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GESTES ET PAROLES

DANS LES DIVERSES FAMILLES


LITURGIQUES

CONFÉRENCES SAINT-SERGE
XXIV' SEMAINE D'ÉTUDES LITURGIQUES
Paris, 28 Juin - 1"' Juillet 1977

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CENTRO LITURGICO VINCENZIANO - 00192 ROMA


Via Pompeo Magna, 21
1978

.T 5 sr1
BIBLIOTHECA «EPHEMERIDES LITURGiCAE»
«SUBSIDIA»

COLLECTIO CURA A. PISTOIA, C.M., ET A. M. TRIACCA, S.D.B., RECTA

--------------------14----~---------------
INDICE

Pag.
P,esentazione CA. M. TRIACCA) 7
ANDRONIKOF C., La dynamique de la parole et la liturgie 13
ARRANZ M., S. J., Evolution des rites d'incorporation et de
réadmission dans l'Eglise selon l'Euchologe byzantin 31
BOTTE B., O.S.B., «Et eleuatis oculis in caelum ». Etude
sur les récits liturgiques de la Dernière Cène 77
CAZELLES H., Gestes et paroles de prières dans l'Ancien
Testament 87
, COTHENET E., Gestes et actes symboliques du Christ dans
le IV' Evangile 95
Gy P. - M., O. P., Quand et pourquoi la communion dans
la bouche a-t-elle remplacé la communion dans la
main dans l'Eglise latine? . 117
HRUBY K., Le geste de la fraction du pain ou les gestes
eucharistiques dans la tradition juive 123
KNIAZEFF A., Des acclamations dans la liturgie byzantine 135
NEUNHEUSER B., O. S. B., Les gestes de la prière à genoux
et de la génuflexion dans les Eglises de rite romain. 153
. OZOLINE N., L'icône. Analogie et complémentarité de
l'image par rapport au geste et à la parole liturgique 167
RORDORF W., Les gestes accompagnant la prière d'après
Tertullien, De Dratione 11-30, et Origène, llEpl eôxii,
31-32 191
ROSE A., L'usage et la signification de l'Alleluia en Orient
et en Occident . 205
SARGOLOGOS G., L'altération des textes liturgiques grecs 235
6 INDICE

Pag.
STANlLOAE D., La liturgie de la communauté et la liturgie
intérieure dans la vision rhilocalique 259
STROMBERG B., Comportement, gestes et paroles dans la
messe suédoise actuelle 275
THEODOROU E., La danse sacrée dans Je culte chrétien et
plus spécialement dans la famille liturgique byzantine 285
TRIACCA A.M., S.D.B., L'eucologie ambrosienne dans la
structure du nouveau Missel de la "Sancta Ecclesia
Mediolanensis » 301
WEBB D., Paroles et gestes dans la liturgie baptismale de
l'Église nestorienne 329
PRESENTAZIONE

« La disponibilità della liturgia ai segni siano essi gesti


o parole - corrisponde alla struttura dell'uomo, che è contem-
poraneamente incarnazione della spirituale e spiritualizzazione
deI corporale. Percio l'esplicitare non significa per l'uomo un su-
perlicializzare, ma un intensificare l'intima e l'interiore 1 ». Tut-
tavia appare sempre più necessario « riscattare }} i segni dall'uni-
vocità deI visibile per tuffarli nella comprensibilità deI «lin-
guaggio liturgico ». Cio inizia già da quando i segni liturgici
- che non sono mai scelti arbitrariamente:l - , vengono recepiti
con atto riflesso, mediante la loro raffigurazione, come segni
nell'ambito della fede viva, cioè come segni nella struttura litur-
gico-ecclesiale '. Il che equiva!e ad affermare che il fede!e, agendo
attraverso ta!i segni, ottiene un completamento de! suo essere
nella fede. La fede, in quanta atto interiore, tende a divenire
parola e ad incarnarsi. Non si puo dunque concepire !'atto spi-
rituale di fede come un qua1cosa « a sé stante », ma 10 si deve
considerare come realtà che tende irreversibilmente ad espri-
mersi in modo sensibile. Questa tendenza non so!tanto corrispon-

1 CfT. H. VOLK, Theologische Grundlagen der Liturgie (Mainz 1964) 115.


2 C'è un senso naturale dei segni liturgici (cfr. K. RAHNER, Alltiigliche Dinge
[Einsiedeln 1965]), ma non è questo quello che primariamente (né tanto mena
esc1usivamente) è chiamato in causa nella liturgia.
3 L'argomento della XV Settimana di Studi Liturgici svoltasi a San Sergio
nel1968 ha avuto COme tema Liturgia e sirnbolismo (cfr. F. PETIT, Les Conférences
Saint-Serge, in: Ephemerides Liturgicae 88 [1974] 124-130, specie 126). Purtroppo
dei contributi di una cosl significativa Settimana non si ha testimonianza. Co-
gliamo quindi l'occasione per ringraziare l'amministrazione di «EdizionÏ Litur-
giche" che, nonostante un notevole aggravio finanziario per l'edizione degli Atti
di S. Sergio, persegue nel foroire al monda della cultura questi atti, tanto pre-
ziosi, se non altro come oggettiva documentazione di quanta anno per anno
si fa a San Sergio. Per la questione dei segni liturgici comprensibili solo nella
struttura liturgico-ecclesiale, cfr. A. M. TRIACCA, «Strutturazione di simboli» 0
«simboli finalizzati »? in AA.VV., Symbolisme et théologie = Sacramentum 2
(Roma 1975) 257·281.
8 A. M. TRIACCA
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de alla struttura fisico-spirituale dei fedele, ma è richiesta dalla
« Ecclesia" in quanto visibilizzazione della comunità di fedelL
E' nel quadro della poliedrica problematica soggiacente a
tutto questo che la XXIV" Settimana di Studi Liturgiei, svoltasi
presso l'lstituto di Teologia Ortodossa a San Sergio -- Parigi --
dal 28 giugno al r
luglio 1977, ha avuto come tema: Cesti e pa-
role neUe diverse famiglie liturgiehe_ Si completa COS! una « mi-
rabile trilogia" idealmente compatta, costituita dagli apporti
delle tre Settimane di Studi Liturgiei dei 1975-1976-1977.

• * *

Dato ehe è impossibile «vedere" la liturgia deUa Chiesa


universale, poiché ogni liturgia è espressione di llna Chiesa par-
tieolare, si è pensato bene di fomire un primo contributo con
la XXII" Settimana (nel 1975) per cogliere il significato specifico
e la tonalità espressiva che le diverse liturgie, nell'ambito della
vitalità delle Chiese locali, hanno sviluppato '. Cioè si sottolineà
quanto le Chiese particolari stes se hanno inteso realizzare sai·
vando la differenziazione tra una Chiesa e l'altra, conformemente
sia alla diversità di esigenze poste dall'opcra di evangelizzazione,
sia, com'è ovvio, alla libera presenza operativa dello Spirito nelle
singole comunità, nelle quali si invera la liturgia della Chiesa.
Si passà quindi, con il contributo della XXIII" Settimana
(nel 1976), a sottolineare più da vicino come la liturgia della
Chiesa particolare si incarna, si esplicita e si visibilizza nell'as-
semblea litllrgica, la quale si rivela come segno efficiente del-
1'« alleanza" che sempre vi si realizza. L'assemblea liturgica,
infatti, è l'attualizzazione della convocazione attiva di una comu-
nità che si perpetua nel tempo e nello spazio.
Fu COS! evidenziato a nuovo titolo come 10 studio della
natura dell'assemblea liturgica sia approfondimento della natura
intima dell'« Ecclesia" e viceversa. D'altra parte, la molteplicità

4 Cfr. Liturgie de IJ~glise particulière et liturgie de l'Eglise universelle.


Conférences Saint-Serge. XXII'" Semaine d'Etudes Liturgiques. Paris, 30 juirz-3
juillet 1975 (Roma 1976) 410 pp. Nostra presentazione: pp. 7-15.
PRESE~TAZIONE 9

di « incarnazioni )} e di ({ epifanie)} dell'Unica « Ecclesia» in di-


verse as semblee Iiturgiche portà a constatare una volta di più
che l'assemblea Iiturgica, all'atto pratieo, è " convocazione » che
la Trinità Santissima attua nell'oggi, perché si costituisca, in
modo progrediente, l'" Ecclesia »: "popolo di Dio - comunità
cultuale ». In essa tutto riceve forza e grazia dalle azioni Iitur-
giche e tutto è orientato alla Santa Liturgia. l "celebranti»
presenti a divers a titolo nell'assemblea Iiturgica devono inte-
ragire tra loro perché tutto proceda ordinatamente per la cre-
seita verso l'età matura in Cristo. Nell'articolazione ordinata di
tutte le funzioni dell'assemblea Iiturgica risplende I\mica natura
della « Ecc1esia »: un corpo vivo, gerarchicamente strutturato e
carismaticamente vitalizzato. L'assemblea Iiturgica guidata dai
legittimi pastori contribuisce, con la sua ordinata molteplicità
di funzioni, alla ricchezza dell'azione comune. Ognuno ha la sua
parte, che non va confus a con quella degli altri né da altri
usurpata 5,
ara, se la celebrazione è l'epifania dei principio di identifi-
cazione e di unificazione delle diverse mansioni e dei differenti
carismi coi quali e nei quali si articola la ben compaginata e
costrutta attività Ecclesiale, è anche vero che (c i singoli segni»
costitutivi della celebrazione diventano "forma» della fede. In
primo luogo, la para/a: parola che confessa e prega, rende Iode
e grazie ecc.; poi il gesto, in funzione di simbolo e insieme di
realtà. Infatti i pensieri si materializzano dapprima nella parola
che, a sua volta, ha « un'anima e tin corpo », un messaggio e una
veste letteraria. Non c'è altro modo di eprimersi che concretiz-
zare il pensiero, oltre che nelle parole, anche nei gesti. Far Iiturgia
è un alto dell'integrità personale del fedele. Si è coinvolti con
tutto il proprio es sere a eià che si celebra; si è protesi alla
partecipazione la più attiva ed intima possibile ai « divini rni~
steri}). La trilogia a cui abbiamo accennato si chiude COS! con
l'insieme delle relazioni della XXIV' Settimal1a, che qui pres en-
tiamo nella quasi totalità '. Senza dubbio questi Atti costitui-

5 Cfr. L'assemblée liIurgique et les différents rôle dans l'assemblée. Con-


férences SaÎIlt-Sel'ge. XXllle Semaine d'~tudes Liturgiques. Paris} 28 juin _1er
juillet 1976 (Roma 1977) 349 pp. Nostra presentaziol1e: pp. 7-10.
6 Si scusa con gli amici di San Sergio e con i let tari degli Alti di San
Sergio il prof. dott. Cyrille Vogel pel' non avçr potuto rivedere, in vista della
stampa, la St;la relazione su: Gestes et exclamatiOlls cultuelles à l'époche patéo-
chrétie1'me.
10 A. M. TRIACCA

scono un erudito e importante' contributo allo studio di a\cuni


gesti tipici e di a1cune parole chiavi, 0 comunque espressive,
nell'ambito delle diverse famiglie liturgiche.

* * *

Vengono iIIustrati con competenza, tanto da suscitare un


interesse specifico, momenti significativi dell'evoluzione liturgica
di alcuni gesti, il gioco degli influssi e degli scambi fra liturgie
di differenti regioni, i motivi e gli orientamenti di riforme tipiche
succedutesi nel corso dei secoli. Sono COS! toccati diversi centri
di interesse quali le origini di atteggiamenti e di gesti liturgici
nell'Antico Testamento (Cazelles), nell'alveo giudaico (Hruby),
nella tradizione giovannea (Cothenet). Sono poi studiati alcuni
gesti significativi quali l'elevare gli occhi al cielo (Botte), la
genuflessione (Neunheuser), le mani elevate (Vogel)', i gesti
della comunione (Gy), la danza (Theodorou). Similmente sono
analizzate le riforme dei gesti e dei riti della Iiturgia nella Chies a
Luterana Svedese (Stromberg) a analizzati gesti e riti deI Bat-
tesimo pressa la Chiesa Nestoriana (Webb) e quelli dell'eucologio
bizantino (Arranz).
Tra le parole significative prese in analisi si è creduto bene
di considerare da vicino le acclamazioni pressa il Rita Bizantino
(Kniazeff) e l'alleluia nelle diverse tradizioni (Rose); oppure si
è pOl-tata l'indagine su un problema più vasto, come quello della
eucologia intesa come parola liturgica nella nuova liturgia euca-
ristica ambrosiana (Triacca). E' interessante, sempre nel con-
testa del tema di questa Settimana, prendere afto come facil-
mente la parola scrilta nei libri liturgici passa essere stata fonte
di confusione a di equivoci (Sargologos). D'altra parte, la rela-
zione intima e profonda tra parola e liturgia (Andronikof) pua
essere studiata anche nell'ambito del rapporta tra preghiera e
gesti - al casa: in Tertulliano ed Origene (Rordorf) - a nel-

7 Di questo parere, per esempio, è B. NEUNHEUSER, Liturgische Studienwoche


in Saint Serge, Paris, vom 28. hmi bis 1. luli 1977, in: Erhe und A.uftrag 53 (1977)
395-397.
8 Cfr. nota 6.
PRESENTAZIONE 11

l'ambito della re/azione Ira l'arte come espressione di comuni-


cazione di contenuti e la liturgia (Ozoline) 0 in che rapporto
stiano la liturgia della comunità e la litUl-gia interiore nella
visione filocalica (Staniloae).
l contenuti si muovono nella scia delle analisi storiche 0
diagnostiche ed offrono d~ti che costituiscono come una piat-
taforma per ulteriori elaborazioni che certamente avvantagge-
ranno l'ecclesiologia liturgica, la teologia liturgico-sacramentaria
e la pastorale liturgica, specie sul tema dei rapporti tra cià che
si compie nell'azione liturgica e cià che è liturgia. Certo èche
nel corso dei secoli l'azione liturgica è andata arricchendosi di
una sovrabbondanza di forme espressive di cui soltanto una
modesta selezione è rimasta oggi in vigore; fenomeno, questo,
che si è verificato special mente presso le liturgie occidentali.
Quale senso ha avuto ed ha tuttora tale prodigalità di forme?
Non c'è dubbio: la « Ecclesia» ebbe sempre cura di esprimere,
nel compimento delle sacre azioni, la sua fede mediante la pre-
ghiera, in tutta chiarezza davanti a Dio e davanti agli uomini ".
Si sa che la liturgia cristiana. ha origini e statuti propri le-
gati alla storia della salvezza, cioè agli avvenimenti salvifici
operati da Dio, tra cui primeggia l'evento pasquale di Cristo;
avvenimenti che vengono «ricordati» nelle assemblee liturgi-
che_ La categoria biblica deI «memoriale» è tutta ancora da
riscoprire. E' essa che ci porta a essere, nel rito, contemporanei
agli eventi di salvezza e protagonisti della storia di alleanza che
Dio continuamente rinnova, nel Cristo e per la potenza dello
Spirito, col suo popolo. Di qui il rendimento di grazie, il clima
di festa, il coinvolgimento sacrificale e conviviale, l'impegno di
vita inerente aile parole e ai gesti usati dalle diverse manifesta-
zioni liturgiche che vogliono giungere a rinnovare la vita. Ed è
la vita cristiana, nell'appartenenza ecclesiale e nella testimonian-
za quotidiana, a es sere celebrata nella liturgia, ma con un lin-
guaggio simbolico, che ha le sue proprie leggi e non sapporta
strumentalizzazioni.

9 La cÎtazione è a p. 41 dell'articola di: G. A. }t:NGMA?-.<N, La pastorale chiave


della storia Iiturgica, in: La restaurazione liturgica nell'opera di Pio XII. Alti
dei primo congresso internaziOl1ale di Liturgia Pastorale. Assisi-Roma, 18-22
settembre 1956 (Genova 1957) 37-48.
12 A. ~{. TRIACCA

Se poi il problema di ridar vila a gesti e atteggiamenti dei


corpo nella liturgia incontra una particolare difficoltà ne! mondo
occidentale, si puà fondatamente ritenere che il comparativismo
con il mondo liturgico di ieri e di oggi proprio aile liturgie
orientali (e non solo a quelle), da instaurare anche con il con-
tributo delle relazioni della presente Settimana, costituirà senza
dubbio un valido apporto per vivificare la liturgia delle nostre
assemblee in modo che queste, con sempre rinnovato spirito
e stile, abbiano a celebrare i "divina mysteria» perpetuandoli
nella vita e proclamandoli nella fede e con la fede.

Roma, Università Pontificia Salesiana


Facoltà di Teologia
8 dicembre 1977

Achille M. TRIACCA
LA DYNAMIQUE DE LA PAROLE ET LA LITURGIE

« Venez, adorons, prosternons-nous devant Dieu! )}.


Ces premières paroles (Ps. XCIV, 6) de l'office des heures,
trois fois répétées, qui commandent notre attitude convenable
devant le sacré au moment où nous nous engageons dans une
relation concrète avec lui, pourraient servir d'exemple suffisant
pour illustrer notre propos: non seulement le geste, ou le mou-
vement, ou, disons-le avec Marcel Jousse, le {( mimis111e » précède,
accompagne et suit la parole, mais encore la liturgie tout entière
est une dynamique qui mobilise la totalité de l'organisme humain
par le Logos et le Pneuma. Quels que soient les «éléments»
composants de la nature humaine, nous constatons que l'énergie
du Verbe incarné et celle de l'Esprit, qui est d'ailleurs aussi celui
du Fils, mettent en branle « l'âme» ou « l'esprit », l'intelligence,
le coeur et le corps. La liturgie est le « lieu» ou l'occasion, le
kairos par excellence où se manifeste cette dynamique de la
relation entre Dieu et l'homme, c'est-à-dire celle de la religion,
ou de la foi en acte.
Ces paroles citées de l'office, en effet, ne nous invitent pas
simplement et généralement à «prier ». Elles nous incitent (et
c'est l':Ëglise qui parle) à effectuer deux mouvements consécutifs:
celui de nous déplacer, puis celui de nous placer en état d'adora-
tion, lequel état sera lui-même un ergon continu. L':Ëglise nous
appelle à commencer un processus dont l'aspect liturgique ne
cessera qu'après qu'elle nous donnera congé.
Ce déplacement n'est pas celui qui consiste à se rendre d'un
point à un autre dans l'espace tri-dimensionnel de notre existence
physique au sein du monde. Il consiste à quitter le lieu à « densité
spirituelle» minimum (mais non pas nulle, car dans ce cas l'appel
ne serait pas entendu) pour nous acheminer vers le lieu à densité
spirituelle plus forte, voire maximum (mais non totale, car ce
serait le Règne de l'Esprit lui-même, ou le Royaume de Dieu),
c'est-à-dire vers 1':Ëglise, dont l'escha ton est précisément ce
Règne, avec lequel elle coïncidera quand « la nlesure sera pleine»
et son mouvement, achevé.
14 CONSTANTIN ANDRONIKOF

Le modèle de ce mouvement nous est fourni par la parabole


du fils errant (OU" prodigue ,,). C'est celui de la conversion,
metanoia. Ayant réduit son être au niveau le plus bas, au plan
de l'existence aninlale, figurée par « les porcs », et qui correspond
à la notion paulinienne de " l'homme psychique", le fils dévoyé
et vagant, qui s'est placé dans l'horizontale du " monde", com-
mence sa conversion en ({ revenant en Iui-mênle» (en reprenant
ses esprits, dirions-nous familièrement avec exactitude). Il entend
de nouveau l'appel qui résonne en lui-même (l'esprit s'exprime
fréquemment par la mémoire), et " il dit" (la parole): "Anas tas
poreusomai, m'étant levé, j'irai vers mon père" (le geste). Ensui-
te, l'action réelle: "Kai anastas èlthen, et, se levant, il alla vers
son père" (Lc. XV, 18,20). Il se remet debout, en reprenant la
dimension verticale, celle de l'Esprit descendant et ascendant,
celle de " l'homme spirituel".
C'est le premier geste par lequel commence la progression
ascensionnelle selon l'appel du Verbe, sous l'impulsion de
l'Esprit.
Le deuxième mouvement est celui de l'aller, du cheminement
vers le but, vers la demeure de « Dieu parmi les hommes».
Celle-ci est non seulement celle du Père, mais encore celle des
fils (en notre occurrence, des fils adoptifs). Autrement dit, nous
sommes invités à nous déplacer pour rentrer chez nous.
En effet, le premier terme de la prière d'introduction à
l'office n'est pas: « Allez! », mais: « Venez!» C'est que nous
sommes appelés non seulement à quitter le monde pour nous
mettre en route vers l'Église, mais que nous y sommes convoqués
et qu'à la suite du « Venez! » nous nous y asselnblons.
Cette deuxième étape de la convocation ouvre le mouvement
proprement liturgique, anticipé par la dynamique de l'aller, du
parcours hors du monde. Maintenant, l'Église est réunie chez
elle, avec le Verbe en son milieu.
Aussi, les membres vont-ils naturellement accomplir le
geste qui marque cette étape: ils signifient d'abord par leur
position pneumo-psycho-somatique, quand même ce serait seu-
lement au moyen d'une métaphore orale, qu'ils reconnaissent
être en présence du sacré personnifié: {( Prosternons~nous! ».
La forme de ces deux verbes initiaux est elle-même signifi-
cative. «Venez! » est à la deuxiènle personne du pluriel: l'invi~
tation est adressée de l'intérieur vers l'extérieur. L'Église incite
DYNAMIQUE DE LA PAROLÊ ET LITURGIE 15

ses membres dispersés à se mettre en mouvement de la pen-


phérie vers son centre. {( Prosternons-nous! » est à la première
personne du pluriel: l'impératif est prononcé par les membres
rassemblés, à la fin de leur mouvement de convergence. L'Église
se parle à elle-même, intérieurement.
A ce stade, le geste est celui qui marque la reconnaissance
du supérieur, du maître, du Roi, devant lequel on commence par
s'incliner ou par s'agenouiller, en signe de respect, d'adoration,
et aussi de contrition et de pénitence.
A divers moments de la liturgie, de tels gestes vont porter
la prière, tantôt à l'invitation du président de l'assemblée ou du
diacre, tantôt à l'invocation impérative de celle-ci (quand même
ce serait par la bouche de l'officiant, du choeur ou du lecteur):
«Inclinez la tête devant le Seigneur! »; «Remercions le Sei-
gneur! »; {( Elevons nos coeurs! ». Et l'on a suffisamment parlé
ici des mains levées du prêtre pendant l'anaphore, de la proster-
nation du prêtre et des fidèles devant le calice, etc. 1 Ajoutons-y
la répétition de certaines formules, comme « Kyrie eleison »,
qui est elle-même signe de mouvement, cyclique, mais toujours
dirigé vers le même sens.
Le dernier mouvement liturgique est l'inverse du premier.
Après la convocation à partir du monde: {( Venez!» et après
l'ensemble de l'action liturgique intérieure, l'Église va se disper·
ser, en envoyant ses membres en mission dans le monde. « Sor-
tons en paix!» ou ({ Ite, missa est! ». Le verbe de la formule
orientale est logiquement à la première personne du pluriel,
conformément à l'injonction que l'Église se donne à elle-même de
l'intérieur. Mais l'impulsion donnée par l'impératif de la messe
latine, à la deuxième personne, est la même.
Il ne serait pas utile de multiplier les exemples de ce fait:
la prière de l'Église est el·gon, dont la dynamique propre est
incessante durant la liturgie. Celle-ci est d'ailleurs comme encad-
rée, ou plutôt préparée et suivie par le mouvement de la venue
et celui de la sortie.
L'expression de cette dynamique, telle que nous la vivons
dans la liturgie, mobilise donc le geste et non pas seulement

1 Voir, dans ce même volume, les apports de B. BOTTE, B. NEUNHEUSER, A.


KXIAZEFF (N.d.l.R.).
16 CONSTAXTIN ANDRONIKOF
- - - - - _... _ - - - - - - - - - - - - -

l'intention. La conversion initiale est déjà un déplacement. L'ac~


cès final au Royaume s'obtient même par « la violence» (Mt. XI,
12: hé basileia biazelai). Et il est hautement significatif à ce
propos que le modèle même de la prière, donné par le Seigneur,
ait pour conclusion, affirmée par l'Église, un rappel du Royaume,
comme au commencement de la liturgie eucharistique, mais avec
une référence à la dY71amis: "A Toi sont le Règne et la Puissance
et la Gloire! ».
Au sujet de cette «violence»: le contexte évangélique est
celui des prophètes, dont la parole projette l'avenir en évoquant
l'éternité. L'exemple fourni par Jésus est celui du «plus grand
qui se soit levé parmi eux », le Prodrome (ib. 11), "depuis le
jour (duquel) jusqu'à présent le Royaume des cieux est violenté,
biazetai ». Or «tout homme, pour y entrer, violente» (Le. XVI,
16). Les bias/ai, viole71li, peuvent certes être de deux sortes con·
traires: d'une part, ceux qui s'opposent au Règne et qui sont sous
l'impulsion du mal ou du Tentateur (la plupart du temps, celle-ci
n'est pas exprimée verbalement, sauf dans les cas exemplaires
d'Adam et du Nouvel Adam); d'autre part, ceux qui montent à
l'accès du Royaume et qui sont mus par le Verbe et par J'Esprit.
La liturgie est le lieu par excellence de cette motion, le lieu
des « appelés », des clercs assemblés au Nom de la Trinité, où la
[oree pneumatique accordée par le Verbe est expressément ma-
nifestée. Dans l'eucharistie, elle atteint le sommet de ses effets:
l'union avec la Puissance elle~même, « pour qu'ils soient un com-
me nous sommes un» (Jn. XVII, Il).
Par essence, J'application dynamique de la Parole conduit
à une suite de mouvements dons certains sont analogues à 'ceux
du Verbe incarné lui-même dans l'économie du salut. L'un d'en-
tre eux est la division initiale, la « mise à part ») des clercs par
le glaive du Logos, qui est leur consécration: "Consacre-les par
la vérité: Ta parole est vérité» (ib. 17). Or," Je leur ai donné Ta
parole et le monde les a pris en haine» (ib. 14). Autrement dit,
le Christ demande au Père de séparer les fidèles du monde et du
mal, et de les initier en tant qu'Église. Et le mouvement inverse,
qui clôt la liturgie et qui renvoie les fidèles de l'Église vers
l'extérieur, est à l'image de l'envoi du Fils par le Père dans le
monde (ib. 18).
Le maximum de puissance, de dynamis, auquel l'homme
puisse atteindre et qu'il puisse « porter») est, proprement, « le
DYNAMIQUE DE LA PAROLE ET LITURGIE 17

miracle des miracles» sur terre: l'atteinte du but de l'oeuvre


eucharistique, à savoir: la metabolè, la transformation en Corps
du Christ; autrement dit: la déification. «C'est là un grand
mystère ... Dieu parmi les hommes et Dieu parmi des dieux qui
ont reçu la déification du vrai Dieu par nature ... Il y a là le
Royaume futur» '. La dynamis actuelle du Verbe dans l'épiclèse
rend présente la dynamis de l'eschaton éternel.
Il n'est peut-être pas inopportun de rappeler que le terme
évangélique que nous rendons habituellement par «miracle»
est précisément dynamis. Et le mot teras, prodige, ne se rencontre
que rarement dans l'Écriture, où il est d'ailleurs toujours ac-
compagné de sèmeion et de dynamis (comme dans Act. II, 22;
II Cor. XII, 12; Héb. II, 4). Retenons Gal. III, 5, où saint Paul
met vigoureusement en relief la relation entre l'Esprit, la Pa-
role et la puissance: «Celui qui vous dispense l'Esprit et opère
parmi vous des forces, energôn dynameis, (il le fait) à cause de
l'écoute de la foi, ex akoès pisteôs, ex auditu fidei ».
L'achèvement de cette dynamique de la liturgie, ou le reste,
s'il peut en général s'agir d'un reste, est l'affaire de la vie éter-
nelle, où « le Seigneur, Dieu le pantokratôr, est son temple, ainsi
que l'Agneau» (Ap. XXI, 22). L'action de la Parole, celle de
l'Esprit et celle de la liturgie coïncident; elles deviennent im-
médiates. L'Église est devenue le Royaume. Entre temps, « l'Esprit
et l'épouse» disent non pas: attends et contemple, dans une
attitude d'extase statique ou de theôl'ia immobile, mais: « Viens! »
Ub. XXII, 17).
Partant du fait que nous sommes créés à l'image du Verbe
incarné, nous constatons aussi par l'Écriture que le Créateur
nous fait directement participer de son souffle et que c'est
celui-ci qui fait que nous sommes. Or, dans sa révélation et son
action, le Logos du Dieu Un n'est jamais séparé de l'Esprit (sauf
au moment de la mort), et celui-ci est mouvement par excellence,
étant souffle. Le Verbe est déjà le mouvement de l'Esprit. Nous
le voyons dès la Genèse, et surtout à l'instant de la création de
l'homme, quand Dieu énonce sa volonté et donne de son souffle.
y aurait-il un délai imaginable entre la profération de la Parole
et la spi ration du Pneuma?

2 SYMÉOl'\ oÊ THESS.oU.ONIQLE, Des saints mystères, 93-94; PG CLV, c. 280-281.


18 CONSTANTIN ANDRONIKOF

Dans l'image que nous sommes, nous trouvons aussitôt une


analogie purement physique, mais qui n'est pas dénuée de va·
leur symbolique. Notre propre parole ne va pas sans l'haleine.
Quand nous restons muets, nous ne soufflons mot (du moins en
français). Physiquement, la parole est un son, qui n'est qu'une
vibration d'une certaine fréquence, intensité, etc., dans un milieu
capable de la transmettre: air, eau, métal. Il n'y a pas de son
sans un mouvement du milieu ni déplacement ondulatoire. En
outre, la parole mettant en branle les cordes vocales, la langue,
Jes lèvres, dès le principe est geste, {( geste lingual» ou ( phono-
mimique », «mimismo-phonétique », précise Marcel Jousse, dont
on connaît les analyses enthousiastes. Notons par rapport à
notre propos ce qu'il disait du « rythmo·énergétisme » universel:
«La vie, étant mouvement, est constamment rythmée par des
tensions et des détentes énergétiques successives qui, au stade
du langage oral, explosent surtout au niveau de l'appareillaryngo.
buccal» '. La «rythmo.mélodie intellectuelle du langage» ne
manque donc pas de provoquer un ébranlement intérieur de
l'organisme humain et extérieur du milieu cosmique. Lorsque
Dieu parle, c'est tout l'univers qui est créé ou qui est mis en vie.
« Pour l'Elohim palestinien, geste et parole sont un même acte.
C'est le Dâbâr. Sa parole fait surgir du néant une chose qui se
tient »4.
Et, utilisant l'autre mot biblique pour la parole, memrâ,
Jousse reconstituait ainsi la première phrase du prologue de
Jean, selon «l'araméen targoûmique, animé par des rythmo.
mélodies traditionnelles »: Beqadmin hawâh Memrâ, au Corn·
mencement était le Memrâ, lequel est « simplement la mise en
substantif, sous forme de nom, de l'acte créateur que nous mon·
tre la Genèse dans les dix commandements donnés "au Corn·
mencement" par le Tout·Puissant:
Et memrâîsa (parla) Elâhâ:
"Que soit la Lumière!"
Et fut la Lumière.
Memrâîsa, c'est-à-dire parla, gestualisa )} 5.

3 M. JOUSSE, L'anrhrupologie du geste, Paris 1969, p. 385.


<1 Ibid., p. 110.
S Ibid., p. 189; et n. 12.
DYNAMIQUE DE LA PAROLE ET LITURGIE
---
19

La lumière est un autre aspect de l'Esprit Saint, qui est


l'Esprit du Verbe. «Gloire à Toi qui nous as montré la lumiè-
rel )} ... « En Toi est la source de vie, dans ta lumière nous verrons
la lumière», entonnons-nous à matines. {( La lumière du Christ
illumine toUS)}, prononce le prêtre aux présanctifiés. « Christ,
lumière véritable, qui illumines et sanctifies tout homme venant
dans le monde», dit la prière de prime ... Or, la lumière est elle
aussi, dans le monde physique, un mouvement vibratoire, mais
qui n'a besoin d'un Inilieu « matériel)} que pour être perçu, non
pour se propager. Pour l'organisme théanthropique de l'homme,
la lumière est la vie (In. l, 4), puisque nous vivons par partici-
pation à l'énergie de Dieu et que le Christ est la Vie.
Toutes nos prières liturgiques où, par la parole, nous invo-
quons la lumière du Verbe (ex. les photagogika, svetilny), sont
donc des appels à la dynamique fondamentale de la vie même,
à savoir: vers celui qui est la Vie et celui qui en est le Donateur.
Centrées sur le Christ, éclairées et animées par l'Esprit, selon
la bienveillance et l'envoi du Père, ces prières font que la dyna-
mique globale de la liturgie est trinitaire, ainsi que nous l'annon-
çons dès le début de la liturgie eucharistique: «Béni est le
Règne du Père et du Fils et du Saint Esprit! ».
Certes, on le sait bien par le contenu même des textes, mais
il nous importe ici de noter que nous sommes amenés à cette
conclusion, apparemment évidente, en considérant simplement
ce que nous appellerions (sans aucun calembour) la geste litur-
gique. Nous voulons dire par là que la liturgie, comme son nom
l'indique, est un ensemble d'actions consonantes, de tensions
harmonisées vers un but unique, par un mouvement eschatolo-
gique, qui est moins theôria, vision, que theôsis après metanoia,
c'est-à-dire un processus d'acquisition de la vie du Christ et de
d'Esprit, sous l'effet même des dons reçus. Dans la vision théori-
que, la distance entre le sujet voyant et l'objet contemplé de-
meure, ainsi que leur distinction insoluble. Dans la métamorphose
déifiante, le mystère de l'union théanthropique s'opère. La li-
turgie n'est pas stase ni extase mystique, elle est opération
sacramentelle (ou mystérique) '.

6 Profitant d'une remarque judicieuse du P. Staniloae, je m'empresse de


préciser que je n'entends pas ici « l'union)} qu'ont connue des mystiques, au-delà
de toute expression, mais toujours dans la dynamique du Verbe et du Pneuma,
el qui n'est plus proprement une (( vision" ni une action liturgique.
20 CONSTANTIN A~~RONIKOF

D'ailleurs, si personne n'a jamais pu voir Dieu et vivre,


tous le communiants, grâce à l'Esprit, participent de la chair du
Verbe incarné, en qui {( nous avons la vie, le mouvement et
l'être" (Act. XVII, 28).
Si nous avons fait allusion tout à l'heure aux analogies physi·
ques des mouvements vocal et lumineux, c'est pour ne pas oublier
que les prières sont effectuées, sous l'impulsion de l'Esprit, par
des hommes qui ne prient pas en dehors de leur corps, mais avec
et dans leur corps, à l'image de l'Orant par excellence, dont « la
sueur devint comme des caillots de sang qui tombaient à terre"
(Le. XXII, 44). Et la lumière du sens, lors de la profération de
la parole, intéresse immanquablement le système neuro·muscu·
laire, ébranlé tant par l'émission que par l'audition des sons de
la parole ou par la perception du rayonnement lumineux (sans
parler des glandes endocrines, des muscles lisses, du système
lymphatique ... ). C'est par notre corps tout entier «que notre
monde commence ... Le corps humain est l'instrument du lan·
gage, et le langage humain est le chant qui le fait résonner. Le
corps de l'horrune est l'instrument dont se sert la pensée humaine
pour parler" '. La liturgie ne met pas le corps en repos, comme
pour le dépouiller. Elle le fait participer à son action par la
dynamique même du verbe. Même la station debout est un signe
de celle·ci, non pas relâchement, mais tension. En effet, la liturgie
étant un appel et une anticipation du Règne, elle symbolise par
un événement actuel le Deuxième Avènement à venir. Cette
injonction du Christ s'applique spécialement bien aux Iiturges,
devant les signes avant-coureurs de la Parousie: « Redressez-
vous et relevez la tête, car votre délivrance appmche" (et non
pas: «est proche,,; Le. XXI, 28). Mais la liturgie nous invite
tantôt à nous tenir droit et tantôt à incliner la tête.
Adoration et redressement, lumière et parole sont d'ailleurs
l'objet de notre prière dès que nous nous relevons de notre
couche nocturne, qui figure à la fois la mort, les ténèbres et le
monde. «Réveillés du sommeil, nous nous prosternons devant
Toi. .. et proclamons l'hymne des anges " ... «De ma couche Tu
m'as relevé, Seigneur; illumine mon esprit et mon coeur, et
ouvre mes lèvres pour Te chanter, ô Sainte Trinitél » ... « Clamons
au milieu de la nuit: Saint, Saint, Saint es· Tu, Dieu! ». Tel est en

7 A. TOMATlS, L'oreille et le langage, Paris 1963, p. 179.


DYNAMIQUE DE LA PAROLE ET LITURGIE 21
------------------~

effet le premier acte dans la dynamique ecclésiale, à la fois


personnelle et liturgique (des verbes sont à la première personne
du pluriel).
A propos de cette" coïncidence" du Logos et de la Lumière
(où nous ne pouvons pas manquer de voir l'Esprit Saint), si
fortement marquée par la liturgie à la suite de l'Écriture, un
commentaire du Zohar me paraît ontologiquement approprié:
"Par un mystère des plus secrets, l'infini frappa avec le son
du Verbe le vide, bien que les ondes sonores ne soient pas
transmissibles dans le vide. Le son du Verbe était donc le com-
mencement de la matérialisation du vide", (qui serait néanmoins
restée imperceptible) "si, au moment de frapper le vide, le
son du Verbe n'eût fait jaillir le point étincelant, origine de la
lumière, qui est le mystère suprême et dont l'essence est incon-
cevable". Il est intéressant noter que ce passage est cité par
Tomatis à propos du langage et de son écoute '.
n faudrait certes un fort volume pour développer ces dif-
férents thèmes de la dynamique de la parole, triadique, christi-
que, pneumatique et humaine (ou plutôt théanthropique). Nous
ne pouvons guère qu'y faire allusion ici.
Rappelons-nous le rite ancien de la profession de foi devant
le peuple de l'Église, quand le néophyte pronuntiavit fidem ve-
race ln dans une formule déterminée: « ver bis certis conceptis
retentisque memoriter ,,'. Par la profération (bringing forth) des
certa verba, du hieros logos, l'Église attribue une force sacramen-
telle à la parole, qui tend à rendre opératoire son contenu. Le
signifiant symbolise actuellement le signifié.
L'égyptien ma-achrw signifie c( correct en ce qui concerne la
voix", remarque Van der LEEUW au chapitre Parole sainte de
son encyclopédique La religion dans son essence et ses mani-
festations 10. Et ce terme a donné le grec makarios, bienheureux
ou béat.
Ce même auteur nous fournit une foule de considérations
appropriées à notre sujet ici, ne serait-ce que par ses citations.
En voici une de Cassirer: ({ La théorie "nominaliste" d'après
quoi les mots ne sont plus que des signes conventionnels, de

8 Ibid., p. 41.
9 AUGUSTIN, COl1fessiones VIII. II, 5; éd. Belles Lettres, p. 180.
10 Trad. 'franç. Paris 1970, p. 398.
22 CONSTANTIN ANDRONIKOF

purs fla/us vocis, n'a été que le résultat de réflexions tardives,


non pas l'expression de la conscience du langage "naturelle",
immédiate. Pour celle-ci, ]' "essence" de la chose n'est pas dési-
gnée indirectement dans le mot, par son entremise, filais elle
s'y trouve contenue et présente d'une 111anière ou d'une autre}) 11,
Tout à fait dans la tradition biblique, Herder" formula cette
pensée profonde: les verbes deviennent des l1011/ina, des noms,
au moment où l'homme commence à adorer» 12, ({ Par l'appel du
nom propre, le mot de la révélation pénétrait dans le dialogue
réel; un nom propre creuse une brèche dans le mur rigide de
l'objectivité» 13, Et Van der Leeuw commente: {{ Le mot cst un
acte, une attitude, le fait de se présenter et d'employer de la
puissance. Dans chaque mot se trouve un élément créateur. Il
présente. Il est là avant ce qu'on appelle la réalité" H.
Dans cette perspective, Barth 15 et Tillich" se demandent si
la prédication, puissance présente, ne devient pas une forme de
la révélation ct ne doit pas étre considérée comme un sacrement.
A fortiori devons-nous, me semble-t-il, attribuer une telle force
ex opere operantis au hieros logos de la sainte liturgie ou, com-
me des Pères]' ont appelée, hiérurgie.
Il est clair, en passant, que si notre parole liturgique ainsi
comprise acquiert une force opératoire, qui atteint son maximull1
de puissance dans la fornlule dite précisément « consécratoire »
(mais, en un sens, toute notre prière ne l'est-elle pas?), l'ombre
même d'une confusion entre sacrement et magie est entièrement
exclue. En effet, « l'action sacrée est un service, 1nùzisteriu111 ou
officium. Dans le culte, l'age,lS ... n'est ni l'homme ni la com-
munion humaine, mais c'est la puissance sainte ... On est dans
une action sainte, non au-dessus d'elle. On sert, on ne gouverne
pas» li'. Et ainsi, « tout culte est un dranle ... Dieu vient à l'hom-
me, j'homme s'approche de Dieu» lB.

11 Cité dans: Van der LEELl\V, La religion dans son essence et ses Ina/li/esta-
lions, p. 395, n. 11.
12 Ibid., n. 2.
13 F. ROSENZWEIG, Der Stem der BrIOs/mg, II, 127, cité dans: Van der LEEUW,
11. l.
La religiol1 ... , p. 396,
14 Van der LEEUW, a.c., p. 395.
15 Kircllliche Dogmatik 1, r. 1932, p. 52 55.
16 Relig. VerwirklicJwng, 148.
17 Van der LEEUW, v.c., p. 364.
lB Ibid., p. 367.
DYNAMIQUE DE LA PAROLÈ ET LITURGIE 23

Ce double mouvement dramatique est particulièrement si-


gnifié par ces paroles de l'anaphore: «Ce qui est à Toi, le tenant
de Toi, nous Te l'offrons pour tout et en tout ". Le mouvement
descendant de la grâce sanctifie, sacralise les biens de la vie
tronsformés par l'homme, qui se transforme par ce don pour
en offrir les fruits et se présenter lui-même en « offrande spiri-
tuelle ". Nous constatons à quel point le geste et la parole sont
ici indissolubles. comme le sont la montée et l'odeur de l'encens,
lui-même symbole de la grâce de l'Esprit et de l'élévation de
la prière humaine. A la limite du drame, vécu dans l'histoire,
parlé dans la liturgie, il y a le geste suprême, le don sacrificiel,
la kénose de Dieu et le martyre des élus.
Notons aussi que la prière de l'Église est à l'image naturelle
de la circulation biologique du sang et du courant nerveux dans
le Corps du Christ, dont chaque membre est l'image dynamique
et logique, y compris son corps individuel (propre à chaque
homme) et son« corps périphérique» ou « potentiel», c'est-à-dire
le cosmos (selon l'expression de Boulgakov). C'est en particulier
ainsi que l'on peut entendre la fameuse définition de Heideg-
ger: (( La parole est constitutive de l'existence ».
Cela est surtout vrai pour la doxologie. « La louange résonne
au sein de l'éternité, où elle pénètre; elle aboutit au chant de
louange angélique" (le premier tropaire des prières du lever,
que nous avons citées tout à l'heure, est caractéristique à cet
égard: «Proclamons l'hymne des anges! ", c'est-à-dire le trisha-
gion). « C'est le mouvement vers Dieu, office non seulement de
l'être humain, mais du monde entier)} 19.
Cette force constitutive de la parole inspirée non seulement
confirme, mais encore affirme l'établissement d'un n10de d'être,
d'un état nouveau, d'une consécration spécifique. ( Axios! )} trois
fois répété par les « officiants" et par le peuple co-liturge résonne
au sacre de l'évêque, à l'ordination du prêtre, au baptême chez
les Coptes. Analogiquement à la «consécration par la vérité",
il se produit ici un départ et une division, un {( passage» dans
une sphère supérieure de l'Église.
Inutile de rappeler que la répétition de maintes formules
sacramentelles et liturgiques, comme de l'axios, des exorcismes,

19 Ibid., 'p. 422.


24 CONSTANTIN ANDRONIKOF

du Kyrie eleison, accroît la puissance opératoire, sinon le sens,


de la parole, comme le croient presque toutes les religions du
monde (l'om ou aunz hindou, les malltras, les moulins à priè-
re, etc.). Encore que le Christ enjoigne de ne pas être prolixe
dans l'oraison, lui-même répète: «En vérité» devant un grand
nombre de ses préceptes. Il y a peut-être là une forme de la
« violence» dont il avait été question. La répétition est un mode
de cette insistance dont l'Écriture nous apprend qu'elle est parfois
nécessaire pour obtenir satisfaction, car elle marque la fermeté
de la volonté, de la foi de l'homme face à la puissance de Dieu.
Deux exemples scripturaires suffisent à fonder cette pratique
rituelle: Jacob luttant avec l'ange: «Je ne te laisserai pas qUe
tu ne m'aies béni" (Gen. XXXII, 27); et la veuve qui assiège
l'intendant (Lc. XVIII, 2-8).
Encore faut-il que la parole ait un sens et que le signifiant
soit adéquat au signifié, en tout cas dans la dynamique de la
liturgie. C'est probablement pourquoi l'Église a très vite aban-
donné la pratique de la «glossolalie ", apparemment une sorte
d'extase verbale: elle tombe trop facilement dans le verbiage
insensé, de toute façon inintelligible et non informatif. Paul,
pourtant supérieurement doué à cet égard, est formel: «Grâce
à Dieu, je parle en langues plus que vous tous; mais dans une
assemblée, je préfère dire cinq paroles avec mon intelligence,
dia tou no os mou, pour instruire aussi les autres, plutôt que
dix mille paroles en langue» (1 Cor. XIV, 18-19). L'expérience
malheureuse de la plupart de nos «charismatiques" contempo-
rains, à la verbigération anarchique, confirme la sagesse de cette
attitude de l'apôtre. Au fond, les paroles et les gestes de la "litur-
gie représentent une approche cataphatique de la vérité; l'apo-
phatique est réservée à l'indicible. Et la liturgie n'est pas ver-
beuse, à quelques exceptions près (des canons du sanctoral
récents, les trois prières des vêpres de la Pentecôte ... ).
Si l'on peut dire, avec Tauler, que « la prière n'est pas autre
chose qu'une élévation du coeur vers Dieu », « Sursum corda! »,
i! n'en reste pas moins que l'expression de la prière liturgique est
la parole et que celle-ci a toujours un sens, en tant qu'acte
sacramentel ou que définition ontologique. Nous avons pu consta-
ter qu'elle symbolisait les actes de bénédiction, d'exorcisme, de
la descente et de la montée, étant une participation sacramentelle
au divin, dont le principe (la pulsion de J'Esprit) et l'escha/on
DYNAMIQUE DE LA PAROLÊ ET LITURGIE 25

(la venue du Règne) sont de nature théanthropique. C'est ainsi


gue la Parole de Dieu, scripturairement figurée dans l'Évangile,
est une icône actuelle du divin. Aussi le président de l'assemblée
présente-t-il ce livre à la vénération des liturges. A cet égard, on
peut considérer la liturgie (même aux offices où l'Évangile
n'est pas lu) comme le condensé ou la récapitulation de la dyna-
mique de l'évangélisation. «Et je vis un ange qui volait au
milieu du ciel, ayant un évangile éternel, pour évangéliser ceux
gui résident sur la terre» (Ap. XIV, 6).
Cette parole est donc bien un mouvement, par sa venue, par
sa proclamation et par l'effet de son appel «en haut », qui est
la conversion en vue du Règne. Il est évident que le plus haut
degré d'incarnation de la parole et le maximum de participation
humaine au divin interviennent au moment où le Verbe lui-même
se présente par sa chair et son sang. L'énergie directe de l'Esprit
Saint incarne la Parole, fait coïncider le signifiant et le signifié
par son souffle prodigieux et réalise le symbole de tous les
symboles. Le mystère de la dynamique gestuelle, phonique, logi-
que, pneumatique est alors achevé.
On peut dire qu'à ce moment-là la parole atteint la forme
la plus complète de son « mimisme» liturgique, conformément
au modèle: «Devenez des imitateurs de Dieu (mimètai, ceux qui
suivent Dieu, traduit Van der Leeuw), comme des enfants aimés,
et marchez dans l'amour, comme le Christ nous a aimés et s'est
livré lui-même pour nous en offrande et sacrifice à Dieu» (Eph.
V, 1-2). Ou encore: «Et vous, vous êtes devenus des imitateurs
de nous (des apôtres) et du Seigneur, en recevant la Parole,
dans une multiple tribulation, avec la joie de l'Esprit Saint»
(I Th. I,6), dont l'énergie permet de comprendre cette Parole.
Rappelons-nous à ce propos toute la dialectique de la lettre
inerte et de l'esprit vivifiant que des livres sacrés exposent abon-
damment (savoureuse est l'exclamation de George Fox, inter-
rompant un prédicateur sans nuance: ({ Non pas l'Écriture, mais
le Saint Esprit» ").
Cependant, la parole peut encore avoir une autre action my-
stérieuse quand elle se réfère directement à celle du Logos lui-
même: celle de libérer des péchés. C'est ce que signifie une
prière du rite de la confession (la première dans l'euchologe

20 LINDEBOOM, Stiefhinderen, cité dans: Van der LEEUW, La religion ... , p. 494.
26 CONSTANTIN ANDRONIKOF

grec, la seconde dans le trelmik. C'est le P. Alexis Kniazeff qui


attira mon attention sur ce texte). La nomenclature habituelle
des fautes (<< en parole ou en acte, en connaissance ou en igno-
rance», etc.) est suivie de cas particuliers liés à une parole:
" S'ils ont foulé aux pieds une parole de prêtre, logon hiereôs,
ou se sont trouvés sous la malédiction, katara11., d'un prêtre ... ou
s'ils sont conduits par un serment, horkô(i), Toi-même, Sei-
gneur ... veuille bien délier par une parole, logô(i) luthènai, tes
serviteurs que voici» (curieusement, cette prière, contrairement
à tout le reste du rite, vise des pénitents au pluriel et non une
personne donnée).
D'autre part, la parole est linguistiquement incarnée dans
des mots qui constituent le langage. Prenons ceux qui en font
l'ossature, soit les substantifs et les adjectifs. En dernière analyse,
ces entités du langage représentent des dénominations qui défi-
nissent ou qui connotent des essences ou des modalités d'être,
ainsi que nous l'avions déjà suggéré. A la limite, ce sont des
noms propres qui expriment la nature du signifié. Quand le si-
gnifié est Dieu même, ces Dl0tS sont toujours dynamiques et ils
qualifient une énergie ou un " attribut" divins. Tels les adjectifs:
saint, puissant, immortel, philanthrope, très miséricordieux, très
haut, chanté ... ; ou les substantifs: créateur, dèmiourgos, pantour-
gos, pantokrator, gardien, roi de la paix, donateur de vie, trésor
des biens, dispensateur de dons ...
Ces entités sémantiques signifient des aspects de la révéla-
tion que procbme la liturgie, c'est-à-dire qu'elles véhiculent le
sens de l'attitude ou de l'action de Dieu envers l'homme, et
l'attitude ou la rétro-action de celui-ci à l'égard de Dieu:' Elles
sont essentiellement religieuses, car elles symbolisent la relation
énergétique entre Dieu et l'homme en prière dans l'Église. Fort
souvent aussi, le nom propre de baptême (jadis publiquement
proclamé) aura une signification semblable: René, Pie, Théodore,
Amédée, Anastase, Athanase ... , voire celle de vertus que l'Occident
appellera" théologales" et dont la mère, dans le sanctoral byzan-
tin, était Sophie. Le même sens sacramentel ou héortologique
se retrouve dans des noms de famille (surtout chez les Hellènes
ct les Slaves).
Tous ces aspects de la parole, du point de vue nominal
(c'est-à-dire substantiel et non pas nominaliste), éminemment
dans l'usage liturgique, signifient avec insistance la nature in-
DYNAMIQUE DE LA PAROLÊ ET LITURGIE 27

choative et eschatologique de ce que nous proférons. Ils symbo·


lisent le mouvelnent Inême de la vie chrétienne, à savoir: l'enga-
gement dans l'économie du salut et la glorification ascendante
du Saint Nom et du Règne. La parole exprime la dynamique spi-
rituelle de la ({ religion » authentique, de « la foi et des oeuvres ),
Elle le fait en « provoquant» plutôt qu'en évoquant simplement
la dYllamis divine dont elle participe.
Au fond, la liturgie tend à « parfaire» l'action créatrice et
récréatrice du Logos, vivifiante et illuminatrice de l'Esprit Saint.
Par une démarche analogue à la Genèse originelle et à la palin-
génésie pascale et pentecostale, la liturgie récapitule (directement
dans telles de ses parties, notamment dans l'anaphore) l'oeuvre
globale du Verbe par la dynamique de la parole inspirée. Oeuvre
globale, encore qu'inachevée quant à l'homme et au monde,
puisqu'ils en sont encore au temps historique de l'attente de la
Fin métahistorique et parfaite. Et que la liturgie exprimerait-
elle, sinon cette attente active ou la montée vers Sion? C'est en
cela que consiste sa dynamique, par assimilation, « min1isme » et
participation de sa parole à celle de Dieu, grâce à l'épiclèse de
l'Esprit.
En ce sens, « la Parole de Dieu est aussi la parole de l'hom-
me, celle qui a inclus en elle-même l'inspiration du Saint Esprit,
qui a été pour ainsi dire transformée par Lui (prelojilos',
eucharistiée) et qui est devenue théanthropique, divine et humai-
ne ensemble» 21. C'est de ce fait qu'elle possède la puissance sa-
cramentelle de symboliser le mystère au point d'assurer son
opération par l'énergie de l'Esprit Saint; ou encore, de «faire
mystiquement revivre l'événement, par exemple la Nativité du
Christ, et la lecture de l'Évangile acquiert la force de l'événe-
ment ». Il est toutefois « évident que cette utilisation liturgique
de la Parole de Dieu n'est donnée qu'à l'Église ... C'est en elle
qu'apparaît la force vivifiante de la Parole de Dieu» ".
Là encore, le modèle est fourni par la parole sacrée elle-
111ême: c'est par un appel, par une élection (au sens premier et
fort du terme), que Dieu suscite à l'être ce qui n'a pas d'être,
ce Dieu qui souffle et qui parle à la Genèse de l'univers, « qui

21 S. BOtTLGAKOV, L'Orthodoxie, Paris, s.d., p. 63, en russe; trad. franç., Paris 1932.
22 Ibid., 'p. 69.
28~________________~CO~N~S~T~A~N~T~IN~A~ND~~R~O~N~IK~0~F~__________________

vivifie les morts et qui appelle comme étant les choses qui ne
sont point, kalountos ta mè onta hôs onta» (Rom. IV, 17).
D'où l'importance attachée par l'Église à toute profération
de paroles sacrées, naturellement accompagnées des attitudes et
des gestes appropriés, surtout quand elles signifiaient le «pas·
sage» ou la « naissance» à la vie nouvelle du baptême, en tout
cas à l'époque où toute la civilisation connaissait la gravité du
nom et du 11Ll1nineux, en Orient comme en Occident, ainsi que
l'attestent l'Euchologe de Sérapion, les Constitutions Apostoli·
ques, les Catéchèses de Cyrille de Jérusalem, ou Ethérie, Augustin
et tant d'autres 2.1. Notons au passage cette acception du terme
symbole, qui devrait garder toute sa force pour la profession
de la foi. A Jérusalem, par exemple, les catéchumènes, justement
appelés phôtizomenoi (avec l'équivalent latin de competel1tes,
un terme qui marque bien la tension), reniaient Satan la main
étendue vers l'Occident (apotaxis) et récitaient le symbole de
la foi la main tendue vers l'Orient (syntaxis).

... * x

Il est temps de conclure. Si, comme nous le croyons, la


liturgie, par sa dynamique même, a pour principe le Verbe de la
Genèse, il peut être fructueux de suggérer la contrepartie humai-
ne et complémentaire de l'interprétation purement divine du
Prologue johannique que nous avions relevée chez Marcel Jousse,
à propos de la Parole. Voici le commentaire de Serge Boulgakov:
« Au commencement était le verbe, au commencement de l'être
mondial... il y avait le verbe» (avec une minuscule), «qui le
remplissait, qui lui apportait la lumière et en qui toute chose
recevait son nom, son être propre ... Ce verbe du monde et dans
le monde, le logos cosmique, est l'action directe du Logos Divin ».
Et le Père Serge transcrit ainsi les phrases initiales de saint
Jean: « Au commencement était le verbe, et le verbe était vers
Dieu, et Dieu était le Verbe ». Ainsi, continue notre théologien,

23 Voir en particulier le rite romain de l'initiation chez Dt;CHESKE, Origines


du. culte chrétien, 3e éd. 1903, pp. 298-305, avec l'abrerumliafin diaboli (<< male-
dicte diabole ») et la traditio ou redditio s)'mboli.
DYNAMIQUE DE LA PAROLË ET LITURGIE 29

<, le verbe du monde est amené ici à sa source: l'hypostase divine


du Logos, qui illumine le logos mondial et qui lui impartit la
puissance de distinction cosmo-urgique» (la force de poser
créativement le nonl des choses) » 24,
Ce « Logos dans le créé », ou plutôt « l'énergie du Logos dans
le monde» (que Boulgakov appelle naturellement la Sophie),
« réside et se concentre en l'homme, image et ressemblance de
Dieu .. , porteur du logos mondial)} 25. Dans cette ({ participation })
de l'homme-microcosme au Verbe créateur et incarné, Boulgakov
voit le fondement de la connaissance et « l'unité originelle de la
pensée, du discours et de l'être» ".
Ce raisonnement est entièrement applicable à toute la dé-
marche liturgique. L'énergie divine, hypostasiée par l'Esprit
Saint, «permet» au logos du monde, personnifié par l'homme,
d'acquérir une puissance créatrice, en tout cas informante et
opérante. Les paroles de la prière, étant dès l'origine logiques et
pneumatiques, deviennent dynamiques, elles acquièrent une
puissance efficace qui sanctifie le créé et qui vise l'escha ton, en
appelant et ensemble en glorifiant le Règne.

Constantin ANDRONIKOF

24 S. BOULGAKOV, La philosophie du nom, Paris 1953, p. 123, en russe.


25 Ibid., p, 124.
26 Ibid.,. p. 125.
ÉVOLUTION DES RITES D'INCORPORATION ET DE RÉADMISSION
DANS L'ÉGLISE SELON L'EUCHOLOGE BYZANTIN

Par rites d'incorporation dans l'E.glise nous entendons


surtout les sacrements de l'initiation chrétienne, mais aussi les
rites d'admission des hérétiques, tandis que par réadmission nous
voulons dire ceux de la réconciliation des pécheurs et des
apostats.
Ces rites ont évolué tout au long de l'histoire. Le témoin de
cette évolution est l'Euchologe, le livre dont se sert l'Église
byzantine pour la célébration des sept sacrements. Ce livre n'a
pas de correspondant dans la tradition romaine, si ce n'est,
dans une certaine mesure, dans l'ancien Sacramentarium. Un
euchalage est, par définition, une collection de prières. Dans le
cas de l'Euchologe byzantin, il s'agit des prières sacerdotales
pour la célébration de l'eucharistie, des autres sacrements, des
sacramentaux et de l'office divin. En outre, l'Euchologe byzantin
contient le texte des litanies du diacre - mais ceci est une
innovation relativement récente - et les rubriques ou explica-
tions rituelles qui accompagnent les prières et expliquent les
cérémonies. Ces rubriques ont été au début très concises - se
réduisant parfois au seul titre de la prière - mais elles se sont
développées considérablement dans la suite.
L'Euchalage complet ou Grand Euchalage (car il existe une
édition réduite appelée Petit Eucholage) peut se présenter en
trois volumes séparés selon leur destination: HIERATIKON (prières
de la messe et de l'office), ARCHIERATIKON (correspondant du Pon-
tifical romain) et HAGIASMATARlON (assez proche du Rituel
romain). Cette même distribution existe chez les Russes:
SLUZHÉBNIK, CHIN6vNIK ct TRÉBNIK. L'Euchologe comme livre
unique n'est pas actuellement en usage chez les Russes. Le sens
littéral du mot EUCHOLOGTON correspond au slave MOLITVOSL6v,
mais cette dénomination est aujourd'hui attribuée à une sorte de
dévotionnaire liturgique plus ou moins complet. Parfois l'on
32 MIGUEL ARRANZ

appelle EUCHOLOGION et MOLITVOSL6v ' le TRÉBNIK (ou POTRÉBNIK);


Jacques Goar avait fait la D1ême erreur: EUCHOLOGION sive Rituale
Graecorun1 2, en donnant au tout le nom d'une partie.
Outre cette différence de présentation de l'Euchologe chez
les Grecs et chez les Russes, il en existe d'autres, bien plus im-
portantes, par rapport au texte lui-même de certaines formules
sacramentelles comportant des divergences théologiques non
négligeables. Un article récent de N. Uspensky: Le conflit de
deux théologies dans la correction des livres liturgiques au XVII'
siècle', indique déjà par son titre combien importante est la
question de la réforme liturgique russe, liée en grande partie au
nom du métropolite de Kiev, Pierre Mogila, mais aussi aux pre-
miers éditeurs moscovites et au fameux patriarche de Moscou,
Nikon.
Dans cette étude nous allons nous limiter au développement
du seul Euchologe grec, en essayant de parcourir le cheminement
de certains de ses rites sacramentels à travers l'histoire, grâce à
quelques-uns des documents manuscrits de l'Euchologe qui sont
arrivés jusqu'à nous.
Il existe un travail remarquable du P. Placide de Meester:
Studi sui sacramenti amministrati seconda il rito bizantino 4.
Cette étude représente une synthèse historique du développement
de chaque sacrement, et cela non seulement chez les Grecs,
mais aussi en tenant compte des autres traditions byzantines. Ce
travail est malheureusement limité du fait que l'auteur ne semble
pas avoir mené de recherche directe sur les manuscrits grecs et
avoir fait trop confiance aux affirmations parfois vagues et impré-

1 Potrébnik-Molirvennik: Moscou 1625: Evkho16gioll-Molitvos16v-Trébnik:


LVQv 1645, Kie\- 1646, Lvov 1695; Trébnik-Molitvos16v: Lvov 1761: Evkhol6gion-
Trébm'k: Lvov 1873.
2 Paris 1647; Venise 1730 (Graz 1960). Nous nous rapporterons touj~rs à cette
seconde édition vénitienne.
sN. USPENSKY, Kollîzia dvukh bogos16vii v ispravIénii russkikh bogoslu-
zhébnikll knig v XVII véke, dans Bogos16vskie Trudy 13, Moscou 1975, 148-171.
Dans ce travail on trouvera une abondante bibliographie - surtout russe - sur
la question.
4 Rome, 1947. Cf. du même: Rituale-benedizionale bizantino (Liturgia bizan-
tina. Studi di rito bizantino: libm II, parte VI) Rome 1930. Cf. aussi: S. GASSISl,
L'amministrazione dei sacramel1ti Ilella chiesa greca, Grottaferrata 1916. Cf. encore
la nombreuse bibliographie existant sur chaque sacrement: J. - M. SAUGET,
Bibliographie des Liturgies Orientales (1900-1960), Rome 1962; et S. JANERAS,
Bibliografia st/He Liturgie Oriental! (1961-1967) - pro manuscripto - Rome 1969.
Cf. aussi chaque sacrement dans Dictionnaire d'Archéologie Chrétienne et de
Liturgie.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 33

cises de Goar, qui, comme on sait, ne précise pas toujours suffi-


samment ses sources; ainsi de Meester attribuera plus d'une fois
au codex Barberini 336 du VIIr siècle, des notices apportées
par un autre Barberini de trois ou quatre siècles plus récent,
mais que Goar citait par un générique « vetustissbnum Barbe-
rinunz ». Ces confusions regrettables enlèvent beaucoup de va·
leur à l'ouvrage du P. de Meester, par ailleurs plein de renseigne-
ments précieux.
Notre méthode va être assez différente de celle du P. de
Meester. Nous allons entrer moins dans les détails et nous
consacrer à l'ensemble de chaque sacrement, en ne soulignant
que les points qui nous semblent les plus importants et qui ont
<ubi une évolution digne d'être remarquée. D'autre part, nous
aHons concentrer notre attention sur quelques documents qui
nous semblent caractériser le mieux les étapes différentes de
l'évolution. De plus, nous allons rester le plus près possible de
Constantinople et de ses alentours.
Les codex qui vont accompagner notre recherche sont:
1°, Le fameux codex vatican Barberini 336 5 du VIII" ou IX" siècle,
qui est le premier euchologe byzantin qui soit arrivé jusqu'à nous.
Considéré, comme sortant des ateliers d'écriture de l'Italie méridio-
nale B, ce livre transmet les rites et les cérémonies patriarcales de
Constantinople et nullement celles d'un siège périphérique. Il est
donc la copie d'un exemplaire constantinopolitain, probablement de
l'époque du patriarche S. Germain (car il contient les prières de la
Pannychis attribuées à celui-ci), donc antérieur à la crise iconoclaste.
Nous serions d'avis que l'original constantinopolitain à partir du-
quel Barberini 336 a été copié, ne doit pas être postérieur à l'année
733, date présumée de la mort du patriarche.
2~. Notre deuxième témoin sera le codex de la Bibliothèque Na-
tionale de Paris, Coislin 213 7 , C'est un codex daté de 1027; il a été
copié pour un prêtre de Sainte-Sophie, du nom de Stratigios, qui
était aussi aumônier des oratoires du patriarche, ainsi que nous
le dit le copiste dans le colophon du manuscrit. Cet euchologe n'est
pas simplement destiné au prêtre qui l'a commandé, mais il nous
transmet aussi des offices destinés au patriarche. Il ne contient
pas, intentionnellement, les formulaires eucharistiques; tandis que

;; Cf. A. STRJTIMATIER, The «Barberinum S. Marci 1O of Jacques Goar, dans


Ephemerides Liturgicae 47 (1933) 329-367.
6 Cf. A. JACOB, Histoire du formulaire grec de la liturgie de Saint Jean
Chrysostome. Thèse présentée à l'Université de Louvain, 1968.
7 Cf. A. DMITRIEVSKY, Qpisdlüe liturgÎcheskikh Tukopisei khranidshchikhsia
v bibliotéka"kh Pravosldvnogo Vost6ka, II: Euc11016gia, Kiev 1901. 993-1052.
34 ____________________M
__IG_U_E_L__ARRA~~N=Z_____________________

la partie du baptême s'est perdue. Il ne nous sera d'utilité que pour


la seconde partie de notre travail.
3°. Le troisième témoin de notre essai sera le codex dit Bes-
sarion de la Bibliothque de Grottaferrata: le G. b. 1 8 . Il est de
peu postérieur à Coislin 213 ct il n'est ni signé ni daté, mais il a
un cachet d'officialité tout à fait spécial. Il vient de Crète où il
avait été donné au Cardinal Julien Cesarini, légat du Pape Eugène IV
auprès de l'empereur Jean Paléologue. Après avoir servi aux pères
du Concile de Florence (1432)), le codex avait été cédé par le car-
dinal Cesarini au Cardinal Bessarion de Nicée, devenu abbé de
Grottaferrata en 1462. De ce codex remarquable, auquel manquent
aujourd'hui les premiers cahiers - ceux des formulaires eucharisti-
ques - on sait qu'on avait fait deux copies: l'une pour le Cardinal
Barberini et l'autre pour le P. Jacques Goar, dominicain de Paris.
On sait encore que ce manuscrit avait été employé - on ignore dans
quelle mesure - par les éditeurs de l'Euchologe imprimé à Rome
en 1754.

Si nous nous limitons à ces trois exemplaires, c'est parce


qu'ils nous semblent bien marquer les jalons de l'histoire de
l'Euchologe patriarcal, depuis l'époque de l'iconoclasme jusqu'au
moment de la chute de Constantinople en 1453. Car si au Concile
de Florence, les Grecs ont accepté de discuter des questions tex-
tuelles sur le témoignage du codex Bessarion, c'est que celui-ci
représentait une tradition reconnue.
Il existe beaucoup d'autres euchologes du type patriarcal.
Dans une étude sur les prières des matines byzantines', nous
avons présenté quelques-uns de ces euchologes. Plus nombreux
encore sont les euchologes qui s'adaptent au cycle monastique
de la liturgie des Heures, soit selon le Typikon studite, soit selon
celui, plus sévère, de Saint-Sabas. Après la disparition de l'office
des Heures selon le Typikon cathédral de Sainte-Sophie, au début
du XIII' siècle, ce sera justement l'Euchologe remanié par les
sabbaïtes -- pour ce qui est de la liturgie des Heures - et
complété au XIV' siècle par la Dia/axis du patriarche Philothée,
qui prendra la relève de l'Euchologe patriarcal. C'est ce dernier
type d'euchologe remanié qui aura les honneurs de 'l'imprimerie
à Venise en 1526. Onze éditions vont se succéder à Venise durant
le siècle suivant; une étude attentive ferait remarquer que les

B Cf. A. ROCCHI, Codices Crvplenses, Groltaferrata 1883, 257-259,


~ M, ARRANZ, Les prières presb"lérales des matines bvzanlillcs, n, dans
Orientalia ChristiQl1Q Periodica 38 (i9ï2l 64-114. -
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 35

éditeurs ne se sont pas contentés de réimprimer le même texte,


mais qu'ils ont essayé de l'améliorer et de le compléter, sans
toutefois introduire de changements importants. On sait avec
quelle répugnance les Russes ont regardé ces éditions vénitien-
nes, qu'ils appelaient avec mépris l'oeuvre "des Allemands»
(sic), avant de les accepter comme texte principal de l'édition
réformée du Patriarche Nikon en 1654.
C'est à partir de ces éditions vénitiennes gue Jacques Goar
a préparé son édition monumentale de l'Euchologe, en la complé-
tant par de très savantes introductions et par une traduction
latine, où l'exactitude est sacrifiée au genre tout baroque
du latin de l'époque. Mais Goar ne s'est pas contenté de ce travail.
A chaque office il a ajouté de précieux appendices, les VARIAE
LECTIONES, où il a reproduit les variantes ünportantes trouvées
dans les manuscrits des euchologes de type patriarcal et mo-
nastique (studite) qu'il avait à portée de la main. Goar n'est pas
toujours précis dans ses citations, induisant par là en erreur
même des savants du type du P. de Meester et de Cyrille Koro-
levsky. Dans les archives de A. Dmitrievsky, de la Bibliothèque
d'lÔtat de Leningrad 10, se trouvent plusieurs rédactions d'un tra-
vail inédit de ce liturgiste, travail qui est une sévère critique de
l'ouvrage de Jacques Goal'.
Nous parlerons plus loin de l'influence que l'édition de Goar
a eue sur les éditions orthodoxes de l'Euchologe. Des textes que
Goar avait trouvés dans les euchologes monastiques de l'Italie
Méridionale ont fait leur entrée dans l'Euchologe orthodoxe par
le biais des V ARIAE LECTIONES de Goar.
Ceci dit, et en admettant un développement évident de cer-
tains rites, l'Euchologe, tout au long de son histoire, - au moins
à partir du VIII' siècle, - a conservé dans la liturgie eucharisti-
que et sacramentaire une constance et une fixité remarquables.
Nous pouvons dire aisément qu'entre l'Euchologe Barberini 336
du VIII' siècle et l'édition d'Athènes de 1927 - en passant par
toutes les éditions de Venise et de Constantinople - il n'existe
pas de différences essentielles.
Au témoignage donc. de nos trois codex choisis: Barberini,
Cois/in et Bessarion, nous ajouterons celui de l'Euchologe de Goar

10 M. ARRAN:Z, L~s tlrchil'cs c1~ Dl1litri~vsky dans la bibliothèque d'Etat de


Lenil1grad, dans Orientalia Chrisciana Periodica 40 (1974) 66 et 71 (nn. 156-162).
36 MIGUEL ARRA"N"'Z=-_ _ _ _ _ _ _ _ _ __

et de l'Euchologe d'Athènes de 1927. Nous citerons aussi l'édi-


tion romaine de 1873. Pour des raisons pratiques cependant,
c.-à-d. afin d'avoir à notre disposition un texte français, nous
nous servirons de l'édition du P. E. Mercenier, La Prière des
Eglises de rite byzantin ".

I. - L'INITIATION CHRÉTIENNE"

Nous empruntons cette dénomination au P. Mercenier ". Dans


les Euchologes d'Athènes et de Rome, les sacrements de baptême
et de confirmation (ou de l'onction) se trouvent sous un seul titre:
Akolouthia du Saint Baptême", précédé du chapitre sur le caté-
chuménat débutant par la Prière pour laire un catéchumène, et
qui comprend tout un ensemble de prières et de rites que l'Eucho-
loge d'Athènes appelle Taxis célébrée avant le Saint Baptême '".
L'Euchologe imprimé ne prévoit plus la communion du baptisé
le même jour. Dans cet Euchologe, les rites de baptême et de
confirmation semblent n'être qu'un office «privé », célébré n'im-
porte quel jour de l'année en dehors du contexte des célébrations
habituelles de l'office divin et de l'eucharistie.

11 E. MERCENIER, La prière des églises de rite byzantin, 1: L'office divin, la


liturgie, les sacrements, Chevetogne 1947 (2 e édition). Nous nous abstiendrons
cependant de citer Syméon de Thessalonique, qui, dans son Dialogue (PG 155),
parle des sacrements en général à partir du chapitre 33 (177), et des sacrements
de l'initiation en particulier à partir du chapitre 59 (209). Si nous devions tenir
compte des interprétations de Syméon, notre étude deviendrait trop longue et
finalement nous ne serions pas plus informés que nous ne le sommes par
les livres liturgiques eux-mêmes. Pour ces mêmes raisons nous nous abstenons
de citer nombre d'autres travaux sur le baptêm~ byz..-mtin et sur la pénitence
nous n'en tiendrons pas compte; cf. J. M. SAl;GET et S. J.<\NERAS (note 4).
12 Il n'aurait pas été superflu de faire précéder cette étude sur le baptême
d'après l'Euchologe byzantin, par une recherche sur les rites baptismaux dans
les homélies des évêques de Constantinople comme Grégoire de Nazianze, Jean
Chrysostome, Proclus, etc.; cela nous aurait amené trop loin du thème de notre
travail. Le lecteur peut se référer avec profit au ch. III dè- l'Introduction
d'A. WENGER, Jean Cl1rysostume. Huit catéchèses baptismales (= Sources Cl1ré-
tiennes, 50, 2~ édition, Paris 1970) p. 66 et ss.
13 MERCENIER, 323.
14 Etl. Ath. 98, Eu. Rom. 152. Le mot pl1ôtismus qui cst souvent synonyme
de baptisma apparaît déjà comme l'équivalent de loutros dans JUSTIN, Apologia l,
61 (PG 6, 422). Pl1ôlizomenu; sont ceux qui se préparent au baptême ct qui sont
en train d'être «éclairés» ou « illuminés ". Phôtismos signifierait toute l'initiation
chrétienne, tandis que baptême ou loutros indiquerait plutôt le moment de
l'immersion dans l'cau.
15 Eu. Ath. 94, Eu. Rom. 147.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 37

Les codex Barberi"i et Bessario" nous offrent encore une


akolouthia du baptême qui est celle de la vigile pascale et dont
l'officiant principal est le patriarche, même si par moments on
peut déceler que le rite était déjà en train de devenir ce qu'il
est aujourd'hui, et que ce même rituel pascal, réservé en principe
au patriarche, était employé dans d'autres occasions moins so-
lennelles.

1. - LE CATÉCHUMÉNAT

Pour mieux comprendre le déroulement du catéchuménat


selon les Euchologes Barberini et Bessarion une aide précieuse
nous vient du Typikon de la Grande-Eglise du X· siècle ", qui
se place entre les Euchologes Barberini (VIII' s.) et Bessarion
(XI-XII" s.), mais qui se rapproche davantage de ce dernier, car,
comme lui, il se situe dans la période qui va de la fin de la crise
iconoclaste à la chute de Constantinople en 1204.
Selon le Typikon de la Grande-Église, le baptême était con-
féré à Saint-Sophie cinq fois par an: pendant la vigile pascale, le
soir du Samedi Saint ", pendant les matines, le jour de la Théo-
phanie 16 et, après les matines, le samedi avant le dimanche des
Rameaux 19, le Samedi Saint" et le dimanche de la Pentecôte ". Il
était chaque fois administré par le patriarche. Il y avait à Sainte-
Sophie deux baptistères, le grand (dit aussi de l'Horloge ou de
Saint-Jean Baptiste) et le petit. Le grand était situé à l'angle
ouest de l'église, à côté de l'entrée latérale droite du narthex;
on passait de l'église au baptistère ou kolymbîthra à travers
l'apodyton ou vestiaire. L'emplacement du petit baptistère est
plus difficile à établir. Il semble avoir été situé derrière l'abside
de Sainte-Sophie et non loin de la petite église de Saint Pierre

16 Ms. SaÏ/ile-Croix 40, éd. par J. MATEOS, Le Typicon de la Grande-Eglise,


l, II (= Orientalia Christian a Analecta 165, 166) Rome 1962, 1963. Cf. aussi ms.
Patmos 266 (IX~ s.), éd. A. DMITRIF-VSKY, Opisdnie liturgicheskikh rukopisei
khraHidshchikhsia v bibliotékakh Pravoslâvnogo Vost6ka, 1: Typikâ, Kiev 1895.
Cf. aussi Dresde 104 (XI" s.), éd. part. A. DMITIllEVSKY, Drevnéishie patridrshie
tipik6ny: Sviatogr6bsk.'jI ierusalimsk.'Y i Velikoi konstalltinopol'skoi Tsérkvi, Kiev
1907.
17 MATEOS, Typicon, II, 84; cf. 85 note 2.
18 MATEOS, TypicOll, l, 184.
19 MATEOS, TypicOl1, II, 62.
20 MATEOS, Typicon, II. 84; cf. 85 note 1.
~I MATEOS, Typicon, II, 136.
38 ----
MIGUEL ARRANZ

et du skevophylakion". Selon le Typikon, on baptisait dans le


grand baptistère la nuit de Pâques, et dans le petit le samedi
avant le dimanche des Rameaux et le matin du Samedi Saint.
Puisque pour aller au petit baptistère il fallait descendre (selon
la rubrique du Samedi Saint au matin), on peut penser que le
baptême du dimanche de la Pentecôte avait lieu aussi au petit
baptistère, tandis que celui de la Théophanie - où l'on montait
au baptistère - avait lieu au grand baptistère, comme la nuit
de Pâques. Bessarion 23 contredit passablement ces données du

22 La question des baptistercs de Sainte-Sophie n'est pas tout à fait claire,


et il n'est pas facile de trouver ulle concordance entre les documents des diffé-
rentes époques qui nous en parlent. Il est possible Qu'au cours des mille ans de
vie liturgique de Sainte-Sophie, les édifices annexes aient changé de desti-
nation et d'appellation. E. AJ\TONIAOTS, dans Ekphrasis lis Hagias Sophias. Athè-
nes 1907-09, décrit les deux baptistères: le grand baptistère ou photistirion - ou
encore oratoire (eaktîrion) de Saint-Jean le précurseur - (lr vol., 123-130), et
le petit baptistère, derrière l'abside du bénw (2e vol. 160); cf. aussi le plan
général (1r vol., 17). La meilleure étudc d'ensemble des documents de l'antiquité
e~t encore celle de W. R. LETH..\BY et H. SWUNSON, The Church of Sancta Sophia
Cotlstal1tinople, London, N. Y. 1894. L'ancien baptistère dé Sainte-Sophie (aussi
bien de l'église de Justinien que de celles qui l'avaient précédée) était bien
l'édifice rond (encore existant) à l'angle est de l'édifice, qui deviendra plus
tard Je skevophylakion (L'ETHABY, 19 et 183: cf. aussi F. DIRIMTEKTN, Le skevopT1)'-
lakion ... , dans Revue des Etudes Byzantines 19 (1961) 390·400, qui croit que ce
bâtiment est du V e siècle et antérieur aux constructions de Théodose II). Le
grand baptistère fut construit par Justinien, avant même l'église de Sainte-
Sophie, en qualité d'oratoire, dédié à S. Jean Baptiste, à côté du rnetatorioll
(pavillon réservé à j'empereur) et de l'horloge. C'est le bâtiment encore existant
à l'angle ouest de Sainte-Sophie et qui a la forme octogonale classique
des baptistères. Le Typikon du xe s. parle de la kolymbîthra (piscine) du grand
baptistère et de la phialî ("asque) du petit - à ne pas confondre avec la
phiall du loutir (cf. MATEOS, Typikon, I, 182: bénédiction des caux de la Théo-
phanie), ou du lI1esaulion (cf. Barberini p. 240 et Bessarion f. 64v: même
bénédiction); cf. aussi L'ATHEBY, 189 et ANTONIADîs, 1,17. - Il est évident que
~i le grand baptistère possédait une piscine, elle ne devait pas encore exister
quand l'édifice n'était que la chapelle du Baptiste. Quand l'ancien baptistè-
re est devenu le .~kevophyla'cjo/1 ou chambre du trésor, une autre pièce
à proximité a dû être consacrée à l'administration du baptême. Un pélerin
russe anonyme, entre 1424 et 1453, nous renseigne sur l'état des choses peu
avant la fin de la période byzantine: « Derrière l'autel de Sainte-Sophie est
située l'église de Saint Nicolas ... Près de là, devant la porte située derrière le
grand autel de Sainte-Sophie, se trouve l'endroit où 1'0/1 bénit l'eau; il )' a là
un bassin en ardoise verte dalls lequel 011 plonge la croix. Un toit couvert de
plomb surmollte ce bassin; c'est là aussi qH'on baptise les empereurs; quatre
cyprés et deux palmiers croissent eH ce lieu" (B. KHTTROWO, ltilzéraires en Orient,
Genève 1889, l, IX, 228-229). Le baptême des empereurs dans -l.e petit bap-
tistère e~t un indice peut-être d'une tradition de longue date attachée ~
ces lieux. II est possible aussi que le grand baptistère ait été réservé aux
baptêmes des adultes le soir du Samedi Saint, tandis que le petit l'était pour
les baptêmes de~ petits enfants, les autres jours, et surtout le matin même du
Samedi Saint. Le Typikon (MATEOS, II,90) prévoit d'ailleurs le cas où il n'y
aurait pas du tout de baptême le Samedi Saint au soir: les baptêmes d'adultes
ne devaient pas êtl-e plus nombreux à Constantinople qu'ils ne le sont de nos
jours dans nos villes, chrétiennes de longue date.
23 F. 53v_
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 39

Typikon, puisque, après avoir situé le baptême de la nuit de Pâ-


ques au grand baptistère, il place l'onction des baptisés à Saint-
Pierre, qui se trouvait à côté du petit baptistère; cela supposait
donc la traversée de l'église, ce qui est exclu par les rubriques.
Le catéchuménat commençait au milieu du Carême. Le 2'
Dimanche de Carême, après l'évangile ", avait lieu le premier ap-
pel ou prosphônîtikon; ceci selon le codex Sainte-Croix 40; Pat-
mas 266, d'un siècle plus ancien, omet cette rubrique; tandis que
Dresde 104" la précise, en nous rapportant le texte lu à l'ambon
par un prêtre entouré de six diacres: les fidèles devaient amener
les candidats au baptême de leur famille avant le 3' Dimanche
de Carême pour commencer l'instruction. Celle-ci ne durait donc
que quatre semaines. Le texte constate que quelques-uns arri-
vaient au baptême sans bien comprendre les enseignements pro-
posés, car ils se présentaient en retard; la sévérité ne semble
pas avoir été excessive.
Le 3' Dimanche de Carême, après le trisagion 26 on faisait une
proclamation ou prokîryktikos: il faudra amener le lendemain les
candidats au baptême pour qu'ils reçoivent le sceau (sphragis) "
du Christ, pour être « gardés ,," et pour être catéchisés. Ceux qui
par leur faute ne viendraient pas ne seront pas baptisés sans
un examen, à moins qu'il ne s'agisse d'un cas de nécessité. Cette
fois-ci encore la rigueur ne semble pas avoir été trop grande.
Il n'y a pas d'indication, le lundi suivant, pour savoir en quoi
consistait la signatio, la « garde" et la catéchèse, auxquelles on
faisait allusion le jour précédent.
La signatio devrait correspondre à la l' prière de l'Eucho-
loge, Prière pour faire un catéchumène":
C'est el1 tO/1 Nom Seigneur ...
et (e11 celui) de tOl1 Fils unique et de ton Saint-Esprit,

24 MATEOS, Typicon, II, 30.


25 Cf.citation de DMlTRIEVSKY, Drevnéishie 156, dans MATEOS, Typicon II, 30.
26 MATEOS, Typicol1, II, 38.
21 Sphragis peut se traduire par signatio, sans toutefois donnel' au mot grec
le sens trop technique du latin, qui est quasi exclusivement réservé à cette céré-
monie sur les catéchumènes; le verbe sphragizo est communément employé
dans l'Euchologe avec le sens de bénir quelque chose ou quelqu'un par un
signe de croix.
28 Phylattesthai: J. Mateos traduit: être tenus à l'écart, et il suppose que
cela signifie que les catéchumènes faisaient une espèce de retraite. Nous re-
viendrons p1us loin sur cette expression grecque, à propos des exorcismes.
29 MERCENIER 334, Barberi/1i 174, Bessarion f. 49r, Goar (2 e éd.) 275, Eu. Ath.
94, Eu. Rom. 94. Le texte complet des rites de l'initiation, ainsi que de la
40 MIGUEL ARRA=:oN::Z~_ _ _ _ _ _ _ _ _ __

que j'impose la /1latn sur ton serviteur N ...


Eloigne de lui l'erreur antique
et remplis-le de la foi, de l'espérance et de l'amour ...
Donne-lui de marcher dans l'obsen'ance ...
hzscrÎ5-le dans ton livre de l'ie,
unis-le au troupeau de tOI1 héritage ...
... que tes oreilles entelldent la voix de sa prière ...

Les rubriques de Barberini et de Bessarion sont un peu dif-


férentes de celles de l'Euchologe actuel; selon nos manuscrits:
le prêtre déshabille et déchausse le catéchumène,
il le place face à l'Orient,
et, en soufflant sur lui trois fois,
le signe (sphragizei, lui fait le signe de la croix)
sur le front,
sur la bouche (manque dans l'Euchologe actuel)
et sur la poitrine.

Manquent par contre les preCISIOns actuelles sur la ceinture


défaite et sur la seule tuniquc conservée par le catéchumène,
ainsi que sur la tête découverte; manque aussi le détail des bras
abaissés et de la main du prêtre imposée sur la tête du caté-
chumène.
Cette prière, de par son contenu, implique un pas décisif du
catéchumène dans le cheminement de l'initiation. Les vertus
théologales de foi, d'espérance et de charité demandées font du
catéchumène un vrai {( chrétien », Cependant les trois exorcis-
mes" qui suivent nous montrent que le candidat a besoin d'être
libéré de l'emprise du démon. Les deux premiers exorcismes sont
adressés au diable, le troisième est adressé à Dieu, pour qu'il
agisse sur le démon. Dans les manuscrits manque l'invitation du
diacre" Prio"s le Seigneur» qui précède aujourd'hui chacun des
exorcismes, et qui dans les deux premiers exorcismes est dépla-
cée, puisqu'il ne s'agit pas de prières.
Nulle indication dans le Typikon du moment où ces exor-
cismes étaient prononcés. Le premier exorcisme contient une
phrase qui semble indiquer qu'il était dit aussitôt après la

bénédiction des eaux de la Théophanie, selon Barberini 336, avec les variantes de
Grottaferrata G b 1 (Bessarion) et G b 10 et d'un ms de la Bodleian Library, a
été publié par F. C. CO~YBEARE, comme appendice à son Rituale Armel1orum,
Oxford 1905, pp. 390 ct 55. Les références à Goal', à l'Eu. Ath., à j'Eu. Rom.
et à Conybeare, pour chaque rite cl prière du Barberini se trouvent dans la
description de ce ms par Strittrnatter, cf. note 5 cie ce: article.
30 MERCENlER 335, 336, 337.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 41

signatio: 50,.5 et éloigne-toi du soldat nouvellement élu et ma,.-


qué du sceau du Ch,.ist not,.e Dieu. Le deuxième exorcisme semble
indiquer par contre que le procès de la préparation au baptême
est déjà en cours: Sors et éloig1le-toi de celui qui se prépare à la
sainte illunzinatiolI. Il est vrai que cette Inême expression se
retrouve dans la synaptî qu'on ajoute, à l'intention des candidats
au baptême, à la liturgie des Présanctifiés à partir de cette même
semaine et donc au début de leur préparation. Le troisième exor-
cisme, qui est une prière sollicitant l'intervention divine directe,
ne contient aUCUne allusion au moment où elle était prononcée.
Si l'on considère le contenu des trois exorcismes, on ne peut
guère dire qu'il y ait une trace quelconque de progression ou de
cheminement spirituel en passant d'un texte à l'autre. Puisqu'elles
répètent les mêmes idées, il est plus vraisemblable que ces formu-
les n'étaient pas, à l'origine, dites toutes ensemble.
Il est probable que c'est à cette cure ou traitement spirituel
qu'il faut appliquer le verbe phylattesthai, qui, avec la signatio
et la catéchèse, rentrait dans le programme de catéchuménat an-
noncé le 2" Dimanche de Carème. La présence de forces adverses.
diaboliques ou psychiques, dans l'âme du candidat au baptême
pouvaient empêcher celui-ci de s'y préparer avec sérénité. Les
exorcismes prononcés aujourd'hui quelques minutes avant le bap-
tême posent le problème de la valeur du baptême, qui en bonne
théologie est la victoire complète et totale du chrétien sur le
péché et le diable. Situés au contraire comme étape préparatoire
ou catéchuménat. les exorcismes ne portent pas ombrage au sacre~
ment lui-même, mais bien au contraire rehaussent son impor-
tance.
Quoiqu'il en soit, il est évident que les exorcismes ne précé-
daient pas immédiatement le baptême, car ils sont suivis d'une
prière que Mercenier 31 appelle quatrième exorcisme)}, mais
c(

que l'Euchologe actuel" laisse sans rubrique, et qui, dans Ba,.-


berini et dans Bessarion ", est la prière qui met fin au catéchu-
ménat: Prière après avoir (éle) fait catéchumène, pour celui qui
doit déjà (pros Mmn) être baptisé.
Le début, semblable à celui de l'anaphore de Saint Basile:
Ho ôn Despota, est chargé de solennité. Le ho ôn, considéré com-

31 MERCENIER 338.
32 Eu. Ath. 96, Eu. Rom. 150.
33 BW'beril1i 187, Bessarion 52r,
42 MIG"CEL ARRANZ
'---------
me la traduction littérale du tétragramme hébraïque du nom
divin, est une invocation qui marque l'importance de cette prière.
Elle débute par un résumé de l'oeuvre créatrice et salvifique, pour
passer à une supplication à Dieu de recevoir dans son royaume
cette créature déjà libérée de l'esclavage, de lui ouvrir les yeux
à l'illumination de l'Evangile et d'attacher un ange gardien à sa
vie. A ce moment le prêtre souffle trois fois sur le catéchumène,
le signe sur le front, sur la bouche et sur la poitrine, et dit en
s'adressant à Dieu:
Chasse de lui tout esprit malin et impur qui se cache et se tapit
dans son coeur; fais de lui lme lJrebis douée de raison du troupeau
du Christ, Hl1 nzembre honorable de ton église, un 1'ase sanctifié,
un fils de lumière, U/1 11éritier de ton royaHme, etc.

Cette insistance sur les exorcismes, jusqu'à la dernière mi-


nute du catéchuménat, nous indique le sérieux avec lequel l'Eglise
ancienne croyait à la présence diabolique dans la vie des hommes.
Elle nous rappelle des passages très intéressants du rituel du
baptême dans le Testamentwn Domini, où l'on attend même une
réaction possible du diable par des signes de possession. Mais il
serait trop long de vouloir insister ici sur cette question.
Le rite suivant, la renonciation à Satan et l'attachement
au Christ, semble la suite logique de la prière précédente et il
l'est dans l'ordre des idées, mais non dans l'ordre des faits, car
il était célébré dans une cérémonie spéciale présidée par le patriar-
che après l'office de la Tritoektî du Vendredi Saint ", donc la
veille du baptême. L'essentiel de ce rite, le dialogue entre Je
patriarche et les catéchumènes, est passé au rituel actuel où les
questions et les réponses ont été mises au singulier, et où elles
ont été aussi morcelées et multipliées à l'infini ". Les euchologes
manuscrits, en plus du rite patriarcal du Vendredi Saint, donnent
ce même rite de renonciation-attachement une 5econde fois, après
les prières du catéchuménat, mais en conservant la simplicité

34 Cf. notre article: Les prières presbycérales de la Tritockli (Tierce-Sexte)


dans l'ancien Euc1wloge byzantin, dans Orientalia Christiana Periodica 43 (1977)
70-93 et 335-354. La Tritoekt'i était célébrée "crs midi tous les jours de Carême
ct de la Semaine Sainte, hormis les samedis et dimanches. Elle comprenait trois
antiphôna, un tmpaire anli-trisagioll, un prokeimcnoll, une lecture prophétique
et une série de prières des catéchumènes et des fidèles. Les mêmes jours olt
l'on célébrait la Tritoeklî a midi, le soir après les Vêpres on célébrait les
Présanctifit!s. excepté Je Jeudi Saint mais non le Vendredi Saint. Cf. M,\TF.os,
TypicOll TT, 82.
3~ MERŒ:\IER 339, EH. A/li. 97, Eu. Rom. 150.
INCORPORATIOK-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 43

du questionnaire patriarcal; Barberini continue à employer le


pluriel, tandis que Bessarion emploie déjà le singulier ".
Mais décrivons le rite patriarcal du Vendredi Saint selon nos
euchologes manuscrits 37:
Apotaxis et sYlltl/esis (renonciation et attachement)
faite par l'archevêque [Bessarion: par le patriarche]
dans la sainte préparation (paraskellÎ: vendredi) de Pâques
[Bessarion: le saint et grand vendredi, c.-à-d. celui de Pâques],
les catéchumènes étant rassemblés
dans la très sainte église de la Paix (Irène), l'ancienne,
[Bessarion: dans l'église de Sainte Irène, l'ancienne et la nouvelle]
arrive l'archevêque [Bessarion: le patriarche]
vers la VP heure,
[Bessarion ajoute: fait la Tritoektî et après]
monte sur l'ambon,
[Bessarion ajoute: et après le chant habituel des orphelins,
fait trois métanies,
béni t trois fois avec les cierges,
enlève l'omophore, bénit trois fois le peuple]
et après que l'archidiacre a dit: Proschôl11en,
(l'archevêque) dit: Paix à tOl/S,
et l'archevêque dit aux catéchumènes:
Tenez-vous avec crail1te et sig11ez-1'OtlS;
déshabillez-vous et déchaussez-va IfS.
Alors il commence la Catéchèse 38:
C'est la fin de votre catéchèse,
le temps de votre rédemptio11 est arri1Jé...

Nous pouvons nous étonner, nous pour qui l'improvisation


est devenue si habituelle, que ce même discours se trouve dans
des euchologes de siècles différents pratiquement sans aucune
variante textuelle; il s'agit d'une pièce rhétorique d'une grande
beauté et qui contient tout ce qu'il faut dire; texte d'une grande
profondeur théologique, mais où la technique de la terreur
psychologique n'est pas absente cependant; on tend à convaincre
et à effrayer en même temps. On propose l'alliance avec le
Christ à partir de cc moment, mais la mort au péché n'aura lieu

Barberini 190, Bessarion f. 53r.


35
Barberini 260, Bessarioll f. 64v; cf. la fin de ce rite (à cause d'une
37
lacune du ms) dans Coislil1 f. 24r. Cf. aussi Go/\R 279 et CONYBEARE 438. Ce rite
manque dans Leningrad gr. 226. Cf. la traduction complète de ce rite patriarcal
dans A. WENGER. Jean Chrysostome. Huit catécl1èses lJaptismales (cL note 12) 85-90.
38 Barberini 261-266. Bessarion ff. 65r-66'\'; Gn·\R 279: WENGER 85: ce texte ano-
nyme pourrait être attribue à 1'archevêque Proclus ou à quelque autre patriarche
du v~ ou du VF siècle. Cela nous semble fort raisonnable.
44 MIGUEL ARRANZ

que le lendemain. On suppose déjà une libération de l'esclavage


du diable, mais on n'exclut pas quelque résidu diabolique dans
l'âme. Invitation à la sincérité sur certains points énumérés. On
propose de souffler sur le diable en signe de mépris et de haine
(mais il n'y a pas de rubrique disant qu'on souffle à ce moment).
On propose ensuite de rentrer en soi-même et de regarder son
propre passé et de le cracher au dehors (et ici aussi pas de
rubrique à ce sujet)"'. Invitation à renoncer au diable, qui se
trouve à l'occident et à sc retourner vers J'orient et à se
joindre au Christ: les anges seront témoins et écriront notre
renonciation au diable et notre alliance avec le Christ.
Arrivés à ce point, le rite patriarcal et le rite « privé}) coïn-
cident 40, Dans la description nous donnons la préséance au rite
patriarcal:
L'archevêque dit aux catechumènes:
Tournez-volts vers l'occident
en tenant les mains levées
et dites ce que je dis:
Je renonce à Satan,
et à toutes ses oeuvres,
et à tout SOI1 culte,
et à tous ses a/lges,
et à toute sa pompe.

L'invitation: Tourtzez-volls ... rnanque dans le rite « pnve »,


où il est dit que le prêtre fait tourner le catéchumène vers l'orient.
La renonciation est prononcée trois fois par l'archevêque; Bar-
berini et Bessarion, aussi bien dans le rite patriarcal que dans
le rite ({ privé », concordent pour la rubrique suivante: chaque
catéchumène (ou son parrain, s'il s'agit d'un petit enfant - ou
d'un barbare, précise Bessarion dans le rite «privé ») répond
trois fois aussi. Dans le rite actuel", la réponse est toute logique,
puisque le prêtre ne dit pas: Je renonce, mais: Renonces-tu? A
ceci le catéchumène ne répond pas en prononçant toute la formu-

311 Le verbe grec employé est apoptuô, qui selon le Dictionnaire Grec de
Bailly signifie: rejeter en crachant, cracher avec hurrew·, cracher pour détour·
ner tilt mauvais présage. Nulle part dans Barberini ni (!ans Bessarion, le rite
moderne d'invitation à cracher sur le diable par le verbe emptuo, qui lui, veut
dire cracher Sllr quelqu'un. Il s'agit bien dans le rite ancien de cracher ses
propres péchés et non de commettre une grossièreté cm·crs le diable. Cf. article
de D. BOTTE, La spulation, anlique rite baptismal?, dans Mélanges M.lle ChI".
,\1ohnnanl1, Utrecht - Anvers 1963, 196·201.
4.0 Barberini 266 et 190; Bessarion 66\' et 531".
41 MERCEKIER 339, Eu. Alh. 97, EH. Rom. 150.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 45

le, comme semble le suggérer le rite patriarcal, mais en se limitant


à la simple affirmation: J'y renonce. L'impact psychologique en
est certainement affaibli.
Suit une triple demande de l'archevêque et une triple réponse
de la part des catéchumènes:
Avez-vous renoncé il Satan? - Nous avons renoncé.

Curieusement, Barberini conserve le pluriel dans le rite" pri-


vé" correspondant, tandis que Bessarion l'adapte déjà au singu-
lier, comme c'est le cas aujourd'hui. Probablement, au VIII"
siècle (tradition de Barberini), le baptême" privé" était-il encore
conféré à plusieurs personnes (ou enfants) en même temps.
Nouvelle intervention de l'archevêque ou du prêtre:
Soufflez sur lui.

Nulle explication du mode d'exécution de cette ceremonie.


Et nulle allusion, ni dans Barberini, ni dans Bessarion, à la " spu-
talion" du rite actuel (cf. note 39).
Et de nouveau l'archevêque dit:
Tournez-volis l'ers l'orient
tenant les mains abaissées.
Tenez-volis avec crainte
et ce que je dis, dites-le t'DUS aussi:
Et je m'attache au Christ
et je crois el1 un seul Diell, le Père tout-puissant ...

Suit le Credo en entier. Le tout est dit trois fois par l'arche-
vêque (ou par le prêtre) et répété par le catéchumène ou par
son parrain. Il manque donc une demande intermédiaire - et sa
réponse - existant aujourd'hui: Crois-tu en Lui? Je crois en
Lui comme Roi et Dieu.
Dans le rite" privé", le prêtre ne fait pas l'invitation à se
tourner vers l'orient mais il fait lui-même tourner le catéchu-
Tnène, sans rien dire.
Après le triple Credo, l'archevêque (ou le prêtre) interroge
encore trois fois les catéchumènes et obtient la réponse voulue:
Vous êtes-Volls attachés aH Christ? - Nous nous sommes attachés.

Et l'archevêque ou le prêtre ajoutent:


Adorez-le.
46~__________________~M=I~G~U~E=L~ARRA==~N~Z=.________________

Et tous adorent (le Christ, selon toute vraisemblance) sans


rien dire; aujourd'hui le catéchumène accompagne son geste d'une
formule: J'adore le Père, le Fils et le Sail1t-Esprit. Mais la formule
prime sur le geste, qui est souvent négligé. Bessarion, encore une
fois, emploie le singulier dans le rite " privé ».
Dans le rite patriarcal, suit la formule conservée dans le
rite actuel, mais absente du rite « privé)} de nos manuscrits 42:
Béni Dieu qui veut (qui veux?)
que tOllS les lZ011mzes soient sauvés
et parviennent à la connaissance de la vérité,
maintenant et toujours ...

Dans le rite patriarcal, suit une très longue exhortation de


l'archevêque 43:
Voici que VOliS ave:: reI1O/u.:é à Satan et vous êtes attachés au
Christ. Le contrat (grammaleion) a été établi; il est en possession
du Maître dans les cieux. Voyez à erz observer les clauses; ce docu-
ment vous sera présenté le jour du jugement ...

Cette pièce, qui fait pendant à l'exhortation du début, en est


assez proche comme style. L'idée de la reddition de comptes qui
attend le chrétien auprès du juge divin et les accusations du
diable qui l'accompagneront, est présentée de façon imagée et
fort dramatique. Le tout finit cependant par l'appel du Christ:
Venez, vous, bénis de nl0n Père ...
L'archevêque invite alors les catéchumènes à lever les bras
et l'on commence une sy11.aptî spéciale 014:
POUf la stabilité de l'oikoumeni, le bon état des saintes églises
et l'union de tous, disons: Kyrie eleîson.

Selon Bessarion, on répond par un triple Kyrie eleîson.


Suit une pétition pour les empereurs et pour le palais, etc. et
une troisième pétition:
Pour la rédemption de IIOS péchés, et pour que nous puissions
sans tarder piétiner Satan sous nos pieds, et pour que flotre ville
soit sauvegardée [Bessarion: des séismes, du feu et] du sang [Bes·
sarion: ainsi que toute ville et campagne], disons: Kyrie eleison.

42 Barberini 268, Bessarion 67\', Eu. Ath. 98, Eu. Rom. 151, MERCENIER 340.
Mais cf. Barberini 191 ct Bessarion 53\' où cette formule manque.
43 Barberini 268-274, Bessarion 67\'-69r, GO!\R 268, WENGER 87.
44 Barberini 275, Bessarion 69r.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 47

Et l'archevêque signe (bénit) le peuple comme d'habitude


[Bessarion: trois fois au Kyrie eleîson] et fait cette prière:
Car tu es W1 Dieu baH et amant des hommes ... Et après l'Amen:
Habillez-volis et chaussez-vous.

Et il descend (de l'ambon) et entre au sanctuaire et pendant


que le diacre fait la prière (litanique) habituelle - ou après qu'il
l'a faite - l'archevêque fait la prière pour ceux qui se préparent
au baptême 45:
... appelle tes serviteurs à ta sainte illumination
et rends-les dignes de cetre grande grâce de ton saint baptême;
dépouille-les du vieil homme,
renouvelle-les pour la vie éternelle
et remplis-les de la force de ton Saint-Esprit
dans l'union de ton Christ,
afin qu'ils ne soient plus enfants de la chair,
mais enfants de tOl1 royal/me ...

Cette prière met fin aux rites du catéchuménat aussi bien


dans le rite «privé» de Barberini (toujours au pluriel) et de
Bessarion (au singulier), que dans le rite actuel. Dans le rite
patriarcal, l'office finit par une inclinaison particulière de la tête
et par un renvoi en due forme 46:
Tous ceux qui vous préparez à l'illumination [Bessarion: tous
les catéchumènes] approchez pour (recevoir) l'imposition des mains
(cheirothesia) et vous serez bénits.
Et chacun reçoit en particulier l'imposition de la main [Bes-
sarion: le prêtre le signe trois fois et souffle trois fois aussi sur lui];
le prêtre revient au sanctuaire et dit:
Car tu es notre il-lumillatiol1 et à toi la gloire ...
Suit une invitation du diacre à incliner -la tête et une prière de
kephaloklisia:
o Dieu notre Sauveur, qui veu.x que tous (les hommes) soient sauvés
et qu'ils arrivent à la connaissance de ta vé1"ité,
fais briller la lwnière de la gl10sis
dans nos coeurs et dans les coeurs de ceux
qui se préparent à la sainte illumination
et accorde-leur le don de _ta Il immortalité
et unis-les à ta sainte église catholique ...
Et après l'Amen, le diacre: Sortez en paix. Suit la divine liturgie
(des Présanctifiés).

45 Barbàini 192, Bessarion 53", Eu ..4th. 98, Eu. Rom. 151, MERCENIER 341.
46 Barberini 277, Bessarion 69\'.
48 MIGL'EL ARRANZ.
--------------------------~-----------------

Il faut remarquer que cette prière de fin du catéchuménat


laisse encore ouverte la question de l'illumination divine et de
l'union du catéchumène à l'Église, choses qui semblaient déj1
acquises dans la première prière du catéchuménat, et qui réelle-
ment le sont, comme nous allons le voir bientôt.
Les rites jusqu'ici décrits, et surtout ceux de la première par-
tie - prière pour faire un catéchumène, trois exorcisDles et priè-
re après le catéchuménat - semblent se placer tous dans la
même cérémonie, comme c'est le cas aujourd'hui. Seul le rite
de la renonciation et de l'attachement, grâce au rite parallèle
du Vendredi Saint, prend une place à part. Nous avons cepen-
dant dans les mêmes euchologes manuscrits des indications pour
penser que la prière de la signa/io et les exorcismes étaient cé-
lébrés en des jours successifs. Il s'agit de deux "koloul hiai plus
récentes (car elles manquent dans Barberini): comment recevoir
ceux qui viennent du Manichéisnle et ceux qui viennent de « 1'Hé-
braïsme» (des Hébreux, dans le texte).
Le codex Barberini possède en tout et pour tout une instruc-
tion, commune à Bessarion et à Coislin et rapportée par Goar ",
que nous étudierons en détail dans la seconde partie, celle de
l'admission des hérétiques dans l'Église; ces hérétiques sont
divisés en trois catégories: ceux qu'on reçoit par simple libellum
de renonciation à leur hérésie, ceux qu'on reçoit par l'onction
du myron et ceux qu'on reçoit par le baptême. Cette instruction
est une application du 7' canon du II Concile Oecuménique "; ce
canon et d'autres concernant le baptême sont publiés aujourd'hui
dans l'Euchologe d'Athènes comme préambule au baptême ".
Parmi ces «hérétiques» qu'il faut rebaptiser se comptent
les Eunomiens (qui baptisent par une seule immersion), les Mon-
tanistes, les Manichéens et les Sabelliens. Ces chrétiens-ci sont
reçus comme des gentils (hellènes) et il faut les baptiser. Suit
dans nos codex la formule d'abjuration du Manichéisme, qui
semble seul avoir intéressé nos liturgistes. La formule est très
longue (six pages de Barberini et douze dans Cois lin et dans

47 Barberini 279, Coislil1 121\", Bessarion 94r, GOAR 694. Bessarion a ici un bien
curieux titre (repris par Goar): «De l'euchologe patriarcal, comment il fata
recevoir ... ». Cette note enlèverait à notre codex ce cachet que nous avions
pensé pouvoir lui accorder d'" cuchologe patriarcal ». Coislin est le seul à nous
rapporter à cet endroit (123v) une prière pour les hérétiques qui seront rebaptisés.
48 J. D. MANST, Sacrorum Conciliorum nova et amplisâma colleclio, III,
Florence 1759, 564.
49 Eu. Ath. 92.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 49

Bessarion) 50 et le texte est différent aussi: Anathema à Manès,


débute Barberini; l'anathématise Manès, disent les autres. Après
l'anathème, Bessarion et Coislin" ajoutent un ordo (taxis) du
plus grand intérêt pour nous; nous citons quasi littéralement
les rubriques de cet ordo:
* l'ex-manichéen doit d'abord jeùner deux semaines; pendant ce
temps, il apprend le Pater, le Credo et quelques psaumes;
'* il est conduit au baptistère où il lit la formule d'anathème contre
Manès, à laquelle fait suite une prière de kephaloklisia: à partir
de ce moment, l'hérétique devient « chrétien », c.-à-d., précise l'Eu-
chologe, est considéré comme chrétien nOn encore baptisé, comme
le sont les enfants des familles chrétiennes avant le baptême;
'* le lendemain, à l'extérieur des portes de l'église, il est joint aux
catéchumènes par la prière habituelle pour faire un catéchu-
mène 52 et il est introduit par le prêtre dans l'église;
* le lendemain encore, on lui fait les exorcismes à l'intérieur de
l'église 58; à partir de ce moment. comme catéchumène en pé-
riode d'instruction, il a le droit de rester dans l'église et d'écou-
ter les écritures;
'1< tout ce qui se rapporte au baptême étant accompli, il est jugé
digne du baptême.

Voici donc un catéchuménat étalé dans le temps. Très pro-


bablement les catéchumènes ordinaires suivaient les mêmes éta-
pes: signatio et exorcismes en des jours successifs, au début
de l'instruction qui se faisait surtout par l'écoute des écritures.
Dans notre article sur la Tritoektî (cf. note 34) nous avons parlé
de ce cycle de lectures ainsi que des proanagnôsmata ou prae-
lectiones qui avaient lieu entre la fin des matines et le début
de la Tritoektî et qui occupaient pratiquement toute la matinée.
Il est remarquable pour la question du salut des petits en-
fants non baptisés, que les enfants des familles chrétiennes étaient
déjà appelés « chrétiens", de même que nos ex-manichéens; cette
appellation ne dépendait pas du baptême lui-même, mais de
l'intention de la personne, ou de ses parents, de le recevoir.
Cetait la foi au Christ qui faisait le chrétien et non les rites,
si importants qu'ils fussent.

50 Barberini 287-293, Coislin 124r-130v, Bessarion 96r-102r, GoAR 6%.


51 Coislin 130v, Bessarion l02r, GOAR 700.
52. Cf. note 29.
58 Cf. note 30.
50 MIGUEL ARRANZ

Une akolouthia semblable à celle des Manichéens était celle


des Hébreux convertis "'. Cette akolouthia ne doit pas être très
ancienne non plus, car elle manque dans Barberini. Elle pourrait
dépendre de la Diataxis du Patriarche Méthode sur les conver-
sions, dont nous allons nous occuper dans la seconde partie de
ce travail; Méthode est mort en 847, et il est possible que, si
notre rituel de réception des Hébreux ne dépend pas directement
de la Diataxis, il pourrait avoir été composé dans le contexte de
la nouvelle praxis pénitentielle qui se serait développée à partir
de la crise iconoclaste et du retour des iconoclastes à l'Église.
L'akolouthia pour recevoir les Hébreux est assez semblable
à celle des Manichéens; eIle ne se trouve plus dans les Euchologes
imprimés, qui n'apportent à ce sujet qu'une explication ou Ekthe-
sis" et une formule de renonciation différente de ceIle des ma-
nuscrits, mais sans aucun ordo. Voici en bref l'ordo des ma-
nuscrits:
* récitation de la formule de renonciation (le prêtre lit verset par
verset et le converti - ou son parrain s'il est petit - répète
la même phrase); une fois que la formule a été lue, « nous le
faisons chrétien; nous le considérons comme chrétien non bap·
tisé, au même titre que les enfants de familles chrétiennes non
encore baptisés »;
-Ir le lendemain, « nous le joignons au nombre des catéchumènes
par la prière des catéchumènes enfants »;
'* suivent les exorcismes et le reste (sans aucune indication précise
des intervalles, comme c'était le cas pour les Manichéens).

A ce moment Coislin" ajoute une Ekthesis plus précise qui


commence comme celle des euchologes imprimés (cf. supra),
mais bien plus longue et plus complète. Plus loin encore Coislin
nous rapporte" un logos attribué à Grégoire de Nicée, qui occupe
treize feuilles du codex: "comment il ne faut pas imposer trop
vite les mains sur un Hébreu pour le baptiser».
Une akolouthia pour les Sarrasins qui se convertissent à
la foi est prévue seulement par Cois lin SB; voici les rubriques:
* deux semaines de jeûne et étude du Pater et du Credo;

54Coislin 145\', Bessarion 92v, Goar 282.


5JEu. Ath. 526, Eu. Rom. appendix 92.
56Coislin 147v-164v.
57Coislin 151 v, 6\".
58140r.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 51

* brève formule de déclaration d'intention et de renonciation glo-


bale aux doctrines des Sarrasins avec tout de même un anathè-
me personnel: l'anathématise Môamed ou Moukhoumet que les
Arabes honorent conll1'1e envoyé de Dieu et prophète. Cette re-
nonciation est dite par le prêtre et répétée par le converti, ou
par son parrain, dans le baptistère. Suit une synaptî du diacre
et probablement une prière. La cérémonie finit par la bénédic-
tion du converti;
"* le lendemain a lieu son entrée au catéchumenat.

Suit le texte d'lm autre anathème plus complet où les doctri-


nes de l'Islam sont exposées en détail ".
Encore une exposition, propre à Cois/in, sur la secte des
Melchisédites, Théodotiens ou Athinganes 60, qui doivent être re-
çus dans l'Église plus ou moins comme des Hébreux. Aucune
ak%uthia n'accompagne cette exposition.
Une dernière prière intéressant le chapitre des catéchumènes
est la prière pour faire catéchumène un païen. Elle ne se trouve
pas dans Barberini. Bessarion" nous la rapporte comme cin-
quième prière propitiatoire après la Diataxis de Méthode dont
nous avons promis de nous occuper plus tard; elle se trouve au
même endroit dans l'Euchologe de Rome (qui dans ce rite semble
suivre Bessarion) "; mais elle ne se trouve pas dans l'Euchologe
d'Athènes. Cois/in" nous la rapporte isolée, hors des prières pro-
pitiatoires qui suivent la Diataxis de Méthode.
Cette prière est dite sur le candidat au catéchuménat age-
nouillé devant les portes de l'église. Le prêtre le signe trois fois
avant de commencer la prière, et au milieu de la prière il le
signe de nouveau; ici même une rubrique dit que le prêtre écrit
son nom parmi les catéchumènes. Le contenu de la prière pour
admettre un païen au catéchuménat fait une allusion au peuple
élu que Dieu a rassemblé de tous les peuples. On demande à
Dieu d'ouvrir les yeux du candidat aux merveilles divines et ses
oreilles à l'écoute de ses paroles. Ce qu'il y a de remarquable
dans cette prière c'est la rubrique de l'inscription matérielle
du nom du candidat parmi les catéchumènes, rite bureaucrati-

59 Coislin 141r-14Sv,
60 Coislin 137\'·140r.
61 Bessarion lOSv, Go.o\R 283.
B2Eu. Rom. 477.
63 Coislin 136v.
52 MIGUEL ARRANZ

que qui n'est plus mentionné dans le rituel du catéchuménat


ordinaire, mais qui doit être ancien.
Considérant donc l'ensemble des rites de catéchuménat pré-
vus dans nos euchologes manuscrits, nous pourrions conclure
qu'à l'époque de nos codex, surtout de ceux postérieurs à la
crise iconoclaste, le baptême normalement prévu était celui des
membres des familles chrétiennes; le baptême des personnes
venant de religions non chrétiennes semble avoir été déjà con-
sidéré comme exceptionnel, d'où la casuistique qui manquait à
Barberini, avant l'iconoclasme_
Nous pourrions encore commenter la rubrique à propos des
Manichéens et des Hébreux, qui, à partir de leur renonciation,
sont considérés comme des chrétiens non baptisés, comme les
enfants des familles chrétiennes, dans le sens d'une norme (peut-
être archaïque) qui ne considérait pas comme nécessaire le bap-
tême des tout petits enfants, car étant membres d'une famille
chrétienne, ils étaient eux aussi des chrétiens.
Deux prières qui dans tous les euchologes sé' trouvent avant
le catéchuménat, et que nous avons négligées lorsque nous avons
traité de celui-ci, nous confirment dans notre hypothèse: la
prière du 8' jour et la prière du 40' jour après la naissance: la
première", devant la porte principale de l'église, pour l'imposi-
tion du nom, la seconde" pour l'introduction de l'enfant dans
l'église. La première sollicite que sur l'enfant soient marquées
la lumière de la face divine et la croix du Christ. On demande
encore qu'au temps voulu l'enfant soit agrégé à l'Église. Le prêtre
signe l'enfant sur le front, la bouche et la poitrine.
La prière du 40' jour, après un rappel de l'entrée de Jésus
au temple, demande que l'enfant soit jugé digne du baptême.
Cette prière est précédée aujourd'hui par deux prières de puri-
fication pour la mère, et suivie par une quatrième prière de
kephaloklisia pour l'enfant. Les deux rites du 8' et du 40' jours
sont ainsi noyés dans un ensemble de prières pour la mère de
l'enfant, qui certainement ne permettent pas de se rendre compte
des éléments plus anciens, c.-à-d. des deux prières qui unissent
l'enfant à l'Église bien avant son baptême. Le rite du 40' jour

64 Barberini 170, Bessarion 48r, GOAR 264, Eu. Ath. 87, Eu. Rom. 142, MER-
CENIER 329.
65 Barberini 172, Bessarion 48\', GOAR 267, Eu. Ath. 89, Eu. Rom. 144, MER-
CENIER 332.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 53

porte un titre éloquent; la simple rubrique "prière lorsque l'en-


fant est introduit dans l'Église» de Barberini, devient dans Bessa-
rion « prière pour "ecclésialiser" (ekklîsiasai) l'enfant ... ». L'Eu-
chologe d'Athènes dit après le titre: « ... l'enfant est porté au
temple pour être "ecclésialisé" (ekklîsiasthînai; slave: vtserkov-
liatisia) ». On pouvait donc être membre de l'Église bien avant
d'avoir été baptisé. On peut bien penser que la praxis pastorale
de Constantinople ne poussait pas dans le sens du baptême des
tout petits et que probablement les enfants étaient baptisés tard.

2. - LE BAPTÊME ET LA CONFIRMATION 66

Ce sacrement apparaît dans les euchologes manuscrits 67 à la


suite du rite «privé» de renonciation-attachement et non à la
suite du rite patriarcal; en cela ils ont été suivis par les eucho-
loges imprimés 68.
Le titre cependant est différent: Ak%uthia du saint baptême
dans les euchologes actuels; Diakonikd (litanie) du Samedi Saint
pour baptiser selon Barberini; Prières du saint baptême que dit
le patriarche, ce qui a été dit ayant eu lieu, spécialement le Sa-
medi Saint au soir, selon Bessarion. Le contenu du rite varie
peu de nos manuscrits au texte imprimé, à part le fait que les
manuscrits (surtout Bessarion) prévoient que c'est le patriarche
en personne qui commence les rites préparatoires GB. Nous décri-
rons très rapidement, vu le peu d'importance des variantes, le
rite des manuscrits.
Après l'entrée du Lucernaire, explique Bessarion, et après qu'on
est monté au siège supérieur (anô kathedra) , au début de la deu-

66 Dans les euchologes le rite de la confirmation se trouve, sans aucun titre,


à la suite de celui du baptême comme faisant partie de la même akolouthia du
baptême. L'Euchologe d'Athènes porte en guise de frontispice une planche divisée
en sept compartiments, dans lesquels chaque sacrement est représenté par un
dessin très fantaisiste. La confirmation apparaît comme un sacrement à part,
appelé Chrisma.
67 Barberini 193, Bessariol't 53v.
68 Eu. Ath. 98, Eu. Rom. 152; cf. GOAR 292: Diakonika. tou hagiou Sabba (sic),
lecture erronée de Barb. 336: tau hagiotl Sabbatou; erreur répétée par CoNYBEARE
397, mais cf. STRITIMATIER 348, MERCENIER 341.
B9 Selon le Typikon (cf. notes 16-20) c'était le patriarche en personne qui
conférait le baptême et la confirmation. Bal'berini et Bessarion nous transmet-
tent essentiellement le rite patriarcal, mais dans quelques rubriques ils font
allusion non au patriarche mais au prêtre; s'agit-il d'un prêtre qui assistait le
patriarche en le remplaçant à certains moments, ou bien nos euchologes, tout
en consen'ant certaines rubriques patriarcales, prévoient-ils déjà un rite bap-
tismal CI. privé» célébré avec plus de fréquence que ne l'était le rite patriarcal?
54 MIGUEL ARRANZ

xième lecture (ls 60,1-16: Illumine-toO, le patriarche descend du


trône et entre dans le vestiaire du grand baptistère en passant par
la sacristie (skevophylakion) 70 et il se change en mettant un vête-
ment blanc (stolî selon Bessarion, sticharion selon le Typicon) et des
souliers blancs; ensuite il entre à la piscine (kolymbîtllra) , fait un
encensement (trois selon le Typikon) tout autour d'elle et, ayant
rendu l'encensoir, bénit trois fois avec les cierges. Le diacre fait la
synaptî (il n'y a pas de doxologie Béni le Règne ... au début, comme
c'est le cas aujourd'hui).

La synaptî a un nombre d'intentions de prière différent d'un


manuscrit à l'autre; le texte lui-même présente des variantes
importantes de Barberini à Bessarion, chose d'autant plus remar-
quable qu'elle est rare. Dans l'essentiel néanmoins il y a accord
entre ces euchologes d'une part, et entre eux et les euchologes
imprimés d'autre part. La synaptî comprend deux séries de
demandes: la première prévoit la sanctification de l'eau, à la-
quelle on attribue un rôle direct dans la sanctification de ceux
qui sont baptisés en elle. Dès lors on demande la venue du Saint-
Esprit dans l'eau, et cela aussi bien dans la synaptî que dans les
deux prières presbytérales qui suivent. La seconde partie de la

70 Nous avions dit plus haut (p. 38 s.) que Bessarion contredisait les données
des autres manuscrits, car il plaçait l'onction chrismalc après le baptême dans
Saint-Pierre, qui était une chapelle située à l'angle est de Sainte-Sophie ct donc
à l'opposé en diagonale du grand baptistère; puisque l'entrée solennelle dans
l'église, aussitôt après l'onction, se faisait par la porte principale, en l'enant
du grand baptistère, il semblait impossible que le patriarche se soit déplacé
avec les néophytes de l'autre côté de l'église, en traversant celle-ci, pour revenir
aussitôt au point de départ et effectuer l'entrée solennelle. Faut-il croire que le
grand baptistère avait, lui aussi, une chapelle dédiée à Saint Pierre? C'est peu
probable: mais si on ne l'admet pas, nous nous trouvons alors dans une
impasse. Il y a encore un motif pour douter, ct c'est cette entrée dans le
vestiaire du baptistère en passant par le ske1'ophylakioll. Le skevophylakion
(l'ancien baptistère) était situé lui aussi dans l'angle est, non loin de Saint-
Pierre. Mais le passage « à travers» (dia) ce skevophylakion semble assez impro-
bable, vu qu'il était à l'écart, même du petit baptistère placé derrière l'abside
principale, et que, de plus, il n'avait qu'une porte, ce qui est normal, vu sa
destination comme chambre du trésor de l'église. Il nous faut donc supposer
aussi l'existence d'une seconde sacristie qui pouvait servir de passage entre
l'église et le vestiaire. Il nous reste cependant une hypothèse de rechange: il
pourrait se faire qu'à l'époque du codex Bessarion (XIIe s.), le grand baptistère
du Typikon n'existait plus ou était hors d'usage, et que le baptême. se conférait
au petit baptistère derrière l'abside (mais on aurait dit qu'on all~üt au petit
baptistère et non au grand) ou bien dans la vasque dite phia[i du loutîr ou du
mesaulion qui se trouvait au milieu de la cour nord-est: elle était couverte
d'un toit et elle aurait. pu servir pour le baptême. On serait passé alors «à
côté» du grand skevophylakiOll pour s'y rendre et au retour on se serait arrêté
à Saint-Pierre pOur la confirmation. L'entrée aurait eu Iit-.u par une porte laté-
rale. Cf. la bénédiction dc l'cau le 5 janvier (MATEOS, Typicol1, I, 182; mais Mateos
traduit phialî par piscine et loutîr par baptistère, cc qui ne correspond pas
aux renseignements de Latheby - pp. 186 et 189 _ ni d'Antoniadîs - I, planche 17.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 55

synaptî est destinée aux personnes qui doivent être baptisées.


Toute la théologie du baptême - péché originel omis -
est contenue dans cette synaptî; il s'agit d'une théologie tout à
fait néotestarnentaire.
Des deux prières qui suivent, la première n est dite en secret
par le prêtre, pendant que le diacre proclame la synaptî. Même la
doxologie est dite à voix basse, ainsi que l'Amen qui la conclut.
Il ne s'agit donc pas d'une prière communautaire devenue « secrè-
te" par la suite, comme c'est le cas actuellement pour la plupart
des prières presbytérales qui conservent la doxologie à haute
voix, mais bien d'une prière à l'intention exclusive du prêtre,
pour se préparer à bénir l'eau.
La seconde prière, à haute voix, est la fameuse prière: Grand
es tu Seigneur, dont il existe deux versions, identiques dans les
deux premières parties, et différentes seulement dans la troi-
sième: la bénédiction de l'eau baptismale et de celle de la Théo-
phanie 72. Il est possible que la prière de la Théophanie ait été
en son temps une prière baptismale, mais tous les éléments
baptismaux manquent aujourd'hui. Le Typikon du X' siècle"
ne prévoit rien de moins que trois bénédictions de l'eau le 5
janvier après la messe de la vigile: la première à l'intérieur du
sanctuaire, la deuxième dans la vasque du /outîr (cf. note 70), la
troisième au /outîr. Il n'est pas impossible que ce dernier /outîr
ait été le baptistère, où le patriarche aurait béni l'eau baptismale
pour le lendemain; le Typikon nous dit en effet que le 6 janvier,
pendant les matines, le patriarche baptisait dans le phôtistîrion.
Dans cette hypothèse, probablement le patriarche disait-il la
prière du baptême et non celle de la Théophanie.
Dans la prière baptismale (dite par le prêtre dans Barberini,
et que Bessarion suppose être dite par le patriarche, vu que c'est
l'archidiacre qui fait la synaptî) on ne fait pas les répétitions

il Barberini 195, Bessarion 54r, Eu. Ath. 99, Eu. Rom. 153, MERCENIER 343.
72 Barberini 198 et 230 (CONYBE,\RE 399 et 418), Bessarion 5Sr et 62 v, Eu. Ath.
100 et 266, Eu. Rom. 154 et 222, MERCENlER (1) 344 et II, Ir, 281. Dans Barberini,
la prière de l'cau de la Théophanie est aussi précédée par une prière secrète
du prêtre ct par deux prologues, que l'Euchologe imprimé unit en un seul,
en apportant des variantes importantes dans le second et en attribuant le
tout à Sophrone, patriarche de Jérusalem; cette attribution manque dans
Barberini, Dans Bessarion le prologue lui-même manque, marquant par là
l'origine probablement non constantinopolitaine du prologue, On a déjà par
ailleurs remarqué Je fait que l'euchologe Barberini complète le fond constan-
tinopolitain pal' des éléments palestiniens ct cela à une époque où l'euchologe
palestinien .(aujourd'hui inconnu) devait encore être en usage.
73 MATEOS, Typicon l, 182-184,
56 MIGUEL ARRANZ

aujourd'hui en usage au début, et lorsqu'on fait le signe de croix


et qu'on souffle trois fois sur l'eau. Cette prière possède la
structure tripartite d'une anaphore eucharistique de type antio-
chien: la première partie, qui se conclut aussi avec une allusion
au culte angélique des cieux (sans le Sanctus cependant), déve-
loppe le thème de la création et de la louange cosmique au créa-
teur. La deuxième partie est bien un rappel de l'économie du
salut; elle est adressée au Christ, dont on commémore l'incarna-
tion, l'apparition parmi les hommes et la mission purificatrice
du Saint-Esprit sur les eaux du Jourdain, en écrasant la tête des
dragons cachés dans le fleuve. La troisième partie est une épiclè-
se - on ne voit pas très bien à qui elle est adressée, si c'est au
Père ou au Fils - pour qu'ait lieu une effusion de l'Esprit sur
l'eau du baptême; les résultats de cette action divine seront tous
en faveur du nouveau chrétien: tout d'abord, la protection de
celui qui doit descendre dans l'eau, de tout ennemi spirituel qui
pourrait encore causer l'obscurcissement de la pensée et la ré-
volte de la raison; puis positivement on demande que l'eau de-
vienne repos, rédemption, sanctification, relâchement des liens,
rémission, illumination, régénération, renouvellement, don d'adop-
tion, vêtement d'incorruptibilité, source de vie. On demandera
encore, parmi d'autres grâces, que le baptisé soit transformé et
dépouillé du vieil homme et revêtu du nouveau, qu'il soit renou-
velé selon l'image du créateur, qu'il devienne une même plante
avec le Seigneur par la conformité à sa mort et par la partici-
pation à sa résurrection et qu'il soit finalement compté parmi
les premiers-nés inscrits dans les cieux.
Nous avons déjà dit en passant que les deux premières par-
ties de cette prière coïncident avec celles de la prière de la
Théophanie; la troisième partie de cette prière, la partie épiclé-
tique, est la seule qui change. Les effets de cette eau bénie par
l'infusion de l'Esprit seront moins importants que ceux du bap-
tême, mais ils restent tout de même considérables: sanctifica-
tion, bénédiction, purification et santé de ceux qui toucheront
cette eau, s'en oindront et en goûteront.
Après la bénédiction de l'eau baptismale vient la prière de
bénédiction de l'huile, sous forme d'une prière de kephaloklisia,
et en effet le prêtre dit la prière incliné vers le vase de l'huile
porté par le diacre ". Après une allusion au salut et à la récon-

74 Barberini 207, Bessarion 57r, Eu. Ath. 102, Eu. Rom. 156, MERCENIER 346.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 57

ciliation, signifiés par le rameau d'olivier d'après le déluge, et


aux onctions sacrées de l'Ancien Testament qui remplissaient elles
aussi du Saint-Esprit, on passe à une épiclèse du Saint-Esprit
sur l'huile et à l'énumération des effets de cette action de
l'Esprit, coïncidant en partie avec ceux qu'on attendait de l'eau
baptismale. Chose étonnante: on ne prévoit pas seulement qu'on
sera oint avec l'huile, mais aussi qu'on en goûtera. Nous ne
pensons pas qu'ait jamais existé cette dégustation d'huile au
baptême. Il pourrait se faire que cette prière ait été prise telle
quelle d'un ancien recueil, type Tradition Apostolique. Et en
effet au chapitre 5 de cet ouvrage, on a une bénédiction d'huile
qu'on peut utiliser comme nourriture et comme onction; mais
cette bénédiction suit l'anaphore eucharistique et elle n'est pas
liée avec le baptême.
Aussitôt après la bénédiction de l'huile, le prêtre en verse
un peu à trois reprises dans l'eau en faisant le signe de la croix
avec l'huile et en chantant trois fois l'Alleluia avec le peuple. Et
le prêtre ajoute:
Béni soit celui qui éclaire et sanctifie (sois tu qui ... ) tout homme
venant dans le monde, maintenant et toujours ...

Suit l'onction de ceux qui doivent être baptisés. On amène


le candidat au prêtre (Barberini: hiereus, terme habituel dans
l'Euchologe; Bessarion: «à un des presbytres », terme beaucoup
plus rare et qui indique la présence de plusieurs; cela suppose
que des prêtres assistaient le patriarche et le remplaçaient par
moments) et celui-ci l'oint avec le doigt en lui faisant le signe
de la croix sur le front, sur la poitrine et entre les épaules en
disant une seule fois:
N, est oint avec l'h~ûle de l'allégresse au nom du Père ...

Aujourd'hui l'onction se fait encore sur les oreilles, sur les


mains et sur les pieds, en ajoutant des formules appropriées.
Rien de tel dans les manuscrits. Suit l'onction de tout le corps
du catéchumène réalisée par le diacre. L'Euchologe imprimé ne
parle pas du diacre à cet endroit-ci et se contente de dire « lorsque
tout le corps est oint... »; on entend par là que c'est le prêtre
qui fait l'onction totale quand il s'agit d'un enfant. Dans le cas
d'un adulte. on ne se sent pas obligé à le faire. Puisque ces
mêmes euchologes. Barberini et Bessarion, possèdent encore 1'or-
58 ----------------
MIGVEL ARRANZ
-------------

dination de la diaconesse, il est bien probable 'lue cette tâche lui


était réservée quand le candidat au baptême était une femme.
Suit le baptême. Selon Bessario1l c'est au patriarche à le
conférer. Pour cela il revêt un linge (leHtioH, cf. In 13,4) et des
manchettes (manikia) et il procède au baptême de chacun des
candidats en les faisant descendre dans l'eau et remonter pen-
dant qu'il dit:
N. est baptisé au nom du Père (et du Fils et du Saint-Esprit,

complète Bessarion, mais sans interruption ni Amen) 75,


Après les avoir tous baptisés, le patriarche se lave et ôte le
linge et les manchettes. Aussitôt après, le chantre (les chantres,
selon Bessarion, ou le prêtre avec le peuple) commence le Ps 31:
Heureux cellx dont la transgression à été remise;

ce verset est chanté trois fois, suivi du Gloire au Père ... On passe
à la prière de la confirmation, sans aucune allusion au rite de la
vêture des baptisés et encore moins à la formule prononcée par
le prêtre à cette occasion, ni au tropaire Chitôna, qui sépare le
début du Ps 31 de son ancien refrain: Vous tous qui avez été
baptisés dans le Christ ... (Gal 3,27), qui sera chanté après la
prière de l'onction. Selon Barberini et Bessarion, cette prière
est précédée de la prière du diacre, une synaptî sans doute, mais
dont le texte ne nous est pas donné. Aujourd'hui le diacre dit
tout simplement: Prions le Seigneur.
La prière de la confirmation" est une prière de récapitula-
tion de tout le rituel de l'initiation; elle contient des allusions
au baptême reçu et à ses effets, ainsi qu'aux sacrements de
l'onction et de la communion qui suivent. Il vaut la peine de
s'arrêter sur ce texte:
1. Tu es béni, Seigneur Dieu tout-puissant,
2. source de bien et soleil de justice,
3. qui as fait luire SHI' ceux qui étaient dans les ténèbres la lumière
du salut
4. par la I1taflifestatioll (epiphaneia) de tOH Fils, tmiquê et notre
Dieu;
5. toi qui nous as donné, à nous indigl1es, une bienheureuse purifi-
cation (katharsis) dans l'eau sainte,

75 Barberini 210, Bessarion 58r, Eu. Ath. 103, Eu. Rom. 157, MERCENlER 348.
76 Barberilli 211, BessariOl'1 58" Eu. Ath. 103, Eu. Rom. 157, MERCENIER 348.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 59

6. et une divine stlnctificatiol1 (hagiasmos) dans la vivifiante onction


(charisma),
7. toi, qui maintenant as daigné faire renaître (anagennîsai) par
l'eau et par l'Esprit tes serviteurs qui vieml€ut d'être illuminés
8. et leur as fait don de la rémissiOJl (aphesis) des péChés (hamar-
tiai) volontaires et involontaires,
9. roi-même, Maitre tout-miséricordieux (poly-eusplagchne; Eu.
Ath.: pambasileu, eusplagchne) ,
10. fais-leur la grâce du sceau (sphragis) du don (dôrea) de ton
saint et tout-puiSSll1lt et ado1'able Esprit,
11. et (fais-Icur la grâce) de la participation (metalîpsis) du saint
COl-ps et sang de tOI1 Christ.
12. Garde-les dalls la sainteté (hagias!11os),
13. affermis-les dans la foi orthodox.e,
14, délivre-les du malin et de toutes ses oeuvres
15. et conserve leurs âmes, par Hile crainte
salutaire, dans la pureté ei daus la justice,
16. afin que t'éta/lt agréables CH ioute action et parole,
ils deviennent fils et héritiers de ton règne des cieux.
Doxologie: Car tu es notre DieH, un Dieu qai Cl pitié et qui sauve
et à toi nous relUions gloire, Père et Fils ...

Dans cette prière, on attribue au baptême la purification (5),


à J'onction, la sanctification (6); plus loin on énumère d'autres
effets du baptême: la régénération par l'eau et par l'Esprit (7)
et la rémission des péchés volontaires et involontaires (faut-il
voir ici une allusion au péché originel?) (8) et, comme résultat
de l'onction: le sceau du don du Saint-Esprit. Qu'est ce sceau
du Saint-Esprit? Déjà le baptême était une nouvelle naissance
dans J'eau et J'Esprit selon Jn 3,5. Le sceau ou signe ou cachet ou
empreinte ou marque ou signature (sphragis, déjà présent au
début du catéchuménat, comme sigHatio) est l'achèvement de
quelque chose (cf. Rom 15,28), mais, dans notre cas, il est une
allusion directe à 2 Cor l, 21-22:
Et celui qui nous a affermis avec l'OUS dans le Christ,
et qui nous a oints, c'est Dieu,
lequel nous a aussi marqués d'un sceau
et nous a dOlmé à titre d'arrhes, le Saint-Esprit dans 1105 coeurs,

Ce texte est complété par Eph 1.13:


." c'est en lui que vous avez cru
et vous avez été marqués du sceau du Saint-Esprit,,,

Il pourrait encore être une allusion au sceau qui n1arquera


le front des élus dans l'Apocalypse (7,2-4 et 9,4) et qui sera leur
60 MIGUEL ARRANZ
=--------------~~ ==--------------
sauvegarde au moment de l'épreuve définitive. C'est aussi le sens
de la fin de la prière (12-16).
On pourrait se demander pourquoi ce sceau de l'Esprit vient
à ce moment-ci, après le baptême et non après la réception du
Corps et du Sang du Christ? Cela se fait dans l'Église romaine
actuellement, et cette pratique est justifiée par des raisons pasto-
rales, mais elle est critiquée, car elle n'est pas traditionnelle.
Pourrait-on justifier la praxis romaine du point de vue théologi-
que? La réponse pourrait se trouver dans une nouvelle demande:
le Saint-Esprit de la confirmation est-il celui de la Pentecôte
(comme les théologiens modernes aiment à le souligner) ou bien
n'est-il pas plutôt celui du Jourdain, où il est apparu sous forme
de colombe sur le Christ sortant des eaux? Nulle allusion à la
Pentecôte dans nos formulaires, mais bien à la descente au
Jourdain, et cela au point central de la prière de bénédiction
des fonts baptismaux: à la fin de la deuxième partie, ou commé-
moraison de l'économie du salut, et avant l'épiclèse. C'est un
fait que l'Église byzantine oriente son rituel baptismal vers le
baptême du Christ et vers l'effusion de l'Esprit qui suivit, ac-
compagnée de la manifestation de la paternité divine sur Jésus.
Dès lors on peut dire, avec l'Euchologe (manuscrit et imprimé),
que les deux sacrements du baptême et de l'onction ne sont que
deux aspects du même mystère du Christ et des chrétiens. L'eucha-
ristie, ce sera un nouveau pas, le pas définitif si l'on veut, dans
la voie eschatologique des chrétiens. Nous pensons donc qu'il
ne faut pas séparer le baptême de la confirmation, même pas
par un titre interposé dans l'Euchologe comme a fait Dom Mer-
cenier.
Une étude plus approfondie du sens que donne l'Église by-
zantine à l'onction avec le saint chrême ou myrol1 devrait nous
conduire à celle de la double prière consécratoire de ce même
myron 77, qui a lieu pendant la liturgie du Jeudi Saint. Le myron,
composé d'huile et d'un nombre considérable de substances aro-
matiques ", est apporté sur l'autel en même temps et avec les
mêmes honneurs que le pain et le vin de l'eucharistie; il est
bénit par le patriarche (agenouillé, selon Mercenier) aussitôt fi-

71 Barberini 254, Bessariun 70r, Eu. A/h. 115, Eu. Rom. 325, MERCENIER II,
2,159. Cf. aussi SYMÉON. DE THr.sS.~LONIOL·E, chapitre 71 et 55., PG 155, 239.
78 Barberini 251: «préparation du nard »: liste ct proportion respective d'une
quinzaine de substances aromatiques à ajouter à J'huile: selon l'EllcJlOloge
d'Athènes, 117: une quarantaine de substances; MERCE:.<IF.R II, 2d, 154: 57 ingré-
dients, selon l'usage de Constantinople; ibidem: préparation du myrOl1 et rituel
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 61

nie l'anaphore eucharistique. La première prière, après une allu-


sion au mystère (de l'onction) confié à Moïse, à Samuel et aux
Apôtres (?), débute par une pétition pour que l'Esprit soit envoyé
sur le myron, pour qu'il devienne un (c chrisma» royal et spiri-
tuel, protection pour la vie, sanctification des âmes et des corps,
huile d'allégresse. Préfiguré dans l'Ancien Testament, il brille
dans le Nouveau. Par lui ont été oints les prêtres, les pontifes,
les prophètes et les rois; le Christ même a oint avec lui les apôtres
(cette phrase manque dans l'Euchologe d'Athènes) et tous ceux
qui, par eux et par leurs successeurs, évêques et prêtres, sont
nés du bain de la régénération jusqu'à ce jour. On demande
encore la venue du Saint-Esprit pour que le myron devienne:
vêtement d'immortalité (cf. Gal 3,27: Vous tous qui avez été bap-
tisés dans le Christ, vous avez revêtu le Christ, chant de l'onction)
et sceau de perfection, marquant en ceux qui reçoivent le bain
divin la divine appellation (onomasia) ... pour être reconnus par
Dieu comme ses familiers, citoyens et serviteurs ... ; afin d'être,
grâce à ce saint signe (sîmeiôsis), reconnus par les anges et craints
par les démons. Ils seront ainsi un peuple appartenant à Dieu,
un sacerdoce royal, une race sainte marquée du sceau par ce
myron. ..
La seconde prière que dit le patriarche sur le myron est
une prière de kephaloklisia; clle est intéressante surtout par les
phrases suivantes:
nous proclamons la pitié que tu venes sur nous ... ,
nous te supplions de nous faire recevoir la sanctification
qui vient de toi, comme 1nyYOl1 SW' nos têtes
parce que ce 111yYOn répandu est le Nom de ton Fils ...
en qui le monde entier ... est parfumé ...

Le parallélisme que cette dernière prière établit entre l'effu-


sion divine et l'onction de la tête indique quel est le sens de
l'onction avec le myron: l'effusion du Saint-Esprit. L'allusion
de la première prière au mystère de l'huile, reçu par Moïse,
Samuel, les rois, les prophètes et les apôtres, nous laisse un peu
rêveurs ... : quand les apôtres ont-ils été oints par une huile quel-
conque? Cette idée apparaît même deux fois, mais la seconde, la

complet de sa bénédiction selon l'Euchologe de Rome, 325. Bessarion ne pos-


sède pas le chapitre des composants du myron. Il faut encore ajouter que la
bénédiction .du myroll est réservée dans l':Ëglise byzantine au patriarche en
personne, qui la transmet aux autres évêques.
62 MIGUEL ARRANZ

plus precIse, manque dans l'Euchologe d'Athènes. Cette phrase


n'est intelligible que si l'on admet que la Pentecôte équivaut à
une onction, car elle aussi, de même que les impositions des
mains réalisées par les apôtres aux premiers temps de l'Église, est
une participation à l'onction de l'Esprit reçue par le Christ au
Jourdain, au même titre que la chrismation pratiquée tradition-
nellement par l'Église d'Orient. Le choix du symbole sacramentel
dans l'onction plus que dans l'imposition des mains (symbole
préféré par d'autres Églises) ne doit pas être considéré comme
une sorte de déviation, mais plutôt comme un désir de rester
le plus près possible du symbolisme biblique de l'onction, image
de l'effusion de la grâce d'en haut.
Mais revenons à notre rituel patriarcal. Après la dernière
prière, le patriarche ôte les vêtements qu'il avait mis avant la
bénédiction de l'eau, revêt ceux de la liturgie, va à Saint-Pierre
(cf. note 70) et, là, oint les baptisés avec le saint myron pendant
que le psalmiste chante le:
Vous tous qui al'ez été baptisés dans le Christ (vous avez révêtu
le Christ: Gal 3,27).

Le patriarche fait le typos de la croix sur le front, sur les


yeux, sur les narines, sur la bouche et sur les deux oreilles, en
disant:
Sceau du dOl1 de ['Esprit Saint.

Ni Barberini ni Bessarion. n'indiquent les onctions sur la


poitrine, sur les mains et sur les pieds, qui ont lieu aujourd'hui
et qui apparaissent déjà dans deux anciens manuscrits apportés
par Conybeare (Grottaferrata G b 10 et un mystérieux Auet.).
Quel sens peut-on donc trouver à l'onction-effusion de l'Esprit
sur le front et sur les organes de la parole et des sens de la vue,
de l'odorat, du goût et de l'ouïe? Et pourquoi sur le front, siège
de la pensée, et non sur la poitrine, siège du coeur? Et pourquoi
pas sur les mains, organe du tact? Autant de questions auxquel-
les les textes liturgiques ne nous permettent pas de donner une
réponse.
Après l'onction, les orphelins" (le prêtre lui-même selon
Barberini) entonnent le Ps 31 (pour la seconde fois) et le patriar-

79 Cf. MATF.OS, Typicol1 II, 310. Les orphelins apparaissent plusieurs fois dans
le Typikon, remplissant les fonctions de chorale qui remplace les chantres
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 63

che fait son entrée (dans l'église) avec les nouveaux illuminés et
célèbre l'ak%uthia de la liturgie BO.
Le Typikon de la Grande-Église"' précise davantage les dé-
tails de cette entrée; pour la lumière qu'ils ajoutent sur l'aspect
de l'incorporation des néophytes dans l'assemblée eucharistique,
nous pensons qu'il n'est pas inutile de les rapporter en raccourci:

a) Continuation des lectures de l'Ancien Testament dans l'église,


pendant que le patriarche célèbre le baptême au baptistère;
b) si le patriarche est près de terminer les baptêmes, après la
70' lecture on passe à la dernière (Dan 3) (la 15~); sinon, on intercale
les lectures 8"' à 14~;
c) après la dernière lecture: chant du prokeime1101'l (hymne des
trois enfants) jusqu'à l'entrée du patriarche avec les néophytes,
les prêtres descendent de l'abside et revêtent des sticharia blancs
pendant le chant de l'hymne;
d) après l'onction, quand le patriarche se met en mouvement
avec les nouveaux illuminés pour faire la seconde entrée (la pre-
mière ayant été celle du Lucernaire; pour traverser le second
seuil - la Belle Porte - lit Mateos), on recommence le Ps 31;
e) lorsqu'on arrive aux portes centrales (la porte du sanctuaire
ou celle de l'église? Mateos préfère celle-ci), le patriarche s'agenouille
trois fois et entre;
t) douze évêques portant leurs onlOvhoria, entrent au sanctuaire
avec le patriarche et montent avec lui au trône (kathedra). Les
autres (les prêtres?) sont appelés après l'évangile. Après l'entrée au
sanctuaire, l'archidiacre donne {{ la bénédiction ») au chantre et celui-
ci met fin au psaume);
g) à la place du trisagion: Gal 3,27: Vous tous qui avez été
baptisés ... Il n'y a pas de prokeimen011;
h) lecture de l'aposlolos, etc.
N. B.: S'il n'y a pas de baptêmes, après l'hymne des trois en-
fants: antitrisagion (Gal 3,27), prokeimenon: Ps 31, apostolos, etc.

occupés ailleurs. Ici les chantres étaient à l'office des vêpres qui continuait à
Sainte-Sophie pendant le baptême.
DO Bessarion ajoute ici: Aux autres fêtes, lorsqu'on baptise dans le petit
baptistère, le patriarche descend et accomplit tout comme il a été dit; et
après avoir oint dans le vestiaire (apodYlon) les nouveaux illuminés avec le
divin lnyrDl1, il s'assied et attend le basileus; les orphelins et les chantres intro-
duisent les nouveaux illuminés dans l'église au chant du Ps 31. N. B.: Seulement
à Pâques la liturgie suivait immédiatement le baptême: alors l'entrée du patriar-
che accompagné des néophytes remplaçait aussi la «petite)l entrée de la
liturgie. Dans les autl'es occasions, le baptême sc plaçait cntre les matines et
la liturgie sans faire partie de celle-ci; dès lors l'entrée du patriarche et de
l'empereur avait lieu comme d'habitude.
Dl MATEOS; TypiCOll, II, 86-90.
64~ _____________________~
__I_G_U_E_L_ARlù~~A=N~Z=-______________________

Les autres jours de baptême (6 janvier ", samedi avant les


Rameaux 83 et Dimanche de Pentecôte Il"'', un chantre qui se tient
à côté du patriarche entonne le Ps 31 (et non Ga/ 3,27, comme
c'était le cas le Samedi Saint) quand le patriarche commence à
oindre les baptisés. On continue le même psaume pendant l'entrée
dans l'église (qui semble se faire sans le patriarche, selon Bessa-
rion en tout cas) et on le finit quand le chantre, arrivé à l'ambon
qui est au centre de l'église, reçoit la permission de l'archidiacre.
Alors on fait la lecture du baptême de l'eunuque de Candace (Act
8,26). Suivent aussitôt les antiphôna de la liturgie. A la place du
trisagion on chante le verset de Gal 3,27. Nous ne connaissons
pas le rituel d'entrée du Samedi Saint après les matines, mais
évidemment celles-ci n'étaient pas suivies de la liturgie, qui avait
lieu le soir. C'est bien le seul cas où le baptême ne soit pas suivi
de la liturgie eucharistique.
Aujourd'hui la célébration de la messe après le baptême
" privé» n'est pas exclue, mais l'Euchologe imprimé prévoit un
office de lecture (aposta/os et évangile) et une ektenî, après le
chant du verset Gal 3,27, et aussitôt le congé.
Cette cérémonie de l'entrée des nouveaux baptisés dans
l'église à la vigile de Pâques devait être très populaire. Le Typikon
studite l'a conservée même dans les monastères où il n'y avait
pas de baptême; le Typikon de Messine os prévoit que pendant
le chant de l'hymne des trois enfants, tous les prêtres qui le
veulent, outre ceux qui célèbrent, s'habillent en blanc et sortent
au narthex par une porte latérale pour entrer solennellement
dans l'église au chant du Ps 31, appelé prokeimenon car il rempla-
ce le prokeimenon avant l'aposta/os. Du psaume on chante, en
alternant diacre et peuple, les versets 1.2.5c. Le clergé étant arrivé
au sanctuaire, on dit la grande synaptî et on chante: Vous tous
qui avez été baptisés ... Ces versets, l'E.glise byzantine les a con-
servés à toutes les anciennes dates où le baptême était prévu,
en ajoutant le jour de Noël. où, selon le Typikon du X· siècle, il
n'y avait pas de baptême. On les chante aussi toute la semaine de
Pâques; et, dans le Typikon de Messine, on les prévoit tous les

82 IDEM, I, 184-186.
83 IDEM, II, 62.
84 IDEM, II. 136-138.
85 M. ARRANZ, Le Typicon du monastère du Saint-Sauveur à Messine (= Orien-
(alia Christiana Analecta 185) Rome 1969, 245.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 65

jours de semaine, de Pâques à l'Ascension, mais à l'exception


curieusement des dimanches u6.
Sur la participation des néophytes à l'eucharistie nos sour-
ces restent muettes. Elle allait de soi, puisqu'ils avaient été
introduits dans l'église au début de la messe ou en tout cas avant
les lectures.
Les formulaires eucharistiques de l'ancien Euchologe sont
très sobres en rubriques. Le Typikon de la Grande-Église lui-
même n'étant pas destiné à décrire les rites habituels, mais seu-
lement les textes et rubriques extraordinaires, ne nous fournit
pas d'indication à ce sujet.
On peut supposer que la communion était distribuée en don-
nant séparément.le pain et le vin, et que le calice était présenté
par le diacre, puisque, décrivant l'ordination du diacre, l'ancien
Euchologe prévoit qu'après sa propre communion, le nouvel or-
donné reçoit de la main de l'archevêque le calice (et sortant,
selon Cois lin) fait communier ceux qui se présentent (le peuple,
selon Coislin) ".
La Diataxis de Méthode prescrit que l'apostat adulte qui a été
réadmis dans l'Église, assiste huit jours de suite à la liturgie
comme les nouveaux baptisés 88, Nous ne savons pas s'ils rece-
vaient la communion chaque jour.
Le huitième jour après le baptême a lieu une ablution des
baptisés. Barberini contient une seule prière avec le titre de
prière de l'ablution (apoloutron). Bessarion a cette même prière,
mais avec un titre-rubrique plus long: p.-ière lorsqu'on lave au
huitième jour le baptisé; il ajoute encore une prière facultative
et une prière de kephaloklisia. Ces trois mêmes prières nous sont
rapportées par les euchologes imprimés ".
Le sens de la première prière, qui est commune à tous, n'a
rien à voir avec son titre de prière d'ablution. Il s'agit d'une
prière pour que Dieu garde le nouveau chrétien dans la grâce

86 IDEM, 424.
87 Barberil1i 341. Coislin 32r, BessaI'ion 44\'. Par contre, lors de l'ordination
de la diaconesse, l'Euchologe interdit à celle-ci de donner la communion: après
sa propre comnlUnion parmi les diacres, la nouvelle ordonnée reçoit le calice
de la main de l'archevêque et le dépose aussitôt sur l'autel sans l'administrer
à personne (Barberini 347, CoisIin 33Y, Bessarion 46r, GoAR 218); mais cette même
interdiction indique qu'il avait existé une praxis différente.
88 Coislil1 132\', Bessahun lOSr, GOAR 689.
B9 BARBERINI. 214, Bessarion 59v, GOAR 303, Eu. Ath. 105, Eu. Rom. 159, MBRCE-
~UER 352.
66 MIGUEL ARRANZ

reçue; notamment on demande à Dieu de lui conserver intacts


l'habit d'incorruptibilité et le sceau spirituel. Les deux prières
qui suivent dans les autres euchologes, n'ajoutent rien de nou-
veau ni ne font allusion à l'ablution que suppose le titre des
prières. Ni Barberini ni Bessarion ne contiennent des rubriques
à propos de cette ablution. L'Euchologe imprimé, au contraire,
est prolixe sur le sujet.
Ici finissent les rites baptismaux pour Barberini. Dans Bes-
sarion et dans les euchologes imprimés suit une prière pour la
tonsure de l'enfant, qui se retrouve dans Barberini beaucoup plus
loin et sans aucun rapport avec le baptême, d'autant plus qu'elle
est accompagnée de deux autres prières de tonsure d'enfant et
de coupe de barbe '". Bessario/1 et les euchologes imprimés ne
concordent avec Barberini que pour la première prière, mais à
celle-ci ils ajoutent encore une prière de kephaloklisia où l'on
parle de la piscine baptismale, établissant ainsi un rapport entre
la tonsure et le baptême. Nous pensons que ce rapprochement
de la tonsure avec les rites d'ablution après le baptême ne doit
pas être très ancien, puisque Barberini l'ignore.

3. - L'ONCTION DES EMPEREURS

Il ne nous est pas possible de conclure cette section de notre


travail sans une rapide allusion à cette onction des empereurs
que des liturgistes récents russes, comme K. Nikol'sky", consi-
dèrent comme un degré supérieur du sacrement de l'onction,
conféré à celui qui doit être à la tête du peuple chrétien, mais
que Goar" (à tort, selon nous) pense n'être qu'une imitation des
Latins, provoquée par l'onction de Charlemagne par le Pape
Léon III en l'an 800.
C'est un fait que l'ancien Euchologe ", bien avant l'onction
de Charlemagne, prévoit un rite de désignation (procheirisis)
mais qui est le couronnement du basileus. Ce rite consiste en
deux prières (dont la seconde de kephaloklisia) prononcées par

90 Barberini 409, Bessarion 60v, GOAR 306, Eu. Ath. 106, Eu. Rom. 160, MERCENIER
353. Mais Bessarion 133r et Coislin 41v (qui ne possède pas le baptême) ont encore
une prière commune pour la coupe de la barbe ou des cheveux.
91 K. NIKOL'SKY, Pos6bie k iz.uc1léniu Ustava bogosluzhénia Pravosldl'nni
Tsérkvi, S.-Pétersbourg 1907, 686 ...
92 COAR 729.
93 Barberini 357, Coislin 36r, Bessarion 122r, GOAR 726.
INCORPORI\TION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 67

le patriarche sur l'empereur, devant l'autel, selon Barberini, ou


sur l'ambon, selon Bessarion.
Après la première prière le patriarche prend la chlamide et
le sceptre qui se trouvaient sur l'autel (ou sur un antimension
ou tetrapode) et les donne aux vestitores qui les imposent au
basileus. Suit la prière de kephaloklisia après laquelle le patriar-
che met la couronne sur la tête de l'empereur. Nulle notice parmi
les rubriques à propos d'une quelconque onction, à laquelle on
fait cependant une vague allusion dans la première prière, en
établissant un parallèle entre l'onction du roi David et celle de
l'empereur - avec l'huile d'allégresse - comme manifestation
de leur mission d'être à la tête du peuple élu, dans le premier
cas, et de la race sainte acquise par le sang du Christ, dans le
second.
A l'époque des Paléologues, l'onction des empereurs byzan-
tins est bien explicitée. Lethaby" nous rapporte deux descrip-
tions complètes du rite. Le couronnement a lieu avant le trisagion
de la messe; l'onction avec le saint myron suit la prière de ke-
phaloklisia et précède l'imposition de la couronne. Le patriarche
ne prononce pas la formule de l'onction des baptisés, mais
seulement l'exclamation Hagios, reprise par le choeur et par le
peuple. Suit le trisagion. Le rite a déjà été modifié par rapport
à l'ancien Euchologe qui ne prévoyait pas la célébration de
l'eucharistie mais uniquement celle des Présanctifiés. Syméon
de Thessalonique, dans le De Sacro Templo" concorde avec cette
dernière description (même s'il situe l'onction après la première
prière) et explique encore pourquoi l'empereur est oint avec le
saint myron: seule la tête est ointe, et ceci en forme de croix,
car c'est le Christ qui oint; le patriarche prononce le Hagios
pour indiquer qu'avec une chose sainte est sanctifié celui qui
sera le basileus des sanctifiés. L'explication de Syméon nous
confirme que vers la fin de l'Empire les Byzantins n'avaient pas
encore établi de rapport entre cette onction royale et l'onction
qui suit le baptême.
Le pas décisif semble avoir été fait par les Russes. L'onction
se fait avec la formule sacramentelle: Sceau du don du Saint-

9~ D.c. (cf. note 22), 61. Cr. aussi le commentaire de J. GRETSERUS, Geargius
Codinus Curupalates. De a/ficUs et officiatibus magnae ecclesiae constantinopo-
litanae, Pari!'; 1625, 267 ...
95 PG 155, chapitre 146, 353.
68 MIGUEL ARR4NZ

Esprit et l'empereur est oint, comme après le baptême, sur


les différentes parties du corps: front, yeux, narines, bouche,
oreilles, poitrine et mains (paume et dos). L'épouse du tsar n'est
ointe que sur le front, mais avec la formule sacramentelle aussi.

II. - LA RÉCONCILIATION ET LA RÉADMISSION

L'Euchologe ancien ne possédait pas d'ak%uthia (ordo suivi)


pour la pénitence, de même qu'il ne contenait pas d'ak%uthia
complète pour l'onction des malades. Seules deux prières, parmi
d'autres à caractère plus au moins pénitentiel, semblent se rap-
porter à ce que nous appellerions aujourd'hui le sacrement de
la pénitence: la prière des pénitents et la prière pour ceux qui
se confessent. Goar, après avoir rapporté ces prières 96 et
après avoir remarqué qu'aucune d'elles ne contient une formule
d'absolution (de type latin), tente de justifier la légitimité de la
praxis grecque contre ceux qui pouvaient se scandaliser " quasi
nuIlum foret apud Graecos Poenitentiae Sacramentum ".
Mais on sait qu'à côté des prières de l'Euchologe ont existé,
depuis le X' ou XI" siècle, des livrets contenant des ak%uthiai
complètes de confession à l'usage des moines ou des pieux laïcs,
dont la plus célèbre est celle attribuée à Jean Nisteutîs, patriar-
che de Constantinople et publiée dans Migne ". Goar nous
transcrit deux de ces ak%uthiai privées '". L'Euchologe d'Athènes
nous donne quelques-unes des prières isolées de l'ancien Eucho-
loge, après une ak%uthia de ceux qui se confessent, de type
privé et qui contient la prière des pénitents comme prière d'intro-
duction à la confession 99. L'Euchologe de Rome contient une
ak%uthia fort remaniée par la Congrégation pour la correction

96 GOAR 536, 537; cf. aussi: absolution d'excommunication (aphorismos):


GOAR 531, 532, Eu. Ath. 515, 516; absolution des peines (epitimiai): GoAR 531, Bes-
sarion 129r, Coislin 116\', Ell. Ath. 165: absolution de pénitence (kanôn): GoAR
533, Eu. Ath. 516; prière pour ceux qui sont sous peine canonique: GoAR 528,
Eu. Ath. 169; prières absolutoires pour toute censure et excommunication d'un
défunt: GOAR 545, Eu. Ath. 167. Barberil1i ne possède pas ces prières, mais à
la prière de la confession font suite cinq prières de caractère plus médicinal
que canonique. Cf. note 11 pOUl" cc qui est de la bibliographie existant sur la
pénitence byzantine. Cf. aussi F.v.d. PAVERD, La pénitence dam le rite byzal1tilz,
dans Questiol1s Liturgiques 3 (1973) 191-203.
97 PG 88, 1919.
98 GOAR 540, 541.
99 Eu. Ath. 166, 163.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 69

des livres grecs; c'est celle rapportée par Mercenier 100. Pour
toute la question historique nous renvoyons le lecteur au travail
de P. De Meester 10] qui naturellement se rapporte au Commen-
taire Historique du Sacrement de la Pénitence de Jean Morin 10'.
Si nous revenons maintenant aux deux prières de l'ancien
Euchologe, celle des pénitents et celle de ceux qui se confessent,
nous constatons que la première 103 est une prière de réconci-
liation plus que de pardon et encore moins d'absolution; après
avoir évoqué le pardon accordé à David et l'acceptation de la
prière de Manassé, on passe à une double supplication:
reçois aussi... tO/1 serviteur N.
qui se repent des péchés qu'il a commis,
en détournant les yeux de tOltt ce qu'il a fait ...

Il s'agit probablement d'une prière pour recevoir dans l'église


un pécheur public qui avait fini son temps d'exclusion de l'eucha-
ristie. L'Euchologe ne fait pas mention cependant du rite par
lequel un tel pécheur était exclu de la communion.
La seconde prière 104, la seule prière de l'Euchologe, rappe-
lons-le, qui prévoit la confession des péchés, a disparu de l'Eu-
chologe d'Athènes, remplacée par d'autres prières provenant sans
doute des rituels monastiques: c'est la prière sur les «confes-
sants» (exontologoumenoi). Après une allusion au pardon ac-
cordé à Pierre et à la pécheresse à cause de leurs larmes, et au
publicain, en raison de la reconnaissance de ses propres fautes,
on fait ici aussi une double demande:
reçois aussi la confession de t011 serviteur N.
et s'il lui est arrivé de commettre quelque péché
volontaire OH involontaire,
en parole, ou en action, ou en pensée
pardonne-les lui dans ta bonté,
car Toi seul as le pouvoir de remettre les péchés ...

100 Eu. Rom. 205, MERCENLER 359; cf. MERCEN'lER 364: fommlaire slave du métro-
polite Pierre Mogila. Les delLx formulaires de Mercenier, le grec et le slave,
contielment des formules d'absolution très proches de la formule latine: Ego
te absolvo, formule inexistante dans les mss grecs et dans les imprimés grecs
orthodoxes.
101 D.c. (note 4), 139.
102 J. MORI~'US, Commcl1tarius Historicus de Sacramento Poenitentiae, Ve-
nise 1702.
103 Barberini 400, Coislin 116r, Bessarion BIr (cf. aussi Leningrad 226, 116 v ),
GO.-\R 536, Eu. Ath. l66, Eu. Rom. 206, MERCENIER 361, 364.
HW Barberini 402, Coislil1 115r, Bessarion 13Ir (Leningr. 226, 116v), Go.I\.R 537,
Eu. Rom. 207, MERCENIER 362. Manque Eu. Ath. et formul2ire slave.
70 MIGUEL ARRANZ

Il est sûr que devant une telle sobriété de procédure pour la


réconciliation des pécheurs, les rituels plus prolixes de type mo-
nastique devaient avoir grand succès auprès des pieux laïcs
cherchant un apaisement de conscience, surtout s'ils avaient re-
cours à des moines.
La réconciliation des hérétiques cependant et celle des apos-
tats nous permettent un approfondissement de la théologie de
l'Eglise et de leur incorporation à celle-ci.

1. - L'ADMISSION DES HÉRÉTIQUES

Nous avons déjà fait allusion, à propos du catéchuménat,


au traité ou exposition sur l'admission des hérétiques dans J'Egli-
se 105 et nous avons aussi dit que cette instruction manque dans
l'Euchologe imprimé, remplacée par le 7' canon du Concile de
Constantinople de 381, parmi d'autres canons des Conciles et
des Pères se rapportant au baptême. Nous avions pris en con-
sidération la seconde catégorie d'hérétiques considérée par le 7'
canon de Constantinople, et troisième catégorie de l'ancien Eu-
chologe: les hérétiques qui, baptisés d'un baptême non trini-
taire, devaient recevoir de nouveau le baptême (anabaptizein).
A la première catégorie d'hérétiques appartenaient ceux qui
niaient la divinité d'une des personnes de la Trinité: Ariens et
Macédoniens en premier lieu, mais aussi les Sabbatiens, les
Navatiens ou « Cathares », les «Quatorziens» ou Tetradites et
les Apollinaristes; ceUX-Cl, selon la tradition devaient:
* remettre un libellwn d'anathème de leur propre hérésie et de
toute autre hérésie;
... jeûner 10 ou 15 jours, s'adonnant à la prière matin et après-midi;
;, étudier des psaumes et le Credo comme les catéchumènes;
* devant la piscine baptismale réciter, à la suite du prêtre, la for-
mule de renonciation à l'ancienne foi ct de profession de foi
trinitaire. Barberini et Coislin prévoient que ce sera au parrain
de répondre, si le candidat ne sait pas parJer. Coislin ajoute la
récitation du Credo;
'Ir prière du prêtre sur le converti incliné 106:

reçois ton serviteur N. qui retourne de l'erreur ...


rends-le digl'le du sceau du saillt myrol1
et de la participation à ton Corps ... et il ton Sang ...

105 Cf. page 48 ct note 47.


100 Barberini 282, Coislin 122r, Bessarion 94\', GOAR 695.
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 71

suit l'onction avec le myron comme pour les nouveaux baptisés


-1<

et avec la même formule;


* nouvelle prière:
Seigneur ... qui as daigné rendre parfait ton serviteur
au moyen de la foi correcte (orthodoxe) en toi
et du sceau de ton saint myron ...
* communion (sans liturgie?); il reçoit l'ordre de ne pas manger
de viande sept jours de suite, ni de se laver la figure (opsis),
et d'accomplir tout ce que font les baptisés; le huitième jour
il prend congé.

La deuxième catégorie d'hérétiques n'avait pas été prévue par


le 7' canon de Constantinople: Nestoriens et Eutychiens, aux-
quels Coislin ajoute: ApoIlinaristes (sic), Jacobites, Théodotiens,
GaÏanistes et Julianistes. Les prescriptions de l'Euchologe à leur
égard sont assez mitigées 107:

* libellum;
* anathème de Nestorius, Eutychès et Dioscore (Barberini ajoute
Sévère; Coislin ajoute encore Théodore de Mopsueste et Paul
de Samosate, mais omet Nestorius);
* réception de la communion sans aucune autre rubrique.

2. - LES RENÉGATS

Nous avons déjà signalé la Diata.xis du Patriarche Méthode


(t 847) sur les différentes catégories de ceux qui retournent (à
la foi après négation) 10'. Ce document n'existe pas encore dans
Barberini. Il en existe plusieurs versions, les unes plus sévères,
les autres moins. La version la plus ancienne semble être celle de
Bessarion et de Cois/in, rapportée aussi par l'Euchologe de Rome
et par Goar, en note 10'. La version de l'Euchologe d'Athènes dé-
pend de deux manuscrits du XV' et du XVI" siècles; c'est celle
rapportée par Goal' en premier lieu 110. On peut trouver d'autres
versions dans la note de Goar. Dans le titre du document il y a
aussi divergence: Diataxis du très saint Patriarche Méthode pour
ceux ... qui retournent, selon Bessarion; De Méthode patriarche
de Constantinople sur ceux qui du reniement ... retournent à la
foi orthodoxe, selon l'Euchologe d'Athènes.

107 Barberini 285. Coi.~lin 123r, Bessarion 95", GO..I,R 695.


108 Cf. page 50 et 5S.
109 Coislin- 132r, Bessariorl 104\', Eu_ Rom. 473, GoAR 692 (note).
110 Etl. Ath. 448 selon Vatopedi 12 (XV~ s.) ct 985 (XVIe s.), GoAR 689.
72 -=M~I~G~ùn~L~ARRA~~N~Z~______________

Les documents prévoient trois cas de personnes qui ont


renié (la foi):
1. des enfants qui ont été capturés et qui ont renié par peur,
par ignorance ou par manque d'instruction:
* pendant sept jours, on dira sur eux les prières propitiatoires
(hilastikai) Ill;
-1< le 8" jour l'enfant est lavé (lollestho);

* en sortant du bain (foutroI1) il sera oint avec le saint myron cam·


me les baptisés;
* il portera des vêtements blancs comme les baptisés.

Pour cette catégorie, il n'y a pas de différence entre l'ancien-


ne version et la nouvelle. De même qu'il n'yen a pas non plus
pour la catégorie suivante.
2. A la deuxième catégorie appartiennent des jeunes et des
personnes de tous âges qui ont renié dans les tourments. Avec
eux on usera de bénignité (philanthropia):
* jeûneront dClL, quarantaines (80 jours de suite ou bien deux
Carêmes successifs? Cela équivaudrait à une année plus un Ca-
rême d'attente) s'adonnant à la prière et aux prostrations (go-
nyklisiai) ;
* prières propitiatoires pendant huit jours et récitation de 100 Ky-
rie eleîson par jour:
* lavement et onction avec le. myron;
* on célébrera la liturgie et ils recevront la communion;
* pendant huit jours ils fréquenteront l'église et assisteront à la
liturgie comme les baptisés.

III Les prières propitiatoires suivent la Diataxis. La version d'Athènes - qui


est celle de Goar (689·692) - présente quatre prières suivies d'une prière de
kephaloklisia et du rite de l'onction suivie d'une autre prière de keplla-
loklisia (448-452), le tout précédé d'un titre général: prières propitiatoires
pour ceux qui retournent .. L'Euchologt: de Rome suit Bessarion et Coislin pour
les quatre premières prières (qui coïncident avec ceIlt:s de l'Euchologc d'Athè-
nes): le prière, prière de prvpitiation pour ceux qui retoul"ne11f ... (Coislin 133r, Bes-
sa1'ÎOIt 1051', Eu. Rom. 473); II6 pr.: prière eH propiliatioll après les Ps 50, 37
et 102 (Coislin 134r, BessarioH 106\', Eu. Rom. 475); Ille pr.: prière pour les
cllrétiem qui se 50llt soumis à l'erreur païelme el qui revi.ennent à l'églL<;e ...
(Coisliu 134\", Bessarion 1071', Eu. Rom. 475): IVe pr.: prière pour tm enfant
apostat... (Coislin 135r, Bessarion 107\', Eu. Rom. 476). La v e prière est celle
déjà présentée (note 61) comme prière pour faire catéchumène un païen: Bes-
sarion 108"', Eu. Rom. 477; (CoislÎn 136\·, après la 2~ prière de kephaloklisia;
GoAR 283). Avec cette Vc prière finit la série des prières propitiatoires dans
Bessarion. La le prière de keplwloklisia est commune à Coislin (136r), Eu. Ath.
(452) et Eu. Rom. (477). Avec cette kephalokli.'iia finit la série romaine. Dans
CoislÎn (136 r ) et Eu. Ath. (452): onction avec le saint m\"l"Oll, suivie d'une 2e
prière de kephaloklÎsia. -
INCORPORATION-RÉADMISSION DANS L'EGLISE BYZ. 73

3. La troisième catégorie est celle de ceux qui ont reme de


leur propre initiative. Ici les documents présentent des diver·
gences notables:
A) Pour l'ancien Euchologe, de tels convertis doivent rece·
voir une pénitence terrible (kanôn 'oberas), mais avec compas·
sion (sympatheia):
"" ils jeûneront deux ans, s'abstenant de viande, laitages, oeufs et vin;
"" s'ils sont bien portants, ils feront 100 prostrations par jour et
diront 200 Kyrie eleîson; s'ils sont faibles, ils feront ce qui leur
sera possible;
* prières propitiatoires pendant huit jours;
* le reste, comme plus haut (onction chrismale et communion).

N. B.: une variante de Barberini 329 (ancien 88), rapportée par


Goar (693): le jeûne consistera en pain ct eau.

B) L'Euchologe d'Athènes prévoit une discipline bien plus


radicale (fondée sur le canon 73 de Saint Basile) pour le renégat
volontaire: privation de la communion jusqu'à l'heure de la mort.
Aux prières propitiatoires s'ajoutent, dans Coislin et dans
l'Euchologe d'Athènes"', l'onction avec le saint myron, ac·
compagnée de la formule sacramentelle, et une prière de ke·
phaloklisia:
Seigneur ... qui par la mission du Saint-Esprit
as rempli de grâce tes disciples,
conserve dans la sainteté (hagiasmos)
ce servitetlr que tu as rappelé de la voie de l'erreur ...
et que tu as rendu digne de la bonne odeur de ton
Saint-Esprit par l'011ctioH de ce myrol1,
accorde-lui de marcller selon ta l'olonté
et fais-lui la grâce de jouir avec nous de tes
redoutables mystères,
conservant tOlljollrs une droite foi en toi ...

Le thème dominant de cette prière n'est plus la descente


de l'Esprit dans le Jourdain, mais bien celui de la Pentecôte
et de la persévérance, ce qui pour un apostat n'était point su-
perflu. Mais nous sommes plus près de la confirmation romaine
que de l'onction baptismale byzantine.

112 Cf. note précédente.


74 MIGUEL ARRANZ
- - - - -------------

CONCLUSION

A la fin de notre exposé, qui ne prétend pas avoir


épuisé la matière même pour ce qui est des manuscrits par
nous considérés, et qui - même s'ils ont une valeur représen-
tative certaine, par leur lieu d'origine et par j'éventail de temps
qu'ils embrassent, - restent tout de même une goutte d'eau
dans l'immensité de la mer des euchologes connus et inconnus,
nous voudrions proposer quelques considérations de caractère
général.
La première chose il remarquer est la grande bénignité et
tolérance de l'Église b:>,zantine d'avant l'iconoclasme; on ne re-
baptisait pas les Ariens ni les Macédoniens, qui pourtant niaient
la divinité d'une ou de deux personnes de la Trinité, et on rece-
vait les Nestoriens et Monoph:>,sites sans leur imposer autre
chose qu'une rétractation de leur erreur. Mais parler de bénignité
et de tolérance n'est pas tout il fait exact; il s'agissait plutôt de
la conscience de la grandeur du baptême reçu, même par des
hérétiques à la foi christologique bien médiocre. L'incorporation
d'une personne au Christ, même dans des conditions canoniques
douteuses, était bien au-dessus des limites de l'appartenance à
une communauté, légitime ou non. Quand plus tard au cours des
siècles, catholiques et orthodoxes, d'un commun accord, com-
menceront à se rebaptiser les-uns les-autres, il faudra dire que
nous serons bien loin de la philal1thropia évangélique de l'ancien-
ne Église, mais aussi de la conscience théologique de la valeur
définitive du baptême et de l'incorporation de l'homme au Christ.
Ceci restera valable à l'époque suivante, avant la chute de
Constantinople en 1204, quand l'iconoclasme d'abord et surtout
les guerres aux portes de Constantinople pousseront nombre de
chrétiens à l'apostasie et la réaction de l'Église sera d'autodé-
fense et de durcissement canonique. Devant l'absence d'un sacre-
ment' de pénitence bien établi, ce sera l'onction chrismale, le
sceau du don du Saint-Esprit, qui sera l'ancre de salut pour la
réconciliation des renégats. Peut-on établir cependant un rap-
port théologique entre les Ariens et Macédoniens, d'une part, et
les renégats de tous âges, de l'autre?
Si le baptême des Ariens et des Macédoniens n'était pas
répété et que la chrislnation l'était, c'était parce que le premier
avait incorporé les hérétiques au Christ, tandis que l'effusion du
INCORPORATION·RÉADMISSION DA~S L'EGLISE BYZ. 75
---

Saint-Esprit, qui est l'Esprit de Dieu, n'avait pas pu avoir lieu,


faute d'une foi dans la divinité du Fils et de l'Esprit. C'est une
interprétation hypothétique, mais qui seule explique pourquoi
les Nestoriens et les Monophysites étaient admis sans chris ma-
tion. Ceci posé, quel sens pouvait avoir la répétition de la
chrismation pour des fidèles qui avaient reçu en leur temps une
effusion du Saint-Esprit dans le sein de l'Église Orthodoxe? On
pourrait dire que lors de leur reniement ils avaient perdu l'habi-
tation du Saint-Esprit, mais nous devrions admettre qu'ils avaient
perdu, aussi bien, la grâce du baptême, et que logiquement ils
auraient dû être aussi rebaptisés, et non seulement confirmés
à nOuveau.
Nous avions présupposé dans le titre de notre étude qu'il
avait existé un développement des rites de l'initiation chrétienne
chez les Byzantins. L'étude des documents nous a confirmé dans
cette conviction. Nous pourrions passer outre et nous demander
s'il n'était pas possible qu'en même temps que les rites, n'eftt
changé aussi le sens théologique des rites. Ainsi nous irions dans
le sens d'une onction-effusion de l'Esprit post-baptismale, deve-
nue plus tard le symbole de la pleine participation à l'Église
pour des chrétiens qui s'étaient écartés d'elle et, encore plus tard,
le signe d'une royauté consacrée à la tête des Chrétiens dans
la personne de César.
A la XVI" Semaine Liturgique de Saint-Serge, un conféren-
cier connu, le P. Jean Daniélou 113, décrivait les rites d'initiation
selon Grégoire de Nysse, et donc à l'intérieur de l'Église de Cap-
padoce et probablement aussi de sa fille illustre, l'Eglise de
Byzance: l'onction pré-baptismale semble avoir été la seule onc-
tion existante. A quel moment est donc apparue l'onction post-
baptismale dans la tradition byzantine?
Nous finissons notre travail par cette grande question:
Quelle est l'origine et le sens précis du sacrement de confirma-
tion chez les Byzantins? L'Esprit de Dieu, qui souffle où il veut,
échappe à toute analyse et surtout à toute synthèse. L'Eglise se
doit de l'écouter sans prétendre à l'investigation de ses voies.

Miguel ARRANZ, S. J.

113 Onction et baptême chez Grégoire de Nysse (= Le Saint·Esprit dan') la


Liturgie, Bibliotheca " Ephemerides Liturgicae », "Stlbsidia» 8) Rome 1977, 65·70.
« ET ELEUATIS OCULIS IN CAELUM n
ÉTUDE SUR LES RÉCITS LITURGIQUES DE LA DERNIÈRE CI:NE

La tradition romaine, depuis la fin du VI' siècle jusqu'à la


réforme de Vatican II, a comme prière eucharistique un texte
qui n'a pour ainsi dire pas varié. Il contient pourtant un détail
qui aurait mérité notre attention. Il mentionne un geste de
Jésus qui n'est attesté par aucun récit biblique: après avoir pris
le pain, Jésus lève les yeux au ciel. Puisque ce geste n'est attesté
par aucune source historique, quelle est san origine? Est-ce une
tradition orale qui s'est conservée dans l'ensemble des récits
liturgiques? Est-ce un simple détail de mise en scène imaginé
pour rendre un récit plus vivant '? Voyons tout d'abord la teneur
de ce récit 2.

La veille de sa passion,
il prit du pain
dans ses mains saintes et vénérables,
et ayant levé les yeux au ciel
vers toi, Dieu, son Père tout puissant.
te rendant grâces,
il le bénit,
le rompit
et le donna à ses disciples en disant:
Prenez et mangez-en tous,
car ceci est mon corps.
De même après le repas,
il prit aussi ce précieux calice
dans ses mains saintes et vénérables,
et te rendant grâces encore,
il le bénit
et le donna à ses disciples en disant:
Prenez et buvez·en tous,
car ceci est le calice de mon sang,

IOn consultera avec intérêt H. L. Snt-l..CK - P. BILLERBECK, Kommentar zum


Neuen Testament aw; Talmud und Jl-lidrasc1l. IV.2: exkurse zu eil1zelnen Stellen
des Neuen Testamellt. Munich 1928., Exkurs 24: Ein altjüdisches Gastmahl,
p. 611-639.
2 B. BOTTE, ,Le canon de la messe romaine, Louvain 1935, p. 38-40. B. BOT'IE-
C. MOHRMANN, L'ordinaire de la messe, Paris-Louvain 1953, p. 80-81.
78 BERNARD BOTTE

le sang de la nouvelle ct éternelle alliance


- le mystère de la foi -
qui sera répandu pour vous et pour beaucoup
en rémission des pêchés.

Tel est donc le texte qui figure au canon romain depuis


saint Grégoire au VI' siècle. Mais la mention des yeux levés et
de la fraction du pain est déjà entrée dans l'usage dès la fin du
IV' siècle, au témoignage du De Sacrame"tis de saint Ambroise '.
La liturgie latine sera désormais fidèle à cette tradition '. Il n'en
est pas de même des liturgies orientales. Certes le thème des
yeux levés s'est largement répandu dans toute l'Église. Mais à
part la liturgie des Constituliuns apostoliques (IV' siècle), il ne
semble attesté en Orient par aucun document très ancien '. Il n'y
a donc aucune raison de croire que nous sommes en présence
d'une antique tradition orale.
Il n'est d'ailleurs pas difficile de trouver l'origine de ce
thème. Il provient de la première multiplication des pains ra-
contée par les trois évangiles synoptiques '. Mais nous constatons
que la mention des yeux levés revient encore en saint Luc, au
début des béatitudes' et en deux endroits de l'évangile de saint
Jean: dans la prière qui précède la guérison de Lazare 8 et au
début de la prière sacerdotale 9. Il n'est pas téméraire de penser
que ce geste de lever les yeux au ciel est une attitude caractéristi-
que de la prière. Une autre influence des récits synoptiques du
miracle se retrouve dans les récits liturgiques de l'institution: la
fraction du pain. On notera cependant que ce dernier geste est
attesté dans les récits liturgiques indépendamment des yeux
levés '", parce que c'est un geste utilitaire indispensable pour la
distribution du pain.

3 Al\ŒROlSE DE MU_AN, De sacramel1tÎs IV,21-22, éd. B. BOTTE (SC 25 bis),


Paris 1961, p. 114-115.
~ Sur les récits liturgiques de l'institution, voir F. H,\Mt.I, Die liturgischen
EinsetZLlllgberichle (LOF 23), Münster in Westf. 1928. Pour la tradition occiden-
tale, voir la note 43 de cet ouvrage_
5 F. H.o\MM, op. cir., p. 55-58; énumération des témoins aux notes 68, 78,
79 et 80.
B Mt 14,19; Mc 6,41; Le 9,16: :X\lo:{3Àé'~o:ç dt; ":0\1 OÙOO:\lOv.
7 Le 6,20: È;:&:po:; .0'J; ,'U?&a::À!LOUÇ. '
8 In 11,41: '~PE:') .0Ûç ü~&a::À',Lf)Ù; &vw.
9 In 17,1: b-:-œoa:r; --ro,:'ç 0W&ct.À'LO'JÇ' ccù't'oü rd,. "':0'.1 oùFCCVOv.
10 F. HAl\1M, up. cit., p. 51-52:
« ET ÊLEliATIS OCULIS IN CAELUM » 79

Il y a donc un rapprochement entre la multiplication des


pains et l'eucharistie. Mais il y a aussi, dans les récits synoptiques
du miracle, un rapprochement avec la nourriture du peuple de
Dieu dans le désert. On insiste en effet sur deux détails: lm se
trouve dans un lieu désert et on emporte des paniers entiers de
fragments ".
Le développement va se poursuivre dans le IV· évangile.
L'Ancien Testament parlait du pain du ciel, du pain des anges ".
Saint Jean va opposer nettement l'eucharistie à la manne du
désert. La manne n'est pas le pain de vie, car ceux qui en ont
mangé sont morts. Ceux qui mangeront la chair du Christ ne
mourront pas. Ils ont la vie éternelle et le Christ les ressuscitera
au dernier jour 13.
Il nous faudra confronter la doctrine eucharistique de saint
Jean avec celle de saint Paul. Mais je voudrais tout d'abord
traiter de quelques problèmes mineurs pour ne plus devoir y
revenir.

Le premier est un faux problème qui a été posé non par


les liturgistes mais par les biblistes. On est parti d'un fait réel,
mais on l'a mal interprété et on en a tiré de fausses conclusions.
Il est exact que, dans la Bible, e:ÙXlXptcr't"8!V et e:ùÀoye:!v ne sont jamais
employés conjointement dans le même contexte immédiat. On
en a conclu qu'ils sont parfaitement synonymes et que les
employer ensemble, comme le font nos récits liturgiques (gratias
agens benedixit), est un non sens ou tout au moins un pléonasme.
Je demande pardon aux biblistes mais cela ne tient pas debout.
Notons tout d'abord que .ÔXG<P'''TeLV dans le Nouveau Tes·
tament n'est jamais transitif. Ille deviendra bientôt: saint Justin
emploiera le tour passif et parlera de l' èip't"oç eÙZlXpLcr,'C..t)6dc; 14. Mais
cet usage est étranger au Nouveau Testan1ent. Au contraire
e:ù).oyû'J est transitif, que son complément soit au datif (e:ùÀoyûv
T'li &Eiji) ou à l'accusatif (EÔÀOY"'v TOV &E6'1). L'emploi du passif
est régulier.

11 Cf. Mt 14,13.20: Mc 6.31.43: Le 9,12.17.


12 Ps 77,24-25.
13 Cf. III 6,31-40.
14 JUSTIN,.1 Apol.
-rpoq)'~v.
80 BERNARD BOTTE

Reprenons maintenant le début du canon romain. Il est


évident pour tout latiniste que nous avons une phrase dans la-
quelle quatre verbes ont un seul ct même complément direct
(pa/tem) exprimé une seule fois: accepit panem... (tibi gratias
agel15) benedixit fregit dedit. Il est clair que bel1edixit ne peut
pas être synonyme de gratias agens qui a son propre complé-
ment (tibi).
Le fait est confirmé par plusieurs liturgies orientales qui
renforcent e:ôÀo~(J'(xç par un autre mot: &:y~&.(jIXC; 1;;. Les deux
termes sont des quasi-synonymes et ne diffèrent que par leur
intensité: «( ayant béni, ayant consacré», Mais personne dans
toute la tradition n'a jamais cru que .ùÀoyIJa",ç (bel1edicel1s)
était synonyme de .ùx"'p.a-r-lja",ç (gratias agens). Il y a un rapport
intime entre les deux mots, mais ce n'est pas celui de la syno·
nymie. Cela signifie que lorsqu'on a rendu grâces sur une nourri-
ture, celle-ci est bénie, consacrée. On a d'ailleurs des textes
bibliques qui excluent toute équivoque. Ainsi Luc: "ils les
bénit », elJ",o"(lja5:v OCÙ't OUç 16, où le pranonl désigne les pains et les
poissons; <ùÀ6Y'la<v ne peut avoir là que le sens propre de bénir
et non pas être synonyme de rendre grâces. De même l'expression
de la lèce épître aux Corinthiens: "la coupe de bénédiction que
nous bénissons n'est-elle pas la communion au sang du Christ,
't'o 7tOTi}pLOV ... a e:UÀOYOÜ(.LEV» 17, Il y a aussi une confirmation d'or-
dre archéologique. Dans les représentations de la multiplication
des pains dans les monuments funéraires, on voit Jésus imposant
les mains sur les corbeilles ". Or l'imposition des mains est bien
le geste de bénédiction dans le judaïsme.
Il faudrait donc cesser de répéter qu'il y a une faute de
traduction dans le canon romain de la messe.

Un autre problème vient du fait que, dans certaines liturgies


orientales, le récit de l'institution mentionne non pas le lever
des yeux mais un geste d'ostension: non pas civ",(3Àé<jl<icç mais

15 F. HAMM, op. cit., p. 13 (Basile alexandrin), p. 16-17 (liturgie alexan-


drine), p. 21 (liturgie de Jérusalem), p. 25 OitUl'gie cappadocienne).
16 Le 9,16.
17 1 COI" 10 16
18 J. MICHI~LS~ La multiplication des pains dans la pensee c11rétienne pri-
mitive (mémoire dactylographié), Louvain 1952, p. 81-84.
« ET ELEUATIS OCULIS IN CAELUM » 81

&VlXaE(~IXÇ '".Or ce terme est caractéristique du texte de l'épiclèse


dans l'anaphore alexandrine de saint Basile '". Dans son état le
plus ancien, cette épiclèse se terminait de cette manière: ( (nous
demandons) que ton Esprit-Saint vienne ... sur ces dons présentés
el qu'il en fasse (&vIX8E'i:~IX') le saint des saints »; ce qui est une
manière de dire: qu'il les consacre. Cette construction de
&vlXaEtl<WI'-' est tout à fait classique ". Toutefois la formule
semble avoir été un peu obscure, car on a ajouté, sous l'influence
d'autres anaphores (Jacques grec et syriaque, Grégoire de Na-
zianze) une sorte de doublet explicatif: «et il fera que ce pain
devienne le corps, et la coupe le sang, du Christ ». C'est alors
sans doute qu'on a donné à &VlXaE'i:~IX' son sens plus habituel de
montrer en élevant. Et ce ne peut être par pure coïncidence que
ce même terme s'est introduit dans plusieurs récits de l'institu-
tion comme un geste d'ostension, remplaçant la mention du
lever des yeux 22.

Pour être complet, signalons encore deux autres gestes


mentionnés dans les récits liturgiques orientaux.
Le premier est le mélange de vin et d'eau: l<Epa.alXç ". Bien
qu'aucune source biblique ne le mentionne, le geste est histori-
quement certain. Toutes les sources de l'antiquité nous font
savoir qu'on ne buvait jamais de vin pur. On versait dans un
vase destiné au mélange, le cratère, du vin auquel on ajoutait
une quantité d'eau plus ou moins considérable.
Le second est, celui-là, plus discutable: en ayant goûté,
ye:uO'cXILE:VOç 2...

Revenons maintenant à la confrontation entre la doctrine


eucharistique de saint Paul et celle de saint Jean. Elles se com-
plètent admirablement.

19 F. HAi\e.·f, op. cit., p. 55-58.


20 Voir B. BOTTE, L'épiclèse dans les liturgies syriennes orientales, dans
Sacris erudiri 6, 1954, p. 48·72; en particulier les synopses des p. 54-55 et 59.
J. DORESSE - E. L-\~NF., Un témoin arc/laïque de la liturgie copte de S. Basile
(Bibliothèque du Muséon 47), Louvain 1960.
21 Le dictionnaire du grec classique de A. Bailly signale le sens de \11 con·
sacrer (un temple)>> chez PUJTARQVE, Pomp. 52.
22 Une seule anaphore juxtapose le. lever des yeux et le geste d'ostension:
l'anaphore grecque de Jacques. Voir F. H.-\).H.I, op. cit., p. 56.
23 F. HAMM, op. cil., p. 53-54.
24 F. HAMM, op. cil., p. 59.
82 BERNARD BOTTE

Qu'est la dernière Cène pour saint Paul? Elle a eu lieu


"dans la nuit où il fut livré» ". Mais ce n'est pas là simple
indication chronologique. Il y a une relation intime entre la
Cène et la Passion. C'est la Passion qui donne le sens de la Cène.
Jésus est venu pour offrir le sacrifice de la nouvelle et éternelle
alliance. L'épître aux Hébreux rapporte que" sans effusion de
sang il n'y a pas de rémission» 26. Le calice qu'il présente à ses
disciples, c'est le calice de son sang qui sera versé le lendemain
sur la croix.
Pour saint Paul, il y a un mot qui résume à la fois le sa-
crifice de la croix et la célébration eucharistique: c'est le mot
de mystère.
Il y a une dizaine d'années, j'ai consacré à l'expression
mysterium fidei un petit article" dont je reprends ici l'essentiel.
Les paroles mysteriUln fidei du récit de l'institution dans le
canon romain n'appartiennent pas au discours de Jésus. C'est
une acclamation, sans lien grammatical avec le contexte. Par qui
était prononcée cette acclamation est un autre problème sur
lequel nous reviendrons.
Ces mots sont une citation biblique de la 1'" épître à
Timothée: ,,(Les diacres) ... gardant le mystère de la foi dans
une conscience pure» '". Il faut donc leur donner le sens qu'ils
ont dans le texte original. On ne peut leur donner le sens indéfini:
un mystère de foi, mais: le mystère de la foi.
n faut donc partir du sens de mystère chez saint Paul.
On connaît le passage de l'épître aux Éphésiens où saint Paul
rappelle l'intelligence qu'il a reçue du mystère du Christ, " (my-
stère) qui n'a pas été connu des fils des hommes aux autres
générations, comme il a été révélé maintenant à ses saints apôtres
et prophètes en l'Esprit, (à savoir) que les nations ont le même
héritage, le même corps, la même promesse (que les enfants
d'Israël) »". Et il faut élargir encore la pensée de l'Apôtre en
rappelant ce qu'il disait plus haut: "tout récapituler dans le
Christ» JO. Le mystère du Christ n'est donc pas une vérité
25 1 Cor 1123
26 Heb 922' .
27 B. Bo~: Mysteriwn fidei, dans Bible et vie chrétienne 80, 1968, p. 29-34.
28! Tim 3,8-9: (.!.\~cty.6 ... otlç) , .. ~xoV't'ctç ,0 :1.uO't"~p~ov "':'T;Ç rr(O"'t'I::CJ.lç ev xct&o:pq.
O'lJve:~8'"1]0'e:~.
29 Cf. Eph 3,4.
30 Eph 1,10.
« ET ELEUATIS OCULIS IN CAELUM ~) 83
--~~----------=
abstraite; c'est un acte de Dieu résolu depuis toujours, mais
réalisé depuis peu de temps et révélé aux apôtres, c'est l'incar-
nation rédemptrice du Fils de Dieu. La pensée de saint Paul se
rapproche de celle de saint Jean: «Dieu a tant aimé le monde
qu'il a donné son Fils unique, afin que quiconque croit en lui
ait la vie éternelle» 31.
On connaît l'ancienne hymme conservée par la 1ère épître à
Timothée:
« Il est grand le mystère de la piété;
il a été manifesté dans la chair,
il a été justifié dans l'Esprit,
il a été vu par les anges,
il a été proclamé parmi les nations,
il a été cru dans le monde
il a été enlevé dans la gloire) 32.

Le texte parle du mystère de la piété, de la religion. Plus haut,


nous l'avons vu, il a été question du mystère de la foi que le diacre
doit garder avec une conscience pure". Ce mystère de la foi est
le même que le mystère de la piété. Pourquoi est-il rattaché au
diacre? Parce que le diacre est le ministre du calice. C'est la
tradition de l'Eglise universelle. L'évêque distribuait le pain,
le diacre présentait le calice. On peut donc se demander si cette
acclamation n'était pas dite par le diacre. C'est une simple
hypothèse, mais elle mérite une certaine considération.
Le sens de mysterium fidei dans le récit liturgique du canon
romain doit se déduire du contexte. Ces mots sont placés entre
"oui et aeterni testamenti et qui pro uobis et pro multis effun-
detur. Le mystère de la foi, c'est donc qu'il continue le mystère
de la passion rédemptrice. La célébration eucharistique est la
manière de rendre présent à toutes les générations le sacrifice
unique du Christ. C'est lui qui constitue l'Eglise. S'il y a une
région où il y a beaucoup de croyants, mais où ils ne se réunissent
pas pour célébrer la Cène, il n'y a pas d'Eglise. L'Église est le
corps du Christ, mais parce que nous sommes tous un seul
corps, nous qui comn1unions au méme pain.

31 ln 3,16.
32 1 Tim 3,16: orb "rT,ç EUaë~e:L(x'; !l.Ua-:~pLOY.
33 1 Tim 3,8-9 (voir note 28).
84 BERNARD BOTTE

Ainsi donc, comme je l'avais annoncé, la tradition chrétienne


nous a conservé un certain nombre d'éléments littéraires, ar-
chéologiques et liturgiques, qui jettent sur le mystère eucha-
ristique une lumière nouvelle. Il n'est pas difficile de voir dans
quel sens vont mes conclusions. Il nous faut prendre conscience
de la grandeur de ce mystère dans notre vie chrétienne et dans
notre action oecuménique.
Cependant, je surprendrai sans doute plus d'un d'entre
vous par la forme que je donnerai à cette conclusion, en disant
qu'il nous faut revenir à la doctrine de Vatican II.
Cela suppose qu'on s'en est écarté. Eh bien oui, il faut le
reconnaître. Au lendemain de la clôture du Concile, on a assisté
à un curieux retournement. On vivait depuis des siècles sous
une discipline rigide qui avait tout paralysé. Désormais cette
discipline n'existait plus et chacun allait faire ce qu'il lui plaisait.
On assista alors à une surenchère d'initiatives et d'innovations,
qui n'avaient rien à voir avec le Concile.
Il y a trois ans, je pris la liberté de demander respectueuse-
ment à nos évêques s'ils ne faisaient pas fausse route en adoptant
la méthode d'administrateurs prêts à donner des signatures,
plutôt que celle de chefs responsables prêts à défendre
courageusement leurs fidèles, dont beaucoup étaient victimes
de cette anarchie 34. Cela me valut la visite d'un vicaire général
qui me reprocha d'avoir jeté le discrédit sur tout l'épiscopat
catholique, parce que tous les évêques catholiques travaillent
de la même manière que nos évêques belges. Je lui ai répondu:
Monseigneur, s'il en est vraiment ainsi, il faut avoir le courage
de le dire, sinon ils ne changeront jamais. Je ne crois d'ailleurs
pas qu'il en soit ainsi: je connais des évêques qui ont pris leurs
responsabilités.
Notons tout d'abord qu'il n'y a pas un mot dans les décrets
de Vatican II qui justifie l'improvisation ou la libre composition
des prières liturgiques par n'importe quel célébrant. Toutes les
prières liturgiques doivent être composées par le Cons ilium, et
les Commissions nationales sont chargées de veiller à l'exactitude
des traductions dans les diverses langues. Cependant ces mêmes
Commissions sont autorisées à introduire des adaptations d'après

34 B. BOITE, La libre compositioll des. prières liturgiques, dans Questions


liturgiques 55, 1974, p. 211-215: 56, 1975, p. 60.
« ET ÊLEUATIS OCULIS IN CAELUM }) 85

les nécessités des lieux. Ainsi en Extrême-Orient, où la politesse


exige qu'on se couvre la tête pour s'adresser à Dieu, il faut évi-
demment s'écarter de l'usage romain.
Sur un autre point on a voulu tempérer la rigueur du rite
romain. On a prévu, à certains moments de la messe ou de la
célébration des sacrements, de courtes exhortations catéché-
tiques laissées à l'improvisation du célébrant, par exemple au
début de la messe, ou à la prière des fidèles. Mais jamais il ne
peut être question des prières liturgiques, surtout pas des prières
eucharistiques de la messe.
Si nous voulons maintenant définir positivement quelle a
été la volonté de Vatican II, nous dirons que le Concile n'a voulu
faire aucune innovation; mais il a tenu à rendre sa valeur et sa
pleine efficacité à la plus ancienne institution de l'Église: le
dimanche. Depuis l'époque apostolique, l'Église chrétienne a
choisi le dimanche, le jour du Seigneur, le jour de la Cène du
Seigneur, aiL""ov KUpLIXK6v 35. C'est la célébration de la Cène qui
a été le principe de la fécondité de l'Église.
Le premier devoir des apôtres était de prêcher la parole
de Dieu: « Allez, enseignez toutes les nations)} 36. Or nous savons
par le témoignage de saint Justin que la première partie de
l'assemblée dominicale était consacrée à la lecture de l'Ancien
et du Nouveau Testament 37. Témoignage confirmé par l'étude
de la littérature homilétique de l'antiquité. Des évêques comme
saint Ambroise et saint Augustin en Occident, comme saint
Cyrille de Jérusalem ou saint Jean Chrysostome en Orient, n'ont
rien fait d'autre que commenter la Bible. Le lectionnaire en
usage aujourd'hui dans le rite romain n'a pas été rédigé par les
Pères du Concile, mais c'est eux qui ont émis le principe de
l'enrichissement du lectionnaire. J'ai été frappé cette année par
les lectures des dimanches après Pâques. Les admirables visions
de l'Apocalypse, données comme première lecture, n'avaient pro-
bablement jamais été entendues de la plupart des fidèles.
Cependant le sens de la célébration eucharistique a besoin
d'être approfondi. La communion n'est pas un acte purement

:15 Voir W. RORDORF, Sabbat et dimanche dans l'~glise ancienne (Traditio


christiana 2), Neuchâtel 1972, p. 126.237.
36 Mt 28,19; Mc 16,15.
37 JUSTIN, 1 Apol. 67,3.
86 BERNARD BOTTE

individuel, un tête à tête entre l'homme et Dieu. La communion


est avant tout l'union de tous ensemble avec le Seigneur.
C'est pourquoi l'assemblée dominicale doit être aussi une
assemblée de charité. Je crois que notre peuple est naturelle-
ment généreux. Qu'une catastrophe se produise dans tel coin
du monde, les dons affluent rapidement. Pourtant, il a peut-être
une tendance au matérialisme, et la tentation de croire que,
le pain quotidien étant assuré, il n'y a plus de problème. En
vérité, les dons les plus appréciés aujourd'hui sont les dons
spirituels. De pauvres gens, en pays de mission et ailleurs,
aspirent à voir s'établir parmi eux des fondations contempla-
tives. On voit aussi un intérêt croissant pour la lecture de la
Bible et celle des Pères de l'Eglise. Ce sont de tels fruits qu'on
. attend de communautés eucharistiques authentiques, qui veulent
travailler à la fécondité de l'Eglise comme l'ont fait les premiè-
res communautés apostoliques.
Il ne faut pas demander à Vatican II des recettes pour atti-
rer les hommes à l'église, pOUf les intéresser, voire les amuser.
Le Concile reste fidèle à la tradition, qui demeure toujours la
même. Au V· siècle, le pape saint Léon répétait la même chose
dans la basilique de Saint-Pierre le jour de Noël: «Reconnais, ô
chrétien, ta dignité », Agnosce, 0 christiane, dignitate11'1 tuant 38,
Rendre au chrétien la conscience de sa dignité: membre du
corps du Christ, héritier avec lui du royaume de Dieu, animé
par l'Esprit d'adoption qui nous permet de dire à Dieu en toute
vérité: Notre Père, avec les pren1Îers apôtres et les générations
qui s'acheminent dans la joie vers le royaume de Dieu.

A.bbaye du Mont César


Louvain (Belgique)

Bernard BOTTE, O.S.B.

38 LÉON LE GR"-."l:D, Sermo X in Nat. Dom. (PL 54, c. 192-193).


GESTES ET PAROLES DE PRIÈRES DANS L'ANCIEN TESTAMENT

Mgr Kniazeff m'avait proposé comme sujet: gestes ou paroles


de prières dans l'Ancien Testament. Il avait fort bien vu que
parler de l'un et de l'autre dans la Bible dépasserait les di-
mensions de nos entretiens habituels de St Serge. Mais vous
savez que le titre définitif est « gestes et paroles ». Pour joindre
la prière privée à la prière collective, pour ne pas séparer le
dialogue personnel de l'homme avec son Dieu du culte où la
communauté implore ou loue son Dieu, il faut étudier cette
expression à la fois gestuelle et orale où c'est l'homme tout
entier qui cherche à s'exprimer devant et avec son Créateur. Sur
ce point la Bible n'a pas voulu rompre avec la pratique religieuse
de l'Ancien Orient et vous savez que la Bible a purifié en les
assimilant nombre des expressions des littératures religieuses où
elle a baigné. Elle a démythisé, pour reprendre la formule de
Paul VI à la Rencontre Assyriologique de Rome en 1975 (<< Les
prophètes ont pris une attitude démythifiante »).
M. J. Seux' ne note pas de gestes particuliers pour accompa-
gner les hymnes assyro-babyloniens, sinon l'accompagnement de
musique. Mais, déjà pour les prières pénitentielles, il remarque
qu'elles peuvent s'accompagner du dépôt d'une lettre à la divi-
nité. C'est surtout dans les prières con juratoires « à main levée»
que les gestes sont les plus fréquents. Le bras droit est levé
comme sur la stèle de Hammurapi. Tout élément magique est
absent sauf exception, remarque Seux (p. 26), mais accompa-
gnent ces prières « le balayage et l'aspersion du sol, l'installation
d'une table à offrandes et de brûle-parfums, d'offrandes alimen-
taires (miel, beurre, pain, dattes ... ), libation de bière et de vin,
prosternation et parfois onction de l'orant ». Le processus ma~
gique devient «central» dans certaines prières con juratoires
avec préparation d'eau lustrale et d'onguents, fabrication de figu·
rines à brûler car elles représentent la cause du mal, amulettes
(p. 28). Dans les prières du devin, l'élément prière (ikribu) de-
vient secondaire par rapport aux offrandes et aux techniques

1 Hymnés et Prières aux dieux de Babylonie et d'Assyrie, Paris 1976.


88 HENRI CAZELLES

divinatoires, comme l'examen de l'huile et l'extipiscine (examen


des entrailles de l'animal sacrifié). Toutefois les prières royales,
outre J'occasion qui les provoquait (comme le départ en cam-
pagne) s'accompagnaient d'un rituel, non seulement avec brûle-
parfums et libation de bière, mais impliquant la purification du
roi par l'eau: il se baignait (rimku); et même il pouvait y avoir
enterrement de la figurine du roi avant la fondation d'un tem·
pie (p. 49; cf. Gen. 35,4). Mais nous avons beaucoup d'autres
prières sans rituel connexe.
Le rituel égyptien est également abondant en gestes rituels
accompagnés de paroles. Ainsi, au matin, le prêtre vient dénouer
la corde et briser le sceau avec lesquels a été fermée la demeure
du dieu pendant la nuit. Il dit alors: "Le lien est rompu et le
sceau brisé pour franchir cette porte. Tout le mal qui était en
moi est mis de côté. Je viens et je t'apporte l'oeil d'Horus; l'oeil
d'Horus est à toi. Je suis Thot alors qu'il rangeait l'oeil ». Les
allusions mythiques sont évidentes et le symbolisme indiqué par
la parole. Mais est-ce une prière? Or le matin également il y
avait une prière pour J'éveil du dieu. Ainsi pour la déesse Re-
nenet: "Eveille-toi en paix, grande reine, éveille-toi en paix;
ton réveil est paisible ». Il était chanté. Par des "allons! »,
" venez! » l'officiant incitait les chantres et même la foule '. Si
les sages comme Ani invitent à la prière silencieuse car « la
maison de Dieu a les cris en horreur»', dans les fêtes, la danse
et le saut accompagnent les hymnes et il y a des processions 1
" Les choristes chantent, les excitateurs battent le rythme, on se
réjouit, on danse pour la déesse (Hathor). Ceux qui sont dans le
temple (Edfou) entrent en allégresse, ils poussent leur cri de
joie aussi haut que le ciel» lors de la fête, dite de la "Bonne
réunion» par Alliat, lorsque Hathor venait rendre visite à l'Horus
d'Edfou '. Parfois, dans sa prière, l'orant décrit tous les actes
rituels qu'il accomplit: "Je viens devant toi, Grand Dieu ... J'al-
lume pour toi le cierge pour faire la protection de ton trône ...
J'entoure d'un bandeau ta tête. Je te noue le voile et l'étoffe
blanche ... » '. Même l'intitulé normal des prières comme le ind-hl',
que l'on traduit par "Salut à toi », évoque un geste rituel:

2 S. MORE:\Z, La religion égJ'ptieIlI1C, p. 129s. Trad. fr. Paris 1962.


3 Ibid.) p. 144.
4 H. WILD, dans Les danses sacrées, Paris 1963, p. 63.
5 AU,roT, Le culte d'Horus à Edfou au temps des Ptolémées, Paris 1954, p. 637.
GESTES ET PAROLES DE PRIÈRES DANS L'A. T.
-----==-=:=--::'-'---
89

(~ saluer» ou même « toucher, frotter» le visage; ou j'w, (( louer


en élevant les mains»; S11 fi, baiser le sol, se prosterner devant
quelqu'un. Souvent le geste fait corps avec l'hymne. Au matin
on se tourne vers le soleil levant. le soir vers le couchant.
Si nous nous tournons vers le Nord, le royaume hittite
d'A'1aIOlie, nous trouvons la même association de paroles et de
gestes. Certes, dans de nombreux rituels, les paroles qui accom-
pagnent le geste sont plus impératives qu'implorantes, ainsi
dans deux rituels pour le couple royal, l'un publié par G. Szabo
et l'autre par H. Otten et W. Soucek. Dans ce dernier nous trou-
vons enchassées entre deux gestes une invocation qui est à peine
une prière. L'officiant parle: "J'ai enterré les figurines militaires
ct les coupes dans le sol. Les y ayant fixées, je dis: "0 Dieu
soleil et toi, dieu de l'orage! Voyez! Pour le roi, la reine et leurs
enfants en Hatti, j'ai enterré leurs maladies, leurs actes san-
glants, leurs maux, leurs terreurs. Cela ne doit plus advenir'
Que l'ennemi l'emporte! J'ai immolé une brebis, j'ai brisé le
gros pain, j'ai fait libation de vin et de boisson ... " ».
Mais nous avons mieux dans certaines prières, ainsi dans
celle du roi Muwatalli en un moment de détresse. Quand les
événements dépassent un homme et qu'il vient prier ses dieux,
il dresse deux tables couvertes d'un drap sur le toit, à ciel ouvert.
Il y a sur elles 35 gâteaux sacrificiels de froment avec miel et
huile,. un pot, une coupe et du vin. Tout étant prêt, le roi monte
sur le toit et fait les offrandes au dieu-soleil du ciel et il parle
ainsi: ,,0 dieu soleil du ciel, ô déesse solaire d'Arinna, ma Dame,
reine du pays de Hatti, ô vous autres dieux ( ... ). Ecoutez, ô
dieux, ma prière, moi votre prêtre et votre serviteur. Je parlerai
d'abord de vous, seigneurs dieux, de vos temples et de vos
statues, comment les dieux de Hatti sont à la fois honorés et
trompés. Puis, dans ma prière, je parlerai de mes propres affai-
res ... ». Nous avons la même association de prière et de gestes
d'offrandes dans la prière quotidienne au roi Telepinou, déifié
après sa mort con1me d'autres rois hittites.
Les petits pays de Syrie-Palestine qui dépendaient culturel-
lement et politiquement de ces grands foyers avaient naturelle-
ment des coutumes semblables, mais chacune avec son originalité
dépendant de facteurs ethniques et linguistiques divers. C'est le
cas des douze tribus d'Israël qui, après s'être unies les unes
aux autres, constituèrent un Etat à l'extrême fin du rr èmc mil-
90 HENRI CAZELLES
~---------------- .~~-----------------

lénaire et ont conservé dans la Bible certaines de leurs traditions


religieuses, tout en le faisant en obédience au Dieu d'Abraham.
Ces traditions connaissent le simple geste de prière sans
parole, ainsi quand, en Gen 24,52, le serviteur d'Abraham devant
le succès de sa mission se ({ prosterne devant le Seigneur» sans
parole. Quand Isaac fait 'tr à Yahvé pour sa femme stérile, il
n'est pas sûr que ce verbe difficile implique paroles ou gestes
bien qu'en J ud 13,8 on nous donne les paroles de Manué dans
un cas semblable. En tout cas le même serviteur prie avec
paroles sans se prosterner juste avant de rencontrer Rébecca
(24,12). Puis, après un court dialogue avec elle, en Gen 24,26,
il se penche et se prosterne en bénissant Dieu: (c Béni soit Yahvé,
Dieu de mon maître Abraham qui n'a pas ménagé sa bienveillance
et sa bonté à mon maître. Yahvé a guidé mes pas chez le frère
de mon maître »,
Ce rite est celui du serviteur devant son maître, du vassal
devant son suzerain. A Ugarit nous le voyons pratiqué par les
dieux inférieurs devant les dieux supérieurs quand ils ont une
demande à leur faire, en particulier au dieu suprême, El (cf.
U Reg 5,18: Naaman devant Ramman). Dans les lettres de Tell
el Amarna il est pratiqué, du moins par lettres, par les princes
de Canaan devant le Pharaon. Ils se prosternent même sept
fois par devant et sept fois par derrière et nous avons dans la
tombe de Horemheb à Memphis des vassaux syriens et lybiens
étendus devant le Pharaon sur le dos ou sur le ventre '. C'est la
proskynèsis grecquc, l'adoration. C'est l'attitude des frères devant
Joseph vizir en Gen 42,6, de ce même Joseph devant son père
Jacob (Gen 48,12). On a souvent remarqué qu'Abigaï!, puis
Bethsabée, épouses, se prosternent devant David, mais devant
Bethsabée reine-mère, c'est Salomon qui se prosterne. Enfin
Moïse restera prosterné devant Dieu 40 jours et 40 nuits (selon
Dt 9,18) et le Ps 95,6 invite le peuple à se prosterner devant le
Seigneur pour être béni {( en présence de Yahvé notre créateur»,
toutes les nations devront le faire (66,4; 72,11). C'est une recon-
naissance de la puissance de Dieu par le fidèle.
Ce même Psaume 95,6 (comme Est 3,2.5) mentionnait un
autre geste: l'agel1ouillen1eHt: kr' suivi parfois de «sur les

6 PRITCHARD (éd.), Ancie11l Near Eastern Piclures, Princeton 1954, n. 5.


GESTES ET PAROLES DE PRIÈRES DANS L'A. T. 91
-'------=-=

genoux» (Esd 9,5; J ud 7,5). De fait des reproductions égyptiennes


nous montrent des serviteurs non pas étendus mais comme se
traînant sur les genoux, le buste horizontal s'appuyant sur les
paumes, bras plié. C'est presque une posture accroupie' et elle
est utilisée pour des prières (1 Reg 8,54) et surtout comme mar-
que de soumission (Ps 22,30; 72,9; Is 45,23). Mais ce n'est pas la
position la plus habituelle et Elie semble y voir un geste assez
typique du culte de Baal (1 Reg 18,18).
On prie normalement debout (Gen ] 9,27 Abraham devant
Dieu qui lui rend visite; Deut 10,10 après quoi Dieu exauce
Moïse; Anne mère de Samuel en l Sam 1,26; Salomon dans une
prière silencieuse devant l'arche (1 Reg 3,15) de même que le
Pharaon se tenait devant la statue divine plus souvent debout
que prosterné. Le terme hébreu est 'âmad, souvent 'âmad liphney,
se tenir devant, souvent pour une prière d'intercession comme
en Jer 18,20. C'est l'équivalent d'une expression mésopotamienne,
nazâzu inapân. L'expression va s'employer de plus en plus pour les
prêtres et leur service permanent d'intercession pour le peuple
dans le sanctuaire. C'est une prière officielle et continue. Le
substantif dérivé m'md, qui désigna d'abord le service régulier
au palais, désignera dans la langue du livre des Chroniques le
service régulier des Lévites devant Dieu (1 Chr 23,28) avant de
devenir dans la Mishnah la réunion de prière. Mais on peut
baisser la tête parfois jusqu'à terre (qdd) préparant toujours
la prosternation (Ex 34,8; II Chr 20,18 ... ). Certains voient dans
le Ps 35,14 une inclination de tête non suivie de prosternation.
mais on peut comprendre « ma prière revenant dans mon sein»
comme une prière llluette et douloureuse.
La station debout peut être accompagnée de l'élévation des
mains comme en Mésopotamie et en Egypte. En Ps 63,5 c'est un
geste de jubilation: « Je veux te bénir en ma vie, à ton Nom
élever les mains ». Mais ce peut être un geste d'imploration que
Dieu, mécontent des fautes du peuple, se refuse à voir, ainsi en
1s 1,15: «Quand vous levez les mains je détourne les yeux; vous
avez beau multiplier les prières, moi, je n'écoute pas », On dit
alors plutôt « étendre les mains» (pd). Mais, lors de la grande
prière pour l'inauguration du Temple, l'auteur précise que Sa-
lomon « étendit les mains vers le ciel »; il est vrai que c'est un

7 H. LESETlŒ, Prosternement, dans: VlGOROUX, Dier. Bible V, 764.


92 HENRI CAZELLES

pour lutter contre un certain inlinanentisllle cananéen. Dans sa


grande prière de l'oblation du soir où Esdras va prononcer une
prière de pénitence pour les mariages mixtes (9,5), il tombe il
genoux et étend les mains vers le Seigneur, mais sans qu'on
précise qu'il les étend vers le ciel. Si la prière doit durer long-
temps il n'est pas exclu qu'on s'asseye. C'est le cas de David
après l'oracle de Nathan quand il répond par une action de gràce
(II Sam 7,18ss.) et c'est le cas des Israélites pleurant à Bêthel
après leur défaite devant les Benjaminites (Jud 20,26).
La prière individuelle peut s'accompagner du m01l1'ement des
lèvres, ce qui était arrivé à la mère de Samuel, mais le grand
prêtre l'avait cru prise de vin (1 Sam 1,13). Le tremblement
(sil) des lèvres du prophète Habaquq (3,16) n'est pas une prière,
mais il est possible, quoique non probable, que le murmure des
lèvres du juste parlant de sagesse dans le Ps 37,30 soit une
prière. En Ps 35,28 et 71,24, c'est certainement une prière de
louange. Le terme est curieux car il s'applique aussi bien au
grondement du lion sur sa proie (Is 31,4) qu'au gémissements
de la colombe (Is 38,14) et aux soupirs des hommes (Is 16,7; Jer
48,31), mais dans bien des cas c'est une simple méditation (Ps
63,7; 77,13 ... ; cf Jos 1,8). La Torah lue devenant prière, il se peut
que ce soit en réalité une lecture méditée avec articulation non
sonorisée. Beaucoup considèrent le livre des Esséniens, le Hagû,
comme un livre de ce genre.
Si nous passons à la prière publique, le murmure devient
chant. Le chant a toujours eu sa place dans la prière publique
d'Israël comme il l'avait dans l'ensemble du monde oriental. Ce
n'est pas ici le lieu d'en parler car il y faudrait plus d'un exposé
sur le chant avec ses modalités, son organisation, ses chanteurs
et chanteuses professionnels qui ne suppriment pas pour autant
la voix de la communauté. «La prière publique, dit le P. de
Vaux, prend naturellement une forme rythmée et chantée"".
Retenons seulement que, dans la ligne amorcée par le prophète
Osée en 14,2, le chant liturgique tend à supplanter les sacrifices
d'animaux dans le Livre des Chroniques. Sauf les cas douteux
exprimés par Isaïe: «ce peuple m'honore des lèvres mais son
coeur est loin de moi" (29,13), le chant exprime le mouvement
du coeur tandis que les sacrifices pouvaient apparaître comlne

ft Institl/tions II, Paris 1960, p. 350.


GESTES ET PAROLES DE PRIÈRES DANS L'A. T. 93

un paiement. La prière tôdah (Ps 100) qui accompagne le repas


de shelâmùim deviendra l'eucharistie.
La prière publique peut aussi être accompagnée de pmces-
sion s, les cortèges du Ps 118,27, rameaux en mains. Beaucoup
voient dans le Ps 132,8 après la prosternation du verset précédent,
l'indice de processions avec l'arche. Ceci a été contesté par
D. Hillers 9. «Lève-toi Seigneur de (ou vers) ton lieu de repos,
toi et l'arche de ta force» (cf II Chr 6,41-42). Ce serait une prière
pour obtenir le salut. Il reste probable qu'à la fête d'automne,
sous la monarchie, il y avait une procession où Yahvé dans l'arche
montait au milieu des acclamations (Ps 47,6; cf Mowinckel) com-
me il y avait procession à Babylone avec le dieu Marduk lors
de la fête du 1" de l'an, et comme il y en avait en Egypte lorsque
Hathor de Denderah allait trouver Horus d'Edfou au 1'" de l'an
d'automne. De même les cantiques des montées peuvent se
référer à la montée des Israélites de la Diaspora vers Jérusalem
pour les fêtes (Ps 122,4; cf Jer 31,6). Mais alors c'est plus un
pèlerinage qu'une procession.
Nous terminerons avec les pèlerinages israélites de l'Ancien
Testament. On en a beaucoup parlé ces temps derniers. Il y eu
un gros article de J. Henninger dans le Supplément au Diction-
naire de la Bible. Il y a eu un volume collectif des Sources
Orientales des éditions du Seuil (Paris 1960) avec la collaboration
de Maurice Vieyra pour Israël (77-87), il y a la note de J. Ryck-
mans sur les pèlerinages au temple de Mârib au Yemen (Symbolae
Bahl, p. 332s.), et le Centre d'Etudes d'Histoire des Religions de
Strasbourg a publié en 1973 un ouvrage collectif sur Les pèleri-
nages de l'antiquité biblique et classique à l'occident médiéval.
Le pèlerinage est centré sur le lieu sacré, «une sorte de pays
natal de chez soi, élevé à la deuxième puissance» pour reprendre
le mot de Van der Leeuw cité par F. Raphaël. C'est un acte de
piété qui peut être personnel ou collectif. C'est en fait un acte
de prière où l'homme tout entier se meut vers un lieu choisi par
la divinité. Au temps du Deutéronome cette élection se concentre
sur Jérusalem et la prière des Psaumes va s'y épanouir. A la
chute du Temple pèlerinages juifs et chrétiens continueront. Il
en restera cette orientation vers Jérusalem de la prière juive de
même que Mahomet changera l'orientation de la prière musul-

9 Catholic' Biblical Quarterly, 1968, 48-52.


94 HENRI CAZELLES

mane de Jérusalem vers la Kaaba au cours mênle de son existence.


Les abus des pèlerinages donneront lieu à des critiques acerbes
bien avant Erasme, et même avant l'épisode des vendeurs chassés
du Temple, car déjà la finale du Deutéro-Zacharie était dirigée
contre les" Cananéens» du Temple (14,21), mais pour ce pro-
phète l'Egypte et les autres nations allaient monter en pèlerinage
à Jérusalem célébrer la fête des Tentes, sans avoir à passer par
la consécration sacerdotale des marmites et des coupes d'asper-
sion. Nous ne traiterons pas ici de la théologie chrétienne des
pèlerinages après la ruine du Temple. Retenons pour finir que
la prière des Psaumes des Montées, et les liturgies psalmiques
d'entrée au Temple (Ps 15 et 23) scandaient ce geste de tout
l'homme et que ceux qui faisaient des voeux individuels comme
Paul venaient au lieu élu par Dieu pour les accomplir (Actes
18,18; 21,23-26). Mais on ne nous dit pas les paroles qui accompa-
gnèren t ce geste.

Henri CAZELLES
GESTES ET ACTES SYMBOLIQUES DU CHRIST
DANS LE IV· eVANGILE

De tout temps Jean a été salué comme le Théologien: ne


commence-t-il pas son Evangile par le vol impétueux de l'aigle
jusqu'au sein de la divinité où le Verbe, dès le principe, est
tourné vers le Père? Quoique mus par d'autres préoccupations
que les Pères de l'Eglise, les exégètes modernes n'en sont pas
moins unanimes à reconnaître le génie théologique de l'auteur
du IV· Evangile, mais sous cet accord apparent règne la plus
grande variété dans l'appréciation de sa doctrine '.
Pour prendre deux exemples dans l'exégèse allemande, Bult-
mann a justement mis en valeur la notion de révélation. Sur le
plan littéraire il distingue une source spéciale (Offenbarungsre-
den) où le Révélateur se présente par des formules en Ego eimi:
" Moi, je suis» (la Lumière, la Vie, la Vérité ... ). Du point de vue
théologique, il pratique une exégèse de type existential qui retient
essentiellement le fait de la révélation (le Dass) , mais élimine
pratiquement son contenu (le Was), " parce qu'il n'est pas possi-
ble de dire de Dieu qui il est, mais seulement qu'il est»'. De
l'affirmation du prologue: "Le Verbe s'est fait chair », Bultmann
retient avant tout le mot sarx. C'est par le simple homme Jésus
que nous vient le défi de la révélation; seule la foi peut en
surmonter le scandale. Renonçant à toutes les valeurs du monde
présent, le croyant s'ouvre à l'existence eschatologique en Dieu.
Disciple de Bultmann, Kasemann ne s'en sépare pas moins
radicalement de son Maitre. Dans le Prologue il souligne que le

1 Brève histoire de l'interprétation du Ive Evangile dans notre contribu-


tion à La tradition johannique: vol. 4 de l'Introduction à la Bible (nouv. éd.).
Nouveau TeSlamel1l, paru sous la direction de A. George et P. Grelot, Paris-
Tournai 1977, p. 97-113 (livre désormais désigné comme La tradition johannique),
Voir aussi J. GTBLET. «Dé\'eloppements de la théologie johannique", dans
L'Evangile de Jean. SOl/rces, rédaction, théologie (cité par la suite: L'Evangile
de Jean), Gembloux-Louvain 1977, p. 45-72.
2 R. BUJ.TM.I,.NS:, «Die Bcdeutung der neuerschlossenen mandaischen und
manichaischen Quellen für das Verstandnis des Johanncscvangeliums", dans
ZNW 24 (1925), p. 102s., 145s.: repris dans Exegerica, 1967, p. 57s., 103.
96 EOOU ARD CaTH ENET
-------------------------------
Logos est sujet de l'incarnation et met en valeur la procIanla-
tian du v. 14: «Nous avons vu sa gloire ». Le Ive Evangile est
à lire comme l'épiphanie du Verbe, à tel point gue le réalisme
de l'incarnation est compromis; Jean professerait un docétisme
naïf et son livre aurait été introduit dans Je canon en'ore honzÎ-
11um seeZ providentia Dei.'
l

Ni l'un ni l'autre de ces exégètes ne mettent en valeur la


portée des gestes hUluains de Jésus. Reconnaissons que certains
passages du IV' Evangile sont très pauvres en indications de
ce genre. Ainsi en dehors d'une brève introduction l'entretien de
Jésus avec Nicodème (3,1-21) se déroule si bien sur le plan des
idées qu'on ne sait quand la propre méditation de l'évangéliste
prend le relais des paroles de Jésus. Rien ne signale le départ de
Nicodème, avant le morceau suivant (3,22-36) où les déclarations
de Jean Baptiste seront à leur tour relayées par l'évangéliste.
Les discours d'adieux (13,31 - 17) sont écrits dans une perspective
d'extra-temporalité, - permettez cc néologisme, ~ le retour de
Jésus s'accomplissant aussi bien dans les apparitions pascales
que dans le coeur des croyants et à la parousie. S'il n'y avait
quelques questions maladroites des apôtres, on oublierait même
qu'il s'agisse d'un discours el non d'un exposé. Comme hors du
temps et de l'espace, les enseignements et la prière de Jésus
valent pour tous les croyants, de tous les temps.
Ces constatations ne doivent pourtant pas nous faire oublier
les nombreuses données concrètes du IV' Evangile. A juste titre
d'autres exégètes comme le Père Lagrange, C. H. Dodd, R. E.
Brown, R. Schnackenburg ... se sont basés sur ces indications de
temps et de lieu pour montrer l'enracinement palestinien de la
tradition johannique' et la valeur historique des données qui lui
sont spécifiques. En réaction contre le symbolisme outrancier de
Loisy, le Père Lagrange s'est montré trop réticent pour rccon-
naître la valeur révélatrice de beaucoup d'indications de Jean.
Les études actuelles sur le symbolisme nous permettent de re-
prendre le dossier sans arrière-pensées: le symbole n'est pas
ennemi de l'histoire '. Comme un peintre qui choisit dans un
paysage les données les plus expressives, capables de créer une
ambiance, Jean a su choisir dans une tradition fort riche les

3 La tradition johamlùJue, pp. 218-229.


4 Ibid., p. 217s.
GESTES ET ACTES SYMBOLIQUES DU CHRIST 97

gestes et les actions qui convenaient le mieux à ses intentions


doctrinales.
Sans traiter pour elle-même la question du Sèméion en
S. Jean, - tant d'excellentes études lui ont été consacrées' _,
nous voudrions au fil de la lecture relever les gestes de Jésus
qui sont révélateurs de sa pel'sonne. En tenant compte de l'im,
portance des actions symboliques dans la vie des prophètes
d'Israël, nous rechercherons ensuite la portée de deux actions
du Christ; enfin nous relèverons quelques interventions à portée
sacramentelle. Le sujet est vaste, trop vaste sans doute, mais
COll1me à notre connaissance n'a pas été tenté un inventaire de
ce genre, il vaut la peine de présenter un aperçu d'ensemble.

I. GESTES MARQUANT L'INITIATIVE DE JÉSUS

A la différence des Synoptiques qui font ressortir l'initiative


souveraine de Jésus appelant des pêcheurs au bord du Lac de
Tibériade, Jean s'est intéressé à J'éclosion de la foi par témoi-
gnage et aux appels en chaîne qui constituent l'Église naissante.
Tel est l'objet de ce chapitre l, où Jean Baptiste envoie à Jésus
ses premiers disciples et où ceux-ci s'appellent les uns les autres.
Quelques traits épars manifestent pourtant J'initiative de Jésus.
( Que cherchez-vous? » dira-t-il aux disciples qui le suivent en
J

silence, sans oser engager le dialogue (Jn 1,38). Rencontrant


Philippe, Jésus lui adresse comme à britle-pourpoint l'invitation:
" Suis-moi" (J,43). Philippe va trouver Nathanaël; seul le regard
de Jésus dissipe ses objections: «Avant même que Philippe ne
t'appelât, alors que tu étais sous le figuier, je t'ai vu" (1,48).
Les conjectures ne manquent pas sur le sens de l'expression
" sous le figuier ,,; selon une hypothèse vraisemblable, en harmo-
nie avec le contexte (J,45), il s'agirait de l'étude de la Loi. De
toute façon, cet {( avant que» manifeste que Jésus est toujours
celui qui prend les devants dans l'histoire du salut. Comme le
déclarait déjà Jean Baptiste: «Après moi vient un homme qui
m'a devancé, parce que, avant moi, il était" (Jn 1,30).

5 Bibliographie, ibid., p. 3075.


98 EDOUARD CQTHENET
~---------------

Plusieurs des miracles dans le IV· Évangile présentent cette


particularité que personne ne vient solliciter l'intervention du
Maître, ni le malade ni son entourage, mais que Jésus prend
l'initiative. Ainsi en va-toi! pour le paralytique de Béthesda.
S'étant informé de son état, Jésus lui pose la question: «Veux-tu
guérir? ». Rien ne laisse à penser que, sur le moment, l'infirn1e
ait eu l'espoir d'une intervention secourable. Il se borne à
raconter sa triste histoire: depuis 38 ans, personne ne lui est
venu en aide pour le plonger au bon moment dans la piscine.
Guéri, il ne sait s'expliquer sur la personne de son guérisseur
(5,13). A nouveau Jésus prend les devants pour le rencontrer
au Temple: «Te voilà bien portant! ne pèche plus de peur qu'il
ne t'arrive pire encore!" (5,14). Au bord de la piscine comme
au Temple, la démarche de Jésus exprime la gratuité du salut;
c'est l'Oeuvre du Père qu'en apprenti fidèle Jésus s'emploie à
exécuter (5,17.19s).
Pour la multiplication des pains, ce ne sont pas les disciples
qui tirent Jésus par la manche en disant: «Renvoie la foule,
car elle va défaillir de faim en route", c'est Jésus qui voit les
foules venir à lui et met Philippe ii l'épreuve: «Où achèterons-
nous des pains pour qu'ils aient de quoi manger?" (6,5). Ce
voir de Jésus ne se borne pas à une constatation. Il comporte un
{{ juger}} et prépare déjà à un « faire ,), C'est ce que suggère
l'introduction d'une autre scène typiquement johannique: la
guérison de l'aveugle-né. «En passant, Jésus vit un homme
aveugle de naissance ... " (9,1). Les disciples ne sauront que
poser une question théologique sur le cas du pauvre homme:
«Rabbi, qui a péché pour qu'il soit né aveugle, lui ou ses pa-
rents?" (9,2). L'aveugle semble assister indifférent à la con-
versation; il en a tant entendu d'autres! Nous verrons plus loin
comment Jésus intervient. Déjà l'attention visuelle de Jésus
était porteuse d'illumination.
Certes tous les miracles dans le IV· Évangile ne sont pas
bâtis sur le même modèle. A Cana, Marie prend les devants;
l'officier royal de Capharnaüm formule lui-même sa requête.
Marthe et Marie dépêchent un messager pour avertir Jésus de
l'état critique de Lazare. Cette variété de structures ne donne
que plus de poids aux observations que nous avons faites.
Dans le Livre de l'Heure (J 3-20) relevons aussi quelques
gestes de Jésus qui mettent en valeur la liberté avec laquelle
GESTÊS ET ACTES SYMBOLIQUES DU CHRIST 99

Jésus marche à la n10rt. Lors du dernier repas, il ne se borne


pas à prédire la trahison de l'un des Douze; il tend la bouchée
à Judas (13,26). Comment interpréter ce geste? En soi, c'est un
honneur que le maître de maison fait à l'un de ses invités. On
dirait qu'en trempant la bouchée le Maître offre à son disciple
une dernière preuve d'amour: saura-t-il la discerner? L'Évangé-
liste prend soin de nous dire que la partie n'était pas irrémédia-
blement jouée: "C'est à ce moment, alors qu'il lui avait offert
cette bouchée, que Satan entra en Judas» (13,27). Le traître
aurait pu encore opter pour la lumière avant d'entrer dans la
nuit (13,30).
Après la prière quasi intemporelle du ch. 17, le récit de
la passion est introduit par la démarche majestueuse de Jésus
qui fait contraste avec l'agitation des gardes. ({ Jésus, sachant
tout ce qui allait lui arriver, s'avança et leur dit: "Qui cherchez-
vous? ». Les commentateurs ont relevé le caractère épiphanique
de cette scène où retentit par trois fois le Ego Eimi (18,5.6.8) '.
Jésus se révèle quand il se livre, il découvre son identité quand
il couvre la retraite des siens: «Si donc c'est moi que vous
cherchez, laissez aller ceux-ci» (v. 8). Dans cette scène, il y a
donc plus que l'acte de courage du chef qui veut épargner les
siens. Par une citation d'accomplissement le narrateur nous
transporte au temps du souvenir ecclésial où l'on découvre la
véritable portée du geste accompli par le Maître et où l'on discer-
ne le mystère de cet Ego Eimi: "C'est ainsi que devait s'accom-
plir la parole que Jésus avait dite: "Je n'ai perdu aucun de ceux
que tu m'as donnés"» (18,9). C'est donc comme Bon Pasteur
que Jésus se porte au devant du danger; s'il donne librement sa
vie, c'est qu'il connaît la portée de son sacrifice: "Le bon berger
se dessaisit de sa vie pour ses brebis ... Le Père m'aime parce
que je me dessaisis de ma vie pour la reprendre ensuite» (10,
11.17).
A la Inanière volontaire dont Jésus prévient son arrestation
correspond dans le IV· Évangile le récit des derniers instants.
« Dès qu'il eut pris le vinaigre, Jésus dit "Tout est achevé"; et
inclinant la tête, il remit l'esprit» (19,30). Nombre de commenta-
teurs ont fait remarquer Je caractère anormal de l'expression

6 A. FEUILLET, «Les Ego eimi christologiques du IV" évangile », dans Rech.


Sc. Rel. 54 (1966), pp. 5-22: 213-240 (spécialement 21s.).
100 EDOUARD COTHENET

johannique pour désigner la mort de Jésus '. Il ne perd pas le


souffle, il le communique, comme nous le verrons mieux plus
loin.
A côté de ces notations simples par lesquelles Jean nous
manifeste comment la révélation apportée par Jésus passe par
ses gestes tout autant que par ses paroles ", il convient de relever
deux actions qui rappellent, par leur style, les actes symboliques
des prophètes.

II. LES ACTES SYMBOLIQUES DE JÉSUS 9

Messagers de Dieu, certains prophètes ont cherché à rendre


leur prédication plus percutante en joignant le geste à la parole.
On devine l'étonnement, le scandale mondain quand l'aristocrate
Isaïe se promena nu dans les rues de Jérusalem pour représenter
la captivité des soldats de l'Égypte en lesquels la cour mettait
follement son espoir (Is 20). Selon la mentalité antique, le geste
annonciateur contribuait à hâter la réalisation de l'événement.
Ainsi Jérémie brise dans le parvis du Temple la gargoulette qu'il
avait achetée dans la vallée de Ben-Hinnôm. «Ainsi parle le
Seigneur tout-puissant, déclara-t-il: Je brise ce peuple et cette
ville comme on brise l'oeuvre du potier qui ne peut plus ensuite
être réparée" (Jr 19,11). Inutile de dresser la liste complète
de ces actions prophétiques que L. Ramlot a comparées à un
« théâtre sacré », Le plus souvent annonciatrices de malheur, ces
actions peuvent figurer aussi la restauration. Ézéchiel reçoit par
exemple l'ordre d'inscrire sur un morceau de bois « Ephraïrn »
et sur un autre «Juda» et de les serrer si bien dans sa main
qu'il n'y ait plus qu'une branche. Ainsi est annoncée la réunifi-
cation du peuple à l'heure du salut (Ez 37,15-20). En plus d'un
cas on peut se demander s'il s'agit d'une action réellement ac-
complie ou seulement d'une sorte de parabole (comme dans le
dernier exemple). Dans l'ensemble pourtant il s'agit d'actes
réels, figurant et engageant l'avenir.

7 Ainsi E. C. HOSKYNS, D. MOLL4.T (dans la B. J.), F. - M. BRAUK, Jean le


Théologien (coll. Etudes Bibliques), 1. J (Paris 1966), p. ISIs.
fi « Haec rcvelationis oeconomia fit gcstis verbisque intrinsece inter se
connexis» (VATICAN II, Constitution Dei Verbunl n. 2).
9 L. R>\MLOT, art. Prophétisme, dans DBS, t. 8, col. 969-973.
GESTES ET ACTES SYMBOLIQUES DU CHRIST 101

Plusieurs scènes de l'Évangile nous semblent relever de


cette catégorie: ainsi l'entrée de Jésus à Jérusalem, la malé-
diction du figuier, l'expulsion des vendeurs du temple, le lave-
ment des pieds. Nous nous attacherons à. ces deu." derniers
épisodes, auxquels Jean a imprimé sa marque propre.
Alors que les Synoptiques font de l'expulsion des vendeurs
du temple le corollaire de l'entrée de Jésns à Jérusalem, Jean
a mis l'épisode en exergue de son oeuvre, lors de la première
pâque (2, 13-22). Relié à Cana dans la construction johannique,
l'expulsion constitue un sèméiol1 de la nouvelle alliance ". Le
souci théologique qui préside à la relation de Jean ne s'oppose
pas au caractère très concret de la scène. Le IV" Évangile est
plus détaillé que les Synoptiques: il n'est pas question seulement
des marchands de colombes et des changeurs de monnaies, mais
aussi des boeufs et des brebis. Pour chasser bêtes et gens, Jésus
s'arme d'un fouet de cordes.
Ces indications de Jean ont servi de point de départ pour
l'interprétation romanesque de R. Eisler U et de S. G. F. Bran-
don H. Peut-on supposer que les marchands se sont enfuis sans
opposer de résistance? Et leurs clients, comment n'auraient-ils
pas réagi, eux qui avaient besoin des marchands pour accomplir
leurs dévotions? Et la police du Temple, serait-elle restée l'arme
sur l'épaule? Il y eut donc bagarre, ce qui suppose que Jésus
pouvait compter sur de nombreux partisans. Ainsi découvrons-
nous un Jésus zélote, décidé à expulser par la force tous les
fauteurs d'iniquité dans le Temple.
E. Trocmé a justement réfuté cette reconstitution de l'évé-
nement ". S'il Y avait eu trouble grave, comment se fait-il qu'il
n'en soit plus question au cours du procès? On accuse Jésus de
prononcer des paroles scandaleuses contre le Temple, non d'y
avoir semé la révolution. Le nlessage de non-résistance au mal,
si typique de Jésus, s'oppose absolument à la thèse de R. Eisler
et de S. G. F. Brandon.
L'expulsion des marchands dont témoignent chacun à leur
manière Synoptiques et Jean est à ranger dans la catégorie des

10 Voir nos remarques dans La traditiorl johannique, p. 145s.


11 R. EJSLER, Jèsous Basileus ou basilettsas, 2 t., Heidelberg 1928-30.
12 S. G.F. BRA~OON, Jesus and the Zealots. A Study of the Political Factor
ll1 Primitive Christianil)', Manchester 1967, pp. 331-336.
13 E. TROCMÉ, <c L'expulsion des marchands du Temple », dans NTS 15
(1968/69), pp. 1-22.
102 EDOUARD COTHENET

«actions prophétiques», destinées à frapper l'attention et à


représenter un avenir proche. Geste lourd de signification, corn·
me on le constate en comparant entre elles les relations évan·
géliques.
En une première étape, l'action de Jésus s'inscrit dans le
cadre d'une réforme religieuse ", ct tout naturellement les autori-
tés du Temple s'enquièrent de l'autorité (exoltsia) avec laquelle
Jésus intervient ainsi (Mc Il,28). L'expulsion des vendeurs revèt
dans Marc une portée universaliste: cc Ma maison sera appelée
maison de prière pour routes les nations ». Plus de distinction,
semble-toi!, entre un parvis ouvert à tous et transformable en
champ de foire, et le parvis d'Israël, réservé à la prière. Tout le
Temple est pourvu du même caractère sacré, ce qui revient à
bannir la distinction entre fils d'Israël et goyyîm.
L'interprétation johannique est fort complexe, correspondant
aux deux temps de la scène (13-17 et 18-22). La première partie
est centrée sur la suppression du culte sacrificiel, avec J'in-
sistance sur l'expulsion (verbe ekballeilt, couramment employé
par Marc pour les exorcismes), et est motivée par le zèle de
Jésus pour la gloire de son Père. Des Judéo-chrétiens, fidèles
par ailleurs à l'adoration dans le Temple, ont gardé souvenir de
ce point de vue, comme on le constate par ce fragment de l'Évan-
gile des Ébionites:
« Je suis venu pour détruire les sacrifices, et si vous ne cessez
pas d'offrir des sacrifices, la Colère ne s'éloignera pas de vous» 15.

Dans le IV' Évangile, la seconde partie de la scène est


beaucoup plus radicale: il ne s'agit plus seulement de purifier le
~anctuaire, il faut en ériger un autre: « Détruisez ce Ten1ple et,
en trois jours, .ie le relèverai» (v. 20) ". Au temple de Sion
s'oppose le Corps glorifié où les hommes de tous pays adoreront
le Père selon l'Esprit de vérité (Jn 4,21-24). A l'eau des purifi-

14 M. HUBAUT, «Jésus et la Loi de Moïse », dans Rev. T11éol. de Louvain


7 (1976), pp. 401-425 (spécialement 418-420,423).
15 Cité par ÉPIPHANE, Raer. XXX,16.4.
16 Cf. notre étude «L'attitude de l'Église naissanle à l'égard du Temple
de Jérusalem", dans Liturgie de l'I1glise particulière et Liturgie de l'Eglise
universelle (St-Serge 1975) (= Bibliothcca Ephemerides Liturgieae - Subsidia 7),
Edizioni Liturgichc, Rome 1976, pp. 89·111 (spécialement lOb., 104). Rappelons
l'excellent article de X. LÉON - DUFOUR, «Le signe du Temple selon S. J can ",
dans Rech. Sc. Rel. 39 (1951), pp. 155-175.
GESTES ET ACTES SYMBOLIQUES DU CHRIST 103

cations juives (2,6) s'oppose le vin dc la célébration messianique


des noces de Dieu avec son peuple.
Une telle interprétation se situe au niveau de la rédaction
johannique qui unit le sèméiol1 de Cana au sèméiol1 du Temple
(cf v. 18) comme les deux grands signes de la nouvelle alliance,
conclue à l'Heure de Jésus (cf v. 4). Finalement pour Jean tous
les signes convergent vers le Sèméiol1 par excellence, le Signe du
Fils de l'homme élevé sur le bois, comme jadis le serpent d'airain
dans le désert: «Comme Moïse a élevé le serpent dans le désert,
il faut que le Fils de l'Homme soit élevé afin que quiconque
croit ait en lui la vie éternelle» (Jn 3,14s) ". La lumière qui
emane de la croix permet seule de comprendre à quelles consé-
quences ultimes conduisaient les gestes accomplis par Jésus au
cours de sa vie.

* * *

Dans le IV· Évangile, une autre intervention de Jésus relève


de cette même catégorie des actes symboliques, le lavement des
pieds (13,1-20) '". Nous pouvons laisser de côté la question pure-
ment littéraire de savoir si le rédacteur final n'aurait pas com-
biné deux interprétations de la scène ". L'hypothèse est vraisem-
blable, mais au plan de la théologie johannique où nous nous
situons, elle n'entre pas directement en ligne de compte.
Au v. 4, Jean décrit avec soin la manière dont Jésus se
prépare à laver les pieds de ses disciples: «Jéus se lève de
table, dépose (tithèsil1) son manteau et prend un linge dont il se
ceint. Il verse ensuite de l'eau ». A ces indications correspondent
celles du v" 12, avant le discours explicatif: «Lorsqu'il eut achevé
de leur laver les pieds, Jésus prit (e/aben) son manteau, se
remit à table et leur dit: "Comprenez-vous ce que je vous ai
fait?" ». Littérairement nous relevons la même structure que
pour la multiplication des pains: récit d'une action, discours

17 J. P. CHARLIER, «La notion de signe (sèméion) dans le Ive Evangile », dans


Rev. Sc. Phil. Théol. 43 (1959), pp. 434-448 (spécialement 445-447).
18 Bibliographie dans La tradilion johannique, p. 302. Sur l'histoire de
l'interprétation, G. RICHTER, Die FusS'.vascJwng im Johanneseval1gelium: Ge-
schichte ihrer DeutHng, Ratisbonne 1967.
III M. - E. BOISMARD, «Le lavement des pieds (In XIII,t-17) », dans RB 71
(1964), pp. 5·24.
104 EDOUARD COTHENET

explicatif. Quoique Jean n'emploie pas ici le terme sènzéiol1, il


semble légitime de ranger le lavement des pieds dans la série
des « signes» '". Il ouvre le récit de la passion vers lequel étaient
orientés tous les signes de la première partie de l'Evangile
(J - 12).
Comme beaucoup d'études ont déjà paru sur le sens, sacra·
mentel ou non, du lavement des pieds, j'attirerai votre attention
sur un détail qui reste souvent inaperçu: le soin avec lequel
l'Evangéliste relève la déposition puis la reprise du manteau.
Rien que de naturel, pensera-t-on: comment laver les pieds
avec un vêtement aux amples plis et de longues franges? Puisque
la chose allait de soi, pourquoi la dire à moins que le geste
n'ait par lui-même valeur d'indice? Beaucoup de données con-
crètes dans le IV' Évangile ne viennent pas en effet du goût du
narrateur pour le récit, mais relèvent d'une intention doctrinale.
Plusieurs commentateurs font remarquer l'opposition typique·
ment johannique des verbes tithénai-lal71banein (13,4.12). Ainsi
dans l'allégorie du Bon Pasteur:

( Le Bon Pasteur dépose sa vie (tèn psychèl1 autou tithèsill)


pour ses brebis ... Le Père m'aime parce que je dépose ma vie (tithèmi
tèn psychè rI mou), pour la reprendre ensuite (hina palin labâ au-
tèn)>> (10.11.17; cf. IS et 13,37).

La tournure tithénai tèn psychèn est le décalque d'un sémi-


tisme (masar naphsho); sur elle semble calquée l'expression ti-
thénai ta himatia, alors qu'on attendrait normalement le verbe
composé apotithénai (Barrett). En déposant son vêtement, Jésus
ne figure-t-il donc pas sa mort prochaine (Loisy, Barrett, Brown)?
L'hypothèse est rejetée par d'autres commentateurs (Bultmann,
Schnackenburg) .
A s'en tenir à la seule observation philologique, la preuve
est un peu mince. Il convient de l'élargir en tenant compte de
la place tenue par les vêtements dans les autres récits du livre
de l'Heure (Jn 13 - 20). Comme l'a bien montré E. Haulotte dans
une thèse suggestive, mais parfois trop subtile 2\ le vêtement
tient dans l'antiquité une place beaucoup plus significative que
dans le Inonde nloderne. Ce n'est pas seulement une protection

2(1 Ainsi C. H. DoDD, B. VAWTER, A. SCHL4.TIER.


21 E. HAl'LOTTE, Symbolique du vêtement selon la Bible (coll. Théologie
n. 65), Paris 1966. Le lavement des pieds n'y t'st pas étudié pour lui-même.
GESTÊS ET ACTES SYMBOLIQUES DU CHRIST 105

contre les intempéries, mais le prolongement de la personne, le


signc de l'intégration sociale. Quand Jonathan ct David firent
alliance, le premier se dépouilla de son manteau, le donna à
David ainsi que ses armes, car il l'ain1ait comme lui-n1ême (mot-
à-mot: comme son âme, l1éphesh: l Sam 18,13s.). L'échange de
vêtements constitue ainsi l'un des rites d'alliance. Être dépouillé
de ses vêtements, c'est le début de la captivité ou de l'esclavage
(cf Is 20). Le revêtement d'un costume spécial prend valeur
liturgique quand il s'agit des prêtres ou du roi. La pourpre, dans
le monde gréco-romain, révèle la dignité du roi et des grands
dignitaires (ainsi l Mac /0,20.62; 11,58; 14,43s.).
Les quatre évangélistes mentionnent le manteau dont Jésus
est affublé dans une intention de dérision soit par Hérode (Luc
23,11), soit par les soldats (Mt 27,28; Mc 15,17; Jn 19,2). Seul
Jean donne à la scène toute sa portée dramatique. Rappelons
que dans le IV' E.vangile le procès romain est composé comme
un drame en sept scènes, délimitées par les mouvements de
sortie hors du Prétoire et de rentrée à l'intérieur". En plaçant
le couronnement d'épines et l'imposition de la pourpre au centre
du drame, Jean nous révèle l'importance qu'il leur attache. Il ne
s'agit pas d'une triste mascarade, terminant le supplice de la
flagellation, mais d'une réplique au rituel de couronnement, tel
qu'on peut le reconstituer d'après l'histoire de Joas (2 R 11,12).
La couronne d'épines et le vêtement de pourpre sont les insignes
du Christ qui vient d'affirmer en quel sens il était roi (/8,37).
A l'acclamation que le peuple entonnait (2 R 11,12; Vive le roi!)
correspond le cri des soldats: «Salut, roi des Juifs! ». A la scène
de présentation du jeune roi au peuple par le prêtre Yehoyada,
correspond la présentation de l'Homme (Ecce homo!) par Pilate
(19,5). L'E.vangéliste prend soin de noter que Jésus portait la
couronne d'épines et le manteau de pourpre (ibid.), alors que
dans Mt et Mc les soldats enlèvent à Jésus la pourpre avant de
le faire sortir du corps de garde. C'est donc comme Roi, revêtu
de ses insignes, que Jésus est présenté au peuple par Pilate; bien
plus même, selon l'interpYétation d'L de La Potterie ", il siègera
sur le tribunal (19,13), car l'élévation de la croix est le moment

22 Voir en dernier A. J-\t:DERT, Approches de l'Evangile de lemt, Paris


1976, p. 72.
231. DE LA PUTTHRIE, «Jésus, roi et juge d'après Jn 19,13: ekathisen epi
bêmatos », dans Biblica 41 (1960), pp. 217-247.
106 EDOUARD COTHENET

où Jésus condamne le prince de ce monde (I2,31) et exerce le


jugement.
Comme les Synoptiques, Jean a relevé le partage des vête-
ments du condamné par les soldats. Seul il s'intéresse à la tu-
nique sans couture qu'il ne faut pas déchirer (Jn 19,23s.). Le
symbolisme ecclésial s'inlpose 24, si l'on se souvient du geste
d'Ahias déchirant son manteau neuf en douze morceaux et don-
nant dix parts à Jéroboam, en signe de la division prochaine du
royaume de Salomon (1 R 11,30s.). La prière sacerdotale de
Jésus s'accompHra: «Qu'ils soient Un comme toi, Père, tu es
en moi et que je suis en toi ... » (17,21).
Si la mention des vêtements, au cours de la passion, est
liée chaque fois à une intention théologique, il semble vraisem-
blable qu'il en aille de mème lors du lavement des pieds_ Déjà
S_ Augustin en avait eu l'intuition, en rapprochant le geste du
Christ de l'hymne au Serviteur souffrant en Ph 2,6-11.
Quid autem mirum si surrcxit a coena, ct posuit vestimenta
sua, qui eum in forma Dei esset, semetipsum exinanivit? Et quid
mirum si praecinxit se linteo, qui formam servi acdpiens habitu
inventus est ut homo? Quid mirum si misit aquam in pelvim unde
lavaret pedes discipulorum, qui in terram sanguinem fudit, quo
immunditiam dilueret peccatorum? 25.

Dans sa volumineuse enquête sur l'interprétation du lave-


ment des pieds, G. Richter aurait dû souligner l'intérêt de l'exé-
gèse de S. Augustin: le premier, semble-toi!, il a mis en relation
le changement de vêtements avec l'hymne christologique de
Ph 2,6-11. Certes les perspectives de Jean et de Paul ne sont pas
exactement les mêmes: à l'abaissement du Christ Paul oppose
l'exaltation par Dieu, tandis que dans le IV' Évangile le Christ
donne de lui-même sa vie, comme il la reprend selon l'ordre du
Père (Jn JO,17)_ L'évêque d'Hippone a le tort de pousser trop
loin l'allégorie quand il compare la serviette dont Jésus se ceint
aux bandelettes de l'ensevelissement. Il n'empêche qu'il a bien
saisi le contraste entre la tenue de l'esclave et la dignité seigneu-
riale_ On peut parler d'un" jeu du vêtement ». Remplissant le

24 F. - M. BRAI;X, «Quatre signes johanniques de l'unité c1u'etienne », dans


NTS 9 (1962j63), pp. 147·155 (spécialement 150·152).
25 S. Arc,Fsnx, l/1 Jolla/wem, lractatlls LV,7 (PL 35,1787).
GESTËS ET ACTES SYMBOLIQUES DU CHRIST 107

rôle de l'esclave, Jésus se dépouille de sa vie (semetipsw" ex ina-


l1ivit); reprenant son manteau, il se manifeste comme Maître
et Seigneur et donne ses ordres comme tel:

{{ Dès lors, si je VallS ai lavé les pieds, moi le Seigneur el le


Maître, vous devez vous aussi vous laver les pieds les uns aux
autres; car c'est un exemple que je vous ai donné» (13,14s.) 26.

On ne saurait réduire le lavement des pieds à un exemple


d'humble service, selon l'exégèse de l'Ecole d'Antioche et de
nombreux modernes. C'est un signe en acte du caractère volon-
taire et expiatoire de la passion, comme G. Richter l'a justement
montré 27. L'opposition de Pierre fait n1ieux ressortir la nécessité
de la croix: «Si je ne te lave pas, tu ne pourras avoir de part avec
moi» (13,8). La réponse de Jésus vise ceux qui ne comprennent
pas que le Fils de l'Homme doive être élevé (J 2,34) et qui se
scandalisent de la croix. Sans la purification obtenue par le
dépouillement du sacrifice, il n'y a pas de communauté messia-
nique. L'explication que nous avons proposée renforce sur ce
point l'exégèse de Richter: la mort n'est service que parce
qu'elle est don volontaire et envers d'un mystère de vie.
Une fois reconnu ce sens fondamental, nous ne saurions
refuser, comme le fait Richter, tout symbolisme baptismal.
L'insistance sur les gestes concrets de Jésus (verser de l'eau,
laver, essuyer), les termes variés qui évoquent le bain de purifi-
cation plaident en sens contraire. Pour Jean le baptême ne fait
pas nombre avec la vertu salvifique de la croix; il est l'effusion
du mystère pascal, comme le marque l'épisode du coup de lance,
faisant jaillir du coeur de Jésus le sang et l'eau (19,34).

III. GESTES À PORTEE SACRAMENTAIRE

Ces dernières réflexions supposent, faut-il le préciser, une


interprétation d'ensemble du IV' Evangile. Alors qu'à la suite
de Bultmann certains exégètes refusent toute donnée sacra-

26 E. COTHENET, art. "Imilation du Christ », dans Die!. Spiriwalité t. 7, col.


1536-1562 (spécialement 15595.).
17 G. RICHTER, Die Fl/sswasclul11g ... , pp. 287-293.
108 EDOCARD COTHENET

lnentaire, attribuant au rédacteur ultÎlne les quelques versets


relatifs sans conteste au baptême (en 3,5: addition "et de
J'eau ») et à l'Eucharistie (6,53-58; 19,34), d'autres avec Cullmann
sont portés à reconnaître presque à toutes les pages du IV'
Évangile un arrière-plan sacramentaire. Ici, comme ailleurs, la
Inesure s'impose, mesure inspirée par les relations que Jean
établit lui-même entre les parties de son oeuvre "'.
Conforn1éInent au but de cet exposé, nous nous limiterons
à quelques exemples tirés des gestes et des actions de Jésus.
Relevons d'abord la curieuse notice sur l'administration du
baptême par Jésus:

{( Après cela (l'entretien de Jésus avec Nicodème), Jésus se


rendit avec ses disciples dans le pays de Judée; il y séjourna avec
eux et il baptisait. Jean, de son côté, baptisait à Ainôn, non loin
de Salim, où les eaux sont abondantes» (Jn 3,22s.).

Cette pratique simultanée provoque une discussion entre


un Juif et les disciples de Jean, sur les mérites respectifs de ces
deux baptêmes et leur relation avec les prescriptions de la Loi
(v. 25). Jésus ne donnerait-il qu'un baptême d'eau, comme le
Précurseur? La question préoccupa déjà le rédacteur ultime du
IV' Évangile, comme le marque la précision ultérieure: "A vrai
dire, Jésus ne baptisait pas, mais ses disciples» (4,2).
A cet épisode le Père X. Léon-Dufour a consacré un article
remarquable" où, comme pour le signe du Temple, il distingue
entre le sens au niveau du temps de Jésus et le sens au niveau
de J'Évangéliste écrivant pour la communauté chrétienne.
Au plan de J'histoire, il convient d'admettre une phase bap-
tiste dans la vie de Jésus, avant J'arrestation de Jean. A la ma-
nière du Précurseur, Jésus invite ses nombreux auditeurs à la
pénitence; lui ou ses disciples pratiquent le rite du plongeon
dans les eaux vives, en signe du renouveau eschatologique:;o.
Bientôt Jésus décide de parcourir villes et villages de Galilée et

28 Pour une orientation générale sur le sujet, La tradition johannique,


pp. 242-245.
2il X. LÉON - DllFOUR, (, Et là, Jésus baptisait Un 3,22)", dans Mélanges E.
Tissemnt (Cité du Vatican 1964), t. l, pp. 295·309.
30 C. PERROT, "Les mouvements baptistes », dans Introduction à la Bible.
Nouv. éd. Nuuve.au Tèslamelli. Vol. 1: Au sel/il de l'ère chrétienne, Paris·Tournai
1976, pp. 161-164.
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GESTES ET ACTES SYMBOLIQUES DU CHRIST 109

se consacre à un ministère de prédication, de guérison et de


pardon.
Eclairé par le Paraclet, Jean revient sur la signification
des temps fondateurs et développe dans le chap. 3 une catéchèse
baptismale qui comporte et un discours de révélation à Nicodème
et le rappel de l'activité « baptiste» de Jésus. Ainsi l'Evangéliste
nous instruit· il sur les divers effets du baptême. Renaissance
par l'eau et l'Esprit (3,5), c'est le sacrement de la foi au Fils
de l'homme exalté sur la croix (3,14s.), le rite d'appartenance au
Christ qui fait entrer dans le groupe de ses disciples. Il existe
ainsi une continuité entre l'action du Jésus terrestre et son action
de Ressuscité. L'admirable commentaire de S. Augustin nous est
familier:
Quarnvis ipse non baptizaret, sed discipuli ejus (Jn 4,2). Ipse,
et non ipse; ipse potestate, illi rninisterio; servitutem ad baptizan-
dum illi admovebant, potestas baptizandi in Christo permanebat.
Ergo baptizabant discipuli ejus et ibi adhuc erat Judas inter
discipulos ejus; quos ergo baptizavit Judas, non sunt iterum bapti-
zati ... Quos enim baptizavit Joannes, Joannes baptizavit; quos au-
tem baptizavit Judas, Christus baptizavit 31.

Certes le développement de S. Augustin est commandé par


la controverse avec les Donatistes. Il n'y a pourtant pas là seule·
ment un argument de circonstance; avec sa manière à lui de
s'exprimer, l'évêque d'Hippone nous semble avoir rejoint une
intuition"de l'Évangéliste. Ce baptême administré par les disciples
de Jésus est déjà une préfiguration du baptême chrétien et nous
permet d'en discerner un aspect fondamental: pas de baptême
d'Esprit qui ne nous mette en relation avec le Jésus de l'histoire.

* * *

Vous me permettrez de ne pas développer les indications


contenues dans le récit johannique de la multiplication des
pains. Elles seraient précieuses pour notre sujet: « Jésus prit
les pains, il rendit grâce et les distribua aux convives» (6,11).
Mais comme le sujet a déjà été traité par d'autres participants à

31 S. A[)GL'S1'L~, In Joltannem, tractatus V,18 (PL 35, 1424).


110 EOOUARD COTHENET

notre Semaine, n1ieux vaut éviter une inutile répétition. Je pas R

serai donc de suite à l'étude d'un geste assez surprenant, accom-


pli par Jésus lors de la guérison de l'avcugle-né.
Dans l'ensemble le chap. 9 nous apparaît comme le commen-
taire en acte de la déclaration répétée du Maître: "Je suis la
Lumière du monde" (8,12; 9,5). Le récit du sèméion n'est pas
organisé comme ceux du paralytique (5) ou de la multiplication
des pains (6) où l'intervention miraculeuse est suivie d'une longue
explication fournie par Jésus. Ici au contraire, Jésus est absent
pendant la majeure partie du drame (du v. 8 au v. 34), laissant
l'aveugle affronter seul l'opposition des Pharisiens et s'affermir
dans sa foi au fur et à mesure que les menaces s'accentuent.
Dans son cheminement spirituel, l'aveugle-né serait-il vraiment
abandonné à lui-même? Un examen plus attentif des circonstan-
ces de la guérison nous permettra de répondre à la question.
Dans ce drame de la foi et de l'incroyance, la description
du miracle lui-même se distingue par sa brièveté, mais aussi par
SOn étrangeté.
« Ayant ainsi parlé, Jésus cracha à terre, fit de la boue avec
la salive et l'appliqua sur les yeux de l'aveugle, et il lui dit: "Va
te laver à la piscine de Siloé", ce qui signifie "Envoyé", L'aveugle
y alla, il se lava et, à son retour, il voyait» (9,7-8).

Tenant de l'interprétation baptismale du chapitre, S. Augus-


tin s'essaie d'abord à retrouver les étapes de la pratique de son
temps dans la description de Jean: "Si ergo quando eum in
seipso quodammodo baptizavit, tunc illuminavit; quando inunxit,
fortasse catechumenum fecit". Plus loin, dans son explication
détaillée au fil du texte, il ne trouve rien qui mérite explication
dans les gestes de Jésus: "Haec, quia manifesta sunt, transea-
mus» 32, Pourtant ces détails semblent intéresser Jean, puisqu'à
chaque interrogatoire le miraculé reprendra sous forme de re-
frain: "L'homme qu'on appelle Jésus a fait de la boue, m'en a
frotté les yeux et m'a dit: "Va à Siloé et lave-toi"» (9,11, 15).
Pour l'Évangéliste, salive, boue, onction sur les yeux, lavage dans
la piscine de l'Envoyé forment un ensemble signifiant. Ne faut-il
pas en préciser la valeur?

32IDEl\1, Tractatus XLIV,2 et 7 (PL, 35, 1714 et 1716).


GESTES ET ACTES SYMBOLIQUES DU CHRIST III

L'utilisation médicale de la salive, si surprenant que cela


nous semble aujourd'hui, est une chose bien attestée dans le
judaïsme. Strack-Billerbeck" a relevé les textes à propos de la
guérison du sourd-bègue de la Décapole (Mc 7,33; cf 8,12): d'or-
dinaire l'application de salive s'accompagne de paroles, citations
de l'Écriture ou conjurations. Les rabbins se montrent inquiets
contre les dangers de superstition. Dans le cas des guérisons
évangéliques, l'application de salive apparaît comme un rite
préparatoire au prononcé de la Parole efficace qui, seule, guérit.
Ni dans le judaïsme, ni dans la tradition évangélique il n'est
question en pareil cas d'onction faite avec de la boue.
Faut-il donc chercher des parallèles dans le monde gréco-
romain? Rengstorf'" formule une hypothèse intéressante: selon
Aelius Aristide un malade fut invité à se laver dans la source
sacrée de l'Asclépéion de Pergame, après s'être enduit de boue.
Or Pergame n'est pas très éloignée d'Éphèse et est dénoncée dans
l'Apocalypse comme «le trône de Satan» (Ap 2,13). Une con-
naissance des pratiques de l'Asclépéion par Jean n'offre rien
d'invraisemblable. De toute façon les cultes aux dieux guérisseurs
étaient répandus dans tout le monde méditerranéen, y compris
à Jérusalem 35. Dans une intention polémique Jean aurait donc
voulu démontrer que Jésus est le seul Sauveur du monde (cf
4,42; l Jn 4,14).
Cette explication présente pourtant le grave inconvénient
de ne p"s s'accorder avec la tonalité générale du chap. 9: il
s'agit d'un drame typiquement juif, avec la discussion sur le
sabbat (v. 14.16) et la sentence d'excommunication (v. 22). Les
Pharisiens expriment clairement l'enjeu du débat: faut-il être
disciple de Moïse ou de cet inconnu? (cf v. 28s.). L'argumentation
est juive, Jésus se présentant comme celui qui accomplit la
mission paradoxale du jugement:

« Je suis venu en ce monde pour une remise en question, afin


que ceux qui ne voyaient pas voient, et que ceux qui voyaient de-
viennent aveugles» (9,39).

33 STRACK - BILLERBECK, Kommcl1tar Z,Wll Net/en Testamel1t aus Talmud und


Midmsh, t. II, pp. 15-17.
84 K. H. REN'GSTDRF, art. Pèlos; dans TW NT, t. VI, p. 118s.
35 A. DUPREZ, Jésus et les 'dieux guérisseurs. A propos de Jean V (Cahiers
de la Revue Biblique n. 12), Paris 1970.
112 _ _ _ _ _ _ _-'=EDO==-l}.ARD COTHENET

En notre chapitre Jésus ne répond pas directement à l'ac-


cusation d'avoir violé le repos du sabbat (v. 14). Il convient de
se rappeler de sa réponse, lors du précédent miracle accompli
à Jérusalem le jour du sabbat: "Mon Père, jusqu'à présent, est
à l'oeuvre, et moi aussi je suis à l'oeuvre» (5,17). Par son inter-
vention Jésus manifeste donc qu'il participe à l'oeuvre du Père,
oeuvre tout à la fois de création continuée et de salut. Dans ces
conditions, la boue faite par Jésus n'évoquerait-elle pas la glaise
dont Dieu pétrit le corps du premier homme? Telle était J'inter-
prétation de S. Irénée:

« Ce ne fut plus par une parole, mais par un acte qu'il rendit
la vue (à l'aveugle-né): il en agit de la sorte non sans raison ni au ha-
sard, mais afin de faire connaître la Main de Dieu qui, au com-
mencement, avait modelé l'homme» 86,

La formulation d'Irénée s'explique par la controverse avec


les gnostiques qui attribuent la création du monde à un Démiurge
inférieur. L'Évangéliste n'avait pas à répliquer à une telle erreur,
encore que la gnose se préparât. Mais le problème de la création
ne lui était pas étranger, comme on le voit par le prologue. Dans
le chapitre 9 qui concerne un aveugle de naissance, l'Évangé-
liste n'aurait-il pas en vue un double aspect du baptême: le
baptême comme re-naissance, ainsi qu'il était dit déjà dans
l'entretien avec Nicodème, mais aussi le baptême comme re-
création, reprise à la base de l'homme privé de ses sens spi·
rituels 37.
La contribution de D. WEBB 30 sur l'importance de l'onction
prébaptismale dans le rite syrien permet de se demander si,
dans le récit de l'aveugle-né, il ne faut pas souligner l'importance
de l'onction, deux fois mentionnée (verbe epichriein aux vv. 6
et Il). Certes il s'agit d'une onction de boue, non d'huile! Mais
les autres textes du Nouveau Testament sur l'onction prébap-
tismale sont à prendre au figuré, non comme des rites propre-
ment dits: selon 1. de La Potterie, ils visent l'activité de l'Esprit

36 S. lRÉN~E, Adv. Huer. V,IS (traduction de A. Rousseau, dans s.e.).


3'1 Sur la doctrine des sens spirituels, \'oir D. MOLLAT, Saint Jean Maître
spiriruel (Paris 1976), pp. 85-104 avec cette conclusion: «Jean n'a pas élaboré
une "doctrine des sens spirituels": il en a posé les fondements Il (p. 103).
39 D. WEBB, «Paroles et gestes dans la liturgie baptismale de l'Eglise nesto-
rienne », dans ce même volume, pp. 329-352.
GESTES ET ACTES SYMBOLIQUES DU CHRIST 113

dans la genèse de la foi '". La l Jn met surtout en valeur l'aspect


cognitif du chrisma (1 Jn 2,20.27), ce qui n'est pas le cas ici où
Jésus se borne à un geste et donne un ordre: « Va te laver à
la piscine de Siloé ». L'aspect de re-création me semble fonda-
mental: Jésus ne confère pas seulement aux yeux l'aptitude à
voir, il communique à l'aveugle la possibilité spirituelle de
s'ouvrir à la lumière et d'accéder, par étapes (v. 17.33), à la
pleine reconnaissance de son Seigneur (v. 38). De la sorte, la
solitude de l'aveugle que nous avions notée précédemment,
n'est pas totale: le miraculé ne marche vers la lumière que
dans le dynamisme recréateur du Sauveur.
Nos explications rencontreront sans doute une objection:
le thème de la «création nouvelle» est plus paulinien que
johannique <D. Il apparait cependant dans le Prologue et aussi
lors de la christophanie du Cénacle, ce qui suffit à justifier
notre hypothèse.

* * *

L'apparition de Jésus au Cénacle offre plusieurs particulari-


tés, fortement liées à la théologie de Jean. Plus que dans d'autres
christophanies, gestes et paroles y sont fortement unis. Dans
l'envoi des Onze en mission selon Matthieu, Jésus apparaît et
donne ses consignes (Mt 28,18-20): pas d'autre geste que celui
de s'approcher. Dans un récit proche de celui de Jean, Luc
insiste sur les signes de reconnaisance que le Ressuscité présente
à ses disciples: « Regardez mes mains et mes pieds: c'est bien
nloi. Touchez-moi, regardez: un esprit n'a ni chair, ni os, comme
vous voyez que j'en ai» (Luc 24,39). Geste destiné à dissiper les
doutes sur la réalité de la résurrection, comme dans le cas de
l'apparition à Thomas (Jn 20,24-29): à l'arrière-plan on discerne
la polémique contre les Docètes. Tout autre est la portée du

39 I. DE LA POTTERIF., «L'onction du chrétien par la foi », dans 1. DE LA


POTTERIE - S. LYONNET, La vie selon l'Esprit condition du chrétien (coll. Unam
Sanctam n. 55), Paris 1965, pp. 107·167 (spécialement 150-161).
40 P. BENOIT, {{ Paulinisme ct Johannisme », dans Exégèse et Théologie t. 3,
Paris 1968, pp. 300-317 (spécialement p. 309: Le salut johannique consiste plutôt
à renaître à la vie de la vraie cOJ;lnaissance de Dieu dans la lumière, tandis que
le salut paulinien réside essentiellement dans le passage de la mort à la vie
par une recréation de tout l'être).
114 EDOUARD COTHENET

geste rapporté par Jean lors de la première apparition de Jésus


au Cénacle:
«Ayant ainsi parlé, Jésus souffla sur eux (enephysèsen) et leur
dit: "Recevez l'Esprit Saint. Ceux à qui vous remettrez les péchés,
ils leur seront remis. Ceux à qui vous les retiendrez, ils leur seront
retenus"» (20,225.).

Le verbe emphysân, ici employé, est d'un emploi rare dans


la Septante 41. Il apparaît lors de la création d'Adam: Dieu insuffle
une haleine de vie sur la statue qu'il a modelée. On le retrouve
dans la grande vision sur les ossements desséchés en Ez 37:
«Prononce un oracle sur le souffle, prononce un oracle, fils
d'homme; dis au Souffle: Ainsi parle le Seigneur Dieu:
Souffle, viens des quatre points cardinaux,
souffle (emphysèson) sur ces morts et ils vivront» (Ez 37,9).

L'apparition au Cénacle prend valeur d'une scène de re-


création. Jusqu'ici Jésus avait transmis la parole de révélation,
mais sans la communication de l'Esprit, la Parole ne peut ac-
complir pleinement son oeuvre. Or l'Esprit ne pouvait être
communiqué, tant que Jésus n'avait pas été glorifié (7,39). La
manière mystérieuse dont Jean décrit la mort du Christ (Il
remit son esprit [19,20]) montrait que Jésus ne pouvait en
quelque sorte libérer le Souffle divin qu'au prix de sa propre
vie. Ressuscité, le Christ communique aux siens l'Esprit de
l'alliance nouvelle qui fait d'eux les fils du Père (cf 20,17). Pré-
senté par le Baptiste comme Celui qui baptise dans l'Esprit
(1,33), le Ressuscité accomplit sa mission maintenant et fait de
ses envoyés les prémices du monde nouveau. C'est le jour de
Pâques que les apôtres sont ainsi baptisés dans l'Esprit. A leur
tour, ils communiqueront l'Esprit par leur prédication et l'admi-
nistration des sacrements. Mon intention n'est pas d'ici d'exami R

ner les différentes formes d'application du logion sur le pardon


des péchés ". Ce qu'il fallait souligner, c'est le caractère expressif

41 J. SCHMITT, « Simples remarques sur le fragment Jo. XX,22-23 », dans


Mélanges M. Andrieu, Strasbourg 1956, pp. 415423. Voir aussi 1. DE LA POTTERIE,
« Parole et Esprit dans S. Jean », dans L'Evangile de Jean, pp. 177-201, spécia-
lement 195-201, où l'accent est mis sur la création de la foi pascale par l'insuffla-
tion de l'Esprit.
42 Voir notre contribution «Sainteté de l'Eglise ct péchés des chrétiens:
comment le Nouveau Testament envisage-t-il leur pardon? », dans Liturgie et
GESTIls ET ACTES SYMBOLIQUES DU CHRIST 115

du geste, sa valeur symbolique qui dépasse l'énoncé conceptuel


donné par le logion suivant. Le monde nouveau avec ses valeurs
de paix, de joie, de liberté, il dépend du souffle créateur de Celui
qui, par le don suprême de son amour, a rendu toutes choses
nouvelles.

.. * "'"

De ce bref relevé des gestes et des actes salvifiques du


Christ, nous pouvons tirer quelques conclusions. Même si telle
ou telle explication semble contestable, il apparaît que dans le
IV' Evangile un réseau de significations relie les indications
concrètes du texte. Jésus ne s'exprime pas seulement en paroles,
mais aussi en actes. Invitation donc à dépasser une manière trop
conceptuelle de lire le IV' Evangile et à s'ouvrir aux dimensions
d'un symbolisme qui ne s'oppose pas à l'historique, mais en
déploie les virtualités de sens.
Si les actes de Jésus ont valeur signifiante, il est permis
d'étendre la notion de sèméion à d'autres cas que ceux où Jean
emploie le mot. La pure méthode lexicographique conduit à
des impasses, comme la critique des sources, plus soucieuse de
reconstituer un document hypothétique que de découvrir la
cohérence de la rédaction actuelle. Au-delà des « signes" présen-
tés comme tels (Cana, multiplication des pains, aveugle-né,
Lazare), il existe d'autres interventions du Christ qui relèvent
de cette même catégorie (comme l'expulsion des vendeurs du
temple, le lavement des pieds, les christophanies) et contribuent
à nous faire reconnaître en Jésus, le Messie, le Fils de Dieu
(20,30s.) 43. En chacun de ces cas, le rapport avec l'Ancien Testa-
ment contribue beaucoup à la découverte du sens: le sèméion
est une intervention de salut, en rapport avec une première
ébauche, mais la dépassant, surtout c'est un geste qui, accompli
en un temps et un lieu déterminés, manifeste l'action continue
du Christ glorifié en son Eglise.

rémission de.s péchés (= Bibliotheca Ephemerides Liturgicae - Subsidia 3), Edi·


zioni Liturgiche, Rome 1975, pp. 69-96 (spécialement 93s.).
43 Sur ce texte, voir La tradition johannique, pp. 163-167.
116 EDOUARD COTHENET

Me permettrez-vous en finale de me tourner vers VQUS litur-


1

gistes? Dans l'Eglise catholique, depuis Vatican II, nous avons


fait un gros effort pour revaloriser la liturgie de la parole; les
biblistes y ont apporté leur contribution et ne peuvent que se
réjouir du vaste choix de lectures maintenant offert aux fidèles.
Il semble pourtant que notre liturgie souffre d'un déséquilibre;
il manque des gestes expressifs du message, en rapport avec la
culture et les besoins concrets des hommes de notre temps, qui
permettent de saisir que le Christ n'est pas seulement Celui
qui parle mais aussi Celui qui recrée et exige de ses disciples un
service humble et dévoué, à son exemple (Jn 13,15).

Edouard COTHENET
Directeur de travaux à l'U.E.R. de
Théologie et de Sciences Religieuses
de l'Institut Catholique de Paris
QUAND ET POURQUOI LA COMMUNION DANS LA BOUCHE
A-T-ELLE REMPLACE LA COMMUNION DANS
LA MAIN DANS L'ÉGLISE LATINE?

Avant de chercher à répondre à la question exprimée dans


le titre de la présente communication, deux observations préala-
bles sont utiles. La première est que la communion a toujours
été donnée dans la bouche aux malades et aux petits enfants:
comme on sait, c'est seulement à partir du XII' s. que la com-
munion baptismale des enfants a commencé à disparaître en
Occident '. En second lieu l'Antiquité a connu, vraisemblable·
ment sous l'influence du cérémonial impérial, diverses pratiques
avec les mains recouvertes d'un voile, notamment pour recevoir
la communion '. En Occident. l'usage de recevoir la communion
la main voilée est attestée pour les femmes '.
Ceci dit, les deux premiers documents connus concernant
la communion donnée dans la bouche aux adultes bien portants
ne sont ni l'un ni l'autre des livres liturgiques, mais des pre-
scriptions canoniques. Le premier fait partie des actes du concile
de Cordoue de 839:
« Miramur igitur Casianorum adrogantiam in moribus et nefan-
dis traditionibus, qua se jactant esse sancti, ut eum aliis non utantur
civos, et de diversis calicis communicantes ex suorum sacramenta,
qui in catholicis moribus manent respuenda quae extimerentur
suonun conformes uiras ac mulieres more levitarum eis eucha-
ristiam in manu prorigunt qui propter auspitione Iudaeorum atque
haereticorum quasi ad os ducens manu retenta canibus porrigebant.
Cuius rei causa ab aemulis euitanda a sanctis patribus praeceptum
institutum est, ut de manu sacerdotis ore percipiat eucharistiam
fidelis »".

l Cf. à ce sujet ma contribution «Die Taufkommunion der kleinen Kin·


der in der Iateinischen Kirche Il, dans AVF DER MAUR (H.) et KLEINHEYER (B.) (ed.),
Zeichen des Glaubens. Studien zu Taufe und Firmung, Balthasar Fischer zum
60. Geburtstag, Zürich·Preiburg 1972, 485-491.
2 Cf. G. M. BRAsa, «La velaci6 de les mans. Recul! d'un tema d'arqueolo-
gia cristiana ", dans Liturgica l, Cardinali J. A. Schuster in memoriam, Mont-
serrat 1956, 311-386.
3 Cf. J. A. JUNGMANN, Missarum Sollemnia, trad. française, III, 1954, 313.
4 H. FLOREZ, Espana Sagrada, 3e éd., X, Madrid 1792, 528-529.
118 PIERRE - MARIE GY

Le texte est en mauvais état, et difficile à comprendre. Les


{( Casiani » semblent être un groupement à part, dont les membres
refusent le contact avec les catholiques. Lorsqu'ils reçoivent la
communion d'un ministre catholique, ils font semblant de la
porter à leur bouche, mais la gardent pour la donner aux chiens.
Pour éviter cela, le concile décide que les prêtres donneront
la communion dans la bouche. Une telle décision, prise par
un concile local dans l'Espagne occupée par les Sarrasins, n'a
pas été connue dans le reste da la chrétienté et n'y a pas exercé
d'influence.
Il en va autrement du deuxième document, qui apparaît un
peu plus tard dans une collection canonique, les Libri de syno-
dalibus causis composés à Trèves vers 906 par Réginon de Prüm:
«Dictum est nobis quod quidam presbyteri, celehrata missa,
detrectantes ipsi sumere divina mysteria quae consecrarunt, calicem
Domini mulierculis, quae ad miss as offerunt, tradunt, vel quibus-
dam laids, qui diiudicare corpus Domini nesciunt, id est discer-
nere inter cibum spiritalem et carnalem. Quod quantum sit amni
ecclesiasticae religioni contrarium, pietas fidelium novit. Unde omni-
bus presyteris interdicimus ut nLÙlus imposterum hoc facere
praesumat, sed aut ipse eum reverentia sumat, aut diacoDo vel
subdiaeono, qui ministri aHaris sunt, eolligenda tradat. Illud etiam
attendat ut eos propria manu ante communieet ».
« NuIli autem laico aut feminae eueharistiam in manibus ponat,
sed tantum in ore eum his verbis: "Corpus et sanguis Domini prosit
tibi ad remissionem peeeatorum et ad vitam aeternam". Si quis
haee transgressus fuerit, quia Deum omnipotentem eontemnit et
quantum in ipso est inhonorat, ab altari removeatur» 5.

Il nous faut successivement exan1iner l'origine de ce texte,


son contenu, puis en rechercher l'explication. L'édition Was-
serschleben, qui repose principalement sur les manuscrits de
Trèves et de Gotha, fait précéder notre texte de l'inscription
({ ex concilio Rotomagensi)} et l'on peut, je pense, con~idérer
comme très probable que cette attribution remonte à Réginon
lui-même '. La collection de Réginon contient une demi-douzaine

:J I, 202 (H. WASSERSCHLEBEN, Reginonis, abbatis Prumel1sis, libri duo de syl1O-


dalibus causis et disciplinis ecclesiasticis, Lipsiae 1840, 101-102). Il faut préférer
cette édition à celle de Baluze (reproduite par Migne) « défigurée par les transpo-
sitions et les interpolations maladroites d'un canoniste de peu postérieur» à
Réginon (FOURNIER - LE BRAS) .
., Mais WasserschIcben indique en note la variante: «Ex cl Tor. ».
LA COMMUNIOK DANS LA BOUCHE EN OCCIDENT 119

de canons revêtus de la même attribution. Mais d'une part ceux-ci


n'ont laissé aucune trace avant l'oeuvre de l'abbé de Prüm,
d'autre part quelques uns d'entre eux concernent la juridiction
synodale et les témoins synodaux, «institution caractéristique
des églises de Germanie et des églises de Belgique". Somme
toute, les «canons de Rouen rapportés par Réginon ... ap-
paraissent plutôt comme des apocryphes tendancieux qui furent
rédigés dans les pays rhénans au cours du IX' s.,,', à moins,
ajouterai-je, qu'ils ne soient l'oeuvre de Réginon lui-même,
auquel sont imputables d'autres faux de ce genre. De toute
façon, à partir du C0111mencement des invasions normandes, il
ne peut être question d'un concile tenu à Rouen: Rouen n'est
dans le cas qu'un lieu imaginaire loin de Trèves.
Dans les deux premières phrases du canon, est-il question
de prêtres qui ne communient pas du tout à l'eucharistie qu'ils
viennent de consacrer, ou simplement, le pain et le vin ayant été
offerts en abondance et consacrés, de consommer tout ce qui
en reste? Les deux interprétations sont possibles. Mais c'est à
la dernière phrase du premier paragraphe et à l'ensemble du
second qu'il faut nous arrêter. Ce canon fait une distinction entre
diacres et sous-diacres d'une part, laïcs et femmes d'autre part.
Les premiers, en tant que ministres de l'autel, sont habilités à
recueillir eux-mêmes ce qui reste des oblats consacrés. Aux
seconds il est interdit de recevoir la communion dans la main, à
peine, pour le prêtre qui se serait rendu coupable de la leur
donner ainsi, d'être écarté de l'autel.
Quoi qu'il en soit du cas envisagé au début du premier pa-
ragraphe, la discipline dont il est question dans le deuxième
n'est pas attestée antérieurement. Ce qui a été dit plus haut sur
l'origine du canon donne à penser que c'est Réginon lui-même
qui a fabriqué ce canon pour introduire une nouvelle discipline
ou pour favoriser une pratique en voie de s'établir. Pourquoi?
Le P. Jungmann l'explique de la façon suivante: «Cette
innovation est contemporaine et sans doute dépendante de
l'adoption du pain azyme. Ce pain léger, préparé en minces
plaquettes, invitait en quelque sorte à ce procédé, d'autant plus

1 P. FOURNIER - G. LE BRAS, Histoire des collections canoniques en Occident,


l Paris 1931, 263.
120 PIERRE - MARIE GY

que les parcelles, à la différence de morceaux de pain levé,


adhéraient facilement à la langue humide»".
I! est exact que les premières attestations du pain azyme
et de la communion dans la bouche ne sont pas bien éloignées
dans l'espace et le temps. L'hypothèse avancée par le P. Jungmann
est·elle pour autant suffisante? Je pense que non. Le texte de
Réginon, en même temps qu'il distingue les ministres de l'autel
des laïcs, oppose à la communion dans la main la communion
reçue par les uns et les autres de la main du prêtre. Contraire-
ment à ce qu'écrit Jungmann, le pseudo-canon de Rouen ne
sanctionnait pas "le droit du diacre et du sous-diacre, en tant
que ministri a/taris, de recevoir l'eucharistie dans la D1ain »,
Au contraire, pour eux comme pour les laïcs, il demande que le
prêtre "illud etiam attendat ut eos propria manu ante com-
municet», Nous sommes donc renvoyés au rôle nouvellement
perçu des mains du prêtre.
De fait "tous les témoins de la liturgie franque montrent
que dans nos régions le rite de la consécration des mains [des
prêtres] était universellement et définitivement adopté dès
l'époque carolingienne» '. Et, depuis les gélasiens du VIII' s.,
i! était accompagné d'une formule qui était le plus souvent:
« Consecrentur et sanctificentur manus iste per istam unctionen1
et nostram benedictionem ut quecumque recte sanctificaverint
vel benedixerint sint sanctificata et benedicta» ". A la même
époque l'onction des malades est réservée aux prêtres ", et le
rôle des prêtres s'accentue dans la pratique pénitentielle et dans
l'ensemble de la vie de l'Église ". Selon toute vraisemblance
c'est à cet accent nouveau mis sur le rôle du prêtre qu'est dû
l'abandon de la communion dans la main.
Naturellement un tel déplacement dans la manière de voir
le prêtre change quelque chose dans le rapport de celui-ci à
l'eucharistie. On ne peut néanmoins dire qu'il y ait un change-
ment dans la manière de voir l'eucharistie ni chez Réginon ni,
de façon générale, dans la piété carolingienne ou son pendant

8 Missarurn Sollemnia, trad. française, III, 314.


9 M. ANDRIEU, Les Ordines Romani du haut moyen âge, Louvain 1956, 15.
10 Ordo 35, 1 (Ibid., 39-40).
11 Cf. A.CHAVASSE, Elude mr l'Onction des infirmes dam l'Eglise latine,
J, Lyon 1942, 174.
12 Cf. Y. CONGAR, L'ecclésiologie du haut moyen âge, Paris 1968, 96-98.
LA COMMUNION DANS LA BOUCHE EN OCCIDENT 121

insulaire. Il y a cependant une première anticipation de la piété


eucharistique postérieure chez l'abbé de Corbie Paschase Radbert.
Dans son De Corpore et Sanguine Domini Paschase associe asy-
métriquement à la main du prêtre la bouche des fidèles ", et
il accommode de la façon suivante la prière d'un prêtre qu'il
emprunte aux miracles de S. Ninian: «Te depraecor, omnipotens,
pande mihi, exiguo in hoc mysterio, naturam corporis Christi,
ut mihi Iiceat eum prospicere praesentem corporeo visu, et
formam pueri, quem olim sinus matris tulit vagientem, nunc
manibus contrectare» 1-4. Le prêtre tient dans ses mains consa-
crées le corps de Jésus né de Marie.
Une dernière question se pose: La communion dans la
bouche, dont Réginon dit qu'elle est prescrite, s'est-elle répandue
rapidement? Nous l'ignorons. La première indication à ce sujet
se trouvera, un siècle et demi plus tard, dans les coutumiers
clunisiens. Elle pourrait sans doute être complétée par une
enquête sur l'iconographie de la communion des apôtres. Mais
la manière dont les fidèles communient est restée bien longtemps
réglée par la seule coutume, échappant à toute régulation liturgi-
que écrite. Ce fait aussi intéresse le Iiturgiste et le théologien.

Pierre-Marie Gy, a.p.

13 De Corpore et Sanguil1_e DOl71ini IV, 61-63. 85-88 (CC Cont. Med. 16, 36-
37. - Cf. l'index verborunl au mot « manus »).
14 De Corp. et Sang. Donzini XIV, 138-142 (90). Le texte des Miracula est le
suivant:
«Te precor, omnipotens, mysteria pandere Christi
Incipe portendens naturam cor-poris almi
Ut mihi sit Iicitum pracsentem cernere VISU,
Quem matris gremio quondam visitare salagunt
Pastores, puerum gracili praesepia vocc
Implentem cernunt, celi qui sidera torquet
Cognovere simuI, cecinit quod nuncius ante)l
(M. G. H. Poetae Latil1i Aevi Karolini IV, 3, Berlin 1896, 958).
LE GESTE DE LA FRACTION DU PAIN OU
LES GESTES EUCHARISTIQUES DANS LA TRADITION JUIVE

Pour bien SaISIr la signification de la «fraction du pain»


au niveau de la tradition rabbinique, il faut la situer dans son
cadre organique, qui est celui du repas.
Au centre du repas figure le pain, de sorte qu'il n'y a pas de
repas, au sens halakhique' du terme, sans qu'on consomme au
moins ke-zayit de pain, c'est-à-dire une quantité correspondant
à une olive de taille moyenne, et qu'on dise la bénédiction ap-
propriée. De cette manière, l'expression « rompre le pain» est
équivalente à « faire un repas ». D'après la Halakhah, celui qui,
au début du repas, a fait la bénédiction sur le pain, est dispensé
de faire d'autres bénédictions, au cours du repas, sur les diffé-
rents aliments qu'on sert. Voici comment s'exprime la Mishna
(Ber. VI, 5):
Si (au début du repas), on a fait la bénédiction sur le pain,
on libère (par ce fait même) les plats secondaires 2 de la bénédic·
tian. Si (par contre), on a fait la bénédiction sur des plats complé-
mentaires, on n'est pas dispensé (par ce fait même) de la faire
(également) sur le pain.

Dans Ber. VII, 7, la Mishna précise:

Voici la règle (générale): S'il y a un plat principal, et avec lui


un plat secondaire, on dit la bénédiction sur le plat principal et on
est dispensé (par ce fait même) de la dire également sur le plat sc-
condaire.

1 La Halakah est la règle normative fixée par les maîtres de la tradition en


vue de l'application pratique des commandements de la Torah.
2 Parpéret. de pirpér, PilpcJ de parar, au Pi'el pirér: réduire en miettes.
Parpéret est donc un aliment haché (complément, garniture), sorte de hor5-
d'oeuvre et de dessert qu'on mangeait avec du pain. E. Bancth, Pesachim
(Berlin, 1898), rapproche cc terme ùe ne:ptqJopa:(, {( aClion de porter autour" = ser-
vice à table. De cette manière, parpéret désignerait les différents plats dans
leur succession au cours du repas. Cf. aussi G. BEER, Die Mischl1a ... , Pesachim,
Giessen, 1912, p. 69.
124 KURT HRUBY

L'ordre du repas

Nous voudrions rappeler ici brièvement l'ordre du repas tel


qu'il existait à l'époque dont la tradition rabbinique ancienne
réflète les usages. Cet ordre s'est imposé en très grande partie
sous l'influence des coutumes du monde gréco-romain.
Au début du repas, on servait les hors-d'oeuvres (par péret
she-lifnei ha-mazon): puis suivait le repas à proprement parler,
appelé se'ûdat ou mazon. A la fin, on servait le dessert (parpéret
she-le-al:zar ha-mazon).
La tradition rabbinique distingue entre deux catégories de
repas: 1) se'ûdat mifswah, le repas organisé en vue d'accomplir
un commandement de la Torah, tels les repas des sabbats et
fêtes, de noce, de circoncision, etc. et 2) se'ûdat reshût, le repas
organisé pour des motifs personnels.
Après les hors-d'oeuvres et au début du repas à proprement
parler, les convives prennent place autour de la table '.
Pour la se'ûdal mitslVah, qui comporte au début une béné-
diction sur la coupe et, plus généralement, pour tout repas où
l'on sert du vin, on apporte alors le vin qu'on buvait de préfé-
rence coupé d'eau 4, coutume empruntée également au ll10nde
gréco-romain.

La fraction du pain et les rites qui l'entourel1.t

A ce moment, on apporte de l'eau pour que les convives


puissent se laver les mains. Généralement, on considère cette
prescription comme l'une des Taqqanot zeqéllil1l' par lesquelles
les maîtres ont complété la législation de la Torah '. Dans le
traité Hûllin, !OSa, le Talmud fait remarquer à ce sujet: «La
première et la dernière eau (c'est-à-dire le fait de se laver les
mains avant et après le repas) sont une obligation ... ».

3 Sous l'influence des coutumes du monde hellénistique, on était couché


à table.
4 Yayin ma:.:rlg; cf. Ber. VII,5: "On ne prononce pas la bénédiction sur
le vin avant qu'on l'ail mélangé avec de j'eau - paroles de R. Eli'ézer n. Le
vin non coupé (yayin ~1ai) était considéré comme mauvais pour la santé. Cf.
2 M 15:19.
5« Tradition des anciens »; cf. Mt 15:2 ct Mc 7:3,5.
6 Cf. Yad. IV,3; Hag. 18b.
GESTËS EUCHARISTIQUES DANS LA TRADITION JUIVE 125

Après l'accomplissement de ce geste, celui qui préside au


repas saisit le pain posé devant lui et dit la bénédiction ap-
propriée (cf. Ber. VI, 1). Les convives y répondent amen en
signe de confirmation et sont ainsi dispensés de dire eux-mêmes
la bénédiction à titre individuel.
Après avoir prononcé la bénédiction, celui qui préside à
table rompt le pain (lIll::!). En hébreu biblique, le verbe IIll::!
signifie« rompre)} 7. Puis, par extension, il prend le sens de «pro-
voquer une rupture par rapport au bien d'autrui », c'est-à-dire
faire un bénéfice inique '. Finalement, il signifie aussi « rompre
la vie» et donc tuer 9.
En hébreu rabbinique, 1I11::! signifie« couper en morceaux,
déchirer, rompre, briser ». Dans ce sens, il est employé de pré-
férence dans la locution «rompre le pain », par ex. dans Ber.
39a:
({ Rab Hiyya (bar Rab, vers 250) dit: La bénédiction (sur le
pain) doit être terminée au moment où on le rompt ».

Ou encore (ib. 47a):


«Rab l:Iiyya (bar Rab, vers 250) dit: La bénédiction (sur le
Rab (t en 247): Ceux qui sont réunis pour le repas n'ont pas le
droit de manger avant que celui qui a rompu le pain n'en ait
goûté» 10.

Un autre terme rabbinique employé souvent pour désigner


la fraction du pain est 0'1), déjà utilisé dans ce sens dans la
Bible" .
Pour «rompre le pain », la littérature rabbinique emploie
indistinctement Il:t::! et 0'1)· Du participe passé 0"1) est formé
no,'!), «le morceau détaché (d'un pain entier)>> et donc «le
morceau de pain ». Puis, comme pars pro toto, ,'O,.,!) devient
synonyme de ({ pain)} tout court, un peu comme l'expression

7 Cf. JI 2:8: 1< L'un ne sc heurte pas contre l'autre, chacun suivant son
chemin: ils se jettent sur les armes, sans rompre leurs rangs (lo yivtsa'û) ».
B Cf. Ps 10:3: Pr 1: 19; 15:27: Jr 6: 13; 8: 10; Ez 22:27: Ha 2:9.
'Jb27:B.
10 Cf. aussi j. ib. VI,l,lOa au nom de R. Abba (vers 290), qui transmet un
enseignement de Rab.
11 Par ex. dans 1s 58: 7: « ••• de partager ton pain avec l'affamé (ha-Io paros
la-ra'êv lahmékha) »: cf. aussi Jr 16:7: «On ne rompra pas le pain (we-Io
yifresû) de deuil pour ceux qui pleurent un mort".
126 KURT HRUBY

(cn,) ne; {( un morceau de pain », devient synonyme à son tour


et de pain et de nourriture en général l2.
Quant à la manière de procéder pour rompre et distribuer
ensuite le pain parmi les convives, le Talmud s'exprime comme
suit (j. Ber. VI, 1, lOa):
Chaque fois que Rab rompait le pain (après avoir prononcé
la bénédiction) il en goûta avec la (main) gauche et en distribua
(aux convives) avec la droite.

Habituellement, c'était le père de famille ou celui qui


recevait dans sa maison qui rompait Je pain. Toutefois, dans
le but d'honorer un hôte de marque, on pouvait inviter celui-ci
à procéder à ce rite. Pour illustrer cet usage, voici un passage
du Talmud qui en parle (Ber. 46a):
R. Ze'ira (vers 300) était malade. Lorsque R. Abbahû lui rendit
visite, il s'engagea à organiser une fête pour tous les maîtres si
jamais le petit aux cuisses roussies 13 allait recouvrer la santé. (R.
Ze'ira) fut (effectivement) rétabli et CR. Abbahû) organisa un festin
pour tous les maîtres. Quand arriva le moment de rompre le pain 14,
(R. Abbahû) dit à R. Ze'ira: Que le seigneur (veuille donc bien)
rompre le pain pour nous! (R. Ze'ira) répondit: Est-ce que le seigneur
ne tient pas compte de ce qu'a dit R. YoJ:tanan (Nappa~a, t en 279),
à savoir que c'est Je maître de la maison qui doit rompre le pain
<11111:1 )? Alors (R. Abbahû) rompit le pain.
Quand arriva le moment de dire les grâces, (R. Abbahû) dit
(à R. Ze'ira): Que le seigneur (veuiJle bien) dire les grâces! (R. Ze'ira)
lui répondit: Est-ce que le seigneur ne partage pas l'avis de R.
Hûna le Babylonien ft en 297) qui a dit: Celui qui a rompu le pain
(au début du repas) dit aussi les grâces (après le repas)?
A quelle opinion se conformait (R. Abbahû)? A celle de R.
Yo~anan, qui avait dit au nom de R. Shim'on b. Yo~ai (vers 150):
C'est le maître de la maison qui rompt le pain (au début du repas),
et c'est l'hôte qui dit les grâces. Le maître de la maison rompt le
pain afin qu'il le fasse d'un oeil bienveillant (c'est-à-dire pour qu'il
en distribue généreusement aux convives), et l'hôte dit les grâces
pour qu'il bénisse (à cette occasion) le maître de la maison.

12Cf. par ex. pal yisraël et pat goyjnz dans j. 'Ab.z. II,7,41d.
13Surnom de R. Ze'ira; cf. B. M. 85a: A la suite d'une expérience faite
pour se prouver à soi-même que le feu de la Géhenne n'avait aucun pouvoir
sur lui, R. Ze'ira s'était brûlé les cuisses en s'asseyant sur un poêle chauffé.
14 Ki meta le-mishri; le texte utilise le verbe araméen t('tv, ',TD. en hébreu
/,.,U1. ~"'e. dissoudre, tremper, plonger, - qui signifie délier, défaire, permettre,
puis «délier la ceinture» = s'attabler, puis par extension u commencer le
repas en rompant le pain ».
GESTES EUCHARISTIQUES DANS LA TRADITION JUIVE 127

Lorsqu'un Aaronide sc trouvait parmi les convives, il semble


que c'est à lui qu'on réservait le rite de la fraction du pain,
le-ma'cul ha-shal0711, «dans l'intérêt de la paix». Voici ce que
dit le Talmud à ce propos (Guit. 59b):
On enseignait dans l'école de R. Yishma'el (vers 135): Il est
écrit (Lv 21:8): « Tiens-le (le prêtre) pour saint )}, c'est-à-dire par
rapport à tout ce qu'il faut accomplir en sainteté: il commence le
premier (la lecture de la Torah à la synagogue), il dit le premier
la bénédiction (sur le pain au début du repas) et il reçoit le premier
une bonne part (au moment du repas).

Le caractère essentiellement social du rite de la fraction du


pain dans le cadre du repas pris en commun est mis en relief,
dans la tradition rabbinique, par la stipulation suivante (R. H.
29b):
Un homme n'a pas le droit de rompre le pain (au début du
repas) (10 yifros adam perûssah) pour les convives à moins qu'il
ne mange avec eux; (toutefois) il peut le faire (sans participer per-
sonnellement au repas) pour ses enfants et pour les gens de sa
maison, afin de les habituer aux commandements.

La place centrale qu'occupe, dans la tradition rabbinique,


la bénédiction et la fraction du pain, comme gestes constitutifs
de tout repas, s'explique d'une part par l'importance du pain en
sa qualité d'aliment par excellence et, d'autre part, par le ca-
ractère social et communautaire du repas. A cela s'ajoute, com-
me aspect concomitant - mais gui, peut-être, est à l'origine de
la fraction du pain - le fait que, à cause de sa forme et de
sa taille, le pain, pour qu'on puisse le manger commodément, a
précisément besoin d'être « rompu ».

Lu forme et la qualité du pain


La littérature rabbinique connaît un grand nombre de termes
pour désigner le pain: cn, (léJ:zem) , KOn, (/a!wma) ou ,10,1;
(nahama); MEl (pat), KM 'El (pita) ou KMMEl (pite ta) ; KM El, (rifta);
Kr.:I"~ (tûlma: miche), etc., pour ne mentionner que les plus
fréquemment employés. Ces noms se rapportent très probable-
ment à des différences en ce gui concerne la forme et la qualité
qui existaient entre les différentes sortes de pain. A part cela,
128 KURT HRUBY

il existe d'autres ternIes propres à certaines régions, ainsi qu'une


multitude de pâtisseries qui se situent entre le pain et les
gâteaux.
Compte tenu de cette diversification, les maîtres de la
tradition on été dans l'obligation de spécifier ce qui doit être
considéré comme pain à proprement parler pour qu'on puisse
l'utiliser validement dans les rites du repas.
En soi, on estime que seulement la farine provenant des
" cinq espèces (de blé)>> (lJaméshet ha-minim) suivantes se prête
à la fabrication de pain levé 15: le froment, l'orge, l'épeautre, le
millet et l'avoine. Ce sont d'ailleurs encore ces mêmes espèces
qu'on peut utiliser, à la Pâque, pour la fabrication du pain
azyme. D'après Hal. 1,2, quiconque s'engage par voeu à ne pas
consommer du pain (pat) ou tout ce qui provient de l'aire
(tevûah), n'a pas le droit de consommer ces cinq espèces de
céréales. D'après une autre opinion dont la Mishna fait état
dans le même contexte, cette interdiction le frappe à partir du
moment où il s'engage simplement à ne pas manger du blé
(dagan) , ce terme comprenant automatiquement les autres
céréales qui servent habituellement à la panification. Dans le
Talmud de Jérusalem (j. Hal. I,3,S7c), R. Hiyya dit au nom de
R. YoJ:!anan qu'habituellement on appelle « pain» (pat) unique-
ment ce qu'on fabrique à l'aide de farine de froment ou d'orge.
Or, fait remarquer R. Yossé, bien que le terme de « pain» (pat)
soit souvent employé pour tout farineux, il ne s'applique à
proprement parIer qu'aux « cinq espèces ».
D'autres critères pour le pain sont que tout ce qui est
préparé à l'aide de farine de froment - à laquelle sont assi-
milées les quatre autres espèces de céréales mentionnées plus
haut - et qui a une forme de pain (bi-zeman she-ha-perûssot
kayyamot) est du pain et nécessite qu'on prononce, en le
consommant, la bénédiction appropriée (birkat ha-motsi), tandis
que tout le reste est simplement « aliment» (mazon) , et la béné-
diction est alors boré mine; mezol1ot (Ber. 37a).

lS Ce sont d'ailleurs ces «cinq espèces» qui sont soumises à la Hallah,


au prélèœment d'une partie de la pâte en faveur des prêtres: cf. Hàl. 1,2.
GESTES EUCHARISTIQUES DANS LA TRADITION JUIVE 129

En fonction de ces critères, il semble qu'il faille encore


assimiler au pain les patisseries suivantes: "."n (lJararah), une
galette cuite sous la cendre (Shab. 1,10), - à ce genre semble
aussi appartenir la i"1~,r;,n (!zamitah; cf. Tebûl Yom 1,1). - ',n
(J;ori) et i,~"j 1'f1" (patin gueritsin, «pain épais »; cf. Betsah
II,6); i'lP1'1il (troqnin, mieux ,'lllp'lll traqta = tracta en latin:
Ber. 37b), une sorte de pain cuit dans un trou de terre chauffé
au préalable, ainsi que les 1'00:1" = 7t"~IXf!.iiç: biscottes (Nb R.
VIl,4).
Habituellement, le pain se présentait sous forme de galette
assez mince, comme encore de nos jours dans les pays du
Proche-Orient. On aimait le manger de préférence chaud ("r;,n f1El,
pat (zamah: Ter. X,3). Dans cet état, le pain était souple, on
posait plusieurs galettes les unes sur les autres et on les déchirait
plutôt que de les rompre pour puiser la nourriture dans les
plats à l'aide des morceaux ainsi obtenus. Le terme technique
l'our cette manière de faire est 1':1 (karakh) , «envelopper »,
comme par ex. dans j. Hal. 1,I,S7b et Peso l1Sa: «Hillel enveloppa
(she-hayah korekh be-vat aJ;at) (les herbes amères dans du pain
azyme) et mangea (le tout) ensemble ». ,.,:1 (karakh) , en araméen
',:1 (kerakh) ou ".,:1 (kereikh), devient à son tour l'un des termes
employés habituellement pour « faire un repas» ou «manger})
tout court, comme par ex. dans Ta'n. 23b: «(Abba Hilqiyah)
était assis et mangea du pain (yatev 1I'e-karekh rifla) mais il ne
disait pas aux (autres) maïtres: Venez et mangez (avec moi:
tû kerokhû) ».
Un indice pour la prédilection qu'on avait pour le pain frais
se trouve dans un passage midrashique où il est dit (Lv R.
XXXII,3): «C'est l'habitude du roi de manger du pain chaud ».
Dans le Talmud, on dit que « le pain chaud (mangé) après la fin
du Sabbat est une délice» (Shab. 119b).
Quand la galette refroidit, elle devient d'abord rassie
(nahama aqisha: Ket. 39b), puis franchement dure (pat Isenû-
mah: Ber. 39a). C'est alors qu'il faut effectivement la «rom-
pre". On servait le pain à table soit en entier (shelémah) soit
en morceaux (perûssa"; cf. Demaï V,S: perûssal pat). Pour faci-
liter la fraction du pain lorsqu'on se servait de pain sec, on le
perforait parfois aU moment de la préparation (kikar naqûv:
M. Sam V,3).
130 KURT HRUBY

Le pain et le sel
En fonction de la maxime talmudique: "Un repas sans sel
n'est pas un vrai repas» (Ber. 44a) , la coutume veut qu'après
avoir prononcé la bénédiction sur le pain, au début du repas,
et après l'avoÎr « rompu», on trempe dans du sel le morceau
qu'on va manger. "Rabba b. Samuel dit au nom de R. Hiyya:
Celui qui rompt le pain n'est pas autorisé à le faire avant qu'on
n'ait apporté du sel (à table) '> (Ber. 40a).
La coutume de ne pas procéder au rite qui inaugure le repas
avant que du sel ne soit posé sur la table s'explique en fonction
de l'importance que ce condiment avait autrefois dans le culte
sacrificiel. La Torah spécifie en effet (Lv 2: 13) que toute oblation
doit être assaisonnée de set ( signe d'alliance avec ton Dieu ».
La tradition rabbinique (Men. 19b/20a) - se basant d'une part
sur Nb 18: 19 où, dans un contexte traitant des prélèvements
effectués en faveur des prêtres, l'Ecriture dit: "C'est une al·
Iiance de sel '> et, d'autre part, sur Nb 25: 13, la promesse de la
possession du sacerdoce faite par Dieu à PinJ:>.as, fils d'Elé'azar,
fils d'Aaron, - étend cette prescription à l'ensemble des sacri-
fices, spécifiant que « de même qu'aucun sacrifice ne peut être
offert sans le concours d'un prêtre, de même il ne peut pas
être offert sans addition de sel '>.
Or il faut se rappeler qu'après la destruction du Temple,
les maîtres ont eu tendance à assimiler à l'autel la table où
l'homme pieux traite les pauvres avec libéralité (cf. Ber. 54b/55a):
Rab Yehûdah (h. Ezéchiel, maître babylonien mort en 299) disait:
Trois choses prolongent les jours et les années (de la vie) d'un
homme: Prolonger la prière, s'attarder à table ... S'attarder à table:
il se peut qu'un pauvre se présente et qu'on peut (alors) lui donner
quelque chose. Il est écrit (Ez 41:22): «L'autel, en bois, avait
trois coudées de haut et deux coudées de long ». Puis il est écrit
(ibid.): «Voici la table qui est devant le Seigneur ». Pourquoi (le
verset) commence-t-il par l'autel et se termine-t-il par la table?
R. Yo1:J,anan (Nappa1:J,a) et R. Elé'azar (b. Pedat, vers 270) disent à
ce sujet: Tant que le Sanctuaire existait, c'est l'autel qui opérait
l'expiation pour Israël; à l'heure actuelle, c'est la table de l'homme
qui opère l'expiation pour lui (cf. aussi Men. 79a).

Il est toutefois un fait que la coutume actuelle de ne jamais


manger sans sel le pain au moment de la bénédiction à table
ne s'est généralisée qu'assez tardivement. Les décisionnaires
GESTES EUCHARISTIQUES DANS LA TRADITION JUIVE 131

expliquent cette coutume en disant qu'il faut mettre du sel sur


la table pour éviter que celui qui prononce la bénédiction sur
le pain n'en demande avant de le rompre (à cause de la mauvaise
qualité du pain), ce qui est interdit: il ne faut en effet pas
parler à ce moment pour marquer le rapport intrinsèque entre
la bénédiction et le rite de la fraction du pain, les deux consti-
tuant un tout inséparable ".
A l'époque des Tossafistes ", on supposait que le pain était
généralement de bonne qualité. En conséquence, on eut tendance
à dispenser de l'obligation de mettre du sel sur la table. R. Me-
naJ:1em b. Pérets de Joigny s'y opposa, faisant remarquer que si
des gens étaient réunis à table sans accomplir un seul com-
mandement, Satan les accuserait et leur seule protection serait
alors 1'« alliance du sel» '". C'est R. Moïse lsserles de Cracovie
(1510-1572) qui, dans ses gloses normatives du Shûl!:zan 'Arûkh
appelées Mappah (<< Nappe »), a rendu obligatoire le geste de
tremper le pain dans du sel avant de le manger.

Les bénédictions
La fraction du pain, nous l'avons dit, est obligatoirement
prédécée de la bénédiction sur le pain dont la formule figure
dans la Mishna (Ber. VI,I): «(Sois béni Seigneur, Roi de l'Uni-
vers), qui fais sortir le pain de la terre» (ha-motsi lé!:zem min
ha-arets). Cette bénédiction s'inspire de Ps. 104: 14: «Tu fais
croître l'herbe pour les animaux domestiques, des plantes pour
l'usage de l'homme, en tirant sa nourriture du sein de la terre
(le-hotsi lé!:zem min ha-arets). Le pain étant considéré - nouS
l'avons également dit plus haut - comme la nourriture par
excellence, cette bénédiction, prononcée au début du repas,
dispense les convives de toute autre bénédiction sur les aliments
consommés au cours du repas (Ber. VI,5). D'une manière géné-
rale, toute absorption de nourriture doit être précédée d'une
bénédiction, la tradition rabbinique considérant comme un

16 Cf. Shûlij.an 'arûkh, Or Hayyim, 167,5.


17 On appelle ainsi les écoles où furent élaborées les gloses du commen-
taire du Talmud de Babylone de Rashi (1040-1105). Les représentants les plus
importants de ces écoles sont R. Jacob b. Meïr Tarn, le petit-fils de Rashi.
et R. Isaac b. Asher ha-Lévi de Spire, lui aussi disciple de Rashi.
18 Cf. Tossafot de Ber. 40a.
132 KURT HRUBY

sacrilège le fait" de jouir (des biens) de ce monde sans béné-


diction» (Ber. 35a).
Lorsqu'on a, de cette manière, prononcé la bénédiction sur
le pain au début du repas, - ou si l'on a mangé seulement du
pain à l'exclusion de tout autre aliment, - on est obligé de
réciter les grâces à la fin du repas.
Si au moins trois hommes ont mangé à la même table, ils
doivent faire précéder les grâces d'une formule particulière d'in-
vitation (birkat ha-zimmûm; cf. Ber. VII,l-4) que celui qui préside
adresse aux convives et à laquelle ceux-ci répondent.
Etant donné que les morceaux de pain servaient aussi pour
saucer tout au long du repas, la fin du repas était tout natu-
rellement marquée par le geste d'enlever le pain de la table (cf.
Tas. Ber. IV,9):

Rabban Shim'on b. Gamaliel (vers 140) disait: Les morceaux


de pain (perûssol) sont un grand signe pour les convives: tant
qu'ils voient des morceaux de pain (sur la table), ils savent qu'il y
a encore quelque chose (à manger). (Par contre), quand ils voient
un pain entier (kikar lé/;Jem), des tranches de poisson et des légu-
mes secs, ils savent que rien ne sera plus servi.

Toutefois, nOus apprenons également qu'on hésitait à enlever


tout le pain de table à la fin du repas. Voici le passage corres-
pondant du Talmud (Sanh. 92a):

R. Elé'azar (b. Pedat) disait: Celui qui, (à la fin du repas),


ne laisse pas de pain (pat) sur la table, ne voit jamais un signe
de bénédiction, car il est écrit (lb 20:21): «Rien ne reste de sa
nourriture; pour cette raison, son bien-être n'aura pas de durée ».
Toutefois, R. Elé'azar disait (également) que celui qui, (après le
repas), laisse des miettes de pain (petitim) sur la table, ressemble
à un idolâtre, car il est écrit (Is 65: 11): {( Vous qui dressez une
table pour Gad (dieu de la fortune) et remplissez plein les coupes
en l'honneur de Meni (dieu du destin) ». - Ce n'est pas une objection:
dans le dernier cas, il y a un pain entier Cà table), dans le premier,
(par contre), il n'y a pas de pain entier 19.

Avant de réciter les grâces, on se lavait une dernière fois


les mains. Nous avons déjà cité le passage correspondant du

19 On considérait comme un usage païen le fait de placer un pain entier


sur la table après la fin du repas.
GESTES EUCHARISTIQUES DANS LA TRADITION JUIVE 133

Talmud, mais nous le reprenons néanmoins ici dans sa forme


intégrale (Rû!. !OSa):
La première eau (avant le repas) et la dernière eau (après
le repas) sont une obligation; (par contre), l'eau servie pendant le
repas (pour que les convives puissent se purifier les mains entre
les différents plats) est laissée à la libre appréciation (de chacun).

En règle générale, le maître de maison invite le plus digne


parmi les convives - lequel, parfois, avait aussi prononcé la
bénédiction sur le pain au début du repas - à dire les grâces.
Toutefois, la Ralakhah précise que même à supposer qu'un hom-
me jouissant d'une considération particulière ait seulement
rejoint les convives à la fin du repas (mais qu'il ait néanmoins
mangé en leur compagnie un morceau de pain), ce serait lui qui
devrait alors présider l'action de grâces (Ber. 47a).
Lorsque, comme c'était la règle pour les repas de fête, on
a prononcé la bénédiction sur la coupe au début du repas, on
dit aussi les grâces sur une coupe de vin (kas shel berakah). Les
indications de la littérature rabbinique se rapportant à cet
usage sont particulièrement nombreuses. Quant à la manière
de tenir cette coupe pendant la récitation des grâces, le Talmud
spécifie (Ber. Sla):
On la saisit (d'abord) des deux mains; puis on la prend dans
la main droite, on l'élève d'lme largeur de main au-dessus de la table,
on la fixe des yeux (et on dit les grâces).

Kurt RRUBY
DES ACCLAMATIONS DANS LA LITURGIE BYZANTINE

Le tenne a ccl a mat ion, acc/amatio et adclamatio en


latin, È:7tLtpWV1)c:nÇ et 7tpocrq:n~v"t)cnç en grec, désigne un cri ou une
clameur, surtout ceux d'une assemblée ou d'une foule, qui ap-
prouvent ou qui félicitent. Dom Cabrol, dans l'article qu'il a
consacré aux acclamations " rappelle que leur usage était très
fréquent dans l'antiquité païenne et qu'il le devint tout parti-
culièrement à Rome sous les empereurs. Cet usage des accla-
Inations a été conservé par l'Église chrétienne. On peut en voir
les manifestations dans les conciles, pour l'élection et les ré-
ceptions des évêques, pour le sacre des empereurs '. On le vit
entremêlé à des acclamations de caractère plus liturgique dans
la célébration du culte chrétien. L'emploi d'acclamations dans
la célébration du culte s'est conservé jusqu'à nos jours.
Les acclamations en liturgie, où ce terme est devenu
aujourd'hui classique grâce aux liturgistes, sont représentées
par tout un ensemble de formules particulières qui ne sont ni
des hymnes, ni des prières, ni des exorcismes. Ce sont, en gé-
néral, des formules très brèves et qui dans leur brièveté ex-
priment soit un souhait, soit une affirmation, soit une adhésion
à une prière, soit une invocation ou une supplication et qui
peuvent être également un cri de jubilation ou de triomphe.
Elles existent dans toutes les liturgies. Plusieurs de ces accla-
mations avaient cours déjà dans l'Église vétérotestamentaire et
les chrétiens ne craignirent pas de les conserver. Certaines de-
vinrent même très populaires. Elles nous furent transmises avec
d'autres acclamations, apparues très tàt dans la liturgie chré-
tienne, sans doute déjà al' cours des trois premiers siècles. Elles
témoignent du style populaire et presque spontané de la célé-

IF. CABROL, «Acclamations », DACL l,l, col. 240 et 55.


:.1 Ibid., col. 241-244.
136 ALEXIS KNIAZEFF

bration liturgique. Leur existence dans toutes les liturgies chré-


tiennes sans exception peul être tenue pour signe de l'unité
liturgique primitive dans l'Église du Nouveau Testament. Mais,
ensuite, chaque famille liturgique chrétienne a connu dans le
domaine des acclamations une évolution qui lui était particulière.
Notre propos est de voir ce qu'il en a été des acclamations dans
la liturgie byzantine.

1.

Les acclamations de la liturgie byzantine ont été jusqu'à


présent peu étudiées, du moins en ce qui concerne les auteurs
orthodoxes. Ces derniers s'intéressent moins aux mots eux-mê-
mes et à l'historique de leur emploi qu'à leur contexte liturgique
actuel et à la théologie qui en découle. De plus, la liturgie
byzantine a connu un très grand développement de l'élément
hymnographique. Le choeur byzantin a reçu de ce fait dans les
offices un rôle tel qu'il a pratiquement exclu la participation
du peuple lui-même. Les acclamations y ont donc pu s'amalgamer
à l'élément chanté beaucoup plus que dans toute autre liturgie
et, par là, elles ont cessé d'apparaître comme des cris et des
clameurs de l'assemblée tout entière. Malgré cela elles subsistent
et, comme on va le voir, elles sont même relativement nom-
breuses.
En voici, d'abord, deux qui continuent encore à être de
véritables acclamations, c'est à dire des clameurs de toute
l'assemblée qui prie. C'est, en premier lieu, 1'<iÀ1)6&ç &vkO""t""Ij (il est
vraiment réssuscité) pascal, par lequel le peuple répond pendant
les célébrations du dimanche de Pâques et de toute la semaine
qui le suit à la salutation du célébrant: Christ est ressuscité,
XptO"t'oç &:vÉO"t'1J. C'est, en second lieu, le cri &çtoç, « il est digne}),
que nous trouvons dans le rituel de l'ordination du diacre, du
prêtre et de l'évêque ainsi que dans celui de certaines promo-
tions 3, L'évêque l'entonne en procédant à la remise à celui qui

3 Cf. E. MERCENNIER, La prière des Eglises de rite byzantin. 1. L'Office


divin, la liturgie, les sacrements, 2e édit., Chévetogne, pp. 373 et .ss.
________~D~E=S~A~C~C~L~A~~~A~T~IO~N~S_D~A~N~S~L~A_L=I~T::U~R~G~I=E~B=Y~Z=.__________ 137

vient d'être ordonné de ses vêtements liturgiques. Ce cri est


repris trois fois par le clergé et trois fois par le peuple ou le
choeur. Il rappelle que, conformément au 7' canon de Théophile
d'Alexandrie, l'ordinand tient son élection de l'Église tout entière
et qu'il reçoit le sacrement de l'ordre par les prières de l'évêque,
du clergé et du peuple réunis. Ce cri d'approbation est clamé en
grec, même dans les Églises slaves, sauf chez les Bulgares qui
l'ont remplacé par «dostoïn», qui est son équivalent slavon.
D'autres formules encore ont gardé dans la liturgie byzan-
tine leur brièveté primitive, mais, sauf de très rares exceptions,
elles ne sont pas dites aujourd'hui par le peuple, mais par ceux
qui le représentent: les lecteurs, les chantres ou le choeur. Il en
est ainsi de l'AMEN, qui demeure la plus importante des accla-
mations. Elle a été largement décrite par les Pères et les litur-
gistes orthodoxes plus récents. Elle esl d'origine vétérotesta-
mentaire: Deut. 27.15-26; 1 Chrono 16.36; Néh. 8.6; PS. 40.14;
71.19; 88.53; 105.48; elle a été reprise dans le Nouveau Testament
dans 1 Cor. 14.16; II Cor. 1.20; Apoc. 3.14; 5.14; 7.12; 19.11. Elle
est passée sans traduction de la liturgie juive dans la liturgie
chrétienne tout comme elle n'a pas été traduite par les auteurs
des livres du Nouveau Testament '. Dans la liturgie byzantine,
comme partout ailleurs, elle est la manifestation de la partici-
pation active des fidèles à la prière. Elle proclame la foi en la
Révélation divine, en l'Eucharistie '. Elle ratifie la prière et les
souhaits énoncés.
A côté de Amen nous trouvons d'autres formules d'acclama-
tions, aussi fréquentes et aussi brèves: « gloire à toi, Seigneur,
gloire à toi», le « Kyrie eleison» et d'autres supplications et
exclamations liées au très riche développement dans la liturgie
byzantine des litanies, en particulier de celles que prononce le
diacre 6, telles que 1CCXP«OXOU, Kûpte, « accordewle, Seigneur», ou
crot, Kup!.E, « à toi, Seigneur)}. On peut aussi ranger parmi les
acclamations le Trisagion 7 ainsi que toutes les réponses du peuple

4 F. CABROL, «Acclamations >l, up. cif., col. 254; «Amen ». DACL l, L c. 1554-73.
5 Dans les nouvelles communautés francophones de la Diaspora orthodoxe
on a repris l'ancien lisage du triple «Amen» prononcé par l'assemblée entière
à l'épiclèse au moment de la consécration des saintes espèces.
6 Cf. La Prière des Eglises de rite byzarltil1, 1. La Prière des Heures, Ché-
vetogne 1975, pp. 60-61, 68-71.
7 Ibid., p. 60. Voil- aussi S. JANERAS, Les ByzaJlril1.'; et le Trisagiol1 chris tolo-
giqtu, Miscellanea liturgica (card. G. Lercaro), Il, Rome 1967, pp. 469-499.
138 - - - - ALEXIS K!'XIAZEFF

à des salutations du célébrant, à ses annunces, à ses invitations


à la prière:
,- , ,
«et avec ton esprit Il: Xct~ T(l) rr')e:'JlLO:'t'~ O'QU
«miséricorde de paix, sacrifice de louange »: ~À;::o'J dF';'.rtlÇ, O'JO"(ŒV
cdvÉO"E:wç
« nous les avons vers le Seigneur »: ëXO:LE:'J ï:pOç ""j') l\.UpLov
( il est digne et juste »: &';toV XIXi. 8h(.IXLOV
le Sanctus: a'(to:;;, él'l'LOÇ, fi'rto" ...

Ces acclamations se retrouvent dans toutes les liturgies


d'Orient et d'Occident' et marquent le dialogue qui s'engage
entre le prêtre et les fidèles au moment du canon eucharistique.
D'autres acclamations relèvent plus particulièrement de l'ana-
phore byzantine:

1) « nous te chantons »: ~t ,j:-LVfJu:J.E:'J


{( pour tous et pour toutes JI: xo:l rriVTW') xctt ,,0:0"(7)'J
la réponse du peuple à la proclamation .-2 &'(L(( 't'oT; &'Y[OLÇ: Et,
::':'(tO;, do; Kuptaç, 'hpoür; XpLO'.6ç, dç 86';0:\1 O;::oü ITO:'t"paç. 'ArJ·~v.

2) Le koinonikon, dont la formule, suivie de l'Alleluia, se pré-


sente comme suit en ten1pS ordinaire: 'AvdTE TOV KupLov ~,( TWV
CJ'Jp~'Jû.l\I, &.VE~-rE ~.j"t"àv h Tote; ù'~icrTO~C; ...

3) Le chant par lequel le peuple répond à l'invitation à la


communion que le prêtre adresse aux fidèles: "Béni est celui qui
vient au nom du Seigneur! Le Seigneur Dieu il nous est apparu! ».
4) La réponse du peuple à l'invitation du prêtre: "sortons en
paix! », {( au nonl du Seigneur» (È.v OV6!J.ClTL Kuptou).
Nous retrouvons dans les offices particuliers des saints
clammé par le célébrant et repris par le choeur ou le peuple
tout entier l'aRA PRO NaBIS gui apparaît dans les inscriptions
anciennes 9. Nous pouvons égalenlent ranger parmi les acclama-
tions le chant {( Inémoire éternelle », Atw\lt~ ~ !l.v~!l-"tJ, qui ternline
chez les Byzantins les offices des funérailles. Nous ajouterons
aux acclamations le chant: Er:; 1tQÀÀa ËTYll 3É cmo-rx, par lequel le
peuple salue l'évêque qui le bénit au cours des célébrations

a E. L/\N:\:F, Liturgie eucharistique eH O"ient et en Occident, D. S. 6. «U-


t.urgie et vje spirituelle », Paris 1977, pp. 31 55.
9 F. C-\RlmL, «Acclamations », op. cil., c. 244 55., 259·260.
DES ACCLA~\rlATIONS DANS LA LITURGIE BYZ. 139

pontificales. Cette salutation est chantée en grec dans les Églises


orthodoxes slaves à l'exception de l'Église bulgare qui, là aussi,
a préféré utiliser la traduction slavonne: « na mnogaja lieta,
vladyko» = pour de nombreuses années, Monseigneur!
Toutes ces formules ont reçu chez les auteurs orthodoxes
des interprétations théologiques et spiritualistes, que nous trou-
vons rassemblées dans les ouvrages conl1ne la ({ Novaja Skrizal »
de l'Archevêque Benjamin de Nijni-Novgorod et d'Arzamas. Une
étude historique serait à souhaiter pour chacune d'elles. Une
telle étude mettrait en lumière de nombreux aspects de la parti-
cipation de l'assemblée à la prière liturgique. EJle aurait aussi
l'avantage de mieux nous faire apparaître l'unité liturgique
dans l'Église chrétienne. Mais la liste des acclamations que nous
avons donnée plus haut n'est pas encore complète. Nous devons
encore parler de formules qui, incorporées ou non à l'élément
chanté, ont un sens d'emblée beaucoup moins apparent et précis
que celles ci-dessus énumérées. Elles posent le problème de la
signification de leur emploi dans les célébrations liturgiques et
un autre, plus général: celui du role des acclamations.

II.

La première de ces formules est ALLELUIA. Rappelons que


ce mot est composé de deux mots hébreux: hal/Elu et ja!, et que,
pris ensemble, ils peuvent être traduits: louez le Seigneur. Les
LXX ont laissé à cette formule sa forme historique et, sans la
traduire, l'ont transcrite: IlÀÀ"lJÀOU';". Rappelons aussi que dans
l'Ancien Testament ce terme se rencontre comme acclamation
liturgique dans Tob. 13.12 et surtout dans les psaumes alleluia-
ques 111 et ss. au début, 104 et ss., 115-117 il la fin, 106, 113-135,
146-150 au début et à la fin du psaume. C'est une ajoute d'origine
liturgique, ainsi qu'en témoignent les traditions différentes du
texte dans la LXX et les autres versions anciennes. Cette ajoute
était entonnée à l'origine par un prêtre ou un lévite et répétée
par le choeur (cf. Ps. 106.48) ou par le peuple. Dans le Nouveau
Testament ce mot se trouve seulement dans l'Apocalypse (19.1-5),
où il représente le chanl de jubilation des anges après le juge-
140 ALEXIS KNIAZEFF

ment de la grande prostituée. Dans la liturgie chrétienne son


emploi est général.
Dans la liturgie byzantine ce mot a reçu un emploi aussi
vaste que varié. Il est tantôt acclamation, tantôt antienne, tantôt
refrain, tantôt il entre dans des compositions hymnographiques.
Proclamé ou chanté, il est généralement répété trois fois et
l'on peut rappeler ici que c'était l'un des thèmes de la dramatique
discussion qui en Russie, depuis le XVII" s. oppose les orthodoxes
et les vieux croyants qui estiment qu'il y a lieu de le dire deux
fois en le faisant suivre de sa traduction: gloire à toi, Seigneur! 10
Nikol'skij 11 dans son "Manuel" donne la longue liste de cas
d'emploi de l'Alleluia dans la liturgie byzantine. Il y en a environ
une trentaine. On trouve l'Alleluia dans toutes les célébrations
de l'année liturgique. On le trouve aussi dans celle des sacre-
ments et des sacramentaux. Dans les limites de la présente com-
munication nous nous arrêterons sur la présence de l'Alleluia
dans la liturgie eucharistique et dans l'office des heures.

A) A la liturgie eucharistique on chante l'Alleluia entre la


lecture de l'Épître et celle de l'Évangile. Le chant s'accompagne
de la proclamation de versets tirés de l'Ecriture Sainte et consti-
tue l'alléluaire. On le trouve tout au long de l'année sauf dans
la liturgie du Saint et Grand Samedi, où il est remplacé par le
chant de "Lève toi, ô Dieu, et juge la terre" accompagné des
autres versets du ps. 82 (8!) ". On chante aussi l'Alleluia à la
petite entrée, sauf aux fêtes de l' classe, dites fêtes du Seigneur ",
et à Pàques, quand son chant a lieu aux antiphones avec les
versets de la fête. Si de la liturgie dite des catéchumènes nous
passons à la liturgie des fidèles, nous trouvons le triple Alleluia
à la grande entrée, lors de la procession des oblats, et après

10 K. NIKOL'SKI.J, Posuhie k izuécllijll Witava bogusillzenija Pravo.~/avnoj


Cerkvi, 6c éd., Saint-Pétersbourg 1900, p. 186 note 2.
11 K. NIKOL'SKTJ, op. cit., p. 848. Voir également la communication de M. le
chanoine André ROSE: L'lISage et la signification de J'Alleluia ell Orient et eH Oc-
cidela, présentée au cours du même congrès et publiée dans le présent n:cueil,
pp. 205-233. Voir également F. CABROl, «Alleluia li, DACL I, col. l229-46.
12. Mais on chante l'Alleluia accompagné des versets de la Résurrection
(empruntés au ps. 68/67) à l'orthros du Grand Samedi, après la lecture de l'Epître
et précédant celle de l'Évangile. Il y a de même un allcluiaire avant l'Évangile
aux vêpres du Grand Vendredi.
la Il s'agit des fêtes de Noël, de l'Épiphanie, de l'Entrée ~l Jérusalem
(Dimanche des Palmes), de l'Ascension, de la Transfiguration et de l'Exaltation
de la Sainte Croix.
DES ACCLAMATIONS DANS LA LITURGIE BYZ. 141

l'hymne des Chérubins. On l'y retrouve après le « koinonikon »,


au moment de la communion du clergé, et aussi en fin de la
communion des fidèles et, finalement, après la translation des
saintes espèces de l'autel à la prothèse, où elles seront consom-
mées par le diacre. Quel sens peut-on trouver à cet Alleluia
clamé ou chanté à la célébration eucharistique?
A cet égard particulièrement significatif est l'alléluaire,
autrement dit le chant de l'Alleluia avec versets qui se place
entre les deux lectures: celle de l'Épître et celle de l'Évangile.
Hammond, Brightman et Cabrol" estiment que cet Alleluia
est lié à l'É vangile et qu'il est même ainsi lorsque, à la différence
des liturgies de saint Basile le Grand et de saint Jean Chrysosto-
me, il est séparé de l'Évangile par une partie Iitanique, comme
c'est le cas du formulaire de la liturgie byzantine de saint
Jacques. Nikol'skij est du même avis 1.;. On peut le voir aussi
d'après le contenu des versets pour être chantés avec l'Alleluia
tant par le Propre du Temps (Octoèque), que par les Ménées
(cycle des fêtes fixes) et le Triode (cycle mobile). Du reste, la
chose est confirmée par les rubriques: ainsi, comme en cas
d'incidence de la Synaxe de la T.S. Mère de Dieu (26 décembre)
avec le Dimanche après Noël, on ne chante qu'un seul alleluaire,
car il n'y a qu'une seule lecture à l'Évangile, bien qu'il y ait deux
lectures à l'Épître. L'alléluiaire est donc bien une introduction à
la lecture de l'Évangile et non pas une conclusion de la lecture
de l'Épître.
Il est également intéressant de rappeler à ce propos le
témoignage des commentateurs anciens. Nous nous bornerons
à ceux cités pour Alleluia par la «Novaja Skriial» ". Nous y
trouvons cette parole de Syméon de Thessalonique: «avant
l'Évangile on chante Alleluia, qui signifie: "gloire à Dieu" et
aussi la venue de la grâce divine », autrement dit: lecture de
l'Évangile. D'après un autre témoignage, celui de saint Germain,
patriarche de Constantinople, on voit que l'Alleluia c'est la
préannonce de l'Évangile, qui clame: le Seigneur vient. Et le
même auteur explique ainsi le terme lui-même: al veut dire va,
s'avance, vient; il veut dire Dieu et uia signifie louez, chantez le

14 F. CABROL, « Alleluia », op. cft., c. 1242.


15 NrKOL'SKIJ, op. cil., pp. 407-408.
16 Arch. BE:XJA~U:ç, «Novaj8 SkriZal", lIre partie, ch. 7, § 19, p. 209 dans
l'édition de 1870.
142 ALEXIS KNIAZEFF

Dieu vivant ". Dans cette optique cet Alleluia est une façon de
glorifier le Christ qui vient et qui est présent dans l'Evangile.
Et l'Alleluia de la petite entrée - à laquelle on voit déjà ap-
paraître l'Evangile - et celui des antiphones peuvent s'expliquer
comme une préannonce de l'Alleluia de l'alléluiaire ".
Pour ce qui est de l'Alleluia clamé ou chanté à la liturgie
des fidèles, sa signification peut être recherchée, semble-t-i1,
à partir de la grande entrée, c'est à dire à partir de la procession
des oblats. L'Alleluia qu'on chante en fin de l'hymne des Chéru-
bins est beaucoup plus ancien que cette hymne et de la forme
solennelle dans laquelle la grande entrée se déroule actuelle-
ment ". Cet Alleluia demeure le Saint et Grand Jeudi, lorsque
l'hymne des Chérubins est remplacée par le chant de « A ta Cène
mystique ». Tout cela signifie que l'Alleluia est venu se placer
à cet endroit de la liturgie des fidèles pour saluer les oblats
que l'on apporte à l'autel, tout comme à la liturgie des catéchu-
mènes il vient acclamer l'Evangile. D'après Apoc. 19.1-5 Alleluia
est le chant de jubilation des anges devant la victoire du Christ.
On peut donc considérer l'hymne des Chérubins, telle qu'elle est
chantée habituellement ou telle qu'on la chante le Saint et Grand
Samedi, comme une explicitation et un développement de l'Alle-
luia acclamant le Christ vainqueur qui fait son entrée triomphale
en même temps que les espèces eucharistiques arrivent à l'autel.
Il est à remarquer que les autres moments où l'on chante l'Al-
leluia à la liturgie des fidèles sont toujours liés avec la manifesta-
tion du Christ agissant dans les saintes espèces: tantôt avec la
communion du clergé, puis des fidèles, tantôt après le transfert
des saints dons à la table de prothèse où ils seront consommés par
le diacre. On peut donc généraliser et conclure de l'Alleluia
clamé à la liturgie eucharistique byzantine qu'il s'agit là d'un
cri de triomphe poussé par l'Eglise au passage du Christ sous le
signe de l'Evangile ou de l'Eucharistie.

E) Mais l'Alleluia est aussi très fréquent à l'office des heures,


c'est à dire à la prime, tierce, sexte, none, à l'office de minuit, à
l'orthros, aux vêpres, aux complies. On y trouve le triple Alle-

17 Ihid.
Hl Ce que J'Alleluia est à l'É\'angilc, la prokil11enon est à l'Epîtrc, c'est à
dire une préannonce qui lui sert d'introduction.
19 Au VI~ siècle le Patriarche Euthyme de Constantinople a protesté contre
ce rite comme contre une innovation.
DES ACCLAMATIONS DANS LA LITURGIE BYZ, 143

Iuia en conclusion d'un psaume (ainsi, aux vêpres en fin du


ps. 103/104) ou d'une série de psaumes (aux petites heures, à
l'orthros après le 3" et le 6" psaume de l'hexapsalme et lors de
la lecture continue du Psautier, à la fin de chaque cathisme et
de chaque stance). On le trouve aussi concluant une suite de
tropaires, comme c'est le cas des eulogitaria" de la Résurrection
de l' orthros du Dimanche, du Samedi de Lazare et du Grand
Samedi, ou des eulogitaria des défunts chantés aux divers
offices des morts. On le trouve également répété après les versets
psalmiques, comme avec ceux du ps. 137/136 (le « Sur les fleuves
de Babylone" de l'orthros des Dimanches du Fils prodigue, de
l'Apocreo et de la Tyrophagie), ou les versets d'Iso 26, comme
cela a lieu après la grande litanie à l'orthros des jours de
semaine de la Sainte Quarantaine et du Lundi au Vendredi de
la Semaine de la Passion ". Ajoutons même une précision de
caractère musical: l'office byzantin connaît de nombreuses ma·
nières de chanter Alleluia. Outre les changements de mélodie
imposés par les huit tons de l'Octoèque, il y a lieu de mentionner
encore l'existence de variantes telles que la «belle alleluia"
(krasnaïa chez les Slaves), que l'on chante avec le psaume
137/136, ou 1'« alleluia de la Passion" (strastnaïa), que l'on
entend avec les versets d'Iso 26 à l'orthros du Lundi au Vendredi
de la Semaine Sainte.
On a estimé pendant longtemps que la liturgie byzantine a
tout spécialement réservé le chant de l'Alleluia pour les offices
pénitentiels du Carême et aussi à ceux des défunts. On trouve
encore cette opinion chez Dom Cabrol" et chez Nikol'skij".
A l'appui de cette idée on a invoqué le quadruple chant du triple
Alleluia à l'orthros du lundi au vendredi de la Sainte Quarantaine
et de la Semaine de la Passion et le triple chant du même
Alleluia aux matines du Samedi de l'Apocreo et à ceux du Samedi
d'avant la Pentecôte consacrés aux prières pour les morts 24,

20 Ces suites de tropaires sont appelés eulogitaria parce qu'ils sont intro-
duits par le verset 12 du psaume 119/118, verset qui se répète ensuite comme
une sorte de refrain: «Tu es béni, Seigneur, enseigne-moi tes volontés ».
21 Alleluia est également chanté à ['orthros des défunts avec les versets:
« Heureux ceux que tu as choisis et accueillis près de toi» (ps. 65/64,5), «Leur
souvenir demeure d'âge en àge" (Ps. 102/121,12), «Leur âme séjournera dans le
bonheur» (Ps. 25/24,13).
22 F. C.I\BROL, «Alleluia », op. cil., col. 1242-1243.
23 Op. cit., p. 186.
24 Op. cit., p. 186.
144 ALEXIS KNIAZEFF

On a également fait état de l'absence de l'Alleluia à l'office


pendant toute la semaine de Pâques. Or l'Alleluia du Carême.
les versets d'Js. 26 qui l'accompagnent et les hymnes triadiques
qui le suivent, tout cet ensemble qui est le signe d'un usage
très ancien 25, ne contient aucune allusion au jeûne, au Carême,
aux morts. Le verset 9 d'Js. 26 fait allusion au réveil, à la vigi-
lance de l'esprit, il se réfère à la lumière, à l'illumination. Avec
les versets II et 15 c'est le jugement qui est évoqué. N'oublions
pas non plus qu'Js. 26 est aussi une hymne de la Résurrection
Cv. verset 19). Cette hymne constitue la 5< ode du canon et bien
des hirmi de cette ode l'interprètent comme une annonce de la
victoire du Christ sur la mort ". Nous faisons donc nôtre l'idée
du P. Mateos selon laquelle ce chant de l'Alleluia vient rappeler
la vigile perpétuelle des anges devant Dieu, qu'il constitue l'entrée
du peuple qui prie dans la louange angélique, entrée qui, grâce
aux hymnes triadiques qui suivent cet Alleluia, se fait par le
trois fois « Saint" d'Js. 6,3 et d'Apoc. 4,8.
Donc, tout comme avec l'Alleluia de la liturgie eucharistique
nous revenons à la vision celeste de saint Jean dans Apoc. 19.
L'Alleluia de l'orthros, nous introduisant au chant de victoire
comparable à celui du chap. 26 d'Isaïe et qui, au fond, n'est
qu'une reprise de ce dernier:

{( Alleluia! Salut, gloire et puissance à notre Dieu, car ses juge·


ments sont vrais et justes: il a jugé la Prostituée fameuse qui
perdait la terre par ses prostitutions, et vengé sur e11e le sang de
ses serviteurs» (Apoc. 19, 1-2).
{( Alleluia! Car il a pris possession de son règne, le Seigneur, le
le Dieu Maître de tous. Soyons dans l'allégresse et dans la joie, ren-
dons gloire à Dieu, car voici les noces de l'Agneau ... » (ibid. vv.6-7).

Dans tous les autres cas où l'Alleluia est employé dans


j'office canonique byzantin cette acclamation peut être comprise
comme le même chant de victoire. Et l'on peut alors aisément
comprendre son absence dans l'office pascal actuel: il y est

25 L'usage de chanter Alleluia est plus ancien que celui de chanter en


cet endroit de l'orthros le ps. 117 (( le Seigneur est Dieu, et il nous est ap
paru ... ») avec l'apoJutikon (\'. La Prière des Heures, cit., pp. 125-128).
211 Voici, à titre d'exemple, l'hirmos de la 5e ode chanté à l'orthros du
Grand Samedi: «0 Christ, Isaïe, voyant la lumière sans crépuscule de la
théophanie que tu allais réaliser par compassion pour nous, se leva au milieu
de la nuit et s'écria: "les morts se lèveront et ceux qui sont au tombeau se
réveilleront et tous les habitants de la terre seront dans l'allégresse" ».
DES ACCLAMATIONS DANS LA LITIJRGIE BYZ. 145

tout simplement remplacé par son équivalent: «Christ est


réssuscité }), utilisé sous forme de salutation, de refrain ou com-
me formant les premiers mots du tropaire de Pâques:

Le Christ est ressuscité des morts!


Par la mort il a vaincu la mort
Et à ceux qui sont dans les tombeaux
Il a donné la vie.

Notons que ce tropaire pendant la liturgie de Pâques est


chanté, suivi de l'Alleluia, lors de la communion des fidèles
et qu'il remplace le chant de l'Alleluia au moment du transfert
des saintes espèces de l'autel à la prothèse à la fin du service.
L'Alleluia peut aussi avoir le sens du chant de la Résurrection
et de la victoire totale du Christ sur la mort dans l'office
des défunts, où, par exemple, on le chante avec les evlogitaria
qui sont le pendant de ceux que l'on trouve dans les offices
de la Résurrection. Et à plus forte raison il doit en être ainsi
pour le chant de l'Alleluia à la liturgie du baptême et même à
celle de l'onction des malades ';.
Terminons ce qui doit être dit à propos de l'Alleluia par
cette remarque que l'on trouve dans «Prière des Heures» (op.
cit., p. 127) au sujet du chant de l'Alleluia suivi de tropaires
triadiques: « ... nous participons à l'adoration et à la glorification
de la Sainte Trinité. De là vient le nom de triadique. C'est par le
chant qu'on reçoit connaissance des trois Personnes divines et
participation à leur vie. Nous touchons ici au caractère sacra-
mentel et cosmique de l'office divin ». Cette remarque vaut à la
fois pour l'office canonique et pour l'Eucharistie.
On a remarqué dans ce qui précède que l'Alleluia est fré·
quemment accompagné de la proclamation ou du chant de
versets tirés de l'Ecriture Sainte. Nous sommes donc amenés à
nous demander quel est le sens de l'emploi des versets bibliques
en li turgie.

27 Au baptême le triple Alleluia est chanté au moment de l'onction de


l'eau; il est répété comme refrain après chaque «Ceux qui ont été baptisés
dans le Christ ont revêtu le Christ» (chant qui remplace le Trisagion à la
liturgie de Noël, de l'Epiphanie, du Samedi de Lazare, du Grand Samedi, de
Pâques et de la Pentecôte) lors de la marche autour de la cuve baptismale. A
l'office des saintes huiles le triple Alleluia est chanté à la place de «Seigneur
est Dieu» entre la première litanie diaconale et les tropaires; il est accompagné
des versets «Seigneur, ne me châtie pas dans ton courroux» et «Fais-moi pitié,
Seigneur, car je souffre".
146 ALEXIS KNIAZEFF

III.

On peut, avec Dom Cabrol '", ranger les versets bibliques


dans la grande catégorie des acclamations. Utilisés dans la litur-
gie, ils ne constituent ni des hymnes, ni des prières, ni des
exorcismes. Leur forme, généralement brève, surtout pour les
formules empruntées aux Psaumes et aux Prophètes, leur per-
met d'être clamés par une assemblée ou au nom d'une assem-
blée. Dans l'Ancien Testament nous trouvons déjà des exemples
de tels emplois d'éléments empruntés aux textes sacrés. Ainsi,
dans le cas de l'emploi en liturgie du psaume alléluiaque 136/135,
on répétait comme refrain un élément emprunté au psaume
lui-même, - en l'espèce la formule« car éternel est son
amour », - tandis que les prêtres ou les lévites chantaient l'un
après l'autre les autres versets de ce psaume. L'usage liturgique
des versets bibliques se retrouve dans la prière de toutes les
Églises. L'Église byzantine est l'une de celles où il a pris la plus
grande extension.
On y trouve parfois des versets pris isolément, suivis ou non
de l'Alleluia: c'est le cas, par exemple, des koinonika de la cé-
lébration eucharistique. Mais souvent ils entrent dans des com-
positions plus ou moins compliquées et savantes. Tantôt ils sont
accouplés avec un autre verset (c'est le cas des prokimena
actuels). Tantôt on les voit assemblés avec d'autres versets,
beaucoup plus nombreux. C'est le cas des versets 9, 11 et 15
du ch. 26 d'Isaïe clamés aux matines du Carême avec le triple
Alleluia après chaque verset, ou celui des versets 1, 10, 17, 21
et 22 du Ps. 117 (h 118) que l'on clame aux matines des diman-
ches et fêtes avec, comme refrain, «le Seigneur est Dieu, il
nous est apparu; béni soit celui qui vient au nom du Seigneur »,
c'est à dire les versets 27 et 26 du même psaume. On peut
encore citer les versets 9, 10, 13, 17, 18 d'Iso 8 et les versets 1, 6
d'Iso 9 clamés aux grandes complies avec. comme refrain, ({ Dieu
est avec nous» (Is. 8,10). Parfois les versets utilisés ensemble
sont pris dans des textes ou des livres différents, comme cela
arrive aux antiphones et aux mégalynaires (conservés chez les
Slaves) des grandes fêtes. Enfin on trouve les versets intro-

28 F. CABROL, « Acclamations », op. cit., col. 254.


DES ACCLAMATIONS DANS LA LITURGIE BYZ. 147

duisant des stichères ou des tropaires dans des ensembles hym-


nographiques. C'est le cas des apostiches des matines et des
vêpres. C'est aussi les versets du Ps. 150 chantés dans la 3'
partie des grandes complies avec, comme refrain:

Seigneur des puissances, sois avec nous!


Dans les angoisses (Is. 26,13)
nous n'avons d'autre secours que toi;
Seigneur des puissances, prends pitié de nous.

Qu'expriment les versets ainsi employés? Tout comme les


autres acclamations, ils peuvent exprimer des affirmations, des
souhaits, des invocations, des supplications. Mais pour les ver-
sets il y a quelque chose de plus: ce sont des paroles prises
dans l'Écriture Sainte et, comme telles, elles expriment l'ac-
complissement d'un mystère. Nous touchons, avec les versets
bibliques, le grand problème de l'emploi de l'Écriture Sainte
dans la liturgie. Il concerne non seulement l'utilisation de
l'Ancien Testament (psaumes, prophètes etc.) mais aussi le
Nouveau Testament, puisque dans le cas des fêtes de la Théotokos
et du Baptiste des versets d'Évangile sont employés soit pour
les prokimena, soit aux apostiches. Nous n'allons cependant pas
aborder ici ce problème dans toute sa complexité. Puisque le
présent congrès a pour l'un de ses thèmes les Paroles de prière,
nous allons demeurer sur le terrain des paroles et nous demander
dans ce qui va suivre en vertu de quels critères s'était effectué
le choix des versets bibliques que l'Église byzantine utilise
dans sa prière liturgique.
La réponse à cette question est simple lorsqu'il s'agit d'ex-
primer des affirmations, des souhaits, des invocations, des sup-
plications. Pour les exprimer on a retenu les versets qui, pré-
cisément, expriment tout cela et à cause des paroles dont le
sens obvie est l'expression de tous ces élans de prière. Mais
la réponse devient moins simple lorsque nous sommes devant
des cas où il s'est agi d'exprimer l'accomplissement du mystère.
Là il faut faire une distinction et se demander si on a voulu
essayer de donner une approche théologique du mystère ou
simplement l'évoquer. Dans le premier cas on avait fait appel
à la typologie et, dans le second, à l'allégorie.
148 ALEXIS KNIAZEFF

L'interprétation typologique de la Bible revient à recon-


naître que Dieu dans l'Ancien Testament annonce la venue de
son Fils non seulement par des prophéties mais aussi en préfi-
gurant cette venue dans l'histoire et la vie du Peuple de l'Anci-
enne Alliance. Il la préfigurait dans des faits, des institutions,
dans certains personnages. Ces figures étaient déjà porteuses
d'une révélation du Royaume à venir, mais une révélation par·
tielle, imparfaite, fragmentaire (Hébr. 1,1), révélation qui recevra
sa pleine manifestation en Jésus Christ. Lorsqu'on a recours à
l'interprétation typologique de l'.Ëcriture, on fait état de son
sens littéral ou historique, car toute l'attention est portée sur
la réalité historique dans laquelle Dieu a manifesté sa révélation.
Donc, lorsqu'on choisit un texte à cause de la typologie qu'il
renferme, on le fait sur la foi de son sens littéral et des paroles
qui font apparaître ce sens. On retrouve cela dans les cas où
la liturgie utilise les versets de la Bible à cause du rapport typo-
logique que l'on peut établir entre le mystère que l'on célèbre
et la réalité religieuse qu'attestent ces versets.
Ainsi l'office byzantin de la Pentecôte utilise aux apostiches
les versets 12 et 13 du ps. SI/50:
o Dieu, crée en moi un coeur pur,
renouvelle en mon sein un esprit de droiture;
ne me repousse jamais loin de ta face,
ne retire pas de moi ton Esprit Saint 2B •

Le même office a pour prokimenon le v. 10 du ps. 143/142:


Oue ton esprit de bonté me conduise par une terre unie.

Les auteurs de l'office ont utilisé ces versets parce qu'ils


parlent de l'Esprit dans l'Ancien Testament et de son action,
notamment dans le coeur de l'homme, et parce qu'ils ont em-
ployé le mot "Esprit" se rapportant à cette réalité, laquelle
s'est manifestée pleinement dans le mystère de l'envoi par le
Christ du Paraclet. Nous pouvons constater aussi que l'office
de Noël a utilisé de nombreux versets du ps. 110/109 sur l'inve-
stiture du Roi messianique et sur son sacerdoce selon l'ordre de

29 Les mêmes versets sont repris avec le tropaire de la Tierce: « Seigneur,


toi qui as envoyé ton Esprit Très-Saint. à la troisième heure, sur tes apôtres, ne
le retire pas de nous, ô Très-Bon, mais, nous t'en supplions, renouvelle en nous
son action ».
DES ACCLAMATIONS DANS LA LITURGIE BYZ. 149

Melchisédech. Ce psaume a été évidemment choisi parce qu'il


affirme que les prérogatives du Messie, royauté universelle et
;"cerdoce perpétuel, ne découlent d'aucune investiture terrestre,
pas plus que celles du mystérieux Melchisédech (Gen. 14,8 et ss.),
et parce que le Christ a réalisé cet oracle à la lettre ". De plus,
le psaume contient les paroles qui parlent de naissance (<< je
t'ai engendré de mon sein" chez les LXX), du siège à droite,
paroles qui ont reçu leur plein accomplissement dans le sens
fort que leur a donné le vrai Fils de Dieu fait chair. Tout cela
montre que dans le choix de ces versets pour la liturgie les
paroles ont eu leur importance aussi bien que la typologie
qu'elles expriment. Les paroles comptent d'autant plus qu'il
arrive qu'on leur apporte de légères modifications afin de les
voir mieux appliquées à l'aspect particulier du mystère du
Christ sur lequel porte la célébration. Ainsi la célébration du
sacrement de mariage, dit office du couronnement, a pris com-
me prokimenon les versets 4 et 5 du psaume messianique 21/20,
mais en employant le pluriel à la place du singulier, ce qui a
donné:
« Tu as mis sur leurs têtes des couronnes d'or fin;
Ils t'ont demandé la vie ct tu leur as accordé ... ))

L'office rappelle ainsi la dignité royale du chrétien et aussi


la signification profonde de la vie dans le mariage: c'est un
exploit spirituel qui reçoit son couronnement dans le Christ.
Le recours à l'allégorie, lui, ne cherche pas à donner la
théologie du lien entre l'Ancien Testament et le mystère du
Christ. Il est un moyen poétique d'expression. Il utilise les paroles
bibliques non à cause de la signification qu'ils peuvent avoir
pour une théologie à la fois biblique et liturgique, mais à cause
de la possibilité de leur donner un sens nouveau, pleinement
néo-testamentaire, sens qu'elles n'ont évidemment pas dans le
texte utilisé. Cette possibilité repose généralement sur des asso-
ciations d'images verbale3 que l'on peut établir entre des paro-
les prises dans l'Ancien Testament et certains mots employés
dans l'Évangile ou dans d'autres textes. Pour revenir à l'uti-
lisation des versets bibliques dans la liturgie byzantine, nous
pouvons citer un exemple qui met en évidence d'une manière

30 Mat. 22,44-46; 28,18: 27,41; Actes 2,34-35: Hebr. 1,13.


150 ALEXIS KNIAZEFF

éclatante cet appel à l'association d'images qu'est le recours


à l'allégorie employée dans le but de glorifier le mystère du
Christ. Les offices de la Nativité du Christ utilisent beaucoup
Habac. 3,3. On l'y proclame ou l'on le chante dans la leçon que
il a reçue chez les LXX. Voici cette leçon:

({ Dieu viendra du Sud


et son Saint de la montagne à la forêt ombreuse».

La venue de Dieu arrivant du Sud peut évoquer le fait de


la naissance du Christ à Bethléem, qui se trouve effectivement
au sud, notamment de Jérusalem. Mais à quoi peut faire allusion
dans l'esprit des auteurs de l'office la seconde partie du verset,
notamment eç opouç X(.(TC(01(~Ol) 8âcrEt:ùÇ? On peut se demander si
l'image de la forêt ombreuse n'est pas à être rapprochée de
ce qu'a dit l'ange de l'Annonciation dans Luc 1,35: «le Saint
Esprit viendra sur toi et la Puissance du Très-Haut te prendra
sous son ombre» (~m<n<"'cr" mol. Pour les auteurs de l'office
de Noël la montagne à la forêt ombreuse a pu servir d'image
pour évoquer cette autre image: celle de la nuée lumineuse
signe dans l'Ancien Testament de la présence de Yahveh, et
d'être ainsi un moyen d'affirmer que la conception du Christ
est le fait du Saint-Esprit et que sa naissance par la chair consti-
tue une théophanie. Et l'on sait avec quelle fréquence le thème
de l'ombre, cr",,,, et celui de la montagne que l'ombre recouvre
apparaît dans l'hymnographie mariale, laquelle aussi est une glo.
rification du mystère de l'Incarnation.
On peut généraliser et dire que les versets bibliques em-
ployés en liturgie sont un moyen de commenter l'Écriture. Ils
contribuent à ouvrir l'esprit de l'assemblée qui prie à l'intel-
ligence des Écritures (Luc 24,45). Ils le font soit en faisant
appel à la typologie: alors ils mettent en évidence l'unité et la
continuité du plan du salut; ils témoignent de la venue du
Royaume de Dieu en attirant l'attention sur tel ou tel aspect
particulier de ce Royaume. Mais ils peuvent être également un
recours à l'allégorie et alors ils appellent à des images verbales
mettant ainsi en avant un thème biblique que ces images évo-
quent: ils peuvent alors mettre à même les fidèles de se souvenir
de tous les développements que l'Esprit de Dieu a fait prendre
à ce thème tant sous l'Ancienne Alliance que sous la NouvelJe.
DES ACCLAMATIONS DANS LA LITURGIE BYZ. 151

* * *
Nous pouvons maintenant passer aux conclusions qui seront
autant d'interrogations. Elles concerneront surtout l'Alleluia
et l'usage liturgique des versets bibliques. Mais elles peuvent
toucher aussi les autres acclamations.
1) L'Alleluia qui, comme l'Amen, est passé dans la liturgie
chrétienne sans avoir été traduit de l'hébreu, et les versets
bibliques, où le sens obvie est remplacé par un autre sens,
sens qui tient de la typologie ou même de l'allégorie, ne met-
tent-ils pas en évidence un aspect de la prière chrétienne que
l'on peut qualifier de m é 1 i s mat i que? ". On peut opposer
cet aspect à celui que l'on peut appeler p sai ma di que et
qui tient de la nature logique de la prière chrétienne, nature
qu'elle tient du Logos, le Verbe divin. Cet aspect mélismatique
ne peut-il pas être rapproché du mystérieux don des langues
qui traduit le contact de l'assemblée qui prie avec le transcen-
dant, son expérience d'une entrée, même partielle, dans la réalité
supré-terrestre, eschatologique qu'est le Royaume de Dieu? L'Al-
leluia, l'Amen, les versets bibliques, qui paraissent être dans la
liturgie moins des paroles porteuses d'un sens précis que des
exclamations, ne sont-ils pas, avec d'autres acclamations, cet
élan de joie, de glorification devant la réelle présence du Sei-
gneur au milieu de l'assemblée liturgique et en même temps
une attestation de cette présence grâce à l'Eucharistie, l'Écriture
Sainte et au Saint-Esprit, grâce auquel le Christ est toujours pré-
sent et agissant dans son Église?
2) Ne voit-on pas aujourd'hui, à cause de l'ignorance de
nos langues liturgiques et sous l'influence de bien d'autres fac-
teurs, se transformer en acclmnations des éléments qui ne
l'étaient pas à l'origine? Je pense, en particulier, aux Psaumes,
soit lorqu'ils entrent comme psaumes fixes dans la composition
de certains offices, soit lorsqu'ils font l'objet d'une lecture con-
tinue. L'ouoli du grec liturgique et du slavon et, surtout, l'état
défectueux du texte de la Septante et, pourtant, de ses traductions,
font que de larges portions de psaumes et même des psaumes

31 A. SCHME:\-lA:.tN, Le My.stère de la Parole (en russe), dans «Messager de


l'Action Chrétienne russe », Paris-New York-Moscou, n. 112-113 (II-III 1974), pp.
46 ct ss.
152 ALEXIS KNIAZEFF

entiers, tel ps. 68/67, sont devenus inintelligibles pour la grande


lTIaSSe des fidèle~, souvent pour les psaltes eux-aussi et TIlênle
pour les célébrants. Ceux qui lisent les psaumes, ceux qui les
écoutent n'en retiennent que des paroles isolées, des bouts de
phrases, des invocations. Et pourtant, comme les contacts pasto-
raux le montrent, beaucoup, même aujourd'hui, affirment être
nourris spirituellement par ces psaumes entendus pendant les
offices. Ces paroles, ces morceaux de phrases, qui émergent,
tels des îlots, d'une mer d'incompréhension rationnelle, ne sont-
ils pas devenus pour le peuple qui prie des sortes d'acclama-
tions qu'il entend et dans lesquels il met ses espérances, ses
peines, sa foi et qui lui permettent d'approcher le mystère du
Christ en transcendant les paroles et leur portée exacte sur le
plan logique?
3) Notre troisième interrogation découle des deux prece-
dentes. Elle concerne nos traductions scientifiques actuelles,
bibliques et liturgiques, et aussi notre pastorale, notre prédica-
tion, notre catéchèse et les réformes que l'on ferait éventuelle-
ment chez les ortodoxes. Ne s'adressent-elles pas surtout à l'in-
tellect, ne prennent-elles pas en considération la seule compré-
hension rationnelle? Ne négligent-elles pas le côté supra-ration-
nel de la prière? Ne nous écartent-elles pas de la richesse spiri-
tuelle qu'aborde le peuple chrétien par le chant de J'Alleluia,
par les versets bibliques et par les autres acclamations?
Je compte sur les interventions des spécialistes qui compo-
sent notre assemblée pour trouver réponse à mes interrogations.

Le 29 juin 1977

Protopresbytre Alexis KNIAZEFF


Recteur de l'ln>titu! Saint Serge
LES GESTES DE LA PRIÈRE À GENOUX ET DE LA GËNUFLEXION
DANS LES ÉGLISES DE RITE ROMAIN

Il y a environ un demi-siècle on aurait pu parler, suivant


un jugement quelque peu superficiel tiré d'une toute première
impression, de l'Église romaine latine comme d'une Église
toujours à genoux, de l'Église orthodoxe toujours debout et de
l'Église protestante plutôt assise.
Mais qu'est ce que nous disent les sources de la liturgie
romaine à propos?
Il nous faut supposer d'après l'Ancien et le Nouveau Testa-
ment et les premiers siècles de l'ère patristique' que le geste
normal de la prière c'est de se tenir debout. Néanmoins, sc
mettre à genoux (avec tous les deux genoux, et parfois avec une
prostration totale) est aussi un geste toujours connu, Inêlne
fréquent en d'occasions spéciales, tandis que la génuflexion tout
court (avec un genou seulement) est plutôt rare et d'une tout
autre signification 2.

1 Pour l'A. T. par ex.: 1 Reg 8, 54: «Salomon ... utrurnquc genu in terra
fixerat »; Dan 6,10: «Daniel... tribus tcmporibus in die flectebat genua »; Ps
94,65.: "Venite ... et genua fleclamus ante Dominum ». Pour le N. T.: Le 22,41-43:
(' Positis genibus, orabat »; Act 9,40: "Petrus, ponens genua orabat» (= Ta·
bitha, sUl'ge!): 20,36: « positis genibus suis, oravit eum omnibus »: 21,5: «Tyri...
positis genibus in litore, oravimus ». Le geste normal de prière cependant était
se tenir debout. Il y avait encore le geste de la "proskynesis », comme signe
de vénération: Act 10,25: Cornélius se met aux pieds de Pierre. D'autre part
cette génuflexion est aussi le signe d'adoration de Dieu: Is 45,23: « Mihi curva·
bitur omne genu ».
Pour l'époque patristique: on connaît deux formes de prière: debout et à
genoux: IUSTINUS, Dialogus cltm Tryphofle 90: «ca maxime prece Deum placari
quae CUrn eiulatu et lacrimis, ac prano corpore aut flexis genibus (kal en gôna-
sin) funditur ». TERTtTl.J.IJ\Nl:S, De oratione 23,4: «Ieiuniis autem et stationibus
oulla oratio sine genu et reliquo humilitatis more celebranda est »; De corona
3,4: «Die dominico iciunare nefas ducimus "el de geniculis adorare n. Le même
vaut pour la «Pentekosté» (le temps pascal): ibid. ct De oratiane 23.
2 La pl'Oskynesis, c'est à dire la génuflexion de\'ant un homme, était un
signe de salutation ou de vénération bien connu dans ta Bible (cf. note 1) et
dans toute la culture ancienne. Devenue cependant signe d'une vénération
<' divine" de l'empereul' romain, elle devait devenir impossible pour les chré-
tiens. Seulement dans un temps postérieur, quand elle avait perdu son impor-
tance religieuse, elle est re\'enue à l'usage chrétien. Cf. ce que nous dirons
plus bas.
154 BURKHARD NEU~HEUSER

Dans les Sacramentaires on ne trouve pas beaucoup à ce


sujet; ils donnent des textes, mais l-arement des rubriques. Pour
le Ve 3 on pourrait citer des indications très limitées à propos
d'une humiliation visiblement exprimée: «VD: pros!rato corde
poscen!es» (136): «VD: _.. totoque corde prostrati supplices
exoramus» (446); «Miserere ... Eec/esiae et inc/i1zantium tibi
sua corda propitiatus ;l1lende » (448); « Concede . .. ut ad praeces
tuas corda nostra flectamus» (916). Il en est de même pour
d'autres formes pareilles. Elles supposent que J'image d'une ex-
pression corporelle à la façon d'un agenouillement est bien
connue, mais elles nc donnent pas la certitude qu'on aurait mis
ces gestes en effet.
Dans le GeV 4 on trouve quelque chose en plus, avant tout
des rubriques, lesquelles parlent clairement des gestes de la
« prostratio » ou de la génuflexion. Ainsi nous lisons dans l'Ordo
agentibus publicam paenitenticnn: « ... prostrata eo omnÎ cm'pore
in terram, dat oratiol1em pontifex» (cf. 83; le même pour le
Jeudi Saint: 352). Le meilleur témoignage est celui du Vendredi
Saint: « ... Egredietur sacerdos de sacra rio ... ctl1n si/entia
nihil CanCl'ltes} el veniunt ante al/arc, postolans sacerdos pro se
Grare et dieit: Orcm,us. Et adnuntiat diaconus: Flectamus genua.
Et post paulolum dieit: Levate» (395). De la même façon la
rubrique parle au sujet des autres oraisons solennelles: 400 et
402416. C'est à dire: lors des actions de la Pénitence solennelle
et lors de grandes oraisons on prie, suivant J'invitation du diacre,
pour quelques instants, à genoux. On doit néanmoins supposer
que pour l'oraison finale, proclamée solennellement par le cé-
lébrant, tous les présents reviennent de nouveau debout, car se
tenir debout est le geste normal de prier.
Dans le GrH' on ne trouve presque rien; on pourrait peut-
être citer l'expression « Inclinantes se, Domine, ... » dans une
oraison «super populum» (35,5).
Au contraire, un tén10ignage très riche nous est donné avec
toute évidence dans les Ordilles Romani', dans le POlllificale

3 Ve = Sacranzenlarium Veronense, éd. MOHLBERG (nous citérons selon la


numérotation donnée par l'éditeur).
4 CeV = SacramelltariWIl Gela.... ianum Velus (Vatic. Reg. 316). Nous cité·
rons en donnant le numéro de la formule rcportêe.
5 CrH = Sacramellcarill/n Cregoria11LlrI1 envoyé par le Pape Adrien à
Charlemagne. Nous le citérons selon l'édition de H. LTETZMANN (LQF 3).
6 D'apt'ès l'édition de M. ANDlHEV.
PRIÈRE À GENOL'X ET GÉNUFLEXION 155

ROInal1o-Gennanicum 7 et dans les Pontificaux successifs Il, Nous

pouvons y distinguer les formes suivantes:


1. Une prostration totale, au début de la célébration, par
ex. dans l'office du Vendredi Saint: «prosternit se a11te altare
ad ora/iOl1el11 »: OR 23 '. Le PRG le dit encore plus fortement:
« prostrato O1lllli corpore in terra diutius » 10,

2. La prière à genoux, après l'invitation solennelle « Flecta-


mus genua ». Nous la trouvons au Vendredi Saint, déjà dans le
GeV (395), puis encore dans les OR n et dans le PRG ", où la
rubrique «et orat diutissime» (308) nous dit que cette prière
« à genoux» a encore gardé toute sa signification profonde de
prière intense, de supplication ardente et d'humiliation. Théori-
quement on pourrait <( genuflectere» avec un genou seulement,
mais l'invitation {( FlectmTIus genua », aussi bien que la pratique
conservée jusqu'à nos jours, semble supposer qu'il s'agit toujours
d'une prière prolongée à deux genoux. Le PRG en donne un com-
mentaire. On lit pour l'octave de la Pentecôte: «111 ipsis enim
diebus presel1tis ebdoll1adae, 11011 stati11l perac/a die quinqua-
gesù11a genu ad orandul11 eurvamus, sed il1 il/a adilue septimal1a
stantes domino supplieamus» ". Pour le temps pascal tout
entier il est dit: Tenzpus autent pentecostes inchoatur a prÎ111a
(c

die resurrectionis, et currit usque ad diem quinquagesil1'lanr po,o,;t


paseha. Qui dies quinquaginta celebrant",' il1 laetitia post resur-
rectioneln Don'lini. Propter hoc, ieiu11.ia relaxantur et stantes
omm us, quod est sigl1um resurreelionis » (449). Pour les Quatre-
Temps l'on précise: "Per sil1gulas oratlol1es il1 XII leetionibus
genuflectimus, excepto in octavis pe11.tecostes. In sola de cam.ino
ignis, genua nOI1 fleetimus» (450).
Nous trouvons les mêmes gestes pour les « Letaniae Maiores »
dans l'OR 21: le diacre invite: «Flectamus gel1ua; et facto
il1lervallo, dieit: Levale» H. Et le même pour les jours de Ca-
rême dans l'OR 22 15: "Simili modo agi/ur II feria, IV feria, VI

7 Ed. C. VOGEL - R. ELZF..


8 Selon M. ANDRlEL', Le POlUifical Romain al! Moyen·Age.
9 OR XXIII, 13 (ANDRIEU, p. 271); cf. OR XXIV, 23; XXVII, 36.
10 PRG XCIX, 304.
Il OR XXIII, 20; XX[V, 1·3: 26.
12 PRG XCIX, 308·311.
13 PRG XCIX, 448.
14 OR XXI, 8.
lS OR XXII, 4: 9; 14.
156 BURKHARD NEVNHEUSER
=-<----~

feria ef sabbato per tafalll quadragesil1Ul111. Na/11 sabbata tem-


pore Adrialli illstitllturll est ul flecteretllr pro Carola rege; QntC(l
vero 1101/ f!lit cOl1suetudo» 1fi.
L'invitation solennelle se fait donc pour la prière la plus
intense, c'est à dire la prière de penitence, 111ais aussi pour la
supplication concernant Je roi. On peut observer ici une tendance
à étendre cette [ornle de prière à genoux. On lit par ex. dans
une lettre du Pape Adrien, qui se trouve dans le Codex Caro<
Jinus 511': ({ trecelltos "kyrieleyson" extel1sis l'ocibus ... Dea
l1ostro adclama1ldu111 non cessant /lexis gellilnlS exorantes ».
Nous trouvons ce geste encore dans les riles pénitentiaux
proprement dits. Par ex. dans le PRG: "Feria IV il1 capite
leulr/ii ... "FlecfaHlus ge17ua" pronlll1tianle diacol1o super pOpll-
/zan cum illclil1atione capitis, premonere debet sacerdos
O1nnes .,., quatinus ad verml1 cOl1fessionem l'eramque pael1l"
tentianz festil1antius accedallt)) w. Et dans l'énumération des
différentes formes d'oeuvre pénitentielle on parle aussi de «se<
pius flectendo gem/a" ". Et encore: "Quo facto (= confessione
et admonitione peracta), {lexis gel1ihus il1 terra ... iuppliciter
lel1sis nWl1ibllS ... " (n. 52), « Quo perdicta (= aprcs la confes<
sion), (otunI se in terranI prosternat et genzitus atqu.e SUS pi ria ...
producat. Sacerdos vero patia/ur eWl1 aliqualltlsper iacere pro-
stratum ... Deinde iubeat ewn sacerdos surgere ... et ... CU Hl
Iremore ... prestoletur iue/iciu", sacerdotis" (n. 54). Tout cela
- c'est à dire la manière explicite de se Inettre à genoux (et de
se prosterner) COlTInle expression d'humiliation et de pénitence,
en se remettant, la génuflexion achevée, de nouveau debout--
se trouve aussi de façon soJennelle, avec des génuflexions répé·
tées, dans l'OR 50, inséré dans le PRG. pour la réconciliation des
pénitents au Jeudi Saint 20,
Finalement, nous voyons la génuflexion dans les rites d'Ordi<
nation dans l'OR 34 21 : {( prosterl1Ît se il1 terralll": cf. ordination
de l'acolythe (n. 2), du sous<diacre (n. 3); tous se prosternent
pendant les litanies des « ordines maiores " (n. 85,); dans le sacre

16 OR XXII, 13: ainsi le texte donné par Andrieu; il ajuute néanmoins dans
l'apparatus la variante" fierct " pour «flecteretur,,: p. 2605.
17 MGH, Epist. Merou'. et CaroliHi aCl,j, l, 570.
18 PRG XCIX. 44.
19 Ibid., n. 47.
20 OR L, 25, 29ss. (= PRG XCIX, 228-251).
21 OR XXXIV, 2ss.
PRIÈRE À GENOUX ET GÉNUFLEXION 157
--

de l'évêque: « tertia vice se in terra prosternet» (n. 25); {( prost ra-


ta damna apostolieo eum saeerdotibus et ipso eleeto i11 terra
a11te altare» (n. 39).

3. Nous venons de voir jusqu'ici le geste de la " prière à ge-


noux », c.à.d. une prière plus ou lTIoins prolongée, évidemment à
deux genoux, précédée d'une invitation solennelle et suivie d'une
autre invitation solennelle à se remettre debout pour continuer
ainsi la prière.
Mais il nous faut maintenant nous demander: y a-t-il aussi
une génuflexion (à un ou même à deux genoux) en signe de véné-
ration?
a) Nous la trouvons en effet dans la liturgie du Vendredi
Saint pour l'ainsi nomn1ée {( adoratio Crucis ». Venue de Jérusa-
lem, où Egérie en parle", elle apparaît dans l'OR 23 ": "proster-
nit se ante alcare ad oratiol1em. et, postqumn surgit, osculetur
ea111 (= crucem) et t'adit et stal circll sedem. Et osculantur
episcopi super altare ipsa111 crucent ». L'OR 502.J. répète ce rite,
en y ajoutant des oraisons (= prières de dévotion) "in prima
genuflexiol1e, in secunda gelluflexiolle et ill tertia genuflexio11e »
(nn. 41-43). C'est le rite observé plus ou moins jusqu'à nos jours
dans les divers Pontificaux": " ... p0111 ifex disealeeatus solus ...
tertio super tapetia toto eorpore prostemÎ debet, ita quod post
trinam prostrationent vicÎnius cruci hU171iliter ac devote deoscu-
letur eam (n. 7) ... Ubi vero dieitur ... "Ven;te adoremus", et
ipse et omnis clerus et populus debent humiliter fleetere gel1ua
(n. 8) ... cum dieitur: "miserere 110bis", 011111es debent prostemi
in termm (n. 9) ». On voit tout de suite que ce geste de vénération
se transforme en une véritable prière de même que dans les
prières solennelles après l'invitation ({ Flectan1us genua »,
b) Mais en même temps qu'on a introduit ce rite de génu-
flexion conlme signe d'« adoration» de la Croix 26, on trouve
aussi les premières traces d'une tout autre génuflexion, c'est

22 ltinerarium Egeriae 37,2s. (CC 175,81 ou CSEL 39,88).


23 OR XXIII, l3s.: cf. aussi OR XXVIII, 39.
24 OR L, 27.40.
25 PRG XCIX, 330·333; PR du 12~ siècle 31,7·9.
26 La parole "adoratio» dans ce contexte ne signifie que la vénération
offerte à la sainte Croix, Le Concile de Nicée en 787 avait approuvé la proskyne·
sis devant les images, contre les iconoclastes. Cf. VS 601; DACL 6/1 (1924) 1017-
1021; RGG:I 5 (1961) 640s.
158 BURKHARD NEUNHEUSER

à dire conlme signe de salutation envers un homme, et preclse~


ment envers l'évêque de Rome. C'est dans l'OR 1", en effet,
que nous lisons: « diaconus osculans pedes pontificis .. , venit
ante altare et, Gseu/alis eval1geliis, leva! in manus suas codicetn ».
Il semble évident que ce baiser du pied de l'évêque doit être
joint à une génuflexion. Nous nous trouvons ici devant la pre-
mière trace de ce qu'on appellera plus tard J'« adoratio Papae» ,a,
c'est à dire l'hommage offert au Pape, de même que plus tard
encore aux évêques. Ce rite consistant à lTIOntrer de la vénération
à l'evêque (au Pape), à lui offrir d'hommage, gagne une impor-
tance toujours croissante. Dans le Codex Urbinate lat. 469 - un
Opus cerimoniale s",nmort/m Pa11lificul11 de la période de Ni-
colas V à Sixte IV" - on lit quelques particularités à ce propos:
après l'élection du Pape, «cardinales amnes per ardinem ...
veniunl caram ea flexis genibus, et idem eIeclus ipsas ordinale
ad pedem recipit el ad pacis asculum» (c. 10, p. 15). Dans la
Messe de la coronation nous lisons: «( • • • ibi! ad emillente111
sedem, et sedens i11 dicta sede pallia tus recipiel amnes cardi-
nales ad pedis et oris osculum ilerato» (c. 30, p. 28). Et nous
trouvons le même rite lors de la création d'un nouveau cardinal:
celui-ci est admis « ad osculum pedis damini Papae» (p. 143s.).
Tout cela sera réglé définitivement, et avec le plus grand soin,
dans le Caeremaniale Episcaparwn, encore dans l'édition de
Léon XIII 30. Ici, au signe de vénération pour l'évêque on a joint
aussi la vénération offerte à l'autel, de même par une génufle-
xion: {{ Cano1'lici ... quoties transeunt directe ante altare veZ ante
episcopum ... profunde inclinant; Beneficiati artlem el ceteri
de clero genuflectere debe"l, transeundo tam ante altare qua",
ante Episcapum» (l, 18,3, p. 70).

c) Au cours d'une évolution très étrange le geste de la


génuflexion parvient encore à une signification tout autre. Com-
me nous venons de le voir, très tôt, certainement pendant le
premier millénaire, la génuflexion - originairement expression

27 OR l 59
20 J. A. jun~mann la définit (selon l'lisage suivi jusqu'à nous jours) «die
ùcm neugewaltlten Papst von den KardinaJen d urch den Fusskuss dargebrachtc
dreifache Huldigung »: LThK2 1 (1957) 157.
29 C'est à dire de la deuxième moitié du 15" siècle: publiê en 1966 par F.
T,\MBURINI dans «Bibliotheca Ephemerides Liturgicae », Sectio Historiea 30.
30 Ed. 1886, 1, c. 18,3 (p. 70).
PRIÈRE À GENOUX ET GÉNUFLEXION 159

de prière devant Dieu, en adoration, en supplication, en pem-


tence - est devenue et est restée geste de salutation ou de
vénération ou d'hommage à de choses (la Croix, une rélique, etc.)
ou, plus encore, à de personnes, de façon qu'il était devenu
tout à fait normal de saluer les évêques et même les abbés par
une génuflexion, en baisant à la fois leur anneau. Mais à partir
du 13' siècle, au geste de la génuflexion une ultérieure signifi-
cation s'ajoute: il devient, de plus en plus, le signe typique
de l'adoration réservée au Sacrement de l'Eucharistie.
C'était une innovation, dont on était d'ailleurs bien conscient,
comme il ressort des difficultés rencontrées en introduisant ce
geste nouveau.
Tout le monde sait qu'à l'origine la grande Prière Eucha-
ristique, centre de la célébration de la Messe, n'a pas connu de
gestes de vénération en dehors de la manière solennelle par
laquelle le célébrant l'a proclamée ou dite ", ou les présents y
ont assisté. Il nous est donné de le voir aujourd'hui dans la
manière par laquelle les manuscrits donnent le texte du Canon
(= la Prière Eucharistique) sans faire aucune distinction dans
l'écriture des paroles ". Le geste correspondant était de se tenir
debout dans la forme des c( orantes»; certainell1Cnt c'était CODlme
ça pour le prêtre célébrant, et aux origines probablement les
fidèles eux-mêmes assistaient debout. Les fidèles, eux, c'est vrai,
ont commencé déjà dès le 9' (et peut-être dès l'S') siècle à se
mettre à genoux pendant le Canon, au lieu de se tenir inclinés ".
Mais c'est seulement pendant le 13' siècle que le prêtre célébrant
lui-même commence peu à peu à renlplacer le geste d'inclination
devant les espèces consacrées par celui de la génuflexion. Tout
cela cependant n'arrive pas sans de grandes difficultés H. En
général on est d'accord que les cc circumstantes », y compris le
diacre et les sous-diacre, sont à genoux, mais pas le célébrant
lui-même. C'est encore dans l'OR 14 (selon Mabillon) du Cardinal
Gaetano Stefaneschi" qu'on lit: «Pontifex ipse primo adoret

31 Cf. J. A. JL;NGMANN, Missarum Sollenmia 5 1 (1962) 95: II (1962) 132·}36.


32 Cf. JUNGMANX, l.e., et II, p. 255, n. 10. En outre les indications précises
de L. EIZENHOFER, CanDit Missae Romanae 1 (Romac 1954), pp. 6-l2, et les tables
dans les pp. 17 et 30.
33 OR IV, 53, contre OR l, 88.
34 Cf. Ph. BRO\"'E, Die Elevation in der Messe, dans lal1rbuch für Li-
turgiewissenschaft 9 (1930) 45s5.
35 Cité par BROWE, I.e., p. 33, n. 87, et p. 46.
160 BURKHARD NEU~HEUSER

inclil'lato capite supra divinwll corpus; deil1de reverenter et


at/ente ipsll1n e/evet in altwl1 ... » (le même pour le calice).
Seulement l'évêque assistant «poterU ad modicum flectere
gel1ua ».
Il semble que le premier témoignage d'une génuflexion du
prêtre devant l'Hostie pendant la Messe se trouve dans un
décret des Franciscains de l'année 1339: «quod, cantato Pater
nOs 1er in Miss" diei, sacerdos humiliter gel1uflectat ail te Corpus
Christi et ide111 fadant Iratres alii exÎstel'ltes in chora » 36; et en-
core il s'agit-là plutôt d'une prière de supplication que d'une
adoration du Sacrement, prière visant, en tout cas, à la présence
du Corps du Christ. A la fin du 14' et au début du 15' siècle on
trouve des documents qui parlent d'une génuflexion avec un
seul genou après les paroles de la consécration. L'Ordo Burckardi
de 1502 connaît déjà toutes les génuflexions prévues dans le
Missel de Pie V en 1570". Néanmoins, les Cisterciens, encore
en 1589, se contentent d'une espèce d'inclination"".
Si nous essayons maintenant de faire un petit résumé, on
pourrait dire: très Ienten1ent, mais avec une tendance toujours
croissante, la génuflexion devient le signe typique de l'adoration
envers l'Eucharistie, caractérisé, pour ce qui est du prêtre,
comme génuflexion avec un seul genou et, pour ce qui est des
fidèles, comme geste d'adoration permanente à deux genoux.
Ce geste-ci a aussi la tendance à devenir la position typique de
la prière en général 39.
L'Ordo Missae Joannis Burckardi nous montre la situation
telle qu'on la voit à Rome en 1502. D'après cet Ordo, la vieille
tradition (de se tenir debout) est encore assez connue et on la
garde au moins lors de la Messe chantée des dimanches et des
fêtes et lors du temps pascal. Il est dit dans une rubrique:
«Quando il1leressentes Misse deben! genua flec!ere el quando
stafe vel sedere» -10; « Interessentes quoque A1isse huiuS11'lodi qui
legitl/r genll/lecrere debent a prùzcipio usque ad belledictionem
post eius fillenz per celebrante", data",: excepta cllm Eval1ge-

36 BROWE, I.c., p. 47s., n. 184.


37 Cf. ici plu~ bas, note 40.
38 BROWE, I.e., p. 50.
39 Cf. Fr. TITEL~HNS (morten 1537), ,Wvsterii Missae expositio, Lyon 1558,
p 18. cité par Jl'NGM.\NN, a.c., 1. p. 314:
les fidèles se mettent à genoux tout
de suite quand le prêtre dent à l'autel.
40 LeGG, Tracts un tlle Mass (RES), p. 134s.
PRIÈRE À GENOUX ET GÉNUFLEXION 161

hU111 Zegitur: ad qllod stare debent attenli. In Missa vero que


cantatur si est dominica veZ de festo: aut de feria inter pasca et
festllm sancte Trinitatis: genlla {Iectunt ad confessione111: qua
finita stant usque ad adorationen1. sacran1e1"lti ... qua adoratione
lac ta surgllnt stanles llsque finem Misse» (134).
Avec ces indications nous sommes déjà aux temps modernes.
On peut résumer l'emploi de la génuflexion par cette manière:
dans les siècles qui suivent l'Ordo Burckardi - disons donc
jusqu'aux ans dans lesquels le Mouvement Liturgique s'impose -
la génuflexion (à deux genoux) est avant tout la position typique
des fidèles pour toutes les prières et toutes les célébrations li-
turgiques, avec des rares exceptions comme pour l'Évangile.
Rester debout est regardé plutôt comme le geste de ceux qui ne
sont pas fervents, qui restent à l'entrée ou à la porte de l'église,
pas pour un sentiment d'humilité, mais par paresse et mauvaise
volonté. Le signe extérieur de cette situation, du moins en Alle-
magne, consistait à ce qu'il n'y avait pas d'église catholique
sans bancs pourvus de « genuflectorium »[
Seulement dans la liturgie officielle, c'est à dire dans la
célébration du prêtre, des chanoines, des moines, on a gardé
le geste de se tenir debout comme posture normale pour la
prière en général et pour les célébrations liturgiques. Mais
même dans cette liturgie officielle la génuflexion est maintenant
devenue obligatoire pendant la Messe pour l'adoration du Sa-
crement après la consécration, de même que pendant les oraisons
et le Canon tout entier aux jours fériaux du Carême, de l'Avent
et de jeûne. Et on se met encore à genoux toujours, même le
dimanche et pendant le temps pascal, pour les prières plutôt
privées de préparation ct de conclusion de l'Office. Autrement
dit: on se met à genoux ou on fait la génuflexion pour adorer
Dieu (dans le Sacrement), pour prier lors des actions pénitenciel-
les, pour prier avec insistance, et presque toujours lors qu'on
prie seul. Pour tout cela on ne tient plus compte des
temps privilégiés d'autrefois, à savoir le temps pascal et les
dimanches. Ça vaut bien pour la liturgie officielle. Pour les
fidèles, au contraire, se mettre à genoux est plutôt le geste de
prière (( sin1pliciter »; se tenir debout est une exception très
rare, employée seulement pour exprimer de la révérence vers la
parole de Dieu dans l'Évangile. Très étrangement on a gardé en
même temps le geste de la génuflexion (avec un seul genou)
162 BURKHARD NEUNHEUSER

comme signe de révérence envers l'évêque, le Pape et même


envers l'autel et quelques images, avant tout la sainte Croix. Il
est vrai néanmoins que ce signe devient avec le temps toujours
moins signifiant et presque inconnu par les fidèles.

Tout ce monde un peu confus et nivellé commence à changer


avec le Mouvement Liturgique moderne, lequel, en revenant
aux prescriptions de la liturgie officielle, se souvient de l'impor-
tance des signes 41. Tout d'abord on fait de son mieux pour
célébrer selon les normes officielles, tant de la part du clergé
que des communautés rassemblées pour la célébration liturgi-
que. Les fidèles eux-mêmes, dorénavant invités et prêts à parti-
ciper activement, suivent les célébrants officiels. Ainsi on chante
maintenant debout et on reste de même debout, comme le
prêtre et avec lui, pour les prières officielles, avant tout pour
la préface et puis, après quelques hésitations, même pour une
grande partie du Canon et, finalement, pour le Canon tout
entier.
D'autre part, on découvre de nouveau le sens profond de la
prière à genoux; par ex. comme prière de pénitence, de suppli-
cation insistante, surtout dans les temps forts de l'année litur-
gique, c'est à dire au Carême et pendant l'Avent. On aperçoit la
différence qui se passe entre le geste de la génuflexion, celui de
rester à genoux et celui de prier debout. On voit aussi le sens
de la génuflexion comme signe d'adoration du Saint Sacrement
de l'Eucharistie et en même temps on commence à percevoir la
difficulté de l'admettre comme signe de révérence (ou d'" ado-
ration,,) envers l'évêque ou le Pape.
Maintenant il semble impossible de rester à genoux pendant
toute la Messe. Quant à l'autel, il est salué pas plus avec la
génuflexion, mais avec une inclination (profonde). On se tient
debout autour de l'autel, on est assis pendant les lectures, on
se lève pour l'Évangile, on est assis de nouveau pour l'homélie,
mais on se lève pour la prière des fidèles, pour la préface, le
Sanctus et même pour la première partie du Canon, c'est à dire
de la grande Prière Eucharistique. Pendant la consécration le
célébrant et les concélébrants, et très souvent aussi les mi-
nistres et tous les assistants, restent debout; après la consécra-

41 Cf. par ex. R. GUARDIN1, Von lleiligen Zeichen, 11922; Mainz 1926; 1946.
PRIÈRE À GENOUX ET GÉNUFLEXION 163

tion seulement le premier célébrant adore le Sacrement par la


génuflexion, tandis que les autres s'inclinent profondément,
Quant aux fidèles, ils font, au moins en quelques lieux, la génu-
flexion avant de recevoir la sainte Communion, mais il reçoivent
l'Hostie en restant debout, D'autre part, on estime plus sé-
rieusement la prière à genoux pendant le temps de Carême, bien
qu'il y ait d'hésitations, Quelquefois même on exagère en omet-
tant tout à fait la génuflexion,
On pourrait dire que la pratique vivante a précédé la lé-
gislation officielle, laquelle a suivi cette évolution d'une façon
encore provisoire dans le Codex Rubricarum de 1960 ", Mais c'est
seulement avec les réformes faites dans l'espcit du Concile Va-
tican II, spécialement de la Constitution sur la Liturgie Sa-
crosanctwl1 Concili"m", que la situation a radicalement changé,
Avant tout on a aboli complètement la génuflexion devant
l'évêque: "Episcopus iam non genuflexione, sed inclinatione ab
omnibus salutatur » 44. Le nombre des génuflexions est diminué:
" Celebra11s genuflectit tantum: a) cum accedit ad altare , , " si
adest tabernaculwn cum Ss, Sacramento; b) post elevationem
hostiae et post elevationem calicis; c) in fine Canonis post doxo-
logiam "; d) ante Commullionem ",; e) expleta Communione,
postquam hostias, quae forte superfuerint, in tabernaculo recon-
diderit, Reliquae genuflexiones omittuntur» ",
L'Ordo Missae de 1969-70 ne connaît plus que trois génufle-
xions dans la Messe: "Tres genuflexiones fiunt in Missa, hoc est:
post ostensiOne11'l Hostiae, post ostensioneJn calicis et ante Com-
111unionem » 47. Il y en a encore deux, avant et après la Messe,
si le Saint Sacrement se trouve dans le tabernacle sur l'autel ",
On a en outre limité la génuflexion pendant le temps de la

42 Préparé encore sous Pic XII, mais publié par Jean XXIII: AAS 52 (1960).
43 Selon l'esprit du Concile, qui veut dans la Const. Sacrosanctum Conci-
lium: «Traditioni... fideliter obsequens ... ut, ubi opus sit, caute ex integro ad
mentem sanae traditionis recognoscantur et nova vigorc, pro hodiernis adiunctis
et necessitatibus, donentur» (n. 4): « textus et litus ita ordinari oportet ut
sancta, quae significant, clarius exprimant, caque populus christianus ... facile
percipere et celcbratione participare possit» (n. 21).
44 Dans une Instruction sur les rites pontificaux de 1968, n. 25; nous citons
scIon l'édition pratique de R. KACZYNSKI, Enchiridion documenrorum instaura-
tionÎs liturgicae: 1 (1963-1973), 1976, n. 1124.
45 Cette prescription de 1967 a été abolie dans la disposition définitive du
Missale Romanum de 1969-70.
46 Dans l'Instruction Tres abhinc annos de 1967, n. 7; KACZYNSKI, l.c., 816.
~7 Dans l'Institutio generalis Missalis Romani, n. 233; Ko\CZYNSKI, I.e., 1628.
48 Ibid.
164 BURKHARD NElJNHEUSER

prière aux seules occasions où les fidèles sont invités à se mettre


à genoux par les paroles: « Flectamus genua» 49,
Dans la rubrique générale sur les gestes corporels on a
déterminé que les « fideles in omnibus Missis, nisi aliter caveatur,
stent ab initia cantus ad introitum ... usque ad finem Missae,
praeter ea quae infra dicuntur. Sedeant ". (pendant les lectu-
res etc.). Genuflectant vero, nisi ob angustiam loci vel fl',equentio-
rem numerUln adstantiul1Z alias que rationabiles causas inzpe·
diantur, ad consecratiol1em }) 50. Une autre règle générale est don·
née dans l'Instructio de Ss. Eucharistia de 1973: «Coram Ss.
Sacramento, sive in tabernaculo asselvato sive publicae adora-
lioni exposito, unieo genu fleetitur » ". Finalement, on a souligné
aussi le geste de la génuflexion dans certaines moments de la
célébration pénitentielle, mais d'une façon très discrète ".

Jusqu'ici les normes officielles. Elles sont, à notre avis,


bonnes, sobres, discrètes. Mais dans la pratique l'évolution s'est
poussée beaucoup plus loin, bien qu'avec des nuances assez dif-
férentes.
Pour beaucoup de fidèles tout est resté comme auparavant;
il leur faut du temps pour changer. Dans la liturgie officielle ou
publique du clergé ordinaire et des communautés qui célèbrent
avec lui, la génuflexion a parfois totalement disparu: on ne la
connaît plus ni pour l'Avent ni pour le Carême; on ne l'observe
plus après l'invitation « Oremus », olt l'avait prévue la formule
« Flectamus genua ». Celle-ci est de fait supprimée, parce qu'on
dit qu'elle est trop compliquée pour les fidèles (trop gênante,
causant trop de bruit etc.). Par de pareilles raisons on ne garde
plus la génuflexion dans les rares cas Ol!, au cours de l'année
liturgique, elle a été conservée explicitement par la nouvelle
liturgie réformée, c'est à dire pour le Veni, Sancte Spiritus du
dimanche de la Pentecôte et pour l'Et incarnatus est dans le
Credo à Noël. Dans les hymnes, olt on avait la coutume de la
faire - telles que le Vexilla Regis prodeunt et l'Ave, maris
stella - , la génuflexion vient d'être déjà officiellement suppri-

49 Instr. Tres ablzim: amlOs, n," 16; KACZYNSKI, I.e., n. 825b dans la note
explicative.
50 N. 21; K.... CZYNSKI, I.e .. n. 1416.
51 N. 84; K,\CZYNSKI, 1.c., n. 3092.
52 Ordo Paenitentiae, n. 27, 3Sb; K\CZY:\'SKl, l.c., nn. 3199, 3207b.
PRIÈRÉ À GENOUX ET GÉNUFLEXION 165

mée. Finalement; tout à fait contre la lettre et contre l'esprit


de la réforme liturgique, beaucoup de prêtres omettent toute
sorte de génuflexion pendant la Messe, à savoir après la consécra-
tion et avant la Communion; on se contente d'une révérence plus
ou moins profonde. Les raisons données pour ces changements
sont très faibles: avant tout on dit qu'on ne saurait plus le
sens de la génuflexion, désormais disparue de la vie de la societé
moderne; d'autre part, le geste trop souvent employé dans
l'Église jusqu'aux derniers temps ne dit plus rien de spécial.
Il y a là du vrai, mais on oublie que la réforme a voulu, en suivant
les suggestions du Mouvement Liturgique, renouveler la signifi-
cation profonde et authentique du rite de la génuflexion en tant
que signe de l'adoration devant Dieu seul, devant le Corps du
Christ dans le Sacrement, et en tant que signe de prière intense,
de supplication ardente et humble, de pénitence profonde. Tout
cela, certes, en tant qu~ signe rarement employé, mais bien pour
ça très éloquent 53.

Burkhard NEUNHEUSER, O.S.B.

53 Tout cela, évidemment, ne se réalise pas sans une catéchèse continuée


par laquelle les fidèles doivent être introduits dans la signification profonde des
signes.
,
L'ICONE.
ANALOGIE ET COMPLÉMENTARITÉ DE L'IMAGE PAR RAPPORT
AU GESTE ET À LA PAROLE LITURGIQUE

INTRODUCTION

Dans le cadre d'un thème de congrès choisi délibérément


aussi vaste et général que celui de cette année, il ne pouvait
être question d'omettre l'image liturgique. Comme on le sait,
dans le contexte orthodoxe, dont j'ai l'honneur de vous entre-
tenir, gestes et paroles liturgiques ne sont guère concevables
sans la présence et, pourrait-on dire, le « support» des saintes
images. D'où l'idée de cette brève communication.
Certes, il ne s'agira pas de démontrer qu'un troisième élé-
ment, à savoir les icônes, vient compléter les' gestes et les paroles
dans la liturgie orthodoxe, - ceci nul n'en doutera. Notre tâche
sera plutôt d'indiquer en quoi ce troisième élément s'apparente
aux deux premiers, et en quoi il s'en distingue. D'où les deux mots
- analogie et complémentarité - que nous avons retenus pour
caractériser le rapport de l'icône au geste et à la parole du rite.

* -;. *

Mais avant de nous engager sur cette voie et pour plus de


clarté, permettez-moi une brève remarque d'ordre général.
L'art de l'Eglise, comme tout autre art, est un langage qui
parle par ses formes. Comme toute autre oeuvre d'art, l'icône
nous transmet son message par sa forme, ou, si vous préférez,
par son style. Or, pour ne pas rester limité à une appréciation
purement esthétique de cette forme, il importe de connaître les
données qui la déterminent. En ne nous tenant qu'à l'essentiel,
nous devons indiquer le contenu et la fonction comme les deux
éléments fondamentaux qui nous paraissent détenniner la forme
ou le style de l'icône.
168 NICOLAS OZOLI~t

En ce qui concerne le contenu, on sait qu'il a été défini lors


du dernier sursaut des grandes discussions christologiques du
premier millénaire, c'est-à-dire au temps de la crise iconoclaste
du huitième et neuvième siècles l, On connaît le fondement
christologique de l'icône, élaboré avec une grande précision à
cette époque, Le propos limité de la présente communication
ne nous permet pas d'entrer dans le détail de J'argumentation,
qui est d'ailleurs bien connue aujourd'hui; mais même une
première lecture des témoignages patristiques, notamment de
Saint Jean Damascène, Saint Théodore Studite, des patriarches
de Constantinople Saint Germain et Saint Nicéphore, ainsi que
des actes du deuxième concile de Nicée, suffit pour constater
que la Tradition considère unanimement le contenu de J'image
sacrée comme dogmatique,

« Ce qui était dès Je commencement,


ce que nous avons entendu,
ce que nOliS avons vu de nos yeux,
ce que nous avons contemplé,
ce que nos mains ont touché
du verbe de vie;
- car la Vie s'est manifestée:
nous l'avons vue, nous en rendons témoignage ... ».

Ce début de la première épitre de Saint Jean paraît résumer


d'avance tout ce que l'Eglise dira à ce sujet, Et faisant écho à
travers sept siècles au disciple bien-aimé, un autre Jean - le
DamascÈne - exprime Ja même vérité en s'exclamant: « J'ai vu
la forme humaine de Dieu et mon âme est sauvée - dao\l dao:;
Gh:oü "t'à &.v&pW7t~VOV, xrd &crd.l&YJ !-,-OU 1) 9ul.:~ }) 2.
En effet, come l'écrit le père Jean Meyendorff, J'art sacré
est pour les orthodoxes "inséparable de la théologie,,', Des
autorités incontestables en la matière ont longuement traité ce
sujet', Citons simplement à ce propos et pour en finir, l'auteur

1 Pour l'argumentation iconoclaste et son origine voir notamment N. Ozo-


UNE, Les sources de l'icorlOcla.sme byzantin (en lusse), dans «Messager de j'Exar-
chat du Patriarche russe en Europe Occidentale ». n. 56, 1966.
2 p, G., 94/1, col. 1256A,
3 Initiation à la théologie byzantine, Paris 1975, p. 72.
4 Voir surtout: G. OSTROGORSKY, La doctrine des saillies icônes et le dogme
christalogique, in: «Seminarium Kondako"ianum 1», Prague 1927 (en russe).
L'ICÔNE 169

de la dernière grande étude sur la question, Christoph von


Schonborn, qui explique qu'en parlant des" fondements dogma-
tiques de J'icône" il entend son aspect théologique et doctrinal
élaboré pendant la querelle des images. Cette querelle, dit-il, « a
été avant tout un débat christologique ... et dans ce débat s'est
trouvé engagé tout J'acquis de cinq siècles de réflexion et de
confession christologiques» 5.
Retenons donc que le contenu de J'icône, ou, comme dit
von Schonborn, son fondement, doit être caractérisé COll1ille
dogmatique.
En parlant de la fonction de l'oeuvre d'art qu'est l'icône,
nous utilisons une notion qui de nos jours n'est plus guère à
la mode. Elle se voit même souvent violemment repoussée par
les artistes et les critiques d'art voués pour la plupart à la
«(pureté)} de {( l'art pour l'art». Rappelons qu'il s'agit là d'un
slogan tout récent et que les courants d'idées qui allaient l'engen-
drer n'apparaissent dans la théorie de l'art qu'à partir de la
fin du XVIII" siècle, non sans se heurter d'ailleurs à des résistan-
ces farouches 6. Ainsi, par exemple, il y a environ cent ans que
Richard Wagner avait essayé de réagir contre le tragique isole-
ment progressif des différentes branches de l'art en créant ce
qu'il appela non pas des ({ opéras» mais des « Tondramen ».
Dans les écrits théoriques qui accompagnent ces créations, il les
présente comme des projets extrêmement ambitieux, inspirés
d'une sorte de nouvelle religion universelle de l'art, dont il se

Du même, Les fondements gflOséologiques de la querelle des images, in: "Scmi-


narium Kondakovianum II », Prague 1928 (en russe). Du même, Rom und Byzanz
im Kampfum die Bilderverellrung, in: «Seminarium Konc1akovianurn VI », Pra-
gue 1933. G. FLOROVSKY, Origel1, Eusebius m1d the icunoclastic cOl1troversy, Church
History XIX, n. 2, 1950. L. OUSPI.::~SKY - V. LOSSKY, Der Si/m der Ikollel'l, Bern 1952.
L. OUSPE.IIlSKY, Essai sur la théologie de l'icôI1e dans l'~gIise orthodoxe, Paris
J960; la traduction anglaise de cet ouvrage fondamental vient de paraître chez
Saint Vladimir's Semi"i1arv Press. Crestwood, New York. J. MEYENDORFF, Vision
de l'invisible, in: «Le Chl:ist dans la théologie byzantine", Paris 1969, pp. 235-263.
Du même, La crise iCOIwclaste, dans «Introduction à la Théologie Byzantine",
Paris 1975, pp. 59-73.
5 Christoph von ScnOXBORl\, L'icône du Christ, Ed. Universitaires, Fribourg,
Suisse, 1976, p. 17.
6 Le processus de la fameuse «purification des arts" - chaque art devant
être «liberé" de tout élément étranger, pour aboutir finalement à la "peinture
pure ", «l'architecture pure ", «la musique pure". etc.... - processus qui
conduisit inévitablement à la mort du style, a été analysé avec pénétration par
W. Weidlé dans Umiranie lskasslva et dans Les abeilles d'Aristée, ainsi que
par H. Sedlmayer dans son célèbre ouvrage Der Verlus! der Mille.
170 NICOLAS OZOLIXE

croyait à la fois le prophète et le grand prêtre. Dans la " célé-


bration» de ces oeuvres souvent démésurées, il voulait refondre
une nouvelle unité de l'ensemble des arts humains, en un mot
créer le «Gesamtkunst\verk».
Je me suis permis d'évoquer ici le nom de Wagner, non
pas parce que je suis un adepte de sa musique, mais parce que
ses théories - dont certains détails [ont sourire aujourd'hui -
reprennent la plus ancienne et la plus fondamentale des intui-
tions humaines sur l'art: l'affirmation que la vocation profonde
de tout art consiste dans l'exercice d'une fonction sacrée.
Dans le contexte de la liturgie chrétienne, cette affirmation
revêt évidemment une importance capitale, puisqu'elle s'appli-
que sans réserves à la tâche que l'Église confie aux arts dans sa
liturgie. " Dans la liturgie, en effet, la parole parlée et la parole
visible se répondent et se complètent, en eIle elles vivent de la
lllême vie, dans une même action et pour un lllênle témoignage »,
écrit Jean-Philippe Ramsayer dans son beau livre La Parole et
l'Image 7. Puis il continue: "la liturgie, c'est une parole en acte,
c'est une image parlée, c'est l'annonce des choses qu'on espère,
et c'est aussi la démonstration de ceIles qu'on ne voit pas. La
liturgie est une image anticipée du Royaume, mais en même
temps eIle est aussi parole prophétique ... La parole de la prédi-
cation n'y est pas seulelnent annoncée, elIe y est encore située
dans une architecture et dans un environnenlent de formes et de
couleurs, de musique et de poésie. Et cette parole entraîne tous
ces éléments dans une active et vibrante célébration; elle les
tire d'un isolement dangereux, eIle les délivre d'une recherche
stérile d'effets particuliers. L'art sous quelque forme que ce
soit, se voit appelé à exercer sa fonction la plus noble, qui est
d'exprimer la louange de la créature dans l'offrande de soi au
Créateur» 8.
Sans aucun doute, la liturgie représente pOUl' nous l'ultime
vocation des arts, car le sens de leur commun effort - leur
fonction - consiste à suggérer l'anticipation du Royaume.

7 P. 100.
S Ibid. p. 100-101.
L'ICÔNE 171
~----------------

LE ROLE ANALOGIQUE DE L'IMAGE, DES PAROLES


ET DES GESTES DANS LA PRIÈRE LITURGIQUE

Tout d'abord nous envisagerons plus précisément l'ana-


logie entre la parole et l'image telle qu'elle fut établie par les
apologètes des saintes icônes dans leur lutte contre les icono-
clastes.
Voici ce que nous dit Saint Jean Dan1ascène: « Les apôtres
ont vu corporellement le Christ... et ont entendu ses paroles;
nous aussi désirons voir et entendre pour être bienheureux -
btL8u[.Loü!1-ê:V xcxl ~!)..dc; IOE:Lv, xoc! ocKOÜcrCH, xoct [1.ocxlXpL0'81j\loc~». « Ils l'ont
vu face à face - npoO"w7tOV npàç 7tpoO'wr.o'J - puisqu'Il était pré-
sent corporellement; nous aussi, puisqu'Il n'est pas présent
corporellement, nous écoutons Ses paroles à travers des
livres, nous adorons en vénérant ces livres qui nous font entendre
Ses paroles. Il en est de même pour l'icône peinte; en voyant Ses
traits corporels, nous saisissons cn esprit, autant que faire se
peut, la gloire de Sa divinité. Nous sommes doubles, faits d'âme
et de corps, et notre ân1e n'est pas à nu, n1ais enveloppée comme
d'un manteau; il nous est impllssible d'aller au spirituel sans le
corporel. Car tout comme nous écoutons les paroles sensibles
avec nos oreilles corporelles, et nous comprenons les choses spiri-
tuelles, de même nous arrivons par la contemplation corporelle
à la contemplation spirituelle. Pour cela le Christ a assumé un
corps et une âme, puisque l'honlllle a un corps et une âme;
c'est pourquoi aussi le baptême, la communion, la prière, la
psalmodie sont doubles, corporelles et spirituelles» '.
Ce passage indique tout d'abord Je fondement théandrique
de toute liturgie chrétienne: «le Christ a assumé un corps et
une âme, puisque l'homme a un corps et une âme - OLa 't'OÜ't'O
crw!1-OC, xocl YUX~v ocVtÀCX~E'J a XpLO''t"OÇ, ~7tE:L3~ O'w[.Loc xocl ~uZ'~'J ëXEL 6
<X.'J,s.pW7tOç c'est pourquoi le baptênle, la comnlunion, la priè-
-
re, etc ... sont doubles, corporelles et spirituelles ... ». Grâce à
J'économie dans la chair de Dieu le Verbe, la ëvcrlXpx"1) obwvo[.Ltoc
't'OÙ 0E:oÙ ÀOyOu, 1a réalisation de notre salut sur terre et l'adora-
tion dans l'esprit et la vérité n'exclut pas la nlatière et le corps,
ITlais au contraire les supposent. En effet, Dieu lui-mênle, dit

9 Saint JEAN DAMASCÈNE, De ImagillibllS Oralia Ill, P.G., 94, coL 1333D·1336AB.
172 ~ICOLAS aZOLINE

le Damascène, « s'est fait ll1atière pour 1110i, a daigné habiter dans


la matière et opérer 1110n salut par la matière» 10 et de toute
façon, répète-t-il, " il nous est impossible d'aller au spirituel sans
le corporel - &:ÙlJV1X":'QV '~!1..i.; ÈX't'oç '!W'J crw!1-o::nxt~v È:À6EI'J Èn'l. TtY.
\Jo1l't'cf. » 11
La Bonne Nouvelle, l'Évangile lui-même a, dans un certain
sens, pris corps, puisque le Christ, n'étant pas « présent corpo-
reJlelnent, nous écoutons Ses paroles ~l travers les livres - nous
sommes sanctifiés et nous vénérons ces livres par lesquels nous
entendons Ses paroles - xcd 7tpocrxuvoü}lzv ... Tcl..C; ~[~t.OlJÇI 3~ • (;)'1
&xoùCJ(.le:v 't"WV ÀOywv OCô-roü }) 12.
Ainsi la première analogie entre la parole et l'image, établie
par Saint Jean, concerne pour ainsi dire la « matérialité» de la
parole écrite par rapport à celle de l'image peinte. Saint Théo-
dore Studite reprend la même idée en disant: "Ce qui est
représenté d'un côté par l'encre et du papier, est représenté
sur l'icône par diverses couleurs ou un autre matériau
xxl 0 È'J't'ocü8rt. a~? Zrt.p't'ou X.IX! /-LÉ:),IX\'OC;;, o(hwc; bd Tilc; dx.6'Joç a~à.
7tOLXÜ,Ül'J Zpw11-&'t'(o)'J, .~ ih::: 'rUZo·, &'.1 :XÀÀÜl'J ,j"w'J ÈYZrt.pOCTI:::TClL » 13.
De même le concile cons tan tinopoli tain de 869 proclame
dans son troisiènle canon: « Nous honorons les images sacrées
de notre Seigneur Jésus-Christ et le livre des Saintes Évangiles
en leur témoignant la mênle vénération, car tout C0111me nous
obtenons un bien salutaire par les syllabes (éetites de l'Évangile)
ainsi en est~il pour les images peintes avec art et couleurs ... -
(,JO"it€P yà".p aLOC 't'W'I ~!l-cpspo/-Liv(ù'J h Cl,J-r71 aUÀ',C(~[,')'J "tl); aû)"t"l)ptoc:; È.n-
Tuyzc.bouaw &7tCl'J't':::Ç, O!J-;W a~a ZpW!J.&TÜlV dxo'Joupyb;,~ » 14.
Il va de soi que dans les deux cas, ce n'est pas la matière
comme telle qui est vénérée, « en voyant l'icône ... tOlnbant à
genoux, nous adorons Celui qui est reproduit ct non la lllatière;
pas plus que nous n'adorons la matière des Évangiles)} 15, précise
le Danlascène contre certains iconoclastes prilnaires.

10 De ImagillilJll.s Oratia 1, 16. P. G., t. 94. col. 1245.


11 P. G., 94. col. 1333D.
12 Ibid., col. 1336A.
t3 St. Tm';oOORE STUDI1E, P. G., 99, col. 340D.
14 MANsr XVI, col. 4OOc.
St. JEAN DAM.'\SCÈNE. Exposé précis de la foi orrhodoxe, livre 4, chap. XVI
15
«De l'icône », P. G., t. 94. col. 1172.
L'ICÔNE 173
----------------~~~---------------

Mais dans le passage du lnême auteur que nous avons cité


plus haut, nous trouvons une autre allusion, sinon à 1a {( maté~
rialité» de la parole, du moins à son caractère sensoriel, qui
n'a rien perdu de son actualité. En effet, certains considèrent
toujours la parole comme plus spirituelle, parce que moins
matérielle, que l'image. C'est d'eux que Saint Jean semble parler
quand il dit: «Tout comme nous écoutons les paroles sensibles
avec nos oreilles corporelles, et nous comprenons les choses
spirituelles, de même arrivons-nous par la contemplation cor-
pOI'elle à la contemplation spirituelle - ,"cr7tEp oil" My"'v S,,,
extaO'f)"t'wv &xooo!J.e:v w(n l''jW/-Lcx·t'txo~ç X!1.l ',Iooü!-LEV 'Ta 7t'Je:u{.Loc'nxoc, OG'!ûl
S'LOC O"w!-Lc('nx'1jc; Be:WpLCXÇ e:px,o[1.e:6oc rhd -r1)v 'i':ve:uf.Lo:."nx~'J Bewp(o-:v» 16.

La parole que nous entendons, comme l'image que nous


voyons, sont toutes les deux des phénomènes sensibles qui, pour
être perçus, s'adressent tous les deux à des organes sensoriels,
la parole pouvant être tout aussi sensible que l'image intelligi·
ble ". Ainsi se trouve introduite la deuxième analogie qui porte
sur les deux façons sensibles de proclamer la Bonne Nouvelle,
l'une qui s'adresse à rouie et l'autre à la vue, car, affirme le
Damascène, « ce qu'est la parole pour l'ouie, l'image l'est pour
la vue - xoct 07te:p -r7] &xon 0 "A6yoç, 't'oU'to r{j O?&(j~~ ~ ztX.W'l » lB.
Le fait qu'en grec le verbe Y?&9E:~'J signifie à la fois « écrire»
et {( peindre» permet aux apologètes des icônes de formuler
d'astucieux jeux de n10ts, qui n1ettent en relief cette analogie à
laquelle ils tiennent tant: "Lorsque ce qui n'a ni quantité, ni
mesure, ni taille, par l'éminence de sa nature, lorsque celui
qui était en forme de Dieu prend la forme d'un esclave et par
cette réduction assume la quantité, la mesure ct les caractères
du corps, dessine alors sur ton panneau et propose à la contem·
plation Celui qui a accepté d'être \'u. exprime son indicible
condescendance, sa naissance de la Vierge, le baptême dans le
Jourdain, la transfiguration au Thabor, la Passion ... les mira·

16 P. G., 94/1, col. 1336A.


17 «Die Sprache bczeichnct primar Verhallnissc des sinnlich '.vahrnehmba-
rcn Bereichs. Für den sinnlich nicht zuganglichen Bezirk muss sich die Sprache
einer bildhaften Ausclruckswcise bcdienen, also ursprünglich vollstandig Bil·
dersprache sein ... Die Bildersprache isl wesensgemasse Ausdrucksform der Pro-
phetie u. Apokalyptik, der Mystik ... u. der liturgischen Texte.. (sie) ist die
Grundlage der theologischen Terminologie,,: A. STlJIllER, dans Lex. fUr Antike
II. Christentum, Bd. II, col. 341·345.
lB P. G., 94/1, col. 1248C.
174 __________________~N~I~C~O~L~A~S~O=Z=O=L=I~N~E~_____________________

des ... le tombeau salutaire ... l'Ascension au ciel; écris tout en


paroles et par les couleurs, dans les livres et sur les panneaux
de bois - 7:cl..V1'(X. yprl.'fiE xo:~ ),oYC:) xIXt ZpWIl-OCO'LV, ÈV 'TE ~L~),otÇ XCl1.
7t(V::x.~L\I » 19.

Pour leur part, les Pères du VIr Concile Oecuménique


déclarent en se référant à Saint Basile le Grand: «ce que la
parole communique par l'ouie, la peinture le montre silencieuse-
ment par la représentation &. ycip 0 ),ôyoç -nj~ tO''t'opflXc;
UitfyPC(~E (chez le Damascène: ~hrl: -ôjc; cb~o~ç 7tC(ptO''t""l)cn) 't'aù't'IX
20
ypcxcpl'j, mw1twa.z
_ \.'10
ota;
, l
f.L~!1-·I)O'ewc;
'" '
oeLXV'Jcr~» .

Ailleurs les mêmes Pères disent: «par ces deux moyens, qui
se complètent mutuellement, c'est-à-dire par la lecture et par
l'image visible, nous obtenons la connaissance da la même
chose» 21.
Saint Théodore Studite exprime la même idée avec l'élo-
quence qui lui est propre: "Grave le Christ là où il convient,
comme celui qui habite lui-même en ton coeur, afin que lu dans
un livre ou vu sur une icône, tu le connaisses par les deux
connaissances sensibles 't"ocrc; 3IJ alv "oc~ae~crea"L yv(ÙpL~6/-LE'JOC;
3tr.&ç -- qu'il illumine doublement tes pensées et que tu ap-
prennes à voir avec les yeux ce dont tu as été instruit par la
parole» 22.
Cela veut dire que J'icône et l'évangile contiennent et com-
muniquent la mênle vérité - la même « connaissance », comme
disent les Pères, la connaissance de Dieu_
"Ce que la parole communique par J'ouie, la peinture le
montre silencieusement »: à l'analogie de la fonction annoncia·
trice correspond l'identité du contenu annoncé_ Mais l'analogie
de la fonction n'exclut pas une certaine complémentarité des
moyens, tant que celle-ci ne contredit pas l'identité du contenu.
Tout comme les textes liturgiques, l'icône correspond donc
au sens et au contenu des Saintes Écritures, sans toutefois se
réduire à une simple et servile illustration de la lettre du récit

19P. G., 94, t. r. col. 1329A.


20 MANS! 12, col. 1066E et M.-\i\'ST 13, col. 3000C, voir la citation plus exacte
chez le Damascène: P. G., 94/1, col. 1268A.
21 Cité par L. Ouspenskv dans E sscû sur la théologie de l'jcûne, Paris
1960, p. 164. -
22 P. G. 99, col. 1213C.
175

sacré. « En effet, ces textes ne se bornent pas à reproduire


l'Ecriture telle quelle: ils en sont comme tissés; en faisant
alterner et en confrontant ses parties, ils en révèlent le sens» 23.
Ainsi l'Evangile vit dans l'Eglise - il est expliqué et rendu
visible pendant la célébration par le chant des textes liturgiques
et la contemplation de l'image. " C'est pourquoi l'unité de l'image
liturgique et de la parole liturgique a une importance capitale,
car ces deux modes d'expression constituent une sorte de con-
trôle l'un pour l'autre, ils vivent la même vie et ils ont dans le
culte une action constructive commune)} 24.
Autrement dit, il s'agit vraiment d'une analogie entre" deux
moyens qui se complètent mutuellement », comme disent les
Pères du VIr Concile Oecuménique ".

'* * *

Regardons maintenant de plus près la nature de la fonction


de l'icône et le principal critère de cette fonction.
"Mon royaume n'est pas de ce monde» (Jean XVIII, 36).
Cette réponse du Christ à Pilate reste normative pour l'Eglise,
qui est Cf: royaume advenu dans la puissance du Saint-Esprit.
Néanmoins, bien que venant d'" ailleurs », Elle est fondée dans
et pour ce monde - « pour que le Inonde vive )} - , Elle en est
le salut, c'est-à-dire le sens et la finalité. Mais ce salut, l'Eglise
peut seulement le réaliser parce que sa nature est distincte du
monde, propre à Elle et différente de lui.
En conséquence, " les manifestations de l'Eglise par lesquel-
les Elle accomplit ce service, que ce soit la parole, le chant
ou autres, diffèrent des manifestations semblables du monde.
Toutes ces manifestations de l'Eglise sont marquées par le sceau
de sa spiritualité, qui les distingue même extérieurement du
monde ... Des genres et fornles d'art qui séparément poursuivaient
des buts indépendants, se transforment ainsi en divers moyens

23 OUSPENSKY, Essai ... , p. 164.


24 Ibid., p. 165.
25 Le livre de G. L.-\XGE, Bild und Wort. Die Katechetische Funktion des
Bildes in der griechischen Theologie des 6. bis 9. Jahrhunderts, Würzburg 1969,
ne m'a malheureusement pas été accessible.
176 NICOLAS OZOLINE

pour exprimer chacun, dans son propre domaine, la seule et


même réalité - la nature de l'Église. Autrement dit, ils devien-
nent des instruD1ents de la connaissance de Dieu. Il s'ensuit
que selon sa nature même, l'art de l'Église est un art Iiturgi-
que »26,
Revenons maintenant à notre question initiale: en quoi
peut-on observer une analogie entre l'icône d'une part et les
gestes et paroles de l'autre - en quoi y a-t-il correspondance
entre eux?
Après tout ce que nous venons de dire, la réponse s'impose
d'elle-même: entre les paroles et les gestes rituels, et l'icône,
il y a analogie de fonction liturgique.
Ceci appelle une précision. Comme nous l'avons vu tout à
l'heure, entre la parole liturgique et l'art de l'icône, il y a
analogie de leur fonction annonciatrice, et à celle-ci correspond
l'identité du contenu annoncé. Les images ne forment donc pas
un simple cadre extérieur à la célébration, mais il y a entre les
deux la plus totale unité de message. "Le mystère célébré et
le mystère représenté par la peinture ne font qu'un, aussi bien
intérieurement dans leur sens, qu'extérieurement dans la sym-
bolique qui exprime ce sens ", dit Leonid Ouspensky, et il con-
tinue: « ... Puisque selon sa nature même, l'icône, tout comme
les paroles de la célébration, est un art liturgique, on ne saurait
dire que l'image sert la religion, elle est et restera toujours par
analogie avec la parole une partie intégrante de la religion, un
des instruments de la connaissance de Dieu, et un des moyens
de communion avec Lui» 2ï.
Nous pouvons parler de la fonction de la peinture sacrée
et des arts liturgiques en général parce que nous les utilisons,
parce qu'ils sont pour nous des ffloyens dans la connaissance de
Dieu. En conséquence nous devons utiliser seulement les oeuvres
d'art qui conviennent à cette fin.
Mais quel est le but et l'objet de la liturgie, qu'est-ce qu'est,
toujours, la liturgie?
La liturgie nous est toujours donnée pour une communion,
pour l'expérience du Dieu Vivant, pour une connaissance existen·

29 L. 01:SPEKSKY· V. LoSSKY, The meaning of Jeons, p. 32.


27 Ibid., p. 32-33.
L'ICÔNE 177

tielle dans la prière. Aussi le mot" liturgique" doit être compris


ici dans un sens plus large que d'habitude, comprenant les sacre-
ments et la prière commune à l'Église, aussi bien que la prière
" en secret ", dans le sens de Matthieu VI, 6. Cette compréhension
quelque peu élargie de la fonction liturgique a son importance
ici, car quand nous prions nous ne sonlmes jamais seuls. Nous
prions toujours en tant que membres du corps catholique de
l'Église et l'un des aspects de la fonction liturgique de l'icône
est précisément de rendre cette réalité-là visible.
Dans la prière, l'Église actualise et communique sa plénitude
catholique et se réalise sacramentellement. Si la liturgie est
la respiration du corps mystique, alors la prière en est le souffle.
En conséquence, la prière doit être reconnue comme le principal
critère fonctionnel de tout art liturgique, que ce soit la peinture,
l'architecture, la musique, les paroles des poèmes ou même
les mouvements et gestes corporels.
Ceci nous amène à notre deuxiènle conclusion, probablement
la plus importante: tout dans l'icône - de par sa fonction ana-
logique à celle des paroles et gestes liturgiques - doit servir,
encourager et même exprimer la prière. " Le mystère célébré et
le mystère représenté par la peinture sont un", donc toute
expression, couleur, forme ou geste étranger à l'esprit de prière,
qui est " la paix de Dieu qui surpasse toute intelligence" (Phil.
IV,7), ne peut être accepté dans l'icône, pas plus que dans les
paroles et les gestes.
Une dernière remarque avant de passer à la première série
d'images. Elle porte sur le rôle pédagogique de l'icône, notam-
ment en ce qui concerne l'esprit des gestes liturgiques. De nos
jours, à l'âge de l'audio-visuel, il n'est plus guère nécessaire de
s'étendre longuement sur l'importance pédagogique de l'image.
Pour l'Église, l'image liturgique a toujours été un instrument
pédagogique de premier choix. Certes, on le sait, pour les ortho-
doxes, l'icône n'a jamais été réduite à la notion de «biblia
pauperum » on connaît son fondement christologique, mais ceci
J

ne l'a jamais empêchée de jouer en même temps un important


rôle pédagogique, et d'être notamment une véritable école de
prière. En effet, tout comme les textes et les mouvements cor-
porels liturgiques, les icônes ne participent pas seulement à
la prière en tant que moyens, mais elles guident et forment la
prière, elles montrent comment prier, jusque dans les gestes!
178 NICOLAS aZOLINE

«La liturgie est le mystère en acte », dit Mme Lubienska


de Lenval dans son livre La liturgie du geste :W. L'icône représente
ce mystère en acte, qu'il s'agisse d'une fête ou d'un saint. Et
c'est la façon de représenter ces actes qui montre et enseigne
aussi bien l'esprit des gestes liturgiques que la prière qu'elles
expriment. Comme nous le verrons, les gestes sur les icônes
sont représentés d'une manière liturgique, on pourrait dire que
ce sont des gestes liturgiques par leur forme ". Ceci n'a rien
d'étonnant puisque les icônes des Saints, par exemple, montrent
des personnages en prière, et sont à leur tour utilisées dans la
prière - encore une fois «le mystère célébré et le mystère
représenté par la peinture sont un ». Or, la prière n'est-elle pas
plus un état qu'une action? C'est pour cela que l'icône elle aussi
exprime moins une action qu'un état, non seulement par l'ex-
pression des visages ou le choix des couleurs mais jusque dans
les gestes des personnages représentés.
Ainsi, après cette brève description de la fonction liturgique
de l'icône et du critère principal de cette fonction, nous som-
mes tout naturellement arrivés à la ({ façon de représenter}),
c'est-à-dire à la forme et au style, ct il est temps de laisser
parler les images.

* * *

Le choix de ces quelques images ne pouvait être que très


limité. En dehors de la qualité artistique, nous nous sommes
laissés guider par deux autres critères. D'abord le lien évident
avec la prière - particulièrement visible, par exemple, dans la
composition appelée «déisis), - filais aussi là où l'action re-
présentée n'a en elle-même rien de liturgique (comme par exem-
ple la Décollation de Saint Jean Baptiste ou le combat de Saint
Georges avec le dragon). Puis par souci d'actualité, nous avons
choisi, non pas des oeuvres qui appartiennent à l'époque antique
de l'art sacré (nous en verrons un certain nombre dans la deuxiè-
me partie de cet exposé), mais des exemples modernes ou relative-
ment récents pour bien montrer que l'art de l'Église orthodoxe

28 P. 76.
29 Nous pouvons obser\'er par exemple le rythme extrêmement sobre des
attitudes, gestes et mouvements, en accord avec la gamme des couleurs employées.
L'ICÔNE 179

est un art pratiqué de nos jours, une partie intégrante de sa


vie ct de sa créativité.

1. Sainte Face, appartenant à l'église de la Trinité (Vanves), peinte par


le moine Grégoire (Kroug) t 1969. Publiée dans L. OUSPENSKY - V. LOSSKY,
Dell Sinn der Ikonen, Bern 1952, p. 71; cité ultérieurement Sinn der ...
2. Christ Pantocrator, Mytilène, Grèce, XIve s. Publié dans S. DER NER-
SES SIAN, L'art byzantin, art européen, IX~ Exposition organisée par le
Conseil de l'Europe, Athènes 1964, p. 67.
3. Mère de Dieu, appartenant à la Déisis de la Cathédrale de l'Annoncia-
tion au Kremlin, attribuée à Théophane le Grec, début XVe s. Publiée
par l'UNESCO dans « Séries de diapositives d'oeuvres d'art », n. 11 -
URSS, image 18; cité ultérieurement UNESCO, s. 11, image ...
4. L'Archange Michel, provenant du même ensemble. Publié par
j'UNESCO s. Il, image 19.
5. Saint Georges, école de Novgorod, vers 1400. Publié dans Sinn der ... ,
p. 128.
6. Le miracle de Saint Georges, Ecole de Novgorod, fin du XIV'~ s.
Publié dans UNESCO, s. 11, image 5.
7. La décollation de Saint Jean Baptiste, école du Nord, fin du XVe s.
Publié ibid., image 13.
8. Descente de Croix, école du Nord, fin du XV" s. Publiée ibid., image 11.
9. Pietà, par le moins Grégoire (Kroug), fresque de l'ermitage du Saint-
Esprit (Le Mesnil Saint Denis, Yvelines). Publié dans La Pâque du
Christ, encyclopédie oecuménique audio-visuelle, Paris 1970, n. 7;
cité ultérieurement La Pâque ...
10. Mise au Tombeau, école du Nord, fin du XV" s. Publiée dans UNESCO
s. 11, im. 12.
11. Le Tombeau Fide, par Leonid Ouspensky, peinture murale de l'Église
des Saints Hiérarques, Paris XV. Publié dans La Pâque ... , n. 9.

LA COMPLEMENTARITE DE L'IMAGE PAR RAPPORT


À LA PAROLE

Tout à l'heure déjà nous avons cité les pères du VII' Con-
cile Oecuménique qui avaient parlé des images et des paroles
comme de «deux moyens gui se complètent mutuellement ».
Pour communiquer « la connaissance des mêmes choses)}, cha-
cun des deux moyens est donc invité à exploiter au nlaximum
les possibilités dont il dispose.
On peut dire que la complémentarité de l'image par rapport
à la parole provient essentiellement de cette attitude maxima-
liste de l'image. Il s'agit tout d'abord du refus catégorique de
se laisser réduire à un rôle purement illustratif. D'où la conscien-
180 NICOLAS OZOLINE

ce aigüe d'une certaine indépendance, et une volonté farouche


de trouver des moyens pour se dépasser soi-même, c'est-à-dire
pour dépasser les limites inhérentes à tout art figuratif.
L'image liturgique orthodoxe ne veut pas seulement re-
présenter les événements décrits par les textes, elle veut aussi
montrer leur sens et leur signification. Autrement dit l'image,
à l'instar de la parole, veut, selon l'expression d'André Grabar,
" aussi exprimer des idées" 'o. Il a donc fallu trouver des moyens
appropriés parmi ceux dont il dispose spécifiquement en tant
qu'image ". Et en effet on observe, dès la naissance de l'art
chrétien, la recherche et le développement d'un langage spéci-
fique qui est le langage de l'iconographie chrétienne.
M. Grabar souligne la nouveauté et l'originalité de cette
création iconographique chrétienne. «L'effort créatif demandé
aux artistes chrétiens - écrit-il - était bien plus important
que celui que d'autres religions demandaient à leurs producteurs
d'images, puisqu'au lieu d\lliliser l'image simplement comme
souvenir de personnages ou d'événements historiques, ou pour
représenter des allégories sommaires, ils devaient trouver l'ex-
pression iconographique des idées abstraites du dogme chré-
tien. A cet égard aucun répertoire iconographique païen, que
les auteurs d'images chrétiennes auraient pu connaître, ne
pouvait leur fournir de modèle ... et nous devons insister ici sur
l'originalité et la nouveauté des expériences chrétiennes dans
ce domaine» 32.
Ces recherches durèrent de longs siècles et portèrent aussi
bien sur les types et schémas iconographiques que sur l'orga-
nisation de l'espace, etc ... Ce langage iconographique spécifi-
quement chrétien, qui reste, il faut le dire, un langage vivant
dans l'Orthodoxie, attend toujours son analyse «linguistique".
Car il est bien évident que ce langage iconographique aussi
peut être analysé du point de vue de son «vocabulaire", de
sa « syntaxe », de certains «glissements sémantiques », etc ...

30A. GR:\BAR, Christian ICJl7ograpl1y, Princeton University Press, 1968, p. 109.


31 On sait combien une telle tendance est dangereuse pour tout art figuratif
et la vigilance qu'il faut pour éviter les pièges de l'hermétisme et de l'allégo-
risme trop poussés, pièges anti-liturgiques par excellence. Ainsi, en deux domaines
bien différents, les icônes TIlsses dites «symboliques» et le symbolisme dans
la peinture européenne de la fin du siècle dernier nous paraissent, du point de
vue de la peinture, des échecs, puisqu'ils n'ont pas su éviter ces pièges.
S2 A. GRABAR, Christian lconography, p. 110.
L"CÔNE 181

(c'est là une autre analogie, encore peu étudiée, entre l'image


et la parole).
A notre connaissance, M. Grabar est le seul à avoir ébauché
une telle approche « linguistique» de l'art chrétien; il est aussi
le premier à dire que le travail dans ce domaine vient à peine
de commencer. Cette approche est d'un intérêt certain pour la
question dont nous nous occupons en ce moment, puisqu'il
nous semble qu'un certain nombre de ces « vocables» et de ces
« ordonnances syntaxiques» font justement partie des moyens
inventés par l'art liturgique pour se dépasser soi·même et pour
atteindre à sa manière l'expression des vérités et dogmes de
l'Eglise.
Nous pourrons donc observer, grâce à des exemples précis,
par quels moyens se réalise la complémentarité de l'image par
rapport à la parole. N'ayant pas le loisir de les considérer tous,
nous allons évoquer ceux qui nous paraissent les plus caracté-
ristiques.

* * *

Envisageons tout d'abord « l'imago clipeata » et la mandorle,


ou l'invisible rendu visible.
On sait qu'à l'origine l'imago clipeata est un portrait funé·
raire, dont d'innombrables exemples figurent sur les sarcophages
romains, soit entourés d'un disque rond, soit placés à l'intérieur
d'une coquille. Notons que dès ce stade initial, l'imago c1ipeata
« re.présente », rend présent quelqu'un qui par définition n'est
pas, ou plutôt n'est plus visible, car il est mort (image 12) ".
D'autre part les Romains se servaient aussi des « imagines
c1ipeatae» pour la représentation officielle de l'empereur ou
des consuls, et cette coutume fut élargie, après la paix de
J'Eglise, aux évêques considérés comme de hauts fonctionnaires
de l'Empire. Sur les diptyques consulaires en ivoire, nous voyons
ainsi le ccnsul lui·même dans un c1ipeus sur l'extérieur du
volet (image 13) 34. A l'intérieur le consul préside aux jeux qu'il

33 Clipeus avec deux défunts sur un sarcophage chrétien de St Paul-hors-


les-Murs du Musée du Latran, publié dans E. H. SV,,'[FT, Roman sources of
Christian Art, pl. VIII.
34 Diptyque en ivoire du consul Justin, Staatlichcs Museum Berlin, publié
dans A. GRABAR, Christian lconography, il!. 199.
182 NICOLAS OZOLINE

offre lors du début de son consulat (image 14) '.'. Au dessus de


sa tête nous remarquons trois images « c1ipeatae )}, lesquelles
représentent en général les elnpereurs régnants et le second
consul. Dans ces «clipeatae» figurent donc ceux qui sont en
principe invisibles, car absents, mais de qui le consul tient son
pouvoir (ou avec qui, comme dans le cas du second consul. il le
partage); ceux dont il se réclame, dont il est le représentant, et
dont la puissance est invisiblement présente à ses côtés. Sur le
premier diptyque, qui montre le consul Justin à l'intérieur d'un
c1ipeus central, on peut observer, dans la partie supérieure, trois
clipei du même genre que ceux que nous venons de voir sur le
diptyque d'Anastase, mais dans le c1ipeus central, ce n'cst plus
l'empereur qui est représenté, mais le Christ. Tandis que l'em-
pereur et l'impératrice figurent de chaque côté. Cette formulC
iconographique nous indique donc que le pouvoir suprême re-
connu aussi bien par le consul Justin que par le couple impérial
est le Christ.
Regardons maintenant une icône de Saint Pierre du VI'-VU'
siècles, conservée au Monastère Sainte Catherine du Mont Sinaï
(image 15) ". Nous observons en haut de l'image exactement la
même disposition des clipei qui représentent ici le Christ, la
Théotokos et vraisemblablement Saint Jean l'Évangéliste. L'apô-
tre Pierre détient son apostolat du Christ, au règne duquel est
associée sa Mère, et il le partage avec Saint Jean. Ces trois
personnages sont considérés comme invisiblement présents ici
avec Saint Pierre, et l'imago clipeata vient révéler cette certitude
spirituelle à nos yeux corporels.
Le vocable" c1ipeus » ne disparaît pas avec l'Antiquité, mais
reste un vocable fréquemment employé dans le langage courant
de l'iconographie orthodoxe, comme en témoigne cette icône
russe de Saint Nicolas, du XV' siècle (image 16) ". Le troisième
c1ipeus a disparu, mais la signification des deux autres reste
la même. Le Thaumaturge - évêque de Myre en Lycie - détient
son sacerdoce du Christ. La plénitude catholique de l'Église,
figurée par le Christ et sa Mère, est invisiblement présente là

35 Diptyque du consul Anastase, Constantinople 517, Paris, Bibliothèque


Nationale, publié dans A. GR,\DAR, Christial1 lconography, ill. 196.
36 Publiée par WElTZMANX dans The 'ttlOl1aslery of St Catl1erine - Tite 1cons,
voL 1, pl. VIII.
3'1 Publiée par W. P. RIABl;SCHINSKY dans Rllssische Ikol1ell, aus der San-nu-
lung Zeiller-Henrikscll, München, Verlag Bruckmann, Tafe] J/4.
L'ICÔNE 183

où célèbre cet évêque, représenté dans ses vêtements liturgiques,


tenant l'.Ëvangile qu'il proclame et bénissant ceux qui lui adres-
sent leurs prières.
Le dernier exemple d'imago c1ipeata que nous allons voir se
trouve sur une icône de la Mère de Dieu, dite «La grande
Panagia », dernièrement attribuée à Saint Alipios, iconographe
au monastère des Grottes à Kiev au début du XIII' siècle (image
17) '". La Vierge Orante est invisiblement escortée par deux anges
placés dans des c1ipei, ce qui la situe dans un contexte céleste,
comme dans les mosaïque d'absides post-iconoclastes, notam-
ment dans l'.Ëglise de la Dormition de Nicée, à Rosios Loukas
et plus tard à Torcello et Murano. A Nicée et à Torcello, la
Théotokos est debout et tient sur ses bras le Christ Enfant.
La place qu'Elle occupe dans l'abside reflète le rôle éminent
qu'Elle a joué dans l'Incarnation du Verbe prééternel, devenu
petit enfant. Toute icône de la Théotokos avec l'Enfant est une
Image de l'Incarnation. A Murano le Christ n'est pas représenté
et l'aspect « incarnation» se trouve moins clairement explimé.
La Vierge ayant les mains libres fait le geste de l'Orante. Sur
notre icône elle a aussi les mains libres pour faire ce geste, filais
en même temps c'est une icône de l'incarnation à part entière,
puisque la Vierge est représentée, pour ainsi dire, comme Théo-
tokos par excellence, portant en son sein le Christ. Le fait,
gênant pour la représentation, que Celui-ci reste invisible, est
à la fois indiqué et maîtrisé par l'imago clipeata.
Un autre vocable utilisé pour rendre visible l'invisible est
la mandorle. Elle se présente comme une auréole ronde ou ovale,
nettement délimitée par rapport au reste de l'image. Elle n'en-
toure plus seulement la tête, comme le nimbe habituel, mais le
personnage tout entier, et le place, en quelque sorte, dans un
nuage de lumière.
Il est fort probable que la figuration de ce nuage lumineux
fut inspirée par les descriptions bibliques de la « gloire du Sei-
gneur », la 36~cx, terme utilisé avant le Nouveau Testament dans
la Septante pour traduire «kebod Yahwe », qui est, d'après
Eichrodt, un «mode d'apparition extérieure et sensible de la
Inajesté surnaturelle de Yahwe» 39, qui ne porte nullenlent at-

38 Theologie des Alleu Testaments, Bd. l, p. 181.


39 Publiée dans UNESCO, s. 11, image 3.
184 NICOLAS OZOLINE

teinte à son invisibilité fondamentale. A partir du séjour d'Israël


au Sinaï (Ex. XXIV, 17), il restera le monde théophanique de
choix de l'Ancien Testament. « Kebod Yahwe", 86~"" et peut·ëtre
« chekhina" (inhabitation, présence divine) sont les (ermes qui
semblent avoir inspiré la création de la mandorle, car les pre·
miers exemples qui nous sont parvenus concernent justement
des visions vétérotestamentaires. Méme si la mandorle est de
la même lointaine origine mazdéenne que le nimbe ordinaire,
son introduction dans les figurations théophaniques au V' siècle
représente selon M. Grabar une authentique création chrétienne 40.
n s'agit d'abord d'une représentation de la philoxénie
d'Abraham. En haut de la composition qui fait partie des
mosaïques de l'arc triomphal de Santa Maria Maggiore Ct Rome,
et qui date de l'an 430 environ, nous voyons Abraham qui ac·
cueille ses trois visiteurs (image 18) H. Le personnage central du
groupe qu'ils forment est entouré d'une mandorle.
Le deuxième exemple est une vision d'Ezéchiel qui figure
dans la chapelle N° 45 à Bawit en Egypte (image 19) ". En bas
de la mandorle on voit les roues dont parle le récit biblique;
Ezéchiel se tient du cùté gauche tandis qu'en bas se trouvent
un certain nombre de personnages qui sont en quelque sorte
associés à sa vision et qui sont en contemplation, avec lui.
Le dernier exenlple de vision vétérotestamentaire se trouve
à Hosios David de Salonique (image 20) ". Il s'agit d'une vision
du Christ par les prophètes Ezéchiel et Habakuk, appelée aussi
« Christos Latom ", qui est généralement daté du V' siècle. Une
icùne du XIV' siècle du monastère de Poganovo en Bulgarie
reproduit les traits essentiels de cette mosaïque (image 21) H.
Au VI' siècle la mandorle entre comme un vocable tout prêt
dans l'image de la transfiguration du Christ nouvellement créée.
Matthieu XVII,5 parle effectivement d'une nuée lumineuse: la
mandorle indique donc ici la gloire de la lumière incréée, que les

40 « It were the Christians who added the aureole or oval disk of light ...
It was a new pictural motive for theophany »: A. GRABAR, Christian [conugraplly,
pp. 117-118. Voir aussi ibid. fig. 286, Aaron et ses compagnons dans un nuage de
poussière, Il Sainte Marie Majeure à Rome.
U Publiée dans OAJŒSHOTT, The /nasaics of Rome, London 1967, pl. 24.
42 Publiée dam; A. GRAB,\R, Christian Icanography, ill. 84.
43 Ibid., ilI. 280,117.
44 Publiée par T. GllERASSlIV[QV et A. GRABAR dans Cahiers Archéologiques, X,
pp. 279·304.
L'ICÔNE 185

apôtres ont vu « pour autant qu'ils le pouvaient », comme dit le


tropaire de la fête.
La mandorle fut acceptée par l'ensemble de l'art chrétien,
des absides dc Bawit (VI" siècle), jusqu'au grand portail de
Chartres (XII' siècle), comme le vocable apte à figurer les ap-
paritions, visions et autres manifestations surnaturelles 45. Elle
signifie donc que ces manifestations sont étrangères et invisibles
au monde sensoriel déchu, et ne sont perçues que par le ou les
visionnaires représentés à côté, ou encore par les {( yeux de
l'esprit» en général (un membre de l'Église qui contemple et
comprend cette image, par exemple).
Les exemples de la transfiguration - mosaïques de l'abside
de la basilique du monastère Sainte Catherine au Mont Sinaï
du VI" siècle (image 22) 46 - , de l'ascension - Codex Rabula,
Florence, VI" siècle, où l'on voit encore les roues de la vision
d'Ezéchiel (image 23) 47 - , de la descente aux enfers - Psautier
Khloudov, VIII" siècle (image 24) '", et finalement la dormition
de la Mère de Dieu - icône russe du XIV' siècle (image 25) ., -
montrent qu'il s'agit toujours du même vocable qui a la même
signification dans des compositions différentes.

* * *

Après avoir vu quelques exemples de la " représentation de


l'invisible », passons maintenant à ce qu'on pourrait appeler
la ({ représentatiol1 des idées ».
Comme premier exemple nous avons choisi l'idée de l'uni-
versalité de la prédication apostolique, qui est in troduite à un
moment précis dans l'image de la Pentecôte, plus précisément
dans l'image de la descente du Saint-Esprit sur les apôtres.

45 On sait qu'clle fut particulièrement populaire dans le représentations


de la «Maiestas Domini », yoir F. van OER MEER, M.aieslas Domil1i ~ Théophanies
de l'Apocalypse dans l'art chrétien, Rome-Paris, 1938.
46 Voir FORYTIJ and WElTZl\H:\N, The monaslery of St Cacllel'ine at Muunt Si-
/lai - tlze Church and tlle Furtress, vol. II.
47 Publiée dans The Ralmla Gospels, Urs Graf Verlag, Olten-Lausanne 1959,
fol. 136.
48 Publiée dans A. GRAB.\R, C11ristial1 Icollography, i11. 302.
49 Publiée dans UNESCO, s. II, image 4.
186 -----
NICOLAS OZOLI~E
---------

Regardons d'abord le premier exemple connu de ce qui va


devenir la composition classique de la Pentecôte "'. Il s'agit d'un
fragment d'icône du Mont Sinaï, datant du début du vrr siècle,
et donc antérieur d'environ un siècle à la pren1ière poussée de
j'iconoclasme byzantin (image 26) ". Au centre de la partie supé-
rieure, au dessus de Pierre et Paul, on voit le Christ en buste,
dont émanent des rayons de lumière distincts: un sur chaque
apôtre. Parmi ceux-ci l'on peut reconnaître Saint André. Ils
sont assis de face, tous sur une même ligne, comme sur un
banc droit, et engagés dans de vives conversations. Entre les
têtes de Saint Pierre et Saint Paul, à la hauteur de leurs yeux,
on distingue une cololl1be 5~.
Voyons maintenant le Parisinus Grec 510 de la Bibliothèque
Nationale au fol. 301 (image 27)". Une" hethimasic », symbole
de la Sainte Trinité, placée dans un clip eus comme à Santa
Maria Maggiore où il apparaît pour la première fois ". Le clip eus
dépasse la partie supérieure du cadre de la miniature. Du trône
partent trois rayons de lumière sur chacun des apôtres. Des
langues de feu sont inscrites clans ces rayons là où ils quittent
la représentation de l'invisible présence de la Sainte Trinité.
Les apôtres sont assis sur un banc en demi-cercle, représenté
dans une perspective légèrement rehaussée. Devant le banc nous
voyons représentés pour la première fois les futurs bénéficiaires
de la descente du Saint-Esprit, les peuples du monde, auxquels
les apôtres prêcheront la Bonne Nouvelle. Nous nous trouvons
devant la première figuration de " l'universalité» de la prédica-
tion apostolique.
On sait que le Parisinus Grec 510 clate de l'époque qui suit
immédiatement le triomphe cle l'Orthodoxie en 843, c'est·à-dire

50 Nous ne tenons pas compte d'une figuration bien connue sur une des
ampoules de Monza (GR,\B ..\R, Les ampoules ... , pl. XVIII), ni de celle du Rabula
1fol. 146), qui datent toutes les deux du VI" siècle, car leur iconographie reflète
une étape antérieure du développement liturgique de la fête, quand l'Ascension
et la Descente du Saint· Esprit n'étaient pas encore des célébrations bien distinctes.
51 Publiée dans K. WEITZA.!J\NK, The I1wnasterv of St Catherine at Moullt
Sinai - The Icom, vol. l, pl. XXX. .
52 On trouve des compositions assez similaires dans le psautier Khloudov,
datant de l'êpoque immédiatement post-iconoclaste, et dans le Hamilton, psau-
rier grec-latin du XIII~ siècle.
53 Publiée dans H. O~\-IONr, Milliatures des pills anciel1s I1Iwlus<:rits grecs
de la Bibliolf,èqtœ Nationale, Paris 1929, pL XLIV.
:>4 Voir aussi l'héthimasie de Santa Maria Caplla Ve[ere, également li Rome,
dans WU.PERT, .Mosaikell 1/11 Malereiell, III, p. 77.
L'ICÔNE 187

du COlnmencement de l'ère macédonienne, époque importante,


entre autres, par l'ampleur du n10uvement des missions bvzan-
tines. Il est permis de voir un lien entre cet essor mission~aire
et la représentation des peuples sur les images de la descente
du Saint-Esprit. M. Grabar écrit à ce sujet: " ... ce groupe de
peuples qui manque dans les Pentecôtes antérieures au IX"
siècle, mérite d'être mis en rapport avec la reprise des missions
à cette époque. En représentant ces Mèdes, ces Élamites et tous
ces autres peuples nommés dans les Actes des Apôtres, les
artistes byzantins ne songeaient-ils aux Sarrasins, aux Arn1é-
niens, aux Khazars, aux Slaves que les missionnaires grecs
convertissaient sous leurs yeux à la périphérie de l'Empire? A
partir du XI" siècle, les iconographes s'efforcent visiblement de
souligner la variété de ces peuples, et les costumes qu'ils leur
font porter permettent de reconnaître des Arabes et peut-être
des Arméniens et des Éthiopiens» ". Dans le 510, cette variété
ethnique n'est pas encore très prononcée. On voit que le groupe
de gauche est désigné comme qnÀod, et le groupe de droite comme
yÀwaOlL. Le mot 'PLÀ",t s'applique dans la Septante et le Nouveau
Testament surtout aux douze tribus d'Israël, pour les distinguer
des yÀ6)O'OCL, c'est-à-dire des « langues)} ou « autres peuples ».
Nous sommes donc invités à reconnaître dans le groupe de gauche
les représentants des enfants d'Israël et dans celui de droite le
reste de l'humanité.
Nous retrouvons la figuration des peuples dans les « coupo-
les à Pentecôte» de Sainte Sophie de Constantinople (qui n'est
pas conservée), de Hosios Loukas (XI" siècle) et de Saint Marc
à Venise. Voici une vue de la coupole ouest de Saint Marc de
Venise (image 28) " où nous distinguons les 16 groupes de peu-
ples représentés entre les 16 fenêtres de la coupole, chiffre qui
correspond exactement au nombre des peuples énumérés dans
le récit de la Pentecôte des Actes des Apôtres. On voit que le
souci de l'expression de J'universalité a poussé les artistes à
exploiter à fond les possibilités monumentales de cette coupole.
Comlne deuxième exemple dans la catégorie de la « représen-
tation des idées », nous avons choisi j'icône de la Nativité du

.,5 A. GR.-\BAR, L'art religÎew: el l'Empù'e bYZQllth! à l'époque des Macédu-


nÎens, dans «Ecole Pratique des Hautes Etudes ", section des Sciences religieu-
ses, annuaire 1939-1940.
56 Publiée dans O. DEl\n;::;, Byzantine Mosaic Decuration, London, 1947, pl. 8.
188 NICOLAS OZOLlNE

Christ, car elle nous fournit une belle illustration de ce que


M. Grabar appelle la représentatioll d'un dogme par images
juxtaposées.
Prenons par exemple cette icône russe du début du XVI"
siècle (image 29) ". Dans la partie inférieure de l'image "', le plus
souvent du côté gauche, « le vieillard Joseph» est assis, méditant
sur une pierre, visiblement troublé par des doutes sur la ma-
ternité de la Vierge (Mat. I,18-20l. Le sens de cette pose est
évident: Saint Joseph n'est pas le père du nouveau-né. L'icono-
graphie souligne qu'il n'est pas considéré comme un personnage
principal dans cet événement en le séparant nettement du groupe
central. Et non seulement il n'est pas le père de l'Enfant qui
vient de naître, mais il s'éloigne intérieurelnent par son incré-
dulité et s'isole dans ses doutes. L'idée d'isolement et de non-
communion est fréquemment accentuée par la représentation de
Joseph tournant le dos à la grotte. Quand la raison humaine
tourne le dos à la Révélation et se prive de cette communion,
elle ne peut accepter « la victoire sur l'ordre naturel» et ({ l'étran-
ge merveille» de la Vierge-Mère restera « scandale pour les Juifs
et folie pour les Grecs ». De l'autre côté de la partie inférieure de
l'icône se trouve la scène du bain de l'Enfant. L'origine de cette
scène remonte à l'imagerie biographique romaine. Sur les bas-
reliefs de sarcophages païens de l'époque impériale, des cycles
biographiques composés de scènes typologiques rappellent som-
mairement les étapes essentielles de la vie du défunt. Les cycles
commencent tous par la naissance, suivie du bain du nouveau-
né. A la fin de l'Antiquité, la scène du bain a été empruntée à
ces cycles biographiques généralement bien connus à cette époque
pour illustrer la véritable nature humaine du Christ, qui, comme
tout autre enfant, devait être lavé après sa naissance. Ainsi nous
voyons que les deux scènes du bas de l'image sont vraiment
complémentaires dans leur signification christologique. Les dou-
tes de Saint Joseph soulignent le caractère impénétrable du
mystère de la venue parmi nous du Logos éternel s'incarnant du
Saint-Esprit et de la Vierge Marie. Tandis que la scène du bain
insiste sur la pleine réalité de Sa nature humaine puisque dans

57 Publiée dans QLTSPENSKY - LoSSKY. Sinn der ... ) p. 161.


5a Pour l'ensemble de l'icône de la Nati\'ité du Christ, voir notre article:
L'icône cie la Nativité, dans «Contacts» J1. 4, 1976.
L'ICÔNE 189

le corps qui ici doit" souffrir» qu'on le lave, Dieu va souffrir


et mourir sur la Croix. Ainsi ces deux scènes s'efforcent sinon
de représenter, au moins d'illustrer le dogme sur les deux
natures du Christ formulé à Chalcédoine, par une juxtaposition
de deux images. Pour nous, le fait que la scène du bain ait été
empruntée à d'anciens cycles biographiques est important, car
il explique la facilité avec laquelle ce motif fut bientôt transféré
de la Nativité du Christ, ou peut-être même directement des
prototypes antiques, aux images de la naissance de la Mère de
Dieu, de Saint Jean Baptiste et d'autres, perdant évidemment
dans ces cas sa connotation chdstologique.
Pour terminer, nous voudrions montrer au Inoins un exem-
ple d'une « contradiction apparente» entre l'i1nage et la lraditiol'l
écrite, car cette catégorie de représentations illustre mieux que
les autres ce que nous disions tout à l'heure sur l'indépendance
des images liturgiques par rapport aux textes.
Voici une icône russe du XVI' siècle, tout à fait classique,
de la descente du Saint-Esprit sur les apôtres (image 30) ". Com-
me sur l'icône du Sinaï, que nous avons vue tout à l'heure, la
place centrale entre les apôtres est vide. C'est la place du Christ,
gui l'a laissée au Saint-Esprit, lequel se pose en langues de feu
sur les disciples 60. De même, comme sur l'icône du Sinaï et sur
toutes les autres que nous connaissons, nous voyons Saint Paul
assis en face de Saint Pierre. Or, Saint Paul n'était pas présent
le jour de la Pentecôte, il n'était même pas encore converti.
Pourquoi alors est-il représenté ici?
Nous disions tout à l'heure que l'image liturgique orthodoxe
ne veut pas seulelnent représenter les événements décrits par
les textes, elle veut aussi montrer leur sens et leur signification.
La Pentecôte est le jour de la naissance de l'Église. Le collège
des Douze figure ici la plénitude ecclésiale. Or, comment imaginer
cette plénitude sans l'apôtre Paul? Elle est impensable sans
lui, et c'est pourquoi il est représenté en face de Pierre - les
deux coryphés co-président ainsi le collège des Douze.

5~ Publiée par W. P. RLo\BFSCHlNSKY dans Russische Ikonel1, Verlag Bluck-


mann, Munchen, Tafe! II,II.
60 Dans le cadre de cette communication, nous ne touchons pas à la question
extrêmement importante de la perspectivc et de l'organisation de l'espace. Nous
espérons traiter ailleurs cettc question, qui mérite une étude à part.
190 ~rCOLAS OZOLINE

CO~CLUSION

On a souvent observé le caractère dognlatique de notre


hymnographie et souligné l'unité profonde de la «lex orandi»
ct de la «lex credendi» orthodoxes.
Nous pouvons maintenant constater la même unité concer-
nant l'image liturgique.
Nous pensons avoir montré que l'icône est un élément consti-
tutif de ]a « lex oran di » orthodoxe, une expression sui generis
du même contenu, de la même foi, qu'exprime et transmet la
parole.
Par rapport à la « lex credendi », les paroles, les images, les
gestes, ainsi que les chants, c'est-à-dire l'ensemble de la «lex
orandi », se soutiennent, se confirment et s'expliquent mutuelle-
ment, dans une fonction liturgique qui est à la fois analogique
et complémentaire.

Archiprêtre Nicolas OZOLINE


LES GESTES ACCOMPAGNANT LA PRIÈRE, D'APRÈS TERTULLIEN,
DE ORATIONE 11·30, ET ORIGÈNE, IIEPI EYXH:E 31·32

Chez tous les peuples et à toutes les époques de l'histoire


de l'humanité, les gestes accompagnant la prière ont joué un
grand rôle '. Il sera intéressant d'étudier le dossier des témoi·
gnages sur ce sujet dans l'Église ancienne'. Je prendrai comme
point de départ les deux plus anciens traités patristiques sur
la prière, tous deux écrits dans la première moitié du III' siècle,
le traité De oratione de Tertullien de Carthage, et le livre
IIEpl EÔx'ii, d'Origène, probablement commencé à Alexandrie et
achevé à Césarée en Palestine 3. Etant donné la distance géogra·
phique qui séparait les deux auteurs, on est d'autant plus frappé
de voir la similitude de leur démarche et des sujets traités. Si
l'on fait abstraction de la première partie du livre d'Origène
qui constitue la réponse du maître à la question de ses interlo·
cuteurs Ambroise et Tatiane, sur l'utilité de la prière en général
(cf. PE 5,ll, les principaux thèmes des deux ouvrages se recou·
vrent et sont traités dans le même ordre: commentaire des
demandes du Notre·Père, questions concernant la pratique de la
prière telles que la préparation à la prière, l'attitude extérieure
de celui qui prie, les lieux et les moments fixés pour la prière '.
Cette convergence semble indiquer que les deux auteurs dépen·
dent d'une tradition catéchétique établie universellement à leur
époque '.

1 Cf. TH. OHM, Die Gebetsgebiirden der Volker und das Christentum, Lei-
den 1948; F. HElLER, Das Gebet, 4 c éd. 1921, p. 9855.
2 Cf. d'une manière générale, l'article Gebet f de E. \'ON SEVERVS, dans:
R.4C 8, coll. 1134-1258.
3 Cf. en dernier lieu H. CROUZF.I., Les del/X commelHaires les plus anciens
du Notre-Père, dans: Studia missionalia 24. 1975, p. 293-309.
4 Origène annonce qu'il parlera des heures de la prière (PE 31,1), mais cn
fait, il oublie de le faire.
5 TERTULLIEN, De uratiune 1, s'adresse explicitement à des catéchumènes;
cf. HIPPOLYTE, Tradiriu apostulica 41. Plus tard, le même schéma se retrouve
chez Cyprien, Cyrille de Jérusalem, Ambroise, Théodore de Mopsueste, etc. Il est
vrai que W, GESSEI., Die Theologie des Gebetes nael1 « De OralÎollc» von Ori-
gencs, 1975, p. 49s5., souligne fortement que le traité d'Origène représente un
genre littéraire sui generis.
192 WILLY RORDORF

Pour notre sujet, les gestes accompagnant la prière, il faut


se référer à la dernière partie des deux traités patristiques en
question, à savoir aux chapitres 11 à 30 du De oratioue de Ter-
tullien, et aux chapitres 31 et 32 du II<pl <ÙX~, d'Origène. Je vais
étudier les différents gestes dans l'ordre même dans lequel ils
sont abordés par les deux auteurs.

1. La préparation à la prière

Aussi bien Tertullkn qu'Origène insistent sur le fait que


seul un homn1c qui n'est pas en colère, qui n'a pas de rancune
dans son coeur, est prêt pour la prière:
« Le souvenir des préceptes nous aplanit le chemin du ciel. Le
principal de ceux-ci, c'est, si nous avons avec nos frères quelque
désaccord ou sujet d'offense, d'arranger la chose, avant de monter
vers l'autel (cf. Matth. 5,23s.). Qu'est-ce en effet que de venir à
la paix sans avoir la paix? à la rémission de nos dettes en retenant
celles des autres? Comment apaiser le Père, quand on a de la
colère contre un frère, alors que toute colère nous a été interdite
dès les commencement?») (Tertullien, Oml. 11,1) 6.
«( A mon avis, celui qui va venir à la prière, s'il se dispose et se

prépare quelque peu, sera plus prompt et plus attentif à l'ensemble


de sa prière; de même ... s'il dépose tous les souvenirs mauvais qu'il
aurait de ceux qui ont été injustes envers lui, autant qu'il veut lui-
même que Dieu oublie le mal qu'il a commis contre lui et contre
beaucoup de ses proches» (Origène, PB 31,2) 7.

Cet esprit d'amour fraternel non-hypocrite qui est prêt à


se réconcilier avec son prochain, trouve son expression corpo-
relle dans le baiser de paix quand plusieurs chrétiens sont réunis
pour la prière. Tertullien en parle à deux reprises dans son
traité'. Quand un chrétien entre dans la maison d'un frère et
y reçoit l'hospitalité, il est normal qu'ils échangent le baiser de
paix et prient ensemble:
«Quand un frère entre dans ta maison, ne le laisse pas partir
sans une prière .- "tu as vu", est-il dit, "ton frère, tu as vu ton

6 Ici et dans la suite, on s'est servi de la traduction française de L. BAYARD,


Tertullien et saint Cyprien, Paris 1930, en y apportant les retouches nécessaires.
7 Ici et dans la suite, on a reproduit, à des nuances près, la traduction
française de G. BARDY, Origène, De la prière. Exhortation au martyre, Paris 1932.
8 Ou même à trois reprises, si la «paix" mentionnée en De oratione 11
signifie aussi le baiser de paix.
LES GÉSTES DE LA PRIÈRE D'APRÈS TERTULLIEN ET ORIGÈNE 193

Seigneur" 9 - , surtout si c'est un étranger, car ce pourrait être un


ange (cf. l-lébr 13,2). Reçu toi-même par des frères, ne fais pas
passer les rafraîchissements de la terre avant ceux du ciel: on
reconnaîtra aussitôt ta foi. Et comment diras-tu, suivant le pré-
cepte: "Paix à cette maison" (Luc 10,5), si tu n'échange pas la paix
avec ceux qui sont dans la maison (flisi et eis qui in domo sunt
pacem mutuam retldas)?» (Tertullien, Orat. 26).

Et le Carthaginois blâme ceux qui s'abstiennent du baiser


de paix lors de la prière communautaire en raison de leur jeûne
privé:
({ Une autre coutume s'est établie. Ceux qui jeûnent, après la
prière faite avec les frères, ne donnent pas le baiser de paix, qui
est le sceau de l'oraison ... Quelle oraison est complète sans le baiser
saint? Que dire d'un sacrifice dont on sortirait sans la paix?»
(Tertullien, Orat, 18,1.3-5) 10,

Nous connaissons tous l'importance que le baiser de paix


comme expression concrète de l'amour fraternel a pris dans
la liturgie de toutes les Églises, dès l'antiquité chrétienne, soit
au début de la célébration eucharistique, comme c'est la tradition
de l'Orient, soit juste avant la communion des fidèles, comme
c'est devenu la tradition de l'Occident ",
D'autre part, celui qui s'approche de Dieu dans la prière,
doit se souvenir de sa condition de pécheur, s'humilier devant
Dieu et se purifier intérieurement, autant que possible:
,< Mais ce n'est pas seulement de colère, mais de tout trouble
d'âme que doit être exempte notre prière, elle qui doit être faite
avec un esprit tel qu'est l'Esprit vers lequel elle doit monter.
Comment un esprit souillé serait-il reconnu par un esprit saint,
un esprit sombre par un esprit joyeux, un esprit embarassé par un
esprit de liberté? Personne ne reçoit son antagoniste: on n'accueille
que son semblable)) (Tertullien, Oral. 12).

9 A propos de cette parole du Seigneur apocryphe, voir A. RESCH, Agrapha,


2" éd. 1906 (réimpr. 1967), p. 182, n. 144.
10 Tertullien donne lui-même la raison de cette nouvelle tradition: on
s'abstenait du baiser de paix par analogie au jeûne pascal où l'abstention du
baiser de paix était de coutume; cf. J. SCHt:MMF.R, Die altchristliche Fastenpraxis,
1933, p. 51ss., 77ss. - Origène parle du baiser de paix dans son Commentaire sur
l'Epître at/x Romairls 10,33 (PG 14,1382s5.).
11 La pratique liturgique divergente remonte peut-être à la différence entre
les versions matthéenne et lucanienne du Notre-Père; cf. W. ROROORF, Wie auch
l'VÎr vergebell haberl unsem Schuldem (Matfh. VI,12b), dans: Studia Patristicu X,
Berlin 1970, pp. 236-241. D'une manière générale, cf. K. THRAEDE, art. Friedenskuss,
dans: RAC 8, coll. 505-519.
194 WILLY RORDORF

« A mon avis, celui qui va venir à la pnere, s'il sc dispose et


se prépare quelque peu, sera plus prompt et plus attentif à
l'ensemble de sa prière; de même s'il a chassé toute tentation et
tout trouble des raisonnements, et s'il s'est souvenu, suivant ses
forces, de la grandeur de celui dont il s'approche; s'il songe qu'il
est impie de s'approcher de lui sans attention et sans effort, avec
une sorte de mépris; s'il rejette toutes les pensées étrangères et
qu'il vienne ainsi à la prière» (Origène, PE 31,2).

Tertullien connaît des gens qui donnent à cette attitude


intérieure aussi une expression visible: ils se lavent les mains
avant la prière. Personnellement, il trouve, sans doute à la suite
de la critique des ablutions pharisiennes par Jésus (cf. Marc
7,1-23; Matth. 15,1-20), que le lavement des mains ne sert à rien
et est une pratique typiquement juive qu'il ne faut pas imiter:
«Par ailleurs, à quoi servirait de laver nos mains pour prier,
quand notre esprit reste chargé des taches du péché, puisque la
pureté spirituelle est nécessaire à nos mains elles-mêmes, c'est-à-dire
qu'elles doivent se lever vers le ciel, pures du mensonge, du meurtre,
de la cruauté, des empoisonnements, de l'idolâtrie et de toutes les
autres souillures qui, conçues par l'esprit, sont regardées comme
les oeuvres des mains? Voilà quelle est la pureté véritable, mais
non cette pureté superstitieuse que pratiquent ceux qui se croient
obligés à des ablutions corporelles avant de vaquer à la prière})
(Tertullien, Oral. 13,1)".

Mais Tertullien admet tout de même, dans le même con-


texte, que les chrétiens doivent se laver les mains avant la
prière quand celles-ci sont sâles:
« Nous ne devons ... purifier nos mains qu'autant que notre
conscience nous reproche d'avoir contracté quelque souillure dans
le commerce de la vie humaine» (Tertullien, Orat. 13,2).

En effet, la Tradition apostolique d'Hippolyte, à peu près


contemporaine à Tertullien, nous apprend que les chrétiens se
sont lavés les mains avant la prière, en tout cas le matin et à
minuit 13.

12 Cf. TERTULLIEl\, De baptisl1lo 15,3, Il fonde cette position sur Jean 13,10, en
disant, dans la suite du DI:' oratione 13: "Au reste, nos mains seront toujours
assez pures, puisqu'elles onL été lavées avec tout notre corps en Jésus-Christ ».
13 Chap. 41; cf, CLÉMEKT D'ALEXANDRIE, Strom, IV,141,4. Les judéo-chrétiens,
pour leur part, ont évidemment maintenu cette tradition (p. ex. Ps. - CL~MENT,
LES GESTES DE LA PRIÈRE D'APRÈS TERTULLIEN ET ORIGÈNE 195

2. Les attitudes de la prière

Comme il est bien connu, l'attitude normale des premiers


chrétiens quand ils priaient, était de se mettre debout, d'étendre
les mai11s et de lever la tête et le regard. Nombreux sont aussi les
témoignages iconographiques de l'art paléo-chrétien qui nous le
confirment ". Cette attitude de la prière était très répandue dans
l'antiquité, chez les juifs et dans la culture gréco-romaine ". Les
chrétiens la reprirent à leur compte 16, Mais chex eux, cette
attitude reçut une nouvelle signification christologique et polé-
mique.
Tertullien, De oratiolle 23 17 , connaît déjà la tradition que les
chrétiens prient debout le dimanche et pendant le temps pascal.
Or, il est significatif qu'il désigne ici le dimanche comme jour
de la résurrection "; en effet, le nouveau motif chrétien de se
lever pour la prière, le jour du dimanche, est maintenant l'analo-
gie avec la résurrection du Christ qui s'est aussi « levé» de la
tombe, le jour de Pâques. Cette analogie est présente expressis
verbis dans le traité pseudo-justinien Quaestio11es et respo11sio11es
ad orthodoxos 115:

« L'usage de ne pas plier les genoux pendant le jour du Seigneur,


est un symbole de la résurrection, par laquelle nous avons été
libérés, grâce à Christ, des péchés et de la mort qui a été mise
à mort par lui» (Irénée, Fragm. 7. éd. Harvey II,478).

Ce même traité prétend qu'il s'agit là d'une tradition aposto-


lique, et il renvoie, pour appuyer son affirmation, à l'écrit perdu
d'Irénée « Sur la Pâque ».

Hom. XI,28ss.). D'une manière générale, voir E. VON SEVERUS, art. Gebet I, dans:
RAC 8, col. 1226-1228.
H Cf. H. LECLERCO, art. Orant, Orante, dans: DACL 12,2. coll. 2291-2322.
15 Cf. TH. OH~ol, op. ciro (note 1), p. 164ss.; 2545.; 32455.; B. KOTIING, art.
Blickrichttmg, dans: RAC 2, coll. 429-433; E. VON SEVERUS, art. Gebet l, dans: RAC
8, coll. 1216; 1230-1232; F. HETLER, Die Korperhaltung beim Geber, dans: Orientali-
selle Scu.diel1, F. Hummel zwn 60. Geburtstag, II, 1918, pp. 168-177.
16 Le texte le plus souvent cité est 1 Tim. 2,8. Cf. M. A. BELUS, ({ Levantes
pL/ras manus» nell'anfica letteratL/ra cristiana, dans: Ricerche di Storia reIigiosa
1, 1954, pp. 9-39.
11 Cf. TERTULLIEN, De corona 3,4; JVSTIN MARTYR, Apol. l,67,S.
lB Il ne s'agit pas du jour de Pâques; cf. W. RORDORF, Der SOl1ntag, Zurich
1962, p. 156, note 13.
196 WILLY RORDORF

Tertullien trouve encore une deuxième analogie chris tolo-


gique dans l'image que présente l'orant chrétien; avec ses bras
étendus, il imite l'attitude du Christ sur la croix:
« Non seulement nous élevons nos mains, mais nous les élevons
en croix comme Notre-Seigneur dans sa passion, et par cette atti-
tude, nous confessons le Christ» (Tertullien, Orat. 14) 19,

Notons que la 42' Ode de Sa/ornon s'exprime de la même


façon:
«J'ai étendu mes mains et je me suis approché de mon Seigneur;
en effet, l'extension des mains, c'est son signe. Mon attitude signifie
le bois dressé auquel le droit chemin a été suspendu» (1,1-3; cf.
Ode 27,1).

Tertullien découvre une allusion cachée à la croix dans


beaucoup de choses: dans l'attitude que Moïse adopta pour
sa prière pendant la bataille des Israélites contre Amaleq (cf.
Exode 17,11) ", dans la stature de l'homme ", dans les statues
sculptées et dans les étendards de l'armée ", ainsi que dans le
vol des oiseaux:
«Les oiseaux même, en prenant l'essor le matin, montent vers
le ciel, ils tendent leurs ailes en formant une croix comme on tend
les bras, et ils disent quelque chose qui semble une prière» (Ter-
tullien, Orat. 29,4).

L'attitude extérieure des chrétiens pendant leur pnere per-


mettait ainsi de faire des remarques polémiques à l'égard des
païens. Le même Tertullien, dans le célèbre passage sur le té-
moignage de l'âme «naturellement chrétienne », parce qu'elle
pousse des cris comme ({ Grand Dieu! », {( Bon Dieu! }), etc., con-
tinue en disant:
« En prononçant ces paroles, ce n'est pas vers le Capitole qu'elle
tourne les yeux, mais vers le ciel. Elle connaît, en effet, le séjour
du Dieu vivant. c'est de lui, c'est de là qu'elle est descendue»
(Tertullien, Apol. 17,6) 23.

19 Cf. TERTULLIEN, Apol. 30,7.


20 Cf. TERTUI.LIEN, Adv. Marc. IlI,18,6; Ad·v. Tud. 10,10; EpUre de Barnabé
12,2; JUSTIN MARTYR, Dial. 90,4; ORIG~N[, Hom. in Num. XIX,!.
21 De idol. 12).
2.2 Ad nationes I,12.
23 Cf. son traité De testinlOniv animae.
LES GÉSTES DE LA PRIERE D'APRÈS TERTULLIEN ET ORIGÈNE 197

Plus loin, Tertullien affirme que c'est de cette manière que


les chrétiens prient:
«C'est vers ce Dieu que nous autres chrétiens, nous levons les
yeux, les mains étendues, parce qu'elles sont pures, la tête dé-
couverte, parce que nous n'avons pas à rougir» (Tertullien,
Apol. 30,4) ".

Or, il est un fait que les païens, pour leur part, accusaient
les chrétiens d'être adorateurs du soleil, parce que non seule-
ment ils se mettaient debout et regardaient le ciel quand ils
priaient, mais qu'ils se tournaient aussi vers l'est. Tertullien en
parle dans le même ouvrage:
«D'autres, se faisant de nous une idée plus humaine et plus
vraisemblable, croient que le soleil est notre dieu... En fin de
compte, l'origine de ce soupçon, c'est le fait bien connu que nous
nous tournons vers l'Orient pour prier» (Tertullien, Apal. 16,9-10) 25,

La ressemblance des gestes est effectivement si étroite qu'elle


pourrait s'expliquer par une influence directe du culte solaire
sur le christianisme "; il se peut aussi que la pratique chrétienne
de prier vers l'est ait été, à l'origine, une réaction contre la
tradition juive de prier en direction de Jérusalem". Il est inté-
ressant de constater qu'Origène tient énormément à cette pra-
tique de prier vers l'Orient:
«Quant à la direction où il faut regarder pour prier, je n'en
dirai que peu de choses. Comme il y a quatre points cardinaux, le
Nord, le Midi, l'Occident et l'Orient, qui ne reconnaîtrait aussitôt
que l'Orient manifeste évidemment que nous devons prier en regar-
dant de ce côté, ce qui est le symbole de l'âme regardant vers le
lever de la véritable lumière? Si quelqu'un préfère prier en regardant
l'ouverture de sa demeure, de quelque côté que soient orientées
ses portes, en disant que la vue du ciel a en elle-même quelque
chose qui incite davantage à la prière que celle des murailles, si du
moins la maison ne s'ouvre pas vers l'Orient, il faut lui répondre
que c'est une convention (.&éae:~) qui oriente les demeures des homo
mes de telle ou telle manière, et que c'est par nature (cpUaE:~)

24 La remarque sur la tête decouverte ne concerne évidemment que les


hommes: comme on le sait, Tertullien insiste plus que tout autre Père sur la
nécessité, pour les femmes, de se couvrir d'tm yoile: De aratione 20ss.: De
corona 4; De virginibus velandis.
25 Cf. Ad nationes 1,13,1.
26 Cf. F. J. DOLGER, Sol salutis, 2e éd. 1925, p. 30155.; 32055.
27 Cf. E. PETERSUN, Friihkirche, ludenfmn und Gnosis, Freiburg 1959, pp. 1·14.
198 WILLY RORDORF

que l'Orient l'emporte sur les autres points cardinaux: or, la nature
doit être préférée à la convention. Autrement celui qui veut prier
dans un champ, pourquoi prie-t-il plutôt vers l'Orient que vers
l'Occident? Si, conformément à la raison, on doit préférer l'Orient,
pourquoi ne pas le faire partout?» (Origène, PE 32).

Ailleurs, le docteur alel'andrin donne la raison christologi-


que de cette tradition chrétienne:
« La rédemption te vient de l'Orient; de là, en effet, est l'homme
dont le nom est "Orient" (Zach. 6,12 LXX) ... Par là, tu es donc invité
à regarder toujours vers l'Orient, d'où le "soleil de justice se lève"
(Mal 3,20) pour toi, d'où la lumière te naît; pour que tu ne marches
jamais dans les ténèbres et pour que le dernier jour ne te surpren-
ne pas dans les ténèbres» (Origène, Hom. in Lev. IX,lQ).

Ce témoignage est confirmé par d'autres textes littéraires


et par des documents archéologiques et iconographiques: les
chrétiens se tournaient vers l'Orient, puisque cette région sym-
bolisait pour eux le Royaume de Dieu d'où viendra le Christ
lors de sa parousie 28.
Origène, conformément à sa théologie, introduit encore
un autre symbolisme qui s'exprime dans l'attitude extérieure du
chrétien qui prie:
« Qu'il vienne ainsi à la prière, tendant pour ainsi dire l'âme
avant les mains, élevant vers Dieu l'esprit avant les yeux; soule-
vant de terre sa raison avant de sc tenir debout, et la présentant
devant le Seigneur de toutes choses ... Comme il y a bien des dispo-
sitions du corps, il est incontestable que celle qui consiste à élever
les mains ct à lever les yeux doit être préférée à toutes, car le
corps apporte ainsi à la prière l'image des qualités qui conviennent
à l'âme» (Origène, PE 31,2).

On pourrait dire que c'est la même attitude qui se reflète


dans le surs"'n corda du dialogue eucharistique que nous trou-
vons pour la première fois, à la même époque, dans la Tradition
apostolique d'Hippolyte. Mais il est évident que pour Origène,
cette élévation du coeur renfern1e encore une autre notion chère

lB E. PIITERSON, op. cit. (note 27), pp. 15-35: E. DI;\;KLER, Das Apsismosaik
von S. Apollinare in Classe, 1964, p. 77ss.: C. VOGEL, La croix eschatologique,
dans: Noël. Epiphanie, retotlr du Christ, Paris 1967. pp. 85-108: K. GAAlBER,
Conversi ad Dominum. Die Himvendung von Pries ter und Volk nach Osten ber
der Messfeier im. 4. und 5. lahrhundert, dans: Romische Quartalschrift 67. 1972,
pp. 49-64.
LES GESTES DE LA PRIÈRE D'APRÈS TERTULLIEN ET ORIGÈNE 199

au théologien alexandrin: celui qui prie doit se détacher des


soucis terrestres et se concentrer, dans sa prière, sur les choses
célestes essentielles 29, Origène exprime cette idée sans équivoque
dans un autre passage:
« Le chrétien, .. , après avoir fermé l'entrée des sens et donné
l'éveil aux yeux de J'âme 30, s'élève au-dessus du monde entier; il ne
s'arrête même pas à la voûte du ciel 3!, mais atteignant par la pen-
sée le lieu supra-céleste, guidé par l'Esprit divin et, pour ainsi dire,
hors du monde, il fait monter à Dieu sa prière qui n'a point pour
objet les choses passagères. Car il a appris de Jésus à ne chercher
rien de petit 32, c'est-à-dire de sensible, mais seulement les choses
grandes et véritablement divines qui surviennent comme dons de
Dieu pour guider vers la béatitude auprès de lui, par son Fils, le
Logos qui est Dieu)) (Origène, C. Celsum VII,44) 33.

L'attitude de l'orant était donc l'attitude normale des pre-


miers chrétiens quand ils priaient. Mais cela ne veut pas dire
qu'elle était l'attitude exclusive. A son côté, nous trouvons
d'autres manières de prier. Tertullien, De oratione 17,1, déclare
que la conscience de son péché impose au chrétien une attitude
qui ne soit pas trop assurée. Il vaut mieux de ne pas trop lever
les bras et les yeux quand on prie; aussi le ton de la voix doit-il
être modéré. C'est évidemment l'exemple évangélique du col-
lecteur d'impôts justifié, raconté en Luc 18,9ss., qui servait ici
de modèle, Cyprien, De oratione dominica 6, donne le même
conseil, en se référant également à Luc 18. Chez les ascètes chré-
tiens et dans le monachisme, cette attitude de prier, la tête
baissée, est devenue assez courante 34.
Dans le même ordre d'idées, nous avons à mentionner la
génuflexion qui est une attitude de prière très fréquente ".
Origène exprin1e clairement sa signification:
cc On doit fléchir les genoux lorsqu'on s'accuse à Dieu de ses
propres péchés, en le suppliant pour leur guérison et pour leur

29 Cf. CLÉMENT O'ALEXANDRIE, Strom. VII,40,1. Sur cet aspect important de


la spiritualité d'Origène, voir W. GESSEL, op. cit. (note 5), p. 13655., 17255.: 214ss.
30 Ici, Origène reprend les expressions de Celse, pour montrer que" le
chrétien le plus simple prie d'une manière plus sublime qu'un philosophe palen.
31 Allusion à Platon, Phèdre 247a-c.
3.2 Cf. A. RESCH, op. cit. (note 9), p. 111s., n. 86.
33 Cf. Comm. in Ivh. XXVIII,4 (à propos de Jean 11,41).
34 Cf. JÉROME, Vie de Hilarion 6: ELICHE L'ARMÉNIEN, Paroles d'exhortatiol1
au sujet des ermites 2: Règle de S. Benoit 7.
35 D'une manière générale, \'oir TH. OHM, op. cit., (note 1), pp. 344s5.
200 WILLY RORDORF

rémission; cette attitude est le symbole de l'homme qui s'humilie


et qui se soumet» (Origène, PE 31,3) 36,

Tertullien donnc des précisions quant aux jours où la


prière à genoux s'impose:
~< Mais pour le reste qui donc hésiterait à se prosterner chaque
jour devant Dieu, du moins à la première prière qui ouvre pour
nous le jour? Aux jours de jCÎlne et de station, aucune prière ne se
doit faire sans agenouillements, et autres exercices d'humilité. Car
alors nous ne cherchons pas seulement à obtenir des grâces, mais
à écarter des maux et à donner satisfaction à Dieu, notre Maître»
(Tertullien, Oral. 23,34).

Il semble donc que la prière à genoux pendant la semaine


était assez généralisée 37, Est-ce qu'on réservait l'attitude de
prier debout au dimanche et au temps pascal? On pourrait
presque avoir cette impression, car Tertullien s'oppose dans le
même passage à des gens qui honoraient le sabbat d'une ma-
nière particulière, en s'abstenant ce jour-là de la génuflexion 'o.
Il semble donc vouloir dire que le dimanche seul jouit de ce
privilège.
Etre debout ou faire la génuflexion, c'étaient donc les deux
attitudes préférées des chrétiens quand ils priaient. Par contre,
une troisième attitude pour la prière, la positio1l assise, ne
semble pas avoir joui d'une faveur particulière auprès des pre-
miers chrétiens. Origène veut l'admettre à la limite quand on
ne peut pas faire autrement, par exemple à cause d'une maladie
des pieds qui doit être soignée (Origène, PE 31,2). Tertullien,
De virginibus velandis 9, semble aussi y faire allusion. Mais dans
son traité De oratiane, il s'oppose mén1e à ceux qui s'asseyent
après leur prière:
«D'autres croient devoir s'asseoir à la fin de la prière. Pour
quel motif? Je l'ignore, à moins que ce ne soit pour des motifs
enfantins. Quoi donc? Si Hermas, dont l'1:.criture est intitulée ordi·
nairement le Pasteur, au lieu de s'asseoir sur son lit après sa
prière, avait fait tout autre chose, l'adopterions-nous aussi comme

36 Cf. aussi Hom. in Num., V,L Origène cite, comme référence scripturaire,
Eph. 3,145. et Phil. 2,10. Il aurait aussi pu citer j'exemple du Christ à Gethsé-
mané (Luc 22,41s.).
37 Jacques le Juste nous en donne un exemple illustre: EUSEBE DE CÉSARÉE,
Rist. eccl. II,23,6.
38 Cf. W. RORDORF, op. cil. (note 18), pp. 156s5.; 263s.
LES GÊSTES DE LA PRIÈRE D'APRÈS TERTULLIEN ET ORIGÈNE 201

une pratique nécessaire? Non assurément. Il est dit simplement:


"Après avoir prié et m'être assis sur mon lit" (Visio V,I), comme un
détail de narration, et non pour servir de règle. Autrement, nous
ne devrions jamais prier que là où se trouve un lit. Plus! Ce serait
aller contre les Écritures an que de s'asseoir sur un siège ou sur
un banc. D'ailleurs, puisque les nations ont coutume de s'asseoir
après avoir adoré leurs simulacres, il suffit que cette observance
ait lieu devant les idoles, pour qu'clle soit blâmée chez nous. Il y a
plus. C'est quelque chose d'irrespectueux, ainsi qu'en conviendraient
les Gentils, s'ils savaient réfléchir. En effet, s'il est irrévérentieux
de s'asseoir en présence d'un homme auquel on veut témoigner
du respect, à plus forte raison sera-t-il irreligieux de nous asseoir
en présence du Dieu vivant, lorsque l'ange de la prière est encore
debout, à moins de vouloir reprocher à Dieu que la prière nous
fatigue» (Tertullien, Oraf. 16).

F.J. Dolger" a fait une étude très fouillée de ce passage où


il montre que c'est l'opposition à la pratique païenne qui est
décisive pour la position qu'adopte Tertullien.

* * *

Après ce tour d'horizon sur les gestes accompagnant la


prière qu'on peut relever dans les traités de Tertullien et d'Ori-
gène sur la prière 41, j'aimerais, pour terminer, faire quelques
remarques sur la pratique actuelle de la prière dans nos Églises
respectives.
1. Nous avons donc vu que l'attitude de prier debout était
l'attitude normale que les chrétiens adoptaient le dimanche ct
pendant le temps pascal. Le premier Concile oecuménique de
Nicée a transformé cette tradition en loi ecclésiastique, en
stipulant, dans son canon 20: "Comme quelques-uns plient le
genou le dimanche et au jour de la Pentecôte, le saint Concile
a décidé que, pour observer une règle uniforme, tous devraient
adresser leurs prières à Dieu en restant debout ». Les Églises

39 Le Pasteur d'Herl1llL~ est donc considéré par Tertullien comme un lh'l'e


canonique.
40 Das Niedersitzcn nfJch delll Cebet, dans: Alllike wld Cll1"i5tentwn 5, 1936,
pp. 116-137.
41 Je laisse de côté Il: signe de la croix qui n'est pas mentionné dans ces
traités; cL F. J. DOLGER, Beitrage zur Gescllicl1te des Kreuzzeicl1el1s l, dans:
lahrbuch tür Antike l/nd Chrislentlllll 1, 1958, pp. 5-19.
202 WILLY RORDORF

orientales sont restées fidèles à cette exigence .12. En revanche,


on ne peut pas prétendre que les Églises occidentales soient
restées fidèles au canon de Nicée. Dans l'Église catholique-ro-
maine, chez les catholiques-chrétiens et les anglicans, aussi bien
célébrants que laïcs plient les genoux aux moments les plus im-
portants de la liturgie dominicale ". Par contre, chez les calvi-
nistes, on a pris l'habitude de s'asseoir pour la prière; comme
nous venons de le voir, les premiers chrétiens n'auraient pas
approuvé cette attitude. Parmi les protestants, il n'y a que les
luthériens et les zwingliens qui, comnle les chrétiens orthodoxes,
ont conservé la tradition de se lever pour la prière, au cours du
cul te dominical.
2. Deuxième observation: les premiers chrétiens étendaient
les mains et levaient les yeux pour la prière. Nous avons parlé
de la signification de cette attitude: on était conscient de re-
présenter la figure de la croix du Christ, de devenir semblable
au Seigneur, dans et par cette attitude. Et la disposition du
coeur pendant la prière, cristallisée dans l'appel liturgique
5UrSUn1, corda, trouvait ainsi une expression visible, corporelle.
N'est-ce pas dommage que cette attitude de l'orant soit réservée
au célébrant, à quelques moments privilégiés de la liturgie?
Récemment, le cardinal Suenens, lors d'une conférence qu'il
donnait à Neuchâtel H, disait que le renouveau charismatique avait
aussi cet effet bénéfique sur la prière qu'on osait de plus en plus
lever les bras pour la prière; mais il avouait en même temps que
cela prenait du temps de se libérer de ses habitudes invétérées!
3. Enfin, .i 'aimerais insister sur le fait que les premiers chré-
tiens se tournaient vers l'est quand ils priaient. Normalement,
nos édifices cultuels sont tournées dans l'axe est-ouest, et j'as-
semblée des fidèles, en priant, est donc automatiquement tournée
vers l'est. Mais il me semble qu'il faudrait faire un effort de
catéchèse, dans nos différentes Églises, pour expliquer aux
fidèles le pourquoi de cette prière vers l'Orient. On pourrait

42 On fait une seule exception à Pentecôte où l'on prie à genoux, puis-


que les apôtres ont attendu à genoux l'effusion du S. Esprit. Les autres génufle-
xions pratiquées par cetains orthodoxes n'ont pas de caractère officiel.
43
11 est vrai que, dans l'E.glise catholique-romaine, la réforme liturgique
de Vatican JI a conduit à une réduction considérable des génuflexions: cf. R.
Ci\BTF., Le nouvel «Ordo Missae », dans: La Maisol1-Dieu n. 100, 1969, p. 31.
44 C'était le 26 avril 1977.
LES GESTES DE LA PRIÈRE D'APRÈS TERTULLIEN ET ORIGÈNE 203

s'inspirer, pour le faire, de ce que les Pères de l'Eglise disaient


à ce propos. Ne citons que Basile le Grand qui savait admira-
blement unir le thème de la prière versus orientel11 et celui de
la prière qui se fait debout le dimanche:
( Nous regardons tous vers l'Orient pour prier, mais il v en a
peu qui savent que nous sommes à la recherche de l'antique patrie,
ce paradis que Dieu planta en Eden, du côté de l'Orient. C'est debout
que nous faisons nos prières, au premier jour de la semaine, mais
nous n'en savons pas tous la raison. Car ce n'est pas seulement
parce que, ressuscités avec le Christ et devant chercher les choses
d'en-haut, nous rappelons à notre souvenir, en ce jour consacré
à la Résurrection, en nous tenant debout lorsque nOliS prions, la
grâce qui nous fut donnée, mais parce que ce jour-là paraît en
quelque sorte l'image du siècle à venir. .. C'est donc par nécessité
que l'Église éduque ses petits à faire debout leurs prières en ce
jour-là, afin que, par le rappel continuel de la vie qui ne finira
pas, nous ne négligions point de faire provision en vue de ce
voyage-là}) !5.

Je suis sûr que la vie spirituelle de nos Eglises en profiterait,


si leurs fidèles retrouvaient davantage le grand souffle de
l'espérance eschatologique ".

Prof. Willy RORDORF

45 De Spir. Sancto, 27,66, trad. B. PUliCHE, SC 17 bis, 1968, p. 485ss.


46 Cf. W. RORDORF, Liturgie el eschalogie, dans: Augustinianum 18, 1978.
L'USAGE ET LA SIGNIFICATION DE L'ALLELUIA
EN ORIENT ET EN OCCIDENT

« Dans nos livres liturgiques, écrit le P. A. Schmemann', le


Carême est souvent caractérisé comme le temps de l'Alleluia,
tandis qu'en Occident, à une date relativement ancienne, l'Alle-
luia a été banni du Carênle et réservé surtout au temps pascal ».
Effectivement, en Occident, dès le VI" siècle, Cassiodore, synthé-
tisant toute la mystique augustinienne de l'Alleluia, identifie le
temps pascal et l'Alleluia en désignant ce temps par l'expression
Alleluiatica gaudia (les joies de l'Alleluia) 2.
Quelles sont les origines de cette acclamation dans le culte
chrétien et de cette diversité des usages entre Orient et Occident?
Une signification diverse aurait-elle été donnée à cette accla-
1nation?

1. LE SENS ET L'USAGE DE L'ACCLAMATION ALLELUIA

1. DANS L'ANCIEN TESTAMENT ET LE JUDAÏSME 3

On trouve Alleluia en finale ou au début de certains psaumes


avec quelques variantes de localisation, selon qu'on lit le texte
massorétique ou la version des Septante. Il s'agit, selon la
numérotation hébraïque, des Psaumes 104-106, 111-114, 115-117,

l Le grand Carême. Ascèse et Liturgie dans l'Eglise orthodoxe (Collection


"Spiritualité orientale et vie monastique »), Abbaye de Bellefontaine 1974, p. 39-
40. Dans l'étude présente, notre enquête se limite à l'usage de l'Alleluia dans le
rite bY7..antin et dans les principaux rites occidentaux.
2 Cfr. J. GLIBOTJC, De calltu "Alleluia» in Patribus saecllio VII Q1l1iqttioriblls,
dans Ephemerides liturgicae, mars-avril 1936, p. 103. Sur l'histoire de l'Alleluia
clans la liturgie, cfr. Dom F. C.'\BROL, Alleluia (acclamation liturgique), dans DACL,
t. l, c. 1229-1246; H. ENGBERDING, Alleluia, dans Reallexicon fitr Antike und
Christelltum, t. l, 293-299.
3 Voir [l ce sujet Alleluia dans F. VlGOL'ROl'X, DictionnaÎre de la Bible, t. l,
1895. c. 369-370.
206 ANDRÉ ROSE

J35-136 et 146-150 '. Dans ces ensembles, ressortent le Hallel (Pss.


113-118) chanté aux grandes fêtes de la liturgie juive, le grand
Hallel (Ps 136) et une série de psaumes de louange (Pss. 146-150)
parmi lesquels certains débutent par" Louez Yahvé", en hébreu
Hallelu Yah(vé). Selon H. Gunkel', l'Alleluia constitua une accla-
mation du peuple. On lit en 1 Chron 16,36: "Que tout le peuple
dise: Amen. Alleluia". Alleluia signifie donc" Louez Yahvé",
~(Louez le Seigneur», et apparaît comnle un répons accompa~
gnant certains psaumes.
Selon Tob 13,18 (grec), Alleluia est un cri de joie qui retentira
dans la nouvelle Jérusalem, dont les rues seront pavées de rubis
et de pierres précieuses: "Toutes ses rues diront Alleluia et
loueront le Seigneur ».
En 3 Macc 7,13, Alleluia apparaît comme un cri d'action de
grâces. Après que les Juifs eurent acclamé l'annonce de leur
délivrance, "leurs prêtres et toute la foule, ayant crié Alleluia,
s'en retournèrent ».

2. DANS LE NOLVEAU TESTAMENT

Au chapitre 19, l'Apocalypse présente l'Alleluia comme un


chant céleste. Après la chute de la Babylone spirituelle (Rome,
persécutrice des chrétiens), vient une grande liturgie céleste:
" On loue Dieu parce que cette chute est une punition eschato-
logique à laquelle correspond, dans le plan divin, l'établissement
du Royaume" '. L'Alleluia y retentit, précédant des versets. de
Psaumes de l'Ancien Testament. L'analyse des cantiques de
l'Apocalypse révèle un culte rendu à Dieu au ciel par les anges
et les bienheureux. "Par l'intermédiaire des vieillards, écrit E.
Peterson " ce culte est en relation avec l'Église terrestre. L'office
divin de la Jérusalem céleste, qui est décrit dans l'Apocalypse,
comporte le chant du Sanctlls, des hymnes de victoire, des
psaumes (Ch. XIX, 6), l',,ode nouvelle", et aussi, comme le montre
le ch. XIX, le chant de l'Alleluia. Enfin, le culte du ciel connaît
aussi les acclamations: "Anlen"»,

4 Dans la Septante, Pss. 104-106, 110-118, 134-135 et 145-150.


,) Einleitung· in die Psalmen, Gottingen 1933, pp. 37-38.
6 L. CBRFAllX - J. CAMBLER, L'Apocalypse de saint Jean lue aux chrétiens,
Paris 1955, p. 162.
7 Le livre des Anges, Bruges 1953, p. 41.
L'ALLELUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 207
-----_:

Dès le livre de l'Apocalypse, l'Alleluia est associé au Trisagion


(Sal1ctus) et à l'Amel1, chanté au ciel par les anges et les bien-
heureux.

3. DA"S LA TRADITION DES PREMIERS SIÈCLES

Il n'est pas étonnant de trouver l'Alleluia en finale de cha-


cune des Odes de Salo1l1on, composition chrétienne du n" siècle
(vers 150). On peut présumer que cette acclamation accompagnait
le chant de ces hymnes.
Une liturgie céleste est décrite dans l'Apocalypse de Paul,
ouvrage écrit en grec entre 240 et 250, probablement en Egypte,
et connu par Origène '. On lit dans la vision de Paul:
Et je vis au milieu de la ville un autel grand, très haut, et
auprès de l'autel se tenait debout quelqu'un dont le visage resplen-
dissait comme le soleil, et il tenait dans sa main un psautier et une
cithare. Il psalmodiait en disant: Alleluia. Et sa voix remplit toute
la ville. Et de même, tous ceux qui étaient sur les tours et aux
portes répondirent: Alleluia.

A la question de Paul, l'Ange répond que le personnage qui


psalmodie est David. La même scène se reproduira lorsque le
Christ viendra pour son Royaume: David commencera la psal-
modie et tous répondront. Paul demande alors le sens de l'Al-
leluia. L'ange répond que ce terme signifie: "Louons-Le tous
ensemble », de sorte que, ajoute-t-il, " quiconque psalmodie l'Al-
leluia glorifie Dieu ». On se meut ici dans une atmosphère ana-
logue à celle de l'Apocalypse de Jean: Alleluia est un chant de
louange et de triomphe dans la Jérusalem céleste.
La Tradition apostolique d'Hippolyte (In" siècle) témoigne
de l'usage de l'Alleluia au cours du repas vespéral de la com-
munauté (agapes). Après l'action de grâces sur la lampe, on lit
le passage suivant:
Ils se lèveront donc après le repas en priant. Les enfants diront
des psaumes, de même les vierges. Ensuite, quand le diacre prendra
le calice mélangé de l'obhltion, il dira un psaume de ceux dans
lesquels est écrit l'alléluia. Ensuite, si le prêtre l'ordonne, encore

8 Voir E. HENNECK6 - w. SCH~EE:\IELCHER, Ne.l/testamentliche Apokryphen,


t. II, Tübingen 1964, p. 553.
208'---_ _ ANDRÉ ROSE

des mêmes psaumes. Après que l'évêque a offert le calice, il dira


un des psaumes qui conviennent au calice, tous (ces psaumes étant)
avec alléluia, tandis que tous disent: (Alléluia).
Quand on récitera les psaumes, tous diront: Alleluia, c'est~à-dire:
Nous louons Dieu « qui est »; gloire et louange à celui qui a créé le
monde entier par sa seule parole!J.

Au cours des agapes, on chante les psaumes de l'Ancien


Testament qui figurent dans le psautier avec alleluia. La re-
cension éthiopienne précise: «On doit choisir les psaumes qui
ont comme titre Alleluia au repas de charité du soir ». Mais
cette note restrictive ne figure plus dans le Testamentum Domini
syrien (V· siècle) 10. On peut donc présumer que le choix des
psaumes a été élargi.
Dans son Traité de la prière (De oratione), Tertullien signale
l'usage d'ajouter Alleluia et ce genre de psaumes «à la fin
desquels répondent ceux qui sont assemblés» 11.

4. A PARTIR DES IV' ET V' SIÈCLES

Dans son Commentaire sur les psaumes, saint Athanase


écrit:
L'Alleluia est une louange au Dieu invisible. On dit en effet
que c'est par cc mot que les anges louaient Dieu, comme les Ché-
rubins disaient: Saint, saint, saint. On explique l'Alleluia ainsi: Al:
Dieu; el: fort; auia: puissant (Expositio ill Ps. 104. Prooemium:
P.G. 27,441 Cl.

Certes, l'étvmologie est fantaisiste, mais l'intérêt est le rap-


prochement entre l'Alleluia et le Sanctus ou le Trisagion. Le
commentaire place l'Alleluia sur le même plan que ces chants,
qui sont des chants célestes, des chants des anges.
Dans le commentaire sur le Psaume 134, le même auteur
dit: "Allelou signifie Louez, lah signifie le Seigneur» (P.G.
27,525 A).

9 Traduction de Dom B. BonE dans La tradition apostolique de Saint


Hippolyte, Münster 1963, p. 65-67.
10 Cfr. ENGBERDTNG, a.c.: «An der entsprechcnden Stelle im syrischen Testa-
mentum Domini ist dieser einschrankende Zusatz für die Wahl der Psalmen
bezeichnenderweise weggefallen» (c. 294).
11 «Diligcntiores in orando subjungere in orationibus Alleluia soIent et
hoc genus psaImos quorum clausulis respondcant qui simuI sunt» (P.L. 1, 1301).
L'ALLELUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 209
.==-'-'---~~~

Pour saint Grégoire de Nysse, «l'Alleluia est une exhorta-


tion mystique à chanter les louanges de Dieu, excitant l'auditeur,
de sorte que sa signification est le même que "Louez le Sei-
gneur" J'" à moins que ce terme ne reflète vraiment la louange
d'en haut» (ln psalmorwn inscription es, P.G. 44,512).
L'explication du Pseudo-Justin (vers 400) est la traduction
exacte de l'Alleluia: «Louez l'Etre avec des chants» (P.G. 6,1296).
Dans de De vitis prophetarum, écrit attribué à Épiphane de
Constance (mort en 403), le premier usage de l'Alleluia est
attribué au prophète Aggée, sans doute sur la base des titres
des Psaumes 145, 146, 147 et 148 dans la Septante où nous lisons:
"Alleluia: d'Aggée et de Zacharie» l'. Il Aggée, lisons-nous dans
ce document (P.G. 43,412 B), est le premier qui psalmodia l'Al-
leluia, qui signifie: Chantons le Dieu vivant»,
Une autre étymologie, aussi fantaisiste que celle d'Athanase,
révèle le sens céleste et eschatologique de l'Alleluia: En hébreu
Al signifie il vient et il est apparu; el signifie Dieu; ouia, louez,
glorifiez le Dieu vivant (Pseudo-Basile, Historia mystagogica 41) ".

Quels sont les usages de l'Alleluia dans la liturgie des grands


siècles patristiques, qui donna naissance aux divers rites des
Églises d'Orient et d'Occident?

1) L'Alleluia dans la psalmodie

Selon saint Athanase, à l'office de nuit, après trois psaumes,


on dit Alleluia (De virginitate: P.G. 28,276) ".
Dans ses Institutions, Cassien écrit: « Aucun psaume ne doit
être chanté avec Alleluia, s'il ne le contient pas dans le titre»
(2,11). Il signale aussi que «le douzième psaume de la Vigile
nocturne se termine avec Alleluia ». Cassien reflète l'usage pri-
mitif de ne chanter Alleluia qu'avec les psaumes le portant dans
le titre biblique. Mais, comme cela s'est passé dans certains
remaniements de la Tradition apostolique - voir plus haut le

12 Les psaumes sont cités dans cette étude selon la numérotation de la ver-
sion des Septante.
13 F. E. BRIGHT:\BX, The Journal of Tl1eological Studies, Oxford 9 (1908),
p. 387.14.
14 L'authenticité de ce traité est discutée: voir J. QUASTEN, Initiation aux
Përes de l'Eglise, 1. III, Paris 1962, p. 79.
210 ANDRÉ ROSE
------------------ ~-----------------

Testamentum Domini syrien - , l'usage de l'Alleluia s'étend


bientôt à tous les psaumes:
Nous, écrit ·le Pseudo·JérÔme 15, c'est indifféremment que nous
avons la coutume et l'usage de dire l'Alleluia pour ces psaumes qui
ou bien racontent l'histoire ou bien gémissent avec des larmes pour
la pénitence ou bien demandent la victoire sur les ennemis ou bien
prient pour être délivrés de l'angoisse.

Sans doute faut-il voir là l'origine de l'usage byzantin selon


lequel on dit trois Alleluia après un psaume ou un groupe de
psaumes.
Des indications plus précises nous sont livrées par la Regula
Magistri lB. Selon cette Règle, on dit Alleluia avec le dernier tiers
des psaumes, de jour comme de nuit. Au temps pascal, c'est
l'accompagnement unique et universel de tous les psaumes; le
dimanche, on dit l'Alleluia depuis les "bénédictions" de Ma-
tines - sans doute les Laudes - jusqu'à la fin de l'office de ce
jour. On le dit aussi dans les antiennes et les répons du temps
de Noël-Épiphanie. Cette extension de l'Alleluia s'explique par
la nature de la vie monastique: "Maison de Dieu, le monastère
représente le ciel. La vie monastique est existence "avec le
Seigneur", temps pascal à perpétuité, anticipation de l'éter-
nité » 11.
La Règle de saint Benoît possède un chapitre intitulé Quand
il faut dire l'Alleluia (Ch. 15). Au cours du temps pascal, on dit
l'Alleluia sans exception aux psaumes et aux répons. De la
Pentecôte au Carême: l'Alleluia accompagne les six derniers
psaumes des Nocturnes, même en seluaine; tous les dimanches,
on le dit avec les cantiques des matines, à Laudes et aux petites
heures 10,

15 Commentarium in Psalmos: voir GUBOTIC, a.c., p. 117, note 125.


16 Pour la Règle du Maître ct la Règle de saint Benoît, voir dans A. DE Vo-
GüÉ, La Règle de Saint Benoît, 1. V (S.C. 185), le ch. VI: La discipline de l'Alle-
luia, pp. 499-510. Pour toute cette périodc, voir aussi Dom FROGER, L'alleluia
dans l'usage romain et la réforme de S. Grégoire, dans Ephemerides liturgicae
62 (1948). pp. 36-38.
17 A. DE VOGÜÉ, a.c., p. 503 (Regula Magistri 13,72; 88,14: 95,23). Il est intéres-
sant de noter que l'office romain utilise aussi l'Alleluia dans certaines antien-
nes et répons du temps dè Noël-Ëpiphanic, considéré comme relativement ana-
logue au Lemps pascaL
18 Dans l'ancien office romain des dimanches per amtum, on trouve l'Alle-
luia a~x antiennes des Laudes et des petites heures également, et non à celle
des Vepres.
L'ALLÊLUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 211

2) L'Alleluia iL l'office byzantil1 dll matil! (Orthros)

L'office byzantin accorde une place spéciale à l'Alleluia.


Aussitôt après l'Hexapsalme et la première litanie du matin, on
chante solennellement l'Alleluia avec Is. 26,9-11.15 (De nuit, mon
esprit veille pour toi, dès l'aurore). Il est vrai qu'actuellement,
cet usage ne subsiste qu'en Carême et à l'office des défunts (avec
d'autres versets). « Ici, écrit le P. Matéos 19, comme souvent ail-
leurs, il s'agit d'un usage pratiqué jadis pendant toute l'année et
conservé, de nos jours, en Carême seulement». Que l'alleluia
<(

et les hymnes triadiques, écrit également Dom N. Egender",


soient réservés aujourd'hui aux jours ordinaires, au carême et à
l'office des défunts, est le signe d'un usage ancien. Il n'y a, en
effet, dans ces chants aucune allusion au jeûne ou au carême.
Nous trouvons la mention de Is 26,9, le premier verset de cet
ensemble, chez S. Basile et chez S. Jean Chrysostome. Faisait-il
déjà partie au 4 e siècle de la veillée nocturne?». {{ Ces versets,
poursuit le P. Egender, font allusion au réveil, à la vigilance de
l'esprit. L'hymne triadique est considéré comme une partici-
pation au chant des anges. Il n'y a là rien de pénitentiel ". « Dans
ce contexte, ajoute l'auteur ", le triple alleluia qui revient comme
refrain peut se comprendre comme l'acclamation de la foule im-
mense et des vingt-quatre anciens de la vision céleste de saint
Jean (Apoc 19,1.3.4.6)". On notera donc ici le rapprochement
entre l'Alleluia, le Trisagion et le chant des anges; nous sommes
dans l'atmosphère de la liturgie céleste de l'Apocalypse.
Plus tard, l'usage de l'Alleluia fut remplacé aux fêtes et le
dimanche par le passage du Ps 117,26·27: «Le Seigneur est Dieu
et il nous est apparu! Béni soit celui qui vient au nom du
Seigneur! }) avec quelques versets du même psaume. Progressi-
vement l'Alleluia fut réservé essentiellement au Carême, appelé
pour ce motif le temps de l'Alleluia. Mais il faut noter que en
lui-même l'Alleluia n'en acquit aucun sens pénitentiel. Le verset
du Ps. 117, évoquant la venue eschatologique du Christ, se meut
d'ailleurs dans un thème analogue à celui de l'Alleluia. Au terme
d'une psalmodie pénitentielle (l'hexapsalme) et de l'ecténie, l'AI-

19 Quelques problèmes de l'Orthros byzantin, dans Proche Orient chré-


tien 11 (1961), pp. 27-28.
20 La prière des 1Jeures, Chevetogne 1975, p. 126.
21 Ibidem, p. 127.
212 ANDRÉ ROSE

leluia apparaît comme un sommet, évoquant la joie eschatolo-


gique du Royaume céleste".

3) L'Allelllia dans la liturgie eucharistique

Avant l'Évangile

De très nombreux rites liturgiques possèdent le chant de


l'Alleluia avant l'évangile.
On lit dans les Acta Matthaei (apocryphe des IV'-V' siè-
cles) ", le passage suivant:

Tandis que les frères veillaient toute la nuit, passant celle-ci


à psalmodier, lorsque le jour se leva, une voix (venant du ciel)
se fit entendre: ({ Evêque Platon, porte J'évangile et le psautier de
David avec la multitude des frères, viens à l'Orient du palais. Psal-
modiez l'Alleluia, lisez l'évangile et présentez l'offrande du saint
Pain ... »,

" De fait, écrit A.-G. Martimort ", un psalmiste, juché sur


Hne pierre, chante: "Précieuse est devant Dieu la mort de ses
saints" (Ps. 115); "je me suis couché et endormi, je me suis
éveillé car Dieu est mon soutien" (Ps 3); et l'on répondait le
chant du psaume de David: "Celui qui dort, aura-t-il encore à se
relever?" (Ps 40); "maintenant, je me lèverai, dit le Seigneur"
(Ps Il); et tous crièrent: Alleluia; et l'évèque lut l'évangile; et
tous acclamèrent: "Gloire à toi, qui as reçu gloire au ciel et sur
terre", après quoi eut lieu l'eucharistie ». Ce témoignage très
ancien manifeste l'enracinement traditionnel de la structure
alleluia-évangile, qui se trouve en de très nombreux rites chré-
tiens.

22 Pour la lecture chrétienne du Ps. 117, voir A. ROSE, Psaumes et prière


chrétienne. Essai sur la lecture de CJi!elques psaumes dans la tradition chré-
tienne, Bruges 1965, pp. 93-114.
23 Cfl". Acta Matthaei dans R. A. LIPSH.rS unù M. BONNET, Acta Apostolorum
apocrypha, t. II, LeÎpzÎg 1891-1903, p. 217.
24 Origine et signification de l'Alleluia de la nœsse romaine, dans Kyria-
kon. Festschrift ]o}wnnes QlIaslcll, t. TI, p. 820. L'auteur montre comment dans
la messe, l'Alleluia avec son verset n'est pas un répons se rapportant à la
lecture précédente, mais une acclamation se référant à l'évangile qui le suit.
213
- - - L'ALLELUIA .==----=
EN ORIENT ET EN OCCIDENT

Dans le Lectionnaire arménien de Jérusalem", l'Alleluia


précède régulièrement l'évangile ". Il faut rapprocher de cet
usage un commentaire de Germain Fr, patriarche de Constan-
tinople (715-719). Celui-ci reprend une interprétation déjà ren-
contrée:
Al signifie il l'ient, il est apparu; el, Dieu; ouia, Louez, célébrez
le Dieu vivant.

Un glossateur postérieur livre le texte suivant:


David crie l'Alleluia et dit: « Notre Dieu viendra en apparais-
sant dans la gloire» (Ps 49,2) et cc Le feu marche devant lui» (Ps
96,3), «les éclairs» de ses évangélistes « sont apparus à l'univers»
(Ps 96,4). En hébreu Al signifie il vient, il est apparu; el, Dieu;
ollia, louez, célébrez le Dieu vivant. Un autre dit: Al signifie le Père,
el le Fils, ouia le Saint Esprit. Alleluia: Dieu fort, puissant, louange
de Dieu, louez le Dieu qui est. Alleluia, louange à Dieu qui est. Al·
leluia signifie la louange divine trois fois, à cause de la divinité
unique en trois personnes, du Père, du Fils et du Saint Esprit. AUe·
luia, héraut de l'évangile, criant « Le Seigneur vient ». Autrement,
Alleluia: Louez, chantez un hymne. On dit d'autre part que les
anges chantaient par ce mot un hymne à Dieu, comme les Ché·
rubins le « Saint» (Trisagion), et cela, comme les saints Pères
l'ont transmis pour l'avoir entendu eux-mêmes, comme Isaïe a
entendu les Séraphins (P.G. 98,412, 8 C) 27.

Alleluia est donc essentiellement une acclamation au Christ


qui vient dans sa gloire. Il annonce l'irruption du céleste dans
le terrestre. Comme la procession de l'évangile est le symbole
de la venue en gloire, elle comporte ce chant." Toutes les li-
turgies d'ailleurs, écrit encore A.-G. Martimort 28, accompagnent
l'évangile de solennité: encens, luminaires, cortège de diacres,
parfois croix. Ces rites concourent avec le chant de l'alleluia,
dans les commentaires des liturgistes, pour signifier la venue
en gloire du Christ Seigneur dans la proclamation de l'évangile ».
Comme on l'a vu, l'acclamation est rapprochée du Trisagion et
du Sanctus )}. Mais d'autres commentateurs la rapportent aussi
«(

2.> Cfr. A. REXOUX, Un manuscrit du lectionnaire arméniel1 de Jérusalem,


dans Le MuséoJ1 LXXIV (1961), pp. 361-385 et LXXV (1962), pp. 385-398.
26 On ne trouve certes pas d'Alleluia aux féries de Carême, mais celles-ci
ne comportent pas d'évangile. On retrouve l'Alleluia au samedi de Lazare, le
dimanche des Palmes, puis en la nuit pascale. La semaine sainte possède des
évangiles, mais ils ne sont pas précêdës d'Alleluia.
27 Cfr. MARTIMORT, a.c., p. 821.
:i.o Ibidem, p. 821.
214 ANDRÉ ROSE

à l'Hosanna de l'entrée triomphale de Jésus à Jérusalem '". Toutes


les liturgies, à l'exception des rites gaulois et hispanique, ont
l'Alleluia avant l'évangile. Mais dans le rite décrit par les lettres
attribuées à saint Germain de Paris, l'évangile est précédé et
suivi du Trisagion ". Quant au rite hispanique, l'Alleluia suit
l'évangile: c'est le Lauda.
C'est sans doute comme une acclamation eschatologique au
Christ qui vient, qu'il faut comprendre aussi l'usage de l'Alle-
luia dans certaines antiennes de la petite entrée dans les liturgies
de S. Jean Chrysostome et de S. Basile:
Venez, prosternons-nous et tombons à genoux devant le Christ.
Sauve-nous, Fils de Dieu, toi qui ... , nous qui te chantons: Al-
leluia 31,

A la «Grande entrée»

La liturgie byzantine réserve une place importante à l'Al-


leluia dans le chant du ChérubicOI1, qui accompagne le transfert
des dons à l'autel. Selon Dom Moreau 32, cette hymne fut intro-
duite sous l'empereur Justin II (565-578). Les quatre formulaires
en usage aujourd'hui se terminent par le chant de l'Alleluia. A
l'exception du texte spécial du Jeudi saint A ra Cène mystique,
les trois autres font mention de la présence des anges.
Il s'avance, le Roi des rois eL le Seigneur des Seigneurs... il
est précédé des choeurs des anges avec les Principautés et les Ché-
rubins aux innombrables yeux et les Séraphins aux six ailes, qui
se couvrent la face et qui chantent cet hymne: Alleluia, alleluia,
alleluia. (Samedi saint: Que se taise toute chair mortelle).

Ce chant, sans doute le plus ancien et toujours utilisé dans


la Liturgie de saint Jacques, attribue aux anges le chant de
l'Alleluia: c'est donc un cantique céleste et eschatologique, auquel
s'unit la communauté chrétienne à ce maIllent important de la
célébration eucharistique.

29Ibidem, p. 821.
30 Cfr. Première leUre de S. Germail1, dans Présence orthudoxe 1976, nn. 34-
35, pp. 22·23.
31 Une variante évoque le mystère célébré: p. ex. le dimanche: toi qui es
ressuscité d'entre les morts. La même formulation se retrouve dans la 2e an-
tienne de la liturgie dans un nombre considérable de fêtes du Seigneur (Noël,
1?piphanie, Pâques, Ascension, Pentecôte, Transfiguration).
3.2 Les liturgies eucharistiques. Notes sur leur origine et leur développe-
ment, Bruxelles-Paris 1924, p. 131, note 6.
L'ALLELUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 215

Le texte usuel (Nous qui, dans ce mystère, représentons les


Chérubins) fait aussi mention des anges. Avec ceux-ci, les fidèles
chantent «l'hymne trois fois sainte»: la liturgie céleste est
anticipée sur la terre. « Le visible, commente l'auteur de l'édition
du monastère de la Transfiguration ", est le reflet de l'invisible.
La liturgie terrestre est l'image, "l'icône" de la Liturgie céleste.
Les fidèles "mystiquement" ("sacramentellement") s'identifient
aux anges qui glorifient la Sainte Trinité. Le Roi de l'univers est
"invisiblement" escorté des choeurs angéliques», « Con1me lors
de la petite Entrée, écrit P. Evdokimov", les puissances angéli-
ques font irruption et viennent entourer le sanctuaire». C'est
dans ce contexte que retentissent les Alleluia qui clôturent le
Chérubicon.
Le chant propre à la Liturgie des Présanctifiés exprime le
même thème par ces mots: «Maintenant les puissances célestes
célèbrent invisiblement avec nous ».
Dans sa description de l'ancienne liturgie des Gaules, la pre-
mière lettre attribuée à Saint Germain de Paris fait aIIusion à
un chant analogue au moment de la procession d'offrande:
Saint Jean entendit après la Résurrection les chants de louange,
c'est·à·dire les Alleluia; c'est pourquoi, à ce moment où le Corps
du Seigneur est couvert d'un voile comme le Christ par le ciel,
l'Église a coutume de chanter le cantique angélique aux trois Al-
leluia, Ces Alleluia signifient les trois époques: avant la loi, sous
la loi, selon la grâce 35,

A la fraction

En plusieurs rites occidentaux, l'Alleluia est lié au chant


qui accompagne la fraction du Pain. Ainsi le Missel irlandais de
Stowe (VIII' siècle) mentionne ce chant parsemé d'alleluia:
Ils reconnurent le Seigneur, alleluia, à la fraction du pain,
alleluia.

33 La divine liturgie de S. Jean Chrysostome, Aubazine 1975, p. 61.


34. La prière de l'Eglise d'Orient. La liturgie de S. Jean Chrysostome, Paris-
Tournai 1966, p. 174.
35 Traduction de Presence orthodoxe. 1976, nn. 34-35, pp. 24-25. Il est curieux
de trouver dans un Ordo missae d'Augsbourg (2~ moitié du XV e siècle) parmi
les rites de l'offertoire un Veni, sancte Spiritus suivi de deux Alleluia: cfr. L.
FENDT, Einführung ÎlI die Litu/'giewissenschaft, Berlin 1958, p. 167.
216 ANDRÉ ROSE
~--------------~ ~=-----------------

Le pain que nous rompons, c'est le corps de Notre Seigneur


Jésus Christ, alleluia.
Le calice que nous b~nissons, alleluia, c'est le sang de Notre
Seigneur Jésus Christ, alleluia, pour la rémission de nos péchés,
alleluia 36,

Le rite ambrosien connaît à ce moment le chant du Con-


fractori",", mais, sauf au temps pascal, il n'y a pas d'Halleluia ".
On en trouve seulement deux le dimanche de la Quinquagésime.
Le rite hispanique ajoute l'Alleluia à un texte prononcé par le
célébrant à la commixtion:
Il a vaincu le Lion de Juda, la racine de David, allcluia

auquel on répond:
Lui qui siège sur les Chérubins, la racine de David, alleluia 36.

A la communion

Mais c'est principalement dans les chants accompagnant la


communion gue l'on trouve l'Alleluia. Dès le IV' siècle, saint
Jérôme en son Commentaire sur Isaïe 39 et les Constitutions
Apostoliques 40 signalent l'usage du Psaume 33, spécialement en
son verset 9: « Goûtez et voyez con1me le Seigneur est doux» 41.
Dans la description de la liturgie de saint Jacques, laissée par le
Rouleau de Messine", on lit: "Les psalmistes commencent le
"Goûtez" », c'est-à-dire le chant de communion. Cette indication
est ainsi précisée dans le manuscrit de Rossano: "Les psal-
mistes disent Je chant de communion: "Goûtez et voyez comlne
le Seigneur est doux, alleluia" ».

36 Cfr. The Stowe Mis5at, dans Hellry Bradshaw Society, vol. XXXII, Lon-
don 1915, p. 17.
37 Telle est la graphie de l'Alleluia dans les livres liturgiques milanais.
38 Missale mixtum, P.L. 85,560. Voir aussi L. Dl-CHESNE, Origines du culte
chrétiell, Paris 1903, p. 221.
39 «Gustus quoque in bonam partem accipitur dus qui comedit panem
de caclo descendentem, panem verum ct non mortuum et audit illud Gustate et
videte quam suavis est Dominus» (Corpus christianorum 73, p. 284). «Cotidie
cae1esti pane saturati dicimus: Gustale el videte quam suavis est Dominu5»
(Ibidem, p. 77).
40 Livre VIII, 13,16. Cfr. Fl'NK, Didascalia el COllstitll,ione.~ apostolortmz,
Paderborn 1905, pp. 518-519.
41 De nombreux autres témoignages sont donnés en H. LECLERCQ, Rites
et altli~nnes de la commullion, dans le DACL, t. III, c. 2428-2429.
42 Ibidem, c. 2429.
L'ALLELUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 217

Les Arnléniens possèdent également un chant de commu-


nion parsemé d'Alleluia, où l'on retrouve le psaume traditionnel:

Le Christ immolé est distribué parmi nous, alleluia.


Approchez-vous du Seigneur et soycz illuminés, alleluia.
Goûtez et voyez que le Seigneur est doux, alleluia.

La liturgie byzantine possède des chantes de communion où


l'on trouve l'Alleluia. Le texte habituel est inspiré du Ps 33,9:

Recevez le corps du Christ,


goûtez à la source immortellc.
Alleluia, alleluia, alleluia.

Mais tous les chants propres des fêtes ou des jours de se-
maine sont toujours accompagnés d'Alleluia. La liturgie des
présanctifiés a conservé l'antienne primitive:

Goûtez et voyez que le Seigneur est doux,


Alleluia, alleluia, alleluia 43.

En Occident la vieille antienne Ve/lite populi unit l'alleluia


au chant des anges. Celle-ci se trouve en plusieurs liturgies du
haut Moyen Age: plusieurs documents provenant tant d'Italie
que des Gaules en témoignent ". Actuellement, elle figure dans
la liturgie ambrosienne pour le jour de Pâques (Transitorill/H) et
dans les particularités du rite lyonnais pour le .ieudi saint et le
dimanche de Pâques ".

Venez, peuples, prenez part avec crainte et foi au mystère sacré


et immortel et au sacrifice (libamel1). Approchons-nous avec des
mains pures, et communions au don de la pénitence, car l'Agneau
de Dieu a été offert en sacrifice pour nous au Père. Adorons-le lui
seul, glorifions-le lui-même, en criant avec les anges: Alleluia 46.

43 On trouve aussi trois AlleluÎa à la fin du chant d'action de gràces


Que ma bouc/te soit remplie de la louange (après la communion).
44 Sur cette antienne, VOl1' C. D\lJX et chan. MORELOT, De/LX livres c1lOraux
monastiques des X~ et Xlr siècles, Paris 1899.
On trouve cette antienne dans le SacrameJ/taritwl Bergomel1se: cfl'. éd.
PARF.Ol, Bergame 1962. ]1. 16 ct dans le Missale umbrosianul1l.
45 Cfr. A. KING, Liturgies tmcieHlIeS, Paris 1961, p. 369.
46 Au lieu de libamell, ccrt~ins témoins ont illibatu1Il: cc qui donne mysle-
rium illibatum ((gentil/nt (prendre part au mystère immaculé).
218 ANDRÊ ROSE

La conlillunion au « mystère sacré» unit le COlllDluniant à


l'adoration et à la glorification éternelle du Fils de Dieu par les
anges, qui crient sans cesse Alleluia.
Pour la liturgie irlandaise, le Missel de Stowe livre un chant
de communion parsemé d'Alleluia: c'est une série de versets
de psaumes, mêlés de textes du Nouveau Testament et de com-
positions libres, où l'on retrouve le verset classique du Psaume
33: ({ Goûtez et voyez» 4"
Le rite hispanique a conservé ce dernier psaUDle toute l'an-
née, à l'exception du Carême, comme antienne ad accedel1tes 4a
- c'est-à-dire pour la communion - accompagnée du chant de
l'Alleluia.
Au moment de la communion, le chant de l'Alleluia possède
un sens eschatologique: «Le Seigneur vient; il est apparu »,
Dans le sacrement, sa venue en gloire est mystérieusement an-
ticipée. L'Alleluia retentit: c'est l'acclamation céleste par laquelle
les fidèles s'unissent aux anges dans la louange éternelle.

4) L'Alleluia dans les cOl1lpositiollS hymniques (tmpaires, alltien-


nes etc ... )

Le Papyrus de Favoum, ancien document chrétien, possède


une antienne d'Épiphanie, qui semble remonter au début du
IV' siècle:
Celui qui est né à Bethléem,
qui a été élevé à Nazareth
et qui a habité la Galilée;
nous avons vu un signe venant du ciel:
les bergers qui veillaient admirèrent l'astre brillant.
Agenouillés ils dirent:
Gloire au Père, alleluia,
gloire au Fils, alleluia,
gloire au Saint Esprit, alleluia, alleluia 49.

En ce contexte, l'acclamation apparaît dans une doxologie et


s'apparente à l'Amen de l'Apocalypse, où il lui est d'ailleurs
associé (Ch. J 9, v. 4).

47 Missel cie Stowe, p. 18.


48 Missale mixtum, c. 564-565 et note b. L'expression mème ad accedellles
dépend du Ps 33,6: «Accedile aù eum et illuminamini. ".
49 Voir DACL, a.c., c. 1232.
L'ALLELUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 219

L'hymne acathiste du Carême byzantin comporte des stances


suivies de trois alleluia, le plus souvent intégrés à la finale de la
strophe. A titre d'exemples, voici quelques expressions des di-
verses stances 50:
Moissonner le salut en chantant: Alleluia (Ikos 4),
Joseph apprenant la conception de l'Esprit Saint s'écrie: Al~
leluia (Ikos 6).
Les Mages ... se réjouirent en criant: Alleluia (Ikos 8).
Hérode est « comme un insensé incapable de chanter: Alleluia II
(Ikos 10).
Siméon, frappé par l'ineffable sagesse de Dieu, s'écria: Alleluia
(Ikos 12).
Dieu incarné « veut entraîner vers les hauteurs tous ceux qui
lui chantent: Alleluia» (Ikos 14).
Les Anges voient Dieu incarné recevant l'acclamation des hom-
mes: Alleluia (Ikos 16).
Il nous entend répondre à son appel: Alleluia (Ikos 18).
Les croyants acclament: Alleluia (Ikos 20 et 22).
Que la Vierge préserve du châtiment futur ceux qui lui chan~
tent d'un même coeur: Alleluia (Ikos 24).

L'Alleluia occupe dans l'hymne aeathiste une place de pre-


mier plan: il est chanté par les justes du Nouveau Testament (la
Vierge, Joseph, les Mages, Siméon), par les anges, mais aussi par
les croyants qui, par cette acclamation, s'unissent au chant des
anges et des justes, Par contre, les impies n'ont point part au
chant de l'Alleluia.
De nombreuses antiennes occidentales possèdent aussi l'Al-
leluia. Mais celui-ci figure principalement dans tous les chants
du temps pascal, et, dans une mesure 111Oindre, dans ceux du
temps de Noël-Epiphanie. Selon une ancienne tradition venant
d'Afrique et de Rome, ct qui de là a envahi les rites occidentaux,
l'Alleluia cst essentiellement réservé au temps pascal. Rien d'éton-
nant dès lors que nombre d'antiennes glorifiant les mystères de
la Résurrection, de l'Ascension et de la venue du Saint Esprit
soient parsemées d'Alleluia, Il arrive même que toute l'antienne
soit composée d'une série d'Alleluia ",

50 Les traductions sont tirées de Acathiste ct Paraclisis, traduction litur-


gique, par Dom D. Gl 1f.1.-\L\U:, Rome 1976. Chaque strophe est sui\'ie de trois
Alleluia.
51 Dans l'antiphonaire monastique, on trouve pal· exemple une antienne
composée uniquement de neuf Alleluia (Laudes du dimanche au temps pascal).
220 A~DRÉ ROSE

5) L'Alleluia dans l'office des fUlIérailles et des défllllls

Saint Jérôme raconte que l'Alleluia retentit aux obsèques


de Fabiola: "Les psaumes résonnaient, écrihl ", et J'Alleluia
retentissant dans le ciel faisait vibrer les toits dorés des tem-
ples ». Commentant cet usage, saint Jérôme dit: {( Il n'est pas
étonnant que les hommes se réjouissent du salut de celle dont la
conversion réjoussait les anges dans le ciel» (P.L. 22, 480). De
même, le saint Docteur écrit à propos de la mort de Paula: "De
là, pas de gémissements, pas de plaintes, comme c'est l'habitude
parmi les gens du siècle; mais on faisait retentir de tout coeur
des psaUlnes en langues diverses» 53.
En Gaule, on chanta J'Alleluia à la mort de sainte Raùe-
gonde 54.

Pour le rite hispanique, l'antiphonaire de la Cathédrale de


Leon présente pour la liturgie des défunts des antiennes remplies
d'Alleluia, tant pour J'office que pour la messe. Ainsi, par exem-
ple, ce chant ù'entrée:
Alleluia, agis envers tes serviteurs selon ta miséricorde, alleluia,
alleluia, alleluia.;5.

L'ancienne liturgie romaine des défunts possédait l'Alleluia.


Selon Righetti ", l'usage s'est maintenu en certaines Églises
d'Occident jusqu'au XI' siècle. Certains missels possèdent avant
J'évangile: AlleZu;a yr. Requiem aeternam.
Chez les Grecs, l'Alleluia est utilisé, comme en Carême, au
lieu de l'habituel "Le Seigneur est Dieu» des Matines. Il est
accompagné du Ps 64,5: "Heureux celui que lu as choisi et
pris près de toi, Seigneur ». L'office byzantin actuel des funé-
railles possède le chant de nombœux Alleluia. Cet usage a tel-
lement frappé que dans le Kontakion du samedi des défunts, on
l'appelle É7t<'r<X'PtOç 6p'ijvoç (l'hymne funèbre):
Toi qui seul es immortel,
toi qui as façonné l'homme,

52 Lettre 77' P L 22 697


53 Ad El/S'~chi;tI';l: P.L." 22,904, 11. 29.
:)4 DACL, a.c., c. 1235.
~5 Officiul'tl de detwlclis gelleralis, dans Anrifollario visig6ticu nlOl.al'abe
de. la caledral de T,e(JI1 (Ed. BRQ1: - V[\'Es) Barcelone-Madrid 1959, p. 465.
56 Mmwale di storia litl/rgica, vol. II, Milan 1955, p. 378.
L'ALLELUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 221

nous avons été façonnés mortels de la terre


et nous retournerons à cette même terre,
comme tu l'as commandé,
toi qui m'as façonné et m'as dit:
« Tu es terre et tu retourneras à la terre ».
C'est là que nous tous mortels, nous irons,
nous qui sur le tombeau chantons l'hymne funèbre: Alleluia 5'j.

A vrai dire cependant, c'est tout l'ensemble de la composition


gui constitue l'hymne funèbre. Le rappel de notre condition
mortelle et de la brièveté de l'existence humaine gui marque
les strophes de ce kontakion est interrompu par le répons Al-
leluia. C'est l'affirmation de la vocation céleste et éternelle du
chrétien qui interrompt cette grande lamentation.

6) L'Alleluia dans l'il1itiation chrétiemle

Dans le De ecc/esiastica lzieral'chia 5", le Pseudo-Denys parle


de l'Alleluia dans le contexte de l'initiation chrétienne:
En ce qui concen1e le chant sacré qui fut révélé aux prophètes
inspirés quand Dieu les visita, ceux qui savent l'hébreu le traduisent
ainsi: Louange à Dieu ou Louez le Seigneur. Puisque toutes les
saintes apparitions et toutes les saintes opérations de Dieu se
traduisent allégoriquement, il convenait de rappeler ici cet hymne
que Dieu révéla lui-même aux prophètes; car il nous enseigne avec
autant de clarté que de sainteté que les dons bienfaisants de la
Théarchic méritent d'être saintement célébrés.

Selon Dom Cabrol'", ce texte serait suivi de la notation


suivante:
Il dit cela, parce que l'Alleluia est chanté lors de la con-
sécration du chrême.

Décrivant la liturgie baptismale, l'Aréopagite écrit:


Chaque fois qu'il verse l'huile très sainte, (le prêtre) chante
le cantique sacré inspiré aux prophètes par l'Esprit de Dieu 60.

57 Cfr. ENGBERDI:\G, a.c., p. 297. Voir le texte complet en F. J. GO.-\R en EùxoÀ6-


y~O\l sive Rituale GraecorwlI, Paris 1647, pp. 568·572.
58 Cfr. Oeuvres complètes du pseudo-Denys l'Aréopagite. Traduction, pré-
face et notes pal" Maurice de G.·\:'\DIU ..'\C, Paris 1943, p. 292.
,,9 DACL, a.c., c. 1234.
60 Oeuvres complètes ... , p. 255.
222 ANDRÉ ROSE
.. _- ------------------
~~--------------

Effectivement, dans la liturgie byzantine, l'Alleluia est chanté


avant l'onction prébaptismale, au 1110ment olt le prêtre fait une
triple infusion de l'huile sainte dans l'eau "'. Il retentit à nouveau
après la chrismation du néophyte à la fin de l'antienne reprenant
Gal 3,27:

Vous tous qui avez été baptisés en Christ, vous avez revêtu le
Christ. Alleluia.

L'onction chrislnale qui configure Je nouveau chrétien au


Christ, roi, prêtre et prophète, est ainsi accompagnée par le chant
céleste. En ce moment où le monde transfiguré fait irruption
ici-bas par la nouvelle naissance dans l'eau et dans l'Esprit,
l'Église fait retentir l'acclamation des anges"'.

II. L'ABSTENTION OCCIDENTALE


DE L'ALLELUIA EN CARÊME

1. USAGES ET INTERDICTIO~S DU CHANT DE L'ALLELUIA

En Orient, l'Alleluia est chanté toute l'année sans exception.


Des circonstances, occasionnelles à l'origine, ont multiplié son
usage en Carême et aux funérailles, au point que plus tard, il a
été considéré comme caractéristique de ce temps et de l'office
des défunts.
En Occident, l'histoire de l'Alleluia est plus compliquée. Sans
doute, à l'origine, à l'exception peut-être de Rome et de l'Afrique,
fut-il chanté toute l'année, comme en Orient.
C'est à Rome qu'en un temps assez ancien, l'Alleluia a été
réservé, sinon au seul jour de Pâques, du moins au temps pascal.

Cfr. GOAR, I.e., p. 360 (Officiunl S. Bapcismatis).


61
L'usage de l'Alleluia lors de l'infusion du saint chrême dans l'eau bap-
62
tismale est généralisé en Orient: ainsi chez les Coptes avec des passages psalmi-
qucs (Ps 28,3; 33,6: 50,9 et 131,13): voir DENZI .... GER, Ritus Orientalium, t. l, Graz
1961. pp. 207·208.
L'ALLÉLUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 223

Au V· siècle, l'historien Sozomène affirme qu'à Rome l'Alleluia


n'était chanté que le jour de Pâques ". On a toutefois mis en
doute la bonne information et la valeur de l'affirmation de cet
historien oriental. Au JV· siècle en effet, saint Jérôme réfute
Vigilantius qui voulait qu'on ne chante l'Alleluia qu'à Pâques ".
Un siècle plus tard, la lettre du diacre Jean (mort comme Pape
en 526) à Sénarius répond à la question de ce dernier: "Pourquoi
chante-t-on l'Alleluia jusqu'à la Pentecôte?". La question mani-
feste un usage continu de l'Alleluia de Pâques à la Pentecôte.
La réponse laisse supposer qu'il s'agit d'un usage déjà invétéré:
Reservatur aliquid apud nos paschali reverentiae, ut maioribus
gaudiis et quasi mentibus innovatis ad laudem Dei recurrat affec-
tus 65,

L'expression n1entibus ill110vatis laisse sans doute supposer


une abstention de l'Alleluia pendant le temps de préparation
à Pâques.
Dans sa Règle, saint Benoît insiste sur son emploi au temps
pascal et suppose son interdiction en Carême ". Au début du
VII· siècle, saint Grégoire Je, y ajoute le temps de la Septua-
gésime, préparatoire au Carême 67. Dans les plus anciens anti-
phonaires romains, le dimanche de la Septuagésime possède un
office alléluiatique - c'est-à-dire où l'Alleluia est répété à pro-
fusion - , signe d'une sorte d'" au revoir" à l'Alleluia.
En Afrique, la prédication de saint Augustin révèle que
l'Alleluia ne se chante qu'au temps pascal et qu'il est vraiment
le chant pascal par excellence:
Nous sommes dans la joie et l'allégresse en ces jours qui sui-
vent la Passion de Notre Seigneur, et où nous chantons alleluia
pour louer Dieu, jusqu'au jour de la Pentecôte, où le Seigneur
envoya du ciel le Saint Esprit qu'il avait promis (Sermon 228 pour
le jour de Pâques) 68,

63 Histoire ecclésiastique VII, c. 19: P.C. 67,1476.


6~ Adversus Vigilal1tiltm liber, P.L 23,355.
" P.L. 59, 406.
" Ch. 15.
67 Sur le rôle du Pape S. Grégoire 1er dans la réglementation de l'emploi
de l'Alleluia, voir C. CU.LE\"'AHRT, L'Alleluia avant S. Grégoire, dans Revue
d'Histoire ecclésiastique 33 (1937), pp. 306-326.
68 Cfr. Les fêtes de Pâques à HipPolle, dans Les Questions liturgiques
et paroissiales 1911, pp. 253-260. Les traductions des sermons cités ici sont em-
pruntées à cet article.
224 ANDRÉ ROSE

L'evêque d'Hippone a célébré l'Alleluia avec des accents


jubilants et pathétiques, au point qu'on peut dire qu'il a créé
une mystique de l'Alleluia. C'est l'acclamation du ciel, la préfi-
guration ici-bas de la joie éternelle: pour cette raison, il est
réservé à la cinquantaine pascale, qui figure ici-bas l'allégresse
de l'éternité bienheureuse:
Deux époques en effet nous sont montrées; l'une qui précède
la résurrection du Seigneur; l'autre qui vient après; l'une où nous
sommes, l'autre où nous espérons être. L'époque de tristesse que
rappellent les jours du carême est pour nous figurée et actuelle;
quant à l'époque de joie, de repus et de règne représentée par ces
jours-ci 69, nous la figurons par le chant de l'Alleluia, mais nous
ne possédons point encore l'objet de nos louanges, nous soupirons
seulement après l'Alleluia véritable. Que signifie Alleluia? Louez
Dieu. Mais nous ne le possédons point encore pour le louer; et si
dans l':Ëglise on multiplie ses louanges après la résurrection du
Seigneur, c'est qu'après notre résurrection nous les chanterons sans
nous interrompre ... Ainsi donc, mes bien aimés, louons le Seigneur,
louons notre Dieu. répétons Alleluia (Sermon 254, pour la semaine
de Pâques).

Le chant de l'Alleluia doit se refléter dans toute la vie


spirituelle et morale du chrétien:
Alleluia signie « Louez Dieu»; louons le Seigneur, mes frères,
louons-le par notre conduite et par nos paroles, par nos sentiments
et par nos discours, par notre langage et par notre vie. Dieu ne
veut aucun désaccord dans celui qui répète ce chant. Commençons
donc par mettre d'accord en nous la langue avec la vie, la conscience
avec les lèvres (Sermun 256, pour la semaine de Pâques).

Un autre sermon porte sur l'Amen et l'Alleluia, les deux


acclamations de l'Apocalypse 70. Ainsi donc, en Afrique comme à
Rome, l'Alleluia est le chant pascal: «Jusqu'à la Pentecôte,
écrit S. Poque n, les fidèles ne jeûnent plus, en signe de la
Résurrection; ils prient debout; ils chantent l'Alleluia... Dans
d'autres églises, on chante l'Alleluia en diverses occasions; en
Afrique, ou du moins à Hippone, il est réservé au temps pascal,

C'est-à-dire la Cinquantaine pascale.


69
~o
Sermon 362, Q. L. P., a.c., p. 258.
71 AUGUSTIN n'HIPPONE, Sermons pOlir la Piique. Introduction, texte criti-
que, traduction et notes de S. P()()L'E (S. C. 116), Paris 1966, pp. 50-51.
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L'ALLÊLUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 225

aussi les chrétiens attendent-ils avec quelque nostalgie le retour


de ce chant d'allégresse, cri victorieux de leur Pâque ». Rien
d'étonnant dès lors dans ces paroles d'Augustin:
Quand l'Alleluia nous revient au temps fixé, avec quelle joie
ne l'accueillons-nous pas! Quelle nostalgie quand il nous faut lui
dire adieu 72,

La mystique augustinienne de l'Alleluia marquera tous les


rites occidentaux.
Un passage de S. Ambroise laisse supposer que l'usage de
Milan concordait avec celui de Rome et de l'Afrique:
Nous célébrons dans la joie ces jours après la Passion du
Seigneur, et nous accueillons en nous la venue de la grâce du
Saint Esprit le jour de la Pentecôte; les jeûnes cessent, on dit la
louange de Dieu, l'Alleluia est chanté 73,

Le grand evêque de Milan témoigne ici seulement de l'usage


de l'Alleluia au temps pascal. La liturgie milanaise postérieure
s'abstient de l'Alleluia en Carême.
Si Rome, Milan et l'Afrique faisaient de l'Alleluia un chant
spécifiquement pascal, il n'en fut pas ainsi partout en Occident,
du moins à l'origine. Ainsi en Italie même, un contemporain de
saint Augustin, Chromace d'Aquilée, dans un sermon sur l'Alle-
luia (n. XXXIII), ne fait aucune allusion à Pâques et à la résur-
rection. Il se contente de développements généraux sur les inter-
prétations traditionnelles concernant la louange au Dieu qui est
et l'unanimité nécessaire de cette louange (ensemble). «Aucune
allusion, écrit Dom J. Lemarié ", n'y est faite à la joie pascale.
De plus, Chromace souligne que le chant de l'Alleluia retentit
sans cesse (assidue sonat il1 ecclesia). On peut en conclure que
l'Église d'Aquilée ne connaissait pas la tradition "pascale" de
l'Alleluia dont témoigne Augustin pour l'Église d'Afrique ».
En Espagne également il semble bien qu'à l'origine, l'Alleluia
se disait toute l'année sans exception. Mais bientôt s'introduisit

72 Cité en F. \'.-\:-.1: DER MEER, Saint Augusril7, pasteur d'âmes, t, II, Colmar-
Paris 1955, p. 96.
73 Apologia prop11etae David, c. VIII, n, 42: P,L. 14,907,
74 La liturgù~ d'Aquilée au temps de Chromace dans CHROMACE D'AQUIl.ÉE,
Sermons, t. l (SC 154), Paris 1969, p, 95, note 2.
226 ANDRÉ ROSE

j'interdiction en Carême. Le IV' Concile de Tolède (621-622) en


prohibe le chant en Carême et le premier jour de l'an (1" janvier):
De même, nous apprenons que certains prêtres d'Espagne chan~
tent l'Alleluia les jours du Carême, à l'exception de la dernière se-
maine de Pâques (Semaine sainte). Nous interdisons que cela se
fasse désormais, décidant que l'Alleluia ne doit pas être chanté,
car c'est un temps non de joie, mais de tristesse. A ce moment en
effet il faut s'adonner aux pleurs et au jeûne, revêtir le corps de
cilice et de cendre, plonger son âme dans la douleur, changer la
joie en tristesse jusqu'à ce que vienne le temps de la résurrection
du Christ, où il faudra chanter l'Alleluia dans la joie et transformer
la douleur en joie 15.

On peut déduire de cette interdiction que l'usage de l'absten-


tion n'était pas encore généralisé en Espagne et dans le sud des
Gaules - régions pour lesquelles légifère le Concile - et que
du moins en certaines Eglises on le chantait primitivement sans
interruption. Vers la même époque, saint Isidore déclare qu'on
le chante toute l'année, à l'exception du Carême et des jours de
jeûne 76.
En Gaule, saint Césaire (mort en 543) et S. Aurélien (mort
en 551) témoignent du maintien de l'Alleluia en Carême". En
Provence, du début du VI" siècle jusqu'à la première moitié du
VIII' siècle (réforme caroloringienne), l'Alleluia n'était pas pro-
hibé en Carême. On trouve donc en Gaule l'usage courant de
l'Alleluia pendant toute l'année. Mais l'influence d'autres Eglises
entraînera la suppression de l'Alleluia en Carême. On lit dans
la 2' lettre de saint Germain de Paris:

Par humilité, en Carême, on n'utilise pas (l'étole), de même


qu'on ne chante pas dans notre église l'Alleluia, le Sanctus, le Can-
tique prophétique, le Cantique des trois enfants, ni le Cantique de
la Mer Rouge. En Carême, il faut éviter ces chants, parce qu'ils
sont célestes et angéliques ... Les Alleluia et les Sanctus se taisent
donc en signe de pénitence, afin d'apparaître comme nouveaux le
dimanche de la Résurrection quand on les entonne au moment du
baptême; le diacre doit alors chanter le cantique céleste 78.

75 MANSI, Sacrorwn Conciliorwn /lova et amplis sima collectio, Florence-


Paris, t. X, p. 622.
76Cfr. Dom FROGER, a.c., p. 42.
n Ibidem, pp. 36.38.
7e Présence orthodoxe, a.c., p. 37.
L' ALLELUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 227

En résumé, il semble qu'on peut tirer les conclusions suivan-


tes pour les Églises d'Occident. L'usage romain, africain et mi-
lanais qui considérait essentiellement l'Alleluia comme l'expres-
sion de la joie pascale s'est répandu dans tout l'Occident, même
dans les régions où l'Alleluia, compris à l'instar de l'Orient uni-
quement comme un chant angélique et eschatologique, était
chanté pendant toute l'année (ainsi, en certaines régions d'Italie
et des Gaules, comme aussi en Espagne). Progressivement, à
l'époque caroloringienne surtout, tous les rites occidentaux ont
adopté le caractère pascal de l'Alleluia et l'ont éliminé du temps
de jeûne préparatoire à la grande solennité.

2. LE DÉPART ET LE RETOUR DE L'ALLELUIA DANS LES RITES OCCI-


DENTAUX

L'Ordo romanus XII (VIII'-lX' siècle) signale pour les pre-


mières Vêpres et les Matines de la Septuagésime de nombreux
Alleluia ". L'Ordo Romanus L (X' siècle) mentionne que l'Alleluia
n'est plus chanté ensuite et donne de cette abstention une
signification mystique"'.
Les antiphonaires romains anciens (du IX' au XII' siècle)
présentent pour la Septuagésime un office «alléluiatique» ".
Les antiennes et les répons sont parsemés d'Alleluia et glorifient
l'acclamation. Le premier répons des Matines, inspiré de passages
du livre de la Sagesse, identifie l'Alleluia à la Sagesse de Dieu
toujours présente devant son trône (cfr Sir 1,1 et 5; 24,14-16):
« Il tient la première place devant le Seigneur ».
Alleluia! Tant qu'il est présent, on l'imite, lorsqu'il est absent,
on soupire après lui et dans l'éternité il triomphe, couronné auprès
du Seigneur, allcluia (Sag 4,2).
T. Dans son amitié, on trouve une jouissance pure, car son
souvenir est immortel (Sag 8,18).
",/'. Seul, en effet, tu tiens la première place devant le Seigneur,
aussi retourne dans tes trésors 82.

79CfI'. M. ANDRIEl", Les Ordines romani du haut Moyen Age, t. II, Louvain
1960, 462, nn. 10·11.
p.
8{) Ibidem, t. V, Louvain 1961, p. 106.
81 Pour les anLiennes et les répons, cfr. Dom R. - J. HESBERT, Corpus anti-
phona1ittm Officii, .vo~. 1 (Rome 1963), vol. II (Rome 1965) et vol. III (Rome 1968).
82 Les textes bIblIques se rapportent à la Sagesse. Ici, ils sont traduits au
masculin, car ils sont appliqués à l'Alleluia, assimilé à la Sagesse de Dieu.
228 ANDRÉ ROSE

Ce dernier verset se retrouve plusieurs fois dans l'office


(Répons 1, 2, 3 et 4; antienne de Laudes in Evangelio, c'est-à-dire
du Benedictus). Comme acclamation éternelle des anges, l'Alle-
luia tient vraiment la première place auprès de Dieu: "Sa com-
pagnie ne cause pas d'amertume, mais elle apporte joie et allé-
gresse perpétuelle» (Répons 6: cfr Sag 8,16).
Les premières Vêpres et l'office matinal (Matines et Laudes)
du dimanche de la Septuagésime dramatisent le départ de l'Alle-
luia, qui comme la Sagesse est personnifié:
Alleluia. Reste avec nous aujourd'hui et demain tu partiras,
alleluia, ct quand le jour sera levé, tu iras ton chemin, alleluia,
alleluia. (Antienne des lères Vêpres de l'office romain dans les ma-
nuscrits d'Ivrée, de Monza et de Vérone) 63.

Deux antiennes des Laudes sont particulièrement évocatrices


de l'attachement de l'Église à l'Alleluia:
Alleluia! Cesse de retentir et sois marqué d'un sceau pour la
parole (Claudere et signa ser11l0l1e11l) , alleluia. Repose-toi dans tes
demeures, alleluia, jusqu'au temps fixé, alleluia. Et c'est avec une
grande joie que vous direz en ce jour où il reviendra: Alleluia,
alleluia, alleluia, alleluia, allcluia.
Alleluia, qu'aujourd'hui les anges te conduisent en paradis, al-
leluia, pour que de nouveau tu reviennes à nous dans la joie, aIle-
luia, et qu'à nouveau nous t'accueillons dans l'allégresse, alleluia,
alleluia, alleluia 84.

Au moment de quitter l'acclamation céleste, l'Église le répète


le plus possible dans ses chants, manifestant ainsi la place de
premier plan qu'il occupe dans son culte. Si elle s'en prive, en
signe de pénitence, c'est pour Inieux savourer son caractère cé-
leste et divin, lorsqu'il reviendra en la solennité de la résurrection
du Seigneur.
Amalaire a commenté cet office de l'Alleluia dans le De
ecclesiasticis officiis:
En ce même soir (de la veille de la Septuagésime) et la nuit
suivante, l'alleluia court parmi tous les offices du chantre. Ainsi

88 Voir aussi le répons 9 des Matines. Ce texte s'inspire d'un récit des Ju-
ges (19,9) où l'on trouve ce dialogue: «Reste encore auprès de moi aujourd'hui ... ,
et demain tu partiras pour aller dans ta maison» (Version selon la Vulgate).
114 Le début de cette antienne est inspirée de l'ln paradisum, antienne du
Rituel romain des funérailles.
L'ALLELUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 229

agissons-nous envers l'Alleluia, lorsque nous le cachons à nouveau


dans ses trésors, c'est-à-dire dans les coeurs des élus et dans les
voix des anges. Nous agissons comme le bien aimé envers l'être
aimé, lorqu'il va partir pour un long voyage: il baise sa bouche,
son cou, son front» 85.

De même, dans le De ordine antiphonarii"', le liturgiste


souligne que les chants de cette nuit sont une glorification de
l'Alleluia:
Qu'un bon ange du Seigneur accompagne Alleluia de sa com-
pagnie glorieuse et organise bien son voyage 87. Et lorsque reviendra
le temps de la résurrection de notre Seigneur Jésus Christ et la
naissance, belle, lumineuse et chaste par les sacrements du baptême,
il reviendra avec joie vers nous et dans toutes les églises on entendra
de notre bouche: Alleluia. (De officia Septuagesimae).

C'est à la fin des Laudes, " lorsque le jour sera levé », que
l'Alleluia "ira son chemin »: la dernière antienne de Laudes
marque le point final de son chant et on n'en trouve plus de
traces ni à Tierce ni à la messe de ce jour.
Au témoignage de Bernold de Constance, écrit Mgr Andrieu ",
c'est le Pape Alexandre II (1061-1073) qui ordonna d'abandonner
l'Alleluia dès les Vêpres du samedi"'. C'est ainsi que disparut
ce bel office en l'honneur de l'Alleluia. Le martyrologe romain
rnentionne ainsi ce dimanche: « Dimanche de la Septuagésime,
où est déposé le cantique du Seigneur Alleluia»". Un vestige de
cette" déposition» figurait dans l'office romain: c'est l'addition
de deux Alleluia au verset et au répons du Benedicamus Domino,
gui clôturait les premières Vêpres de la Septuagésime.
Cependant le bas Moyen Age a connu divers usages qui
constituaient un rappel de cet office: on en vint à célébrer une
sorte d'enterrement de l'Alleluia, où survécurent nombre d'an-

85 P.L. 105,1131.
86 P.L. 105,1283.
97 Texte inspiré du voyage de Tobie en Tob 5,21-
88 ANDRIEU, o.c., 1. II, p. 462, note 11.
89 Dans Rassegna gregoriana, 1905 (p. 96), Dom A. L.4.TlL décrit les Vépres
du samedi de la Septuagésime (L'addio all'Al1eltda) scIon le Codex Cassinien-
sis 542.
90« Dominica Septuagesimae in qua dcponitur canticum Domini Alleluia)J.
L'expression canticum Domini est un rappel de Ps 136,4 (Chant d'exil). Dans
ses eommentair~s, Amalaire a comparé la Septuagésime à l'exil à Babylone,
selon le symbolIsme du nomb]'e 70 (cfr. le De ecclesiasticis officiis cité plus
haut).
230 ANDRÉ ROSE

tiennes et de répons de l'ancien office 91, Dans L'Ar11lée liturgi-


que ", Dom Guéranger nous livre le texte d'une très belle prose
du Moyen Age, dédiée à l'Alleluia: Ca/1temus clmcti me/adum
nunc Alleluia. Ces éléments témoignent d'une survivance du su-
perbe office en l'honneur de l'Alleluia que nous livrent les plus
anciens antiphonaires.

Dans le rite mi/allais, le Cardinal Schuster a restauré l'usage


primitif de prendre congé de l'Alleluia aux secondes Vêpres du
premier dimanche de Carême.
En effet, si l'Eglise de Milan possède un temps de la Septua-
gésime, on y conserve le chant de l'Alleluia. C'est aux secondes
Vêpres du premier dimanche de Carême quc l'on chante comme
« antienne à la croix» le texte déjà n1entionné: Claude et signa
sermonen'l, alleluia 93.

Les documents liturgiques du rite hispanique comprennent


pour le dimanche qui précède le jeûne quadragésimal - notre
premier dimanche de Carême - un office analogue à l'ancien
office romain de la Septuagésime. Comme à Milan, c'est en
ce jour aux secondes Vêpres qu'on abandonne le chant de l'Al-
leluia. Ce dimanche appelé dans l'antiphonaire de la Cathédrale
de Leon <( le dimanche avant J'entrée en Carême» (in d0171inica
ante introitu Quadragesim.ae) et « pour l'enlèvement de la chair»
(in cames tal/emlas) a été nommé aussi Daminica il, Alleluia "'.
A la messe de ce jour le chant d'entrée annonce le Carême avec
des alleluia:
Alleluia, voici le temps favorable et les jours du salut, alleluia,
alleluia.

91 Voir à ce sujet RrGHETTI, l.e., t. II, p. 103; GorGAl:D, Les adieux à l'Alle-
luia, dans Ephemerides liturgieae 1927, p. 566ss.; Dom A. VEYES, L'enterrement de
l'Alleluia dans le Bulletin paroissial liturgique, Janvier 1926, pp. 35-36. Un essai de
renaissance de ces rites à la Cathédrale de Verdun en 1931 est décrit dans
La «Déposition» de l'Alleluia à Verdun dans la même revue, en février 1931,
pp. 33-37.
92 Le temps de la Septllagésime (tome IV), Paris' Poitiers 1898, pp. 139-141.
93 Cet usage ancien a été restauré par le Cardinal Schuster: «Il Vesperale,
recentemente edita sotto gli auspici dell'Em. Cardo Schustel', écrit RIGllETTI
'l.e., t. II, p. 426), ha restituito il Vespro di questa domenica alla sua forma
antica ».
94 Missale Mixtum, PL., 85, C. 295-296, note d.
L'ALLÊLUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 231

L'office glorifie J'Alleluia par de nombreux textes bibliques


tirés des livres sapientiaux. On y retrouve certaines antiennes
romaines comme Mane apud nos hodie. A la fin des Vêpres de
ce jour, on chante:
Alleluia. Voici ce que dit le Seigneur: alleluia est scellé dans
mes trésors, en ce jour·là je vous le rendrai, alleluia, alleluia 95,

Dans le livre des oraisons qui correspond à ces antiennes 96,


figure une série d'oraisons sur l'Alleluia. Voici le début de la
première de celle-ci:
Alleluia au ciel et sur la terre,
au ciel, il dure sans fin et sur la terre il est chanté;
là il retentit sans interruption, ici dans les bouches des fidèles;
là éternellement, ici avec douceur,
là dans le bonheur, ici dans la concorde;
là de manière indicible, ici instamment;
là sans syllabes, ici avec des mélodies,
là par les anges, ici par les peuples 91.

On sent dans ces paroles J'écho de la prédication de saint


Augustin sur le chant céleste.

C'est au cours de la Vigile pascale, le vénérable office bap-


tismal de la nuit sainte, que dans tous les rites occidentaux
revient le chant de l'AIJeluia, soit au cours de la messe, soit
immédiatement après le baptême.
Dans le rite romain, l'Alleluia réapparaît à sa place normale,
avant l'évangile de la résurrection du Christ. Selon le cérémonial
des Évêques, un sous-diacre vient annoncer la nouvelle au Pon-
tife célébrant par ces mots: «Très Révérend Père, je vous an-
nonce une grande joie: c'est J'Alleluia» os. A ce moment, le
célébrant l'entonne à trois reprises en haussant le ton et l'assem-
blée le reprend ". En outre, J'ancienne Rome chrétienne possé-

95 AI1tifonario visigdticu ... , p. 154. Dans l'Oracional visig6tico (Ed. J. VIVES,


Barcelone 1946) correspondant, on trouve à ce dimanche de nombreuses orai-
sons sur l'Alleluia {nn. 507-519).
96 Oracional visigotico (Ed. cdtica J. VIVES), Barcelone 1946, n. 507, p. 171.
91 Ce même texte figure comme Capitula des 1ères Vêpres de ce dimanche
dans le Breviariwn gotl1icU/l1, P.L. 86,259.
9B L'expression anmmtio vobis gaudium magnum s'inspire de Lc 2, 10.
99 Ce moment important de la célébration pascale romaine a son répon-
dant dans le rite byzantin où, au lieu de l'Alleluia habituel, on chante le Psaume
Sl avec comme rép.ons le verset 8: à.V&:Cf"t'IX, b 0e:6ç, Ressuscite, ô Dieu. Ce fait
prouve que l'AlleluIa n'y est pas perçu comme spécifiquement pascal.
232 ANDRÉ ROSE

dait au soir de Pâques des Vêpres solennelles avec procession


au baptistère "'. Cet office fut diffusé dans l'office franc au
milieu du IX' siècle et Amalaire l'appelle le «glorieux office ».
On y trouve les psaumes habituels des Vêpres dominicales, mais
parsemés d'Alleluia. Les deux derniers (112 Laudate plœri et
113 ln exim) sont chantés au cours de la procession. Cet office
fut abandonné à Rome au XIII' siècle, mais survécut à titre de
coutume dans de nombreuses cathédrales de France.
Dans le rite hispanique, en conformité avec l'Ordo missae
de cette liturgie, l'Alleluia reparaît après l'évangile. Dans l'anti-
phonaire de la cathédrale de Leôn, on lit en cet endroit cette
rubrique: « Disons avec exultation d'une voix largement ouverte:
Alleluia ». Suit le Lauda: Alleluia. VI. Louez le Seigneur du haut
des cieux, louez-le dans les hauteurs (Ps. 148,1).
Dans le rite milanais, c'est immédiatement après le Baptê-
me, dès que le prêtre a revêtu les vêtements blancs, que retentit
l'acclamation pascale:
Eau éternelle de la fontaine sacrée où l'on est régénéré. Halleluia.

Ce chant est suivi du Psaume 31, Heureux ceux dont les


iniquités ont été relnises, dont les versets sont entrecoupés
d'Alleluia.

* * *

Au bout d'un certain temps, la diversité d'usage entre Orient


et Occident a été remarquée de part et d'autre. Lors des contro·
verses entre Grecs et Latins en 1053, la divergence sur ce point
fut sujet de litiges: on en parle dans le fameux traité du Cardinal
Humbert Adversus Graecorwn call1n'znias 101.
A vrai dire, cette controverse n'apporte rien de neuf: il
s'agit de développements divergents selon les régions, mais qui
n'altèrent en rien le sens primitif et profond de l'Alleluia comme
chant céleste, angélique et eschatologique.

100 Voir à ce sujet P. JOüNEL, Les Vêpres de Pâques, dans La Maison-Dieu


ll.49, pp. 96-111, ct aussi A. CUVA, 1 Vespri pasquaIi battesimali della liturgia
romana, in: Salesianum 35 (1973) 101-118.
101 P. L. 143, c. 968-970.
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L'ALLELUIA EN ORIENT ET EN OCCIDENT 233

En continuité avec la révélation du livre de l'Apocalypse,


toutes les Eglises d'Orient et d'Occident ont considéré l'Alleluia
comme une acclamation du ciel, chantée par les anges et les
élus pour glorifier Dieu éternellement. Elle retentit dans la
Jérusalem céleste dans un contexte eschatologique pour annon-
cer la victoire de Dieu et de son Christ. C'est à cette louange que
s'unit l'Eglise de la terre pour psalmodier cn l'honneur de Dieu
en union avec ]es anges, pour acclanler le Christ qui vient dans sa
gloire, pour affirmer sa victoire sur la mort (office des défunts)
et l'union des fidèles défunts à la liturgie céleste, pour chanter
l'irruption du monde céleste et glorieux dans le sacrement
baptismal. L'Alleluia est en tout analogue au Sanctus et au
Trisagion.
En Occident, l'Alleluia est devenu par l'usage un chant plus
spécifiquement pascal. Au cours de la sainte Cinquantaine - de
Pâques à la Pentecôte - dans tous les rites occidentaux, anti-
ennes et répons sont parsemés d'Alleluia comme d'autant de
fleurs. Il apparaît comme parallèle au «Christ est ressuscité»
de l'Orient byzantin.
Quant à la diversité des usages - Alleluia en Carême pour
l'Orient byzantin, Alleluia au temps pascal pour l'Occident la-
tin - , qu'il suffise de rappeler les paroles sages adressées par
le diacre Jean à Sénarius:
Que je ne sois en rien ému, lorsque je vois qu'ici (à Rome) on
fait de telle manière pour louer Dieu, alors qu'autre part on approuve
une autre manière de faire. Que ce soit en effet jusqu'à la Pente·
côte qu'est chanté l'Alleluia, comme on le fait manifestement chez
nous, ou qu'autre part il soit dit toute l'année, l'Église chante
les louanges de Dieu 102.

André ROSE

102 P. L., 59, 406.


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L'ALTÉRATION DES TEXTES LITURGIQUES GRECS

On va traiter des fautes introduites au fur et à mesure dans


les textes de l'office byzantin. Elles sont dues, d'une part à des
copistes et calligraphes ignorants ou distraits, qui copiaient de
travers, ou encore à de trop intelligents, qui corrigeaient ce
qu'ils ne comprenaient pas, et d'autre part à des éditeurs et
imprimeurs incultes ou légers.
Il va de soi qu'on ne prétend pas relever ici toutes ces
fautes: cela appartient aux spécialistes et présuppose un travail
aussi long que difficile; le but de cet exposé est plutôt de faire
remarquer la présence déconcertante de tant de fautes dans
l'office byzantin et de plaider pour le rétablissement des textes
originaux d'après les manuscrits les plus valables ou plus con-
formes aux exigences de la langue et de la théologie. Ainsi, ce
travail très modeste pourrait contribuer tant soit peu à la
réforme liturgique envisagée par le grand Synode panorthodoxe
en préparation.

LES PARTIES DE L'OFFICE BYZANTIN

A l'origine, l'office byzantin était composé de psaumes et de


cantiques puisés dans l'Ancien ou le Nouveau Testament. Ils
étaient psalmodiés par le lecteur ou le chantre - comme c'est
le eas aujourd'hui pour l'Epître et l'Evangile. Le peuple y parti-
cipait en chantant de temps en temps quelques invocations,
appelées l.·J1tOCXOOC~ 1.
Au IV' siècle, entre les années 348 et 358, on introduisit dans
cet office la psalmodie par antiphonie: deux choeurs se répon-
daient l'un à l'autre, nOn plus en psalmodiant des versets en
guise de refrains mais en chantant des poèmes libres, puisés
dans la Bible bien que s'écartant du texte littéral correspondant.

1 Ces UJ't"o::x.olXl ne sont pas à confondre avec les "acclamations» (J't"poa-


,?wv~O"s~ç ou l:inip<ù\rijln:~r;;) tt"aitées par A. Kniazeff plus haut (p. 13555.).
236 GEORGES SARGOLOGQS

Ces compositions poétiques étaient courtes et très peu nom-


breuses. Mais lorsque J'hymnographic commença à fleurir dans
les monastères, de nombreux poèmes s'introduisirent au fur et
à lnesure dans l'usage liturgique, constituant les nouveaux can-
tiques à chanter entre les psaUllles. On tes a appelés ,( tropaires »
(Tp07t&pW.), de la manière (Tp6r.o,) dont ils étaient chantés:
suivant l'accent tonique.
Selon leur nature, leur fonction dans l'office ou leur con-
tenu, ces tropaires ont pris des noms divers. En voici les prin-
cipaux:

- Les :ET'Z~PO;, stichéres (slav. stichiril. s'intercalent entre


les derniers versets des psaumes. Ils sont subdivisés en !~,61l<ÀO:,
idiomèles (slav. samogJasen), se chantant sur une mélodie pro-
pre, et en r.pocrofto.ex, imités (slav. podoben), dont la mélodie est
cnlpruntée à d'autres, appelés rxù-r6/-lE:ÀO:.

- Les m?ftol, hirmos (slav. irmos), servent de modèles sur


lesquels sont calqués d'autres tropaires, qui forment les ôdes
du canon. Par ôde = c;,3~ (slav. pesni) on désigne chacun des
neuf cantiques scripturaires lus à Matines. Mais aujourd'hui par
ce même mot, du moins en dehors du grand Carême, on entend
le groupe de tl'Opaires correspondant à chaque ôde biblique,
lesquels jadis étaient chantés après la lecture de celle-ci. Chacune
de ces neuf ôdes - qui à vrai dire sont huit car la deuxième est
toujours omise en dehors du grand Carême - est précédée d'un
hirmos. L'ensemble en constitue le canon.
- L"A7toÀuTlx,"v, apolvtikion (slav. otpustitelnyjl, est le
principal tropaire de la fête ou du saint du jour. Il clôture
Vêpres et Mati;]es, mais à cause de son importance il se répète à
toutes les heures de l'office.

- Le Kov.&x,"v, contakion (sla\'. kondak), et le aI"oç (ikos)


sont les survivances de très anciennes oeuvres poétiques, sup-
primées par l'envahissement des canons. Dans l'élat actuel les
contakia sont réduits à la strophe d'cnvoi et à la première
strophe du développement, appelée clle-même ikos.

- Les J{cdHcrILOC"Tct, cathisnlcs, sont de brèves c01npositiolls


poetiques que l'on chante à Matines après la lecture de chacune
des vingt sections dont se compose Je psautier byzantin, appelées
---
L'ALTÉRATION DES TEXTES LITURGIQUES GRECS 23ï

égalen1cnt « cathisD1es ». Ces psaun1es ne sont plus ni chantés ni


lus, aussi par « cathislne » n'entend-on aujourd'hui que le court
tropairc qui en suivait les stances.
L'hymnologie a donc une très grande place dans ]' office
byzantin. Vêpres et Matines sous leur forme actuelle comptent
un ensemble de cent-douze à cent-soixante tropaires. A noter
cependant que de nos jours, au moins en Grèce, surtout dans
les églises paroissiales des grandes villes, ce nombre est bien
réduit, à la suite de l'omission totale ou quasi totale des canons.
Néanmoins, il faut plus de temps pour chanter les tropaires qui
composent actuellement l'office que pour en lire ou même
psalmodier les psaumes et les autres textes scripturaires prescrits.
Enfin, bien que le Typikon désigne comme base de l'office sacré
le psautier, ce principe est depuis longtemps foulé aux pieds,
car le raccourcissement de l'office, suggéré ou in1posé par les
circonstances mais réalisé à livre ouvert, se fait toujours au détri-
ment des psaumes pour que l'hymnographie soit sauvée.
Bref, la plus grande partie de l'office byzantin actuel se
compose de tropaires. Les plus anciens en sont, paraît-il, les
apolytikia. Les autres ont été composés entre le VU' et le X'
siècles, époque où l'hymnographie byzantine était en plein essor.
Les hymnographes étaient des hommes saints ou de très pieux
ascètes, grands connaisseurs de la Bible et de la doctrine du
Christ, imprégnés de l'Évangile et de l'esprit de prière; aussi
leurs compositions poétiques sont-elles de vrais manuels de ca·
théchisme, comprenant en abrégé la théologie toute entière.

LES CAUSES DE L'ALTÉRATION DES TEXTES

La typographie n'existant pas à cette époque-là, la repro-


duction de cette littérature admirable était assurée par les co-
pistes et les calligraphes. Or, plusieurs d'entre eux étaient de
faux savants, voire lnême quasi illettrés. C'est pourquoi, igno-
rants de nombreaux n10ts peu usités dans le langage courant, ils
les ont remplacés par d'autres, voisins quant à la forme mais
éloignés quant au sens. Et si parfois le mot nouveau cadrait
assez bien avec le contexte, il laissait beaucoup à désirer par
rapport à la précision, la grâce et la viguer du primitif.
238 GEORGES SARGOLQGOS

Cette falsification des œxtes, causée par la déformation des


Inots ou la violation de la gran1maire, a très naturellement en-
traîné l'altération de la doctrine professée dans les hymnes.
L'invention de la typographie et son emploi dans la diffusion
des textes sacrés, loin d'améliorer cette situation déplorable,
l'a plutôt secondée et même accentuée.
D'abord, les livres contenant les hymnes ont été imprimés
non pas d'après les textes originaux mais d'après ceux qui étaient
déjà détériorés par la main destructice du copiste ou du calli-
graphe. C'est un de ces manuscrits qu'a engendré la première
édition de la rrocp""À'I)TL"~', réalisée par un italien, Nicète Fausto,
maître de la langue grecque à Venise. Ainsi ce livre fondamental
fourmille-t-il de fautes, qu'on est obligé de répéter sans cesse
dans sa prière! Le mên1e sort a poursuivi les autres livres: le
Tpt~aLO\I 3, le Ih'JTI')xoCJ'Ta.ptO\l 4, les M1)VIXLIX 5, l'EùxoÀoywv 8,
l' 'QpOMyLOv '.
Ensuite, la typographie a introduit de nouvelles fautes dans
ces textes. Ni les lapsus des typographes eux-mêmes, qui n'étaient
pas plus instruits que les copistes et les calligraphes d'autrefois,
ni les errata et les coquilles inévitables n'étaient tous corrigés,
soit par ignorance soit par incurie. Ces deux défauts existant
toujours, toute nouvelle édition couve le danger de l'augmentation
des fautes en question, déjà abondantes et déroutantes. Ainsi
par exemple, une édition assez récente à Athènes, entreprise par
la maison de librairie <l>wç, est coupable d'un très grand nombre
de fautes aussi grandes que nouvelles, alors que l'Apostoliki
Diakonia, organisme officiel de l'Eglise de Grèce, a réédité les
livres liturgiques en conservant avec une fidélité remarquable
toutes les bévues des éditions antérieures.

2 C'est le livre fondamental de l'office quotidien et dominical: il contient


tous les tropaircs qui constituent le propre de chaque jour selon les huit tons
et qui sont chantés à Vêpres ct à Matines.
:J Il contient les parties propres des offices du grand Carême .
.. On y trOuve tout l'office du temps pascal jusqu'au dimanche après la
Pentecôte inclusivement.
5 Recueils dcs tropaires constituant le propre des saints de chaque jour ct
des fêtes en général.
611 contient les rubriques à l'usage du prêtre et du diacre dans la célébra·
tian de l'office, les trois liturgies, les textes de l'administration des sacrements
ainsi que des prières pour toutes circonstances.
7 Il contient l'ordre de l'office journalier, les cb:oÀu'tbl.~O':: et les y.OIJ-:œxLCl
de toutes les fêtes de l'année, les prières de la communion, les vingt-quatre
stances et le canon de l" Ax&:.:l~c..t'olÏ "l'(.lIJOç et d'autres offices de dévotion.
L'ALTÉRATION DES TEXTES LITURGIQUES GRECS 239

ESSAIS DE CORRECTION

Au XIX· siècle, un moine de Imbros, Barthélémy surnommé


Koutloumoussianos, a entrepris, de sa propre initiative n1ais
avec l'autorisation du patriarche Constantin l, la révision des
M1jvoc,,,,, du IIEv"'Ixo(m;pLov et de l''QpoÀ6yLo'i. Barthélémy a donc
eu un double mérite: d'une part, il a débarrassé, du moins en
partie, ces livres de l'altération à laquelle les avait condamnés
le temps destructeur; d'autre part, il a démenti l'assertion
contestée selon laquelle il ne fallait pas toucher à ces textes,
même altérés, comme si les fautes étaient quelque chose de sacré.
Cependant, cette oeuvre magnifique de Koutloumoussianos
demeure incomplète: parmi les fautes cachées dans ces livres
il y en a d'assez nombreuses et importantes qui n'ont pas été
corrigées, tandis que la II,,,pocxÀ1j .. Lx·~ et le TpL«>8LOV n'ont pas du
tout été révisés, aussi gémissent-ils encore sous le fardeau de la
falsification.
L'initiative plausible de Barthélémy a été mal comprise par
les plus modernes, qui se sont crus en droit de modifier les
textes à leur gré pour des raisons quelconques. Ainsi, un préchan-
tre de l'église patriarcale de Constantinople, Constantin, assu-
mant en 1874 la charge d'adapter le Typikon monastique aux
besoins des églises paroissiales, a déformé l'office des saints
Apôtres Pierre et Paul (29 juin), en détruisant tous les passages
où Pierre est honoré comme évêque de Rome et président des
apôtres, sous le prétexte suivant: {( Le mot Rome ne convient
pas à notre Église, car l'apôtre divin a été docteur et iIluminateur
de tout le monde et non seulement de Rome; et, ce qui est
principal, c'est lui le premier fondateur de l'Église d'Antioche» ".
Malheureusement, cette modification arbitraire du texte origi-
nal, vu le motif qui l'a causée, a été immédiatement adoptée par
les orthodoxes contemporains, gui se sont hâtés de l'introduire
dans toutes les éditions postérieures des YI1jv,,''''' Pas même
l'Apostoliki Diakonia ne s'en est dispensée, bien que, dans son
" Calendrier de l'Église de Grèce», elle ne cesse de répéter que
« les textes liturgiques de notre Église, fixés en une forme

6 cTur:~xo') ÈXXÀrp~IXa":'~XO'l XIX"t'&. .-1;') "t'.xI;~\1 "t'7jo; 't'au XpLo"t"aü ~IEyil.l)Ç 'ExxÀ1)CJ(IXç'
r:IXP* KCJl'la'":IXV>('1au ;;pCJll'a~&.).'t'au 't'iiç Mq&:"1l:; 'Exx./..7jC7(IXIOJ C') Krr6ÀE:~ 1874, p.
175-177.
240 GEORGES SARGOLOGOS

déterminée, ne doivent pas être modifiés selon les circonstances»


et que « les prières et les hyn1nes de l'Église denleurent toujours
intacts dans leurs phrases correspondantes»!/,
Pour revenir au préchantre Constantin, celui-ci avait, paraît-
il, la passion de la modification des textes, qu'il appelait « cor-
rection ". Aussi fit-il un autre changement, cette fois·ci à l'office
de saint Demètre (26 octobre), patron de Salonique. Le doxasti-
kon'" des Laudes célèbre ce saint comme «chef des Thessalo-
niciens » ll, Constantin avait proposé chef de tous les gens
(c

pieux ,,". Cependant, cette altération fut à bon droit repoussée


pour les raisons ci-dessus. Il y a donc eu à ce propos deux
poids et deux mesures: la modification portant sur la primauté
de Pierre est honorée, malgré le principe de ne pas toucher aux
textes liturgiques, tandis que celle qui concernait la tutelle de
Salonique est désapprouvée de par ce principe. On est en face
d'un opportunisme nuisible à la science.
Les éditeurs qui s'obstinent à réimprimer les textes litur-
giques avec leurs fautes ont en partie raison: pour relever
tous ces lapsus il faut comparer des manuscrits, consulter des
dictionnaires, parfois recourir à l'Écriture Sainte ou aux écrits
des Pères etc. Tout cela est extrêmement difficile et requiert
une compétence. Néanmoins, certaines de ces bévues, contenues
surtout dans la rrocp"'''À1)'t'L''~ et le TpL<fJaLov, sont tellement frap-
pantes, que la correction en devient une question plutôt de
bon sens que de compétence. Or, si un individu, comme Bar-
thélémy Koutloumoussianos, prit la liberté de corriger la
plupart de celles qui se cachaient dans les autres livres liturgi-
ques, combien plus aurait pu en faire autant, pour la rr",p"'~À1)~'''~
et le TPL<fJ8Lov, un organisme ecclésiastique officiel comme Aposto-
liki Diakonia, avec l'autorisation ou l'approbation du Patriarcat
Oecuménique, quitte à laisser le reste aux spécialistes. On se
demande en effet, pourquoi on n'aurait pas le droit de corriger
une faute manifeste qu'un calligraphe ignorant s'est permis de
commettre.

II ·H!J.e:flO).(>(~O\l ,:,'ijç
'Exx);r,a(o:ç T'Ij; 'EÂ"a.8oç, 1977, page ~y'.
10 On appelle 8oç«o"nxov! le {~h&:J.EÀOV intercalé après le verset « Gloire au
Père et au Fils et au Saint-Esprit)} (.1.6';0: IIex't'pl xo:t TIë:l xo:t 'Ay(c.:) IIvd:.Lcx't'~)
dans la série des stichères et des apostiches des Vèpres et des Laudes.
Il Tw'J 8zO'a(.(),o\l~xé(ùv 7:'oo·~'7":'·:hu:\lov.
12 II~aL ..orç e:ôae:{jéO'L 7':"p~ta't'~:.L~\lOV (op. cit., page 32).
L'ALTÉRATION DES TEXTES LITURGIQUES GRECS 241

A noter aussi que le Typikon, essayant d'adapter les offices


créés pour les monastères - aux besoins des églises parois-
siales dans la mesure du possible, a modifié beaucoup de ru-
briques. Or, les éditeurs postérieurs des livres liturgiques, d'une
part ont prétendu satisfaire aux exigences des églises paroissiales,
et d'autre part ont édité ces livres tels qu'ils étaient avant la
réforme du Typikon, avec les rubriques anciennes!
Ce travail de correction partielle, concernant les fautes
manifestes et les rubriques périmées, aurait pu être fait par les
auteurs du nouvel 'A'V&oÀ6ywIJ, paru récemment à Rome 13.
L'occasion en était plus que propice. Cependant, la rédaction de
ce livre, excellent dans son idée mais défectueux dans sa réa-
lisation H, a été confié à des personnes non-compétentes qui J

à juste titre n'ant pas osé faire un pas si audacieux.

LES FAUTES

Cela dit, passons aux fautes. J'en donnerai quelques échan·


tillons, tirés des textes les plus usuels et révélateurs de l'état
fâcheux dans lequel sont tombés nos hymnes superbes, espérant
exciter, ainsi, le goût des spécialistes à les relever toutes.
Ces fautes, on peut les classer en plusieurs catégories,
suivant leur nature.

13 'A\iftOÂ6yLOY ":'où 0ÂOU ~\i~cw,,:,oü, Rome. Tome 1 en 1967, tome II en 1974,


tome III en préparation, tumc IV en 1968.
14 Les défections les plus importantes de ce livre, qui le rendent très peu
utilisablt!, sont les suivantes:
a) Absence totale des I:-:a:upon-eo't"ox(c( (slav. Krestobogorodicen), tropaires
E::n l'honneur de la Mère de Dieu (0eo't"oxoç) chantés à la place des 8eoTOX(CC
(bogorodiccn) le mercredi ct le vendredi, jours consacrés à la passion et à la
croix (I:-:-a:up6ç) ùu Christ (cfr. aussi note 36).
b) Omission des Laudes d'un grand nombre de saints et des avant-fêtes
de la Nativité et de la Théophanie de Notre-Seigneur.
c) Suppression des Antiennes CA\IT(cpw')oc) de toutes les fêtes, immobiles
ct mobiles, ct en général de tout le propre de la Liturgie.
li} Manque des Etp!J.o( de la 3", 6e,se et ge ôde usités à Matines de chaque
jour en dehors du Triode. Par contre, on y a inséré les canons entiers des
dimanches, des fêtes, des féries du grand Carême et de certains saints, bien
que ces canons soient tombés en désuétude.
e} Manque des apostiches des Vêpres du samedi des défunts CA<t6xpew).
1) Suppression des I:'~X"t)pd: 't"r,ç ·Oy',,:,oo1Jx.ou pour la semaine de la Tyra·
phagie (avant le grand Can~!me).
242 GEORGES SARGOLOGOS

1. Fautes très manifestes, échappées à la plume

Bien qu'elles soient incontestables, aucun éditeur ne s'est


donné la peine de les corriger; aussi ce travail est-il laissé au
bon plaisir des lecteurs et des chantres. De telles fautes on en
trouve dans tous les livres. En voici les plus frappantes.
1) Dans l'Euchologe. Par la «prière pour l'imposition du
nom au nouveau-né le huitième jour après sa naissance »,
on demande au Seigneur que son saint nom demeure sur l'enfant
&:&VI::/:;pN1JTOV = sans être renié 15, Or, dans certains euchologes
édités à Athènes est écrit &V€~"pT1jTO' = indépendant "1 Cette
faute doit être née dans quelque imprimerie, car les anciens
euchologes aussi bien que les éditions slaves portent le terme
correct. Malgré cela, et bien que la faute soit plus que manifeste,
elle continue à figurer dans les éditions nouvelles des euchologes,
qui ne sont que de pures reproductions, on peut dire mécaniques,
des éditions antérieures.
2) Dans l' 'O"To,1j;(OÇ ". A la fin du deuxième cathisme de
l'office dominical des Matines selon le premier ton, on rencontre
une forme erronée de participe passé: 6ocvÉ\I't'ac; au lieu de
e",,6VT<XÇ (morts), le participe passé du verbe S"h""w (mourir)
étant S,,"o,, et non e<xvdç. Cette faute manifeste a été corrigée
dans les éditions réalisées par l'Apostoliki Diakonia, mais elle
est maintenue dans le nouvel Anthologe de Rome.
Le doxastikon des Laudes correspondant au XI' évangile
matutinal de la résurrection ('EwS,,6v lA') s'adresse au Christ,
c'est pourquoi les verbes en sont à la deuxième personne du
singulier. Ce tropaire COll1mence donc ainsi: {( Te manifestant
toi-même à tes disciples, ô Sauveur, après la résurrection, tu
as donné à Simon de paîtrc les brebis ... " ". Or au lieu du pronom
de la troisième personne ~e",uT6, = toi-même, dans toutes les
éditions est placé celui de la troisième personne 'E"'UT6v = lui-

15 Ainsi, dans EùxoMYLOV 'to ~Uya: È\J J3e:Ve:"t"Lq: 1863, page 115. - EùxoMyw',l
't'o ~UyO'.: Èv 'Pcù:J:n 1873, page 142. -l\'hxpàv EùxoÀ6y~ov ~ ·AyLa.a!-lIX.~(;nov, ëx8o-
en; '_\1tOCJt"OÀLX~r; llLIXXO\l!.CXÇ' 't'~r; 'Ex)();t)cr~lXÇ' .'1jç 'EÀÀ&B'oç, Athènes 1968, page 49.
16 Ainsi, dans EùxoMy~ov 't"à ::\Hyo:, éd. Michel S. Salivéros, Athènes 1927,
page 87.
17 C'est le livre qui contient l'office dominical selon les huit tons.
18 <DIlVEpWV 0" EIX U't" à v .oIe; !-Locl1-r]"":"IXIç aou, I:cù"~o. !-LE.à: -:7)v &:\I&C""":"ocO"~vJ ~(!1-Cù')~
3É:3CùKa:Ç -r/jv 7{ilv ;:PO~&TCùV vow~v... '
L'ALTÉRATION DES TEXTES LITURGIQUES GRECS 243

même, ce qui donne un solécisme déconcertant: «Se manifestant


lui-même à tes disciples, ô Sauveur. .. ». Et pourtant tous les
chantres s'y résignent!
La même bévue se trouve au doxastikon des Laudes cor-
respondant au cinquième évangile matutinal de la résurrection
('Ewe,v6v E'): au lieu de «tu te manifestes toi-même» on lit
c( tu manifestes lui-mênle » 111, alors que tout le tropaire s'adresse
également au Christ. Est-ce là une erreur de l'auteur même de
ces tropaires, l'empereur Léon VI le Sage? Le fait qu'on la ren-
contre deux fois dans des tropaires composés par lui pourrait
favoriser cette opinion. Mais cela ne dispense pas de l'obligation
de corriger une faute si manifeste '".
Une autre faute de ce genre, à savoir très manifeste, se
trouve dans le doxastikon des Laudes correspondant au qua-
trième évangile matutinal de la résurrection ('Ewe,v6v t;.')_ Elle
n'est pas si grave que les précédentes et n'altère pas non plus
le sens du texte. Elle consiste dans l'emploi d'un article à
la place d'une préposition: ot TAIL &a't'pGt7tTOuaGttç Èae~ae:a'\l
E:7ttG't'OC\lTEÇ, au lieu de oi EN &aTpo:.7tTOuaGtLç Èa6~aEaL\l È1tI.O''t'cXVTEÇ
(= ceux qui se présentèrent en vêtements éblouissants). Malgré
sa légèreté et bien qu'elle ne soit pas désapprouvée par la
koiné, cette faute devrait être corrigée du moins parce que sur
le texte de l'Évangile, au passage correspondant, figure la forme
correcte: E:1téO'TfJO'a\l EN ë:ae~O'EaL\l &O''t'pa1t't'ouaaL; (Luc, XXIV 3), J

3) Le Triôde en contient d'assez nombreuses. En voici quel-


ques-unes.
Chaque dimanche de cette période, après l'évangile matu-
tinal, on chante trois tropaires pénitenciaux. Or le deuxième,
qui est une supplication à la Mère de Dieu, nous invite à lui

190Ûll. EûBÉ6l; t!XUTOV (à corriger oc.!Xu't'ov) !.p!X\lEpOtC;,


20 Il est vrai que parfois on rencontre, même dans le grec classique,t«u't'6vou
IXU,OV à la place de cwxu":'ov ou aIXu-ro\l. Cependant, dans les compositions poé-
tiques de l'office byzantin on emploie ordinairement, pOur la deuxième personne,
la forme correcte aelXu .. 6'J. Ainsi par exemple, rien que dans le M'fl'.JIXLO\l de sep-
tembre on trouve vingt fois aElXu't'o'J (ou aeoeuT"1)v, aoeUTov, alX'I..I't"~\I) et une seule
fois to:u,,:,ov (premier tropaire de la 3e ôde du canon du 3 septembre), cela
accompagné de la note suivante: « Le tIXU't'OV, à la place de aEiXtr.ov, est mis ici
pour l'acrostiche ». En effet, l'acrostiche exige, à cette place-là, la lettre initiale
E. Or, il n'y a aucune raison d'introduire la même ex cep t ion dans les
deux idiomèles de Léon le Sage, d'autant plus que, si on y corrige tlXu-r6v par
aelXu't'ov, on sera d'accord a\'ec tout le reste de l'hymnographic (cfT. aussi
Jo. XXI, 18).
244 GEORGES SARGOLOGOS
- - - - - - - - - - - - - - ' = - = - ' - - - - - - ----_.-

dire: «J'ai souillé mon âme par des péchés honteux e t ayant
dépensé toute Ina vie dans la paresse)} 2l, La conjonction de
coordination "lXt (et), reliant des mots ou des propositions de
même nature, est mise ici mal à propos et rend la phrase ci-
dessus incompréhensible; il faut donc remplacer XIX! par la
conjonction de cause wç;, ce qui donnera: ({ j'ai souillé 1110n
âme par des péchés honteux, pour avoir dépensé toute ma vic
dans la paresse» 22. Heureusement, cette correction a été adoptée
dans les nouvelles éditions des Triôdes imprimés à Athènes, et
c'est bien dommage qu'elle continue à figurer sur le récent An-
thologe de Rome".
Dans l'office de l'Acathiste ", à la cinquième stance (E) on
rencontre une forme erronée de participe passé neutre: bttyvoûv.
Le correct en est E:ttyvOV. Remarquée depuis longtemps, cette
faute a été finalement corrigée dans les nouvelles éditions de
l'Acathiste et des Triôdes parus à Athènes, alors qu'elle survit
dans le récent Anthologe de Rome.
Aux Vêpres du dimanche des Palmes, à l'avant-dernier sti-
chère, le verbe de la deuxième phrase bté~"I)ç (tu es monté),
s'adressant au Christ, est transformé en participe passé /;m~&ç
(étant monté). Ainsi la phrase, privée de verbe, est incompré-
hensible 25. Cette faute, figurant sur les éditions anciennes de
Grèce et de Constantinople, ne subsiste plus que dans l'Anthologe
romain.
Aux Matines du mercredi saint, dans le doxastikon des
Laudes, l'infinitif passé 7tpllX"elX' (de t7tpo"!,-"I)v = j'ai acheté) est
transformé en 1tPL&.0'1X0'6oct 2e , forme inexistante. Sans doute, la
syllabe superflue a-t-elle été imposée par la mesure; or cela ne

21 AlaxpaL" yrlp xIXnpporrooaa -:?]v ..J;uX~\I à:!Lo:p",:(a:~ç x ct t ~,:dH.I!-l(Üç' "à\l ~LO\l


!-LOU 8),0\1 Èx81X1tow~ao:r;.
n Alo;(po:lç ydp xo:'!e:pçdm:Cùcro: 'div ~ux~v &'!-lo:p,(CtLr; ~l r; po:e~Cùr; ,0\1 ~LO\l
!-Lou 8Àov Ex8a.:rra.:v·ljcro:r;.
n Dans une anthologie intitulée qm~Àor; EVLa.:ÛOLOÇ-ij XOLIJWÇ xa.:Àou~.É:\ll] EBt!..
Ol\1A.6.API.'\.) et parue à Venise en 1796, la pluast! en question figure ainsi:
Atcrxpa:ï:ç ycip XIXTe:ppÛ;-:Cùo/x ... dp.IXP't'(o.:LÇ o:! ç p0:6ûl-tCùç ... J (Partie II, p. 2103). Mais,
malgré ce c.dç au lieu de (~Ç, le participe Ex80:rrlXv~0lXç demeure suspendu.
24 C'est le fameux canon en j'honneur de la Sainte Vierge, suivi d'un conta-
kion et de vingt-quatre stances, commençant successivement par une lettre de
l'alphabet grec.
• ,25 "?6e:v XIX( 'te;:. it"6lÀCfI t rr L ~ of ç (à corriger ET: é ~ 1) t;:) au!1-~OÀLXWC; iJJcme:p
Err 0X7J:.LC(.'!ot;: ~e:p6/J.e:\loç .•.
26' H &.!1-a.:p't'ooÀor;; !!8plXy.e: rrpoç 'to :J.ûpov rr pt&: oc( cr.s 0: L (à corriger
'Tt p ( a.: 0 e IX L) rroM":"lfLov y.upO\l 't'OÜ !-LUp[OCH .0'.1 Eùe:pyÉ":"7jv.
L'ALTÉRATION DES TEXTES LITURGIQUES GRECS 245

vaut plus aujourd'hui, car le trop aire en question est un


idiolllèle, aussi est-ce le cOlnpositeur qui en établit la mesure, ce
qui peut se faire sans la syllabe ajoutée. D'ailleurs, si on voulait
à tout prix conserver la mesure même du tropajre, on pourrait
dire: tH &!1-ctp't'wÀOt; g8pcx!-Le 1tpOç 't'o !-LUpo'J 't' 0 Ü 'It ploc cr 6 IX L 7toÀu't't!-Lov
ILoPO" "cd !Lupl""" ... En tout cas, la faute subsiste dans toutes les
éditions récentes.
A la sixième antienne de l'office des Saintes Souffrances de
Notre Seigneur - appelé par le peuple" les douze évangiles» et
chanté dans les paroisses le soir du jeudi saint - on lit le
verbe inexistant è'lt"t/"{ye(ÀIX't'e = vous vantez, actif, au lieu de
~7t1)Y"ldÀM8. = vous vous vantez, pronominal ". C'est peut-être
une pure faute d'impression, manquant dans les manuscrits,
car elle fait défaut aussi dans les éditions romaines: une raison
de plus pour qu'elle soit corrigée.
Dans le troisième tropaire des Apostiches du même office,
on lit que la Sainte Vierge était plaignante (63upo!Ltv~) dans ses
entrailles maternelles ". Le terme correct, se trouvant dans les
éditions de Rome, serait o3uv"'!Ltv~ = souffrant dans ses entrail-
les 29, mais aucun éditeur n'a osé l'introduire 30,
4) Les M~v""", ne sont pas exempts de fautes pareilles. L'une
d'entre elles se trouve dans l'office de l'Exaltation de la pré-
cieuse et vivifiante Croix (14 septembre). Le hirmos de la 7' ôde
du canon célèbre les trois Jeunes Gens qui, .ietés dans la fournaise
de feu ardente, n'ont pas été effrayés par le 1tÜp ~p6!LLOV, la flam-
me crépitante. Or, dans nos textes il est écrit ~p6!L.ov, sans que
personne corrigeât cette faute incontestable. Pourtant la forme
correcte ~p6!LLOV existe dans un autre hirmos de la 7' ôde, selon
le 4' ton, commençant ainsi: ~o~"'poü ~",,,,M,,,ç II<p"ôlv 3''''Tci.Y!L'''-
TOÇ, ~po!LI<p 1tupl "",8"'''Àl'''''TO II,,,l3,,,v 1> Tp''I'emç 8l",,,oç ... 31.

27IW') !J.loc'J wpa.v oùx, la;(ûact.'tE: &ypu;-;'JYiO'ct.~ (.LE:"t" È!1-0ü, r;Ùlç èn;'t!Y'{d).a.aOE:
cb':oO'Jilay.e:~'J 8~' e[J.é; = Si vous n'avez pas pu veiller une heure avec moi, com-
ment vous vantez-vous de mourir pour moi?
28' 08 u p 0 [1. É; v lJ iJ.lp"PWIX C7t'Àcfy;(vo:.
29 > 0 8 U 'J (ù !1. ~ v lJ !J."f1"t'p&'''' O'1tÀcéyx.va..
30 Dans les éditions slaves cette expression est omise.
31 Cfr. EIPMOAOrIO~ 7t"E:PLÉX.O') -roùç dp!J.oùç '7w'J oX"t'W l't.(ùv, "t'lb; È'J-
'Ji:o: <i>8&:ç, ..ct: [J.eyO:ÀU'Jct:pLOC xct.l oao:: èt).Àcc h '7(0) rr('Jct.x,~ O::lhoü !?o::l'Jo'J"t'o:~, 1.l.&"t'ccP-
pue:J.~O'eè:'J Ù7t"O "t'OÜ a.oL8t:;.ou 8L8ct.crx..XÀou Ba:p6oÀoW:t.LOU Kou"t'ÀOU!J-OUO"Lct.'JOÜ,
2e édition, Venise 1856, page 79 ct 138.
246 GEORGES SARGOLOGQS

II. Fautes contre la lallglle classique


Elles ne sont dues ni aux copistes ni aux imprimeurs mais
au langage particulier du grec byzantin et poétique. Par exemple
l'emploi d'un futur du subjonctif ou de l'impératif, inconnu en
grec ancien, ou bien le changement de cas et de genre dans les
noms et les adjectifs, ainsi que de temps et de mode dans les
verbes toutes les fois que la mesure le réclame.
En voici quelques échantillons, pris dans des textes assez
répandus:
- Dans le T pt~81.o\l: OL~oL, ,tON &:1t'&:"t'fj 7tov1)pq; 7teLcr6kv-rA Kati
7tt..cutÉ\I-rA K<xt 3ô~"f)C:; I-LcŒPU\JOÉv't'A, OL!1-0L 't'ON (btÀ6't'·~,'t't yu~'10~ vüv 3È
~7toP'lfl."vON (à l'accusatif) au lieu de Ot{-'o" TQ &r.&T·n 7tov1)P~
itzL0'6É'J'rI X'x.L xÀ<X7tÉ\I't.J XIX( 36~1Jç lLocxpuv8év"'C'l, Ot'I-L0L 't'1,l chÛ.OTI)'t'L
yu{-'v1f vilv 8. ·lj7tOp1J{-'Év1f (au datif, imposé par ot{-'o,); et plus bas:
57tCùç "ro,v ao,v Œv8"wv 7tÀ1)a&H1:QMAI (subjonctif futur) " au lieu de
lhtwç 't"6lV cr&v &v6ÉCùv 7Û;ljO'&Q ou bien 7tÀ"I)O'Gc{i xocyw pour sauver
la mesure. De même, à l'office des douxe évangiles on trouve
0aoü ècr'o/Le6cx 33 au lieu de ~Vcl.. 7tOCV't'O't'E
tvlX 7ta.v't'o't'e: flEt'rX XptlTt'OÜ 't'où
{-'•.,.oc Xp,aToil Toil 0.oil rENQME0A.
- Dans le IIe:v,t"fptoO''t'ocpwv, au canon de Pâques: ,àv ü/-LVO'J
7tpoao(aQ{-'.v T0 il.",,6"'71" (impératif futur) au lieu dc Tbv "{-'vov
7tpocrA301HEN 't'(~ Ae:O'7tot'Y;.
Or, en réclamant la correction des fautes parsemées dans
les textes liturgiques byzantins, on ne vise pas à ces particula-
rités de langue, justifiées par ailleurs. Cependant, si on corrigeait
les autres fautes, qui dénaturent les textes, on pourrait pourvoir
aussi à un certain nombre de celles-ci, par exemple à celles
dont la correction ne portera pas atteinte à la mesure, afin
que le pluralisme des formes soit réduit au minimum possible
et que l'oeuvre de correction approche de la perfection.

III. Fautes des copistes, pas très manifestes


Dues à l'ignorance, la hâte ou la distraction des copistes,
des calligraphes et des imprimeurs, elles ne sont pas si évidentes

32 Dimanche de la Tyrophagie (dimanche avant le grand Carême) à Vêpres,


Bo';o::cr'.-LXOV .W\I 'Eo'1t,::pt(,,)'J et 8oç<xC"t'LXOV -:oo'J • Ar.OO"'t'LX(j)V.
33' AvdÇlwVOV B ,'E.., l:ï.É~~ ~àv ee:o'ol Oe:po::r.-EUOCù!l.E:V .. ,) dernier mot.
34 E[P1J.6Ç de la 5~ ôde.
__________L~'~A~L_T~É~R~A~T~IO~-~~~D~E=S~T~E~'X~T~E~S~L~IT~U~R=G~IQ=U=E=S~G~RE~C~S~______ 247

que celles de la catégorie 1. Pour les déceler il faut une étude


approfondie et un dur travail de comparaison_ J'en choisis
parmi celles qui appauvrissent les hymnes les plus usuels ou
qui pourraient être objet de controverse.
1) La n",p()"'À'ln,,~ a été particulièrement maltraitée. Je me
borne à signaler la corruption inénarrable qu'ont subie quelques
canons du dimanche. On s'en rend compte en comparant les
vers acrostiches avec les tropaires correspondants ou plutôt
qui devraient y correspondre. On constate que huit tropaires
furent omis alors que quatre autres ont été substitués, pour des
raisons connues seuleluent des auteurs de cette opération extra-
ordinaire 35,
Un treizième tropaire, le 8eo't'ox{o'V 36 qui clôture la première
ôde du deuxième canon dominical selon le 4' ton, a été malmené
de la manière suivante: Alors que le commencement, dans le
texte original, en est « Ta divine maison vivante fut supérieure
aux montagnes (opé",v) et (x",t) aux puissances célestes" ", la
lettre initiale a correspondant à l'acrostiche, le copiste audacieux
l'a déformé ainsi: «Ta divine maison vivante fut belle (6)p,,,'oç)
et supérieure aux ('t'wv) puissances célestes» 36. Personne ne
doute de la beauté du sein virginal de la Mère de Dieu, symbolisé
par ({ divine Inaison vivante »; cependant le poète avait dit
autre chose: que ce sein, ayant porté le Fils de Dieu, est devenu
plus grand que les montagnes et supérieur aux anges.
Un désordre semblable règne dans le groupe des tropaires
formant l'office des samedis, si bien que dans aucune église
paroissiale cet office n'est célébré comme il faut ".
Le dernier cathisme des Matines du dimanche selon le 7' ton
est rapporté dans les éditions grecques diminué d'une phrase.
Le voici en entier (est en italiques la phrase qui fait défaut):

3~ Ces douze tropaires se trouvent dans le code n. 642.


36 En dehors des grandes fêtes du Sauveur, tout groupe de tropaires est
suivi d'un 8 E o,o,do'J (sla", bogorodicen) en l'honneur de la Mère de Dieu
(8e:o"t"6xot;)
31 '0 p e: w 'J {nté:p't"Epot; ~ IX t O?!pIXVLCùV 8u'Jct!LECù'J 6 OE't6ç crou yÊYOVE\J 01)(oç
b Ëp.~uxor:;.
'n p <X ~ 0 ç, U.d:P,,:"EPOÇ ,w v oùpcxvtwv Buv&:fLECù'J,.,
38
De même que le climanche est par excellence le jour de la résunection
39
du Seigneur, d: même le samedi est consacré aux martyrs; on y fait aussi
la commémoratIOn des morts, qui domine tout l'office lorsque la partie du
saint du jour est privée de Bo~acr,~Y-à\l la~61J.EÀOV.
248 GEORGES SARGOLOGQS

« Les femmes coururent vers le tombeau en larn1es, portant des


parfums; et comme les soldats te gardaient, le roi de l'univers,
elles se disaient l'une à l'autre: qui nous enlèvera la grosse
pierre? Mais elles emel1dire11t la t'oix des incorporels qui disait:
l'Ange du grand conseil est ressuscité ayant foulé la mort. Sei-
gneur tout-puissant et incompréhensible, gloire à toi» '". Si on
omettait la phrase en question, la déclaration « l'Ange du grand
conseil est ressuscité ayant foulé la mort» serait attribuée aux
femmes. Or, on sait bien par le récit des Évangiles que c'est
l'Ange qui l'a prononcée.
Bref, celui qui aurait le temps, le courage et les moyens de
rétablir la II'''p'''KÀlJ'nK~ dans son ancien état, rendrai t un très
grand service à l'Église.
2) Passons aux MlJv",''''. On remarque des fautes importantes
dans l'office de la Rencontre de Notre Seigneur (2 février). EJles
sont toutes groupées à Matines. Notons tout d'abord que les
éditions de Rome" divergent en plusieurs endroits de celles
d'Athènes et de Constantinople. Ainsi, en ce qui concerne l'office
en question, le hirmos de la 6' ôde est d'après les éditions
grecques celui-ci: «En voyant de ses yeux le salut qui s'est
présenté aux peuples, le vieillard te cria: Christ, tu es mon Dieu
venant de Dieu)} 4l!, Mais en voici la version romaine: « En voyant

40 'E7tt ":0 !J.v~!1.'2 é8plXlJ,QV yuvcûxe;ç il.:::'!,): a~Xp'~WJ }L:JflX lPe:pOUO'IX~, xcd O"t"plX-
-:-tCJl7(;'l\I t;lUÀlXO'OOV't'C!lV cr! ':'(1) û),WJ ~IXO'LÀélX Üe:yov rrpoç E.::L'J";"tXÇ'" ':"LÇ :X7":OXU-
À(aEL ·~l1.'l:v -rOI) 1.(80\1; xcd 9Cùv7jÇ eXaw:J.a:rw') f,xouov ÀE)'o601'1Ç'
"A\lécr-t'"tj 0 \L<:yti).~ ~ouÀ7iç' &yyû,or; ;;:1X,~aa:ç 't'DV B:Xw;(To'J. IIo:'r.o86vlX~J.E: 'l.CÙ &)(0:-
't'OC),T)7t":"E KUpL~, 86~tX GOL
41 En voici les livres les plus importants:
- ::V11lvet.i:et. "t'oG 5Àou l:'~La;u . C"OijJ de 1888 à 1901.
- E0;t.o)..6YLOV 70 ~Hyet., 1873.
- 'Opo).,)y~ov ":0 Mtyet., 1876 (nouvelle édition 1937).
- Berov xet.t ' Ie:p,)\) EOet.yyÉÀLOV, 1880.
- ' A<tocr;oÀoç, '~--:OL ;"':plX;e:LÇ xet.l È:7';Lo--:OÀo:t ,&\' 'Ayt(ù,~ •.\;:o~-:QÀ(ùv, 1881.
- TpH~8LOV XCX:':"IX'J'JX"t'LX6v, 1879.
- lIEvnpt:oo"t'c(PLO'J XlXp!.l6au\,ov, 1883.
- no:pIXXÀ7J"=LX~ il-mL' Oy.-:OOllXoç .~ Me:YcCÀl], 1885.
La commission qui les a élaborés a accompli un travail très soigné et sérieux,
en respectant le manuscrit dit de Bessarion (Grottafenatu r. ~). Cependant, son
but n'étant pas de fourni:r un texte critique, elle ne chercha pus à corriger les
fautes déjà introduites dans ce manuscrit ou commises par les auteurs mêmes
des hymnes. En tout cas il s'agit d'une édition bien plus correcte que celles
de Constantinople et d'Athènes, qui ont suivi des manuscrits athonites, posté-
rieurs et déjà altérés.
42 'E~67)Oé OOL, ~8wv Ô ;:pto~'Jç ",;oi: ç ô!pOCÛ'!J,Orç "t'0 O(ÙT'~pLO'J ;) ).,lXoi:Ç i:rrta--:7J.
h 0e:oü, XpLo .. é, aU 0e:6ç !J.OU.
L'ALTÉRATION DES TEXTES LITURGIQCES GRECS 249

de ses yeux le salut qui, venant de Thénlan, s'est présenté aux


peuples, le yieillard te cria: Christ, tu es mon Dieu» 43. C'est à
dire que dans les éditions de provenance hellénique l'expression
&x eoc'fL'"v est remplacée par tx El.ou. Car, en effet, je crois que
le texte correct est celui des éditions romaines, pour deux
raisons: a) Pour un copiste peu instruit ou distrait, il est plus
naturel de remplacer 0/X.~~(h, 1110t rare, par Ehaü, très courant,
que l'inverse; b) Selon la prophétie de Habacuc, le salut de Dieu
viendrait en effet de Théman (Hab. nu).
Dans toutes les éditions des ~h)vCl.~~ en usage, grecques ou
romaines, la 8~ ôde de ce même canon commence ainsi: «Unis
('E'''ÙeZ'i~.Ç) au feu dévorant les Jeunes Gens ... » ". Que les trois
Jeunes Gens aient été unis au feu de la fournaise ce n'est pas
faux, cependant le texte original est beaucoup plus précis. En
effet, au moins dans le manuscrit cité par M. Paranikas ", cette
phrase présente la nuance suivante: « Poussés ('Evwcr6É:'J't"EÇ)
dans le feu dévorant ... » 46. La différence entre i;vw6É:v.eç et
<V(ùcreZ·i~.~ est bien trop petite pour ne pas tromper l'oeil d'un
copiste de formation élémentaire, d'autant plus que 1;'i"'crBz'i~.ç
est bien rare et quasi technique.
Une autre faute, également dissimulée, a altéré le début de
la 9' ôde du même canon, si bien qu'il se présente dans toutes
les éditions assez dénaturé: «'Ev v6p.cr, crX,L({. XGd ypoc(J.(J.oc't'~ 'TU1tOV
X/X.'t"Î.8W!l-EV at 1t~cr't"ob) = « dans la loi, l'olnbre et la lettre voyons
une figure, ô fidèles ». Le Père Mercenier 47, y cherchant un sens,
s'est permis d'ajouter une virgule après ypocfLfL"'~" Ainsi """if. et
ypocfLfLocT' sont apposés à v6fL"', et il a pu traduire: "Dans la
loi, ombre et simple lettre, nous voyons ... ». Mais le susdit ma-
nuscrit, cité par Paranikas, nous renseigne que la [au te du
copiste ne consiste pas dans la simple omission d'une virgule.
En effet la phrase correcte, d'après ce manuscrit, est bien
«'Ev v6ILOT crXLq. xo:.l ypOC!LILo:.'t"L -rU1tOV xG(.,d8w!l-EV») = « Dans l'ombre
et la lettre de la loi voyons une figure », ce qui s'accorde parfaite·

13 'E~!;"t"(JZ C70~, LÔW') 0 o:p:i:Cf~u; ,"o!:; 6getl.i'1Lo~; .. r.


""'(ÙT·~p~O') 13 Àtl.o!::; s;:za"1j
sx 8a.~:1.ch. XpLO" .. é~ .,.,j 0.::6; :1.0'J. , ' _ ,
44' _\a .. tll.:'(P r.upt t '1 (1J e
:!: .J .. c: ç OL ee:oae:~e:~tl.:;; ;:poe:a"ù):re::;; VC;tl.')LIl:L ..
45 W. CHRIST et M. PARANIK.\S, AHthologia graeca carmmum cllnstwnorum,
Lipsiae 1871, pp. 173-176.
48 ',.\0":-tX't"4) ;:"'Jpt è; 'l CIl cr 0::: ') '": e: ç ut Oe:oO"e:~dlXç o:poe:a'":w"t"c:ç '.Ie:(l.V~CU.
47 La prière des églises de rite byzantin, Chevetogne 1965, II, l, Fêtes fixes,
p. 332.
250 GEORGES SARGOLOGOS

ment avec la doctrine enseignée dans l'Bpître aux Hébreux. Il


semble que le copiste, entraîné par les deux datifs successifs axti{..
et ypOC!J./LOC't'L, a transfonné aussi en datif le génitif vop.ou, ajoutant,
très naturellenlent, encore une virgule.
3) Grand nombre de fautes semblables sont parsemées dans
le Triôde, comme par exemple les suivantes.
Dans la deuxième stance dc l'Acathisle on fait dire à l'ange
Gabriel par la Vierge Marie ces paroles: «Tl est difficile à mon
âme d'admettre tes paroles paradoxales: comment annonces-tu
un enfantement comnle suite à une conception sans senlence? » 4R,
Ce qui fait obstacle, c'est la question 7tWç ÀÉy€Lç; = comment
annonces-tu? Dans les manuscrits on lit n:poÀéyetc; = tu prédis, ce
qui est en accord parfait avec le contexte: «Il est difficile à
mon âme d'admettre tes paroles paradoxales, car tu prédis un
enfantenlent comme suite à une conception sans senlence» 49,
D'ailleurs le ton métrique exige que l'accent tonique soit mis sur
la syllabe ÀÉ '''. De plus, Nicolas Nilles ", rapportant les stances
de l'Acathiste avec une traduction latine à côté, dans le texte
grec du passage en question admet 7tÙJC; ÀfyêLe;;, tandis que dans
la traduction il propose «praedicis» = 7tpoÀÉy€Lç. C'est que la
~raduction n'en a pas été faite par lui, d'après le texte grec qu'il
cite, ll1ais d'après un Dlanuscrit ayant 1t'pOÀÉyELÇ. Nilles a donc
placé une traduction toute faite, probablement celle de Pitra 52.
à côté du texte grec sans se douter qu'elle n'y correspondait pas,
du moins eu égard au passage qui nous concerne. Mais en agissant
ainsi il nous a donné un argument de plus en faveur de notre
thèse.

48 'Aar.6pou yi? /jU)).~~Ebl; "7)') xUll0"LV ït"Wç " ~ y E ~ ç; ; ;(~&.~bl')' AÀÀ"tJ),ou~c(.


Ainsi, on dirait que IIXp&.~bl,) > A).),"tjÀo'Y"co répond à «comment annonces-tu ... ».
49 ' AO"iC"OpoU y!Xp (]"UÀÀ·~tjJEblÇ "t'"~') y'1~1laL v r. ~ 0 " ~ Y E L ç xp&.1:W)' AÀ"llÀo,J"ict.
Cfr. la revue rp"I')'(OpWÇ TIctÀct:.dç, A', 1917, pp. 820·832, rapportant le texte cité par
I:W,?pO"llLOÇ Eôcr:pct't"dS1lÇ, auteur de l'édition la plus complète de l'Acathiste,
faite d'après les manuscrits du Mont-Athos.
"--'---1-.:.--1- .:..--1-.:. -1-'-
ct crrro pou yctp cruÀ À'f} 'fE: blÇ ""Il'J:l.u"Il cr~'J ït"?O Àe: ye:L' xpa. t;;W"II.
Or, si l'on adoptait r.wç À~ye:LÇ, l'accent tonique serait mis sur la syllabe pré-
cédente r.wç, ce qui détruirait le ton métrique conservé partout.
~l Nic. NILLES, S. J., KalclldariUnl malllLale l/triusCjue ecclesiae orien/alis et
vccidentalis, tome II, Oeniponte 1881, page 167.
52 J. B. PLTRA, Analecta Sacra, Pmis- 1876, tome l, pp. 250-262.
L'ALTÉRATION: DES TEXTES LITURGIQUES GRECS 251

A Matines du lundi saint, au deuxièlne cathisnle, un participe


sans complément reste en suspens: .xWt7tÉ.{J.7tOV't'EÇ =en rendant 53.
Dans les éditions de Rome on lit aV')fLVaüv"t'Eç = en te chantant,
ce qui rend le contexte intelligible "'; et l'on sait bien que les
éditions romaines, indépendantes de celles d'Athènes et de
Constantinople, se sont servies de manuscrits meilleurs. Mais, à
propos du terme en question, les éditions slaves aussi portent
l'équivalent de &vufLVOÜ"TtÇ cr". Il est donc fort probable qu'il
s'agit d'une faute d'imprimerie.
A Matines du mardi saint, le premier idiomèle des Aposti-
ches, où les fidèles sont invités à travailler pour le Seigneur en
multipliant leurs talents, présente des différences discutables
entre les éditions grecques et romaines:

Version grecque Version romaine


Venez, fidèles, travaillons de tout Venez, fidèles, travaillons de tout
coeur pour le Maître - car il par- coeur pour le Maître - car il par-
tage sa richesse entre ses servi- tage sa richesse entre ses serviteurs
teurs - et multiplions chacun. con- - ei multiplions chacun, conformé-
formément à nos moyens, le talent ment à nos moyens, le talent de la
de la grâce. Que l'un nourrisse 55 grâce. Que l'un décore (xoalJ.E(";'W 57) la
(XO!1-Ld-:ÜI;;6) la sagesse par de bon- sagesse par de bonnes oeuvres; que
nes oeuvres; que l'autre accomplis- l'autre accomplisse un service de
se un service de splendeur; que le splendeur; que le croyant comuni-
croyant communique la parole au que la parole au non initié et qu'un
non initié, et qu'un autre distribue autre distribue sa richesse aux
sa richesse aux pauvres. Multiplions pauvres. C'est ainsi que nous mul-
(;:'O).,U7r),IXC'L&:C'f1!LEV 58) donc ainsi ce qui tiplierons (1':oÀ')7t'ÀO:O'~ :XO'Ü1J·EV) ce qui
nous fut prêté, et en fidèles éco- nous fut prêté, et en fidèles écono-
nomes de la grâce rendons-nous mes de la grâce du Maître, puis-
dignes de la joie du Maître (wÇ" sions-nous être dignes de joie!
otxOVO:J.OL it'Lr:r-:01. -:'ijç X.xPL-:OÇ", 3Eo"l't'o"n- ((~Ç oheovo:J.o~ 1't'~O',"ot -:~ç Z~p~,"oi:; 8E'

;;3 "OSE'J a:LVë:Cnv. fJ.ë:yOCÀÜlO'UVTj'J xoct 86~a.v iVIX1't'ip,TCO'J':E>; 't'Ti i~QuO'(q: crOu,
.\6Yë:, auW.j)w'Jc.lÇ" it'pocrlPépo:J.ë:V = c'est pourquoi, en rendant louange, grandeur
et gloire, nous offrons unanimement à ta puissance, ô Verbe. (?). _
54 "OaE'J OCtVë:O'LV, :J.c:yo:),wC'u'JTjv xo:t 86~O:'J, &. ') u fi. ',loG v't' t >; a E, "fl È~ou·
cr(q. aou, A6YE, O'u!J.tpWVWÇ" ;;poO'lPép0!J.zv = c'est I,J0urQuoi, ~n te c~antant, nous
offrons unanimement louange, grandeur et glOIre à ta pUIssance, 0 Verbe.
55 Ou bien: "apporte l', «amène >l, "introduise l'.
56 Futur de l'impératif, inexistant dans le grec classique.
57 Ce même termexocr;J.d't'w, au lieu de xO!J.~e:h·(ù, est adopté ~ans les deux
éditions du Triôde réalisées par Michel Salivéros (Athènes). De meme dans cer-
taines éditions musicales assez récentes.
sa Les éditions de cJ)D')ç corrigent à tort en TCO).,U7Û,(lC'lc(C'0V.e:'J, cc Qui ne
s'accorde pas avec &.ç:L(tlO(0~J.Z'J.
252 GEORGES SARGOLOGOS

i{~; ;(ocpi; :lç~{~O{7J:J,E:'.IJ9). Rends-nous n7:"07~X'~':;,


ZO:f"iç ~ç~(1)8ell}:).E'J). Rends-
en dignes, Christ Dieu, dans ta bien- nous en dignes, Christ Dieu, dans
veillance. ta bienyeillancc.

Pour ce qui est de la prCt111ere divergence, la fornle désap-


prouvée xOf.LLd't'Cù pourrait s'approcher de xOO'!.Ld'!{ù si on donnait
au verbe XOI'J'(.LW le sens de nourrir, car « nourrir la sagesse par
les bonnes oeuvres» vaut autant que « décorer la sagesse par
les bonnes oeuvres», Au contraire, si on traduit XOf.Lt~Cù par
« apporter» ou un de ses synonymes, les deux versions s'écartent.
Il serait donc préférable, tout au moins pour éviter l'équivoque
entre les divers sens de "OI.L[~w, d'adopter le ><Ocrf.LdTW (qu'il dé-
core) des éditions romaines, comme Salivérüs l'a fait. D'ailleurs
on sait que les éditions de Romc sont plus crédibles que celles
d'Athènes ou de Constantinople.
Néanmoins, à propos de la deuxième divergence on penche
plutôt pour les éditions grecques, en admettant le double
subjonctif C( 7to)\IJ7tÀoccnOCG<ù!J.E\I xIXL. &;~wOw!Le:'J» (nlultiplions et ...
rendons-nous dignes). En effet, on a du mal à coordonner un
futur (7tolmrÀ>Ocr'''crof.Lev) avec un optatif (&~,wed·'Jf.Lôv) par la
conjonction de coordination ",,1; car, si on admettait le futur
1t"o),U7tÀocc}'ta.cr0f.l.EV ainsi que la conjonction xocL, le verbe de la pro-
position suivante devrait être aussi au futur: "7toÀu7tÀaO'L&ûO[.LEV
xIXL.&çt(ù(hjaOfJ.E8oc"; si par ailleurs on maintenait le futur
7toÀu7tÀlXcr~cicro(.Lê'J et le subjonctif &;tW6W!J.E'J, la proposition contenant
celui-ci serait subordonnée à la première ct toules les deux
devraient être reliées par la conjonction de subordination tvlX
(élidée en t'J"): OGTCù yè<.p 't'o aOCVE~OV 7to),u7tÀocmacrO!J-E'I, L'l' wc; obwvo-
!-Lot 1ttO''t'oL. &~t(ùe(-;)!LEV (c'est ainsi que nous I11ultiplierons ce qui
nous fut prêté, afin de nous rendre dignes ... ). Pour éviter ce
changement, un peu arbitraire, de conjonction, il vaut mieux tenir
pour juste ]a version grecque: ï-oÀU1tÀe<:O'tocO'cof-Le:v xe<:L .. &;,.co8&f-L'Z,v.
Enfin, toujours au sujet de la même phrase, il faut bien
considérer aussi la différence de ponctuation entre les deux

59 Le R. P. E. Mcrcenier (op. Cil., tome IL 2" partie, p. 116), de concert


avec l'institut Saint-Serge de Paris (Textes liturgiques orthodaxes, série I,
fascicule 8, page 1296), dans leurs traductions respectives, considèrent ciÇ~{j)eWIJ..&\I
comme un futur. Mais une forme pareille de futur est inexistante et ne p~ut
p~s tenir même au nom de la mesure! Si parfois l'hymnographie byzantine a
faIt du rutur un subjonctif, comme 7tÂT,cre},IJO;t).7:~. €11Q.J.eOIX. 7tPQoo!ofboE:v,
l'inverse n'a jamais cté réalisé. .' .. .
L'ALTÉRATION DES TEXTES LITURGIQUES GRECS 253

groupes d'éditions, car elle modifie le sens plus que ne le fait


la divergence des modes. Ainsi, le texte grec: XIX! 6Jç o1o<ov6f.'0L
7tLcrTO! "tiiç XOCpLTOÇ, a.crn:OTL){~Ç X"-pii.ç &~LwBôif."v (virgule après
ZOCpLTOÇ) = en fidèles économes de la grâce, rendons-nous dignes
de la joie du Maître; le texte romain: xext wç oly.O\l6fJ.OL 7tLO''7ot -ôjç
XOCpL't'OÇ 8e:()'ï.O'tLX1jÇ, Xexp&ç ciçtCù8dll!J.e:\l (virgule après ae:(j]tO't"LX~Ç) = en
fidèles éconolnes de la grâce du Maître, puissions nous être dignes
de joie. Cette dernière ponctuation s'explique par la mesure;
mais en plus, elle a le mérite de nous rappeler la provenance
de la grâce: elle émane du Seigneur. Le copiste qui a déplacé la
virgule, s'il l'a vraiment fait, faisant abstraction de la mesure, a
probablement considéré la ponctuation antérieure comme er-
ronnée, et cela à bon droit; en effet, la mesure mise à part, la
grammaire réclame "t""~ç 8e:0'1to't'tx1jç XOCpL'tOÇ ou bien Xcl.pL'tOÇ TIjç
ae0'1m't~x11c, et non 't"'~ç XOCpL't'O::; 3r::a7to'tLx1je. Cependant, dans les
compositions poétiques c'est la mesure qui fait la loi.
A Matines du mercredi saint, l'idiomèle chanté aux laudes
après le doxastikon a été littéralement tronqué dans les éditions
grecques et légèrement mutilé dans celles de Rome. Ce trop aire
était à l'origine un « imité», se chantant sur la mélodie de
((. H &1tzyvwcrf.'&v"I) 3LO: Tbv ~[OV)) (automèle), érigé en idiomèle par
la suite pour des raisons de solennité. En le comparant donc
avec l'automèle sur lequel il est calqué (bien que celui-ci aussi
ait été promu en idiomèle pour les mêmes raisons), on constate
sans peine qu'un vers entier lui fait défaut; peut-être a-t-il été
omis par un copiste distrait, dont le manuscrit déficient a donné
naissance aux éditions grecques; car dans celles de Rome ce
vers existe. Et si l'on pousse jusqu'au bout la comparaison avec
l'automèle, on se rendra comple d'un autre manque, commun
aux deux groupes d'éditions. On trouve ce trop aire en entier
dans un manuscrit hiérosolymi tain 60. En voici la traduction:
" Celle qui était engloutie dans le péché, a trouvé en toi le port

lm' H ~ë:~UOLlJldvlj .. 'f, ocwip-dCf! d~pé ae: ÀLiLiva -6iç aWTljp(ar;,/ xaL ::upov O"JV
SiXp'JGL{ X::::VOUGct (JOL, é~6a'l rSe: b ëxwv ~çouaLavl G'JYXwe:LV à::1.ap'
'dar; l, t3e: b "t'(0\1 &::1.ap-ra·)6'nw'JI T'~\I :J.e:T:boLav lj-é\lw\I'j à.ÀÀ&, ~éarrO"t"a, S~&.aw'
a6v!-Le:/ Èx -rou xÀ08(;)\lor; -r'lj~ oc!J.ap .. [ar; :J.o'J,1 Sto:1.aL, { Sd~ -rD !1.éya o"ùu
Ë),e:or;J. (A. llarra80;-;ouÀo'J Ke:pa:J.Éw; «' Av'Î.ÀËx'Ta 'T e:poao).U!1.L'TLx'f,r; ~axuo).o'
ylaçt, I1e:-rPOU'W).LÇ 1891 J.
Le vers qui fait déraut dans les éditions liturgiques de Grèce ct de Constanti·
nople, est le suivant: r3e: a ~xCt}'J eçoua(a'J a"'JYXropdv OC;J.apT(a:;. L'omission doit être
ancienne, puisqu'elle a pa'ssé dans les versions slaves. Probablement le copiste
distrait, confondant les deux tS::::, a-t-il sauté toute la phrase qui commençait
par le premier.
254 GEORGES SARGOLOGOS

du salut; et versant sur toi la myrrhe avec les larmes, elle criait:
Vois, toi qui as le pouvoir de remettre les péchés, vois, toi qui
attends la pénitence des pécheurs! Mais, Seigneur, sauve-moi, je
t'en prie, de la tempête du péché par ta grande miséricorde »,
Enfin, dans les éditions grecques l'expression « toi qui attends»
(0 ft""w") est remplacée à tort par" toi qui supportes (0 <pÉpW'i)
la pénitence des pécheurs» ", Le copiste peu instruit ignorait,
semble-t-i1, le deuxième sens, moins commun, du verbe ftÉvw
(= attendre) et l'a remplacé par <p"pw, Quelle que soit l'origine
de ces deux fautes, elles figurent également dans les éditions
slaves,
Dans l'office des saintes souffrances de Notre Seigneur Jésus-
Christ (appelé office des douze évangiles par le peuple), le
cathisme qui précède le cinquième évangile commence ainsi dans
les éditions grecques: "Lorsque tu comparus devant Caïphe, il
Dieu, et que tu fus livré à Pilate, ô Juge (0 xP'TIJç) '" »", tandis
que dans celles de Rome on lit: «Lorsque lu comparus devant
Caïphe, ô Dieu, et que tu fus livré à Pilate en accusé
(wc; K(Wroç) ... » 63, Pour un copiste peu instruit, le mot xpt't'aç,
moins connu, semble faux!
Une divergence importante entre les éditions grecque et
romaine est aussi à remarquer dans un trop aire assez connu: le
troisième stichère des Apostiches des Laudes du même office,
déjà cité ",

Version grecque Version romaine


Aujourd'hui, en te voyant suspendu Aujourd'hui, en te voyant suspendu
à la croix, ô Verbe, la Vierge toute à la croix, ô Verbe, la Vierge toute
pure, se plaignant {ù8upoy.é\l"l} dans ses pure, souffrant (l-8u'JwI.J.b"IJ) dans ses
entrailles maternelles, a eu au coeur entrailles maternelles, a eu au coeur
une amère blessure: et gémissant dou- une amère blessure; et gémissant dou-
loureusement du fond de son âme, elle loureseument du fond de son âme, el-
s'épuisait en se défaisant le visage et le s'épuisait dans des douleurs, qu'elle
les cheveux (i:'ŒpE~&; O'ùv Bp~çt XŒ'tŒ;OCt- n'avait pas connues, autrefois, lors de
'JOUtroc, i(Œ'tE'tp'~ï.;:;-;o); aussi, faisait- son enfantement (::I.!ç oùx ~yvw ,~8tO'~'J
elle entendre des gémissements en se èv ,C;) ,6xip "t'b i:'fllv xa.-;e:"P'~Xe:,o); aus-
frappant la poitrine ("t'o O'''t'7jBo; ",r.- si, faisait-elle entendre des gémisse-
't'O'JO'Œ) ... ments en un torrent de larmes
(rro).).d: 8a.KpUOIJO'a.) ...

61 "IBE 6 "t',";)V liVŒp"t'OCVOV't'wv 71;'.1 !.LE't'&.\lO~OCV cpÉpCllV (à corriger VÉvwv).


62 "O't'E ITlXpÉO''t'lllô' 't'il> KOC"tOOpŒ, /:; 8g6;, xcd r.ocps:86Bljç -=i:;J TIt).ct.(~! 6 Kp L't"~Ç_
63 "D'te: r:ŒpÉO"t'1)C;; -:il> Kcc"tct(jloc, 6 8e:6ç, KŒt T:"Ixpe:860EIô -:0 IIL"&:"''P w; K? L't'61ô.
tH Cfr. plus haut, page 245 et notes 28 à 30.
L'ALTÉRATION DES TEXTES LITURGIQUES GRECS 255

Le fait du participe é8upolL<V"li, mis à tort à la place de


a été mentionné plus haut 64 bis . Quant à la deuxième
ù8u\lCù!J.É:\J"Ij,
divergence des textes, la phrase « gémissant douloureusement du
fond de son âlue» correspondrait mieux à {( elle s'épuisait dans
des douleurs qu'elle n'avait pas connues autrefois lors de son
enfantement" qu'à « elle s'épuisait en se défaisant le visage et
les cheveux »; d'ailleurs, si le verbe ""'T",~d'lw (= déchirer,
écorcher) peut s'apliquer à ""'p",a, (= les joues), il n'en est pas
de même avec ep'~[: ce serait trop tiré par les cheveux! ". De
plus, ce geste exagéré de s'écorcher les joues ne conviendrait pas
à la Mère de Dieu. De même pour la troisième différence: il
semble plus naturel de pleurer en gémissant que de se frapper
la poitrine, geste presque aussi désespéré que de s'écorcher les
joues. Bref, le mot b8upoILÉV"Ii est absolument faux, aussi doit·on
le remplacer par OOU\lW!J.É:\l1j, comme dans les éditions romaines;
les deux autres différences pourraient admettre une certaine
discussion, quoique les données des éditions romaines paraissent
plus convenables; mais en définitive ce sont les anciens ma-
nuscrits qui détermineront ce point.
Dans l'avant-dernier tropaire des Laudes du samedi saint,
une invitation adressée aux fidèles est différemment rapportée
par les deux groupes d'éditions. Ainsi, éditions grecques: «Venez,
et voyant sommeiller le fils de Juda, crions·lui comme le pro·
phète » 66; éditions romaines: «Venez, crions, comme le prophète,
au fils de Juda, notre Dieu, qui sommeille" 67. Différente est
aussi, entre ces éditions, la conclusion du tropaire. Ainsi, édi-
tions grecques: {( Tu t'es donné pour nous volontairement, Sei-
gneur »S9; éditions romaines: «( Tu t'es livré pour nous à la
mort, Seigneur» 69. L'inconvénient de la version grecque est
que le verbe reste sans complément.

64bis Ibid.
65 C'est précisément dans un effort de joindre les deux compléments
it'c(pE~&ç et Bp~;( (= joues ct cheveux) de xO:-:-O:;CdV01JcrIX, qu'on s'cst permis de
traduire «en se défaisant le visage et les cheveux ». La traduction exactc serait
«en s'écorchant joues et cheveux ».
66j.e::ü't"e:: a1]!l.E:PO'J. "àv ~~ 'Iou8!X Ù;:-voij'J'"l"!X ae:dJ:J.E,)o~, -:-:poqnrnxi;)ç o:ù""t"iÏl
€X~o·r.O"CJl!.Le:'J ...
6~~EÜ't"E O"Yr:.l.EPO'J, ,":(:1 el; '10-.'.180: ÙT."voüv'":~ 0E(~ i)!.l.(~V ;:-poqnl'~xwC;
ÈX~07JO"(ùJ.LE·J •..
6H 0 806c; O"EO:U"":OV ù;:-Èp fJfl.IJ.lV zxouO"(wç.
6°6 80'Jç O"EO:U'":OV tnd;p ~[..I.W'J Etc; Biv1: .. ov.
256 GEORGES SARGOLOGOS

Une autre différence de textes apparaît dans l'avant-dernier


idiomèle de la vigile pascale (Vêpres, chantées le samedi saint).
Le poète, personnifiant l'Enfer, lui fait dire: «J'ai reçu un mort
semblable à tous les mortels; cependant je ne peux absolument
pas le retenir, et avec lui je vais être dépouillé de beaucoup de
ceux sur lesquels je régnais" ". Mais selon les éditions de Grèce
(et de Constantinople) l'Enfer dirait: « ... je ne peux absolument
pas le retenir, et avec lui je vais perdre ceux sur lesquels je
régnais» 7j. La mênle expression, ainsi mutilée, apparaît aussi
dans les éditions slaves, qui en principe suivent celles de Constan-
tinople.
A remarquer également une faute de syntaxe dans l'apoly-
tikion de l'Ascension, à savoir un génitif absolu mal à propos:
~e:~~t{ùOÉv't'(Ùv (t,jT(;'lV, tandis que la syntaxe exige ~e:~(y'L(ù8f'rrrt.ç.
P. Trempélas ô, affirme qu'il y a aussi une autre écriture,
~'~O!L",e!:V't''''= <1"''1'&;, qui pourrait être l'originale; elle aurait au
lTIoins le mérite d'être correcte.
Enfin, une phrase de la deuxième prière des fidèles dans la
liturgie de saint Jean Chrysostome est différemment rapportée
par les divers lllanuscrits. Le texte suivi en Grèce met sur les
lèvres du célébrant cette supplication: «Donne-leur (aux fidèles)
de te servir en tout temps avec crainte et amour d'une manière
irréprochable, et de participer sans condamnation à tes saints
mystères» 73, Mais dans la plupart des TIlanuscrits on lit: «( Donne
à ceux qui en tout temps te servent avec crainte et amour, de
participer sans reproche et sans condamnation à tes saints
mystères» 74. Cette version semble meilleure, aussi bien au point
de vue grammaire qu'au point de vue sens. D'ailleurs elle se
trouve dans cinquante-trois des soixante-treize manuscrits qui
sont gardés dans les bibliothèques d'Athènes ".

10 'E8e:1;.x:..L1JY O'rtp'o,) i.ltT.'n:p sya ,(7)'J Sa')ov':"w\I' -:OU't"O'J 8.1: xlX-:i'l.e:~') ijÀwç oux
Ln"ZUW, riÀÀà. ,"oÀÀ(7J ') !.J.e:':"cX 70U-:O'J ri9~~fOÜ';..LIX~ (":.l') È~iX'l·(Àe:UO'J.
71 TOÛ70V a~ XCl':"e:Xe:~Y o),wç oùx [O'Xuw, àJX &,,0 À (7) !J.e7cX -:ou-:ou (":.lv i~IXO'{'
Àe:'Jo').
72' EXÀoy'~ 'EÀÀ1JYo~:~ç 'OpB0861;ou 'Y'J.';oYPlXo:pto:, Athènes 1949, page 139.
73..:lO; au,,;,orÇ, ,,-L"'0"r<: :J.e:,* "fIo~OIJ x',:-û :XY&i':1J; ), IX ":' Q e: U e: ~ ') O'O~ tXve')6xwç
;I..~t &.XIX'IXY.pt7W; :J.zn:xe~') ",;(';Jy &Xpa,v,,:,WY !]'ou :..LtY.1":'llP(W\I",'
7~ .1.0; lX'hoT;, "a,V't"0,,;,;;; !J.e:':",z cp6~01J XlXt .::i;ycht'l)ç À IX ':' P E.J 0 'l 17~ I]'O~. !:i:',e\l6xwç
y.::d _~XIX':':XXp(";'c..lç 1J.e:'t'e:xe~\I 7(;J" riXP:X'r.'c..l" O'O'J :..L JO'':'1JP(c..l\l ...
1

'~Cfr.
P. TIŒMPÉL'\S, .\1 TpzI; .\e;~,,:,oupy('l:~ XIX":,,x 't'oùç Ë') 'AS'~"IX~ç x(~lhxlX,.
Athènes 1935, page 69.
L'ALTÉRATION DES TEXTES LITURGIQUES GRECS
_--=-cc:: 257

On n'a signalé ici que les fautes et les divergences les plus
importantes; car, si on voulait les relever toutes, il faudrait des
pages entières. Surtout à propos du Triôde, on pourrait dire
que les éditions de Grèce (et de Constantinople) ont plus de
divergences que de points communs avec celles de Rome. La
raison en est que Barthélémy Koutloumoussianos n'a pas expurgé
le Triôde comme il l'avait fait pour les ~I'~v~ï:" et le 'QpoÀ6rco',.
Mais qui aura le courage de le faire?

IV. Fautes dues aux circonstances


En voici une, qui vaudra pour toutes les autres du même
genre. A l'office des Grandes Heures qui précède les Vêpres de
Noël, le texte de l'Épître lue à Tierce est reporté dans les lI1-~v"ï:"
bien amputé. Par malheur, la partie retranchée est précisément
celle qui motivait le choix de tout le passage à la veille de Noël!
Comme cette partie se compose des dernières lignes du texte
choisi, on pourrait soupçonner que le copiste, étant arrivé au
bout de la page et n'ayant plus de place pour les dernières
lignes du texte, les a omises sans considérer que celles-ci étaient
beaucoup plus essentielles que les précédentes, qui leur servaient
de support 76. Mais le passage omis est aussi le début du chapitre
IV de l'Épître; il est donc possible que le copiste ait identifié,
peut-être par distraction, la fin du chapitre III avec la fin du
passage prescrit. En effet, il semble difficile à admettre qu'on
ait sacrifié tant de lignes à la peine d'utiliser un autre folio,
d'autant plus que cela a vraiment été fait pour que soit écrit,
après le texte de l'épître, celui de l'évangile. Quoi qu'il en soit,
il s'agit d'une faute, dont la correction s'impose d'autant plus
que dans le livre liturgique des Épîtres (' A,,6<J"t'oÀoç) le passage
en question se trouve tout entier.

V. Fautes introduites par les modemes


Certains ont la manie de corriger soi·disant ce qui à leur
avis est erroné dans les textes traditionnels. On a déjà mentionné
le préchantre Constantin, qui a bouleversé l'office des Apôtres
Pierre et Paul. A Athènes, il y en a qui chantent l'apolytikion de

70 Passage omis: Galates IV, 1-5 inclus.


258 GEORGES SARGOLOGOS

la résurrection du 6' ton en disant" tu rencontras (Seigneur) la


mort en donnant la vie» 77 au lieu de chanter (c tu rencontras la
vierge en donnant la vie" ". Leur argument est qu'il faut qu'une
expression comme « tu rencontras la mort)} fasse contraste avec
« la vie », et que le mot {( vierge» n'est pas en bonne place parce
qu' il n'a été dit nulle part dans l'Évangile que le Christ est
apparu d'abord à la Vierge Marie. Mais cet argument n'a aucune
valeur, car dans l'apolytikion en question le mot" vierge" dési-
gne non pas la Vierge Marie mais Marie Madeleine, dont il
vient d'être question au début du même tmpaire 79. Que le
Seigneur nous garde de tels correcteurs!
Quant à nous, en réclamant la correction des fautes, nous
n'entendons pas une modification des textes à plaisir mais sim-
plement leur rétablissement dans leur état premier, auquel seuls
les manuscrits les plus anciens et les plus valables peuvent nous
conduire.

CONCLUSION

Les hymnes de l'office byzantin sont des poèmes magnifi-


ques, d'une richesse spirituelle et théologique incomparable.
Malheureusement, avec le temps, beaucoup d'entre eux ont été
altérés, chargés de fautes de langue et de doctrine, si bien que
leur rétablissement constitue un vrai besoin, voire même un
devoir religieux. Il s'agit d'une tàche énorme et subtile, exigeant
une spécialisation et un travail assidu. mais elle s'impose.

P. Georges SARGOLOGOS
Enseignant de liturgie

77 'l~7t'f;\IT1jcrCf.ç't" <il B ct \1 ri ": '9 8c.>pouiJ.E\loç "t"~v ~W~\I.


78 e
'Y1t"1ivr'lJC"o:ç "t' fl 7'C'1X P é \1 {~ 8WPOU!.LEVOÇ "~\I l:(ù-1)v.
79 xext tCTt"a..-o 1\TlXpLO:: EV .<r 't"cXCfl'fl 1:l}'ToÜtJa: 't"o aXplXv-r6v crou aW!l.cx. = et Marie
restait là, cherchant dans le tombeau tons corps immaculé. A noter que l':Ë.glise
orientale n'a jamais considéré Marie Madeleine comme pécheresse; au contraire,
elle l'a toujours regardée comme la vierge la plus dévouée à Jesus.
LA LITURGIE DE LA COMMUNAUTÉ ET LA LITURGIE
INTÉRIEURE DANS LA VISION PHILOCALIQUE

La Philocalie, comme collection d'ecrits soucieux de la


méthode de l'ascension spirituelle de la personne, accorde - par
sa nature même - sa première attention aux états intérieurs de
la personne, à l'analyse des passions et des vertus et aux moyens
de purification des premières et au développement des dernières.
1. Mais elle n'oublie pas d'accorder aussi à la communion
eucharistique, dans le cadre de la Sainte Liturgie de la commu-
nauté, une importance décisive, comnle moyen de croissance spiri-
tuelle de la personne. Une insistance particulière sur la descrip-
tion de l'importance de la communion eucharistique lors de la réa·
lisation de l'ascension spirituelle de la personne, est donnée dans
la « Centurie" de Calliste et Ignace Xanthopol. Ces auteurs affir-
ment directement cette importance au début du chapitre 91 entiè-
rement dédié, avec le chapitre 92, à la Sainte Communion. Après
avoir décrit tous les autres moyens nécessaires à la purification
de l'homme et à son avancement vers l'union avec Dieu, ils décla-
rent, au début de ce chapitre:
(1 Rien ne nous aide et rien ne peut d'autant contribuer à la pu-

rification de l'âme, à l'illumination de l'esprit, à la sanctification du


corps et au changement de tous les deux vers un état plus divin
et à l'immortalisation, de même qu'à la victoire sur les passions
et sur les démons, ou mieux disant, à l'unification avec Dieu au
dessus de la nature, que la communion continuelle, dans l'état d'un
coeur et d'un sentiment purs, avec les très purs et immortels
et vivifiants Sacrements, avec le Corps et le Sang mêmes de notre
Seigneur et Dieu ct Sauveur Jésus Christ »,

Dans l'esprit de cette déclaration, on peut dire que la vie spi-


rituelle de la personne ne se développe pas dans l'isolément de
la communauté eucharistique. A son tour, la communauté eucha-
ristique ne reste pas en dehors de l'influence de l'état spirituel
des personnes qui la composent, ou mieux disant, en dehors de
l'influence positive de ses membres personnels spirituellement
plus développés (étant donné que c'est le Christ qui agit dans la
260 DUMITRU STANILOAE

liturgie de la communauté et dans la vie spirituelle des person-


nes qui la composent).
Ces deux ordres ne sont pas séparés. L'ascension spirituelle
de la personne se nourrit par l'Eucharistie et donc aussi par la
communauté eucharistique, ct poursuit la pleine harmonisation
de la personne avec la communauté lorsque son but dernier est
l'amour envers Dieu et les hommes et particulièrement envers les
membres de l'Église; ou lorsque ce but est le plein encadrement
de la personne croyante dans le Royaume de Dieu, qui est la
pleine communion de tous en Dieu. A son tour, la commu-
nauté avance dans sa vie en Dieu par une vie spirituelle plus
développée des personnes qui la composent.
Le Corps eucharistique de notre Seigneur a le pouvoir de
nous spiritualiser; autrement dit, il est un ferment de notre déifi-
cation en vue de notre résurrection et assomption parce qu'il
est un corps pneumatisé, comblé et transfiguré par le Saint Esprit,
quoiqu'il soit un corps réel. Comme tel, sont actives en lui les
fonctions du corps réel, mais comme fonctions déifiées et déifian-
tes, car le corps même du Christ a été déifié.
D'un homme pur dans son âme et dans son corps (car seu-
lement la pureté de tous ces deux composants de l'homme est
une purification réelle) se répand en nous une onde de pouvoir
purificateur. De même les opérations qui manifestent la pureté du
Christ donnent un pouvoir purificateur aux opérations de notre
corps, en se joignant à elles. Et cela d'autant plus que le corps
à tout pur du Christ ne se trouve pas seulement près de nous
et ne touche pas seulement notre corps, mais pénètre dans lui.
Calliste et Ignace citent en ce sens une proposition de Jean
Climatique:
«Si un corps qui touche un autre corps change son pouvoir
d'opération, comment ne changera pas son pouvoir celui qui touche
le corps du Seigneur avec des mains innocentes? ».

Calliste et Ignace redisent en continuation une anecdote par


laquelle Jean Climaque concrétise le pouvoir de la Sainte Com-
munion pour la communauté chrétienne en général, autant que
pour la personne du chrétien en particulier.
« Jean de Bostre, un homme saint et ay,mt pouvoir sur les
esprits impurs, interrogea les démons qui habitaient dans quel-
ques jeunes filles furieuses ct tourmentées par eux: "Quelles sont
LA LITURGIÉ D'APRÈS LA PHILOCALIE 261

les choses qui sont propres aux chrétiens et que vous craignez da-
vantage?". Et les démons répondirent: "Vous avez vraiment trois
grandes choses: une que vous portez suspendue à votre cou; une par
laquelle vous vous lavez dans l'église; et une que vous mangez
dans votre synaxe". En les interrogeant de nouveau: "De ces trois,
laquelle vous produit la plus grande peur?", Ils répondirent: "Si
vous gardiez bien ce auquel VallS communiez, aucun de nous ne
pourrait faire du mal à n'importe quel chrétien"» l,

Dans le même esprit, Calliste et Ignace citent la phrase sui-


vante de Saint Jean Chrysostome:
« Le Christ nuus a donné la possibilité de manger son corps
en nous élevant à une amitié plus grande encore et en montrant son
désir envers nous, car Il ne se donne pas à ceux qui désirent seu-
lement le voir, mais Il se donne à ceux qui désirent aussi le toucher,
le manger et le voir se planter dans leur corps et s'unir avec Lui
et satisfaire ainsi leur plein désir» 2.

On peut dire même de plus: étant donné que dans chaque


opération du corps c'est le même sujet qui opère, par le fait
que les opérations du Christ s'impriment dans mes opérations,
c'est Lui qui devient le sujet de mes opérations, en devenant
toutefois moi-même le sujet des opérations du Christ en moi.
En effet, en recevant en nous le Corps du Christ, nous ne
l'émiettons pas comme une chaire, en le tuant, mais il demeure
entier, vivant et actif en nous, imprimé avec toutes ses opé-
rations dans toutes les opérations de notre corps. Ainsi nous
pouvons dire que nous devenons lcs porteurs de son Corps actif
et vivant en nous et qu'Il devient le porteur de notre corps vivifié.
Il devient le sujet de notre oeil, de notre main et nous devenons
les sujets de Son oeil, de Sa main pure et pneumatisée. Saint
Syméon le Nouveau Théologien dit cela d'une manière directe:
« Nous devenons les membres du Christ et le Christ devient
nos membres. Le Christ devient ma main; Il devient le pied de
moi-même, le misérable. Et la main du Christ, le pied du Christ
sont moi-même, le misérable. Je remue ma main et ma main c'est
le Christ entier - car tu ne dois pas oublier que Dieu est indi-
visible dans Sa divinité. Je remue mon pied et voilà mon pied
resplendit comme le Christ lui-même~) 3,

1 CALLISTE et IGl\.-\CE X.-\~THOPOL, Centurie, chap. 92.


2 JEAN CHRYSOSTOl\Œ, Homilia 46 in Iommem 2; PG 59, c. 60.
3 SYMÉo:.: LE :-.otJVEl.;A THI'.OLOGTEX, HVI/1I1e XV, éd. J. Koder (Sources chré-
tiennes 158), p. 289. -
262 D1.!MITRU STANILOAE

Mais cela ne signifie pas une confusion de lTIan luoi avec le


Moi du Christ. Car en opérant Lui-même au lieu de moi, Il opère
de telle façon que je continue de me sentir comme celui qui ne se
réjouit jamais de la plénitude du pouvoir divin; car Il opère à la
mesure du degré que j'ai rejoint. C'est le même Syméon le
Nouveau Théologien qui dit:
« Quand je bois, .i'ai de la soif ... Je désire avoir tout et boire, s'il
est possible, tous les abîmes d'emblée; mais n'étant cela pas possible,
je te dis que je suis toujours assoiffé, quoique ma bouche soit
toujours pleine de l'eau qui coule, qui déborde dans de ruisseaux.
Mais quand je vois les abîmes, il me semble que je ne bois pas
du tout, quoique l'eau soit entièrement dans ma bouche, parce que
je désire avoir tout. Je suis toujours un menùiant, quand je pos-
sède vraiment tout, en étant uni avec le peu que .ie bois» 4.

Je suis uni au Christ, mais uni dans la forme paradoxale


du dialogue qui unit et distingue en même temps les partenaires.
Le Christ parle, sent, pense dans ma parole, dans mon sentiment,
dans ma pensée. Il entretient et nourrit et élève mes opérations
en moi. Et toutefois je me réjouis de Lui comme de Lui, non com-
me de moi-même. L'union n'annulle pas la distinction et la dif-
férence.
De l'autre côté, en m'appropriant des membres opératifs
du corps du Christ, je n'empêche pas le Christ d'opérer aussi
dans les autres chrétiens qui communient avec Lui. Les membres
du corps personnel du Christ ne deviennent pas mes membres
en exclusivité, mais nos membres en commun. St Syméon le Nou-
veau Théologien dit:
({ Si tu veux, tu deviendras membre du Christ et, de mème, tous
nos membres - de chacun d'entre nous, - deviendront les membres
du Christ et le Christ deviendra nos membres» 5,

L'amour du Christ rayonne en tous, unifie tous avec Soi et


entre eux. Moi, j'avance spirituellenlent par la communion avec
le Christ; et j'avance non seulement dans l'union amoureuse
avec Lui, mais avec tous ceux qui Lui s'unissent par la comnlU-
nion. Ainsi, tous opèrent en moi par le Christ et, à mon tour,
j'opère en tous par le Christ. Et ceci n'est pas quelque chose
de panthéistique, mais une communauté symphonique en Christ.

4 ID., Hymne XX/lI, éd. cit.. n. 174. p. 211.


5 In., Hymne XV, éd. cit., p. 289.
LA LITURGIE D'APRÈS LA PHILOCALIE 263

Ma joie est pleine, parce que je sais que ceux auxquels je suis
uni dans le Christ ce sont d'autres personnes, pas une substance
impersonnelle; que ce qu'ils m'apportent c'est un don volontaire
de leur part et ce que je leur apporte c'est un don volontaire
de ma part. Ma croissance personnelle est une croissance dans
les liens intimes avec tous; la santé et la vigueur spirituelle d'un
membre du corps du Christ, tel que je suis, sont conditionnées
par la communion avec tous les membres du corps ecclésial
dans le Christ et avec le Christ. A son tour, le corps entier croît
dans la vigueur spirituelle par la vigueur de ses membres (Eph.
2, 21; 1,23).
Cette présence vivante du Christ comme sujet total en nous,
opérant pour notre spiritualisation, s'explique par le fait que le
corps de chacun de nous qui reçoit le Corps du Christ n'est pas
séparé de son âme, ni le Corps du Christ n'est séparé de son âme
et de sa divinité. Ainsi la personne humaine reçoit le Corps du
Christ non seulement dans son corps, mais aussi dans son âme,
parce qu'elle reçoit le Corps du Christ avec Son âme et Sa
divinité.
Calliste et Ignace citent en ce sens les paroles de Saint Jean
Damascène qui suivent:
«Et le pain et le vin ne sont pas d'images du Corps et du
Sang du Christ, mais le Corps même du Christ déifié et Son Sang
même. Car ce sont le Corps et le Sang qui entrent dans la consti~
tufion de notre âme et de notre corps, en ne passant pas dans
ce que nous éliminons, mais en demeurant dans notre essence,
comme la cause de notre conservation, comme moyen de purifica~
tian de toute notre souillure. Le Corps du Seigneur est un Corps
vivifiant, parce qu'il a été conçu de l'Esprit vivifiant, "car ce qui naît
de l'Esprit, est Esprit" (Jean, 3,6). Et cela je le dis non pour
supprimer la nature du Corps, mais pour montrer qu'il est vi~
vifiant »6.

Autant que notre âme est dans notre corps, d'une mamere
indicible, de même notre corps et sa sensibilité sont dans notre
âme. Mais alors d'autant plus, le Christ Ressuscité, ayant Son
Corps infiniment subtilisé et pneumatisé et donc inséparable de
la plénitude le l'Esprit, est avec Son Corps, d'une manière
indicible, dans notre âme, en la spiritualisant. Il est avec Son
Corps dans notre âme, même après qu'elle sort de notre corps, si

6 JEAN DAa.'-'fASCÈNE, De fide orthodoxa, liber IV, 131; PG 94, c. 1117-1118;


dans la Centurie de Calliste et Ignace Xanthopol: chap. 92.
264 Dl)MITRU STANILOAE

nous l'avons reçu souvent au cours de la vie terrestre et si nous


avons vécu en Lui par notre voJonté, par notre pensée et par nos
oeuvres qui ont travaillé à la spiritualisation de notre corps. En
mangeant le Corps pneumatisé et d'une finesse inimaginable du
Christ, nous avons nourri ll1ême notre âme, en fortifiant par sa
spiritualisation les racines rationnelles et sensibles de notre
corps, qui a ses derniers fondements dans l'âme et en Dieu. Le
dualisme âme et corps est dépassé, d'une certaine manière, dans
la raison unitaire dc la personne humaine en Dieu. En le man-
geant, c'est notre âme qui a assimilé en quelque sorte en elle-
même le Corps du Christ avec ses pouvoirs pneumatisés et pneu-
matisants. La séparation entre l'âme et le corps n'est pas si nette
comme nous nous imaginons. Cela est d'autant plus valable lors-
que notre âme et notre corps sont en Christ, dans lequel l'osmose
entre l'âme et le corps, et donc aussi entre la divinité et le
composé humain, a atteint son degré culminant, étant donné que
le composé humain a été pleinement uni en Christ avec sa raison
unitaire préexistante dans le Logos.
Le corps ressuscité du Christ est le pain vivifiant qui nour-
rira et pneumatisera, par son pouvoir pneumatique infini et
éternel, notre âme et les racines rationnelles et sensibles actives
de notre corps, qui se trouvent dans l'âme, en faisant ainsi notre
âme capable à ressusciter notre corps à la fin de cet (c aïon »,
Le Christ est l'hypostase, ou le fondement dernier et éternel de
nos hypostases, lorsque celles-ci croissent en Lui et s'unissent
avec Lui.
Le Corps du Christ est si pneumatisé, si comblé par l'Esprit
et si irradiant de l'Esprit, par tous ses pores, qu'il peut être
nommé à bon droit Corps vivifiant.
Car ce que nous recevons par la Sainte Con1ffiunion d'une
manière particulièrement accentuée, c'est l'Esprit de Dieu, qui
fortifie notre âme dans J'action qui vise à vaincre les processus
non libres de la nature de notre corps et à unifier l'homme entier
avec Dieu.
Calliste et Ignace citent en ce sens la phrase suivante de
Sain t Macaire:

« Tout comme le vin se mélange dans tous les membres de


celui qui boit et se transforme en lui et lui en vin, de même celui
qui boit le Sang du Christ s'abreuve de l'Esprit divin, qui se mélange
avec son âme et son âme se mélange avec Lui. Car par l'Eucharistie,
LA LITLRGIÈ O'APRÈSLA PHlLOCALIE 265
=-=:==-----~

ceux qui communient avec dignité, atteignent la capacité de partici-


per du Saint Esprit et c'est ainsi que les âmes peuvent vivre éter-
nel1ement »Î.

Mais le Saint Esprit reçu dans l'ame s'installe dans le corps


aussC car c'est dans l'âme que sont le racines rationnelles et sen-
sibles du corps. Notre âme devient pneumatique, se fortifie dans
ce qu'elle a de supérieur à la nature, est élevée même au-dessus
de l'existence spirituelle créée et peut à son tour pneumatiser
le corps, ou ses racines qui sc trouvent dans l'âme. L'âme
gagne ainsi un pouvoir incomparablement plus grand pour spi-
ritualiser, pour raffiner le corps. L'union entre l'âme et lc corps
et de tous les deux avec l'Esprit divin croît de plus en plus, le
corps étant toujours davantage imprimé par l'ame et tous les
deux par l'Esprit divin; et cela parce que croît l'union de l'ame
et du corps de l'homme avec le Corps du Christ et dans le Corps
du Christ, que l'Esprit divin a pleinement pneumatisé, raffiné,
déifié, transfiguré.
Si, selon Saint Maxime le Confesseur, la dualité est dépas-
sée dans les saints - nous entendons ici la dualité fonctionnelle,
active, pas la dualité virtuelle, de substance' - , d'autant plus
elle est dépassée dans le Christ. Et par la communion avec le
Christ, le dépassement de cette dualité commence aussi dans
ceux qui communient souvent et avec une foi vigourouse. Par
cela, l'âme élevée dans J'union avec Dieu pourra vivre éternelle-
ment et donner au corps aussi le pouvoir de combler en partie les
processus naturels persistant encore dans la vie terrestre. De
plus, par la fortification et la pneumatisation de racines ration-
nelles du corps dans elle-même, l'âme pourra ressusciter à la
fin du monde le corps lui-même à une vie éternellement arrachée
à la corruption.
Cela signifie que l'âme de celui qui communie avec le Corps
du Seigneur, communie, par le Corps du Seigneur proprement dit,
à sa divinité. D'autre part, le Corps du Christ est si intimement
pénétré par le Saint Esprit ou par la divinité du Christ, qu'en
nourrissant Je corps de l'homme on ne peut pas dire qu'Il ne
le nourrit pas par le Saint Esprit aussi. D'ailleurs, le Saint
Esprit, en tant que feu personnel de l'amour trinitaire, fait
du Corps du Seigneur un centre organique pneumatisé, à la

7 C.o\LI.JSTE ET IGNACE XA:-':THOPOL, D.C., chap. 92.


Il MAXlfo.ΠLE CONFESSEl'R, Ambigua: PG 91, c. 1193.
266 DUMITRU STANILOAE

fois unitairc et complexe, d'énergies par lesquelles cette cha-


leur de l'amour divin rayonne dans le plan humain, c'est à dire
dans les relations de l'homme avec Dieu et dans les relations de
l'homme avec ses semblables, en faisant de personnes humaines
de foyers rayonnant à leur tour le feu de l'amour.

2. Mais de ce que le sacrifice eucharistique fait croîtrc non


seulement la vic spirituelle de la communauté, mais aussi la
vie spirituelle des personnes qui la composent pal' l'inhabitation
du Christ eucharistique dans chaque personne gui appartient à
la communauté, il s'ensuit que le Christ installé par la commu-
nion dans l'intérieur de la personne, s'installe dans l'intérieur
le plus intime de celle-ci comme le Grand Prêtre dans l'intérieur
d'un autel, en attirant et en recevant là bas les sacrifices de la
personne dont il s'agit et en les offrant avec son propre sacri-
fice à Dieu le Père. La Liturgie de la conlffiunauté se poursuit
ainsi dans une liturgie de la personne, comme dans sa deuxième
partie. Elle étend son opération dans l'oeuvre de spiritualisa-
tion de la vie du croyant. Assurément, il ne suffit pas que le
croyant communie une seule fois dans sa vie terrestre avec le
Corps et le Sang eucharistiques du Seigneur pour que cette deu-
xième partie, ou la partie intérieure de la liturgie, se poursuive
à l'indéfini dans le croyant. Les textes cités de Jean Climague
et de Saint Jean Chrysostome nous ont montré l'importance de
toucher et de recevoir le Corps du Christ en nous lors de son opé-
ration en nous. Il nous faut répéter souvent ce contact et cette
réception du corps du Christ en nous, afin qu'Il puisse opérer en
nous avec une intensité toujours renouvelée ou même accrue,
au sein de cette liturgie intérieure.
L'idée de cette liturgie intérieure, ou de ce prolongement
de la liturgie de la communauté dans le vie personnelle, a été
exposée avec beaucoup de clarté par Saint Marc l'Ascète. Juste-
ment il voit l'in habitation du Christ en nous s'effectuer déjà par
le Baptême. Mais il mentionne qu'avec le Baptême nous recevons
aussi le Corps du Christ par l'Eucharistie. Le lien entre le Bap-
tême et l'Eucharistie a été mis en relief par tous les Pères et les
auteurs byzantins. Mentionnons particulièrement ici Nicolas CaR
basilas et Théophane de Nicée. Ce dernier dit:

« Ceux qu'il a intention d'unir avec Soi comme ses membres,


le Christ les fait d'abord de la même forme que la Tête par le
LA LITURGIE D'APRÈS LA PHILOCALIE 267

Baptême. Puis par la communication de Son Corps et de Son Sang


Il lie à Soi et entre eux ces membres déiformes. Pour cela le Bap-
tême précède la Sainte Communion II 9.

Voilà comment Saint Marc l'Ascète décrit cette action du


Christ, en tant que Grand Prêtre, en nous et notre engagement
en elle.
«Le temple (personnel) est la sainte maison de l'âme, qui est
bâtie par Dieu. Enfin, j'autel est la table de l'espérance placée dans
ce temple. Sur elle s'offre de la part de l'intelligence, la pensée
première-née de chaque chose ou circonstance, comme un animal
premier-né, comme sacrifice d'expiation pour celui qui l'offre, s'il
l'offre non taché.
Ce temple a un lieu dans la partie intérieure de l'iconostase.
Là bas Jésus est entré pour nous comme Précurseur (Hebr. 6,20),
en habitant depuis le Baptême en nous, si nous ne sommes pas
des chrétiens indignes (II Cor. 13, 5). Ce lieu est la chambre la
plus intérieure, la plus cachée et la plus pure du coeur. Si cette
chambre ne s'ouvre pas par Dieu et par l'espérance rationnelle et
compréhensive, nous ne pouvons pas connaître d'une manière sûre
Celui qui habite en elle et nous ne pouvons pas savoir si les sacri-
fices des pensées ont été reçus ou non. En effet, anciennement,
c.-à-d. au temps d'Israël, le feu consommait les sacrifices; le même
fait se produit aujourd'hui. En s'ouvrant le coeur croyant par
l'espérience mentionnée, le Grand Prêtre Céleste reçoit les pen-
sées premières-nées de l'intelligence et les consomme dans le feu
divin, dont Il a dit: "Je suis venu jeter le feu la terre, et com-
bien je voudrais qu'il soit déjà allumé!" (Le. 12,49) l,10.

Il les reçoit et les transforme en pensées d'amour envers Soi,


par le feu de Son amour; et par cela Il nous reçoit et nous
transforme dans de sujets pleins du feu de l'amour.
Mais seulement après que nous nous sommes purifiés de
nos passions en parcourant la voie des commandements, c'est à di-
re après que nous nous sommes élevés jusqu'à l'amour du Christ,
nous pouvons
«offrir comme sacrifice au Grand Prêtre, le Christ, les pensées sai-
nes de notre intelligence et non pas celles qui sont mordues par
les animaux sauvages »,

c.à.d. celles qui ont été souillées par le péché u.

9THÉOPilANE DE NIC[~t.:, Epis/ota Ill; PC 150, c. 333.


10 MARC L'ASCÈTE, Répol1se à cetlX qui dOl/tent sur le divitl Baptême; PC
65, c. 996.
11 Ibid.
268 DCMITRV STANILOAE

Mais particulièrement remarquable est cette idée de Saint


Marc l'Ascète: d'autant que nous mangeons dans la Liturgie le
Corps du Christ, de même dans cette liturgie intérieure le Christ
mange, ou bien Il fait sienne notre intelligence.

{( Car en faisant ainsi, ùe même qu'au début de notre foi par


Je Baptême le Corps du Christ s'est fait nourriture au croyant, main-
tenant notre intelligence (esprit), devenue forte et pure dans la
foi par le dépuui1lement des pensées et par l'espérance compréhen-
sive, se fait nourriture à Jésus» 12,

Autrement dit: après que nous avons assimilé le Christ dans


la Liturgie de la communauté, et tandis que cette liturgie se
poursuit intérieurement dans chacun de nous, le Christ Lui-
Inêlne assimile notre esprit, en accomplissant son union avec nous.
Le lien entre la Liturgie de la communauté et la liturgie inté-
rieure comme pleine fructification de celle-là, est exprimé ici
avec toute clarté. Devenue pure de toutes pensées souillées par
le pouvoir opérant du Corps du Christ reçu dans l'Eucharistie,
notre intélligence, dirigée maintenant entièrement vers le Christ,
se fait elle-même nourriture au Christ. De son amour envers
nous, Inantré par le don de son Corps, croît notre alTIOUr envers
Lui, manifesté par la soumission totale de toutes nos pensées
au Christ. Et puisque cela signifie un don de nous-mêmes au
Christ, Il nous reçoit maintenant d'un amour réceptif tandis que
dans le don de Soi, ou de Son Corps, Il nous a montré son
amour oblatif. L'acte de recevoir un mendiant dans le palais
impérial, manifeste un amour plus grand que l'acte de l'empe-
reur d'entrer dans la chaumière du mendiant.
Nous allons distinguer deux aspects dans le service du Grand
Prêtre permanent qu'est le Christ: l'un par lequel Il s'est offert
en sacrifice à son Père, pour imprin1er en nous aussi, par la corn-
D1union, l'impulsion à nous offrir comme sacrifice, et l'autre as-
similé à son propre sacrifice. Ainsi s'accomplit le but intégral du
sacrifice du Christ, ou de sa grande prêtrise: Il s'offre premiè-
rement, sur le Golgotha, au Père, pour s'offrir ultérieurement
dans l'Eucharistie, en retenant cette volon té de se sacrifier au
Père, à nous aussi, pour que nous puissions, dans la liturgie

12 Ibid.
LA LITURGIE D'APRÈS LA PHILOCALIE 269

personnelle, offrir nous-mêmes comme sacrifice à Lui, afin qu'II,


assimilant notre sacrifice à son propre sacrifice, nous offre nous
aussi comme sacrifice au Père.
Mais comme le prêtre de la communauté représente le Christ
dans l'action de s'offrir à la communauté, de même il Le repré-
sente dans l'action par laquelle les croyants s'offrent au Christ
pour être offerts par Lui au Père avec son propre sacrifice.
Et cela non seulement dans la Liturgie célébrée dans l'église,
mais dans toute l'action pastorale du prêtre. A proprement par-
ler, ce sont le croyants qui s'offrent au Christ, mais c'est par
le prêtre qu'ils s'offrent. Voilà comment exprime cela Saint
Jean Climaque dans son « Sermon au pasteur ».
{{ Celui qui, dans sa pureté lui donnée par Dieu, purifie la
tache des autres, se manifeste comme collaborateur des Pouvoirs in-
corporels et spirituels, en les offrant à Dieu comme dons pour
ceux qui sont impurs. Cette oeuvre seulement, et rien de plus,
appartient aux liturges divins» 13.

L'idée que nous sommes sauvés en tant que nous nous of-
frons dans le Christ comme sacrifice pur au Père, et que par cela
nous sommes sanctifiés, a été developpée largement par Saint
Cyrille d'Alexandrie dans son oeuvre: «Adorez eH esprit et vé-
rité ". Voilà un texte de Saint Cyrille en ce sens:
«Après qu'Il s'est élevé d'entre les morts, Emanuel, le nouveau
fruit de l'humanité dans l'incorruptibilité, est monté au ciel pour se
montrer maintenant pour nous à la face de Dieu et Père (Hebr. 9, 24),
certes, non pour se rendre sous la vue du Père (car Il est toujours
avec Lui et n'est pas manqué du Père comme Dieu), mais plutôt
pour nous porter en Soi-même sous la vue du Père, nous qui
étions en dehors de Sa face et sous Sa colère à cause de l'ino-
béissance ... Dans le Christ donc nous gagnons la possibilité de venir
en face de Dieu, car _Il nous fait dès maintenant dignes du regard
de Dieu, en tant que sanctifiés ».

Ou:
«Il s'est laissé tuer pour nos péchés, mais nous nous sommes
enterrés nous aussi avec Lui, en supportant la mort, non pas celle
corporelle, mais en tuant nos membres terrestres et ne vivant plus
au monde, mais plutôt au Christ et par Lui au Père ».

13 JEA~ CLI),.t:\Ot:l.:, Sermon au pastew·, éd. Astir, Athènes 1970. chap. 78, p. 178.
_27_0~__________ .______D_U_M
__IT_R_U_' ST~A~N~I~L=O~A=E~ __________________

Ou:
« La fumée qui s'élevait de l'agneau le matin et verS le soir
(dans l'Ancien Testament) est une image de Celui qui, à cause
de nous et pour nous, s'élève vers le Père dans la bonne odeur, en
élevant ensemble avec Soi la vie aussi de ceux qui ont cru en Lui,
qui ont dans l'espérance le resplendissement de la gloire et du
royaume sûr, et à côté de cela la joie des délices éternelles »,

Ou:
« Car notre sacrifice est reçu et plaît à Dieu pour ]a passion
salvatrice du Christ. Et je crois que c'est ça ce que le Sauveur
même a dit: "Sans Moi VOllS ne pouvez faire rien" (Jean 15, 5).
Donc à nOs bonnes odeurs se mêle celle du Christ, en s'élevant
ensemble vers le Père. Car nous ne sommes pas reçus autrement
que par le Christ» 14.

Nous ne pouvons pas entrer auprès du Père que dans l'état


de sacrifice pur, mais nous ne parvenons pas à cet état que
par l'impression en nous du sacrifice pur du Christ qui nous
permet de nous donner totalement au Père.
On voit que Saint Cyrille élargit le sens du sacrifice que nous
associons au sacrifice du Christ pour être apportés par Lui au
Père, à toute notre vie et à tous nos oeuvres, en ne le voyant
plus seulement dans les pensées. Toute notre vie est vue ainsi
COmme un prolongement de la Liturgie. Sans doute, Saint Marc
l'Ascète, en parlant de pensées, les comprend lui aussi comme
racines de nos oeuvres.
En ce sens, l'Abbé Dorothée nous exhorte aussi d'offrir
toute notre vie par le Christ comme sacrifice au Père. Lorsqu'il
parle, lui aussi, à l'exemple de Saint Cyrille, des sacrifices de
l'Ancien Testament comme types, il dit:
« Ces sacrifices et ces holocaustes sont des symboles des âmes
qui veulent se sauver et pour cela s'offrir à Dieu» 15.

3. Mais la communion avec le Christ dans le cadre de la Li-


turgie de la communauté a conlme conséquence non seulement
le don de nos pensées et de nos oeuvres au Christ et par Lui au
Père, mais aussi, pour ceux qui ont progressé spirituellement,

14 CYRIU.E D'ALEXA~DRIF., Adorez eH esprit et vérité, livre 17; PG 68, passim.


l5 Abbé DOROTHÉE, Doctrine XXIII; PG 88, c. 1832.
LA LITURGIE D'APRÈS LA PHILOCALIE 271

une pénétration dans les abîmes les plus profonds et les plus
riches de la divinité pour y vivre. Ce fait nous est décrit par le
Patriarche Calliste dans le chapitre 55 de son écrit" Le Paradis ».
Et parce que la richesse infinie de Dieu est embrassée par l'esprit
humain quand celui-ci se rencontre avec lui comme Un - car
cela signifie qu'en Lui il a tout trouvé, et seulement ainsi il a
trouvé vraiment Dieu - la comnlunion eucharistique atteint
son but suprême quand le fidèle a découvert le Christ com-
me l'Un infini. Mais cela signifie que l'esprit humain est sorti
de la division que produit en lui l'attention simultanée ou suc-
cessive à divers objets ou pensées, c'est à dire quand lui-même
est devenu «un» par la rencontre avec l'Un divin. Néanmoins
cette infinité de Dieu, l'Un, est impossible à exprimer. Elle est
embrassée par le silence. Alors notre esprit voit dans la main
du Christ le calice plein de la totalité inépuisable du mélange
sans confusion des deux natures humaine et divine, c.à.d. de
toute la réalité. Il voit comment le Christ verse le Sang sous la
forme du vin d'un corps à un autre corps, c.à.d. de son Corps dans
le calice, et par celui-ci de son Corps dans notre corps, comme
on voit sur les icônes roumaines sur verre. Et en buvant de ce
calice, notre esprit vit" l'ivresse sobre» d'une joie indescriptible.
Mais l'esprit connaît alors en même temps qu'il ne peut boire,
dans cette vie, jusqu'au fond le vin contenu dans ce calice que
le Christ tient par la main visible du prêtre, ni au moment où il
le boit dans le cadre de la Sainte Liturgie, ni après.
Voila comment le Patriarche Calliste décrit l'expérience de
cette suprême union avec le Christ, ayant pour base la commu-
nion eucharistique:
« Quand l'espdt voit dans le Christ la vérité (la réalité suprême
et totale) dans une manière unitaire, il est temps de se taire (Ecc1.
3, 7). Car c'est le temps dans lequel on boit le nectar divin de la
vie et de la gaieté Spirituelle; c'est le temps des visions mysté-
rieuses et de la communion avec la réalité, au dessus de la création.
En fait, alors l'esprit \'oit clairement le calice dans la main du
Seigneur, plein du vin, du mélange sans confusion; il contemple
d'une manière extrêmement lumineuse le versement d'un corps à
un autre corps et connaît d'une manière sûre que la lie du vin
ne s'est pas versée jusqu'au fond» (Ps. 74, 8L

Le fait merveilleux révelé par le psaume 74, de même que


le «versement» susdit, c'est à dire que la lie du vin n'est
pas versée jusqu'au fond, ou que la partie plus profonde du
272 DUMITRl..J STANILOAE

Sang ne se répand pas du Corps du Christ dans notre corps, est


tout de suite expliqué par le Patriarche Calliste en ces termes:
« Car le fond dernier de la bonté divine et, pour ainsi dire,
l'abîme profond et la perfection finale de la grâce ne se révèle à au-
cun de nous répandu dans la vie d'ici bas, même si quelqu'un de-
vient digne de l'approche la plus grande vcrs Dieu et de la plus
haute déification. Car le degré final de la perfection se conserve
pour tous lors de la communion dans l'au-delà».

Car à peine alors,


( après la décomposition de miroirs et après la révélation évi-
dente de la vérité, nous arriverons à la capacité de sentir le mystère
qui maintenant est mystérieusement caché».

Il est évident que dans cette expérience, entre la communion


eucharistique et ses effets, ou la vie spirituelle la plus haute, il
n'y a plus aucune séparation. Elles sont devenues complètement
une.
Ainsi la communion eucharistique répétée souvent dans la
vie terrestre et l'ascension spirituelle réalisée par notre offrande
au Christ de plus en plus profonde et ininterrompue, nourrie par
la communion eucharistique, nous conduisent vers la commu-
nion parfaite et pleinement dévoilée du Christ dans la vie future,
où la distinction entre la communion eucharistique avec le Christ
et la hauter culminante de notre vic en Lui cessera entièrement.
Ceux qui écoutent sur la terre l'exhortation: "Goûtez et
voyez que le Seigneur est bon! » (Ps. 33, 9) vivent ou valorisent
dans leur vie spirituelle dans la mesure où ils peuvent boire main·
tenant. Mais ils vivent en n1ême temps leur soif continuelle et in-
satiable avec la certitude qu'ils boiront dans la vie future jusqu'au
fond le vin de la joie, c'est à dire le Sang du Christ complètement
répandu en eux, plein de son Esprit total, qui signifie la parfaite
union avec Lui. Ils peuvent dire: ({ Et Ta miséricorde incompré-
hensible, qui nous a été donnée maintenant, comme un abîme et
comme un vin, nous suivra tous les jours de notre vie)} (Ps. 22, 8).
Et le Patriarche explique cela ainsi:
« Cette miséricorde nous suivra tous les jours de notre vie
vraie, c'est à dire de notre vie future, stable et immortelle. Car nous
aurons alors toujours les bontés divines futures et nous serons en
eUes. si nous goûtons de deux cotés le vin du calice vivifiant et
nouveau, qui se trouve dans la main du Seigneur, et si nous buvons
de lui tous les jours ».
---
LA LITURGIE D'APRÈS LA PHILOCALIE 273

La participation au Corps et au Sang du Seigneur est parti-


cipation à la sur-réalité eschatologique, non seulement en tant
qu'elle est la participation au Corps qui a dépassé la corruption
et la mort, au corps d'au-delà de la mort, mais aussi en tant
que dans la participation voilée et partielle d'ici bas nous est
donnée la participation dévoilée et totale au Corps du Seigneur
dans la vie future. En communiant ici avec le Corps du Seigneur,
nous vivons en Lui sa force d'attraction vers notre communion
pleine et dévoilée avec Lui dans la vie future. Dans la com-
munion eucharistique nous vivons la dynamique eschatologique
de l'Eucharistie; nous vivons l'attraction du corps du Christ vers
le sommet de la communion plenaire. Et cela est non seulement
l'attraction vers la communion totale et dévoilée avec le Christ,
mais aussi vers notre perfection spirituelle, vers la pleine valori-
sation personnelle et spirituelle des pouvoirs que nous recevons
du Corps du Seigneur. L'Eucharistie nous donne le pouvoir
d'avancer dans la perfection, d'avancer non seulement grâce au
fait que nous avons communié avec le Corps très pur du Seigneur,
mais aussi pour correspondre, ou pour nous ouvrir à la pleine
et dévoilée - c'est à dire spirituellement perçue - communion
avec Lui.
Le Patriarche Calliste continue à dire en ce sens:
« Donc de ce qui est montré ils connaissent, dans une manière
convenable, ce qui est caché, et de ce qui se verse ils ont la preuve
de ce qui est à la base; et de ce qui est en partie ils tirent en
acompte ce qu'ils auront dans la vie future» 16.

Ceci correspond aussi à la prière que nous faisons, après


la communion, à la fin de la Liturgie de Saint Jean Chrysostome
et de Saint Basile le Grand:
« 0, Pâques grand et saint, le Christ! 0, Sagesse et Verbe de Dieu
et Pouvoir! Donnez-nous de communier avec Toi, avec majeure
vérité, dans le jour sans soir de ton Royaume! JI.

Le Christ est notre Pâques continuel. Il nous transfère sans


cesse toujours plus sensiblement du plan de la vie terrestre sur
le plan de la vie déifiée. Et Il fait cela principalement par l'Eucha-
ristie. Ce passage d'ailleurs se montre en nous dans notre avan-
cement spirituel poursuivi sans interruption.
Pr. Dr. Dumitru STANIJ.OAE

16 Le Patriarche C.-\LLISTE, Le Paradis, chap. 55, .. Philocalie grecque », ad III,


vol. IV, 1961, p. 344.
COMPORTEMENT, GESTES ET PAROLES
DANS LA MESSE SUÉDOISE ACTUELLE

Le messe suédoise en vigueur date de 1942 '. Elle se distin·


gue d'un côté par une grande fidélité envers la tradition liturgi-
que remontant à la Réforme suédoise du XVI' siècle, et de l'autre
côté par une certaine ambition de s'adapter à la tradition catho·
lique et ceci dans une intention oecuménique. Avec une simpli-
fication, poussée un peu trop loin, si l'on part de la messe mé-
diévale en supprimant les prières de l'offertoire, les prières du
canon - sauf le récit de l'institution - et les prières autour de
la communion, en récitant la messe en langue suédoise et en
prononçant les paroles de l'institution à haute voix et en don-
nant la communion en deux espèces, alors vous aurez la messe
suédoise. En ce qui concerne l'adaptation à la tradition catho-
lique il s'agit, d'une part, du Sanctus qui en 1942 a été transféré
de sa place classique suédoise après la consécration à la fin de
la préface, comme dans la messe catholique, et d'une autre part
d'une prière, qui a été inserée entre le Sanctus et le récit de l'insti-
tution, sorte d'anamnèse et d'épiclèse, qui pour la prémière fois
diminue la domination exclusive du récit de l'institution et consti-
tue un début modeste d'une prière eucharis~ique plus développée.
Un trait significatif des livres liturgiques de l'église suédoise
est que les rubriques sont assez sommaires. Les gestes du prêtre
sont rarement fixés. Les autorités compétentes de l'église ont
toujours décliné de régler en détail les cérémonies et les gestes,
contrairement au texte de la liturgie, qui est toujours fixé et
doit être strictement suivi. Les cérémonies et les gestes peuvent
être utilisés librement, à condition qu'ils n'aient pas une signifi·
cation contredisant la doctrine de l'église. Ajoutons que le plura-
lisme qui règne dans l'église actuellement rend impossible une
réglementation trop stricte.

1 Den svenska kyrkohandboken stadlast av Konungen 1942. Forsta kapi-


tlet. Ordning for den allmanna gudstjiin sten. 1. Hogmassa. A. Hogrnassa med
nattvard.
276 BENGT STROMBERG

Une grande partie de nos églises sont du moyen âge, et même


les églises construites après la Réforme sont d'une conception
médiévale avec un choeur, quelquefois une abside, et une grande
nef. La tribune de l'orgue est à l'ouest et l'autel à l'est, souvent
vers le mur.
Le prêtre célèbre toute la messe devant l'autel, sauf la pré-
dication, pour laquelle il monte à la chaire. Au début de la messe,
il se rend à l'autel, devant lequel il conduit la préparation péni-
tentielle et la liturgie de la parole. Après la prédication il revient
à J'autel pour la prière universelle et la liturgie de J'eucharistie.
Pendant la célébration de la messe, le prêtre se tient entre l'autel
et l'assemblée. Il se tourne pour certains moments de la messe
vers l'autel et pour d'autres vers l'assemblée. Ces mouvements
giratoires du prêtre sont soigneusement réglés par les rubriques.
Le pI'incipe est simple et évident. Le prêtre se tourne vers l'as-
semblée lorsqu'il prononce l'absolution, pour la proclamation
de la parole de Dieu par l'épître et l'évangile, et quand il donne
la bénédiction à l'assemblée. Mais pour les moments de prière
et d'adoration il se tourne vers j'autel. Théologiquement on a
fait la distinction entre paroles sacramentelles dirigées vers
l'assemblée et paroles sacrificielles adressées à Dieu. Par
conséquent le prêtre prononce la confession des péchés, la col-
lecte, la prière universeHe, la préface, l'oraison dominicale et la
prière après la communion tourné vers l'autel. Il faut noter que
les paroles de J'institution sont récitées par le prêtre tourné vers
l'autel. Ces paroles sont en même temps consécratoires et
" proclamation de l'évangile ", ct pour cette raison elles doivent
être audibles.
Quant au Credo, les rubriques donnent au prêtre la liberté
de le réciter se tournant vers l'assemblée ou vers l'autel. Si l'on
veut donner une explication plus profonde à cette possibilité de
choix, l'on pourrait dire que cette rubrique reflète deux diffé-
rentes conceptions du Credo, l'une la proclamation de la foi
chrétienne devant l'assemblée, l"autre un hymne de louange et
d'adoration à la Trinité.
Le prêtre célèbre la messe debout avec quelques exceptions.
Il s'agenouille pour les prières personnelles au début de la messe,
pour la confession des péchés, pour l'oraison dominicale, pour
sa propre communion et pour les prières personnelles à la fin
de la messe. Donc le prêtre n'est jamais assis pendant la messe.
GESTES ET PAROLES DANS LA MESSE SUÉOOISÉ 277

Mais pour l'assemblée la position assise est la plus habituelle.


Il me semble qu'un étranger doit être frappé par le fait que
l'assemblée est assise quand elle chante les hymnes s'ils n'ont pas
un caractère de louange. L'assemblée chante aussi le Laudamus,
le Sanctus et l'Agnus Dei debout, chants de louange et d'adora-
tion. Par vénération pour la parole de Dieu, l'assemblée écoute
debout non seulement l'évangile mais l'épître aussi. Même pour
la préface, l'assemblée se tient debout.
Parlons maintenant de l'agenouillement de l'assemblée. L'or-
donnance ecclésiastique de 1686 qui est encore partiellement en
vigueur, prescrit que l'assemblée doit se mettre à genoux dans
trois occasions: la confession des péchés avec l'absolution, le récit
de l'institution et l'oraison dominicale '. Cette prescription sou-
ligne l'importance du récit de l'institution pour la consécration.
L'ordre de messe actuel a les mêmes prescriptions concernant
l'agenouillement de l'assemblée, mais elle ajoute un geste al-
ternatif: l'assemblée en restant assise au lieu de se mettre à
genoux. peut se contenter de baisser la tête pour la confession des
péchés, le récit de l'institution et l'oraison dominicale. Le geste
de baisser la tête a pris le dessus sur l'agenouillement, même si
l'on peut constater une renaissance pour l'agenouillement, sur-
tout parmi la jeunesse, qui n'a pas peur des gestes expressifs.
La seule occasion pendant la messe où l'agenouillement est obli-
gatoire sans alternatif, c'est quand on reçoit la communion. Mais
pour les autres prières de la messe, comme la collecte, la prière
universelle et la prière après la communion. l'assemblée doit
seulement baisser la tête. Tout cela donne l'impression que noUS
avons une assemblée assise, qui ne se lève que quelquefois, pour
certains chants d'adoration et pour la lecture biblique.
Parlons maintenant d'un sujet qu'on peut à la rigueur ran-
ger sous le comportement du prêtre et de l'assemblée, c'est-à-dire
le chant. La messe suédoise est en principe une messe chantée.
Le prêtre et l'assemblée chantent en commun l'ordinaire de la
messe, mais aussi le propre, qui, à l'exception de l'introït, con-
siste en des hymnes métriques. Autrefois le prêtre a chanté
aussi la collecte, l'épître, l'évangile et le récit de l'institution,

2 Kyrkio = Lag och Ordning, som.. Konung ... KARL then Elof te.. Ahr
1686. han.....er latit fOrfattajoch Ahr 1687. af Trycket utga oeh publicera .. Sto-
ckholmj2 kapo 12§.
278 BENGT STROMBERG

comme il chante encore la préface. Actuellement il dit la col-


lecte, l'épître et l'évangile.
Dans notre messe en effet, et cela prouve qu'eHe est en
principe une messe chantée, le moyen à peu près unique pour
l'assemblée de s'exprimer, c'est le chant. Quand, par exemple, le
prêtre n'est pas capable de chanter" Le Seigneur soit avec vous»
ou (c Elevons notre coeur mais qu'il est contraint de dire ces
>),

formules, l'assemblée chante quand même les réponses. De la


même manière, quand le prêtre Joit les prières, l'assemblée chante
l'Amen conclusif.
Comme nous avons déjà constaté, dans notre ordre de messe,
il y a très peu de rubriques, qui règlent les gestes du prêtre et
de l'assemblée. Si l'on jette un regard sur le début de l'ordre de
la liturgie de l'eucharistie, on trouve que le prêtre doit préparer
le pain et le vin pendant l'hymne de préparation - on évite le
terme offertoire. Mais rien n'est ordonné concernant la manière
de les porter à l'autel. Tout dépend de l'usage. Ordinairement
le pain en forme d'hosties et le vin, qui est toujours un vin rouge,
sont placés sur l'autel avant la messe, les hosties dans une
boîte d'argent et le vin dans un vase d'argent, avec la patène
et le calice couverts par un voile. Comme vous le savez, l'on ne
mélange pas le vin avec de l'eau en la célébration de l'eucha-
ristie dans la tradition luthérienne. Selon Luther le vin pur est
l'image de la pureté de la doctrine évangelique '. Ce qui n'empê-
che pas, actuellement, plusieurs prêtres de mélanger l'eau au vin.
Parfois on organise une procession qui porte le pain et le vin à
l'autel pendant l'hymne de préparation. Le prêtre mets les hosties
sur la patène et verse le vin dans le calice pendant cette hymne.
Aucun acte manuel n'est prescrit pour la récitation des pa-
roles de l'institution. Des différents usages existent à cet égard.
Certains prêtres récitent les paroles de l'institution sans toucher
le pain et le calice. D'autres prennent le pain et le calice dans
les mains. En plus, certains prêtres font l'élévation de l'hostie
et du calice. L'élévation, qui a été gardée par la Réforme, fut
interdite à la fin du XVI' siècle parce qu'elle a été considérée
comme l'expression de la doctrine romaine de la transsubstan-
tiation et du sacrifice de la messe '. Elle a été réintroduite par

3 Formula missae el cornmunionis pro ecclesia Wittembcrgensi = WA


XII p. 211.
4 KrHLLERSTROM, Sven, Elevationen och korstecknet i evangelisk svensk
tradition (Svensk teologisk kvartalskrift 1950, pp. 286-301).
GESTES ET PAROLES DANS LA MESSE SUÉOOISÈ 279

certains prêtres au siècle actuel, comme l'expression de la foi en la


présence réelle du Christ dans l'eucharistie, en contestant une
doctrine plus ou moins symbolique de l'eucharistie. Cette réintro-
duction arbitraire a provoqué une réaction assez violente. On a
accusé les prêtres qui pratiquent l'élévation d'accepter la doctrine
du sacrifice de la messe. Mais cette luite est désormais passée et
actuellement l'on peut pratiquer l'élévation en toute liberté.
Pour la communion l'on trouve certaines prescriptions. Quand
le prêtre dit « Que la paix du Seigneur soit avec vous" il doit
tenir la patène en main: une invitation au repas eucharistique.
Après le chant de l'Agnus Dei les communiants s'avancent vers le
banc de la communion, qui est souvent semicirculaire, entourant
l'autel, et se mettent à genoux. Notre messe compte sur la pré-
sence, jusqu'à la fin, de ceux aussi qui ne communient pas.
Selon la coutume le banc de la communion est couvert d'une
nappe blanche pendant la communion elle-même.
L'ordre de la messe ne donne aucune instruction sur la ma-
nière de distribuer la communion. On apprend seulement que le
prêtre doit tendre le pain au communiant avec les paroles sui-
vantes: «Le corps du Christ, donné pour toi ", et le calice avec
les paroles: «Le sang du Christ, versé pour toi ". Ces paroles qui
accompagnent la communion doivent être répétées pour chaque
communiant. Elles expriment la doctrine de notre église de la
présence réelle du Christ dans le sacrement, une présence qui
est attachée au pain et au vin.
Selon l'usage le prêtre descend de l'autel, la patène dans la
m"in gauche et, commençant du côté de l'épître, il met l'hostie
dans la bouche et sur la langue de chaque communiant. Puis il
donne, dans le même ordre, le calice aux communiants en l'appro-
chant aux lèvres de chaque communiant, qui ne touche pas au
calice avec les mains. La communion a lieu par groupes, c'est~
à-dire, les communiants restent à genoux au banc de la commu-
nion jusqu'au moment ou le dernier communiant du groupe pré-
cédent a reçu le calice et le prêtre a renvoyé le groupe en disant:
«Allez dans la paix du Seigneur". Les communiants se lèvent
et regagnent leurs places dans la nef de l'église et un nouvel
groupe s'avance vers l'autel. Il n'y a pas de règles pour le cas
ou il y a deux prêtres à l'autel. Selon la coutume le prêtre le
plus ancien administre la patène et le plus jeune le calice, ou le
curé administre le pain et le vicaire le calice, ou, si l'on distingue
280 BENGT SrnOMBERG
=--------'=~ =="----------
entre célébrant et diacre, le célébrant administre la patène et le
diacre le calice. Par contre, la manière de la communion du
prêtre lui-même est strictement réglée. En effet, dans notre église
une certaine hésitation a existé au sujet de la comnlunion du
prêtre. Est-ce que le prêtre peut se donner la communion lui-
même? Luther dans la Formula missae fait communier le prêtre
avant de distribuer la communion à l'assemblée '. L'ordonnance
ecclésiastique suédoise de 1571 encourage le prêtre à communier,
même plusieurs fois, s'il célèbre plusieurs messes le même jour.
L'omission du prêtre de communier peut offenser l'assemblée '.
Mais le prêtre communie en qualité de membre de l'assemblée,
comme chrétien, et non en qualité de ministre du sacrement,
dont le devoir est seulement de consacrer et de distribuer la
communion au peuple. L'accentuation renforcée de la confession
comme préparation à la communion, a fait tomber en désuétude
la communion du prêtre, qui ne peut pas se donner l'absolution
lui-même.
La forme liturgique de la communion du prêtre a été fixée
en 1904 '. Elle souligne que le prêtre doit communier avec l'as-
semblée. Ce principe est strictement imposé. Après avoir admi-
nistré le pain à un groupe de communiants, le prêtre se met à
genoux devant l'autel et se donne le pain en disant: «Le corps
de Christ, donné pour moi ». Et quand il a administré le calice
au même groupe, il boit, à genoux devant l'autel, du calice en
disant: «Le sang du Christ, versé pour moi ». Mais s'il y a deux
prêtres devant l'autel, ils se donnent la communion l'un à l'autre,
généralement à la fin de la communion de l'assemblée.
La célébration de l'eucharistie est entourée de beaucoup de
vénération du côté de l'assemblée. Souvent, surtout les jeunes,
se mettent à genoux pour la récitation des paroles de l'institution.
Avant de quitter l'autel les communiants saluent le Christ pré-
sent dans le sacrement, les hommes s'inclinent et les femmes
font la révérence. Au sujet des autres gestes du prêtre, l'ordre
de la messe se taît. Habituellement le prêtre joint les mains
quand il prie, ainsi que les membres de l'assemblée. Mais il v a
des prêtres gui lèvent les mains pour les prières.

'WA XII p. 213.


GBRILIOTH, Yngve, Nallvarden i el'ange1iskt gudsfjanstliv, UpPs31a 1926,
p.424.
7 BRILIOTH, Naltvarden, p. 450.
GESTES ET PAROLES DANS LA MESSE SlTÉOOISE 281

Le signe de la croix a de temps en temps été rejeté commc


catholique', mais il n'est plus tellement suspcct et plusieurs
prêtres l'utilisent à la fin de l'absolution et de la bénédiction.
Un nouvel ordre de la messe a été établi en 1976 pour usage
alternatif avec la messe de 1942, encore en vigueur '. Cette nou-
velle messe est un reflet des différents courants liturgiques ac-
tuels et un signe du pluralisme de la vie liturgique d'aujourd'hui
avec plusieurs alternatifs et possibilités de choix. Elle signifie,
sous plusieurs rapports, une rupture avec la tradition classique
de la réformation de l'église suédoise. Les auteurs de cette messe
ont aspiré à donner une formation oecuménique à la célébration
de la messe sans pour cela renoncer à des conceptions fondamen-
tales de j'église suédoise.
Si l'ordre de la messe de 1942 ordonne au prêtre de célébrer
toute la messe sauf la prédication devant l'autel, la nouvelle
messe offre plusieurs possibilités. L'acte pénitentiel peut être
conduit de l'escalier du choeur. La liturgie de la parole, le prêtre
en a le choix de la conduire de l'autel ou d'un ambon dans le
choeur. Pour la prédication le prêtre peut choisir entre la chaire
et l'ambon. Les prières des fidèles - les intercessions - peu-
vent être conduites par le prêtre de la chaire, de l'ambon ou
de l'autel. Mais l'eucharistie, il la célèbre toujours à l'autel en
choisissant entre la position classique devant l'autel et la position
derrière l'autel, face au peuple. La stricte uniformité de la messe
de 1942 est ainsi abandonnée à cause du pluralisme. La nouvelle
messe offre au prêtre la possibilité de célébrer la messe entière
comme auparavant devant l'autel, mais aussi de distinguer net-
tement la liturgie de la parole de la liturgie de l'eucharistie en
conduisant la première de l'ambon. Et en célébrant l'eucharistie
face à l'assemblée, Je prêtre évite tous les mouvements giratoires
classiques dans notre tradition.
Concernant l'attitude de l'assemblée pendant les lectures
bibliques, selon la tradition de notre église, rassemblée les écoute,
l'épître comme l'évangile, sans différence, debout. La nouvelle
messe, qui introduit Ja lecture de l'ancien testament comme la
première entre trois lectures, prescrit que l'assemblée doit se

8 KJOLLERSTROM, Elevatio1lell och korsteckllet.


9 Gudstjiillstordllil1g /61' Svel1ska kwkal1. 1976 ars alternativ till Dell
svenska kYI'ko/umdbukcl"I. l Ritmll. Kapit~l l H1l\'uclgudstjanst. 1 Hogmassa merl
nath'ard.
282 BENGT STROI\. lBERG

lever seulement pour l'évangile conformément à la tradition ca-


tholique, innovation remarquable dans notre tradition.
J'ai déjà signalé que le chant de l'assemblée joue un rôle
important dans la messe de 1942. La seule possibilité pour J'as-
semblée de joindre le prêtre, c'est en lisant le Credo avec lui.
Dans le nouvel ordre de la messe, la lecture commune de l'as-
semblée à haute voix a une beaucoup plus vaste étendue. La
confession des péchés peut être lue en même temps par toute la
congrégation. Et toutes les réponses l'assemblée les lit, si le prêtre
ne chante pas.
Quant à la célébration de l'eucharistie, des changements im-
portants sont à signaler. La préparation - l'" offertoire", entre
guillemets - a reçu formation plus concrète. La messe de
1942 prescrit seulement que le prêtre prépare le pain et le vin
pendant l'hymne de préparation. La nouvelle messe prévoit une
procession d'offertoire, en prescrivant que des membres du con-
seil paroissial ou des collaborateurs peuvent apporter le pain et
le vin à l'autel pendant l'hymne de préparation et que la quête
peut aussi être apportée à l'autel en même temps. Une prière
peut accompagner l'acte: "Seigneur, nous t'offrons de ce qui est
à toi. Reçois-nous et nos offrandes pour l'amour de Jésus Christ ",
prière qui interprète l'acte. Comme j'ai déjà montré, la messe de
1942 est munie entre le Sanctus et les paroles de l'institution
d'une prière qui constitue un modeste début d'une prière eucha-
ristique. La plus grande innovation de la nouvelle messe, c'est
qu'elle offre trois prières eucharistiques avec le récit de l'insti-
tution inseré et l'Amen final de l'assemblée. Ces prières eucha-
ristiques sont sévèrement contestées par des nlilieux conserva-
teurs de notre église, qui n'acceptent pas des prières à côté du
récit de l'institution, qui peuvent empiéter sur son rôle exclusif
d'être consécratoire. La nouvelle messe n'offre aucune instruction
concernant les gestes du prêtre qui accompagnent la récitation
de la prière eucharistique. Quant à l'assemblée, elle peut se
mettre à genoux pendant la récitation des paroles de l'institution,
mais rester assise pour le reste de la prière eucharistique.
Il faut signaler que la fraction du pain a été introduite après
l'oraison dominicale, sans être obligatoire. En rompant l'hostie
le prêtre dit avec l'assemblée: «Le pain que nous rompons n'est-
il pas une communion au corps du Christ? Nous sommes tous
un seul corps, car tous nous participons à cet unique pain» (1
Cor. 10: 16-17).
GESTES ET PAROLES DANS LA MESSE SUÉDOISE 283

Le Pax Domini qui suit, donne aussi la possibilité d'échanger


des salutations de paix, une possibilité rarement utilisée.
Selon la messe de 1942, c'est obligatoire de recevoir le pacin
et le vin à genoux. La nouvelle messe prescrit seulement que les
communiants s'avancent pour les recevoir. Alors l'usage de rece-
voir la communion debout n'est pas exclu, non plus que l'habi-
tude de ne pas communier en groupe mais en quittant l'autel
aussitôt qu'on a reçu le pain et le vin, un avantage si les com-
muniants sont nombreux. li faut aussi signaler que la nouvelle
messe offre la possibilité de communier par intinction, moyen
qui quelquefois est demandé par le communiant pour des rai-
sons hygiéniques.
La communion du prêtre n'est pas mentionnée par la nou-
velle messe, mais ses paroles aux communiants, quand la com-
munion est terminée, semblent supposer que le prêtre a com-
munié avec l'assemblée pendant la messe: « Nous avons reçu
le corps et le sang du Christ. Qu'il nous préserve à la vie
eternelle ".
Concernant la communion il faut ajouter que dans certaines
églises existe la possibilité alternative de communier par des
calices individuels.
En conclusion, je suis obligé de dire qu'au sujet de compor-
tement et de gestes pendant la messe les rubriques sont pauvres,
mais qu'en réalité de différents usages existent dans notre église.
C'est impossible de prévoir si l'on va vers une plus grande unité
ou si le pluralisme va rester ou même se développer davantage.

Bengt STROMBERG
LA DANSE SACRÉE DANS LE CULTE CHRÉTIEN ET PLUS SPÉ-
CIALEMENT DANS LA FAMILLE LITURGIQUE BYZANTINE

A première vue, mon sujet apparaît secondaire et périphé-


rique. Mais le choix de mon sujet serait justifié même d'un
aspect purement négatif. Même dans l'hypothèse qu'aucune
trace de ({ danse sacrée» ne se rencontre dans le culte chrétien,
la sollicitation d'épuiser le sujet général de notre Congrès dans
toutes ses dimensions, exigerait la recherche des causes de l'ab-
sence complète dans l'espace du culte chrétien d'un phénomène
qui apparaît presque dans toutes les religions. La science litur-
gique doit - entre autres - relever en face des formes cultuel-
les non-chrétiennes, l'originalité, la singularité et la différence
spécifique des différents éléments du culte chrétien.
Le choix de mon sujet est d'autant plus justifié du point de
vue positif. Ce thème s'inscrit dans le cadre du sujet général du
Congrès, étant donné que la présence de la danse sacrée est sen-
sible dans l'espace cultuel chrétien. C'est pourquoi, l'examen
phénoménologique de la psychologie et de la morphologie de la
danse chrétienne et plus spécialement de la danse liturgique by-
zantine est attaché à l'ensemble de notre sujet général.
Lucien disait que « nous ne pouvons pas trouver un acte cul-
tuel sans danse» ((&veu bpx.~"e",ç»).
La danse dans les religions primitives visait soit à la con-
juration magique des démons et des divers maux physiques,
soit à la «magie analogique », durant laquelle, grâce au geste
imitatif, le danseur croit capter une force et l'asservir. En con-
centrant son énergie, jl veut avant tout figurer les événements
désirés afin de les susciter, ({ similia similibus )}.
Dans le culte des Indiens, des Égyptiens et des Grecs; dans
les cérémonies du syncrétisme hellénistique oriental, durant les-
queHes on se livrait à des orgies; dans le culte de Dionysos et de
Attis on rencontre des danses extatiques. qui hypnotisent et, par
la suggestion, délivrent le corps de son poids.
286 EVANGEJ.OS THÊQOOROU

La danse sacrée, en raison du but concret qu'elle avait cha-


que fois, contenait une morphologie respective et divers éléments
chorégraphiques.
Le domaine de la danse religieuse est immense. Les points
de vue diffèrent selon que l'on examine la danse féminine ou
masculine, à mouvements amples ou étroits, rapide ou lente,
extravertie ou introvertie. La danse sacrée apparaît comme le
reflet de la qualité religieuse, des croyances ainsi que de la psy-
chologie des adorateurs, qui l'élaborent. Tout groupe religieux
se définit par la façon dont il danse, ou dont il apprécie telle
manière de danser.
Dans cet état des choses nous pouvons comprendre la spé-
cificité de la place de la danse sacrée dans le culte chrétien. Le
culte chrétien à cause de son «sémitisme» spirituel et de sa
dépendance en plusieurs points de l'Anoien Testament, a adopté
en principe la notion de la danse sacrée, qui a tenu une certaine
place dans la vie des Hébreux.
Une constatation linguistique prouve que l'hébreu utilise
plusieurs verbes pour désigner l'action de danser. Dans l'Ancien
Testament le mot utilisé pour désigner la fête "q.ag» signifie
danse cultuelle.
Dans l'Ancien Testament la danse sacrée est souvent men-
tionnée. Selon le témoignage de l'Exode, après le passage de la
Mer Rouge, " Marie la prophétesse, sœur d'Aaron, prit en main
un tambourin et toutes les femmes sortirent à sa suite avec des
tambourins et en dansant» (15,20).
Au moment de la translation de l'arche à Jérusalem" David
et toute la maison d'Israël dansaient devant Jahweh de toutes
leurs forces et en chantant au son des cithares, des harpes, des
tambourins, des sistres et des cymbales» (2 Samuel 6,5).
Lorsqu'on transporta l'arche dans la cité sa'inte, «David
dansait de toutes ses forces devant Jahweh» (6,14).
Cependant, par divers passages des psaumes, il est aisé de
supposer qu'en plusieurs circonstances la danse faisait partie
intégrante du rituel qui réglait les cérémonies du culte, dans
le temple de Jérusalem. «Qu'Israël se répouisse en son créa-
teur, que les fils de Sion exultent en leur roi; qu'ils louent
son nom par la danse, - qu'ils le chantent au son du tambourin
et de la harpe» (Ps. 149,2-3). La même exhortation se retrouve
au psaume 150,4: "Louez-le par la danse et le tambour ».
____________~L~A~D~A~N~S~E~D~ANS LE CULTE ClntÉTIEN 287

L'attitude amicale du culte chrétien envers la ùanse sacrée


de l'A. T. est démontrée par le fait que les danses bibliques les
plus célèbres ont été interprétées par les arts liturgiques. Ce sont
principalement les peintures des manuscrits qui fournissent des
représentations de ces danses sacrées.
De nombreux psautiers grecs illustrés représentent la danse
de David avec d'autres danseurs et danseuses. On voit dans un
psautier grec de la Bibliothèque nationale de Paris (n. 139, X'
siècle) une de ces danseuses, vêtue d'une tunique jaune safran
recouverte d'une large écharpe violette, les cheveux ceints d'un
bandeau vert, les bras nus et les pieds chaussés de sandales, qui
danse en agitant au-dessus de sa tête de petites cymbales.
Des danses bibliques sont aussi représentées dans les psau-
tiers slaves et occidentaux.
Une représentation du psaume '150 sur une fresque de por-
tique à Lesnovo présente David jouant de la lyre entouré de
danseurs.
D'autres exemples de représentation des danses sacrées dans
J'A. T. ainsi que la bibliographie respective, peuvent se trouver
au mot" Tanz " dans " Lexikon der christlichen Ikonographie ".
En ce qui concerne l'attitude du Nouveau Testament, non
seulement il n'a pas condamné la danse en soi, mais plutôt il a
contribué à nous faire voir la danse d'un œil sympathique, du
fait que le Seigneur lui-même dans deux paraboles se sert de
la danse comme symbole de joie et d'allégresse spiTituelle.
En général, l'Église, qui avait dépassé le spiritualisme abs-
trait, n'avait pas de raisons de repousser par principe des élé-
ments chorégraphiques conservatifs pré-chrétiens, qui n'étaient
pas incompatibles avec la spiritualité chrétienne. Par conséquent,
elle a reconnu la danse comme catégorie liturgique fondamentale,
qui d'ailleurs doit refléter Ia " nouvelle création" dans le Christ.
Il va de soi que le culte chrétien a fermé hermétiquement
ses portes à des formes de danse sacrée, qui dénotaient un usage
inadmissible et immoral de la sphère biologique.
L'ensemble des mouvements rapides, magiques et orgiaques;
la frénésie rythmique et .J'ivresse choréique consistant en tré-
pignements, déhanchements, tournoiements violents; l'élément
de l'autosuggestion; les exaltations frénétiques qui conduisent à
une éclipse plus ou moins prolongée de la vie consciente; les
danses phalliques et lascives, qui mettent l'accent sur la sexua-
288 EVANGELDS THEODOROU
=------
lité et sur l'érotisn1e; les hiérogamies célébrées dans les mystères
d'Éleusis, en Crète et en Égypte; les extases pratiquées par les
ménades et les satyres dans l'oribasie; des danses totemiques;
l'action hypnotique; des états psychophysiologiques qui peuvent
suggérer, à l'extrêlne limite de l'excitation nerveuse - tous ces
éléments et toutes ces situations ne pouvaient pas être adoptés
par le culte chrétien.
Pour ces danses est valable la fameuse parole, que Jean
Chrysostome a prononcé: "Où l'on danse, là est le diable » (~,ll«
yo:p 5p;('I),nç, txii a.<if3oÀoç J.
L'Église, de tous les éléments chorégraphiques de la danse
sacrée ou profane a in tégré seulemen t ce qui était homologue et
homogène à la qualité spirituelle de sa liturgie, et ce qui avait
les mêmes fonctions et des structures analogues. Ainsi s'explique
le fait que l'Église, même face aux éléments chorégraphiques de
l'Ancien Testament, a gardé une attitude sélective.
Outre la tradition biblique el la disposition sélective qui est
liée à l'esprit de la récapitulation du tout en Christ, d'autres
facteurs ont concouru à la formation des traits spécifiques de
la catégorie liturgique chrétienne de la danse.
Dans la «nouvelle création» de l'Église a été fait en pre-
mier lieu un changement du cadre de la danse sacrée. La danse
à la fois ressortit à l'espace et au temps. Elle est l'art de mouvoir
le corps selon un certain accord entre l'espace et le temps,
accord rendu perceptible grâce au rythme et à la composition
chorégraphique.
Dans la vie liturgique de l'Église sont franchies les catégories
ontologiques immanentes de l'espace et du temps et sont révelées
les dimensions du « temps liturgique» ou du « temps concentré ».
Dans ce « temps », d'une part le passé, le présent et l'avenir se
joignent en une unité, dans laquelle l'éternité est vécue dans le
présent, dans l'" aujourd'hui" des textes liturgiques, d'autre part
terre et ciel s'unissent en une réalité, dont la signification n'est
pas physique ou astronomique, mais théologique, christologi-
que, ecclésiologique, anthropologique, eschatologique. La liturgie
mène à l'union mystique des dépendances matérielles et spiri-
tuelles, des éléments immanents et transcendants, du symbo-
lisme et du réalisme. Ainsi, la danse liturgique a moins de dimen-
sions terrestres visibles et beaucoup plus de dépendances invi-
sibles spirituelles, dans lesquelles le rythme, les constitutions
LA DANSE DANS LE CULTE CHRÉTIEN 289

scéniques, la composition chorégraphique s'attachent avec la


beauté de la Jérusalem céleste et avec le "cantique nouveau»
de l'Apocalypse (5,9). " Tout ce qui appartient au ciel se réjouit
avec la terre ... , tout ce qui appartient à la terre danse avec les
cieux». Les adorateurs terrestres « de toute nation, race, peuple
et langue» (Ap. 7,9) dansent avec les adorateurs invisibles de
l'Église triomphante et les ordres angéliques.
Les éléments chorégraphiques des danses sacrées non-chré-
tiennes, qui ne choquent pas la spiritualité chrétienne, comme
ceux qui sont utilisés pour exprimer la doxologie ou la joie, ser-
vent maintenant dans l'atmosphère matério-spirituelle de l'Église
comme symboles et allégories des danses célestes invisibles et
mystiques, dont le contexte chorégraphique n'est pas l'espace et
le temps terrestre, mais l'espace et le temps liturgique. Ces sym-
boles enrichissent les deux éléments constitutifs du culte, qui
sont examinés par notre Congrès, en l'occurrence, les paroles et
les gestes.

Examinons donc en premier lieu les paroles.


En grec nous avons le mot usité "xopoaTota[ot" (= présence
dans le choeur).
D'ailleurs, une des premières marques de l'ancienne écriture
en chiffres ("'1flELoYPotrptot) de la musique byzantine est appelée
«x.6psu{-L!X.n et était écrite en encre rouge. Selon le hiéromoine
Gabriel (XIV'-XV' siècle), ce nom "provient de sa forme, parce
qu'elle tourne en ronde comme dans une danse, et ensuite retourne
de nouveau, exactement comme le premier du chœur quand il
se trouve en bonne humeur ».
Certains ont cru que le nom de chœur avait été donné à
une partie du temple parce que cet endroit était primitivement
destiné aux évolutions d'un chœur de danseurs (chorus saltan-
tium). A ce point de vue s'oppose le fait que les auteurs ecclé-
siastiques sont d'accord pour reconnaître que le chœur des
églises tire son nom du chorus canzantium ou psallentium, qui
occupait cet endroit de l'église, et non pas d'un chorus saltan-
tiun'z imaginaire.
Indépendamment de ces trois termes liturgiques, le rapport
des paroles du culte chrétien à la danse sacrée nous rappelle
d'une certaine manière la sémantique de l'analyse de la langue
290 EVANGELOS THÈODOROU

de Wittgestein ou l'hennéneutique d'Heidegger et de Jaspers ou


la théorie des signes (sémiologie) du structuralisme.
Dans la liturgie la catégorie de la danse comme entélechie
mystique forme la quaHté et la structure de la manière de s'expri-
mer. Les prières, les hymnes et les icônes rappellent directement
ou indirectement la danse céleste des anges et des élus et invi-
tent à une participation vécue (à cette danse).
Ainsi se fait un mouvement de ce qui se fait (8p"'fLOYOY),
vers ce qui se dit (),oy6fLOYOY), afin que par la suite ce qui se dit
mène vers ce qui se fait. Les expressions liturgiques concernant
les danses des saints, des apôtres, des prophètes, des martyrs etc.
ne sont pas fonnulées par licence poétique, mais elles sont la
mise en forme de la " théologie de la danse» des Pères.
Citons pour preuve quelques exemples. Pour le Pasteur d'Her-
mas la danse des vierges, qui sont des vertus du Fils de Dieu,
fait partie du bonheur céleste. Dans un Martyre d'André, l'apôtre
suspendu à la croix prononce cette prière: "Libère mon corps
pour que mon âme, dansant avec les anges, puisse te louer».
Saint Athanase parle de ceux qui dansent avec les anges. La
Vie de sainte Synclétique donne le titre de danseuses aux âmes
consacrées à Dieu. Grégoire de Nysse mentionne des occasions,
qui préparent pour l'âme une danse harmonieuse. Saint Gré-
goire de Nazianze se réfère au royaume céleste, " dont tous les
habitants se réjouissent et dansent une danse éternelle ». Ils
"chantent des hymnes avec les anges, ils dansent avec les ar-
changes ». Saint Basile mentionne" la danse angélique ». " Dieu
nous a donné des pieds, dit Jean Chrysostome ... , pour nous unir
un jour aux choeurs des anges» (ry", crÛY .xyyéÀOLÇ xopoûcr"'fLOY)_
Dans une homélie du pseudo-f:piphane on lit que l'f:glise
du Christ danse, non figurativement, ni corporellement, mais
spirituellement.
Le pseudo-Denys (début du V' siècle) évoque "le premier
ordre des essences célestes qui se tient en cercle et immédia-
tement autour de Dieu et danse simplement et continuellement
autour de sa science éternelle ». AiIleurs il parle du mouvement
circulaire des intelligences divines qui dansent continuellement
autour du Beau et du Bien. Or l'âme imite la danse des esprits
célestes, quand elle rentre en elle-même pour contempler le
Beau et le Bien, qui dépasse tout, un et le même, sans principe
et sans fin. Cette danse est un thème platonicien. Déjà Platon
LA DANSE DANS LE CULTE CHRÉTIEN 291

representait les âmes contemplant la Beauté en prenant part à


un choeur fortuné.
Dans la Vie de Varlaam et Joasaph, légende d'origine indienne
rédigée par un moine de Saint-Savas (1' moitié du VII' siècle),
l'auteur dit des saints: «Ils ont été sans passion comme les
anges et maintenant ils dansent avec ceux dont ils ont imité
la vie ».
Quelques siècles après, Fra' Angelico (t 1455) peignit à Flo-
rence, dans son Jugement dernier, les anges et les élus qui dan-
sent dans les champs fleuris du paradis en se tenant par la main.
De la réprésentation des danses célestes provient la répré-
sentation des «danses des défunts", qui durant les derniers
siècles du Moyen Age figurent dans l'art.
Cette danse céleste a pour « maître de danse" le Christ lui-
même. Le thème du Logos, qui «semblable à la gazelle ou au
faon des biches" (Cant. 2,9) saute par bonds gigantesques d'Adam
jusqu'à la Vierge, de la crèche au Jourdain, du Jourdain à la
croix et du sépulcre au ciel, puis de l'âme son épouse jusqu'à
Dieu son Père, est un des plus beaux thèmes que nous lisions
dans la patristique. « Il y eut un temps où le chœur des créatures
spirituelles, nous apprend saint Grégoire de Nysse en termes pla-
toniciens, était un, toutes regardant vers l'unique coryphée et
déployant l'harmonie de leurs danses, suivant la mesure donnée
par lui».
Si les Pères de l'Église et les textes liturgiques invitent sou-
vent même la créature matérielle à prendre part à cette danse
mystique, d'autant plus invitent les adorateurs terrestres à
chanter les louanges au Seigneur « en cymbale et en danse ". La
parole des Pères devient parole liturgique dans le discours caté-
chétique de Jean Chrysostome, où on rencontre l'exortation: «Ri-
ches et pauvres dansez les uns avec les autres". La danse est
légitime. Saint Grégoire de Nazianze dit: «S'il te faut danser
comme quelqu'un qui célèbre et aime les fêtes, danse donc, non
de la danse de l'indécente Hérodiade qui causa la mort du Bap-
tiste, mais. de celle de David pour le repos de l'arche ".
Saint Ambroise met l'accent sur le fait que «la danse cor-
porelle en l'honneur de Dieu est considerée comme louable, puis-
que David a dansé devant l'arche du Seigneur". Il « dansa, non
par débauche, mais par religion". Cette danse est l'expression
de 1'« agilité active et religieuse de l'âme et du corpS». Le même
292 EVA.'1GELOS THÈODOROU

Père ajoute: «Nous n'avons pas à rougir de tout ce qui contribue


au culte et à l'honneur du Christ. Il ne s'agit donc pas de la
danse compagne du plaisir ou de la luxure, mais de celle par
laquelle chacun élève un corps actif sans permettre à des membres
paresseux de se poser à terre ou de s'engourdir dans une dé-
marche traînante ».
Ces paroles de Saint Ambroise nous aident à comprendre
pourquoi la danse spirituelle et mystique des adorateurs terrestres
peut être materialisée en une espèce de danse liturgique corpo-
relle lors de grandes émotions vécues. Ainsi, si dans les paroles
nous avons un reflet du «8pc.:)flEVO\l» au ((ÀEY0!J.EVOV», dans la danse
liturgique corporelle nous avons un changement du « À<y6!LEVO" ))
en «3P~!-LE'W'Jl) dans certaines gestes caractéristiques où se mani-
festent certaines formes seulement de la chorégraphie religieuse,
qui ne s'opposent pas à l'essence et aux fins du culte.
La liturgie est considerée comme l'exercice de la fonction
sacerdotale de Jésus Christ. La sanctification offerte par la litur-
gie est une réalité objective, indépendante du sujet dans son
origine: elle est « le salut acquis par le Christ ».
Les fidèles pour accueillir les grâces et les dons divins ont
le droit et le devoir de participer à la liturgie de façon subjec-
tive, consciente, active et fructueuse. Cette participation, qui
exige l'engagement de tout l'homme, ne doit pas être magique,
mécanique et grégaire, mais personnelle et communautaire.
Cela explique pourquoi dans la liturgie n'ont pas été ac-
cepté des mouvements de danse démesurés, provoquant une sorte
d'extase et d'inconscience. Ces mouvements ont cédé leur place
à d'autres postures et gestes, qui font accroître l'humble adora-
tion, la sobriété, la récollection, la veille, l'attention respectueuse,
la componction, le recueillement, la crainte sacrée. A ce point
de vue sont caractéristiques les commandements liturgiques:
«Lo<p:a, 7tp6aX<.t:qJ.E'm. « LorpLa, àp%ab>, (CLTN/-Le:V xlXÀwt;, O"'t'WflEV !.lZ't'à
cp6f3ou». «IIpàç &vocfjÀÉtYOC-rE»; etc.
Ainsi, l'utilisation modérée de la danse sacrée dans le culte
chrétien vise d'une part à l'expression symbolique de l'union des
adorateurs terrestres avec les danseurs célestes et d'autre part à
l'expression des sentiments de joie lors de la réception des dons
divins.
La limitation de l'usage de la danse liturgique terrestre dif-
férencie la liturgie de l'Église catholique non seulement face au
LA DANSE DANS LE CULTE CHRÉTIEN 293

culte des idolâtres, mais aussi face au culte des hérésies judaïques
et chrétiennes; ces hérésies mettaient en avant et avec force la
danse sacrée terrestre.
D'après le témoignage de Philon, les thérapeutes auraient
exécuté dans leurs cérémonies religieuses certains {( mouvements
religieux des bras, des mains et de tout le corps, saisis d'enthou-
siasme, tantôt s'avançant, tantôt s'arrêtant, et, selon le cas, se
tournant ou de la droite à la gauche, ou de la gauche à la droite ».
Il est très probable que les thérapeutes étaient des juifs.
Les juifs, en effet, se livraient volontiers à la danse, notamment
le jour du sabbat. Jean Chrysostome et saint Augustin ont repro·
ché cet usage aux juifs de leur temps.
Les Actes de Jean, composés peu après 150 et influencés par
des doctrines gnostiques, contiennent des allusions à une danse
rituelle.
On lit, en effet, dans le texte grec des Acta Johannis, ces
mots: Jésus" nous réunit tous et nous dit: " ... Chantons un hym·
ne au Père". Ainsi il nous commanda de nous assembler en forme
d'anneu, nous tenant les uns les autres par les mains, et lui,
au milieu, dit: "Répondez-moi Amen". Puis il commença à chan-
ter un hymne et à dire: "Gloire à toi, Père" ». Et dans la suite
de l'hymne il est fait allusion plusieurs fois et plus clairement
encore à une danse rituelle. "La grâce danse en chœur, y est-il
dit; je veux jouer de la flûte, dansez tous. Amen. Je veux me
lamenter, gémissez tous. Amen ... Le douzième nombre danse là-
haut (dans les hauteurs). Amen ... Celui qui ne danse pas ne con-
naît pas ce qui va venir. Amen. Alors joignez·vous à ma danse ...
Toi qui danses, remarque ce que je fais ».
De telles expressions sont de nature à faire supposer qu'une
danse réelle accompagna le chant de cet hymne.
Aussi, les sectateurs de Mélèce de Lycopolis, au début du
IV' siècle, auraient pris l'habitude, au dire de Théodoret, de
chanter des hymnes en dansant, en claquant des mains et en
agitant de nombreuses clochettes.
Saint Augustin signale que les priscilliens chantaient dans
leurs hymnes: ({ Je veux chanter; que tous dansent ensemble. Je
veux claquer des mains; que tous frappent du pied ».
L'Église orthodoxe catholique se servait de la danse sacrée
d'une façon plutôt restreinte. La danse a été pratiquée peu ou
294 EVANGELOS THEODOROü

prou de tout temps, ici ou là, par le peuple ou les clercs qui
manifestaient leur liesse ou leur dévotion jusque dans les nefs
des églises. Les danses rituelles ne se présentent que comme
des coutumes purement locales.
Les exemples de cette danse, qu'on relève occasionnellement,
ont soit plutôt un caractère para-liturgique, soit, rarement, un
caractère liturgique pur et appartiennent organiquement au culte.
Dans certains cas Je caractère liturgique se confond au carac-
tère paraliturgique. Les exemples principaux de ces danses sont
les suivants.
Clément d'Alexandrie oppose à l'initiation des mystères
païens l'initiation aux mystères du Logos en évoquant l'idée d'un
chœur de danse: "Les vierges jouent de la lyre, les angcs glori-
fient, les prophètes parlent, le bruit de la musique se répand,
on accourt au thiase, les élus se hâtent dans leur désir de rece-
voir le Père ... Si tu le veux, toi aussi sois initié et tu danseras
avec les anges autour de ... Dieu, tandis que le Logos de Dieu
s'unira à nos hymnes »,
A côté de cette danse mystérique et symbolique, un autre
texte de Clément dit: "Nous tendons en haut la tête, nous éle-
vons les mains vers le ciel et nous remuons les pieds à la der-
nière modulation de la prière, accompagnant le mouvement de
notre pensée vers l'essence intelligible »,
Après la victoire de Constantin les chrétiens dansaient près
du tombeau des martyrs en leur honneur. Une homélie anonyme
prononcée dans le premier tiers du IV' siécle, à l'anniversaire
du martyre de saint Polyeucte, dit: "Mais qu'offrirons nous au
martyr qui soit digne de lui? Par quelles actions de grâces recon-
naîtrons-nous l'amour qu'il montra pour Dieu? Si vous le
voulez, célébrons en son honneur nos danses accoutumées})
(XopeocrCùIJ.Ev cC\)'t'<9J d 8oxe:i:, 't'O: cruv1je"IJ).
Durant les longues veilles, qui précédaient les fêtes de cer-
tains martyrs ou les grandes solemnités de l'année chrétienne,
et aussi pendant les offices du jour de ces fêtes, le peuple se pel--
mit, en maint endroit, d'exécuter des dances aux abords des
églises ou même dans l'intérieur du lieu saint.
Ces danses furent l'occasion de désordres que Saint Basil
et Saint Augustin ont stigmatisé.
LA DANSE DANS LE CULTE CHRÉTIEN 295

On trouve dans les Quaestiones du pseudo-Justin composées


en Syrie (début V' siècle) une allusion à des chœurs d'enfants
qui chantent et dansent en s'accompagnant de castagnettes.
Théodoret décrit la joie des chrétiens, qui " dansaient dans
les églises et les oratoires des martyrs ».
Il y a une série de textes allant du VI' au IX' siècle par
lesquels les conciles et les évêques ont sans relâche condamné
des danses, qui se rattachaient, sans doute, à de très anciennes
cou turnes religieuses païennes.
Enfin l'Eglise toléra ce qu'elle ne put empêcher et même
accepta des danses religieuses dans les églises au cours de céré-
monies extra-liturgiques, des processions par exemple. Ces cou-
tumes locales et régionales étaient plus répandues au moyen âge
qu'aujourd'hui. En voici quelques exemples:
Jean Beleth, liturgiste du XII' siècle, déclare: "Il y a quatre
danses dans l'église après Noël, celle des lévites, celle des prêtres,
celle des enfants et celle des sous-diacres ».
A Limoges au XVI' siècle, on dansait dans l'église S.-Léonard
pour la fête de S. Martial.
Le rituel de la collégiale de Besançon (1582) donne des dé-
tails sur les danses à interpréter le jour de Pâques, par la foule
et le clergé, soit dans le cloître, soit, en cas de mauvais temps,
à l'intérieur de l'église.
Avant de devenir un motif décoratif, la " danse des morts»
fut mimée dans les églises et les cimetières.
La canonisation de S. Charles Borromée en 1610, celle de
S. Ignace en '1622 furent célébrées au Portugal par de magnifi-
ques ballets.
Au XVII' et au XVIII' siècles on dansait encore, à certaines
fêtes, dans les chapelles de Bretagne.
Jusqu'en 1794, une députation de la ville de Verviers se
rendait à Liège, chaque Mardi de Pentecôte, pour exécuter une
danse dans l'ancienne cathédrale S.-Laurent.
A Auxerre la danse pascale avait lieu dans la nef de la ca-
thédrale autour du labyrinthe dessiné sur le pavé, et les chanoi-
nes y prenaient part.
A la cathédrale de Séville, aujourd'hui encore, la danse des
({ Seises » est une sorte de menuet dansé par six (d'où le nom),
296 EVANGELOS THEODOROU

puis dix enfants de chœur, aux fêtes du S. Sacrement ct de l'Im-


maculée Conception. La cérémonie remonte au moins à 1439,
année ou le pape Eugène IV l'autorisa par une bulle. Les « Sei-
ses» de Séville dansent en s'accompagnant de castagnettes
d'ivoire et en chantant des couplets appropriés à la fête.
L'usage des danses religieuses assez fréquent en Espagne,
s'est également répandu aux Canaries, par exemple, à Ténérife,
ainsi que dans les républiques de l'Amérique du Sud.
Célèbre est aussi jusqu'à nos jours la danse religieuse à
Echternach, au Luxembourg, le Mardi de la Pentecôte. Cette
danse est une curieuse procession rythmique, instituée par S. Wil-
librord. Groupés par paroisses les pèlerins mettent deux heures
à parcourir 1200 mètres en sautant tantôt trois fois en avant et
une fois en arrière, tantôt cinq fois en avant et une fois en
arrière. Les pèlerins d'Echternach dansent au son de la flûte et
des violons en chantant une litanie à S. Willibrord.
Un autre spécimen des danses religieuses au caractère para-
liturgique c'est la danse spontanée de nombreux mystiques, qui
ont manifesté en dansant l'enthousiasme spirituel et la jubila-
tion intérieure.
On a vu dans les couvents les plus sévères de très grands
spirituels «danser leur prière» devant l'autel.
Au Carmel de Dijon la mère et les filles dansaient devant
le S. Sacrement, chantant et frappant des mains selon la ma-
nière des Espagnoles. Elles imitaient st, Thérèse elle-même qui,
à la chapelle d'Avila, dansa ainsi en l'honneur de Dieu en s'accom-
pagnant d'un tambourin.
Des traces de danses paraliturgiques, liées à des fêtes, sont
manifestes aujourd'hui même dans quelques régions de la Grèce.
A Corfu, par exemple, au village Episkepsis, on danse le soir
du dimanche gras (quinquagésime). A cette danse qui est plutôt
une marche lente en rond (aup-ro,), qui suit les «vêpres du par-
don», on n'utilise aucun instrument. De même, les femmes n'y
participent pas. Le groupe de danseurs poursuit le rythme du
chant qui débute par rendre gloire à la Sainte Trinité. Comme
coryphée du chœur se met le prêtre, qui est le premier en an-
cienneté, les autres prêtres suivent, ainsi que les hommes les
plus âgés parmi les habitants. Les danseurs se tiennent la main
dans la main.
LA DAXSE DANS LE CULTE CHRÉTIEN 297

Certaines danses para-liturgiques en Occident ont presque


acquis un caractère liturgique pur, mais seulement pour des ré-
gions et des jours définis. Il ne s'agit pas de danses adoptées
par la pratique liturgique universelle.
Dans la pratique liturgique générale de l'Orient et de l'Occi-
dent on utilise pour le mouvement du corps la procession à la
place de la danse. C'est un cheminement en ordre, une marche
solennelle du clergé et du peuple.
En ce qui concerne les familles liturgiques de l'Orient, les
danses de l'Église éthiopienne et de la liturgie byzantine sont
des danses liturgiques d'un caractère plutôt universel que local.
Le chant liturgique de l'Église éthiopienne s'accompagne non
seulement par le son des instmments musicaux {flûtes, tam-
bours, trompettes, lyres, sistres), mais aussi par des mouvements
de la partie supérieure du corps et des bâtons longs que les
prêtres tiennent. Ces instmments qui sont repris de l'Église-
mère copte, sont utilisés avec un plaisir spécial pour assurer le
rythme des danses des prêtres. Ces danses, qui sont articulées
aux offices de la prière des heures ou même sont utilisées en
plein air pour les grandes fêtes, comprennent des pas lents et
majestueux, accompagnés par des applaudissements, acclama-
tions, battements des pieds et révérences de la part des laïcs qui
assistent. Probablement il s'agit d'une ancienne joie religieuse
de provenance sémitique et d'éléments de l'héritage que l'Église
éthiopienne a repris du Judaïsme.
Dans le rituel liturgique byzantin sont très caractéristiques
les éléments chorégraphiques des danses sacrées qui ont lieu
pendant la célébration des sacrements du baptême et de l'onction
chrismale, de l'ordination et du sacrement du mariage.
Vers la fin de la célébration commune du baptême et de
l'onction chrismale le prêtre avec le baptisé et le parrain ac-
complit une triple ronde autour des fonts baptismaux, pendant
qu'on chante trois fois le chant: «Vous tous, qui avez été bap-
tisés dans le Christ, vous avez revêtu le Christ. Alleluia ».
Syméon de Thessalonique note que le prêtre «forme un
chœur de danse comme s'il dansait avec les anges ».
La danse est aussi ll1anifeste à la cérémonie de l'ordination
du diacre, du presbytre et de l'évêque. Ceux qui sont en train
d'être ordonnés, tenus par la main par des clercs du mêlne rang,
298 EVAKGELOS THÊODOROU
=--------=
accomplissent une danse sacrée autour de l'autel pendant qu'ils
chantent respectivement trois hymnes joyeuses.
La première hymne dit: « Saints martyrs qui avez combattu
vaillamment et avez été couronnés, priez le Seigneur qu'il prenne
nos âmes en pitié ».
La deuxième hymne dit: «Gloire à Vous, Christ Dieu, fierté
des Apôtres, joie des martyrs, qui prêchèrent la Trinité con-
substantielle ".
Le chœur répète, tandis que l'ordinand fait les mêmes céré-
monies que la première fois.
Enfin on fait un troisième tour avec les mêmes cérémonies
pendant que l'on chante, comme plus haut: «Isaïe, tressaillez de
joie; la Vierge a eu dans son sein et a mis au monde un Fils:
Emmanuel, Dieu et homme; Orient est son nom; en L'exaltant
nous glorifions la Vierge".
Syméon de Théssalonique en se référant en premier lieu à
la danse de l'ordination du diacre dit: « Ils font donc une triple
ronde en l'honneur de la Trinité ... On chante le chant des mar-
tyrs, parce que celui qui est emmené (vers le sacerdoce) a aussi
lutté en menant une vie sage, et c'est pour cela qu'il est cou-
ronné. Ainsi l'Eglise invoque les martyrs de participer à la danse
(O"uyzopeu"t"ocç). Mais l'Église glorifie, splendidement et avec raison,
le Christ qui est le maître des cérémonies, joie des apôtres et des
martyrs, parce que c'est lui le chef et la cause de la victoire et des
couronnes, étant mort pour nous et exalté par sa victoire. Mais il
faut aussi proclamer la consubstantialité de ·la Trinité. Voilà
quelle est en effet l'allégresse et la joie du chœur des célébrants
dans les cieux, et surtout lors de la consécration d'un homme
saint et serviteur des cieux ("t"wv &vw). Durant la triple danse les
anges mêmes dansent avec nous, se réjouissant plus que nous,
parce qu'en ce qui concerne le savoir ils l'enlportent sur nous »,
Syméon, en se référant ensuite à la danse de l'ordination
du prêtre et de l'évêque, insiste de nouveau sur le fait qu'il s'agit
d'« un chœur de danse sacrée d'anges et de prêtres », «d'une
danse divine ... accompagnée de la mélodie de ceux qui célèbrent
cette fête en Esprit et qui font appel aux martyrs pour danser
avec nous ».
Les cérémonies du sacrement du mariage comportent aussi
une sorte de danse liturgique et nuptiale. Les époux ayant trempé
leurs lèvres à la même coupe bénite de vin et d'eau, le prêtre
LA DANSE DANS LE CULTE CHRÉTIEN 299

conduit la danse. Il les prend par la main et tourne avec eux


trois fois autour de la table ou devant la porte sainte, tandis
que les paranymphes tiennent les couronnes au-dessus de la tête
des époux et que le chœur chante les mêmes trois trop aires qui
sont chantés aux offices de l'ordination, avec la seule différence
que le troisième trop aire est chanté id comme premier.
De même, durant l'office même du mariage, comme il le
note Syméon de Thessalonique, le prêtre « en formant un chœur
de danse, chante avec ceux qui chantent, se réjouissant dans le
Christ ".
Syméon de Thessalonique n'est pas le seul; plusieurs autres
rituels grecs lnanuscrits signalent que dans tous ces cas men-
tionnés il s'agit d'une danse liturgique visible. Cette danse sym-
bolique et allégorique possède des éléments purement choré-
graphiques, puisque ceux qui y participent ne tiennent plus en
place: ils marchent, ils vont, ils viennent, gesticulent, s'arrêtent,
repartent, tournent et retournent. Le corps entier coopère à
l'expression du sentiment qui remplit l'âme.
De tout ce qui a été dit, on peut en conclure sans conteste,
que la famille liturgique byzantine, s'accordant plus ou moins
aux autres familles liturgiques, a cru légitime d'adopter non pas
au centre mais en marge de la vie liturgique, certains gestes
seulement de la danse sacrée, qui symbolisent la danse céleste et
spirituelle; par contre cette danse céleste, comme nous le voyons
par les paroles de la liturgie, est au centre du culte de l'Église.

prof. Dr. Evangelos THEODORou


Professeur de la Faculté de Théologie
dans l'Université d'Athènes (Grèce)

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Les textes liturgiques de l'Église orthodoxe grècquc.
L'EUCOLOGIE AMBROSIENNE DANS LA STRUCTURE DU NOUVEAU
MISSEL DE LA "SANCTA ECCLESIA MEDIOLANENSIS»'

La « Sainte Église de Milan" 1 dans le sillage de son vieux


et vénérable Rit Ambrosien' possède depuis avril 1976 le Missel
réformé suivant les dispositions du Concile Vatican II '. En effet,
avec le Décret de Promulgation du Missel Ambrosien (11 avril
1976) 'l'Archevêque de Milan, le Cardinal Colombo, livra à l'Archi-
diocèse ce premier fruit fondamental de la Réforme liturgique
de l'Église Milanaise, réforme liturgique conduite dans le sillon
de ses traditions vivantes selon l'esprit et les principes de la
Constitution « Sacrosanctum Concilium » et en conformité avec
les orientations précédemment indiquées par l'Archevêque lui-
même ii •
Devant cette donnée de fait, vraiment remarquable à divers
points de vue, nous attirons l'attention avant tout sur ({ l'événe-
ment" constitué par le fait qu'une Église locale possède un Mis-
sel tout à fait spécifique, et par ce moyen, dans l'ensemble de
l'Église universelle, elle peut s'exprimer avec des modalités ex-

* Messale Ambrosiano secondo il Rita della Santa Chiesa di Milano. Rifor-


mata a l10rma dei Decreti deI Concilia Vaticano Il. Promulgato dai signar Cm"-
dinale Giovanni Colombo Arcivescovo di Milana, 2 voIl. (Milano 1976) [== NMA:
1 \'01. pp.LXVIII + 864: II \'oL pp. XXIV + 1028].
l Cette expression très significative se trouve aussi dans la dernière édition
latine du Missel Ambrosien: dr. Missale Ambrosianwn il/xia Ritum SaJ1Ctae
Ecclesiae Mediolanensis - Editio quinta post Typicam (Mcdiolani 1954).
2 «La graphie rite doit être réservée à une fonction sacrée particulière
(p. ex.: rite du mariage, rite de la consécration, etc.), alors que la graphie rit
désignera une famille liturgique par opposition à une autre (p. ex. le rit romain,
le dt gallican, le rit ambrosien, etc.) »: C. VOGEL, Introduction at/x sources de
l'histoire du culle chrétien au Moyen Age (Spoleto 1966) 101 note 1. On comprend
mieux que dans le rit ambrosien il y ait plusieurs rites: tandis que lit veut
dire aussi autonomie ecclésiale, droit canonique particulier, etc. Il faut corriger
la faute typographique dans notre précédente contribution à la note 1 de la
page 290 des Actes de la xxn~ Semaine d'Etudes Liturgiques sur la Liturgie de
['Eglise particulière et liturgie de l'Eglise 1lI1iverscllc (Roma 1976). On doit lire
à la fin de la note: «dans le rit ambrosien il v a des riles ambrosiens Jo.
3 Cfr. Enchiridioll DocwncJ1to/"wn il1stallr{lti011i~ litugicae 1 (1963-1973)
(Torino 1976) 10co debito .
.. Cfr. NMA I, pp. V-VII: «A tutto il Clero e il Popolo Ambrosiano". Aussi
dans: Ambrosius 52 (1976) 73·76.
5 Cfr. I. (= Inos) BIFFl, La rifonna del rito ambrosiallo nel pellsieru e l1elle
âirettive dcll'arcivescovo Cardo Giovanni Colombo, dans: Ambrosius 52 (1976)
337-353: IDEM, DOcUmellti e intervemi del Cardo Arciv. Giovanni Colombo sul
rito ambrosiano, dans: Ambrosius 52 (1976) 353-354.
302 ACHlLLE M. TRIACCA

pressives-liturgiques particulières. En d'autres termes, on a


là un exemple et une solution concrète au problème, souvent dé-
battu aujourd'hui, du rapport entre Liturgie de l'Église particu-
lière et Liturgie de l'Église Universelle '.
La « Sainte Église de Milan" continue à être, dans l'Occident
chrétien, une bannière élevÉe audessus des Églises particulières,
un heureux amalgame, doué d'une dynamique permanente vers
l'unité ecclésiale, c'est-à-dire vers J'« Ecclesia Princeps ", et d'une
intense activité apostolique, dans le cadre d'une décentralisation
équilibrée et bien comprise. Une telle décentralisation, en sym-
biose avec l'adaptation aux caractères des peuples, toutes les
deux souhaitées par le Concile Vatican II et en partie déjà
étendues officialement à tout le Rit Romain', ont bien com-
mencé avec le nouveau Missel Ambrosien à s'actualiser dans les
limites du Rit ambrosien. Pour cela, en nous inspirant encore
des paroles du Décret de Promulgation déjà citées', nous con-
venons aussi que la conservation et la rénovation de la liturgie
ambrosienne est un acte de fidélité et d'amour envers l'Église
ambrosienne au-delà d'un devoir d'obéissance aux directives du
Concile '. Pour que la fidélité et l'amour deviennent une réalité
agissante, il faut faire fructifier le précieux trésor qu'est le nou-
veau Missel Ambrosien ".
Comme ultérieure n petite contribution, de notre part, à
l'étude et à la valorisation de cette nouvelle source liturgique,
dans le cadre du thème de cette semaine d'études liturgiques,

6 Cfr. les Actes des «Conférences Saint-Serge, XXIIe Semaine d'Etudes


Liturgiques. Paris, 30 juin-3 juillet 1975 Il: Liturgie de l'Eglise particulière et
liturgie de l'Eglise universelle (Roma 1976); et aussi A. M. TRIACCA, Chiesa locale
(' litllrgia. Linee metodo!ogic11e f1llltuate dalla Cristologia, dans: Rivista Liturgica
59 (1972) J08-121.
î Cfr. A. CUYA, DocwnenLcaione liturgica di Wl decenllio (4 dicembre 1963-
2 dicernbre 1973), dans: Salesiallum 36 (1974) 117-130; F_ DELL'ORO, J documenti
della rifarma lilurgica deI Vaticano II (1963-1973). Elenco crol1ologico con biblio-
grafia, dans: Rivisla Litllrgica 61 (1974) 102-163.
a CfI'. NMA l, p. V.
9 Cfr. G. (=: Giacomo) BIFFI, La ri/arma deI rito ambrosimw alla luce dei
Concilio ValicaJlO lI, dans: Ambrosius 52 (1976) 77-80.
10 Pour réaliser l'étude et la valorisation du nouveau Missel Ambrosien on
a tenu à Milan un congrès sur ce sujet: «Il Nuovo Messaie Ambrosial1o » (28-30
sett. 1976). Cfr. les Actes du Congrès chez le «Centro ArnbrosiaHo di Dacumen-
lazialle e SIl/di Religiasi" - Milano, Piazza Fontana 2. Cfr. note 29 et aussi A.
M,\SCHERONI, La «Tl'e giorni litllrgica" SLll I1ltoVV Messale Ambrvsial1o, dans:
Ambrosius 52 (1976) 425-427.
11 C.-à-d. le travail: A. M. TRl.\CCA, «Maler omnium vil'elltiwn". Contributv
metodologico ad rlna ecclesiologia lilllrgica dal l1UOVO Messale Ambrosial1v,
dans: III Ecclesia (Roma 1977) 353-383.
L'EUCOLOGIE DANS LE NOUVEAU :MISSEL AMBROSIEN 303

après avoir rappelé la genèse du nouveau Missel Ambrosien, nous


en présenterons la structure, les principes de revision avec une
référence spéciale à l'Eucologie et nous conclurons notre exposé
par une évaluation ou appréciation critique en relation avec les
centres d'intérêts divers.

1. BREF EXPOSÉ DE LA GENÈSE DU NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN

Pour tracer de façon synthétique la formation du nouveau


Missel Ambrosien il est suffisant de reparcourir les interventions
officielles ou publiques du Cardinal Colombo" entre le 28 février
1967, date du grand discours qu'il prononça à la seconde session
plénière du Synode XLVI", et le jeudi saint 15 avril 1976, date
du sermon de la Messe Chrismale au cours de laquelle il confia
à ses prêtres le nouveau Missel Ambrosien désormais réalisé 14.
Le chemin de ces années de traval! épuisant peut se résumer dans
les étapes suivantes:
1. Conscience de l'autonomie liturgique ambrosienne
troublée par des indécisions de types variés;
2. « Conserver et rénover}) sur la base d'une créativité or-
donnée.
Ces deux étapes furent couronnées par le succès du premier
fruit fondamental de la réforme liturgique: le Missel.
Voyons brièvement ces deux étapes.

1. Conscience de l'autonomie liturgique amb1"Osienne troublée


par des indécisions de types différents
Il est sans doute important d'attirer l'attention sur une don-
née de fait qui a été toujours présente, même en ces années post-
conciliaires, dans la vitalité de l'Archidiocèse de Milan, c'est-à-
dire la responsabilité pas facile par rapport à une expression
significative et à une tradition documentée telles qu'on retrouve
dans la liturgie ambrosienne. Cela se traduit par un sens aigu
de la responsabilité face à l'histoire et à l'Église, concernant une
éventuelle suppression de la liturgie ambrosienne, et cela se
transforma en une prise de conscience, toujours plus réfléchie,

12 Cfr. les articles cités à la note S.


13 Cfr. Rivista Diocesana Milanese 55 (1967) 310-311.
14 Cfr. Rivista DivcesmIa Milanese 67 (1976) 410-411.
304 ACHILLE M. TRIACCA

que l'autonomie de l'Église Ambrosienne n'est ni une extrava-


gance improvisée, ni une obstination du type archéologique, ni
une autocéphalie excentrique, par rapport au monde liturgique
occidental, mais un événen1ent ecclésial de première importance.
En effet, la survivance d'une liturgie particulière est une oeuvre
ecclésiale qui réalise, en soi, l'union de la volonté conservatrice
à la volonté rénovatrice, union qui est propre à l'Église, placée
dans le monde pour transmettre le "Depositum Fidei» en le
développant et en l'approfondissant, tout en l'adaptant aux hom-
mes auxquels il est destiné selon le génie, le caractère et les
conditions culturelles d'un peuple particulier ". Cette conscience,
après la promulgation de la Constitution" Sacrosanctum Con-
cilium », et en général avec la clôture du Concile Vatican II, au
niveau de l'Archidiocèse de Milan progressa lentement en sur-
montant un tas d'objections théoriques et d'indécisions sur le
plan pratique.
Les objections théoriques de nature différente peuvent se
résumer ainsi: la réfornle conciliaire n'entend pas créer une nou-
velle liturgie ni romaine ni ambrosienne; la conviction que la
liturgie ambrosienne n'a plus de motifs d'exister parce que la
mentalité et la spiritualité ambrosienne ne peuvent pas être si
diverses de celles des autres diocèses d'Italie au point d'exiger
une expression liturgique particulière; l'illusion que la liturgie
ambrosienne est un encombrement archéologique ou un obstacle
inutile à la participation liturgique d'une population désormais
hétérogène.

15 G. BIFFJ dans l'article cité à la note 9 écrit (p. 79): t(Ma c'è qui da
guardarsi dalla lel'ltazione di mettcl"si a Cè!rcare l'esscnza metafisica del rito; 0
di indidduarc le idee dominanti; 0 di ri cenere elle, direttamcnte e primaria·
mente, il rita sia in dipelldellW assolllta e imprescindibile dall'indole 0 dalle
cundizioni culwrali e sociologiche dei pO]Jolo che la usa» (l'italique est de
nous). Au contraire E. G..\LBIATI, dans la même revue Ambrosius 52 (1976) 475-476,
écrit: « Invece la tradizionc ambrosiana è caratterizzata daUa relativa abbon-
danza di tali composizioni, nelle Quali vediamo es pressa Quella tendenza all'entu-
siasmo 0 alla commozionc che notiamo anche nelle meJodie tipicamente am-
brosianc e nell'enfasi di certi nostri prefazL Questa tendenza è in se stessa
sana, purché mantcnuta entro giusti limiti, ed in annonia con le esigenzc di
un rito particolarc, che rispecchia l'indole di una dcterminata popolazione». En
dfet 1. BlFFl, La rifonl1(l dei rira ambrosiano ... , D.C. (à la note 5), 345 écrit
en syntonie avec la pensée du Cardo G. Colombo: «Il significato e la rilevanza
della Chiesa particolare, esaltati dal Concilia c oggi fortemente sentiti dalla
comunità cristiana, ranna da fondamenta e da contesta alla giustificazione di
un rito particolare: esso, cclebrando con forme e accenti propri l'Unico Mistero
di salvezza, esprirne COll migliol" adeguateua la vita e la spiritualità di un
popotO» {l'italique est de nous!). Quot capita, tot sententiae. Voir aussi CÎ-
dessous note 73.
L'EUCOLOGIE DANS LE NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN 305

Ces objections théoriques se fortifiaient par d'objections pra-


tico-opérati"es que l'on peut ainsi résumer: recherche de faciles
accommodements en marge de la liturgie romaine; force d'inertie
qui se cache malheureusement dans l'ensemble de l'occident litur-
gique; difficultés économiques pour avoir des livres liturgiques
et des subsides catéchético-pastoraux liturgiques particuliers;
l'absurdité qui naît du fait qu'à l'époque contemporaine, carac-
térisée par des migrations continuelles, la diversité d'une liturgie
comporte une certaine insuffisance pastorale; nouvelles exigen-
ces de la civilisation industrielle - laquelle, avec le tourisme,
mélange et confond les masses de fidèles - optent pour l'aboli-
tion de la liturgie ambrosienne.
Il y a les « années d'incertitude)} lB qui sont, d'une certaine
façon, brisées par le Cardinal Colombo dans son discours à la
seconde session plénière du Synode XLVI le 28 février 1967 17 •
La pensée du Cardinal peut se résumer dans une proposition
ferme et irrévocable: " Le Rit Ambrosien est une richesse de notre
tradition, que, à aucun prix, nous ne voudrions perdre »; dans
une règle d'or: « conserver et vivifier avec une conscience amou-
reuse et jalouse toutes les valeurs naturelles de notre Rit: parce
qu'ainsi le veut l'esprit du Concile, parce que le Rit Ambrosien
appartient au précieux patrimoine de l'Église et peut être encore
un jour très utile, comme déjà il l'a été récemment par les
lumineuses inspirations... dérivées de notre Rit pour la Réno-
vation liturgique »; dans un compromis tactique: "aucune diffé-
rence inutile par rapport au Rit romain dans le lectionnaire,
dans le dialogue liturgique, dans les rites et dans les chants n'est
rigoureusement demandée par la nature du Rit ambrosien ».
En effet, déjà, par cette intervention, l'importance de l'Euco-
logie est exposée avec la note caractérisant l'avenir de la litur-
gie ambrosienne. La " parole liturgique» s'élève une fois de plus
non seu1ement au nl0yen de la transmission des contenus, mais
aussi à note caractérisa11t et déterminant le ({ specificum » d'une
tradition liturgique.

16 L'expression est du Cardo Colombo: « Dopa annÎ di atlesa, di incertezze,


di assiduo lavoro il rinno\'ato Messale Ambrosiano oggi è una realtà". Cfr.
Cardo G. COLOMBO, La comutlione sacerdotale (Discorso alla Messa crismale, 15
aprile 1976), dans: Rivista Diocesana Milanese 67 (1976) 410411 (la citation à la
page 410).
17 Cff. Rivista Diocesana MilUllese 55 (1967) 310-311.
306 ACHILLE M. TRIACCA

2. «Conserver et rénover ) sur la base d'u.ne créativité ordonnée

On peut dire que la genèse et l'articulation du nouveau Mis-


sel Ambrosien autant que Je projet et l'exécution de la réforme
liturgique ambrosienne sc sont enrichis et ont été scandés (c de
facto" par les interventions autorisées du Cardinal Giovanni
Colombo. En 1970 18 on en énumère quatre parmi les plus signifi-
catives et décisives:
1. Le compte rendu de l'entrevue avec le Saint Père Paul VI
(11 avril 1970) ".
2. La conférence, si significative pour la nouvelle liturgie
ambrosienne, tenue à]'" Ambrosianeum " sur le thème: Aspects
et problèmes pastoraux de l'Église Milanaise (12 mai 1970)".
3. La communication au Conseil Presbytéral (26 mai
1970)".
4. La lettre au clergé et au peuple ambrosien: "Conserver
et rénover le Rit Ambrosien" (21 novembre 1970)", que nous
n'hésitons pas à définir comme la "Magna Charta" de la nou-
velle liturgie ambrosienne.
De ces interventions se dégagent: une constatation; peu mais
de solides principes; une" volonté de fer" pour traduire dans la
pratique ce qu'on entrevoit comme extrêmement utile pour la
vitalité de l'Archidiocèse.

18 Le Cardo G. Colombo, en l'année 1969, avait déjà donné une réponse


significative (18 janvier) à une interpellation du «Consiglio Presbiteralc» sur
la question de la liturgie ambrosienne. Cfr. Rivisla Diocesana Milanese 58
(1970) 156.
19 Cfr. Notiziario per il Clero AmbrosÏano II nr. 3 (2 maggio 1970) 4-5,
où on lit: «Padre Santo, che casa dobhiamo pensare deI n05tro rito ambro-
siano - demandait le Cardinal - a Lei una volta e ancora tanto caro, in
quest'epoca di rinnovamento liturgico?).>.
« Rinnovamento - répondait le Pape - non livellamento. Il rito ambrosiano
puà e deve continuarc. Si segua questa norma: adeguarsi senza uniformarsi.
L'uniformismo sarebbe un impoverire la Chiesa, contrario alla lettera e allo
spirito deI Concilio. Amate e fate amare, comprendete c fate comprendcre,
vivete e fate vivere cià che il rito ambrosiano porta di veramente caratteri-
stico, capace di illuminare ccrti aspetti della verità divina e di alimentare una
fertile spiritualità. La vitalità deI rito ambrosiano ha giovato molto in passato
e gioverà ancora per llavvenire non solo alla diocesi milanese, ma alla Chiesa
universale )}.
20 Cfr. Ambrosius 46 (1970) 271·276.
21 Cfr. Rivista Diocesana Milanese 58 (1970) 652.
22 Cfr. Rivista Diocesana Milanese 58 (1970) 736·740; aussi dans: Ambrosius
47 (1971) 75-79.
I:EUCOLOGIÈ DA>1S LE NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN 307
---

(a) La constatation:
Les raisons alléguées pour la suppression du Rit ambrosien,
une fois confrontées avec celles qui militent pour sa conserva-
tion et son développement, apparaissent faibles et fragiles.

(b) Peu mais de solides principes:


- Le Rit ambrosien renferme tant de valeurs que cela justi-
fie son existence dans l'Église d'aujourd'hui pour laquelle il doit
se conse1"ver, non pas jusqu'au point de ne plus s'agrandir; il
doit même se rénover, mais non pas jusqu'au point de se fal-
sifier.
Son maintien sera assez utile au sain pluralisme liturgi-
que dont le Concile Vatican II s'est fait le promoteur par un
juste esprit de liberté et d'oecun1.énÎsn1e 22 bis •
- Se confornler sans s'uniformiser; l'uniformité serait un
appauvrissement inconsidéré. Donc, une rénovation sans nivelle-
ment, faute de ne savoir pas distinguer dans la liturgie ambro-
sienne ce qui est essentiel, authentique, permanent de ce qui est
secondaire, superstructurel et caduc.
- C'est nécessaire: une vive intelligence, une créativité or-
donnée.

(c) Une" volonté de fer" de traduire la théorie dans la pratique.


A cet effet, un comité fut constitué pour la réforme et le
développement du Rit ambrosien. Il faillit à sa tâche en restant
inactif 2::1. On prépara ensuite les « essais» du Missel réformé

22bis Par rapport au contexte oecumemque très significative est l'expres-


sion du Cardo G. COLOMBO: «Roma ci guarda e ci incoraggia. Ci guardano anehe
parecchie eomunità ortodosse, trattenute dall'a\'vkinarsi a Roma dal timore
di perdere le loro peculiari tradizioni liturgiehe; la sopravvivenza e la feeon-
dità deI nostro rito potrebbe essere pel' loro un motiva di fiducia)J. Cfr. Rivista
Diocesana Milanese 61 (1973) 738.
23 On attend l'histoire du Comité pour la réstauration de la liturgie
ambrosienne. Cfr. 1. BIFFT, D.C., à la note 5, où le grand médiéviste à la page
343 parle de «cffimeru comitato »: « Ottesto Comitato avrà una vita molto
breve, passerà come una meteora nel cielo della Chiesa milanese ». La vérité
rougit, quand l'on enfouit. Sur le même sujet du Comité, le Cardinal a dit
avec esprit: « Il carro .non procedcva più, che casa potevo ragionevolmente
fare se non scende~'e e tare da solo qualche tratto di strada, come una privata
esperienza esploratlva? ». Cfr. Rit'ista Diocesal1a Milanese 60 (1972) 184.
308 ACHILLE M. TRIACCA

pour les formulaires du Carême et de Pâques" avec un lection-


naire s'y rapportant 25, Ces ({ essais» firent leur chenlin. Ils plu-
rent parce qu'ils se révélèrent fonctionnels, vivants, adaptés au
temps, sans être pourtant récalcitrants au passé. Ils s'y coulè-
rent les éléments naturels et caractéristiques de la liturgie am-
brosienne en syntonie avec les aspects doctrinaux et spirituels
poursuivis par l'Église universelle, sans rupture de l'harmonie
liturgique nécessaire avec l'Église Italienne de notre temps.
Ensuite commencèrent des « années de travail assidu)} 26,
Ceux qui travaillent au Missel ambrosien en s'inspirant de la
«Magna Charta" de la réforme liturgique ambrosienne cher-
cheront à conserver en rénovant et à rénover en conservant.
Les interventions ultérieures du Cardinal de Milan (on en
compte au moins douze) 27 porteront sur la vivification amou-
reuse de la tradition pérenne purifiée des particularités qui ne
sont pas sérieusement justifiées à la lumière de la science litur-
gique. Les années de travail assidu devinrent aussi des « années
d'attente}) 28, qui ne sont pas encore achevées parce que, pour le
moment, on ne possède que le seul texte italien et on attend de
partout, et pour plusieurs motifs, le texte latin officiel".
Quant aux mérites du nouveau Missel Ambrosien, le Cardi-
nal lui-même en a dressé la liste dans le sermon de la Messe
Chrismale du 15 avril 1976: «Riche dans son Euc%gie et dans

24 Cfr. Missale Ambrosianlllll ab Hebdomada 1 Quadragesimae tlsque ad


Oclavam Paschae (s. L [= Mediolani], s. d. [= 1972!]) pp. 169. Cfr. Decreta
sul Messale Ambrosiano della QlIaI'esima e della Pasqua ad experimelltum
(7-2-1972), dans: Rivista DioCèsana Milal1ese 60 (1972) 87_
25 Cfr. E. G.\l.BIATI, Il nuovo Zezionario ambrosiano deZ tempo qUafesimaZe
e pasquale, dans: Ambrosius 48 (1972) 32-39. Cc livre «ad experimentum» pour
les lectures liturgiques serait repris dans: Lezionario Ambrasiano. Edito per
ordine dei Sig. Cardinale Giovanni Colombo Arcivescovo di Milana (Milano
1976), pp. XX + 804, toujours «ad experimentum ».
26 Cfr. la note 16.
27 Cfr. la liste des interventions du Cardinal dans: I. BIFFI, Documenti
e interventi deZ Carll. Arciv. Giovanni Colombo sul 1'i!O ambrosiano, dans:
Ambrosius 52 (1976) 353-354.
28 Cfr_ la note 16.
29 Le même Cardo G. Colombo a dit (28 sepL 1976): «E' nei nostri pro-
grammi anche l'edizione latina deI messale rinnovato. Essa ci è continuamente
richiesta da singoli studiosi e da centri di ricerche liturgiche sia in patrla
che aU'estero. Noi confidiamo che anche i nostri sacerdoti abbiano il desiderio
di avere tra mana il testo originale per farIo oggetto di una meditazione assi~
dua e di un frequcnte raffronto con la traduzione italiana e cosi acquisire
una miglior cognizione pel" una sem pre più degna celebrazione della Messa ».
Card_ G. COLOMBO, Il ril1l1OVameHto della Lirurgia Ambrosiana », dans: AA.VV.,
Il Nt/ovo Messale. Arti della «3 giorni» 28-29-30 seltembre 1976 (Milano 1976)
8-12. La citation aux pages 10·11. Cfr_ la note 10.
L'EUCOLOGIE DANS LE NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN 309

ses chants, fidèle au respect passionné et raisonnable de notre


tradition, attentif à la réalité concrète d'aujourd'hui dans la-
quelle vit notre peuple, pratique dans sa structure, digne dans
sa présentation typographique. Ce Missel deviendra vite la plus
féconde source d'inspirations pour le zèle des pasteurs ambro-
siens, pour la piété de tous les fidèles, et nous sommes certains
qu'à partir de ce moment il sera moyen irremplaçable de commu-
nion sacerdotale" ". En outre, dans le Décret de Promulgation
du Missel lui-même, en formulant un souhait polyédrique, il met
en relief d'autres prérogatives et mérites du nouveau Missel Am-
brosien, tels que d'être guide et soutien de la célébration des
mystères de la rédemption par l'aliment vigorisant de la foi,
modèle et «expression vive de la commune piété liturgique;
source de l'inspiration la plus incisive pour la catéchèse de la
communauté chrétienne)} 31.
La survivance de la liturgie ambrosienne, fruit d'une grande
vitalité dans le cours des siècles, apparaît chargée d'une pro-
fonde signification. C'est sur la signification particulière du nou-
veau Missel Ambrosien, dont la caractéristique est l'Eucologie,
que nous voulons porter notre attention après avoir esquissé sa
structure.

II. LA STRUCTURE DU NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN 32

Qui aborde les deux volumes du nouveau Missel Ambrosien,


comptant près de 2000 pages (1984, pour être précis) et se
met à les parcourir même de façon sommaire, s'aperçoit
que la structure du nouveau Missel Ambrosien, du point de vue
externe, est semblable, substantiellement, à l'actuel Missel Romain
dans sa deuxième édition ". Cependant sa partition en deux

3(\ Cfr. La COJnunione sacerdotale. DiscVI"SD aUa Messa crismale (154-1976),


dans: Rivista Diocesana MilQ/lcse 67 (l976) 410-411.
31 Ch". NMA l, p. VU; et aussi dans: Ambrosius 52 (1976) 75.
32 On a déjà traité de la structure du nouveau Missel Ambrosien. Cfr.
P. BIZZ. \RRl, La struttura generafe del mwvo messale ambrosiano, dans: Ambro-
sius 52 (l976) 1OQ..127. Et aussi A. Dt;l\·[AS, II IlUOVO Messale Ambrosiano nella
liturgia latina, dans: Il 11tfOVO Messale Ambrosiano ... D.C. (à la note 29), 53-61,
spécialement 57ss. (= Il Messale Ambrosiano: stmttura, contel'luto e valori in
rappC'rto al Messaie Romallo). Aussi dans: Ambrosius 52 (1976) 428-436, spécia-
lement 432ss.
33 C.-à-d.: Missale Rvmanul/1 ex clecrero Sacrosancti OecU/nenici Concilii
Fatical1i Il instauralwn AlU..'toritate Pal/li PP. VI prulnlligatum _ Editio Typica
310 /\CHILLE M. TRIACCA

volumes, le soin typographique ", l'emploi d'ornements typogra-


phiques comme les enluminures 35, les faux-titres, etc. le redent
déjà notablement différent du Missel Romain. Par rapport à ce
dernier, s'ils ont les mênles sections de messes, avec les mêmes
dénominations, ils ont aussi des variantes, à savoir:
(1) La succession dans le Missel Romain est: Propre du
Temps, Rite de la Messe, Propre des Saints.
La succession dans le Missel Ambrosien: Propre du Temps,
Propre des Saints, Rite de la Messe.
(2) Le nombre de formulaires par section est toujours su-
périeur dans le Missel Ambrosien, lequel - ce qui a déjà été
mis en relief par d'autres études - en possède de plus signi-
ficatifs et qui collent à l'aujourd'hui ecclésial et toujours avec
une tonalité et des particularités propres ".
(3) Le début du Propre des Saints est dans le Missel Am-
brosien aussi divers que dans le Missel Romain 37.
(4) L'Ordinaire de la Messe, d'une part, s'est remarquable-
ment confondu avec celui romain et, d'autre part, possède en-
core son « specificum » 38.
(5) En ce qui concerne le Missel Romain, il faut sc souve-
nir que les préfaces ne sont pas toutes regroupées dans l'Ordi-
naire, mais en principe chaque messe a sa préface parmi les
parties eucologiques.
Donc pour la structure externe du Missel Ambrosien se vé-
rifie ce qu'ailleurs nous avons appelé la progressive romanisation
de la liturgie ambrosienne JO. Pour ce gui se rapporte davantage

altera (Typis Polyglottis Vaticani~ 1975) [== MR2]. Cfr. De editione T)'pica altera
Missalis Romani et Graduolis Simplicis, dans: Notitiae Il (1975) 290-337.
34 En vérité la beauté typographique n'a son parallèle dans la précision
typographique, c.-à-d. qu'il y a des coquilles parfois graves.
35 Cfr. E. T. MONETA C.'\GLlO, Le milliatllre dei /Il.WVU mcssale ambrosia-
1/0 (1) {Il), dans: .4mbrosius 52 (1976) 214-230; 294-309.
36 Cfr. 1. BTFFI, Messe per «varie necessità» proprie dei ,movo messale
ambrosiano (I) (Tl), dans: Ambrosius 52 (1976) 165-183; 249-265; P. BazARRI, Messe
dei defunti l1el 11110VV messaie ambrosianu {I) {11), dans: Ambrosius 52 (1976)
183-202; 266-293.
37 Cfr. P. BTZZ.-\RRT, Q.C. Cà la note 32), 114-118 (= Proprio dei Sauti; COl1lwze
dei Santi).
38 Cfr. E. T. MONETA C\GLTO, Irmovazione lleU'Ordinario della Messtl, dans:
Ambrosius 52 (1976) 128-141.
39 Cfr. A. M. TRIACCA, Li/urgie ambrosienne: Amalgame hétérogène ou "spe-
cificum" infltœnt? Flux, reflux, influences, dans: Liturgie de l'Eglise particulière
L'EUCOLOGIÈ DANS LE NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN 311

à la structure interne, alors les caractéristiques les plus remar-


quables sont à chercher dans cette ébauche de liste:
1. La durée de l'Avent maintenue à six semaines et le
début du Carême maintenu au premier dimanche de Carême,
font varier aussi le temps {( per annum }) par rapport au Missel
Romain 40.
2. La présence de six anaphores ou prières eucharisti-
ques H. En effet les prières eucharistiques du Jeudi Saint et de
la Vigile Pascale de l'antique tradition ambrosienne sont mises
en évidence à part dans le secteur des anaphores. Leur usage
est étendu à d'autres messes ou circonstances particulières 42.
3. La création de nombreux textes eucologiques (ou for-
mulaires internes ou oraisons particulières) dans tous les grou-
pes de messes font du nouveau Missel Ambrosien un Missel ori-
ginal, harmonieux, riche et autonome. On en compte environ
2500, pratiquement un millier de plus que dans le Missel Romain.
On comprend que la caractéristique la plus saillante du nouveau
Missel Ambrosien se réduit à son eucoJogie.
4. Cette caractéristique de l'eucologie ambrosienne,
augmentée soit quantitativement, soit - nous pouvons le sou-
tenir - qualitativement par rapport au Rit romain, se retrouve
aussi dans chaque formulaire particulier de messe. Chaque for-
mulaire ambrosien du point de vue soit structurel externe soit
du caractère interne est plus riche que le formulaire romain.

et liturgie de l'Eglise universelle. Conférences Saint-Serge, XXIIe Sem,;ine


d'Etudes Liturgiques. Paris, 30 juin-3 juillet 1975 (Roma 1976) 289-327, spécIale-
ment 316-319 (= De la stabilisation rituelle à la romanisation progressive et
forcée). .
40 Cfr. I. BIFFI, Avvento ambrosiano: escatologia e speranza della Chfesa,
dans: Ambrosius 52 (1976) 355-372; IDEM, Liturgia natalizia ambrosiana: teologia
ed esperienza della nascila di Cristo, dans: Ambrosiu$ 52 (1976) 436463; IDEM,
La Quaresima ambrosiana: 1lI1 caml11ino verso la Pasqua (1) (11), dans: Ambro-
sius 53 (1977) 65-80; 135-150 .
.Jl Cfr. NMA l, 337-377; II, 497-537.
42 Pour la prière eucharistique V, les rubôques (1. d.) disent: <l Questa pre-
crhicra eucaristica si deyc usare nella messa vespertina "Nella cena deI Signore";
;i pub anche usare nelle messe che hanna come temail mistero dell'Eucaristia,
nelle ardinazioni, negli annivcrsari sacerdotali e nelle riunioni sacerdotali. In
questa prcghiera cucaristica non si puo inserire la formula speciale per il
defunto ». Et pour la prière eucharistique VI: <l Questa preghiera eucaristica si
deve usare nella veglia pasquale: si puù usare anche ncHe messe "per î battez-
zati" e neUe messe rituali dell'iniziazione cristiana". Cfr. aussi A. CAPRIOU - G. F.
POMA, Un nuovo CC1l1011e per il Giovedt Santo e la Veglia Pasquale, dans: Am-
brosius 46 (1970) 62-65.
312 ACHILLE M. TRIACCA

Par commodité nous rapportons sur trois colonnes la pers-


pective de chaque formulaire de messe tel qu'il est dans le Missel
Romain actuel (= MR') ", dans le nouveau Missel Ambrosien
(= NMA) " et dans le Missel Ambrosien précédent (= MA) ". Les
chants sont indiqués par un astérisque *.

MR' NMA MA

(*) Ant. ad introitum (*) All'ingresso (*) Ingressa


Collecta All'inizio dell'Assem- Oralia super populum
blea Iiturgica
(*) Dopa il Vangelo (*) Antiphona post Evan-
gclium
A conclusione della Li- Oralia SUpci" sindonent
turgia della ParoTa
(*) Offertorium
Super Oblata Sui doni Oralia super oblatam
(Praefatio - require) Prefazio Praefatio
(*) Allo spezzare dei pane (*) Confractorium

("') Ant. ad Communionem (*) Alla COffiunione (1_') Transitorium

Post Communionem Dopa la Comlmiolle Omlio post ComnZll-


nionent

On peut ainsi observer comment chaque formulaire du NMA


en relation avec le MR' contient deux chants en plus c.·à-d. après
l'évangile et à la fraction du pai11, et un en moins à l'offertoire par
rapport au précédent MA ".
La tradition ambrosienne comporte une oraison en· plus à
la conclusion de la liturgie de la parole [aujourd'hui] (= oratio
super sindonem [hier])", et en principe la formule de la préface,

43 Cfr. la note 33.


44 Cfr. la note .... préliminaire à toutes les autres.
45 Cfr. la note 1.
46 Cfr. E. M. C., Funziolle e spiritualità deI postevangelio e deI crm.fraltoriv,
dans: Ambrosius 51 (1975) 157-163; E. G..I,LIlI.HI, l canti deI 11f-wva Messale Am-
brosiano: pl'ovcnienw e caratteriSlic1w, dans: Il Nuol'o Messale Ambrosiano ...
o.c. (à la note 29) 68-78. et aussi dans: AmbrosÎm 52 (1976) 473-483. La perte du
chant « offertorium» est une romanisation ultérieure de l'ambrosien!
47 Le changement de dénomination de la seconde oraison du formulaire de
la messe ambrosienne, aralia st/pel' sindollem en "a conclusione della liturgia
della parafa». ne s'accompagne pas malheureusement d'un changement équivalent
dans le contenu théologico-liturgique du texte. Mais aussi de cette question
nous dirons un mot dans un prochain développement.
L'EUCOLOGrE DANS LE NOU\lEA U MISSEL AMBROSIEN 313

se révélant ainsi eucologiquement plus riche que dans la tra-


dition romaine.
La remarquable richesse du nouveau Missel Ambrosien soit
pour les prières soit pour la méditation biblique proposée dans
les chants, la créativité eucologique bien mise en pratique, les
cOl1tel1us spécifiques et la sensibilité qui ont inspiré le nouveau
Missel Ambrosien font de l'Eucologie Ambrosienne un lieu privi-
légié d'étude, de meditation, d'aliment de l'esprit. Tout cela
constitue une vérification et un ennième essai de la formule
« Lex orandi, lex credendi» 48.

Après cette rapide approche de la structure du nouveau Mis-


sel Ambrosien, dans le sillage de tout ce qui y est proposé pour
faciliter des études ultérieures sur l'Eucologie Ambrosienne, nous
attirons l'attention sur les principes de révision de la même
eucologie.

III. PRINCIPES DE RÉVISION DU NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN AVEC


UNE REFÉRENCE SPÉCIALE À L'EUCOLOGIE

La qualité, la quantité et le caractère harmonieux de l'euco-


logie du nouveau Missel Ambrosien ne peuvent pas nous empê-
cher de réexaminer la qualité de celui-ci pour vérifier sa corres-
pondance avec le caractère ambrosien, ainsi que la quantité pour
en vérifier l'équilibre syntonique dans les diverses parties du
lllÎssel et, enfin, son caractère hannonieux pour vérifier s'il s'agit
du fruit d'une éventuelle tendance esthétique de ses compositeurs
ou réviseurs, plutôt que d'une nécessaire caractéristique de l'eu-
cologie elle-même.
Toutefois, à l'origine de ees licites et opportunes interroga-
tions auxquelles pour le moment nous ne voulons pas répondre,
il y en a bien d'autres qui nous intéressent de plus près. Nous les
distinguerons en deux secteurs: celui d'un discours général sur
l'eucologie ambrosienne et celui particulier sur le caractère ambro-
sien de l'eucologie dans le nouveau Missel Ambrosien. Nous com-
mencerons par quelques données sur ce dernier secteur.

~8 Le "Decretwll quo Missale A111brosianum illstauralUm confirmatul''' (cfr.


Notitiae 11 [1975J 45; N.,HA l, p. VIIn et l'approbation de la traduction ita·
lienne (cfl'. Notitiae 11 [1976] 136; NlvlA l, p. IX) prouvcnL Que la loi mentionnée
(voir C. VAGAGGINl, Il sema teologico della lirurgia [Roma 41965] 496-508 [:=: Lex
oral/di Lex credendi, reciproco iJ/tlllsso della fede f! della Lilurg;a]) se \Oérifie
aussi dans le nouveau Missel ambrosien.
314 ACHILLE M. TRIACCA

1. Le caractère a111brosien de l'eucologie du nouveau Missel


Anlbrosien
Sans doute. l'eucologie du nouveau Missel Ambrosien est
marquée d'u" authentique esprit liturgique qui est «étranger
tant aux nostalgies archaïques de ceux qui ne parviennent pas
encore à vibrer au souffle de jeunesse par lequel l'Esprit Saint...
vivifie l'Église, qu'à une méthode expérimentale jamais satis-
faite »; un esprit liturgique qui « a un amour sincère et joyeux
pour l'Église locale et qui considère la Liturgie riche et offrant
des variations possibles qui profitent à l'Église universelle el-
le-même » ol~.
Dans son sain équilibre de savoir se maintenir à égale dis-
tance de tout extrémisme, la tradition eucologique ambrosienne
a toujours été le point de départ pour la révision et la charpente
même de l'eucologie.
Dans un de nos prochains développements, nous donnerons
une critique et proposerons une intégration multiforme à un con-
cept de « tradition eucologigue» toujours soutenu bien que pas
encore démontré, aéré mais pas soutenable, fruit d'une spécula-
tion aussi vide et dénuée de tout fondement dans son incohé-
rence, à tel point gue d'après quelques-uns il serait à la base
de la réforme liturgique ambrosienne actuelle "'.
Pour le moment, nous attirons l'attention sur ce que le Cardo
Colombo a plusieurs fois affirmé c.-à-d. son intention de vou-
loir moduler la réforme liturgique ambrosienne suivant une ligne
de fidélité au passé liturgique ambrosien et en même temps de
fidélité c7'éatrice dans le sens du développement de la tradition ".
Les nouveautés ne doivent donc pas se révéler en contradiction,
bien au contraire comme une maturation et en syntonie avec
les actuelles nécessités et circonstances 52, Nous devons prendre

49 Ces paroles sur l'authentique esprit liturgique sont du Cardo G. Cm.oh-IBO:


II riww'val1lcnto della liturgiu ambrosial1a ... , o.c. U-t la note 29) 12.
50 Cfr. 1. BIFFI, Il ntlOVO messaie della Chiesa umbrusiQl1Q: spirito e principi
della sua ,·i!orma, dans: Ambroslt15 52 (1976) 81-99, spécialement 83. L'A. a déjà
apporté des modifications {minimes en vérité!) dans la seconde édition de l'ar-
ticle cité au congrès sur le nouveau Missel Ambrosien, voir: 1. BIFFT, Il nuovo
II/essaie ambrosiano, i principi della sua riforma, dans: Il llU01'O Messale Am-
brosiano ... , o.c. (à la note 29) 15-36, spécialement 19.
51 Cfl". oo.cc. à la note 5 ct aussi: Cardo G. COLOMBO, Discorso alla secol1da
sessiol1e plenaria dei Sinodo XLVI (28-2-1967), dans: Rivista Diocesana Mila-
lIese 55 (1967) 310·311-
52 Cfr. une intervention du Cardo G. COLOl\.fBO à la session (18·11-1969) du
«Consiglio Presbiterale », où le Cardinal a dit: " ... l'incidenza vitale di a1cuni
autcntici "alori deI rito ambrosiano che non debbono es sere persi pel" moti\'o
L'EUCOLOGIE DANS LE NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN 315
----

acte de ces directives pour les concrétiser ct en vérifier la mise


en pratique: une prudente créativité, un langage fleuri, des for-
mulaires à l'esprit pastoral, une actualité proprement théologi-
que et liturgique de l'eucologie ambrosienne.
Alors, tout compte fait, quel est le vrai domaine du carac-
tère ambrosien de l'eucologie?
Pour y donner une réponse adéquate, nous aborderons
avant tout les problèmes de l'eucologie ambrosienne pas encore
résolus, ou résolus seulement en partie, ensuite une vision globale
du caractère ambrosien du nouveau Missel ici étudié.

(a) Autour de la problématique sur le caractère ambrosien de


l'eucologie
Si l'on part du principe ecclésial que le dépôt eucologique
n'est pas un bien exclusif de la communauté qui l'emploie, mais,
au contraire, un bien de toute l'Église ", alors le problème du
caractère ambrosien de l'eucologie serait automatiquement rendu
secondaire.
Néanmoins, tout en gardant le principe cité plus haut, il est
tout à fait licite de s'interroger justement, d'un point de vue
scientifique et liturgique, sur le caractère ambrosien de l'euco-
logie du Missel en question.
L'on propose alors tout de suite de discuter plusieurs pro-
blèmes, dont certains ne regardent pas tout à fait la question à
cent pour cent, mais la touchent en passant.
J'en donne quelques-uns.
- Il faudrait par exemple se demander comment connaître
l'esprit et la nature propres du Rit Ambrosien pour décider et
déterminer le caractère même ambrosien de l'eucologie. Et com-
ment cela serait-il possible?
- Historiquement un rit particulier est le fruit d'une au-
tonomie liturgique reconnue d'une Église particulière.

di ordine empirico, pur evilando di conservare particolarità che non sian a


seriamente giustificate »: cfl'. Rivista Diocesmla Milal1ese 58 (1970) 156.
53 Voir l'a.c. à la note 9 de Monseigneur l'Evêquç G. Blfn, spécialement aux
pages 79-80. Et voir aussi ce que le Cardo G. Colombo a dit à la prolusion
de la XXV'" Semaine Liturgique nationale italienne (Août 1974) (cfr. Rivista Dio-
cesalla Milal1ese 62 [1974] 744-747): «Il principio pruc1amato dal Vaticano II - cioè
il riconoscimento dei diritto e dell'allure dei riti diversi da quel10 romano - non
vale ovviamente per la sola Chiesa che è a Milano; esso è una sottolinealllra
in chiave lirllrgica dei riscoperro valore della ChÎcsa locale» (t'italique est de
nous).
316 ACHILLE 2\1. TRIACCA

Existe-t-i! aujourd'hui une Église Ambrosienne autonome?


Si elle existe, à quoi se réduit-elle?
- Plus un geste ou une norme ou encore une prière sont
anciens et ont été en vigueur pendant longtemps dans l'Église
de Milan, d'autant plus ont-ils encore le droit d'être "ambro-
siens» et vénérables.
Il faut alors se demander si le caractère ambrosien est lié
à l'ancienneté. Peut-on par conséquent parler de caractère ambro-
sien pour tout ce qui a surgi plus récemment ou encore en pé-
riode contemporaine?
- L'on a affirmé qu'il n'existe pas une époque historique-
ment vérifiable dans laquelle le Rit Ambrosien se distingue d'une
façon nette de la forme liturgique de l'Église de Rome. Ce qui
veut dire que le Rit Ambrosien a toujours suivi le même chemin
que le Rit Romain et qu'il en a partagé en substance toutes
les évolutions. Mais alors, peut-on dire que le caractère ambro-
sien se réduit à la seule liberté du choix des textes avec une indé-
pendance relative et pas du tout, au contraire, à être attentifs à
sauvegarder au travers d'études laborieuses ce qui est le "spé-
cifique» et qui se découle de ses sources?
- Le caractère ambrosien de l'eucologie est l'ensemble des
documents authentiques et caractéristiques présents dans la li-
turgie de l'Église de Milan qui encore aujourd'hui sont utiles
tant au plan théologique que pastoral. Mais alors cela veut dire
ou bien qu'avant la tradition eucologique ambrosienne n'exis-
taient pas d'éléments valides sur le plan théologique, ce qui
revient à dire que cette tradition était entachée d'une certaine
hétérodoxie; ou bien encore que le critère du caractère ambro-
sien se réduit à un critère pratique. Dans les deux cas, le litur-
giste, qu'il en sache au moins quelque chose, reste perplexe.
- Le concept et la réalité de " tradition eucologique ambro-
sienne» se configure soit à ce qu'elle a d'original (caractère
ambrosien authentique) soit aussi à ce qui change (caractère
ambrosien mimétique), soit encore à sa disponibilité (caractère
ambrosien fonctionnel) à ce qu'il rencontre dans son parcours
et qui, une fois greffé et assimilé (caractère mnbrosie1'l d'assinli-
lation), entre comme une force vive de sa structure elle-même 54,

54 Cfl'. V.C. à la note 50.


L'EUCOLOGIE DANS LE NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN 317

Qui, au contraire, se refuse à rechercher par des critères


appropriés les divers degrés du caractère ambrosien de l'eucolo-
gie au nom d'une certaine indifférence ou aboulie scientifique
ou par paresse lllentale en se cachant « la tête comme l'autruche»
pour éviter le problème, parviendra seulement à ce qui ressemble
à de l'or ou à ce qui de persistant n'a que le bouclier qui le
protège_
- Le caractère ambrosien de l'eucologie est le fruit d'une
créativité suivant la ligne et le développement de sa propre tra-
dition, ceci en comparaison aussi avec le Missel Romain 55.
S'il en est ansi, l'on peut alors synthétiser les diverses nuan-
ces d'ambrosianité propres à l'eucologie en une sorte d'une pe-
tite échelle ou graduation.

(h) Les divers degrés de l'ambrosianité de l'eucologie

Nous n'entendons pas présenter pour le moment une analyse


très détaillée de l'eucologie du nouveau Missel Ambrosien ". Elle
aura lieu par la suite et selon les divers temps liturgiques ou
sections du Missel lui-mên1e !i6bis, Nous rappellerons au contraire
les critères ou bien les résultats fondamentaux autour du ca-
ractère ambrosien de l'eucologie.
Nous commençons par dire qu'en elle-même, l'eucologie
qui est présente dans le nouveau Missel Ambrosien, par le fait
même qu'elle y est employée, peut déjà être appelée ambrosienne:
ambrosianité par emploi. Toutefois, il est licite d'y distinguer
toute une gamme de tonalités.
Ainsi, il y a des parties eucologiques qui sont ambrosiennes
par assomption à partir d'autres sources 57. S'ils sont pris d'autres
sources sic et simpliciter, c'est·à-dire pour le même jour ou

55 La mélhodologie du comparativisme liturgique est la meilleure méthodo-


logie pour comprendre l'ambrosianité d'un formulaire eucologiquc.
56 On a déjà traité en partie les différents fonnulaires du nouveau Missel
Ambrosien, mais il est nécessaire de faire encore beaucoup de chemin avant
d'arriver à bon port; voir les ouvrages de I. BIFFI cités aux notes 36 et 40 ct
aussi de P. BIZZ,.\RRI à la note 36.
56bis Cfr. A. M. TRIACCA, «Mater omnium l'ivelltium}). Contribllto metodolo-
gico ad /HW ecclesiologia liturgica dai 11l101'O Messale Ambrosiatlo, in: AA.VV.,
In Ecclesia (Roma 1977) 353-383.
57 Au sujet des sources des oraisons et des préfaces du nouveau Missel
ambrosien ,"oÏl·: P. BIZZ.\RRJ, Prospetto delle fonti dell'Avvento ambrosiano,
dans: Ambrosius 52 (1976) 373-379; IOBl, Prospetto delle fonti del tempo natalizio
ambrosiano, dans: Ambmsim 52 (1976) 464-469; IOEl\I, Prospetlo delle fonti della
quaresima ambrosùma, dans: Ambrosius 53 (1977) 151-158 (à suivre).
318 ACHILLE M. TRIACCA
--
emploi liturgique, sans leur ajouter aucune variante, l'on devra
parler d'une a111brosianité d'assomption proprement dite ou bien
encore d'ambrosianité d'adoption sa. Si au contraire le copiste,
le rédacteur, ou bien encore le sutureur du nouveau Missel Am-
brosien réunit ct assume des lTIOrCeaux d'autres sources en y
apportant des changements rédactionnels, ou des déplacements
d'emploi, l'on parlera d'ambrosial1ité d'assimilation d'une for-
mule eucologique ". Actuellement cependant, cette assimilation
n'a pas toujours été dans la ligne d'une opération analogue précé-
demment vérifiée dans l'histoire de l'eue alogie ambrosienne, lors-
que les variantes de style 60 n'étaient pas seulement prises en
considération et maintenues, mais plutôt lorsque des variantes de
rédaction étaient valorisées et perpétuées en syntonie avec les
contenus théologiques et liturgiques spécifiques au domaine am-
brosien iiI,
A son tour, l'ambrosianité d'assimilation est susceptible de
recevoir des sous~déterminations ultérieures qui, en resserrant le
cercle de l'eucologie ambrosienne, nous engagent à toucher de
près le "noyau" spécifiquement ambrosien. En effet, l'ambro-
sianité d'assimilation peut trouver sa spécificité dans l'ambrosia-
nité fonctionnelle, lorsqu'un morceau eucologique devient ambro-
sien et assume des caractéristiques en raison de sa nouvelle
fonction dans la structure du nOuveau Missel Ambrosien ". D'autre

58 Par exemple, selon P. BIZZ:\RRI, D.C. (primu Loco) à la note précédente,


dans l'eucologie du nouveau Missel Ambrosien. seulement pour les oraisons de
l'Avent, il y a: 14 oraisons du ROll/lus de Ravenne: 10 du Liber Mozarabicus
SacramentarlllH, 8 du Missale GOlhicum; 2 du Sacramentarium Ve.ronense; 30
du nouveau Missale Romal'lllln; 7 du précédenl Missale. Ambrosiam/1n; 7 du
Sacramenlarium Bergamense; 33 sont ùes compositions nouvelles.
Mais parmi toutes les oraisons qui proviennent de sources extra·ambro-
siennes, il n'yen a aucune qui soit «ambrosiana di assunzione 0 di adozione »,
parce qu'elles ne sont pas employées au même jour liturgique que dans la
liturgie ambrosienne.
:;9 En comparant les observations de la note précédente à cette note-ci, nous
devons ùire que toutes les oraisons extra-ambrosiennes qui se trouvent mainte-
nant dans l'Avent ambrosien sont «ambrosianc di assimilazione» soit _par rap-
port au jour liturgique, qui. a été changé, soit par rapport aux modifications
de rédaction. En effet les auteurs ou rédacteurs du nouveau Missel Ambrosien
ont retouché presque toutes les oraisons empruntées aux sources extra-ambro-
siennes anciennes.
RO On peut voir ce que nous avons déjà écrit à propos des préfaces anciennes
par rapport au style rédactionnel: cfr. A. M. TRHCCA, 1 prefazi ambrosialli dei
cielo «De Tempare» seconda il «Sacramelltarillm Bergomense". Avviamenlo
ad 11/10 srudio crilico-tealogico (Roma 1970) 51-90.
61 Cfr. 10H·I, O.C., 91-95 (= Le innavazio"i redaûal1ali deI prefaziale « de Tem-
pore» in rapporta al c01llemlfo teo[ogÎco).
62 La chose se vérifie souvent. Il suffirait de voir les tableaux fruit du travail
de P. BIZZARRI dans les ouvrages cités à la note 57.
L'EUCOLOGIÈ DANS LE NOUVEAü MISSEL AMBROSTEN 319

l'mnbrosianité rédactionnelle, lorsque ce sont les variantes ou les


part aussi, l'ambrosianité d'assimilation peut être spécifiée par
« adiuncta )} particulières qui la rendent ambrosienne; variantes
que la formule assume dans le nouveau Missel Ambrosien, par
rapport à sa rédaction primitive ".
Ainsi, on peut trouver qu'il y ait encore une formule parée
d'une ambrosianité mimétique en tant que cette formule elle.
même, empruntée aux sources et assimilée à la forme ambro-
sienne, en imite quelques tonalités ou modalités ".
Il reste tout de même toujours le sommet de l'ambrosianité
de l'eucologie: l'ambrosianité authentique. Celle-ci, à son tour,
se distingue en ambrosianité authentique par héritage, lorsque
l'actuel Missel Ambrosien emprunte une partie de l'eucologie
des sources ambrosiennes précédentes 65, et l'ambrosianité au.-
thentique créat,-ice lorsqu'elle est le fruit d'une composition tout-
à-fait spécifique de l'aujourd'hui de l'Eglise de Milan M. Mais
face à cette donnée de fait qu'est l'actuel Missel Ambrosien, il
reste à s'interroger sur les principes eux-mêmes qui sont à la
base de la réelle eucologie de ce Missel.

2. Les principes qui régissent l'eu co/agie ambrosienne


Nous pouvons le dire impunément, la nouvelle eucologie
ambrosienne obéit, elle aussi, avant tout à un principe premier

63 «L'ambrosianità redaziona1c» est une caractéôstique de l'actuelle rédac-


tion du nouveau Missel Ambrosien où on peut entrevoir le style du rédacteur
semblable à l'action de l'abeille toujours à la recherche du nectar. L'élabora-
tion jusqu'au miel dans le nouveau Missel Ambrosien s'égale au goût rédactionnel
de mettre dans les pièces empruntées la tonalité ambrosienne.
64 Mais _ en vérité - sur la question de «l'ambrosianità mimetica », il
serait nécessaire de dire beaucoup de choses!
65 Par rapport à «l'ambrosianità genuina di eredità» on ne comprend pas
pourquoi l'actuel Missel Ambrosien ne se moule et ne se modèle sur le Missel
Ambrosien antérieur peu ou prou, ni sur les sources anciennes ambrosiennes
(concrètement le Sacramentaritlm Bergomellse) un petit peu.
66 «L'ambrosianità genuina di creatività J> est la véritable caractéristique
nouvelle du Missel Ambrosien actuel. Une analyse particulière, que nous avons
entreprise, peut démontrer notre affirmation. On peut aussi démontrer que. la
réponse que notre ami I. Biffi (<< Noi il1telldiamo tare lin messale colombll1o
[allusion au Cardinal de Milan: G. Colombo] e non un messale ambrosia/1O")
nous a donné, chez lui, à Gavirate (Varese) Je septembre 1970, fût une réponse
très subtile (it.: argufa). En effet tous les arguments, que nous avons ap-
portés à l'amicité, par rapport à la caractéristique ambrosienne d'un éven-
tuel projet du Missel ambrosien (qui alors était déjà en chantier), sont
maintenant ensevelis mais vivants. Dans le futur du «rinnovamento» de la
liturgie ambrosienne et pas seulement dans la «riforma », on aura vraiment
une liturgie enracinée aux sources anciennes et tournée vers l'avenir?!
3_2_0_ _ _ _ _ _ _ _=AC"'H=IL=L=E M. TRIACCA

et fondamental, que par aiIleurs nous avons déjà énoncé dans


un autre contexte ", c'est·à·dire: la forme littéraire véhiculatrice
des contenus et les contenus lransmis par la forme phonétique
el littéraire qui ont cherché à être fidèles à Dieu et fidèles il
l'homme. Plus encore, cette forme littéraire, très soignée dans
ses expressions en langue italienne, nous la trouvons très ap·
propriée à tel point qu'elle fait honneur à cette nouvelle source
liturgique.
Toutefois, nous ne regrettons pas de devoir synthétiser d'une
façon schématique quelques principes qui régissent l'eucologie
du nouveau Missel Ambrosien.
(a) Nous nous trouvons face à une eucologie qui, dans l'en-
semble de ses formulaires, se présente avec une certaine com-
pacité et un caractère unitaire des vérités que l'on prie. Celui-ci
est un principe et un des mérites de l'eucologie ambrosienne.
L'exposition globale et bien réunie des vérités qui sont priées,
donne la possibilité de faire de l'eucologie ambrosienne un critère
d'épreuve pratique pour la hiérarchie des vérités présentes dans
le « depositunl fidei» 68.
(b) L'eucologie ambrosienne nous la trouvons souvent (plus
souvent même que dans l'actuelle liturgie romaine) comme un
reflet de la Parole de Dieu en tant qu'elle est parfois le fruit
de centonisation de la Parole de Dieu elle·même ". En ce sens,

67 Cfr. A. M. TRrAcc.o\, Creatività eucologica: motivazioni pel' una sua giusti-


ficazivne teurica e linee praticlle metodologiche, dans: Ephemerides Liturgicae
B~4 (1975) 100-118. spécialement 112·117.
68 Par les paroles du Cardo Colombo dans le décret de promulgation du Missel
(cfr. ci-dessus no le 4): « Un tratto specifieo che, in modo ancora più accentuato
che per il passato, caratterizza l'attuale Sacramentano della Chiesa ambrosiana
è l'abbondanza e la \'arietà dei formulari. Ne è contrassegnato anzitutto il "pro-
prio deI tempo", che commemorando i misteri delta salvezza ebbe sempre nella
nostra tradizione e tuttora conserva un risalto teologico singolare e una rigorosa
prevalenza» (p. VI). «., il nuovo "Liber Sacramentol'um", guidando e soste-
nendo la celebrazione dei misteri della redenzione, dh'enga, per il clero e per
il papolo, l'<llimento vigoroso della loro fede in Cristo morto e risorto; sia il
modello e l'espressione viva della 101'0 camu ne pietà liturgica ... » (p. VII).
69 Cfr. la dénomination de l'oralio super sindonem changée en l'expression
Orazione a corlclusiol1e della litllrgia della parata. On peut au premier coup
d'oeil saisir le sens de ce changement, en rapport avec notre affirmation. Il
faut ajouter que beaucoup de pièces de l'euchologie ambrosienne sont le fruit
de la cenlonisation de la Parole même de Dieu, Par exemple, voir la préface
du Vendredi de la première semaine de l'Avent Qui est la centonisation de
Mt 24, 42-43; 2 Pl. 3, 13·14; la préface du Samedi de la même semaine Rom.
2, 15.19.23.25; la préface du Mardi de la seconde semaine de l'Avent = 1 Ts.
L'EUCOLOGIE DANS lE NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN 321

un des principes fondamentaux sur lequel se base sa formula-


tion est la volonté de mettre en évidence, dans ses contenus
et sa réalité, le caractère historique de l'économie salvifique. Il
est clair que le moment-événement pascal a été bien accentué
comme le plus saillant et le plus fonda111ental 70 •

(c) L'eucologie a besoin en même temps d'un guide (cfr. l'au-


torité compétente), d'une garantie (= cfr. la fidélité au « depo-
situm fidei "), d'une liberté d'expression, d'une capacité créatrice.
Or, l'eucologie ambrosienne renouvelée possède des sens,
des battements et un langage moderne, comme l'a d'ailleurs bien
dit le Cardo Colombo, tels qu'ils correspondent pratiquement au
principe snivant: l'eucologie ambrosienne met en évidence la
puissance vitale du «depositum fidei" ". Ce principe est vrai
en ce sens, que l'eucologie comporte en elle-même un pouvoir
de se faire des adeptes, de conquérir, de secouer, de pousser
l'homme à mûrir. D'un point de vue théologique, dans son en-
semble, l'eucologie est une sauvegarde pour la vitalité du mes-
sage, tandis qu'elle obéit en même temps à une méthodologie où
toutes les nuances et les moyens de « l'annonce}) se trouvent mis
en valeur 72.

1,3; 5,5-6.10; l'oraison «super populum" == oralione all'inizio dell'assemblea


liturgica de la troisième semaine de l'Avent:
du Lundi = Heb. 11,13; 3.6: 4,3:
du Mardi == 2 Ts. 2, 20. 13-14;
du Mercredi = Heb. 6, 18-19;
du Jeudi = Le 4-5.8 etc. Cfr. P. BIZZARRI, OO.CC. à la note 57.
70 Voir ce que nous avons écrit: «Si aggiunga che la liturgia nella sua
rcaltà e nei suai contenuti mette continuamente in luce l'indole storica dell'eco-
nomia salvifica, evidenziandonc i momenti più salienti e fondamentali; primo
fra tutti il Mistero Pasquale (Passione - Morte - Resurrezione - Ascensione deI
Cristo e conseguentc immissione dello Spirito Santo nella Chiesa). L'eucologia
deve rispettare sia il principio or ora enunciato, sia il primato pasquale D: A. M.
TRIACCA, D.C., (à la note 67) 114. Voir aussi ce que a écrit L BIFFI, Il nuovo messale
della Chiesa ambrosialla: spirito e prÎI1CÎpi della sua ri/orma, dans: Ambrosius
52 (1976) 81-99. A la page 89: « Secondo principio: la Centralità di Pasqua: essendo
la Pasqua (passione·morte-risurrezione·dono della Spirito Santo) il compimento
e la consumazione dei mistcro della sal\'ezza, la sua celebrazione e disposizione
entro l'anno liturgico devc presentare un'evidente centralità: sia come Pasqua
nella versione settimanale - la domenica -, cui "non dev'essere anteposta alcuna
solennità che non sin. di grandissima importanza, perché la domenica è il fon-
damento c il nucleo di tut ta l'anno liturgico" (Constitution sur la liturgie = SC
106), e sia come Pasqua in ricorrenza annuale, la quale costituisce "la più grande
solennità deI cielo liturgico" (SC 102)".
71 Cfr. Cardo G. COLOMBO, Il rümovamel1to della liturgia ambrosiana, D.C. (à
la note 29) 9. Voir aussi les «. paroles» citées à la note 68.
72 Voir ce que nous avons écrit: «La liturgia appare come la formulazione
dottrinale più viva, e il mordente più atta a far maggiormente interiorizzare le
322 ACHILLE ~f. T~R~I~A=C=C~A~ ____________________

(d) L'eucologie, en tant que Parole de Dieu célébrée puisque


annoncée et vécue dans l'assemblée orante, se présente comme
ministre de la Parole de Dieu. La " diakonia " envers la Parole de
Dieu fait en sorte que même l'eucologie ambrosienne soit tout
d'abord créatrice de la façon de transmettre cette Parole et de
la faire vivre. L'eucologie en fait devient un moment privilégié
du "ministerium Verbi" liturgique. De ce point de vue l'on
comprend le principe anthropologique qui est à la base de l'euco-
logie ambrosienne actuelle qui, au dire du Cardo Colombo, " avec
la force de sa tradition millénaire interprète à travers les besoins
de toujours les peines et les espoirs de l'homme qui vit aujourd'hui
dans cette région du monde et qui est ouvert aux pressentiments
du futur}} '/::1,
L'aspect anthropologique qui se trouve dans l'eucologie am-
brosienne a donc comme objectif celui de transmettre le mes-
sage avec toutes ses implications et en même temps celui de
faire vivre tout le "depositum salvificum" au moment de la
célébration eucologique.

(e) Tout effort pour adapter l'eucologie ambrosienne aux


coordonnées de l'aujourd'hui de l'Église de Milan est soutenu
par un autre principe que nous appelons existentiel et vital: l'eu-
cologie doit amener à un double mûrissement, à savoir: une ma-
turation intellectuelle; de connaissance, noétique (la liturgie par
son eucologie est source d'enseignement), et une maturation pra-
tique et vitale puisqu'elle tend à la conquête et à la vive pos-
session de ce qui est célébré. Une possession qui doit sauvegar-
der en même temps le caractère organique tant logique qu'histo-
rique du " depositum fidei ".

prime esperienze religiose» à la page 270 de: A. M. TRIACCA, La liturgia educa


alla liturgia? Riflessioni fellomenico-psicologiche sul data lîturgico globalmente
considerato, dans: Rivista Lilurgica 58 (1971) 261-275.
73 L'expression du Cardo G. Colombo à la prolusion du congrès sur le nou-
veau Missel ambrosien (o.c. [à la note 29J 9) à la fin du 28 septembre 1976, est
dans la même ligne que le discours du 8 septembre 1973: «Il l'Ho ambrosiano ...
deve rinnovarsi e rifiorirc secondo le esigenze socio·culturali deI nostro popolo
e in armonia con la riforma liturgica avviata dal Vaticano II. Viene concessa
al nostro rito un'ordinata facoltà creativa, la quale, se usata con compctenza
liturgica e con penetrante senso storico, potrà donarci nuove forme di preghiera,
incisive e adatte al l10slm papalo e al l1ostro tempo» (l'italique est de nous).
Cfr. Ri1Jisla Diocesana kliluHese 61 (1973) 738.
L'EUCOLOGJE DANS LE NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN 323

L'on sait que la liturgie comporte une fonction éducatrice.


L'on peut parler d'une pédagogie liturgique ", qui se réduit à
une pédagogie salvifico-Iiturgique, puisque l'on constate qu'il
s'agit de la pédagogie" de la » et " vers la» foi ". Or, face au fait
de donner à !'eucologie une fonction éducative à la foi, l'on doit
admettre que l'intégrité explicite du " depositum fidei" ne peut
être acceptée ni comme point de départ ni comme moyen, filais
bien au contraire comme un but et une arrivée. Ce but final
sera toujours adapté et à adapter à la diversité multiple de la
maturité humaine et chrétienne de chaque homme qui participe
à la liturgie, aidant chacun à croître jusqu'à l'âge mûr, à la plé-
nitude même du Christ ".

IV. EVALUATION CRITIQUE INITIALE DE L'EUCOLOGIE DU NOUVEAU MIS-


SEL AMBROSIEN ITALIEN

Nos observations à caractère valuatif visent seulement le


Missel Ambrosien italien, car, nous le rappelons, il est le seul que
nous possédons.

1 - Avant tout, une observation préalable s'impose: le fait


qu'il existe une communion de termes et d'expressions entre le
domaine ambrosien et celui qui lui est extérieur, doit nous faire
réflechir sur la possibilité on non de lignes théologico-liturgiques
conductrices ambrosiennes. Fondamentalement, il n'existe pas
une diversité de contenu théologico-liturgique entre la liturgie
ambrosienne et les liturgies extra-ambrosiennes occidentales 77. Si
cependant l'on prend en considération le domaine de l'expression
des contenus, de l'accentuation des thèmes, de la modalité d'ac-

74 Cfr. notre relation à la XXV e SemaiJle Liturgique nationale iralienne (Mi-


lan 26-30 Août 1974) dont le titre est: Pedagogia e catechesi liturgica nei rUi deI
Battesimo e della COl1fennazione. .
75 Cfr. L. BORELLO, Per IInQ pedagogia della fede, dans: AA.VV., Educazwne
alla fede e iniziaziolle cristiana (Milano 1973) 55-76.
76 Cfr. Et 4,13.
77 Nous avons déjà démontré la même chose dans un autre contexte dans la
relation à la Semaine Liturgique du 1976: cfr. A. M. TRIACCA, La «méthexis»
dans l'ancienne liturgie ambrosienne. Contribution des sources eucologiques
ambrosiennes à l'intelligence d'un problème liturgique actuel: la participation
de l'assemblée, dans: L'assemblée liturgique et les différents rôles dans l'as-
semblée (Roma 1977) 269-305, spécialement 276ss.
324 ACHILLE M. TRIACCA

centuation d'une idée bien précise, alors l'on doit dire qu'il
est possible de saisir une certaine ambrosianité de l'eueologie.

2 - Toutefois, puisqu'il s'agit du texte italien du nouveau


Missel Ambrosien, en comparaison avec quelques passages du
texte latin déjà disponibles, nous pouvons faire les observations
suivantes (sans vouloir entrer dans des explications fort dé·
taillées et dans une analyse stérile de rapprochements).
Dans le texte italien de l'eucologie ambrosienne on rencon·
tre tout d'abord un changement de structure phraséologique, ce
qui veut dire un changement de sens ou de tonalité théologique.
liturgique ou bien un éloignement du texte originel latin avec
l'intention de sauver l'équivalent sémal1lique, le tout habillé par
les structures linguistiques de la langue italienne.
Il est certain que face aux observations qui se sont accu·
mulées dans le fichier des constatations, des rapprochements, des
variantes entre le texte italien et latin (officieux pour ne pas
dire officiel!), l'on doit admettre que, dans la mesure où le
message contenu dans le texte latin est dissocié de sa structure
linguistique pour en assumer une nouvelle, l'on peut parler de
({ traduction-remaniement)} où certains éléments typiques du texte
latin disparaissent dans le texte italien pour céder la place à
d'autres. En ceux·ci, le rapport entre signifiant et signifié est
purement arbitraire; ce qui veut dire que les systèmes sémanti-
ques du latin et de l'italien ne correspondant pas: ils obligent
à refaire le texte".
Même en ce qui concerne l'eucologie ambrosienne qui a été
traduite, l'on tend à vérifier une recherche de correspondance
entre le texte à traduire et le produit de la traduction. Toutefois,
dans le processus de la traduction, plus qu'à s'efforcer de
rendre simplement certains éléments linguistiques particuliers,
l'on cherche à reconstruire « un ensemble» de signes qui ren-
dent le contenu du texte à traduire. En d'autres termes: la tra·
duction en un certain sens est devenue impossible parce qu'il est
impossible de parvenir à rendre «le tout" d'un message bien
précis, tel qu'il est dans le texte originel.

78 CfI". G. Mouxl!\':. Les problèmes théoriques de la traduction (Paris 1963)


277-279.
L'EUCOLOGIÊ DA~S LE NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN 325

Le fait de l'impossibilité de rejoindre l'équivalence sémanti-


que dans le processus de traduction nous met face à deux missels
ambrosiens nouveaux: l'italien et le latin ".

3 - Les caractéristiques de l'eucologie ambrosienne italienne


face à l'eucologie ambrosienne latine, partant fondamentalement
de la nouvelle structure de la phrase italienne et devant obéir
au style et au caractère de la langue italienne, sont en conclusion
celles-ci:
(a) l'ampleur des oraisons est augmentée par rapport au
texte latin. La formulation se révèle plus facile à communiquer et
plus compréhensible intuitivement pour celui qui «entend-
reçoit-prie» la composition eucologique proclamée et priée.
(h) Cette forme italienne donne occasion de moduler les
conten", typiques, sans les rendre trop obscurs au-delà de ce
qu'ils peuvent être par eux-mêmes, à cause de leur densité con-
ceptuelle et de leur caractère polyvalent de signification.
(c) Le caractère descriptif des réalités priées donne la pos-
sibilité à l'eucologie ambrosienne italienne d'être plus proche
des hommes d'aujourd'hui, dont la mobilité psychologique, plus
accentuée par rapport aux personnes d'autre époque, a be-
soin d'expédients qui puissent attirer leur attention. Il nous sem-
ble possible affirmer que le style linguistique-expressif de l'euco-
logie ambrosienne italienne sert à souligner et à traduire en
pratique tout ce qui a trait à l'instruction, l'éducation, la matu-
ration chrétienne inhérente à l'eucologie. Ceci est atteint même
par la coexistence d'une autre caractéristique:
(d) La présence d'un rythme unitaire thématique pour cha-
que formulaire, établi dans son projet et réalisé en pratique,
d'une façon sans doute positive. Une fois dépassée la « concinni-
tas» caractéristique même de l'eucologie latine ambrosienne, l'on
trouve dans l'eucologie italienne mnbrosienne une sorte d'anti-
cipation des formes rédactionnelles de l'eucologie du prochain
futur liturgique.

79 Voir les cuntributions d'une thèse sous notre direction de G. F. VENTURI,


Problemi linguistici della Iraduzione liturgica. SaggÎ di analisi della traduzione
italiQllQ deI IlUOVU "Messal~ ROIrumu» (Roma 1976). Vol. 1: pp. V + 363, vol. II,
pp. 298 (malheUl'eusement jusqu'ici inédite!).
326 ACHILLE M. TRIACCA

4 - Il faut ajouter qu'en face de ce nouveau Missel Ambro-


sien il faut prendre conscience d'une i1nportance rellouvelée du
livre liturgique et de sa fonction propre avec des "uallces pas
lnises en évidence jusqu'aujourd'hui 80, Voici une synthèse des
considérations globales à propos du nouveau Missel Ambrosien:
(a) Le Nouveau Missel Ambrosien est le fruit de l'adap-
tation liturgique entendue com11'ze une réalisation du n-zystère
du Christ repensé, revécu, filtré da"s et par la Saillte Eglise de
Milan au nom de ce que l'on appelle communément "partici-
pation active ou consciente ».
En d'autres termes, la ({ traduction-remaniement» qui se
trouve dans le Missel Ambrosien italien se présente avec les
caractéristiques de l'histoire, dont les moments sont des synthè-
ses dynamiques de toutes les "forces qui existent dans l'Eglise
de Milan" dans une continuelle et incessante tension de dépas-
sement. Le nouveau Missel Ambrosien n'est pas une pièce archéo-
logique d'un nouveau type, mais il est une expression typique
de l' hodie liturgique célébra tif. Il est en même temps un fait
accompli mais qui est à refaire jour après jour.
C'est ici que se dévoile un nouveau principe du caractère
fonctio/znel du Missel, qui, tout en restant empreint d'autorité,
devient toujours plus relatif. Ceci, on le déduit même du pas-
sage des textes uniques et uniformes à des textes multiples et
protéiformes. Comme le Missel Ambrosien latin reste un "uni-
cum" du point de vue théologico-Iiturgique, de même l'on a un
autre "unicum" dans le Missel Ambrosien italien.
(b) Après cette série de réflexions, surgies des constata-
tions de fait, il s'en presente une autre, celle que le Missel Ambro-
sien italien vient d'être modulé et modelé sur le moule, sur le
cachet, sur les tonalités de l'Archidiocèse Ambrosien. Ce signifie
que le livre liturgique est pour la communauté liturgique, laquelle
structure son livre sur des longueurs d'ondes typiques pas seule-
ment syntoniques avec ses exigences, mais synérgiques avec ses
caractéristiques opératives.
La "réforme" du Missel Ambrosien, dans sa plus grande
expression qui est l'eucologie, s'est affirmée à l'expérience être
une « voie de progrès », qui, tout en apparaissant de bien des

BD Cfr. A. M. TRIACCA - B. NEUNHElJSER, Il libro liturgico e la celebrazione: ieri


e oggi, dans: Rivista littll'gica 63 (1976) 57-76, spécialement 6Sss.
- - -
L'EUCOLOGIE DANS LE NOUVEAU MISSEL AMBROSIEN 327

façons comme une ({ innovation», est au contraire justifiée par


la situation réelle et l'utilité de l'assemblée liturgique qui se
constitue à l'intérieur de l'Achidiocèse de Milan. Ceci nous amène
à rappeler que le texte liturgique ambrosien traduit en italien
n'est pas un texte monolithiquement unique, mais devient un
texte modèle et pas seulement modèle" standard », mais un mo-
dèle à réaliser suival1t les exigences de l'assemblée et de la célébra-
tion. En effet, le texte traduit est régi par l'intérêt et par la con-
sidération qu'il s'agit d'un texte à mettre en rapport direct avec
les intéressés, qui (même ceux qui ne le désirent point) sont les
vraies coordonnées qui déterminent le livre liturgique.

(c) L'eucologie du nouveau Missel Ambrosien italien re-


donne au Missel sa place primitive: celle d'être la source auto-
risée d'un enrichissement du style, des contenus, des modalités
de la prière ecclésiale, c'est-à-dire, le message théologieo-litur-
gique qui y est présent et qui rend officiel le Missel. Ce qui
revient à dire que le Missel est officiel parce qu'il est liturgique,
et non pas liturgique parce qu'il est officiel.
En d'autre termes, la genèse de la traduction du Missel latin
est une oeuvre d'Église dans laquelle l'Évêque, modérateur de
la vie liturgique, intervient de telle façon que le message liturgi-
que incarné en des coordonnées typiques soit accepté comme une
réalité par toute une ({ ecclesia )} locale. En ce sens, une fois que
1'« ecclesia)} est parvenue à formuler et à structurer « son}) mis-
sel, elle ne le refuse jamais plus. Elle le retient comme un ac-
quis positif. Elle l'adapte à elle-même. L'" ecclesia» en effet se
réfléchit dans le Missel comme en un lieu privilégié où elle s'y
reconnaît à bien de titres. Un parmi ceux-ci est très important:
elle s'y retrouve comme le " situs » privilégié de l'education chré-
tienne. C'est là que chaque chrétien qui constitue l'assemblée
liturgique (où les personnes ne sont pas réductibles à leur som-
me) doit pouvoir s'y retrouver comme à la source commune de
sa propre éducation chrétienne. Tandis que chaque fidèle, qui
constitue l'assemblée liturgique, prie et l'assemblée liturgique en
chaque fidèle, moyennant l'eucologie priée, découvre toujours
davantage que s'engager dans la transformation de soi en vue du
bien concret que la vie offre comme une constante possibilité, ce
n'est pas un embellissement périphérique à sa propre person-
nalité ni nOn plus une position plus ou moins à la taille d'une
économie de l'action. Or l'eucologie elle-mên1e devient «locus},
328 ACHILLE M. TRIACCA

de l'éducation chrétienne. Et c'est bien au Missel Ambrosien


italien d'être source d'une riche nourriture pour une attitude de
prière de la vie chrétienne. Il ne s'agit pas toutefois d'un ({ my-
the ", mais bien de quelque chose de vivant, à vivre et à rendre
vivant d'une manière progressive. {( Quod est in votis! ».
Il est en même temps aussi quelque chose d'unique, à tel
point que cette unicité le rend varié même dans une éventuelle
fixité, puisqu'une même formule, soumise à divers conditionne-
ments, reste une réalité toujours neuve.

Porztificium 1I1stitutum Litu/'gicwn Al1selmia",on


Rome, le 24-5-1977

Achille M. TRIACCA, S. D. B.
PAROLES ET GESTES DANS LA LITURGIE
BAPTISMALE DE L'ÉGLISE NESTORIENNE

Le sujet dont je m'efforce de traiter dans cette communi-


cation est très vaste, gros de nombreuses difficultés et de problè-
mes, et j'ai conscience que si je dois fi1e limiter au temps qui
m'est imparti, je devrai en omettre une certaine partie. Je m'éten-
drai cependant au-delà du titre proprement dit et j'essaierai de
dire quelques mots de l'histoire et du développement du rite
baptismal dans son ensemble depuis les origines jusqu'à sa for-
me actuelle.
Sans aucun doute, les rites nestoriens du baptême ont leur
origine dans ceux de l'Eglise Syrienne d'Antioche. Ils font res-
sortir aux yeux des occidentaux cette particularité que dans leur
forme première il ne semble pas qu'il y ait eu d'onction après
le baptême. Quand cette forme apparut par la suite, il semble
bien qu'elle ait été importée de l'Occident où elle est attestée
dans les écrits de Tertullien et d'Hippolyte '. Mentionnons en pas-
sant que le rite nestorien moderne ne compte pas d'onction post-
baptismale bien qu'il y ait une imposition des mains. J'y re-
viendrai plus tard.
Le document le plus ancien qui nous apporte des précisions
sur le rite du baptême syrien, c'est la Didasca/ia Apost%rum qui
fut à l'origine écrite en grec et probablement composée dans la

1 Selon Tertullien, le baptême cst sui,'i de deux cérémonies, d'abord l'onction


avec l'huile, ensuite, point culminant du rite, l'imposition des mains par l'évê-que
qui confère le don de l'Esprit. Cf. De Buptismo 7:2.
D'après Hippolvte, l'évêque pose les mains sur la tête des candidats en
prononçant ces paroles: « Seigneur Dieu, qui les a rendus dignes d'obtenir la
rémission des péchés par le -bain de la régénération, rends-les dignes d'être
remplis de l'Espl'it Saint, et envoie sur eux la gracc, afin qu'ils te sen'ent
suivant ta yolontê: car à toi est la gloire, Père et Fils avec l'Esprit-Saint dans
la sainte :Ëglise maintenant et dami les siècles des siècles. Amen ».
Ensuite en l-épandant de J'huile d'action de grâces de sa main et en posant
(celle-ci) sur la tête, il dil'a: «Je t'oins de l'huile sainte en Dieu le Père
tout-puissant ct dans le Christ-Jésus ct dans l'Esprit-Saint" (traduction de
Dom B. BonE, La Tradition Apustolique de Saini Hippulyte, dans: Liwrgiewis-
sellschaftliche Quellel1 und Forsc/umgell, 39, Münster, 1963). Voir aussi HIPPOLYTE,
Commentaire sur Daniel 1/16.
330 OOUGLAS WEBB

reglOn d'Antioche dans la première moitié du 3' siècle'. Il n'y


a pas de citation proprement dite de ce rite baptismal, mais on
connaît deux passages qui traitent principalement d'autres sujets
et contiennent des allusions au baptême. Dans le premier qui
traite de la nomination des diacres et des diaconesses, il est
dit que les candidats au baptême étaient oints avant d'entrer
dans l'eau. Cette cérémonie était commencée par l'évêque qui fai-
sait l'onction sur la tête des candidats en leur imposant les
mains, geste suivi de l'onction du corps tout entier accomplie
par d'autres ministres et dans le cas des femmes par des diaco-
nesses, si possible. Cette onction est rattachée par l'auteur de
la Didascalie à l'onction des rois et des prêtres, dont on trouve la
mention chez d'autres écrivains. L'onction était suivie du baptême
par immersion, tandis que l'officiant prononçait «l'invocation
des noms divins»'. Sans doute l'auteur supposait-il que la for-
mule du baptême était bien connue de ses lecteurs, car il ne
la cite pas '.
Le second passage se trouve au chapitre IX qui traite princi-
palement de mises en garde contre les injures aux ministres chré-
tiens. Il cite l'évêque comme étant celui « qui vous a déliés de
vos péchés, qui vous a régénérés par l'eau, qui vous a ren~plis de

2 Seules subsistent les traces de j'original grec de la Didascalie citée dans


le texte des Constitutions Apostoliques. Il existe une traduction syriaque complè-
te et une traduction latine partieIIe. Pour la traduction syriaque, voir P. DE
LEGARDE, Didascalia Apostolorum S)'riace. Leipzig, 1854. POUT le texte latin avec
une traduction du texte syriaque, voir R. H. CON:-'::OLLY, DidascaIia Apostolort/m,
Oxford, 1929. Pour la question de la date de la Didascalie, voir F. X. FUNK,
Didascalia et Constitution es Apos/vlorwn, Paderborn, 1906, L, 3-5; ct R. H. COI\-
NOLI.Y, op. cit., pp. 87-91.
3 Pour l'usage de èni)(À"tj(J"~" et ses rapports avec les noms çt en particulier
l'usage des Noms Divins au baptême, voir Tlle Journal of Theologica! Studies
(= J. T. S.) vol. xxv (1924). pp. 337 S$.
<1 Voici le texte entier: «Tout d'abord lorsque les femmes desccndent dans
l'cau, elles doivent être ointes d'huile d'onction par une diaconesse au moment
où elles descendent dans ['cau. Là, où on ne peut trouver une femme, de préfé-
rence une diaconesse, il faut que celui qui baptise oigne celle Qui cst baptisée.
Mais là, où il y a une femme, de préférence une diaconesse, il ne convient
pas que les femmes soient vues par les hommes. Tu te contenteras de lui oindre
la tête en lui imposant la main. De la même manière, en imposant la main,
tu oindras la tête de ceux qui reçoivent le baptême, hommes ou femmes;
puisque quand tu baptises, ou que tu ordonnes aux diacres ou aux prêtres
de baptiser, qu'une diaconesse oigne les femmes, comme nous l'avons dit, mais
qu'un homme prononce sur elles l'invocation des noms de la divinité, dans
l'eau. Et quand remonte de l'eau celle qui a été baptisée, que la diaconesse
la reçoive, l'instruise, et lui apprenne que le sceau du baptême est infrangible
dans la pureté ct la sainteté» (traduction de B. BonE: Le baptême dans
l'Eglise Syriel1ne, dans: l'Orieut Syrien, Vol. I, rasc. 2, 1956).
LITURGIE BAPTISMALE NESTORIENNE 331

l'Esprit Saint" '. Il comprend le texte suivant: «Par qui le Seig-


l1eur dans le baptême, par l'imposition de la main de l'Evêque,
a porté témoignage à chacun de vous et a fait entendre sa sainte
voix en disant: "Tu es mon fils: aujourd'hui je t'ai engendré" ".
Ceci paraît clairement affirmer que ces paroles étaient récitées
par l'évêque au moment où il imposait la main aux candidats,
probablement à l'onction, mais s'il en est ainsi, la pratique devait
être limitée à l'Église de l'auteur puisqu'on n'en trouve pas men-
tion ailleurs. Les paroles sont elles-mêmes citées directement du
Ps. 2: 7 et se trouvent dans le Codex Bezae et dans quelques
manuscrits de la Vetus Latina du récit du baptême de Notre-
Seigneur en St Luc '.
Le second document qui nous renseigne sur les rites du
baptême syrien, ce sont les Actes de Jude Thomas, qui nous ont
été transmis en syriaque, en latin, en grec et en éthiopien, mais
il est évident que le texte original a dû être écrit en syriaque ou
en grec, car le texte latin dépend presque certainement du grec,
et le texte éthiopien est mêlé d'emprunts aux actes de St Tho-
mas à Kentera. L'opinion du Professeur F. C. Burkitt que les
Actes de Jude Thomas ont été à l'origine écrits en syriaque est
aujourd'hui généralement acceptée '. L'origine est probablement

5 Voici le texte entier: "Si donc quelqu'un qui dit une de ces choses à un
laïc a été trouvé atteint par une aussi grave condamnation, combien plus s'il
osait dire quoi que cc soit contre le diacre ou contre l'évêque par qui le
Seigneur vous a donné l'Esprit Saint, par qui vous m'ez été connus de Dieu,
par qui vous avez été marqués du sceau, par qui vous êtes devenus fils de
lumière et par qui le Seigneur au baptême par l'imposition de la main de
l'évêque a porté témoignage à chacun de vous et a fait entendre sa sainte voix,
disant: Tu es mon fils: aujourd'hui je t'ai engendré ... Mais honorez les évêques
qui vous ont libérés de vos péchés, qui vous ont régénérés par l'eau; qui vous
ont remplis de l'Esprit Saint; qui vous ont nourris de la parole comme de lait;
qui vous ont instruits par la doctrine; qui vous ont confirmés par des avertis-
sements et vous ont rendus participants de la promesse de Dieu» (traduction
de R. H. CONNOLJ.Y, dans: Didascalia Apostolorllln, Oxford, 1929).
6 Le professeur Ratcliff indique que, bien qu'aucune version de Tatien actuel-
lement existante n'ait cette interprétation qui se trouve dans le Dialogue avec
Tryphon de St. Justin, 88. 103, au cas où les œ:1tOfLv'rI.!J.e:VEU!LIX't"1X 't"iiiv cXn-oO''t'6ÀwJ
à quoi Justin renvoie étaient le Diatessaron et non les Evangiles Synoptiques,
cette interprétation devrait exister dans le texte de Tatien. Il cst même
possible qu'elle ait été acceptée comme authentique à Antioche.
7 F. C. BCRKlTI, TIte Origi/1al Language of the Acts of Judas Thomas, dans:
J. T. S. vol. 1 (1900) pp. 250-290; vol. 3 (1902): Another Indication of the Syriac
Origin of t11e Acts of Tomas. - Voir' aussi A. F. J KLTJN, The Acts of JU.dlL5
Thomas, Leiden 1962, pp. 3-7, 15·16. Cet ouvrage donne la traduction anglaise
d'après le texte s~'I'iaque ùes Actes apocryphes dô Apôtres, de W. Wright, Lon-
dres, 1871, ainsi que de copieuses notes ct des extraits de la traduction anglaise
du texte grec en M. R. JAMES, The Apocryphal New Testament, Oxford, 1953.
332 DOUGLAS WEBB
==------------~~

Édesse ct la date, vers le commencement du 3" siècle". Cette


oeuvre contient cinq descriptions du baptême.
La première relate le baptême du roi Gundaphar et de son
frère Gad. Il y a des variantes considérables entre les versions
syriaque et grecque. D'après la syriaque les deux hommes entrent
dans le bain le soir en compagnie de l'apôtre. Thomas verse de
l'huile sur leurs têtes en invoquant le nom du Messie et de l'Esprit
Saint. Ensuite il les baptise au nom du Père et du Fils et de
J'Esprit Saint, et au lever du jour il célèbre l'Eucharistie. La
version grecque est presque certainement secondaire. Il est pos-
sible qu'elle ait subi des remaniements à une époque postérieure
pour être rendue conforme à la coutume de l'Église où elle était
en usage. Les hommes une fois entrés dans le bain "l'apôtre
se levait et les marquait du sceau ". On n'est pas sûr du sens de
cette expression, mais il est possible qu'elle se rapportait au
baptême proprement dit dans l'eau puisqu'elle n'est pas mention-
née ailleurs dans le récit. Cette interprétation est peut-être cor-
roborée par l'expression qui suit: «la nouvelle lnarque du sceau»
en relation avec l'impossibilité de voir le Seigneur dont les frères
pouvaient entendre la voix. L'apôtre les (c oignait d'huile et
de chrême" et au lever du jour était célébrée l'Eucharistie. On
mentionne ici une onction chrismale consécutive au baptême,
qui n'existe pas dans la version syriaque.
Le second exemple concerne une femme qui demandait à
l'apôtre de lui donner le rusmâ du Seigneur. En réponse à sa re-
quête, ils se rendirent à une rivière et la femme fut baptisée
avec pJusieurs autres femmes. L'apôtre ordonna alors au diacre
de faire les préparatifs nécessaires, lesquels furent suivis d'une
célébration eucharistique. Dans ce cas il n'est pas [ait mention
d'une onction, mais elle pourrait bien être impliquée dans la
requête pour le rusmâ, un terme jadis usité pour toute la céré-
lllonie de l'initiation. Il est assez curieux que la version grecque
était ainsi conçue: "Ensuite il la fit s'approcher, lui imposa les
nzains et lui appliqua le sceau au nOln, etc. ». L'expression (c il lui

8 La datation de Kliin est (c ùu commencemeJlt du 3~ siècle ». Le P. A. Racs,


S. J., dans Où se trouvè la confirmation darI.> le rite svru-oriental? (= L'OrieI1!
Syrien, \·ol. 1, fasc. 3 [1956], suggere. que les Actes 'de Jude Thomas prove-
naient du milieu de Bardesanes eL furent écrits au 3~ siècle.
LITURGIE BAPTISMALE NESTORIENNE 333

appliqua le sceau» n'est pas mentionnée ailleurs dans ce cexte,


à moins qu'elle ne doive inclure le baptême dans l'eau.
Le troisième cas concerne le baptême de Mygdonia, accom-
pagnée de sa nourrice Narkia. La nourrice ayant apporté du pain,
du vin mêlé d'eau et de l'huile, à la requête de Mygdonia, l'apôtre
oignit la tête de Mygdonia et puis demanda à Narkia d'oindre
son corps tout entier en posant un linge autour de ses reins. Il la
baptisa ensuite au nom du Père et du Fils et du Saint Esprit.
Quand Mygdonia fut sortie de l'eau et eut repris ses vêtements,
l'apôtre célébrait l'Eucharistie. «Et il lui dit: "maintenant, tll
as reçu le signe et gagné la vie pour toujours". Et une voix fut
entendue venant du Ciel qui disait, "Amen, et Amen" ». Quand
Narkia entendit la voix, elle demanda à l'apôtre « de recevoir el/e
aussi le signe» et elle fut baptisée.
Le quatrième récit est celui du général Sifur, de sa femme
et de sa fille. Après leur avoir donné l'instruction, l'apôtre versa
de l'huile sur leur tête, en rendant gloire au nom et à la puis-
sance du Messie. Ils furent ensuite baptisés au nom du Père et
du Fils et du Saint-Esprit. Après le baptême lorsqu'ils eurent
repris leurs vêtements, l'apôtre plaça du pain et du vin sur la
table et célébra l'Eucharistie.
Il y a enfin le récit du baptême de Vizan et de ses soeurs.
L'apôtre invoqua le nom du Seigneur sur l'huile, puis la versa
sur la tête des femmes, ensuite étant dépouillées de leurs vête-
ments, leur corps fut oint par Mygdonia. Elles furent ensuite
baptisées au nom du Père et du Fils et de l'Esprit Saint, après
quoi l'Eucharistie était célébrée.
En résumant les renseignenlents qui peuvent être tirés de
ces récits, on reconnaît que pour l'auteur des Actes de Jude
Thomas, le rite de l'initiation consistait en une consécration de
l'huile, suivie de l'onction, d'abord sur la tête du candidat, ensuite
sur le corps tout entier. L'onction était suivie du baptême par
immersion, après quoi on célébrait l'Eucharistie. Aucun des ré-
cits dans la version syriaque des Actes ne mentionne l'onction
consécutive au baptême, ni aucun l'imposition des mains; il ne
semble pas qu'il y ait eu de place pour ce rite. En ce qui concerne
les diverses formules qui accompagnent ces gestes, il ne serait
pas prudent de tirer de ce document des conclusions au sujet
des prières de la consécration, mais on pourrait dire, de façon
générale, que la consécration de l'huile senlble avoir été praDon-
334 DOUGLAS '\VEBB

cée au nom du Sauveur '. Dans le cas de la formule du baptême


proprement dite, l'invocation est invariable, c'est celle des trois
Personnes de la Trinité 10.
Un autre document qui éclaire la pratique du baptême sy-
rien c'est également un "document apocryphe», l'Histoire de
Jean, fils de Zébédée. Le Dr. Wright dans la préface de ses Actes
apocryphes de Apôtres, exprime l'opinion que les Actes de Jean,
fils de Zébédée, étaient à l'origine en grec et puisque le plus
ancien des manuscrits syriens qui contiennent cette oeuvre af-
firme expressément qu'elle fut traduite du grec, ce point de vue
fut accepté par les savants de l'ancienne génération qui n'y ont
plus pensé. Cependant R. H. Connolly dans un article du Journal
of Theologieal Studies, maintient que l'oeuvre a été d'abord com-
posée en syriaque et que l'auteur connaissait le Diatessaron de
Tatien 11.
Il y a deux récits de baptême dans les Actes de Jean, fils de
Zébédée. Le premier décrit le baptême du procurateur à l'exemple
de qui une foule de nobles et de gens du commun se firent bapti-
ser. La cérémonie consista en la consécration d'huile et d'eau,
de l'onction de la tête suivie de celle du corps tout entier, et
du baptême par immersion. Ce récit ne fait pas mention d'une
célébration eucharistique.
Le second récit décrit le baptême de quelques prêtres païens.
L'huile et l'eau étaient consacrées, ensuite l'apôtre lavait les
prêtres, les oignait et les baptisait, puis célébrait l'Eucharistie.

A noter deux choses dans ces récits: tout d'abord en ce qui


concerne la consécration de l'huile et de l'eau, Jean fait le signe
de la croix sur l'huile en disant: "Gloire au Père et au Fils et à
l'Esprit de Sainteté. Amen '>. Il répète ensuite trois fois: "Saint
est le Père et le Fils et l'Esprit de Sainteté. Amen '>. Dans le cas
de l'eau il la signait de même et répétait: "Au nom du Père et
du Fils et de l'Esprit de Sainteté, à jamais. Amen '>. Lorsque Jean

9 Cf. le baptême de Mygdonia: {( Sainte huile qui nous fut donnée pour
J'onction et mystère caché de la croix: que nous \'oyons à travers elle, toi, qui
rends droits les membres tordus, toi, Notre Seigneur Jésus, vie, santé et rémis-
sion de péché~, que ton pouvoir vicnne demeurer sur cette huile, et que ta
sainteté repose en elle »,
10 Cf. le baptême de Vizan: «Il les fit descendre dans l'eau au nom du
Père et du Fils et de l'Esprit de Sainteté".
Il R. H. CONKOI.LY, The Original Language of the Syriac Acts of John, dans:
J. T. S. vol. VII (1907) pp. 249·261.
LITURGIE BAPTISMALE NESTORIENNE 335

prononça ces paroles sur l'huile, du feu flamboya dans le ciel et


deux anges étendirent leurs ailes sur l'huile pour l'empêcher de
prendre feu, en chantant: «Sainl, Saint, Saillt, le Seigneur Dieu
tout puissant ». Lorsque Jean prononça ces paroles sur l'eau, de
nouveau, des anges planèrent dessus en criant: «Saint, Saint,
Saint, le Père et le Fils et l'Esprit de Saù!leté ». Il semblerait
que l'huile et l'eau étaient consacrées non par la formule que
répétait Jean, mais par le nom divin que prononçaient les an-
ges ". Second point à noter, ici encore l'ordre de la cérémonie
est le nlême: onction baptismale, immersion dans J'eau suivie
(dans l'un des cas) de l'Eucharistie. Il n'est pas fait mention
d'onction post-baptismale, ni d'imposition des mains.
Cet ordre de la cérémonie est répété dans un certain nombre
de documents post-nicéniens qui ont plus de titres à l'authen-
ticité et à une véritable historicité que ceux dont il a été fait
mention jusqu'ici. Parmi ces documents, on mentionnera le récit
du baptême de Rabbula qui devint évêque d'Édesse (411-435) et
un récit en syriaque du baptême de l'Empereur Constantin ".
Dans le premier de ces documents, Rabbula ayant fait une con-
fession de foi (ce qu'on retrouve aussi dans les Actes de Jean)
fut oint, puis baptisé et reçut ensuite l'Eucharistie. Dom R. H.
Connolly suggère que ce récit, sans doute idéalisé, est basé sur
le rite baptismal de l'Église d'Édesse ". Le récit en syriaque du
baptême de Constantin comporte une structure semblable. Il
décrit la bénédiction des fonts: l'Empereur est oint avec de
l'huile, après quoi il est baptisé dans l'eau et l'évêque lui dit:
« 1naintenant que tu es pardonné par l'eau vive, viens participer

12 Le professeur E. C. Ratcliff indique que cette histoire semble avoir in·


fluencé la tradition syrit!nnc postérieure, puisque, selon le pseudo-Denis l'Aréo·
pagite, lt;: yoile couvrant le ILUPQ\I à sa consécration avait la forme des douze
ailes des séraphins, et que le Sanctus était chanté pour accompagner la con-
sécration (De Eccle$ia$tica Hierarchia, IV,2: III,S. MIGNE, P.G. 3, col. 473A, 479B).
E. C. RATCLIl'F, Liturgical Studies, Ed. A. H. Couratin et D. H. Tripp, S. P. C. K.,
Londres 1976, p. 151, note 30.
e
13 Le récit du baptême de Rabbula semble avoir été écrit au 5 siècle par
l'un de ses disciples. Il est imprimé pal' O\'erbeck dans: S. Ephraemi aUorum·
que opera selecta, Oxford 1865, p. 159ss.
On trouve également dans le livre d'Overbeck (p. 355ss.) une mimra célébrant
le baptême de Constantin. Dans le manuscrit tardif utilisé pour cette édition,
elle est attribuée à St. Ephrem, mais R. H. Connolly (The litllrgical Homilie.s of
Narsai, p. 54) considère qu'il est plus waisemblablement l'oeuvre de Jacob de
Serugh (mort en 522).
14 R. H. CONNm.I."i, The Liturgical Homilies of Nal'sai. Tcxts and Studics.
vol. VIII, Cambridge 1909, p. 54.
336 DOUGLAS WEBB

au festin du Fils du Roi ». L'Empereur reçoit alors la Sainte Com-


nlUnion. Connolly indique que cette description du baptême est
en accord complet avec le témoignage des Hymnes de St Ephrem
sur l'Épiphanie qui traitent pour la plupart du baptême. La ma-
nière dont St Ephrem traite de ce sujet et le langage dont il
use précisent que l'onction qu'il mentionne est J'onction pré-
baptismale ". En outre, un passage de la 12' homélie d'Aphraates
va dans le même sens. Il dit qu'il faut jeûner, prier, chanter des
psaumes et " donner le signe» (msmâ) et le baptême selon la
pratique régulière ".
Les témoignages en faveur de ce genre de cérémonie sont
encore plus nombreux. Les conférences catéchétiques de Théo-
dore de Mopsueste nous permettent de reconstruire ce qu'il faut
considérer comme le rite habituel de son époque. Chacune des
conférences du texte syriaque est précédée d'un résumé qui est
nettement tiré du contenu des conférences et d'après ces résumés
il est possible de reconstituer le rite lui-même". Le candidat au
baptême fait inscrire son nom sur une liste, et à ce moment il
est question de la fonction des exorcistes. On sait par d'autres
sources que l'exorcisme des candidats au baptême était un élé-
ment du catéchuménat. Le candidat se tient debout, les mains
étendues dans la posture de l'orant, les yeux baissés. "Tu le
tiens debout sur des tissus de poil. Ces jours-là tll reçois ordre
de t'occuper l'esprit avec les paroles du Credo» lB. Les termes de
la renonciation sont comme suit: «Je renonce à Satan, à tous
ses anges, à toutes ses oeuvres, à tout son service, à toute sa
vanité et à tout son égarement sécu.lier}) 19. Puis vient le voeu
d'adhésion au Christ, après quoi le prêtre oint sur le front le
candidat agenouillé en répétant: "Est signé Un tel al! nom du
Père et du Fils et de l'Esprit-Saint» ". Le catéchumène retire

15 R.H. CON~OLLY,
dans: J. T. S. "01. VIII (1907), p. 252.
16 APHRAATES, Humilie 12: 13.
17 THÉODORE, Du Baptême, Ed. A. MINCAN'.<\, Woodbrooke Studics, vol. V. - R.
TONNEAU et R. DE\'REESE, Les Homélies catéchétiques de Théodore de Mopsueste.
Studi e Testi, Città del Vaticano, 1949.
18 Les traductions de Théodore de Mopsueste sont citées d'après la version de
Tonneau et Devreese.
19 Le sommaire comprend aussi « et toutes ses oeuvres », mais Dom Bernard
Botte indique que c'est là certainement une interpolation puisque ces mots
ne sont pas mentionnés dans le texte proprement dit.
20 Ceci paraît concorder avec ce que nous avons déjà yu. L'onction est
commencée par le prètre qui oint la tête du néophyte, après quoi d'autres
complètent l'onction sur le corps tout entier.
LITURGIE BAPTISMALE NESTORIENNE 337

ses vêtements et son corps tout entier est oint, le prêtre dit:
« Est oint Un tel au nom du Père et du Fils et de l'Esprit-Saint ».
Puis le candidat descend dans l'eau qui a été consacrée précé-
demment et le prêtre posant la main sur sa tête dit: «Est bap-
tisé Un tel au nom du Père et du Fils et de l'Esprit-Saint ». A
chacun des noms, Père, Fils et Saint-Esprit, le candidat est plongé
sous l'eau. Théodore explique la formule comme suit: «C'est
pour cette raison que le pontife, sa main posée sur ta tête, dit:
"Est baptisé Un tel au nom du Père et du Fils et de l'Esprit-Saint".
Non pas: "Je baptise", Inais "est baptisé", de même qu'un instant
auparavant il n'a pas dit non plus "Je signe", mais "est signé",
car, puisqu'il n'est aucun d'entre les hommes qui soit capable
d'un tel don que seule la grâce divine peut en faire de tels, il ne
devait pas dire "Je baptise et "Je signe", mais "est signé" et "est
baptisé". Et il ajoute aussitôt par qui il est signé et baptisé: (le)
"au nom du Père et du Fils et de l'Esprit-Saint" indique qui est
cause de ce qui se fait. Quant à lui (le pontife), il se montre obéis-
sant et au service de ce qui opère. Et il revèle la cause qui donne
leur effet à ces rites; quand en effet il dit: "Au nom du Père et
du Fils et de l'Esprit-Saint" il te révèle en cette parole qui est
cause de ce qui a lieu» 21.
Après le baptême, le prêtre signe le front du candidat en di-
sant: «Est signé Un tel au nom du Père et du Fils et de /'Esprit-
Saint». Théodore de Mopsueste rapporte ces paroles à la des-
cente de l'Esprit sur le Christ lors de son baptême. Rien, ni dans
le sommaire, ni dans les commentaires, n'indique que ce signe
est accompagné d'une onction, bien qu'il soit fait allusion à
l'onction dans le commentaire. Il n'est donc pas certain qu'il y
ait une deuxième onction dans ce rite ".

21 TONNEAU et DEVREESE, op. cit., pp. 433 et 435.


22 «Ainsi, quand tu as reçu la grâce par le moyen du baptême et que tu t'es
revêtu d'un vêtement blanc resplendissant, le pontife s'avance, te signe au front
et dit: Est signé Un tel, au nom du Père ct du Fils et de l'Esprit-Saint. Parce que
Jésus remontant de l'eau reçut la grâce de l'Esprit-Saint, qui, en forme de
colombe, l'ient demeurer sur lui; ensuite de quoi il est dit de lui aussi qu'il
fut oint de l'Esprit-Saint - "l'Esprit du Seigneur est sur moi", est-il dit en
effet. "à cause de quoi le Seigneur m'a oint" (Luc IV,IB) et "Jésus de Nazareth
que Dieu oignit de l'Esprit-Saint et de force" (Act X,3B), pour montrer que
l'Esprit-Saint ne se sépare absolument pas de lui: de même aussi qu'à ceux-là
qui sont oints par les hommes d'une onction d'huile, celle-ci s'attache et ne s'en
sépare plus - il te faut donc, toi aussi, recevoir alors la "consignation" sur le
front» (TONNEAU et DEVREESE, op. cit., p. 457).
338 DOUGLAS WEBB

Le père A. Wenger, qui publie quelques conférences caté'


chétiques inédites de St Jean Chrysostome, offre une descrip-
tion semblable. St Jean Chrysostome, lui aussi, ne semble con-
naître qu'une onction pré-baptismale. Après la renonciation à
Satan et l'acte d'adhésion au Christ, le prêtre oint le catéchu-
mène sur le front avec le !LupO\l spirituel, en imposant {( le sceau })
et en disant: "N. est oint au nom du Père et du Fils et du Saint
Esprit ». Le candidat retire alors ses vêtements et le prêtre oint
tout son corps avec la même huile spirituelle. Le rite paraît
signifier la communication de l'Esprit Saint. Puis vient le baptême
proprement dit dans l'eau, le candidat étant plongé trois fois
dans l'eau, avec ce mots: "N. est baptisé au nom du Père et du
Fils et du Sail1l Esprit» ".
Bien que cela n'entre pas dans notre sujet, il peut être inté-
ressant de noter en passant que cette ordonnance de la cérémo-
nie était peut-être plus largement répandue qu'on n'a compris
jusqu'ici. Dans une communication faite à la Semaine d'Études
Liturgiques de 1969, le Cardinal Daniélou démontra, d'après un
texte de Grégoire de Nysse, qu'en ce qui concerne l'onction pré-
baptismale" Je Pont ecla Cappadoce usaient très probablement
d'une forme de célébration semblable à celle de l'Église syrienne.
Mentionnons les rites baptismaux décrits dans les Constitu-
tions Apostoliques qui datent de la fin du 4' siècle ". Il s'agit
d'une oeuvre composite basée sur la Tradition Apostolique de
St Hippolyte, la Didascalia Apost%rum et la Didaché, mais
l'auteur a remanié ses sources à sa convenance personnelle. Aux
passages sur le baptême tirés de la Didascalie et de la Didaché,
l'auteur a ajouté une référence d'une onction post-baptîsmale
avec le "ôpov. Il cite un rite baptismal complet dans le Livre VII
bien qu'il n'y ait aucune preuve qu'il ait jamais été en usage
dans l'Église. Il commence par un catéchisme et la préparation

23 J. CHRYSOSTOME, Huit catéchèses bapl;smales, Ed. A. Wenger (:::: Sources


Chrétiennes, n. 50), Les Editions du Cerf, Paris, 1957. Wenger commente ce
passage: «Par les paroles du prêtre et le geste de sa main touchant la tête
du baptisé s'accomplit la descente du Saint-Esprit. Chrysostome pense manifeste-
ment à la scène du baptême du Christ dans le Jourdain et à la descente du
Saint-Esprit sur Jésus. Il ne parle pas autrement, je l'ai dit dans l'introduction,
de l'effusion de l'Esprit Saint liée au rite de la confirmation ».
24 J. DA!'HÉLOlJ, Onction et Baptême chez Grégoire de Nysse, dans: Le Saint·
Esprit dans la Liturgie, Conférences Saint Serge, XVI~ Semaine d'Etudes Litur-
giques 1969 (=:: Bibliothcca «Ephemerides Liturgicac" - Subsidia 8) Edizioni
Liturgiche, Rome, 1977.
25 F. X. FUNK, Didascalia et Constitutiolles Apostolorum, Paderborn, 1906.
LITURGIE BAPTISMALE NESTORIENNE 339

lointaine des candidats. Le rite baptismal proprement dit com-


mence par le renoncement à Satan '". L'adhésion au Christ qui
suit prend la forme d'une paraphrase du Credo. L'huile est con·
sacrée « pour la rémission des péchés et la première prépara-
tion ail baptême ». Vient ensuite la bénédiction de l'eau, qui
inclut une référence à la mort et à la sépulture du Christ ". Le
candidat est baptisé au nom du Père et du Fils et du Saint Esprit.
Après le baptême il est oint avec le chrême, mais remarquons
que cette onction n'est pas liée au don du Saint Esprit ".
On note un schéma à peu près semblable dans le De Eccle·
siastica Hierarchia II du pseudo·Denys '". C'est là l'oeuvre d'un
auteur syrien inconnu du 6' siècle. Le nom du candidat est enre·
gistré avec des prières, puis on lui retire ses vêtements, il re·
nonce à Satan et fait profession d'adhérer au Christ. Vient ensuite
une autre oraison accompagnée de l'imposition des mains, puis
l'onction qui est commencée par l'évêque en un « triple sceau»
avec l'huile de l'onction. Le candidat est ensuite remis aux prêtres
qui complètent l'onction du corps tout entier. L'eau est consacrée
« par les saintes invocations)} et « rendue parfaite par troÏs et-
fusiol1s en forme de croix avec le chrême le plus pur ». Le can-
didat est immergé trois fois dans l'eau tandis que l'évêque «invo-
que la triple subsistance de la divine béatitude ». Le candidat
remet ses vêtements avant le dernier sceau appliqué avec le
chrême, et la célébration de l'Eucharistie.
Le dernier auteur que nous mentionnerons dans ce résumé
des témoins de la première forme du rite syrien sera Narsaï.
Les homélies XXI et XXII concernent le baptême et l'onction

26 Voici le texte de la renonciation: « Je renonce à Satan et à ses oeuvres,


à ses pompes et à son service, à ses anges et à ses inventions et à toutes
choses qui sont en son pouvoir".
27 La bénédiction de l'eau comprend les paroles suivantes: « Regarde du
haut du ciel, ct sanctifie cette eau ct donne·lui grâce et pouvoir de sOrte que
celui qui est baptisé selon le commandement de ton Christ, soit crucifié avec
lui et qu'il meure a\'ec lui, qu'il soit enseveli avec lui et qu'il ressuscite avec
lui. en vue de l'adoption qui est en lui, qu'il soit mort au péché et qu'il vive
pour la justice" (texte anglais de E. C. WHITA.KER, Document y of t/le Baptismal
!.ilurgy, 2nd Edition, S. P.c. K., London 1970).
2E L'onction est accompagnée dc la prière suivante: «0 Seigneur Dieu, qui
es sans génération et sans supériem', Seigneur du monde entier qui as répandu
la douce odeur de ta connaissance de l'Evangile parmi toutes les nations, daigne
accorder aujourd'hui que ct' chrême soit efficace pour celui qui est baptisé;
qu'ainsi la douce odeur du Christ demeure en lui, immuable et à jamais; et
que désormais s'il est mort avec lui, il puisse ressusciter et vivre avec lui,.
(WHITAIŒR, op. cil., p. 34).
29 MIGNE, Patrologia Graeca, vol. III, coL 391404.
340 DOUGLAS WEBB

sainte. On a exprimé des doutes quant à l'authenticité de ces


homélies 30 qui ont été publiées par le Dr. A. Mingana dans une
collection de 47 pièces attribuées à Narsaï ". Mais Mingana les
a fait imprimer dans l'ordre inverse. La 22' homélie qui traite de
l'onction devrait se trouver avant la 21' qui traite du baptême,
puisqu'il s'agit de toute évidence de l'onction pré-baptismale. La
cérémonie se déroule dans l'ordre suivant: la renonciation à
Satan: «Renonce au Mauvais et à son pouvoir, à ses anges et à
son service", la profession de foi, suivie de l'inscription des
noms des candidats, ensuite l'onction, l'huile ayant été aupara-
vant consacrée ". Cette onction était accompagnée d'une triple
invocation, probablement dans la forme suivante: «N. est signé
au nom du Père et du Fils et de l'Esprit Saint" ". Comme chez
Théodore de Mopsueste, il est expliqué qu'on use de la formule:
«N. est signé" pour démontrer que «le caractère qu'il pose
n'est pas le sien (celui du prêtre) mais celui du Seigneur. Le
prêtre n'est que le médiateur choisi par faveur pour servir et,
parce que ce n'est pas le pouvoir du prêtre, ce sceau chasse
l'impiété el confère l'Esprit" ". Cette onction de la tête est pro-
bablement suivie par une onction du corps tout entier puisque
Narsaï dit: «Les trois noms qu'il récite, tout en appliquant de
l'huile sur le corps tout entier ".
La 21' homélie traite du baptême proprement dit. Après une
longue introduction exaltant les vertus du baptême, Narsaï pour-
suit: «Avec le nom de la divinité, les trois noms, il consacre
l'eau afin qu'elle suffise pour accomplir la purification de ceux
qui sonl souillés ... Le mauvais et la mort sonl abolis par le bap-
tême; et la résurrection du corps et la rédemption de l'âme y

JO Dom Bernard BOTTE, Le Baptême dans l'~glise Syrienne, dans: L'Orient


Syrien, voL I, fasc. 2, p. 146: « Leur authenticité est douteuse, et il n'est pas
probable qu'elles datent du V e siècle. Mais dl es représentent une forme de
la tradition sylicnne orientale, et c'est ce qui fait leur intérêt ».
31 A. MINGANA, Narsai Doctoris Syri Homiliae el Carmina, Mossoul, 1905.
32 La consécration de l'huile avait lieu au nom de la Trinité: ({ Il prononce
les trois noms sur l'huile ct la consacre afin qu'elle sanctifie l'impureté des
hommes par sa sainteté ».
33 Le texte précise que cette onction est faite sur le front. L'explication de
sa signification renferme plusieurs éléments symboliques. Le prêtre est con-
sidéré comme un médecin qui guérit les maladies; le signe sur le front est
«comme un bouclier »; l'huile est "une armurc », le «grand sceau du roi des
rois dont ils sont marqués afin ùe servir (comme soldats) dans le combat
spirituel ». CCLIX qui sont oints sont aussi présentés comme des ({ athlètes (qui)
descendent et se tiennent dans l'arène ".
34 Les Homélies liturgiques de Narsaï, p. 44 (COKNOLLY).
LITVRGIE BAPTISMALE NESTORIENNE 341

sont proclmnées. Le corps et l'âme y sont ensevelis C01mne dans


une t01nbe, ils rneurent et revivent d'une résurrection selnblable
à celle qui adviendra à la fin des temps. Pour les hommes le
baptême tient mystérieusement lie1l de tombe; et la voix du
sacerdoce est comme la voix de la trompette à la fin du monde" ".
Cette idée du baptême figurant une mort et une résurrection est
explicitée et luise en relation avec la mort et la résurrection du
Christ dans les termes de Narsaï traitant de la triple immersion:
"Notre Rédempteur est demeuré trois jours avec les morts; il
en est de même pour celui qui est baptisé. La triple immersion
représente les trois jours» 36. On remarque également que repa-
raît ici l'idée du « pouvoir» des « noms» que nous avons notée
dans les Actes apocryphes de Jean. " Et il ne dit pas "je baptise"
mais "est baptisé" car ce ,,'est pas lui qui baptise mais la puis-
sance qu réside dans les noms. Ce s011l les noms qui confèrent
le pardon de l'iniquité, et non pas l'homme, ils apportent la
semence d'une nouvelle vie dans l'immortalité" ". Outre l'idée
du baptême qui figure la mort et la résurrection à la vie, Narsaï
se sert du symbolisme des eaux des fonts baptismaux figurant
un sein maternel. « Conzn1e un nouveau-né sortant du sein, il
émerge de l'eau" "'. Après le baptême vient la célébration de
l'Eucharistie. L'Église, "mère spirituelle", prépare le lait spi·
rituel pour la vie du baptisé; et pour l'allaiter, elle met dans
sa bouche le corps et le sang. Il n'est fait aucune mention d'une
onction après le baptême.
D'après le professelll' E. C. Ratcliff, tandis que les Occiden·
taux avaient l'habitude de voir dans l'eau baptismale le moyen
de purification du péché, sans laquelle le Saint Esprit ne pour-
rait entrer dans le candidat, l'Église d'Orient considérait l'Esprit
comme l'agent purificateur, et son opération comme la prépara-
tion essentielle au rite baptismal. Par l'imposition des mains et
l'onction avec l'huile, le Saint Esprit est conféré à l'individu avant
qu'il ne descende dans l'eau. Si on veut savoir ce que signifiait
la cérémonie de l'eau, on trouvera la réponse dans la Didascalie
et dans l'Histoire de Jean. La scène au Jourdain est évoquée
de façon dramatique. Au baptême du Christ dans le Jourdain,

3S Ibid., pp. 50·51.


36 Ce concept semble provenir de Cyrill~ de Jérusalem, Catech. 20:4.
37 CONNOLLY, op. cil., p. SI.
38 CONNOLLY, op. cil., p. 52.
342 DOUGLAS \VEBB

Dieu désigna Jésus comme son Fils. De même Dieu est présent
au baptême du chrétien et ce qu'il fait est proclamé dans les
paroles citées dans la Didascalie: «Tu es mon Fils: aujourd'hui
je t'ai engendré ». Ce qui fut fait au Jourdain est réalisé de
nouveau «mutatis mutandis» dans l'eau des fonts baptismaux.
Un homme sort de l'eau né de nouveau comme Fils de Dieu et
« ayant communicatiol1 avec le Père et Son Fils Jésus Christ» ".

Comment expliquer davantage cette tradition de la Syrie


orientale? Le professeur T. W. Manson considère que l'origine
de ce genre de cérémonie, l'onction suivie du baptême dans l'eau,
est au moins préfigurée dans l'Eglise primitive <D. Il note avec
d'autres commentateurs que dans le cas du baptême de Corneille.
la descente de l'Esprit Saint eut lieu avant que Corneille et ses
compagnons ne fussent baptisés. Il indique encore que la prio-
rité de la descente de l'Esprit paraît sous-entendue dans les pas-
sages suivants de St Paul: Rom. 5: 5; Col. 3: 2; 4: 16, ainsi que
dans le récit de la conversion de St Paul dans les Actes des
Apôtres, 9: 17 ss. Manson démontre encore que la r Epître de
St Jean, 2: 20 «nous offre une image de l'initiation à l'apparte-
nance à l'Eglise où l'onction du Saint Esprit confère la connais-
sance de la vérité qui est exprimée dans la confession de Jésus
comme Messie et Fils de Dieu », et ensuite de quoi, «l'eau et
le sang» ou, disons, « les fonts baptismaux et le calice», nous
aurions le droit de demander, en supposant que «l'eau et le
sang» correspond aux fonts et au calice, si « l'Esprit» n'indique-
rait pas une onction rituelle, un XP("f''' physique ".
Le Père I. De La Potterie complète l'argument de Manson ".
Il indique que dans le cas de Corneille il s'agit de la descente

39 E. C. RArcLlFF, op. cit., pp. 141-142. Ratcliff indique que le baptême de


Jésus fit une telle impression sur les Syriens orientaux que les textes liturgiques
se réfèrent aux fonts comme au «Jourdain », ct quoique les commentateurs en
parlent comme du sein maternel, ils ne les comparent .iamais à «la tombe» ou
{( au sépulcre ». La tradition baptismale primitive des Syriens ne semble pas
avoir été affectée par le texte de Rom. 6.:3-5. Il suggère que la conception pauli-
nienne qui compare le baptême à une mort et une résurrection fut introduite
en Orient par St. Cvrille de Jérusalem, c'est sous son influence qu'elle se retrouva
dans des ouvrages postérieurs tels que les Constitutions Apostoliques et le
pseudo-Dcnys.
40 T. W. MA~SON, Entry i1110 Membership of the Early Clzurch, dans: J. T. S.
vol. 48 (1947) pp. 25·33.
41 MANSOX, op. cit., p. 29.
421. DF. LA POTTERIE, S. J., L'onction du cllrétien par la foi, dans: Biblica 40
(1959) pp. 12~69.
LITURGIE BAPTISMALE NESTORIENNE 343

de l'Esprit sur les païens. Corneille et ses amis eurent con-


naissance de l'Évangile par St Pierre, mais il leur fallait le rece-
voir dans la foi avant d'être admis dans l'Église par le baptême.
Le don de l'accession à la foi est l'oeuvre du Saint Esprit, ainsi
qu'il apparaît dans les Actes des Apôtres en ces termes: «L'Esprit
descendit sur tous ceux qui avaient entendu la parole" (Act 10: 44:
"En ),r,(ÀOÜVTOÇ .. aG IIÉTpou "'C'~ P~/;U1-"t'oc "'C'lXtnlX btÉ:7te:cre: 1'0 II ve:ü!-UI. TO
"AyLO\l E: 7t t 7ttx.vTOC; TOÜÇ &X.OUOV"t'IX':; Tàv ÀOyov).

Selon le Père De La Potterie, l'expression &"ou"v "t'àv Myov


appartient au vocabulaire du kérygme et désigne la voie normale
de l'accession à la foi. Il explique que la différence entre les
païens et les Apôtres consistait dans le fait que ces derniers
« croyaient au Seigneur Jésus Christ" et que le don de l'Esprit
accordé à Corneille et à ses amis était précisément cette récep-
tion de la parole, que nous nommons la foi. On peut conclure,
d'après les paroles de St Pierre au Concile de Jérusalem, que si
l'Esprit avait conféré la foi aux païens, il leur avait donné en
même temps la force d'en devenir les témoins, force que les
Apôtres avaient reçue à la Pentecôte. On arrive ainsi à celte
conclusion importante que l'Esprit Saint est toujours intrinsé-
quement lié à la foi et au pouvoir de témoigner de cette foi. Ce
don est pourtant formellement distinct du baptême proprement
dit car, affirme le Père De La Potterie, le baptême est le rite
par lequel on devient enfant de Dieu et l'on entre dans la com-
munauté de l'Église. (Il est possible de démontrer que cette opi-
nion est renforcée par le fait que le baptême n'est jamais répété).
L'auteur ferait une distinction entre deux activités de l'Esprit
dont l'une serait l'acte de foi en préparation au baptême, et
l'autre « le don de l'Esprit ", normalement conféré après le bap-
tême par l'imposition des mains. Le dernier don, «le baptême
de l'Esprit", fut connu plus tard sous le nom de Confirmation.
Le Père De La Potterie maintient qu'il est possible de rat-
tacher la pratique de l'Église Syrienne directement à celle de la
primitive Église qui, dans le contexte du baptême, évoque l'acti-
vité de l'Esprit dans la naissance de la foi (avant le baptême) et
compare cette activité à l'onction divine; comme le suggérait
Manson, ce qui dans le Nouveau Testament était figure devient
un véritable rite dans l'Église Syrienne. En conséquence, l'onction
pré-baptismale ne fut jamais considérée chez les Syriens comme
un exorcisme, ni comme le rite qui confère Je don de l'Esprit
344 DOUGLAS \VEBB

(comme c'est le cas dans l'onction post-baptismale). Elle est


plutôt le symbole de la vérité et de la foi 43.

Au 7° siècle la liturgie nestorienne du baptême subit une


révision. Tous les nlanuscrits qui contiennent cette liturgie révi·
sée l'attribuent au Patriarche nestorien ISo'yahb III (650-660).
Grand réformateur des rites nestoriens, il fut à l'origine de la
/:zlldhrâ ", de la division de l'année ecclésiastique en périodes de
sept semaines et de la réforme du rite de la réconciliation. Il
est donc possible qu'il ait également introduit des réformes dans
la liturgie eucharistique. Il avait voyagé en Occident, chargé d'une
mission pour l'empereur Héraclite en 630, et les réformes qu'il
introduisit dans la célébration du baptême ont bien pu être le
résultat de ce qu'il vit "dans le pays des Romains". Son rite
remanié suit à près la structure de la liturgie eucharistique et
c'est la première révision qui transforma le rite au baptême des
enfants.
La célébration commence par un texte composé du Gloria
et du Notre Père, comme dans l'Eucharistie, suivi de la prière
d'introduction et de la psalmodie. Ensuite vient une prière d'im-
position des mains, qui demande que les candidats renaissent
« d'une naissance nouvelle et spirituelle qui augmente leur foi}),
et qu'ils soient purifiés et faits membres du Christ. Les candidats
sont oints et signés au front du signe de la Croix, par la for-
mule suivante: "N. est signé de l'huile de l'onctio11 au n0111 du
Père et du Fils et du Saint Esprit, à jamais" ". Le signe est
appliqué " de bas en haut et de droite à gauche". Ce geste est
mentionné par le pseudo-Georges d'Arbèle dans son Expositio
Officiorwn Ecclesiae, où il indique que le rite se fait avec l'huile
qui est dans la corne, c'est-à-dire l'huile de l'onction ". Il écrit:

43 Dans une communication comme celle-ci on ne peut donner qu'un résumé


des conclusions de l'auteur et non les arguments sur lesquels il se basc_ L'article
du Père De La Potterie cst raisonné avec rigueur et mérite une lecture attentive_
Cependant, à en juger par ses arguments, on aurait pu penser qu'une forme
d'onction poslbaptismale soit nécessaire.
44 La I;.tt.dhrâ est le livrc qui contient les parties chorales des offices nesto-
riens. Certains exemplaires contiennent les anaphores eucharistiques.
45 « methr~em plân b-mes]:lâ da-msiQuthâ b-sem abbâ wa-brâ \,,'-n,lhâ d-qudsâ
J-'âlmin ».
46 Chaque église nestorienne possède sa corne d'huile sainte (d'ordinaire une
petite bouteille de verre). conservée dans le baptistère. Quand une nouvelle
église est construite on se procure une petite Quantité d'huile sainte d'une autre
église. A la consécration de la nouvelle église cette huile est placée dans le
baptistère et bénite par l'Evêque avec une prière et une consignation: « Cette
LITURGIE BAPTISMALE NESTORIENNE 345

« Le premier signe (rusmâ) est celui par lequel le bienheureux


Abraham fut marqué par Dieu. C'est pourquoi ce signe est appli-
qué sur le front pour indiquer que c'est de cette semence d'Abra-
ham que va sortir celui qui signera les nations au front)} 47. Le
but de cette onction n'est pas très clair. La prière d'imposition
qui l'accompagne donne peu d'indications quant au sens. Il est
possible que ce soit un reste d'un exorcisme de catéchumènes.
Nous savons très peu de chose sur le catéchuménat nestorien; en
tout cas le pseudo-Georges d'Arbèle mentionne à la fois l'inscrip-
tion des noms et une prière d'imposition en ce qui concerne les
candidats au baptême, et les attribue à ISo'yahb ".
Après la Prière de l'Imposition, on se dirige en procession
vers le baptistère, au chant d'une antienne, avec encensoir, lu-
mières, croix et livre d'Evangile. Le diacre récite une litanie qui
évoque le baptême de Notre-Seigneur au Jourdain et son com-
mandement de baptiser toutes les nations. Elle contient ces
paroles: «Il nous a montré dans son saint baptême la véritable
résurrection et le renouvellement qui nous sera accordé en toute
vérité à la fin de ce monde" 49. Vient ensuite la Shurraya (intro-
duction), le Ps ex avec le répons: «nous te confessons, Notre
Seigneur Jésus Christ, fils d'Abraham et de David selon la chair,
et de Dieu ton Père quant à l'Être ", refrain suivi d'une autre
litanie qui contient une pétition demandant que ceux qui vont

huile de l'onction cst signée et sanctifiée, afin qu'elle devienne signe d'incor-
ruption pour administrer le baptême au nom du Père et du Fils et du Saint-
Esprit ".
La sainteté de cette huile est attribuée à sa prétendue origine apostolique.
Cett légende est racontée dans une mimra pal' Johannan bar Zo'bi. Au baptême
de Notre Seigneur, Jean Baptiste conserva dans un vase un peu de l'eau tombée
du corps de Notre-Seigneur quand il sortit du Jourdain et la confia à Jean
fils de Zébédée. A la dernière Cène, Notre Seigneur donna à ce dernier deux
pains, dont l'un fut conservé par Jean. Il recueillit aussi dans un vase de l'eau
et du sang qui s'étaient écoulés du côté ouvert de Notre-Seigneur à la crucifixion.
Après la Pentecôte les apôtres mélangèrent le pain, l'eau et le sang ainsi que
l'eau du baptême avec de l'huile et se partagèrent ce mélange comme «fennent"
pour le pain de l'Eucharistie, et pour l'huile du baptême dans les différentes égli-
ses qu'ils fondèrent. 'AbdiSo' ùe Soba, dans le Livre de la Perle, écrit ceci: « L'hui-
le sainte de l'onction est une tradition apostolique, car elle fut consacrée par
les apôtres et par eux transmise à 1':Ë.glise de Dieu jusqu'à ce jour 1>.
47 Arwn)'mi Aucloris Expositio Officiorum Ecclesiae, ed. R. H. CONNOLLY,
Corpus Scriptorum Christianorum Orientalium, Scriptores Syri, Series Secunda,
voL 91 & 92, Rome 1913.
48 CONNOLLY, op. cit. (vol. 92), p. 88ss.
49 «w-'ayk da-b-çalmà çàr 'bâwî lan ba-'amâdeh qaddîSâ. qyâmthâ sarrîrtha
w-1;luddâthâ d-ba-'bâdâ methyheb lan ba-sullâmeh d-'âlmâ hânâ ».
Les citations syriaques sont tirées d'un Rituel dcs Prêtres manuscrit,
ADD. 1984 de la Bibliothèque Uni\'Crsitaire de Cambridge. Il est daté 1707 A.D.
346 DOUGLAS 'WEBB

être baptisés rejettent le vieil homme" et revêtent l'homme nou-


veau par le lavelnent dans l'eau» et « conservent le don des nzisé-
ricordes surabondantes qu'ils reçoivent par le Saint-Esprit» so.
La litanie est suivie d'un Canon, le Ps. 132 avec ce refrain:
" Béni soit celui qui dans les figures célestes a bâti 50/1 Eglise
et l'a remplie de sa gloire et lui a donné le baptême d'absolution
pour les pécheurs ».
La section suivante se conforme étroitement à la liturgie
eucharistique pour la structure et contient certains de ses élé-
ments. Il y a d'abord la prière de la Lâkhlllnârâ, ensuite la Lâkhu-
J11ârâ 51. On verse de l'eau dans les fonts qu'on recouvre ensuite
d'un voile, la croix et l'f.vangile sont placés à côté. On récite
la prière qui dans l'Eucharistie fait suite à la Lâkhll1nârà (" Toi,
ô Seigneur, tu es la vérité, etc. »), pc;s le Trisagion ", suivi d'une
lecture de l'Apôtre (l'épître) en l Cor. 10: 1-13. La Madrasha ou
Station (une hymne explicative) qui suit a pour sujet le baptême
de Jésus par Jean-Baptiste. Elle est suivie de l'Évangile en St
Jean 2: 25-3: 8: le récit de la conversation de Jésus avec Nicodème.
Après l'f.vangile, le prêtre récite une prière pour demander
qu'il soit digne du ministère qui lui est confié. Le diacre dit la
litanie, c( Père des miséricordes }), et celle qui l'accompagne com-
me dans l'Eucharistie, après quoi le prêtre répète la prière de
l'imposition des mains qui est en réalité une prière de renvoi
et qui est suivie de la solennelle expulsion des catéchumènes,
même s'il n'y a pas de catéchumènes présents. Le prêtre verse
alors de l'huile dans la burette et la place sur l'autel en la
recouvrant d'un voile. L'un des prêtres prend la corne de l'huile
d'onction et se place du côté droit de l'autel dressé dans lebap-
tistère. Pendant ce temps on chante des antiennes rappelant Je
baptême de Notre Seigneur, puis on récite le Credo.
Ensuite l'huile est consacrée. Le prêtre répète une Chan-
tha" pour demander d'être digne d'accomplir son ministère.

50 «w-nelbSun ba-s/:lâthâ d-mayyâ qaddge I-harnâsa l)addthâ hâw d-ba'lâhâ


cthhrÎ b-zaddiquthâ wa-h-l:laSyuthâ d-qusthil".
« kad b-zaddîquthâ wa-b-qaddisuthâ , . . -ba-'bâde tâbe wa-spire netron I-mâ-
whabthâ d-ra1;une spÎ'e da-mqablin b-yad rul)â d-qudSâ".
51 Lâkhumârâ, littéralement: « Toi, Seigneur », terme technique pour désigner
l'antienne qui commence pal' ces mots. L'oraison de la Lâkhumârâ utilisée ici
cst dite à la célébration eucharistique aux mémoires et aux jours fériés.
52 Dieu Saint, Dieu puissant, Dieu immortel. aie pitié de nous.
53 Ghantha, c'est-à-dire prière d'inclinaison, la tête inclinée ct à voix basse,
------
LITURGIE BAPTISMALE NESTORIENNE 347

Puis vient le Canon: «La grâce de Notre Seigneur Jésus Christ,


etc. », comme au début du Canon eucharistique. Il est suivi du
Sursum corda et d'une autre Ghalltha, prière de consécration
qui comporte l'épiclèse: « Nous crions vers toi et nous te sup~
plions que par la volonté de tOIl Fils ,,,,ique Notre-Seigneur
Jésus-Christ nous vienne la grâce du don de l'Esprit qui est
de toi dans sa Personne parfaite et qui participe à tOI1 royaume et
à ta nature de Créa le",'. Puisse cet Esprit se mêler à cette huile
et accorder à tous ceux qui en sOl1t oints le gage de la résurrection
des morts» 50. La prière fait ensuite mention de l'usage de l'huile
dans l'onction des rois et s'achève par un Canon suivi du Sanctus,
puis d'une autre Ghantha qui comporte ces paroles: «que la
grâce vienne du don du Saint Esprit et qu'elle demeure dans
cette huile et la bé,,;sse et la consacre et la signe du sceau
au nom du Père, etc. »55. La prière demande aussi que la pleine
et véritable sainteté soit accordée à ceux qui sont baptisés. Le
prêtre prend alors la corne d'huile et signe l'huile dans la
fiole avec l'huile de la corne, du signe de la croix, de l'est à
l'ouest et du nord au sud, en disant: «Cette huile est signée,
consacrée et mêlée d'huile sainte afin qu'elle soit un type
d'incorruptibilité dans l'administration du baptême, au nom du
Père, etc. » 56. Après quoi on récite l'oraison dominicale.
La cérémonie se poursuit autour des fonts baptismaux où
le prêtre se rend en procession avec l'encens, la croix et le livre
des Évangiles. Il répète une Ghantha qui fait référence au bap-
tême de Notre-Seigneur et comporte l'épiclèse: «Et que vienne,
ô 1non Seigneur, le 111ème Esprit sur cette eall, de sorte qu' elle re~
ça ive le pouvoir d'aider el de sauver ceux qui y sont baptisés" ".
Après le Canon de conclusion, le prêtre fait le signe de la croix
sur l'eau, prend la corne d'huile et signe l'eau en versant de
l'huile sur l'eau en forme de croix et en disant: «Cette eau est
signée, consacrée et mêlée d'huile sainte afin qu'e/le devienne

:>4 qâreynan ,..,a-mpi~inan da-b-çebyânâk mâry wa-b-çebyâneh da-brak yibidâyâ


d-mennâk the'the' ~aybuthâ men mâwhabthâ d-ruba d-qudsa hâw b-'ithuthâk
wa-b-bâroyuthâk w-thcthi)allat b-mcS.oâ hânâ w-thethel l-kul!hon aylen d-methma-
shîn mcnch mhbunâ da-qyâmtha d-men bey th mÎlhe".
. 53« w-nethcl .I;Iaylâ d-rul;J.â d-qudsâ w-thesrc' w-theskan 'al mesi)â 11ânâ, \Va-
thbarkiwhy wa-thqadsÎwhy wa-thl)athmîwhy b-sem abbâ, etc.".
:;6 «mcthrsem w-mclhqaddas w-methl;J.allat md.oa hânâ b-meslJa qaddîsâ d-
nehwe I-tup::;â d-lâ metlù)abblânutha ba-'mâdâ mi)a~~yânâ b-sem abbâ_ etc.".
57 «w-ncthe mâry hu\V kad huw rul).â 'âp 'al mayyâ hâleyn ayk da-nqabblon
haylâ l-'udrânâ wa-I-purqânâ cl-'aylcyn da-b-hon 'âmdin".
348 DOUGLAS WEBB

un sein nouveau pour enfanter spirituellement dans l'adminis-


tration du baptême au nom du Père, etc." ".
Ensuite, de même que dans l'Eucharistie, avant que le peuple
ne reçoive le sacrement, le prêtre proclame: «La Chose sainte
est pour les saints ", ainsi proclame-t·il avant de baptiser: «La
Chose sainte est digne et juste pour une nature sainte". Les
candidats sont oints pendant qu'on chante l'une des madrashas
(hymnes) de l'Épiphanie. Ils sont amenés au prêtre qui se tient
debout près des fonts, tournés vers l'Orient, les diacres leur
retirent vêtements et bijoux, et le prêtre oint chacun des candi·
dats «sur la poitrine avec trois doigts, du haut en bas et de
droite à gauche ". Selon les rubriques ce geste doit montrer qu'il
« imprime la connaissance de la Trinité dans son coeur et que
celle·ci est donnée d'en·haut ". En signant le candidat il dit: «N.
est signé au Nom du Père et du Fils et du Saint Esprit, à jamais ".
D'autres oignent ensuite le corps tout entier des candidats, après
guai ils sont portés au prêtre qui est debout près des fonts. Le
commentaire: {( Ceci signifie qu'il imprime la connaissance de la
Trinité" justifie peut-être l'opinion du Père De La Potterie qui
veut que l'onction prébaptismale confère la grâce de la foi, con·
dition préalable au baptême. Auprès des fonts le prêtre place
chacun des enfants dans les fonts, la face tournée vers l'Orient,
et l'immerge trois fois, disant la première fois: «N. est baptisé
au nom du Père,,; la seconde fois: «Au nom du Fils» et la
troisième: «Au nom du Saint Esprit», L'enfant est in1mergé
jusqu'au cou, le prêtre place la main sur sa tête. Après le baptême
l'enfant est reçu par les diacres « dans un linge blanc ", et remis
aux parrains qui lui mettent des vêtements.
Quand tous les enfants ont été baptisés, le prêtre se rend
en procession jusqu'à la porte du Sanctuaire, accompagné de la
croix et du livre des Évangiles, avec l'encensoir, les lumières et
la corne d'huile. Il récite une courte prière, puis le Canon gui
consiste dans le Ps. 95 avec ce refrain: «De l'erreur, de la faute
et de la mort Notre Seigneur nous a sauvés dans son baptême.
Adorons·le et glorifions.le". Puis est dite la prière de l'imposi-
tion des mains, le prêtre doit passer ses mains au·dessus des
têtes de tous les enfants. La prière rapporte la merveilleuse dis·

,i{l «methrasmîn mayyâ hâleyn b-mesryâ qaddisâ d-nehwon 'ubbâ I:tadthâ


mâwled rul;1ânâ'ith ba-'arnâdâ ml)a~yânâ b-sem abbâ. etc. »,
LITURGIE BAPTISMALE NESTORIENNE 349

pensa tian de Dieu par quoi l'homme pécheur a été libéré des
suites de sa désobéissance et du péché. Elle fait mention de la
rénovation de la nature humaine par la révélation du Christ et
le don de la grâce du Saint Esprit reçu au baptême et conclut
en demandant que les baptisés puissent vivre dans la chasteté et
« reçoiven.t la précieuse lun1ière de Notre Sauveur Jésus Christ
pour jouir d'une vie nouvelle qui ne périra point n. Ensuite les
candidats sont signés. Une seconde prière d'imposition est récitée
sur eux, le prêtre doit les signer au front du pouce de la main
droite, de bas en haut et de droite à gauche, en disant: «N. est
baptisé et rendu parfait au nom du Père et du Fils et du Saint
Esprit, cl jmnais » 5U, COlnme à la cérémonie du mariage, il place
des couronnes 50 sur leurs têtes. Le prêtre et les diacres rentrent
dans le baptistère au chant des antiennes, le prêtre verse de l'huile
de la fiole dans la corne pour la remplir d'huile sainte" et s'il
en reste dans la fiole, on la verse dans les fonts avec la fiole.
Quatre brèves oraisons sont dites, suivies de la iJ.uttama (conclu·
sion) et d'une dernière bénédiction. Suit une prière pour déga-
ger l'eau de sa consécration, la fiole est nettoyée et tous les
ministres officiants se lavent les mains dans les fonts, après quoi
l'eau est vidée en un lieu où aucun homme ne peut pénétrer.
Il y a un certain nombre d'éléments de cette partie de la
cérémonie qui appellent un commentaire. On peut remarquer
que dans le rite actuel il n'est fait aucune mention de l'Eucha-
ristie à la fin du baptême, et que la coutume actuelle est d'admi-
nistrer la Communion le dimanche aussitôt après le baptême_ Il
ressort du commentaire du pseudo-Georges d'Arbèle qu'à son
époque il était d'usage de célébrer l'Eucharistie à la fin des ul-
times cérémonies (10· siècle). Il indique également que la pro-
cession du baptistère s'arrêtait à l'entrée du sanctuaire et qu'à
cet endroit on chantait un psaume, on lisait l'Epître et l'Evan-

59 «'mad ,\'-esthmalî plân b-sem abbâ ' ....a·brâ w-rul),â d-qudsa )).
60 Les couronnes consistent simplement en fils de deux brins, rouge et blanc,
ou de trois brins, rouge, blanc ct bleu. Elles ne rappellent pas ainsi ce qu'on
entendait d'ordinaire par le mot "couronne ».
61 F. F. Irving, dans The Ceremonial Use of Oil anlUl1g lhe East S)'ricl.lls, Oc-
casional Paper oC the Eastern Churches Association, O"ford, 1902, relate que
dans au moins un diocèse les prêtres n'étaient pas autorisés à verser dans la
corne l'huile restée dans la fiole (laqnâ) après le baptême. Il était d'usage que
l'évêque du diocèse en personne consacre l'huile le Jeudi Saint, et y puise pour
remplir les cornes des différentes églises.
350 DOL'GLAS \VEBB

gUe suivis d'une inlposition des mains avec une pnere (Grands,
ô Seigneur, SOIl! les actes nW1'l'eilleux de la Loi) 62" La nzhnra sur
Je baptême par Emmanuel bar Sahhare ne mentionne pas cette
cérémonie, ni l'imposition des mains et je dois avouer que je
n'ai aucune explication à offrir au sujet de la lecture d'une
Épître et d'un Évangile à cet endroit, bien que le texte du pseu-
do-Georges la mentionne explicitement. Il laisse entendre que
les textes en usage étaient: I Cor. 10: 1 ss., et Jean 3: 1 sS., qui
dans le rite actuel servent d'Épître et d'Évangile avant la con-
sécration de l'huile. Georges n'indique pas quels textes sont lus
à cet endroit.
Le rituel actuel, révisé par ISo'yahb, le pseudo-Georges d'Ar-
bèle et Emmanuel bar Sahhare sont tous d'accord pour dire
qu'une consignation Sur le front a lieu ensuite et le pseudo-Geor-
ges ajoute qu'elle est accompagnée d'une onction. La !ak~a impri-
mée, éditée d'après plusieurs manuscrits, ne fait aucune men-
tion d'une onction, bien que la rubrique spécifie que la corne
soit portée en procession. Le Rév. F. F. Irving cite pl usieurs
rituels, parus entre 1604 et 1832, qui mentionnent spécifique-
ment une onction à cet endroit, et il apporte le témoignage de
prêtres nestoriens qui avaient l'habitude d'oindre les candidats ".
Selon la !ak~a, ce geste est suivi d'une nouvelle imposition des
mains avec cette prière: "Que le gage de l'Esprit Saint» etc. Cet
usage est confirmé par Emmanuel bar Sahhare, mais cette fois-ci

62 Ceci selon A. R\ES, S. J., Où se trouve la Confirmation dmls le rite Syra-


Oriental?, dans: L'Oriellf Syrien, voL I, fasc. 3 (1956), Le véritable texte du pseudo-
Georges d'ArbèJc ne donne, à mon a\'Ïs, aucune indication réelle quant aux
paroles de l'oraison prononcée ici.
63 Le rituel manuscrit des prêtres, Syriac 19, dans la John Rylands Library,
Manchester, contient un texte qui ressemble à une citation par IRVING, op. cit.,
p. 20. Le voici: «w-râsem l-'el men resayhon d-kullhon 'mide. v..·-ken nâ~eb qarnâ
d-mesl).â w-râscm l-hon bey th 'aynayhon ba-krâthch d-yammînâ w-lâw b-çeb'eh
b-tup~â da-çlîbâ.men l-'cl l-tha1)th w-men yammînâ I-semmâlâ b-mcsl)a qad-
dîSâ. w-'amar 'mad w-estamlî plân b-sem abbâ wa-brâ. w-'âneyn. âmeyn. w-rnâ
d-râsem I-hon 'en çâbe ma'bar I-'ewangellion 'al 'appayhon. 'lth deyn b-dokkyân
d-'âp thâlin cUbe b-çâwra:vhon w-'a~rin zunnâre b-l).aççayhon. w-hâde l-puth 'yâdâ
d-'athrâ. w-tâb w-sappir 'âbdîn»,
Et il forme un signe sur les têtes de tous les baptisés, après quoi, prenant la
corne d'huile, il les signe sur le front du pouce de la main droite, et non du
doigt, en forme de croix, de haut en bas et de droite à gauche avec l'huile
sainte, en disant: «N. est baptisé et rendu parfait au nom du Père et du Fils ».
Tls répondent Amen, et il les signe. S'il le désire il fait passer le livre des
Evangiles devant leurs visages. Dans certaines régions on leur suspend une
croix sur la poitrine, on le fait bien et convenablement selon la coutume du
pays. (Le manuscrit ùe Rylands est daté Haziran [JuinJ, 1604, après J. C.).
LITURGIE BAPTISMALE NESTORIENNE
---
351

le pseudo-Georges n'en fait pas mention. Le P. Raes suggère


gu'avant la réforme de ISo'yahb on avait introduit dans le rik
une imposition des mains probablement accompagnée d'onction.
Il considère que la seconde imposition avec les mains étendues
sur les candidats ressemble à un acte de conclusion, une sorte
de bénédiction. Il indique à ce propos que l'expression "les
mystères du Christ que vous avez reçus" ne peut signifier que
le Corps et le Sang du Christ et que si elle faisait partie de la
prière ancienne, alors cette prière était certainement un renvoi
après l'Eucharistie. Il fait une autre suggestion: si l'imposition
des mains précédait le signe, on prononçait la prière" Grandes,
ô mon Seigneur, sont les merveilleuses actions de ta Loi", et
qu'on imposait les mains à chacun des candidats. Si l'imposi-
tion des mains venait après le signe, en ce cas elle n'était que le
geste d'étendre les mains sur tous les candidats pendant que le
célébrant récitait la prière "Que le gage de l'Esprit Saint que
vous avez reçu ... ". Cependant on pourrait alléguer là-contre que
si la seconde prière est invariablement citée dans les manuscrits
du !aksa, la première est parfois omise, et dans ce cas les indi-
cations quant à l'imposition des mains sont transférées à la
seconde prière (" que le gage du Saint Esprit", etc.). Cette prière
se nomme aussi une syânûdâ quoiqu'elle ne soit pas précédée
d'une directive spécifique pour l'imposition des mains, sauf
quand la prière précédente est absente. Elle conclut par le signe
de la croix tracé dans l'air par le prêtre qui dit" maintenant et
en tous temps et à jamais ". Puis les rubriques donnent les indi-
cations pour signer le front ".
La rubrique qui indique qu'on place des couronnes sur la
tête des nouveaux baptisés et les prières qui accompagnent, est
absente de certains manuscrits, comme p. ex. ceux de la Cambrid-
ge University Library, ADD 2045, Rylands Library, Syriac 19,
Vat. Syr. LXV (si l'on se rapporte à la transcription d'Assema-
nus, B. O. III. ii) ainsi que par G. P. Badger dans sa description
du rite nestorien dans « Les Nestoriens et leurs rituels», bien
qu'il le mentionne comme paraissant dans le rite chaldéen.

6 .. La question de savoir si ces cérémonies constituent ce qui s'appellera en


Occident la «Confirmation" dépasse J'objet de cette communication. On pourrait
dire peut-être que si le rite d'initiation nestorienne avait imaginé une céré·
manie du genre de la Confirmation, c'est ici qu'il faudl'ait la chercher,
352 DOUGLAS WEBB

Le I:z.uttanza de cette cérémonie nous fournit une conclusion


heureuse à cette communication:
" Offrons des hommages de gloire, d'honneur, de profession
de foi et d'adoration à toi, ô très haut qui es descendu sur terre,
qui as revêtu la chair de notre hUlllilité, qui nous as unis à toi
et faits participants de ta divinité, et qui as promis de nous faire
héritiers de ta gloire et enfants de ton héritage et de ton honneur.
Que tes miséricordes et ta compassion soient sur nous tous,
toujours. A toi et par toi, à ton Père et au Saint Esprit puissions·
nous apporter notre louange, nos hommages, notre foi et notre
adoration. maintenant et toujours et à jamais ».

Douglas WEBB
CENTRO LlTURGICO VINCENZIANO
Via Pompeo Magna, 21 . 00192 Roma

BIBLIOTHECA EPHEMERIDES LlTURGICAE

COLLECTIO • SUBSIDJA »

1. CONFÉRENCES ST. SERGE, 1974, La maladie et la mort du chrétien dans


la liturgie, 1975. In 8', 468 pp. L. 10.000 - $ 15,00
2, J. PI~ELL, O. S. B., Las oraciones deI Salterio «per um1U.m» en el
nuevo [ibro de la Liturgia de Las Horas, 1974. In 8', 100 pp.
L. 3.000 - $ 5,00
3. CONFÉRENCES Sr. SERGE, 1973, Liturgie et rémission des péchés, 1975.
In 8', 294 pp. L. 7.000 - $ 11,00
4. A. CUVA, S. D. B., La Liturgia delle Ore. Note teologiche e pastoral.i,
1975. In 8', 158 pp. L. 4.000 - $ 6,00
5. F. GASTALDELLI, Boe::.io, 1974. In 80 , 64 pp. L. 2.000 - $ 3,00
6. G. LANDOTTJ, C. M., Le traduzioni deI Messale in Zingua italiana ante-
rio ri al l1lovimento liturgico moderno, 1975. In go, 248 pp.
L. 6.000 $ 10,00
7. CONFÉRENCES Sr. SERGE, 1975, Liturgie de l'E.glise particulière et litur-
gie de l'Eglise universelle, 1976. In 8', 410 pp. L. 11.000 - $ 16,00
8. CONFÉRENCES ST. SERGE, 1969, Le Saillt-Esprit dans la liturgie, 1977.. In
8', 182 pp. L. 6.000 - $ 10,00
9. CONFÉRENCES ST. SERGE, 1976, L'assemblée liturgique et les différents
rôles dans l'assemblée, 1977. In 8', 350 pp. L. 12.000 - $ 16,00
ID. J. GILBERT y TARRVELL, Fesrum Resurrectiol1is. El significado de la
expresion «Pascha» en la lirurgia hispânica, 1977. In 8~, XXIV + 46 pp.
L. 2.500 - $ 4,00
11. B. NEUNHEUSER, O. S. B., Stol-ia della liturgia attraverso le epoche
ctllturali, 1977. In 8', 144 pp. L. 5.000 - $ 9,00
12_ M. PATERNOSTER, La teslimol1ianza delle Costituzloni Ecclesiastiche sul
gesto dell'imposizione delle mani per il conferimento del ministero.
In 8', XXIV + 50 pp. L. 3.000 - $ 5,00
13. E. CATTANEO, Il cl/lla cristiano in Occidente. Note storiche. In 80, 734 pp.
L. 13.000 - $ 17,00
14. CONFÉRENCES ST. SERGE, 1977, Gestes et paroles dans les diverses famil-
les liturgiques, 1978. In 8', 352 pp. L. 14.000 - $ 18,00

In corso di stampa:
15. E. LODI, Euchiridiol1 euc1lOlogicum fontium liturgicorum.

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