuna novità, l’unica novità è lo
spaziamento della lettura”→ l’elemento fondamentale in questo testo è la spazialità: se noi osserviamo le parole ci
rendiamo conto che non ci sono sono parole nuove, l’unica novità è la scrittura spaziale, una poesie tipografica affidata
ai segni tipografici
- “lo spazio bianco assume un significato: all’inizio gli spazi bianchi colpiscono” → è la versificazione che lo impone,
come una sorta di silenzio intorno alle parole, a tal punto che un pezzo del poema, lirico o fatto di poche sillabe, occupa
nel centro un terzo circa della pagina → dunque Mallarmé ci dice che dobbiamo stare attenti a guardare come la parola
è disposta sulla pagina, a calcolare lo spazio
- “io non trasgredisco la misura (il Numero), ovvero la diversificazione, semplicemente la dissemino” → noi non
abbiamo più un verso lineare e regolare, adesso le parole sono scaraventate sulla pagina ed è importante osservare dove
sono disposte. Pensiamo alla scrittura musicale: abbiamo 7 note musicali (7 sono anche le vocali francesi), e ciò che
conta è la loro disposizione nel pentagramma: Mallarmé infatti immagina la pagina come una sorta di partitura
musicale con le parole disposte lungo linee invisibili, proprio come nella musica

Le papier intervient chaque fois qu’une image, d’elle-même, cesse ou rentre, acceptant la
succession d’autres et, comme il ne s’agit pas, ainsi que toujours, de traits sonores réguliers
ou vers — plutôt, de subdivisions prismatiques de l’Idée, l’instant de paraître et que dure
leur concours, dans quelque mise en scène spirituelle exacte, c’est à des places variables,
près ou loin du fil conducteur latent, en raison de la vraisemblance, que s’impose le texte.

- la carta interviene (assume un significato aprendo un altro spazio) ogni volta che un’immagine da sola si esaurisca o si
assottigli: quando questa immagine si ritira la pagina cambia, accettando il succedersi di altre pagine, e poiché non si
tratta di tratti sonori regolari (cioè dei versi), ma piuttosto di divisioni prismatiche dell’idea (di rifrazioni di idee), queste
idee sussistono giusto in quell’istante in cui appaiono e poi scompaiono (ecco perché Valéry parla di “scintillio”, di
“astri” di parole sulla pagina)
- “in ragione di una verosimiglianza” → le parole vengono giù come una discesa (es. abîme → come se davvero l’abisso
fosse mostrato sulla pagina), ecco come l’idea viene mostrata, poi scompare, viene sostituita da un’altra e così via

L’avantage, si j’ai droit à le dire, littéraire, de cette distance copiée qui mentalement sépare
des groupes de mots ou les mots entre eux, semble d’accélérer tantôt et de ralentir le
mouvement, le scandant, l’intimant même selon une vision simultanée de la Page : celle-ci
prise pour unité comme l’est autrepart le Vers ou ligne parfaite. La fiction affleurera et se
dissipera, vite, d’après la mobilité de l’écrit, autour des arrêts fragmentaires d’une phrase
capitale dès le titre introduite et continuée. Tout se passe, par raccourci, en hypothèse ; on
évite le récit. Ajouter que de cet emploi à nu de la pensée avec retraits, prolongements,
fuites, ou son dessin même, résulte, pour qui veut lire à haute voix, une partition.
- “Questa distanza che separa le parole, che separa i gruppi di parole, sembra accelerare o diminuire: questo dà l’ idea
del movimento accelerato o rallentato delle idee; e a volte la pagina è li come unità, e altre volte è invee una linea
perfetta”
- “La finzione (il racconto, elemento quasi di prosa) affiora leggermente, ma si dissipa immediatamente”: non deve
essere una poesia narrativa, deve essere poesia senza tratto di prosa: questo testo è fatto di soste, di arresti frammentari
della frase principale introdotta fin dal titolo e poi continuata: la finzione appare e scompare, ci sono questi arresti,
questi silenzi, queste parole che emergono e che mimano un movimento
- “Tutto è fatto per sintesi, e si evita il récit, il racconto, la finzione”
- “Aggiungete che questa rappresentazione nuda del pensiero con arresti, prolungamenti, fughe, risulta una partitura
musicale per chi vuole leggerlo ad alta voce” → questo testo è una partitura musicale

La différence des caractères d’imprimerie entre le motif prépondérant, un secondaire et


d’adjacents, dicte son importance à l’émission orale et la portée, moyenne, en haut, en bas
de page, notera que monte ou descend l’intonation. Seules certaines directions très hardies,
des empiètements, etc., formant le contre-point de cette prosodie, demeurent dans une
œuvre, qui manque de précédents, à l’état élémentaire : non que j’estime l’opportunité
d’essais timides ; mais il ne m’appartient pas, hormis une pagination spéciale ou de volume
à moi, dans un Périodique, même valeureux, gracieux et invitant qu’il se montre aux belles
libertés, d’agir par trop contrairement à l’usage.

- “La differenza dei caratteri di stampa, tra il motivo principale (ciò che accompagna il tema musicale), quello
secondario, e quelli adiacenti, detta la sua importanza alla voce”→ la grandezza dei caratteri sono un’indicazione
importante per l’emissione della voce → in Mallarmé va sempre osservata la frase principale, e poi vedere le secondarie,
in modo da recuperare prima lo scheletro e poi tutti gli altri elementi : è ciò che poi farà Proust con le sue frasi
lunghissimi che ci fanno naufragare, perché anche lui cercherà di ricostruire la memoria (À la recherche du temps perdu)
per recuperare il tempo svanito: tutto nasce, come dice Proust, da una sorta di deflagrazione, da un’esplosione di piccole
sensazioni che poi lo aiutano a ricostruire il passato (famosa scena del biscotto)

J’aurai, toutefois, indiqué du Poème ci-joint, mieux que l’esquisse, un “état” qui ne rompe
pas de tous points avec la tradition ; poussé sa présentation en maint sens aussi avant qu’elle
n’offusque personne : suffisamment, pour ouvrir des yeux. Aujourd’hui ou sans présumer de
l’avenir qui sortira d’ici, rien ou presque un art, reconnaissons aisément que la tentative
participe, avec imprévu, de poursuites particulières et chères à notre temps, le vers libre et le
poème en prose. Leur réunion s’accomplit sous une influence, je sais, étrangère, celle de la
Musique entendue au concert ; on en retrouve plusieurs moyens m’ayant semblé appartenir
aux Lettres, je les reprends. Le genre, que c’en devienne un comme la symphonie, peu à
peu, à côté du chant personnel, laisse intact l’antique vers, au quel je garde un culte et
attribue l’empire de la passion et des rêveries ; tandis que ce serait le cas de traiter, de
préférence (ainsi qu’il suit) tels sujets d’imagination pure et complexe ou intellect : que ne
reste aucune raison d’exclure de la Poésie — unique source.

- Mallarmé continua dicendo: “con questo poema, io vi avrò mostrato qualcosa che non rompe del tutto con la
tradizione, ma avrò spinto la rappresentazione del poema in tanti sensi e l’avrò portata così oltre il già
conosciuto che questa non offenderà nessuno, perché non l’ho copiata da nessuno: nessuno si sentirà derubato o offeso
dal mio gesto, a sufficienza per far aprire gli occhi” → significa che la poesia che ha conosciuto lui non può essere che
un gioco di ripetizioni, se la poesia vuole essere rivoluzionaria come i tempi chiedono bisogna far aprire gli occhi.
MallarmP sa bene che ha usato qualcosa che non era mai stato usato prima: quando Mallarmé sta per morire, dice alla
moglie e alla figlia “vi lascio poche cose, ma sappiate che doveva essere qualcosa di bello e di straordinario”.

- “Aujourd’hui..” → oggi, senza presumere che possa venir fuori un futuro da questo tentativo, riconosciamo che questo
tentativo fa parte di quelle pratiche care al nostro tempo: il verso libero e il poème en prose → dunque Mallarmé
inscrive il suo tentativo nella linea di quella ricerca che i grandi del suo tempo avevano intrapreso: il verso libero e la
poesia in prosa. L’innovazione di Mallarmé però è che la loro unione si compie sotto l’influsso della musica → quando
ci dice che la pagina è una partitura e le parole sono suoni isolati, ci sta dicendo che qui dentro c’è tutta l’innovazione
immaginata fino a quel momento insieme alla musica → il suo tentativo è la riunione di questi tre elementi, e come
nella musica in cui le pause sono importantissime, lo stesso vale per la poesie di Mallarmé.

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