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Enea Silvio Piccolomini e il "De Europa": umanesimo, religione e politica

Author(s): Barbara Baldi


Source: Archivio Storico Italiano , ottobre-dicembre 2003, Vol. 161, No. 4 (598) (ottobre-
dicembre 2003), pp. 619-683
Published by: Casa Editrice Leo S. Olschki s.r.l.

Stable URL: https://www.jstor.org/stable/26229399

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MEMORIE

Enea Silvio Piccolomini e il De Europa:


umanesimo, religione e politica

Quando si parla di Enea Silvio Piccolomini, il richiamo all'E


ropa appare quasi naturale, scontato: «The works of Pius II, bo
before and after his elevetion to the papal throne, are full of
use of the word Europe»;1 e ancora «Personne ne connais
l'Europe aussi bien que lui (...) Pour Pie II, la chrétienté et l'E
rope étaient une seule et mème chose. (...) Tout bien considéré
n'est guère surprenant que c'est dans les écrits de Pie II que n
trouvons les exemples le plus anciens de l'adjectif 'européen'».
L'Europa è il «tema intorno a cui si muovono le opere geogr
fiche e storiche del Piccolomini»; è l'«Europa cristiana, di cui
tiva e proclamava l'unità culturale»:3 «(...) le grand umaniste
neas Silvius Piccolomini, devenu pape sous le nom de Pie II, d
ne à ce continent, naguère encore désignée comme le domaine
la chrétienté (cristianitas) son nom légendaire et pa'ien d'Euro
Dans sa Cosmographie générale, il le décrit comme un ensem
humain et historique, non plus seulement géographique, don
détaille les conditions ecclésiastiques et politiques, économiqu
et sociales, nous dirons aujourd'hui: culturelle au sens large.
Pie II identifie l'Europe à notre patrie, notre maison, car tout
participe d'un mème destin menacé».4

1 D. Hay, Europe. The emergence of an idea, Edinburgh, Edinburgh Univers


Press, 1968 (ma prima edizione 1957), p. 86.
2 Id., Sur un problème de terminologie historique: Europe et Chrétienté, «Diog
ne», XVII, 1957, pp. 50-62, per la citazione infra pp. 675-676.
' E. Garin, Enea Silvio Piccolomini, in Id., Ritratti di umanisti, Milano, Bompia
1996, pp. 9-39, per la citazione infra pp. 640, 642 (ed. orig. del saggio 1958).
4 D. De ROUGEMONT, L'Europe, invention culturelle, «History of European idea
I, 1980, pp. 31-38, per la citazione infra p. 650: il corsivo è originale del testo.

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La realtà europea, si direbbe, è il centro naturale dell'attenzio


ne del Piccolomini, e poi di Pio II. L'Europa, centro della Cristia
nità, sede del papato e dell'impero, non meno che l'Europa delle
nazioni, sembrano il suo termine di riferimento, l'oggetto costante
delle sue preoccupazioni e delle sue cure; e, insieme, anche il ban
co di prova, di verifica, su cui si misurano gli scacchi e i successi
della sua politica.
Il fatto che, poco prima della sua ascesa al pontificato, il Pic
colomini abbia scritto il De Europa, non appare che un'importan
te e ulteriore conferma della centralità del tema e dell'interesse
del Piccolomini.
«Europeos, aut qui nomine Cristiano censentur»:5 la citazio
ne iniziale dell'opera è notissima, e ricorre a più riprese nella sto
riografia. La politica del Piccolomini, la sua religione, non meno
della sua attività letteraria, geografica e storica, ruotano dunque
intorno al tema dell'Europa: questa, in effetti, appare la conclu
sione pressoché unanime della storiografia.
Eppure, ad un esame più approfondito, questo richiamo al
l'Europa regge solo fino ad un certo punto, e il legame - così
spesso ricordato - fra il Piccolomini e l'Europa appare subito più
complicato, più ricco, ma anche più incerto, di quanto la storio
grafia non sembri suggerire.
Il motivo, certo, è ricorrente: ma da autore ad autore, da pe

5 E. S. Piccolomini, De Europa, in Aeneae Sylvii Piccolominei Senensis, qui post


adeptum pontificatum Pius eius nominis Secundus appellatus est, opera quae extant om
nia, nunc demum post corruptissimas aeditiones summa diligentia castigata &■ in unum
corpus redacta, quorum elenchum versa pagella indicabit: bis quoque accessit Gnomologia
ex omnibus Sylvii operibus collecta, & Index rerum ac verborum omnium copiosissimus,
Basileae, ex Officina, Francoforte a.M., Minerva GmbH, 1967, ristampa anastatica del
l'edizione Basileae, 1571, pp. 387-471, per la citazione infra p. 673: d'ora in poi sem
plicemente De Europa. Nel corso dell'articolo e nelle citazioni ha seguito in genere
quest'edizione. Ho tenuto tuttavia presente anche l'edizione più recente a cura di A.
VAN Heck (Enee Silvii Piccolominei postea Pii PP. II De Europa, edidit commentarìoque
instruxit Adrianus vati Heck, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2001).
Per comodità del lettore, per ogni citazione ho indicato fra parentesi quadra anche le
pagine di riferimento dell'edizione del van Heck. Quando mi è sembrato plausibile e
significativo ho inoltre ripreso nelle citazioni integrazioni o variazioni del van Heck, in
dicandole sempre con parentesi quadra. Nel caso particolare ricordato nel testo, ho
conservato, visto il costante riferimento della storiografia, la citazione usuale. Il Van
Heck suggerisce tuttavia un'altra lezione: «apud Europeos et, qui nomine Cristiano
censentur (...)». Ma si veda poi più oltre p. 673 e nota 180.

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riodo a periodo, esso assume significati, valenze un po' troppo di


verse e che, al di là delle ovvie variazioni storiografiche, lasciano
trasparire incertezze e imprecisioni più forti che restano da chiarire.
Il tema dell'Europa si lega ad altri motivi, ad altre idee chiave
più generali, seguendo prospettive diverse: la 'Cristianità', la 'crisi'
e la 'fine' dell"universalismo medievale'; la 'crociata' e la 'difesa
dell'Europa cristiana' dal pericolo turco; il ruolo del 'papato' e
dell"impero'; T'umanesimo'; le 'nazioni'; il concetto di 'civiltà' e
di 'barbarie'; la nozione di 'Europa' e quella di 'Asia'. La storio
grafia, per questa via, accentua, sposta l'attenzione ora su questo,
ora su quell'aspetto, mette in gioco elementi diversi, e il richiamo
all'Europa, a passare da studio a studio, per così dire, si allarga.
Ma, in questo modo, l'Europa ora si confonde con la Cristianità,
ora le si contrappone, o vi si identifica; ora richiama un'idea di
'unità', ora di 'divisione'; ora indica la 'civiltà cristiana', ora la 'ci
viltà occidentale', 1''occidente'; ora l'attenzione si sposta sul con
fronto con il Turco - confronto che assume a sua volta il carattere
di scontro militare e politico, ma anche di 'scontro di civiltà'; ora
tocca invece il problema dei rapporti fra le potenze europee, il
papato, l'impero.
Il Piccolomini, per così dire, si muove su questo scenario, si
confronta con questi temi e con questi problemi: ma, anche in
questo caso, la storiografia sembra oscillare fra interpretazioni e
giudizi che non sono solo molto diversi, ma che talvolta sono an
che difficilmente conciliabili fra loro. Il Piccolomini, così, ora è
visto come un uomo del Medioevo, l'ultimo dei papi della tradi
zione dell'universalismo medievale, ancora legato alla visione me
dievale del papato e dell'impero, impegnato nello sforzo, vano se
non anacronistico, di ristabilire l'unità della Cristianità. Ora, vice
versa, viene presentato come l'interprete della nuova realtà del
l'Europa, delle trasformazioni del papato, dell'impero, fino ad es
sere considerato un anticipatore del concetto moderno di 'Euro
pa', uno dei 'padri' dell'Europa.
La situazione degli studi sul De Europa, a sua volta, corrispon
de e sembra riflettere queste contraddizioni e queste incertezze
più generali.
Da un lato, alcuni motivi particolari dell'opera ricorrono co
stantemente nella storiografia: l'uso frequente, come si è già ac

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cennato, da parte del Piccolomini dei 'nuovi' termini di 'Europa'


e di 'europeo'; l'identificazione chiaramente affermata fra 'Cristia
nità' ed 'Europa'; l'importanza del confronto con il Turco e l'e
mergere di un concetto di Europa come entità sostanzialmente
unitaria dal punto di vista religioso e culturale. Il richiamo al testo
resta tuttavia abbastanza generico, e, ancora oggi, all'interno della
pur vasta storiografia piccolominiana," ben pochi sono i contribu
ti specifici dedicati al De Europa, e l'unico studio che, in effetti,
cerchi di considerare il testo nel suo insieme resta ancora il saggio
di Nicola Casella - Pio II tra geografia e storia: la 'Cosmographia'J
A partire dagli anni '80, semmai, alcuni studi hanno attirato

6 La letteratura sul Piccolomini è in effetti estremamente vasta, segno del vario


interesse che, nel tempo, la sua figura di umanista, scrittore, diplomatico e pontefice,
ha suscitato negli studiosi. Per alcune prime indicazioni bibliografiche si possono vede
re M. E. Cosenza, Biographical and bibliographical Dictionary of the ltalian Humanists
and of the World of Classical Scholarship in Italy. 1300-1800, Boston Mass., G. K. Hall
& Co., 1962, pp. 2810-2824; R. Ceserani, Rassegna bibliografica, «Giornale di Storia
della Letteratura Italiana», CXLI, 1964, pp. 265-82; N. Casella, Recenti studi su Enea
Silvio Piccolomini, «Rivista di Storia della Chiesa in Italia», XXVI, 1972, pp. 473-488;
L. Totaro, Pio II nei suoi Commentarti. Un contributo alla lettura dell' autobiografia di
Enea Silvio Piccolomini, Bologna, Patron, 1978, pp. 219-220. Si possono vedere inoltre
gli atti dei seguenti convegni: Enea Silvio Piccolomini. Papa Pio II, Atti per il V centena
rio dalla morte, a cura di D. Maffei, Siena, Soc. Tip. 'Multa paucis', 1968; Atti del con
vegno storico piccolominiano, Ancona 9 maggio 1965, «Atti e Memorie della Deputazio
ne di Storia Patria per le Marche», s. VII, IV, II, 1964-1965, e Pio II e la cultura del suo
tempo, a cura di L. Rotondi Secchi Tarugi, Milano, Guerini Associati, 1991. Sono di
fresca pubblicazione gli atti del più recente convegno 11 sogno di Pio II e il viaggio da
Roma a Mantova, convegno internazionale di studi tenutosi a Mantova dal 13 al 15
aprile 2000 e organizzato dal Centro Studi Leon Battista Alberti, Firenze, Olschki, 2003.
Tra i contributi più recenti si segnalano in particolare C. E. Naville, Enea Silvio
Piccolomini. L'uomo. L'umanista. Il pontefice (1405-1464), Locamo, Analisi, 1984; R.
Fubini, Scapigliato e umanista, «Storia e dossier», XXI, 1988, pp. 45-48; e la voce curata
da M. Pellegrini, Pio II, in Enciclopedia dei papi, II, Roma, Istituto della Enciclopedia
Italiana, 2000, pp. 663-685, di cui si veda in particolare il profilo storiografico e le indi
cazioni bibliografiche conclusive.
Per un quadro più generale sulla storiografia piccolominiana, si possono ancora
vedere utilmente G. Resta, Enea Silvio Piccolomini, «Letteratura Italiana: i Minori»,
Milano, Marzorati, 1961, I, pp. 553-567, in particolare pp. 562-564; e G. Arnaldi, Ri
tratto di Enea Silvio Piccolomini, «Terzo Programma», III, 1965, pp. 361-366.
7 «Archivio della società romana di storia patria», XXVI, 1972, pp. 35-112: si ve
da per questo più oltre pp. 643-649. Tra i saggi più direttamente dedicati al De Europa
si possono poi ricordare R. Avesani, Sulla battaglia di Varna nel 'De Europa' di Pio II:
Battista Franchi e il cardinale Francesco Piccolomini, in Atti del Convegno storico piccolo
miniano cit., pp. 85-95; e F. Guida, Enea Silvio Piccolomini e l'Europa orientale: il 'De
Europa' (1458), «Clio», XV, 1979, pp. 35-77.

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l'attenzione su aspetti particolari del testo, insistendo soprattutto


sulla sensibilità del Piccolomini per l'Europa delle 'nazioni', del
le 'nuove' realtà 'nazionali'. Il richiamo all'unità resta un motivo
centrale; ma esso si accompagna sempre più, secondo questi auto
ri, al tema altrettanto forte della varietà dell'esperienza europea, e
dell'attenzione costante nel Piccolomini per le trasformazioni e i
mutamenti del quadro politico-religioso europeo: l'allargarsi del
l'Europa verso est, i nuovi stati dell'Europa orientale, l'affermarsi
delle monarchie nazionali. In questa prospettiva, l'Italia e la Ger
mania si pongono come il centro privilegiato dell'interesse del
Piccolomini, come vero e proprio cuore del De Europa.
Eppure questo trattato, di cui si parla sempre più, così larga
mente citato, così apparentemente ben noto, resta, in realtà, un'o
pera ancora poco conosciuta e assai poco studiata. I diversi con
tributi offerti via via dalla storiografia rimangono in effetti sparsi e
non collegati fra loro. Ma, soprattutto, i vari studi non riescono,
alla fin fine, a stabilire un nesso convincente fra il Piccolomini, la
sua vicenda personale, la sua politica, la sua visione dell'Europa, e
il contesto più generale entro cui egli opera: sia che si tratti del
papato, dell'impero, dei problemi della Cristianità o del rapporto
fra le nuove nazioni europee.
In queste condizioni, una verifica più puntuale, seppur rapida,
della storiografia rappresenta allora, a mio avviso, il punto di par
tenza obbligato per tentare di riproporre il problema del rapporto
fra il Piccolomini e l'Europa; cui vorrei far seguire un riesame di
retto del testo del De Europa, tenendo presenti sia i tempi di com
posizione, sia il rapporto effettivo fra le vicende personali del Pic
colomini, le sue idee, le sue iniziative politiche e diplomatiche, e
la situazione complessiva del continente.

Quando si comincia a parlare di Europa rispetto al Piccolomi


ni? Con quali significati e quali riferimenti? In che modo la sto
riografia ha presentato il problema del rapporto fra il Piccolomini
e la realtà europea?
La questione, in effetti, è tutt'altro che semplice, e il modo in
cui la storiografia ha cominciato a considerare il tema dell'Europa

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appare strettamente legato al problema più generale delle diverse


valutazioni, delle diverse interpretazioni che si sono date della fi
gura e della vicenda del Piccolomini.
Da questo punto di vista, a mio avviso, il punto di partenza
può essere costituito ancora dallo studio di Georg Voigt, Enea
Sylvius Piccolomini ah Papst Pius der Zweite und sein Zeitalter,8
Nel suo monumentale lavoro, in effetti, il Voigt ricostruisce
attentamente l'attività diplomatica, politica e letteraria del Picco
lomini, ponendo particolare attenzione al mondo tedesco e al rap
porto fra il Piccolomini, la Germania, l'impero. Il Voigt si soffer
ma così sul periodo conciliare di Enea Silvio, sulla sua azione a fa
vore del riavvicinamento fra Federico III e Eugenio IV fino alla
conclusione del concordato di Vienna;9 cerca di chiarire il peso e
il ruolo del Piccolomini presso la corte imperiale, rispetto alla po
litica di Federico III;10 insiste, infine, sulla politica tedesca e impe
riale di Pio II: la lotta con Diether von Isenburg, arcivescovo di
Magonza e capo dell'opposizione tedesca;11 il difficile rapporto
con la Chiesa boema e Giorgio Podiebrad;12 il sostegno offerto al
cardinale Nicola Cusano nello scontro politico-ecclesiastico con
Sigismondo d'Austria.13
L'esperienza personale del Piccolomini, per questa via, viene
così collegata dal Voigt ad alcuni problemi più generali, di portata
europea, che toccano il problema del ruolo del papato fra '400 e
'500, il rapporto fra il papato e la realtà tedesca prima della Rifor
ma protestante, i problemi della Chiesa tedesca, il rapporto fra l'I
talia rinascimentale e la Germania.
Il quadro complessivo che emerge dall'analisi dello studioso
tedesco è quanto mai negativo, e riflette, come è stato notato più
volte, una concezione unilaterale del Rinascimento italiano e

8 Berlino, G. Reimer, I-III, 1856-63: il lavoro del Voigt costituisce la prima im


portante biografia moderna dedicata al Piccolomini.
9 Ibid., I pp. 79-96, 139-272, 295-307, 324-425.
10 Ibid., II pp. 3-148.
!I Ibid., Ili pp. 209-302.
12 Ibid., Ili pp. 422-501.
13 Ibid., Ili pp. 303-421.

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un'immagine, tipica della storiografia protestante, per così dire, a


'tinte fosche' dell'Europa cristiana del '400, dominata dal prevale
re dell'interesse particolare, moralmente corrotta, incapace di sin
ceri slanci ideali e fede profonda.
Il Piccolomini si inserisce, si muove in questo quadro: una for
tissima ambizione personale, un individualismo sfrenato, il deside
rio di affermare il proprio nome e di acquisire fama presso i po
steri, costituiscono, secondo il Voigt, i motivi e le ragioni della sua
azione politica e diplomatica. Le aspirazioni religiose e politiche
che animano la Germania, l'esigenza di una riforma della Chiesa e
del papato, restano estranee al Piccolomini, che approfitta invece
di ogni occasione per far carriera, passando spregiudicatamente
dal partito conciliare a quello imperiale, e infine a quello papale
nella costante ricerca di una posizione e di un guadagno migliore.
Anche il legame con la Germania, che il Voigt pone in primo
piano, al fondo, rientra in questa prospettiva. Indifferente ai pro
blemi della Chiesa tedesca, il Piccolomini guarda piuttosto al rap
porto con il mondo tedesco come via per acquisire una posizione
di prestigio presso la corte romana in qualità di 'mediatore' nei
difficili rapporti fra papato e impero, in vista di un possibile cap
pello cardinalizio;14 o, ancora, come 'terreno di caccia' privilegiato
alla ricerca di benefici ecclesiastici sempre più ricchi.15
E simili sono, alla fin fine, le ragioni del suo interesse per la
crociata.16 La politica papale, da questo punto di vista, trova pro
prio nella crociata il suo «Mittelpunkt», il suo punto di riferimen
to centrale: ma l'insincerità di fondo delle intenzioni papali, alla
fin fine, è dimostrata proprio dai tentennamenti, dalle continue

14 lbid., II, pp. 3-89, p. 151.


15 lbid., II, pp. 192-199, 217-218.
16 II Voigt infatti mette in dubbio la sincerità delle preoccupazioni del Piccolomini
per l'avanzare della minaccia turca. Invocando - nelle orazioni, nei congressi e nelle
diete tedesche - la crociata contro il Turco, difendendo e sostenendo il progetto di Cal
listo III, il Piccolomini mirava piuttosto, secondo il Voigt, a guadagnarsi il favore papa
le, e l'elezione a cardinale. Si vedano in particolare III, pp. 89-91. La successiva nomina
a pontefice non modifica l'atteggiamento di fondo del Piccolomini verso la crociata: la
politica di Pio II, in questo senso, resta pur sempre legata a motivazioni particolari di
ambizione, e desiderio di affermazione personale.

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incertezze del pontefice, incapace di portare avanti con forza e in


modo unitario e coerente il proprio progetto.17
Tuttavia, al di là del giudizio moralisticamente severo, lo stu
dio del Voigt solleva, per questa via, alcuni problemi più generali,
legati al rapporto fra il Piccolomini, il papato, la realtà tedesca e
la realtà europea: problemi che la storiografia successiva, spinta in
primo luogo proprio dal desiderio di rivedere e attenuare le con
clusioni del Voigt, riprende e sviluppa.
Da questo punto di vista, il lavoro del Pastor, dedicato soprat
tutto al pontificato di Pio II, si richiama direttamente alle tesi del
Voigt, ma il tema della crociata, e i problemi posti dallo studioso
tedesco, sono poi letti e interpretati in una luce decisamente di
versa.18
Il Pastor non nega la dissolutezza e gli 'errori' giovanili del
Piccolomini; ne condanna duramente il nepotismo;19 tuttavia egli,
a differenza del Voigt, sottolinea a più riprese lo slancio ideale e
religioso del pontefice, insistendo, in particolare, sulla sincerità e
sull'importanza della sua conversione religiosa, morale e politica,
determinata dal maturarsi di una concezione più severa della vita.20
In questo senso, la conversione rappresenta anzi, secondo il
Pastor, un momento decisivo di svolta nella vita del Piccolomini,
e segna una netta frattura fra la figura di Enea Silvio e quella di
Pio II: riprendendo, si potrebbe dire, l'invito che lo stesso Pio II,
nel 1463, rivolgeva ai suoi detrattori d'oltralpe e a coloro che gli
rinfacciavano i suoi trascorsi conciliari e giovanili - «Aeneam reji
cite, Pium accipite»21 - il Pastor contrappone infatti decisamente

17 Ibid., Ili, pp. 640-722.


18 L. VON PASTOR, Storia dei papi nel periodo del Rinascimento dall' elezione di Pio
2" alla morte di Sisto 4°, nuova versione italiana sulla 4" ed. tedesca di A. MERCATI, nuo
va ristampa della 4a ed. riv. e corretta, Roma, Desclée, 1961, t. II, lib. I, cap. I-Vili (ed.
orig. tedesca 1886).
19 Si veda ad esempio ibid. p. 275: «Invano si cercherebbe di scusare la sua vita
anteriore e il nepotismo cui da papa pagò il suo tributo». Ma si cfr. anche Id., Storia dei
papi nel periodo del Rinascimento (Martino 5°, Eugenio 4", Niccolo 5°, Calisto 3") fino al
l'elezione di Pio 2°, nuova versione italiana di A. Mercati, nuova ed. interamente rifatta
sull'ultima ed. tedesca, Roma, Desclée, 1958, t. I, pp. 301-308.
20 Ibid, t. I, p. 305.
21 Mi riferisco alla bolla papale In Minoribus Agentes, del 26 aprile 1463, per cui si
veda in particolare PASTOR, Storia dei papi cit., II, pp. 185-186.

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l'immagine di un'Enea giovane, ambizioso - per il quale ripropo


ne, sostanzialmente invariato, il giudizio del Voigt - a quella del
pontefice, impegnato a ristabilire, nel confronto con le potenze
europee e la perdurante forza del movimento conciliare, il presti
gio del papato e a realizzare la crociata per liberare l'Europa e la
Cristianità dal pericolo turco.
In particolare, la crociata, la «liberazione dell'Europa» dalla
minaccia turca, restano indubbiamente il punto centrale della po
litica papale:22 un obiettivo che Pio II - vero e proprio 'martire'
della crociata - persegue, secondo il Pastor, con serietà e coeren
za, fino al 'sacrificio' finale: «(...) lo zelo infaticabile, con il quale
Pio II, già indebolito dall'età e torturato dalle sofferenze fisiche,
in mezzo a un mondo egoista ha tentato di mettere in piedi una
crociata; la sua attività instancabile per una causa che egli stesso
dovette riconoscere per quasi disperata, cioè a dire la difesa me
diante le forze unite dell'Occidente contro l'Islamismo, che mi
nacciava di annientare in pari tempo la Chiesa e la civiltà occiden
tale, gli merita la nostra ammirazione e rende in ogni tempo vene
rabile la sua memoria».25
In polemica con il Voigt, il Pastor rivaluta dunque con forza il
pontificato di Pio II, in una prospettiva che pone in primo piano
il fervore religioso, lo zelo del pontefice per la causa della Chiesa
e del papato, contrapponendoli piuttosto all'ostilità e all'indiffe
renza delle principali potenze cristiane italiane ed europee.2'1
L'esigenza di superare il giudizio negativo del Voigt, del resto,
resta un punto di riferimento costante della storiografia di fine
'800 e dei primi anni del '900; e, in questo senso, l'interpretazione
del Pastor acquista uno spazio sempre maggiore. I diversi autori,
di volta in volta, riprendono con forza l'idea di una conversione

Per una valutazione più generale dell'importanza del motivo nella storiografia pic
colominiana, si cfr. Resta, Enea Silvio Piccolomini cit., p. 562; Arnaldi, Ritratto di Enea
Silvio Piccolomini cit., pp. 363-364; e F. Gaeta, Il primo libro dei Commentarii di Pio II,
L'Aquila, L. U. Japadre, 1966, pp. VII-XIII.
22 Pastor, Storia dei papi cit., II, pp. 14-15.
23 Ibid., II, pp. 275-276.
24 In particolare, le accuse del Pastor sono rivolte principalmente contro le repub
bliche di Firenze e di Venezia, considerata la principale responsabile, quest'ultima, del
fallimento della crociata di Pio II: ibid., II, pp. 266-270.

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morale e religiosa come momento di netta cesura della vita del


Piccolomini; accentuano l'importanza di alcuni motivi centrali, in
primo luogo il richiamo all'unità e alla difesa della Cristianità, e
la crociata; oppure tentano di rivalutare, in una prospettiva più
equilibrata, l'attività giovanile del Piccolomini. Tuttavia, nel com
plesso, essi restano pur sempre legati ad un'impostazione preva
lentemente moralistica, senza riuscire, alla fin fine, ad andare oltre
la constatazione delle contraddizioni fra i diversi aspetti della sua
vita, fra Enea Silvio e Pio II.
La biografia di Cecil Ady, da questo punto di vista, mi pare
particolarmente indicativa:25 la studiosa inglese pone particolare
attenzione al problema del rapporto fra il Piccolomini, il papato
e la nuova realtà dell'Europa;26 riconosce i meriti della politica
sia italiana che europea di Pio II,27 anche se ne condanna alcuni
aspetti, alcuni atteggiamenti giovanili; sottolinea l'impegno crocia
to del pontefice, e riprende i giudizi del Pastor sull'indifferenza
delle potenze cristiane di fronte al progetto papale.28 Soprattutto,
a differenza del Voigt, la Ady mette in luce gli aspetti più positivi
dell'umanesimo e dello spirito rinascimentale incarnato dal Picco
lomini: l'interesse per l'uomo e per il mondo contemporaneo, la
nuova fiducia nelle possibilità umane, l'energia, l'attivismo e an
che lo stesso individualismo appaiono ora elementi positivi della
personalità del Piccolomini.29 Nella vita come negli scritti, il Pic
colomini si dimostra, secondo la Ady, «a perfect child of Renais
sance», «a mirror of his age».
Il Rinascimento, lo 'spirito rinascimentale' sono posti così al
centro della ricostruzione della studiosa inglese. Tuttavia, al dun
que, questa piena adesione del Piccolomini allo spirito rinasci
mentale, secondo la Ady, costituisce anche il limite più insupera

25 C. Ady, Pius II. The Humanist Pope, Londra, Meuthen & Co. Ltd., 1913.
26 Ibid., pp. 206-235.
21 Ibid., p. 235: «Always making the best of a situation, quick to seize every point
of vantage, slow to press matters to extremities, Pius did ali that could be done under
the circumstances. Thus he left the reputation of the Papacy in Europe higher than he
found it. He showed that, in spite of its abuses, the Apostolic See stood for ideals and
aspirations nobler than the common aims of a self-seeking age».
28 Ibid., in particolare pp. 326-327.
29 Ibid., pp. 346-347.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa.- umanesimo, religione e politica 629

bile della sua azione, della sua politica rispetto al papato e all'Eu
ropa: «Nevertheless, in looking back upon his history, the prevai
ling impression which we gather is that of the limitations of hu
manism as a guide to life (...) the ideals of humanism were not hi
gh enough to grapple with the problems of his pontificate. (...) He
did the utmost that expediency santiones for the cause of the cru
sade: but, while he was waiting for the princes of Europa to fol
low his example, he built Pienza. Thus he was not able to convin
ce Christendom of his sincerity, or to restore the fallen credit of
the Papacy».50
L'interpretazione della Ady finisce così per accentuare il senso
delle contraddizioni della personalità e della politica del Piccolo
mini, e il giudizio complessivo della studiosa inglese sembra ri
chiamare, alla fin fine, alcune delle conclusioni dello studioso te
desco.
La storiografia, in questo modo, indubbiamente, approfondi
sce via via criteri e motivi, e il tema dell'Europa, del rapporto fra
il Piccolomini e la realtà europea acquista importanza. Tuttavia,
esso risulta, per così dire, come 'imprigionato' all'interno di una
serie di riferimenti, di categorie più generali - il 'Rinascimento', la
'crociata' - senza trovare uno sviluppo convincente.
Solo a partire dagli anni '30, una serie di studi successivi - dai
lavori di Werner Fritzemeyer, di Gian Piero Bognetti, a quelli di
Francesco Battaglia, Gaston Zeller e Federico Chabod - offrono
nuovi stimoli e nuovi motivi di riflessione.
Lo studio di Werner Fritzemeyer,31 da un lato, resta ancora le
gato ad un'interpretazione del Piccolomini come figura, per così
dire, 'rappresentativa' del Rinascimento italiano visto, in una pro
spettiva non dissimile da quella del Voigt, nei suoi caratteri più
'tipici' di individualismo sfrenato, di ambizione e di ricerca co
stante di fama e potere: questi restano, in effetti, i tratti più carat
teristici della sua personalità, e spiegano, secondo il Fritzemeyer,
anche la libertà e la disinvoltura con cui il Piccolomini si muove

30 Ibid., pp. 347-348.


31 W. Fritzemeyer, Chrktenheit und Europa. Zur Geschichte des europàischen Ge
meinschaftsgefuhls von Dante bis Leibniz, Monaco-Berlino, Verlag von R. Oldenbourg,
1931, in particolare sul Piccolomini pp. 18-29.

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630 Barbara Baldi

da un ruolo all'altro, ora segretario dell'antipapa Felice V, ora


dell'imperatore, ora cardinale e infine papa.52
Tuttavia, l'attenzione dell'autore è rivolta anche ad altri aspet
ti, e quello che gli preme è piuttosto mostrare l'emergere nel Pic
colomini di una nuova consapevolezza, di una nuova coscienza
della realtà europea, o, più semplicemente, di un nuovo concetto
di Europa.
Il tema dell'Europa, della formazione dell'idea di Europa, in
effetti, acquista negli anni successivi alla crisi della prima guerra
mondiale, un interesse storiografico crescente, e il lavoro del Frit
zemeyer, uno dei primi importanti contributi dedicati al tema, si
inserisce pienamente in questa prospettiva."
Secondo il Fritzemeyer, in particolare, il Piccolomini rappre
senta uno degli interpreti più sensibili e 'moderni' dei mutamenti
che accompagnano l'emergere dell'idea moderna di Europa: una
figura, si potrebbe dire, che segna uno dei momenti più importan
ti del passaggio dalla Cristianità all'Europa.
Il Piccolomini avverte con forza la fine della Cristianità medie
vale: la nuova realtà europea non ha più nulla a che vedere, or
mai, con la concezione medievale dell'unità del mondo cristiano,
del ruolo del papato e dell'impero.34 Gli stessi scritti del Piccolo

i2 Ibid., p. 21.
33 Sull'importanza del tema dell'Europa nella storiografia fra la prima e la seconda
guerra mondiale, si vedano in particolare le osservazioni di F. Chabod, nel suo corso
del 1943-'44 sulla storia dell'idea di Europa: «in questi ultimi anni è stato, ed è, un
gran parlare di Europa e di civiltà europea, di anti-Europa e di forze avverse alla civiltà
europea, ecc. Appelli, articoli di giornali e di riviste, discussioni e polemiche: insomma,
il nome 'Europa' è stato con insolita frequenza tirato in ballo, a torto e a ragione, per
diritto e per rovescio» (Storia dell'idea di Europa, Roma-Bari, Laterza, 1993, a cura di
A. Saitta e E. Sestan, qui Prefazione, p. 8).
Per le vicende del testo relativo al corso del '43-'44 (cui si riferisce la citazione), si
veda in ogni modo B. Vigezzi, Federico Chabod e i problemi dell'idea di Europa, in Sto
ria e storici d'Europa nel XX secolo, a cura di B. VlGEZZI - M. M. BENZONI, Milano, Edi
zioni Unicopli, 2001, pp. 211-241, in particolare pp. 222-223, e nota 22.
34 Fritzemeyer, Christenheit und Europa cit., in particolare p. 20: «(...) so muK er
selbst auch di Auflòsung jeder regimentalen Einheit der Christenheit feststellen: gewifi,
er bedauert sie, aber er sieht doch mit groKer Klarheit in eine Welt hinein, die sich un
widerruflich aus dem Mittelalter befreit hat. "Christianitas nullum habet caput, cui pa
rere omnes velint. Neque summo sacerdoti, neque Imperatori quae sua sunt dantur.
Nulla reverantia, nulla oboedientia est. Tanquam ficta nomina, pietà capita sint, ita Pa

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 631

mini testimoniano questo mutamento deciso della sensibilità: nel


De ortu et autoritate imperii romani, il Piccolomini, allora segreta
rio imperiale, propone una nuova concezione dell'impero, che
prescinde dal rapporto con il papato e che si pone come sovranità
piena ed autonoma."
Ma è soprattutto l'Europa che appare ormai diversa dalla Cri
stianità medievale.
Proprio il De Europa, in questo senso, sembra offrire per la
prima volta la rappresentazione dello spazio politico e geografico
europeo che si definisce 'Europa' e che se pure non è ancora ve
ramente 'Europa', non indica cioè ancora una forte comunità cul
turale, tuttavia appare già lontano, 'emancipato', dall'organizza
zione unitaria politica e religiosa propria del medioevo.36
Il fatto poi che nel trattato compaiano sia il termine 'Europa',
sia il 'nuovo' aggettivo 'europeus', è un'ulteriore conferma, secon
do il Fritzemeyer, del nuovo modo di guardare all'Europa.
Per questa via, il Fritzemeyer accentua il senso delle trasfor
mazioni della realtà europea del '400, l'idea di una rottura con la
tradizione, politica e politico-religiosa, medievale, in una prospet
tiva che sottolinea fortemente l'importanza del Piccolomini come
interprete di queste stesse trasformazioni. Tuttavia, i motivi messi
in luce dal Fritzemeyer sono poi collegati solo fino ad un certo
punto al problema della politica europea del Piccolomini, della
sua effettiva attività politico-diplomatica. Il richiamo al 'Rinasci
mento' conserva, si direbbe, i propri limiti, mentre il nesso fra il
Piccolomini e l'Europa, i problemi europei risulta, alla fin fine,
troppo fragile e incerto.

pam Imperatoremque respicimus. Suum quaeque civitas regem habet. Tot sunt princi
pes quot sunt domus"».
'5 Ibid., pp. 19-21.
56 Ibid., pp. 27-28: «Noch bedeutet 'Europa' nicht eine fest geschlossene Kultur
gemeinschaft, noch sind die einzelnen Lànder nicht in eine lebendige Einheit zusam
mengewachsen, das ihnen eigene Leben breitet sich noch nicht iiber den europàischen
Kòrper aus und steht nicht in engem Zusammenhang mit dem dieses Ganzen (...) Der
Ausdruck Europa gewinnt jedoch eine solche Gelaufigkeit, dafi er iiber die geographi
sche Sphare hinaus auch Gefafi und Sinntràger geistiger Gehalte wird. (...) Dieses 'Eu
ropa' nicht im Gegensatz zu 'Christenheit' entwickelt, sondern vollig aus den christli
chen Gemeinschaftsvorstellung erwachsen, bildet sich zu einer selbststàndigen Raum
vorstellung empor, die sich von der kirchlichen Organisation emanzipiert, fàhig zur
Aufnahme autonomer kultureller Werte».

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632 Barbara Baldi

Tanto che gli studi successivi, se pure riprendono alcuni dei


temi evidenziati dal Fritzemeyer, vanno poi in ben altra direzio
ne.

Francesco Battaglia, ad esempio, pone il problema della C


stianità, delle divisione delle potenze cristiane al centro de
flessione del Piccolomini, e rileva, come già il Fritzemeyer, l
dernità' della sua concezione dell'impero e dell'autorità dell
to. Il De ortn et autoritate imperii romani rappresenta, anz
Battaglia «il più compiuto trattato del '400 italiano sulla na
essenziale dello stato e sulla moderna nozione di sovranità»
punto da vedere nel Piccolomini un precursore del Bodin.58
La prospettiva del Battaglia, tuttavia, è decisamente divers
Piccolomini, certo, avverte con forza la crisi della Cristianit
per lui, «l'unità della Chiesa è l'alto valore da restaurare».39
rabola politica del Piccolomini - da conciliare, a neutrale, e
monarchico - diventa la ricerca di una possibile via di salve
dapprima nel concilio, poi nell'impero e quindi nel papato -
tro il frantumarsi stesso della Cristianità.
La ricerca dell'unità e della pace delle potenze cristiane e
ge cioè come tema centrale e costante dell'attività politica e
matica del Piccolomini. E il motivo, secondo Battaglia, potr
anche spiegare le ragioni della conversione politica e religios
Piccolomini, offrendo, sul piano storiografico, una chiave di
ra unitaria della sua vicenda e della sua personalità, risolven
contrasto fra la sua vita giovanile e la sua piena adesione al p
papale. Il concilio prima, e l'impero poi, si sarebbero infatti
lati, agli occhi del Piccolomini, incapaci di affrontare i prob
essenziali della Chiesa, a partire dalla sua riforma interna. Di
te all'emergere delle nuove chiese nazionali, la preoccupa

37 F. Battaglia, II pensiero politico di Enea Silvio Piccolomini, in Id., Enea


Piccolomini e Francesco Patrizi: due politici senesi del Quattrocento, Siena, Istit
munale di arte e storia, 1936, pp. 1-73, per la citazione infra p. 645.
38 Ibid., p. IX: «(...) non temiamo di esagerare, dicendo che il pensiero politi
Enea Silvio offre un interesse capitale per lo storico delle dottrine, in quanto e
ma ancora del Bodin, chiarisce il concetto del potere sovrano, essenziale alla mo
nozione di Stato, e ne determina gli attributi formali».
39 lbid., p. 24.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa, umanesimo, religione e politica 633

per le sorti della Cristianità lo spingerebbe allora a «cercare la sal


vezza in una più forte unità intorno al papa».40
L'unità, e la difesa, della Cristianità diventano, quindi, i motivi
dominanti della politica papale rispetto all'Europa, al papato, al
l'impero. L'unità delle forze cristiane, certo, è indispensabile an
che per l'organizzazione della crociata - che resta l'obiettivo cen
trale di Pio II. Ma questo richiamo all'unità corrisponde, sempre
più, anche ad un'aspirazione ideale fortemente sentita: il Piccolo
mini, da questo punto di vista, resta senz'altro legato alla cristiani
tà, e la sua politica è orientata piuttosto verso la restaurazione, la
difesa di una tradizione ormai in crisi.
In questa prospettiva, la tesi di Fritzemeyer è esplicitamente
rifiutata anche da Gaston Zeller: «Inserire en tète des annoncia
teurs de l'Europe, ^Eneas Sylvius Piccolomini, le pape Pie II, c'est, à
n'en pas douter, se tromper lourdement (,..)».41 I motivi richiamati
dal Frizemeyer - la centralità del nuovo concetto di Europa, l'at
tenzione alle trasformazioni del quadro europeo - vengono messi
in discussione, e, in questo senso, il De Europa sembra piuttosto
confermare, secondo lo Zeller, la forza del legame che unisce il
Piccolomini alla tradizione della Christianitas medievale: «Si l'Eu
rope se différencie de la Chrétienté, vers 1460, ce n'est pas parce
que Pie II la pense différente, c'est parce que elle n'est plus effec
tivement tout entière chrétienne. Et cela est si vrai que, là où il le
peut, Pie II fait coincider l'Europe avec la Chrétienté (...) Pour
Pie II le pays des Sarmates et des Moscovites appartient à l'Euro

40 G. P. BoGNETTI, Pio II, XXVII, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1935,


pp. 310-312, qui p. 311.
41 G. ZELLER, Les relations internationales au temps de la Renaissance, «Revue des
cours et des conférences», XXXVII, voi. I, 1935-1936, pp. 35-48, 182-192, 227-236,
354-365, 647-657; XXXVII, voi. II, 1936, pp. 69-82: qui p. 355. Per Zeller il Rinasci
mento segna un momento di rottura con il Medioevo, un'età che vede la crisi dell'uni
versalismo medievale e il graduale emergere di una nuova comunità politica e spiritua
le, ma laica, che sarà poi l'Europa: «L'evolution dont nous recherchons les traces méne
d'un sentiment de communauté entre gens de mème religion à un sentiment, purement
lai'que, de communauté culturelle. Elle a donc le caractère d'une secularisation» (p.
356). Per questo motivo, il Piccolomini, che resta legato ad un'idea di Cristianità, e
quindi ad una concezione dell'Europa basata sulla religione, non può essere considera
to uno dei 'padri' dell'idea di Europa.

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634 Barbara Baldi

pe dans la mesure où il est habité par des chrétiens: là où on n'en


rencontre plus commence l'Asie».42
La Cristianità, e non l'Europa, costituisce dunque il punto di
riferimento del Piccolomini. Il richiamo resta prevalente, anche
quando, pochi anni dopo, Federico Chabod, nei suoi corsi sull'i
dea di Europa, riprende il tema della storia dell'idea di Europa, e
ritorna sulle tesi di Fritzemeyer.43 Chabod sottolinea con forza co
me nel Piccolomini sia possibile ritrovare «l'apprezzamento dei
valori culturali europei, fondati sulla tradizione classica, sul culto
di Roma e del pensiero antico»;44 così come è possibile riconosce
re la coscienza della presenza di «affinità culturali, motivi di vita
morale e spirituale, identità di costumi fra questo e quel popolo
dell'Europa fisica»,45 ma egli non giunge ancora ad elaborare un
concetto pienamente unitario dell'Europa. Nel Quattrocento, il
punto di riferimento degli umanisti resta la Christianitas: l'impor
tanza attribuita all'elemento culturale - che Chabod mette in luce
con forza - è pur sempre subordinata alla religione e al peso del
fattore religioso. L"Europeo', insomma, resta, alla fin fine, innan
zitutto il 'cristiano'.
Per questa via, però, il problema del rapporto fra il Piccolomi
ni, l'Europa, e le nuove forze europee, sembra risolversi nella con
statazione di un anacronismo di fondo della sua politica, nei mez
zi e nei fini. Come afferma ad esempio Richard Aubenas, il Picco
lomini non può che essere considerato come l'erede della tradi
zione dell'universalismo cristiano medievale, l'ultimo dei papi del
Medioevo.46 Il fallimento di ogni suo tentativo di organizzare una
crociata costituisce la testimonianza più evidente, per Aubenas,
del mutare dei tempi e della crisi irreversibile della Cristiani

42 Ibid., pp. 355-356.


4i Chabod, Storia dell'idea di Europa cit.: per il Piccolomini si vedano in particola
re le pp. 44-45.
44 Ibid., p. 44: il corsivo è originale del testo.
45 Ibid., p. 45.
46 R. AuBENAS, L'Umanesimo sul trono di Pietro: Pio II, in La Chiesa e il Rinasci
mento (1449-1317), voi. XV, a cura di P. Prodi, Torino, S.A.I.E., 1977 (Storia della
Chiesa, a cura di R. Aubenas e R. Ricard - ediz. orig. francese 1951), pp. 62-67, in par
ticolare p. 65; e Id., Pio II, l'Europa e i progetti di crociata, ivi, pp. 67-89, pp. 68, 87.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 635

tà. L'Europa, come egli scrive, è ormai un'altra cosa: è l'Europa


dei nazionalismi emergenti, delle nuove chiese nazionali; è l'Eu
ropa dell'opposizione antiromana e antipapale, viva in Germania
e in Francia; è l'Europa del perdurare del conciliarismo, della
Prammatica Sanzione e delle diete tedesche; è l'Europa che vede
ormai il crescente declino dell'autorità del papato e dell'impero;47
ma Pio II non può capire né rappresentare simile Europa.
Questi studi, nel complesso, sulla spinta anche di un nuovo
interesse storiografico per l'Europa e l'idea di Europa, hanno
contribuito a reimpostare il problema dei rapporti fra il Piccolo
mini e la realtà europea; tuttavia, essi hanno poi finito, a mio avvi
so, con il favorire un'interpretazione ambivalente e alla fin fine un
po' paradossale del Piccolomini: visto ora come tutto 'schiacciato'
verso l'età moderna, ora invece come ancora ancorato al passato,
al Medioevo: senza riuscire poi peraltro ad armonizzare fra loro i
diversi aspetti della sua personalità, e ad offrire una lettura con
vincente della sua vicenda e della sua azione politica e diplomatica.
Il saggio di Aubenas è, da questo punto di vista, indicativo: se,
da un lato, come si è detto, il Piccolomini resta un uomo del Me
dioevo, tuttavia, per mentalità, per cultura, per il suo «desiderio
di vedere e imparare», per la sua «curiosità universale», egli appa
re già, dall'altro lato, uno spirito, per così dire, 'moderno'.48 I due
aspetti convivono, senza una mediazione convincente.
A partire dagli anni '50, in ogni modo, gli studi si intensifica
no: i vecchi riferimenti, alla crociata, all'unità della Chiesa e della
Cristianità, via via assumono valenze diverse, ed emergono criteri
e prospettive differenti.
Da un lato, l'esigenza, avvertita con forza sempre maggiore, di
una ricostruzione unitaria della vicenda del Piccolomini, porta gli
studiosi a soffermarsi, con maggiore attenzione, su determinati
aspetti o momenti della sua vita, riprendendo e rivalutando in una
diversa prospettiva motivi in parte già emersi: si cerca così di met
tere in luce i limiti e le ragioni dell'adesione del Piccolomini alla
causa conciliare; si insiste sull'importanza del periodo trascorso

47 Ibid., in particolare pp. 87-89.


48 Ibid., p. 65.

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636 Barbara Baldi

alla corte imperiale e a contatto con il mondo tedesco; e, soprat


tutto, si considera l'umanesimo come un criterio fondamentale
per intendere la sua esperienza.49
Dall'altro lato, in questa prospettiva, il problema dell'Europa,
del rapporto fra il Piccolomini e la realtà europea, sembra poter
trovare un nuovo sviluppo.
Verso la fine degli anni Cinquanta, in particolare, gli studi di
Denis Hay riprendono il problema dell'emergere, fra la fine del
Medioevo e la prima età moderna, di un nuovo concetto e di un
nuovo significato del termine 'Europa', e, di nuovo, pongono in
primo piano la figura del Piccolomini.50
Tra XIV e XV secolo, secondo lo Hay, il termine 'Europa' -
che aveva mantenuto per tutto il Medioevo un significato soprat
tutto geografico - acquista un contenuto emotivo via via più forte
e preciso. Il declino della Chiesa universale e la fine della unità
della Cristianità - legata soprattutto all'emergere delle Chiese na
zionali e alla crisi rappresentata dallo scisma d'Occidente; e, per
altro verso, il modificarsi delle frontiere della Cristianità - che si
espande in Europa verso est e verso ovest, ma perde nello stesso
tempo i suoi territori d'oltremare; segnano la crisi del concetto
medievale di 'Cristianitas', dell'universalismo cristiano, e favori
scono la progressiva identificazione fra la nozione di Cristianità e
quella di Europa.51
Nessuno più del Piccolomini tra i contemporanei sembra ave
re una consapevolezza maggiore di queste trasformazioni: «There
was no acuter observer of these events than Aeneas Sylvius Picco
lomini».52
Lo Hay sottolinea l'importanza dell'esperienza europea del
Piccolomini;53 ma soprattutto accentua il senso di una sua precisa
coscienza della mutata realtà europea, una consapevolezza che

1,9 Su quest'ultimo aspetto si vedano in particolare le considerazioni di Arnaldi,


Enea Silvio Piccolo/nini cit., pp. 364-365.
50 Hay, Europe. The emergence of an idea cit., e Id., Sur un problème de terminolo
gie historique cit.
51 Ibid., rispettivamente pp. 56-72, 73-83 e pp. 50-55.
52 Hay, Europe. The emergence of an idea cit., p. 83.
5' Ivi.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 637

trova espressione proprio nell'uso frequente del termine 'Europa':


le opere del Piccolomini abbondano di richiami all'Europa, e pro
prio al Piccolomini va il merito di aver introdotto nell'uso, in mo
do definitivo, l'aggettivo 'europeus'.54
In questo senso, la preferenza del Piccolomini per il termine
'Europa' si spiega certo anche con la tendenza propria degli uma
nisti a privilegiare il ricorso a vocaboli del latino classico piuttosto
che del latino medievale; ma l'uso frequente del termine 'Europa'
riflette, nello stesso tempo, lo sforzo compiuto, fra XIV e XV, per
adattare l'apparato concettuale alla nuova realtà dell'Europa.
L'osservazione non è nuova, e già il Fritzemeyer vi si era sof
fermato: tuttavia, ciò che conta, per lo Hay, è soprattutto il nuovo
significato che il termine 'Europa' assume negli scritti del Piccolo
mini: l'Europa, per il Piccolomini, si identifica chiaramente con la
Cristianità, ma la Cristianità è vista ora come «radiating out from
an European base».55
Il rilievo è fondamentale, e segna una precisa rottura con la
prospettiva universalistica e universale della Cristianità medievale.
Soprattutto, questa nuova coscienza della realtà europea, que
sta consapevolezza delle sue trasformazioni sembra poter costitui
re per lo Hay la base dell'azione politica del Piccolomini: «When
he became pope in 1458 as Pius II he was in the best possibile
position to know the troubled Christian scene and felt acutely his
responsabilities. The chief of these he conceived to be the comba
ting of the Turkish menace».56
La crociata - intesa come lotta per cacciare i turchi dall'Euro
pa - resta il principale obiettivo della politica papale. Ma ora l'en
fasi è posta soprattutto sull'Europa, sulla consapevolezza da parte
del Piccolomini dell'esistenza di una nuova realtà - che non è più
la cristianità medievale - e che non solo si differenzia dal mondo
bizantino - di cui è affermata piuttosto l'inferiorità culturale e mi
litare - ma si contrappone anche decisamente ai Turchi.57

34 Ibid., pp. 86-87.


55 Ibid., p. 84.
56 Ibid., p. 83.
57 Ibid., pp. 84-86.

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638 Barbara Baldi

Per questa via, lo Hay, amplia la prospettiva; sottolinea l'im


portanza del confronto non solo religioso e militare, ma anche
culturale, con il Turco; chiama in causa il criterio stesso di 'civil
tà'; pone l'accento sull'esperienza concreta del Piccolomini, e su
perando la contrapposizione, tipica della precedente storiografia
fra Cristianità e Europa, pone le basi per la ripresa della riflessio
ne sul Piccolomini e sull'Europa.
I temi richiamati dallo Hay, in effetti, ora sfumati, ora accen
tuati in un senso o nell'altro, divengono ben presto motivi costan
ti della storiografia.
II richiamo all'Europa, in particolare, si fa più frequente, e la
storiografia in particolare sembra mettere in primo piano l'idea di
'civiltà europea e cristiana', e di 'civiltà occidentale'.
Il confronto con il Turco mantiene un'importanza centrale. Il
Turco, certo, resta il nemico della fede, della religione; ma ora,
sempre più chiaramente, esso si pone soprattutto come il nemico
della civiltà, dell'Europa, e, in questo senso, la crociata assume un
significato «d'una lotta di civiltà», «d'un contrasto insanabile fra
cultura e civiltà da una parte e barbarie dall'altra».58 Il richiamo
all'umanesimo, del resto, rafforza il senso di questa contrapposi
zione: «L'umanesimo era anche più sollecito della Chiesa stessa
ad insorgere contro il pericolo dell'invasione turca: non solo la fe
de era minacciata, ma l'essenza latina della civiltà occidentale; e la
lotta non era tanto fra il Corano e il Vangelo, quanto tra la barba
rie e i libri, tra la forza bruta e la pietas\ Ciò che gli umanisti la
mentavano più di ogni altra cosa era la distruzione delle bibliote
che».59
La storiografia, in questo senso, ha insistito a lungo, del resto,
sulla profonda impressione suscitata nel Piccolomini dalla sconfit
ta cristiana di Varna e ancor più dalla caduta di Costantinopoli:

58 F. Gaeta, Sulla 'Lettera a Maometto' di Pio II, «Bullettino dell'Istituto Italiano


per il Medioevo e Archivio Muratoriano», LXXVII, 1965, pp. 127-227: 131, ma si ve
dano anche pp. 146-148. Sempre in questo senso si veda anche Casella, Pio II tra geo
grafia e storia cit., p. 36.
59 G. Paparelli, Enea Silvio Piccolomini. L''umanesimo sul trono di Pietro, Raven
na, A. Longo Editore, 1978 (prima ed. 1951), p. 114: il corsivo è originale del te
sto.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 639

«quando Costantinopoli era caduta, Enea Silvio aveva gridato alla


seconda morte di Omero e aveva visto dissecato il fonte stesso
delle Muse».60
Ma, nello stesso tempo, l'avanzare minaccioso del pericolo
turco pone, con drammatica evidenza, il Piccolomini di fronte alle
divisioni dell'Europa, delle potenze europee.61
Il Piccolomini - la storiografia lo ribadisce sempre più - av
verte con forza la 'crisi dell'unità' della Cristianità: «Inviato di Fe
lice V presso l'imperatore, da Francoforte a Norimberga, nell'urto
fra papa e antipapa, di fronte ai tentativi di mediazione di Federi
go III, Enea Silvio si trova in prima linea per osservare lo sfacelo
dei grandi protagonisti di molti secoli di storia».62
Il richiamo all'esperienza europea, alla sua conoscenza di uo
mini e di paesi, acquista, in questo senso, forza e consistenza. I
viaggi compiuti attraverso tutta l'Europa; il lungo periodo trascor
so presso la corte imperiale - una corte veramente 'europea' per i
legami, gli interessi che vi confluivano;63 i rapporti con Roma; tut
to ciò favorisce senz'altro l'adozione di prospettive più ampie; ma
soprattutto pone il Piccolomini direttamente a contatto con i
grandi problemi del suo tempo, e, insieme, costituisce la base per
una valutazione più realistica delle diverse situazioni, delle condi
zioni dell'impero e del papato: «Pio II aveva una consapevolezza
disincantata dello stato in cui versava la Chiesa e la repubblica
cristiana».64

60 Gaeta, Sulla 'lettera a Maometto' cit., p. 131. Si cfr. anche Paparelli, Enea Sil
vio Piccolomini cit., pp. 114-115.
61 Si veda ad esempio Garin, Enea Silvio Piccolomini cit., p. 24.
62 Ibid., p. 22, e si vedano poi anche pp. 23-24.
63 Si cfr. B. Widmer, Enea Silvio Piccolomini. Papst Pius II, Basel-Stuttgart, Benno
Schwabe & Co., 1960, pp. 66-83; J. B. Toews, Dream and Reality in the imperiai ideolo
gi of pope Pius II, «Medievalia et Humanistica», XVI, 1964, pp. 77-93, in particolare p.
79.

64 CESERANI, Pio II, in I protagonisti della storia universale, V, Milano, CEI, 1966,
pp. 169-196, p. 185, e poco oltre «Egli conosceva e comprendeva a fondo (con la sua
esperienza di politico e di diplomatico, che gli aveva rivelato come le molle dell'azione
umana fossero costantemente l'ambizione, l'avidità di ricchezza, la volontà di potenza) i
motivi che rendevano fragile e inefficace il governo della Chiesa: la diffusa corruzione,
la compra-vendita delle cariche, il cumulo dei benefici: i temi stessi che qualche decen
nio più tardi avrebbero dato esca alla polemica protestante». Si cfr. anche Resta, Enea
Silvio Piccolomini cit., p. 553.

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640 Barbara Baldi

L'Europa - il Piccolomini lo avverte con forza - è una realtà


ormai sempre più frammentata, divisa in una molteplicità di stati
sovrani, governati da sovrani diversi, separati fra loro da rivalità
politiche ed economiche, e dal prevalere di interessi particolari.65
Di fronte alla divisione dell'Europa cristiana il richiamo all'u
nità resta, ancora una volta, centrale. Tuttavia, esso è ora ripreso
in una prospettiva diversa, che pone l'accento sull'unità religiosa e
culturale dell'Europa, un'unità che, minacciata dall'esterno e dal
l'interno, diventa, in misura crescente dopo la sconfitta di Varna e
la caduta di Costantinopoli, il punto di riferimento dell'attività
politica e letteraria del Piccolomini.66
Di fronte al collasso della civiltà europea e cristiana, al 'crollo
dell'Occidente', il Piccolomini sembra scoprire, o riscoprire con
forza il senso di una tradizione che trova nell'umanesimo, nelle
humanae litterae e nella Chiesa di Roma il proprio centro: «Le let
tere latine vivono e muoiono insieme con la Sede romana».67
La crociata può costituire, allora, il motivo ideale e politico
capace di «placare le discordie interne», di ristabilire «nell'odio eli
un comune nemico quell'unità morale e politica che si era ormai
consunta»,68 e di rilanciare, di fronte alle emergenti chiese nazio
nali e alla perdurante forza del movimento conciliare, il prestigio
e il ruolo del papato quale caput et princeps della Cristianità.69

65 M. WlGHT, The origins of our states-system: chronological limits, in Id., Systems


of States, Leicester, Leicester University Press, 1977 (ma 1971), pp. 129-152, in partico
lare pp. 133-134.
66 Si cfr. ad esempio R. J. Sattler, Europa. Geschichte und Aktualitat des Begriffes,
Braunschweig, Albert Limbach Verlag, 1971: «fiir ihn ist selbstverstàndlich, dass dieses
Europa, obgleich aufgegliedert in Vòlker und Reiche, wegen seiner kulturellen, kirch
lichen und politischen Gemeinsamkeit zusammengehòrt und eine Einheit bildet» (p.
36).
67 PAPARELLI, Enea Silvio Piccolomini cit., p. 115. Più ampiamente sulla conversio
ne religiosa e politica del Piccolomini e sul 'ritorno a Roma' come 'riscoperta di una
tradizione' si vedano Garin, Enea Silvio Piccolomini cit., pp. 22-23; e J. G. Rowe, The
tragedy of Aeneas Sylvins Piccolomini (Pope Pius II): an interpretation, «Church Histo
ry», XXX, 1961, pp. 288-313, e soprattutto pp. 290-293.
''8 Garin, Enea Silvio Piccolomini cit. p. 27. E si cfr. anche Paparelli, Enea Silvio
Piccolomini cit., p. 114.
69 Si cfr. in questo senso Ceserani, Pio II cit., pp. 186-187; e F. Cardini, La repub
blica di Firenze e la crociata di Pio II, «Rivista di storia della Chiesa in Italia», XXIII,
1979, pp. 455-482, in particolare p. 456.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 641

Per questa via, il richiamo all'Europa è posto in primo piano,


in una prospettiva che accentua l'importanza del legame e che si
arricchisce, via via, di riferimenti diversi: l'identificazione fra Eu
ropa e Cristianità; il criterio di 'civiltà occidentale' e di 'civiltà cri
stiana'; la centralità del tema del Turco e il senso di immediatezza
del pericolo che grava sull'Europa; la crociata come scontro reli
gioso e culturale; il richiamo all'esperienza europea concreta del
Piccolomini; le divisioni dell'Europa e l'emergere delle nuove for
ze nazionali.
Eppure, nei vari studi, i diversi motivi, i diversi temi non ven
gono poi collegati, coordinati fra loro in una interpretazione coe
rente e persuasiva della personalità e della politica del Piccolomi
ni, e, di fronte alle sue 'contraddizioni', le conclusioni dei vari au
tori sembrano piuttosto convergere nel richiamo abbastanza gene
rico alla 'complessità', e soprattutto alla 'rappresentatività' della
sua figura. Il Piccolomini è sempre più lo 'specchio fedele', 'figura
rappresentativa' - o la 'più rappresentativa' - del suo tempo, nei
suoi più diversi e contradditori aspetti: sia che si tratti dell'uma
nesimo; 70 delle condizioni del papato fra medioevo ed età moder
na;71 o, più semplicemente, del 'Quattrocento' e del 'Rinascimen
to'.72

Il motivo è centrale, ricorrente. Tuttavia, questo 'richiamo ai


tempi' si rivela alla fin fine incapace di stabilire un rapporto con
vincente, effettivo, fra la figura del Piccolomini, la sua attività, e la
realtà del contesto storico più ampio.73 Il problema del confronto
fra il Piccolomini e la realtà che lo circonda si risolve piuttosto,
una volta di più, nell'idea di un anacronismo di fondo - o di un
ingenuo idealismo - della sua azione politica e diplomatica.
Così, ad esempio, la politica imperiale del Piccolomini appare
ancora legata ad una concezione medievale dell'impero e del ruo

70 Si cfr. in questo senso Paparelli, Enea Silvio Piccolomini cit., in particolare pp.
64-65.

71 Così ad esempio Rowe, The tragedy of Aeneas Sylvius Piccolomini cit., p. 303.
72 Si veda Ceserani, Pio II cit., p. 191.
75 Si vedano in questo senso le osservazioni di Arnaldi, Ritratto di Enea Silvio Pic
colomini cit., pp. 354-365, e, più in generale, B. Vigezzi, in Biografia e storiografia, a cu
ra di A. Riosa, Milano, Franco Angeli Editore, 1983, pp. 28-34, 98-109, 129-132.

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642 Barbara Baldi

lo dell'imperatore: tra il 1442 e il 1443 «He carne to Vienna (...)


as a prophet of the old imperiai faith. (...) By 1446 the future po
pe had become an exponent of medieval universalism in his intel
lectual conception of the imperiai institution».74 O, nello stesso
senso: «Nel '46 il de ortu et authoritate Romani Imperii tentò di
trasformare in programma politico quello che era ormai solo un
sogno utopistico: l'Impero. L'uomo che forse come nessuno vede
va la debolezza dell'autorità di Federigo III cercava di ravvivare
un ideale tramontato».75
Il giudizio, più in generale, investe anche la politica papale di
Pio II, la crociata: «La crociata contro il Turco (...) fu lo strumen
to assurdo e contraddittorio per restaurare un'unità e una pace
che potevano essere faticosamente costruite solo per altre e diffi
cili vie, e in ben diversi rapporti con quell'oriente che avanzava
minaccioso»;76 «veramente qualcosa di eroico, d'assurdamente
giovanile era nel contegno di quell'uomo che pure in fatto di rea
lismo politico non aveva incontrato l'uguale».77
I conti, però, in questo modo, non tornano. Il criterio dell'uo
mo rappresentativo diventa fine a sé stesso; mentre l'insistenza
sull"anacronismo' di Pio II permette solo una sorta di collega
mento esteriore fra motivi giustapposti o semplicemente accostati
fra loro.
Gli studi più recenti, del resto, confermano questa impressio
ne di fondo.

'4 Toews, Dream and Reality in the imperiai ideology of pope Pius II cit., p. 78-79:
l'ideologia imperiale del Piccolomini si muove, secondo l'autore, fra sogno e realtà,
«the dream, which envisioned an imaginary idealized universal institution, and reality,
which rarely possessed the qualities theoretically ascribed to it» (p. 77). E di fronte alla
realtà dell'impero e della politica dinastica di Federico III, «rather than admit the falla
cy of his already modified medieval vision, Aeneas chose to rationalize and dream. He
preferred a continuai compromise of his ideals to an outright dismissal of the non-func
tional imperiai politicai structure erected by past theorists. It seemed that in fear of
having no faith he intensified his faith in the impossible, an operative imperiai institu
tion» (p. 85).
Dello stesso autore si veda anche The view of Empire in Aeneas Sylvius Piccolomini
(Pope Pius II), «Traditio», XXIV, 1968, pp. 471-487.
" Garin, Enea Silvio Piccolomini cit., p. 23.
'6 lbid., pp. 26-27.
" PAPARELLI, Enea Silvio Piccolomini cit., p. 148.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 643

Questi lavori, come si è già accennato, si sono occupati anche


più direttamente del De Europa, e, in questo modo, hanno potuto
richiamare giustamente l'attenzione sulla sensibilità del Piccolomi
ni per la varietà, oltre che per l'unità, dell'esperienza europea;78
sul suo interesse per le varie nazioni, i loro caratteri, le loro speci
ficità.79 Ma, di nuovo, questi studi hanno poi trascurato il proble
ma del rapporto con la politica effettiva - italiana, imperiale, eu
ropea - del Piccolomini.80
In queste condizioni, la via migliore per impostare - o reim
postare - il discorso sul Piccolomini e l'Europa, perciò, mi sem
bra ancora quella di 'ritornare' al testo del De Europa, cercando,
per quanto possibile, di riconsiderarlo nel suo complesso, e di ve
dere se e come esso possa offrire la via per intendere i reali nessi
del Piccolomini con il suo tempo.

Quando, come nasce il De Europa?


La risposta a questa domanda è, in realtà, tutt'altro che sem
plice o scontata, e, in questo senso, un punto di riferimento indi
spensabile resta, ancora oggi, il saggio già ricordato di Nicola Ca
sella.81
Il lavoro del Casella, in particolare, prende in considerazione
la Cosmographia piccolominiana nel suo complesso, cercando so
prattutto di chiarire, sulla base di un confronto filologico dei testi,
il problema del rapporto fra il De Asia e il De Europa.

/S Si cfr. ad esempio B. Geremek, Vincolo e sentimento comunitario nell'Europa


medievale, in Id., Le radici comuni dell'Europa, Milano, Il Saggiatore, 1991, pp. 49-102,
in particolare pp. 90-92; e M. Fuhrmann, L'Europe - contribution à l'histoire d'une idée
culturelle et politique, «History of European ideas», IV, 1983, pp. 1-15, in particolare
pp. 8-9.
79 Si cfr. in particolare B. KARAGEORGOS, Der Begriff Europa im Hoch- uns Spatmit
telalter, «Deutsches Archiv fùr Erforschung des Mittelalter», XLVIII, 1992, pp. 153
165, in particolare pp. 146-148.
80 Si vedano in questo senso le osservazioni di Fubini, Scapigliato e umanista cit., p.
48.

81 CASELLA, Pio II tra geografia e storia cit.

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644 Barbara Baldi

Il De Europa, in effetti, al pari del De Asia, è stato considerato


per lo più dalla storiografia come parte integrante della Cosmogra
phia, o Historia rerum ubique gestarum,82 un progetto di cosmo
grafia universale interrotto dalla morte dell'autore, di cui restereb
bero solo le prime due parti: la descrizione - incompleta e prece
duta da alcuni cenni più generali sul mondo - dell'Asia, e la trat
tazione dell'Europa.
Tuttavia, l'esame diretto dei trattati mostra, secondo il Casella,
una realtà ben diversa.
Le diverse date di composizione - il '58 per il De Europa, il
'61 per il De Asia-, l'esame della tradizione manoscritta e dei primi
codici a stampa; la diversa struttura interna dei due testi; confer
mano infatti, per il Casella, la tesi di una sostanziale reciproca
estraneità delle due opere, che non costituiscono allora, come si è
a lungo pensato, due parti diverse di un progetto unitario di co
smografia generale, ma piuttosto due trattati autonomi e distinti,
concepiti in momenti e con finalità diverse.
In questa prospettiva, per quanto riguarda più direttamente il
De Europa, il saggio del Casella offre però anche un'altra serie di
indicazioni - legate alla composizione, alla struttura interna del
testo - che consentono di precisare con maggiore chiarezza e in
modo nuovo la fisionomia e i caratteri propri di questo lavoro.
Il De Europa, come si è già accennato, viene scritto nel corso
del '58, nei mesi precedenti l'elezione del Piccolomini a pontefice.
Come osserva il Casella, la data di composizione del testo risulta
infatti confermata da alcuni elementi interni al testo, in particola
re il richiamo al terremoto che scosse il regno di Napoli «anno ab
hinc secundo», nel 1456; e il riferimento al recente accordo fra il
doge di Genova e il re di Francia per la cessione della città, con
cluso appunto intorno al febbraio del '58.85

82 L'osservazione vale per la maggior parte degli autori ricordati nelle pagine pre
cedenti. Si cfr. inoltre, in particolare, A. Berg, Enea Silvio de' Piccolornini (Papst Pius
II) in seiner Bedeutung als Geograph, Halle a.S., Druck der Buchdruckerei des Waisen
hauses, 1901, pp. 12-29; e H. Mùller, Enea Silvio de' Piccolornini's literarische Tàtigkeit
auf den Gebiete der Erdkunde und dessen Einfluss auf die Geographen der Folgezeit, Er
langen, Univ. Diss., 1903, pp. 12-50.
83 Casella, Pio II tra geografia e storia cit., pp. 40-41.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 645

Tuttavia, se nessun dubbio sussite sull'anno di composizione


del trattato, l'esame del Casella dimostra però anche che il De Eu
ropa viene scritto in momenti diversi, e che l'attuale ordine di suc
cessione delle sue parti non corrisponde all'ordine cronologico in
cui queste furono composte.
Il dato più rilevante riguarda senz'altro la parte relativa alla
trattazione dell'Italia, che, se pur collocata solo alla fine del tratta
to, viene scritta prima della parte relativa all'Europa, molto pro
babilmente fra il febbraio e la primavera del '58, e comunque si
curamente prima della morte di Alfonso d'Aragona, avvenuta il
26 giugno 1458. Il richiamo agli avvenimenti genovesi, cui si è ac
cennato; il riferimento ad Alfonso come a persona ancora in vita,
lo confermano; mentre, viceversa, i riferimenti - contenuti nella
parte relativa all'Europa - ad un'altra opera del Piccolomini, YHi
storia Bohemica, dedicata al re di Napoli e terminata nei giorni
della sua morte, lasciano intendere che queste pagine siano state
scritte dopo la conclusione delYHistoria stessa, più precisamente
tra la fine di giugno e i primissimi di agosto.8,1
Proprio queste pagine sull'Italia, anzi, secondo il Casella,
avrebbero costituito in origine un altro trattato autonomo, distin
to dal De Europa vero e proprio: la diversa data di composizio
ne delle due parti; il carattere e la struttura più omogenea e com
patta della parte sull'Italia rispetto al resto; inducono infatti il Ca
sella a ritenere che la descrizione dell'Italia sia stata pensata dal
Piccolomini come progetto a sé stante. Solo in un secondo tem
po, le due parti sarebbero state unite nel De Europa, attraverso

M lbid. pp. 41-42: il Casella individua, all'interno delle pagine relative all'Europa,
tre diversi rimandi a\YHistoria Bohemica - il primo a proposito della battaglia di Alba,
il secondo a proposito dell'Austria, e il terzo nella descrizione della Boemia. Tuttavia, a
mio avviso, il secondo di questi rimandi potrebbe piuttosto riferirsi non alYHistoria
Bohemica, ma alYHistoria Friderici III imperatoris, un trattato, composto in momenti di
versi, e ripreso dal Piccolomini fra il '57 e il '58, dedicato esplicitamente alla descrizio
ne dell'Austria e del recente scontro fra gli austriaci e Federico III.
Per quanto riguarda più direttamente invece YHistoria Bohemica, il trattato, dedi
cato ad Alfonso d'Aragona, viene concluso, secondo quanto lo stesso autore ci riferisce,
proprio negli stessi giorni in cui il Piccolomini riceve la notizia della morte del re di
Napoli: si veda Historia Bohemica, in Opera omnia cit., pp. 81-143, in particolare p.
143. Si veda inoltre in questo senso l'ulteriore testimonianza del Piccolomini nei Com
mentarti (ed. a cura di L. Totaro, Milano, Adelphi, 1984), pp. 192-193.

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646 Barbara Baldi

l'inserimento d'altra mano di un periodo di raccordo che intro


duce la descrizione dell'Italia: «Ultimis Europae finibus peragra
tis et quantum propositi nostri fuit septentrione decurso, in [pa
triam] tandem reversus, novitates Italiae, cum iam referendae oc
currant».85
I diversi manoscritti consultati e confrontati dal Casella e le
prime edizioni a stampa, del resto, riportano il De Asia e il De Eu
ropa separatamente, come trattati diversi e autonomi. Solo succes
sivamente, a partire dall'edizione parigina del 1509 a cura di Geo
froy de Tory di Bourges, i due trattati vengono uniti, con il titolo
comune di Cosmographia, in un'unica opera.86 Né il Tory si limita
a questo, ma introduce anche alcune importanti modifiche di ca
rattere formale e testuale, che saranno poi riprese in tutte le edi
zioni successive. Il Tory, infatti, non solo divide tanto il De Asia
quanto il De Europa in capitoli - fissandone così definitivamente
il numero in 100 per l'Asia e 65 per l'Europa e aggiungendo dei
titoli all'inizio di ogni capitolo; ma tenta anche di collegare più di
rettamente i due trattati, attraverso l'inserimento di un nuovo pe
riodo, che sostituisce la frase finale originale del De Asia e annun
cia il proseguimento della narrazione con la trattazione del De Eu
ropa.87

85 De Europa cit., p. 445 [p. 190], e Casella, Pio II tra geografia e storia cit., pp.
58-59. Su questo tema si veda anche Van Heck, Prolegomena cit., p. 6: riprendendo le
conclusioni del Casella sulle diverse date di composizione delle parti del trattato, il van
Heck avanza l'ipotesi che queste parti - concepite separatamente - siano state poi suc
cessivamente riorganizzate dallo stesso Piccolomini nel De Europa, che rappresentereb
be, dunque, un'opera unitaria. L'osservazione del Van Heck, tuttavia, non sposta i ter
mini del problema, confermando piuttosto - e questo mi sembra il dato essenziale - il
fatto che la parte sull'Italia sia stata scritta alcuni mesi prima della parte relativa all'Eu
ropa. L'ipotesi avanzata dal van Heck, d'altra parte, resta in sospeso, perché lo stesso
autore osserva che, divenuto pontefice, Pio II non avrebbe comunque avuto il tempo,
alla fin fine, di rivedere il testo per la pubblicazione.
86 Casella, Pio II fra geografia e storia cit., pp. 46-50.
S/ Ibtd., in particolare pp. 47-48. Per il testo della Cosmographia si veda Opera om
nia cit., pp. 281-471 (De Asia, pp. 281-386; De Europa, pp. 387-471): dopo alcune con
siderazioni generali sulla forma della terra, la circumnavigabilità delle terre abitate, i
nomi e i confini delle terre e degli oceani, e l'abitabilità delle zone torride (pp. 282
286), il Piccolomini passa a descrivere l'Asia (Asia maior), suddividendola in sei parti:
tra a nord e tre a sud del monte Tauro, che per il Piccolomini si estende dall'Asia mi
nore fino in estremo oriente. Tuttavia, il Piccolomini descrive solo le prime tre parti a
nord del Tauro, e, invece di proseguire nella trattazione dell'Asia maggiore, passa diret

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 641

La Cosmographia, la divisione in parti del testo, i diversi titoli,


sono dunque frutto non della precisa volontà dell'autore, bensì di
interventi successivi ad opera di diversi stampatori ed editori: in
terventi che hanno finito per presentare il De Europa in una pro
spettiva distorta.
Il De Europa è dunque un trattato distinto e autonomo dal De
Asia; scritto nel corso del 1458, ma in momenti diversi, ed entro il
quale, in particolare, la parte relativa all'Italia - posta alla fine del
testo - viene composta prima del resto dell'opera.
L'esame del Casella, da questo punto di vista, permette così,
per la prima volta, di chiarire la fisionomia, la struttura effettiva
del trattato.88 Ed egli offre anche alcuni riferimenti importanti che
consentono di precisarne meglio i caratteri, in particolare per

tamente a descrivere l'Asia Minore (Asia minor), divisa a sua volta in tre parti, e che co
stituisce la parte quantitativamente più rilevante dell'intero De Asia. La descrizione del
l'Asia si conclude con una breve dissertazione sui Turchi, e cede poi il passo alla tratta
zione dell'Europa, che, sviluppandosi dall'Ungheria, si muove poi da est verso ovest, e
termina quindi con la descrizione dell'Italia.
A questo proposito, andrebbe ad ogni modo tenuto presente anche il problema re
lativo al titolo stesso del trattato. L'indicazione De Europa, come osserva il van Heck,
compare infatti solo a partire dalle edizioni a stampa del 1490: i codici e i manoscritti
anteriori a questa data riportano invece per lo più il titolo di Gesta sub Federico III o
De gestis sub Federico III (van Heck, Prolegomena cit., p. 4). Da questo punto di vista,
l'osservazione del van Heck rafforza l'ipotesi del Casella circa l'autonomia e l'indipen
denza del trattato rispetto al De Asia e alla Cosmographia.
Ma su quest'ultimo argomento si vedano anche le ulteriori osservazioni del Casella
in merito alla testimonianza dei contemporanei e dei biografi di Pio II: Casella, sopra
cit., pp. 52-54.
88 Agli elementi ricordati finora, il Casella aggiunge, per la verità, un ulteriore rife
rimento ad una lettera di dedica, datata 29 marzo 1458 e indirizzata al cardinal Antonio
de la Cerda, che accompagna il trattato. Il testo della lettera è edito dal van Heck,
pp. 25-26.
Ma, a mio avviso, il riferimento solleva alcuni dubbi che andrebbero chiariti. La
lettera, in effetti, sembra indicare un'opera già conclusa («edidi igitur brevem histo
riam»): tuttavia la data ben difficilmente potrebbe riferirsi alla sola descrizione dell'Ita
lia, composta fra il febbraio e il marzo del '58. Inoltre la lettera rimanda ad un'opera
che non è limitata all'Italia: «At cum subiret mentem multa et magna inter christianos
gesta esse ab eo tempore, quo Fridericus imperium accepit, usque in hanc diem, opu
sculum seorsum edere statui, in quo singolare quidam eius temporis sub compendio ad
posteritaris memoriam transmitterem digna memoratu». Il riferimento potrebbe anche
(ma l'ipotesi è da verificare) rimandare aWHistoria Friderici III imperatoris, che, come si
è detto, il Piccolomini riprende e porta a termine tra il '57 e il '58. Si vedano ad ogni
modo Casella, Fio II fra geografia e storia cit., p. 42, e Van Heck, Prolegomena cit.,
pp. 4-5.

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648 Barbara Baldi

quanto riguarda il rapporto con le fonti e con la tradizione;89 o il


legame, profondo e fecondissimo, fra geografia e storia.90
Il limite, tuttavia, a mio avviso, è evidente.
Il lavoro del Casella, infatti, resta pur sempre legato ad un esa
me filologico-testuale del De Europa, che risulta, alla fin fine, ester
no al testo, e che sollecita per contro, più che mai, la necessità di
una lettura e di un'interpretazione complessiva dell'opera.

89 II Casella non offre in realtà un esame approfondito e dettagliato delle fonti


usate dal Piccolomini, limitandosi ad alcune osservazioni più generali, e sottolineando
la netta preferenza dell'autore per le fonti coeve, le testimonianze dei contemporanei, e
soprattutto il richiamo costante da parte del Piccolomini alla propria esperienza perso
nale come punto di riferimento privilegiato. Tra gli autori antichi, stando al Casella e
ora anche al van Heck, si possono ricordare Tolomeo, Strabone, Plinio il Vecchio, Giu
stino, Nipote, Pomponio Mela, Giordano. Tra le fonti moderne si possono notare le te
stimonianze di Girolamo da Praga sui Lituani, e il trattato di Nicola Sagundino De fa
milia Otumanorum, più conosciuto con il titolo di De origine et gestis Turcarum liber, e
dedicato dall'autore, nel 1456, proprio al Piccolomini: si v. CASELLA, Pio li fra geografia e
storia cit., pp. 50-51, in particolare nota 56, e poi p. 55; e Van Heck, Prolegomena cit., p. 7.
Per quanto riguarda più in generale il legame con la tradizione, si vedano anche le
osservazioni del Casella in merito al rapporto fra il De Europa e YAugustalis Libellus di
Benvenuto da Imola. Stando alla lettera di dedica sopra ricordata, la composizione del
trattato in questione sarebbe indirettamente legata alla richiesta fatta al Piccolomini da
un non ancora identificato «librarius quidam theutonicus» affinché terminasse l'opera
di Benvenuto da Imola, VAugustalis Libellus appunto, cioè una sorta di rassegna crono
logica di nomi di tutti gli imperatori romani, accompagnata da brevissimi notizie stori
che. Il Piccolomini, nella lettera di dedica, afferma di aver soddisfatto, a parte, anche
questa richiesta (seppure in un modo che, a tutt'ora, è ancora da precisare: e si v. per
questo anche la voce curata da L. Paoletti del Dizionario Biografico degli Italiani, VIII,
Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1966, pp. 691-694). Quindi, si sarebbe deci
so a scrivere una nuova opera, le pagine sull'Italia, appunto, o, come suggerisco, a com
pletare l'Historia Friderici III imperatoris. Casella, p. 43.
90 Ibid., p. 50. Il De Europa, e più largamente la Cosmographia, sono stati del resto
per lo più considerati dalla storiografia proprio in relazione alla 'riscoperta' degli studi
geografici fra '400 e '500. In questo senso, i diversi studi hanno sottolineato a più ripre
se la profondità degli interessi geografici del Piccolomini, l'importanza della sua opera
per la riscoperta di alcuni autori antichi, come Strabone, Tolomeo, Tacito, etc. Si cfr.
ad esempio Berg, Enea Silvio Piccolomini cit., pp. 29-30; Muller, Enea Silvio de Picco
lomini's literarische Tàtigkeit cit., p. 8; e più recentemente N. Broc, La geografia del Ri
nascimento, a cura di C. Greppi, Ferrara, Franco Cosimo Panini, 1989 (ed. orig. france
se Parigi, 1986), in particolare pp. 14, e 129: «Pio II (...) è senza dubbio il più notevole
fra i 'papi geografi' del Rinascimento e la sua Cosmographia si sforza di fare una sintesi
fra la geografia moderna e quella degli antichi». Sulla fortuna della Cosmographia, e sui
tentativi successivi di 'completare' il testo con la descrizione delle altri parti del mondo
escluse dal Piccolomini, si vedano così Berg, Enea Silvio de' Piccolomini cit., pp. 32-37;
e Casella, Pio II tra geografia e storia cit., pp. 48-49. Ma su questo tema si veda ora M.
MILANESI, La rinascita della geografia dell'Europa. 1350-1480, in Europa e Mediterraneo
tra Medioevo e prima età tnoderna: l'osservatorio italiano, a cura di S. GENSINI, Pisa, Pa
tini, 1992, pp. 35-59, in particolare pp. 38-45.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 649

Nelle pagine che seguono vorrei cercare perciò di riprendere


l'esame del De Europa, o, più esattamente, delle sue diverse parti,
tenendo presenti sia la cronologia effettiva del testo, sia il rappor
to con l'attività politico-diplomatica del Piccolomini, e con le altre
opere scritte nello stesso periodo: tentando di seguire, per questa
via, lo svolgersi stesso della sua riflessione sull'Italia, sull'Europa,
di metterne in luce motivi, criteri e categorie, e di comprendere
più da vicino che cosa pensasse, in questi mesi, il Piccolomini del
l'Europa, della realtà europea che aveva davanti.

Il punto di partenza migliore per comprendere il De Europa,


in effetti, è senz'altro quello di vedere il Piccolomini, da poco
creato cardinale,91 alle prese direttamente con la realtà tedesca, e
con la preparazione del De Germania?2
Scritto fra la fine del 1457 e l'inizio del 1458, il De Germania
assume la forma di una lunga risposta del Piccolomini alla lettera
che il cardinale aveva ricevuto da parte di Martino Mayr, cancel
liere dell'arcivescovo di Magonza: una lettera, che, facendo pro
prie le accuse dell'opposizione antipapale tedesca, pone il Picco
lomini di fronte ad un mondo tedesco in piena ribellione, percor
so con rinnovata forza dalle aspirazioni all'autonomia politica ed
ecclesiastica dei principi tedeschi. Opposizione antiimperiale e
opposizione antipapale si incontrano infatti, fra il 1456 e il 1457,
nella lotta dei principi tedeschi, guidati proprio dall'arcivescovo

91 II Piccolomini viene eletto cardinale, con il titolo di cardinale di Santa Sabina, il


17 dicembre 1456: C. Eubel, Hierarchia Catholica Medii Aevi, sive Summorum Pontifi
cum, S. R. E. cardinalium, ecclesiarum antistitum series ab anno 1431 usque ad annum
1503 perducta: e documentis tabularli praesertim Vaticani collecta, digesta, edita, Patavi
ni, Il Messaggero di S. Antonio, 1960, ristampa dell'ed. Monasterii, sumptibus et typis
librariae Regensbergianae, 1914, voi. II, p. 12.
92 De situ, ritu et moribus Germaniae descriptio, in Opera omnia cit., pp. 1034
1086; edizione parziale a cura di G. Paparelli, La Germania, Firenze, Fussi, 1949: d'o
ra in poi semplicemente De Germania (salvo diversamente indicato, si fa riferimento
qui all'edizione presenta in Opera omnia, integrata eventualmente con l'edizione parzia
le italiana).

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650 Barbara Baldi

maguntino; e, all'insofferenza crescente verso l'autorità imperiale,


si accompagna un durissimo attacco contro la Chiesa di Roma.
Il mancato rispetto dei decreti conciliari di Costanza e di Basi
lea, non meno che del concordato di Vienna; le frequenti intro
missioni negli affari della Chiesa tedesca; l'avidità e la sete di ric
chezza del papato: costituiscono i motivi più immediati e più vivi
della protesta tedesca. I principi tedeschi, così, non solo si rifiuta
no di pagare le annate e le decime per la crociata; ma, proprio
contro la rapacità e la mondanità della Chiesa di Roma invocano
con forza crescente la necessità di una riforma; minacciano di ap
pellarsi al concilio contro il pontefice; sostengono la superiore au
torità dello stesso e dei decreti conciliari. La ribellione cresce, ac
quista forza, tanto che ben presto i principi tedeschi si spingono
al punto di approvare, quasi ad imitare l'esempio francese, l'ab
bozzo di una Prammatica Sanzione tedesca!93
Le accuse dei principi tedeschi pongono così in primo piano il
problema del rapporto fra la Germania e il papato; ma, nello stes
so tempo, esse mostrano anche la perdurante vitalità delle idee
conciliari, e mettono in luce tutta la debolezza del papato, che,
anche dopo aver ormai superato la crisi conciliare, fatica a riaffer
mare la propria autorità e il proprio prestigio, nel rapporto con le
nuove, nascenti realtà nazionali.

" Per un primo orientamento sugli avvenimenti cui si fa riferimento, si vedano


VoiGT, Enea Silvio Piccolomini cit., pp. 192-248; Pastor, Storia dei papi, I, in particola
re pp. 722-729. La lettera del Mayr - edita in Opera omnia cit. p. 1035, e in Paparelli,
La Germania cit. pp. 16-20 - fa riferimento alle più recenti iniziative dei principi tede
schi, e, con ogni probabilità, viene scritta intorno alla primavera del 1457: sulla datazio
ne della lettera si veda PAPARELLI, Enea Silvio Piccolomini cit., p. 124 e nota 43.
Per quanto riguarda più in generale il rapporto fra papato e Germania, e fra oppo
sizione antipapale e opposizione antiimperiale tedesca, si cfr. almeno F. Rapp, Les carac
tères nationaux au sein de la chrétienté occidentale. L'Allemagne, in Histoire du Christia
nisme des origines à nos jours. De la Réforme à la Réformation (1450-1530), a cura di M.
Venard, Parigi, Desclée, 1994, pp. 309-27; J. B. Toews, Pope Eugenius IV and the Con
cordai of Vienna (1448). An interpretation, «Church History», XXXIV, 1965, pp. 178
194; J. W. stieber, Pope Eugenius I, the Council of Basel and the secular and ecclesiasti
cal authorities in the Empire. The Conflict over Supreme Authority and Power in the
Church, Leiden, E. J. Brill, 1978, in particolare pp. 276-347; e P. Johanek, La Germania
prima della Riforma. Una introduzione, in Strutture ecclesiastiche in Italia e in Germania
prima della Riforma, a cura di P. Prodi e P. Johanek, Bologna, Il Mulino, 1984, pp.
19-38.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 651

Il De Germania nasce proprio da qui:94 un modo, quasi, si di


rebbe, per il Piccolomini di confrontarsi con motivi e problemi di
cui avverte tutto il peso, seguendo il filo di una riflessione che,
muovendosi dalla Germania, si allarga ben presto a toccare, in
una prospettiva più ampia, europea, il problema delle trasforma
zioni del papato e dell'Europa; la crisi dell'unità della Cristianità e
dei poteri tradizionali del papato e dell'impero; l'emergere delle
Chiese nazionali e delle nazioni; il confronto con il Turco.
Il Piccolomini, indubbiamente, comprende i motivi e le ragio
ni della protesta tedesca. La nuova realtà del papato - che i prin
cipi tedeschi attaccano così duramente - è ben presente al Picco
lomini: l'affermazione della monarchia pontificia; il processo di
accentramento dei poteri nelle mani del pontefice; l'italianizzazio
ne della curia papale; ma anche la corruzione, i clientelismi che
dominano la corte romana. In questo senso, la riforma interna
della Chiesa invocata dai principi tedeschi e dagli oppositori anti
papali resta un'esigenza che il Piccolomini, a sua volta, sente con
forza.95
Tuttavia, detto questo, il Piccolomini non può condividere le
ragioni del Mayr.
Le accuse tedesche, infatti, trascurano, secondo il Piccolomi
ni, alcuni motivi essenziali dell'esperienza tedesca, e, soprattutto,
ignorano il rapporto privilegiato e particolare che lega la Germa
nia al papato, alla Chiesa di Roma.
La lunga esperienza maturata a contatto diretto con il mondo
tedesco, presso la corte imperiale - esperienza che il Piccolomini,
di fronte alle accuse del Mayr, rivendica con forza96 - diventa, in

94 Lo stretto legame fra il trattato e gli avvenimenti tedeschi è stato del resto sotto
lineato a più riprese dalla storiografia: si vedano ad esempio Pastor, Storia dei papi cit.,
I, pp. 729; Paparelli, Enea Silvio Piccolomini cit., p. 125; Ceserani, Pio II cit., p. 186.
95 De Germania cit., in particolare pp. 1047-1048. Ma per questo si veda anche
qui pp. 632-633, 639.
La lettera del Mayr, infatti, attacca direttamente lo stesso Piccolomini, che ave
va ricevuto dal pontefice la riserva su tre chiese tedesche «quae hactenus insolita est et
inaudita» (Lettera del Mayr al Piccolomini cit., p. 1035). Le accuse del Mayr sono tut
tavia respinte con forza dal Piccolomini, il quale, ricordando i tanti anni trascorsi in
Germania al servizio dell'imperatore e dei principi tedeschi, e i servizi resi all'impero,
rivendica piuttosto l'esistenza di un rapporto privilegiato che lo lega alla nazione tede
sca, alla Germania. In questa prospettiva, la sua stessa nomina a cardinale nasce soprat

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queste pagine, il punto di partenza per una riconsiderazione più


ampia della realtà tedesca, delle sue possibilità, dei suoi punti di
forza ma anche dei suoi punti di debolezza.97
La realtà tedesca è certo per il Piccolomini ben diversa da
quella Germania povera, derubata e ridotta in schiavitù dalla
Chiesa di Roma che il Mayr descrive.98
La prosperità economica e commerciale; la vivacità e la bellez
za delle città tedesche - con le loro chiese, le mura, gli innumere
voli edifìci pubblici e privati;99 l'abilità nell'uso delle armi;100 il fio
rire delle arti e delle lettere;101 testimoniano piuttosto, agli occhi
del Piccolomini, tutta la ricchezza e la forza - militare, economica
e culturale - di una nazione che si estende verso ovest e verso est,
fino ad abbracciare la Moravia, la Boemia - tanto che, il Piccolo
mini può ben dirlo, la Germania di oggi è ormai profondamente
mutata rispetto a quella antica! 102
Ma la ricchezza della Germania - il Piccolomini lo sottolinea
con forza - trova una spiegazione, una sua ragione, alla fin fine,
proprio nel legame profondo che, da sempre, unisce la nazione te
desca alla Chiesa romana.103 Promuovendo la cristianizzazione e la
civilizzazione dei territori tedeschi; incoronando Carlo Magno im
peratore, concedendo ai suoi discendenti l'investitura imperiale; il

tutto dal favore e dal sostegno che gli hanno offerto i principi tedeschi e l'imperatore,
tanto che il Piccolomini può ben definirsi, di fronte alle accuse del Mayr, un cardinale
tedesco piuttosto che italiano! Si veda De Germania cit., p. 1046.
Il motivo - ripreso nuovamente dal Piccolomini nei Commentarli (cit., pp. 180
182) - assume, del resto, un'importanza centrale nella storiografia piccolominiana, che
ha insistito, in questo senso, soprattutto sul rapporto fra il Piccolomini e l'impero, e,
più in generale, sul ruolo e sull'influenza esercitata dal Piccolomini come 'apostolo del
l'umanesimo in Germania'.
9/ La Germania cit.: queste pagine del trattato, interamente edite dal Paparelli e
dedicate alla descrizione della nuova Germania e al confronto con la Germania descrit
ta dagli autori antichi - in primo luogo Tacito - costituiscono certo le pagine più note
del De Germania, frequentemente richiamate dalla storiografia, che ne ha sottolineato
soprattutto l'importanza per la conoscenza della realtà della Germania tardo medievale.
98 Ibid., pp. 26-27.
95 Ibid., pp. 34-85.
100 Ibid., pp. 85-93.
101 Ibid., pp. 93-97.
102 Ibid., pp. 97-99.
103 Ibid., pp. 1063-1064.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 653

papato ha infatti contribuito in modo determinante all'emergere e


all'affermazione della nuova Germania.104 Ma proprio la consape
volezza di questo legame particolare, privilegiato può costituire al
lora, per il Piccolomini, la base per un rinnovato accordo fra la
nuova Germania, l'impero, e il papato.
La realtà tedesca è infatti una realtà profondamente divisa, sul
piano politico e su quello religioso; il prestigio dell'impero - il
Piccolomini lo avverte con forza - va ormai declinando in tutta
Europa. Di fronte alle divisioni, alla debolezza e alla fragilità poli
tica della Germania, tuttavia, il richiamo all'unità - religiosa non
meno che politica - rappresenta per il Piccolomini l'unica via pos
sibile per risollevare, rilanciare il ruolo della Germania e dell'im
pero: rispetto all'Europa, e rispetto, soprattutto, alla Francia che
- con la sua Prammatica Sanzione, con le sue aspirazioni imperia
li - si pone sempre più chiaramente come la principale antagoni
sta del papato e dell'impero.
La realtà tedesca resta, così, agli occhi del Piccolomini, una
forza viva, positiva, che, una volta ritrovata e ristabilita la propria
unità interna, può anzi costituire, rispetto alle nuove forze euro
pee, rispetto al Turco, un punto di riferimento essenziale per il
papato.
In questa prospettiva, in particolare, seguendo la lettera del
Mayr e prendendo spunto, per così dire, dal progetto di Pramma
tica Sanzione tedesca, il De Germania si allarga ad altri temi, fino
ad offrire una difesa appassionata, vivace, a tratti fortemente pole
mica, del papato, del suo ruolo e delle sue possibilità.
Il problema del rapporto fra il papato e il concilio, fra il papa
to e le nazioni europee è posto in primo piano. Ma l'esperienza
conciliare, le idee conciliari - cui i principi tedeschi si appellano -
non possono costituire una valida alternativa alla monarchia pon
tificia. Il concilio - il Piccolomini lo ha sperimentato - è troppo
diviso al suo interno, dominato dalle ambizioni e dagli interessi
particolari; e, proprio per questo, la sua azione risulta troppo de

1<M Ibid., in particolare p. 1064: «Duo et quidem maxima et singularissima sunt be


neficia, quae vobis, o Germani, Romana sedes contulit: alterum, quia vobis Christum
praedicavit verum et singularem Deum, cuius religio barbariem omnem generi vestro
detersit; alterum, quia Romanum imperium ex Graecis ad vos transtulit».

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654 Barbara Baldi

bole, incerta, incapace, alla fin fine, di affrontare i principali pro


blemi della Chiesa: la riforma interna e la crociata contro il Turco.103
Ai tentennamenti, alle indecisioni dei padri conciliari, si con
trappongono allora piuttosto l'energica azione di Callisto III, il
suo impegno effettivo per l'organizzazione della crociata, l'aiuto
prestato agli ungheresi, allo Skanderbeg.
Per questa via, il Piccolomini riafferma così con forza la pro
pria fiducia nel ruolo del papato, nella sua capacità di difendere la
Cristianità dal pericolo turco; e, insieme, di proporsi - o di ripro
porsi - di fronte all'emergere delle Chiese nazionali, come guida
della Chiesa universale. In questa prospettiva, anche la stessa ric
chezza della Chiesa, la nuova realtà dello stato e della corte ponti
ficia, diventano ora elementi di forza indispensabili per sostenere
l'azione del pontefice.106
I punti deboli, in realtà, non mancano e la fiducia del Piccolo
mini non riesce a nascondere le difficoltà, le contraddizioni, che
ancora rimangono da chiarire e da risolvere. A cominciare pro
prio dal rapporto con la Germania: i problemi sollevati dai princi
pi tedeschi, le aspirazioni alla riforma, non trovano, al fondo, ri
sposta, e al di là delle speranza dell'autore, il rapporto fra il papa
to, la Germania, e l'impero resta quanto mai incerto.
La stessa riaffermazione del ruolo del papato si rivela poi al
trettanto problematica, e, alla fin fine, la ricostruzione del Picco
lomini tocca poi ben poco il problema del rapporto fra la nuova
realtà del papato, la Chiesa universale, le nuove forze nazionali, le
Chiese nazionali.
Tuttavia, il De Germania rivela anche, nello stesso tempo, la
cura, la partecipazione con cui il Piccolomini segue gli avveni
menti tedeschi ed europei; mette in luce il senso profondo, vivo,
delle trasformazioni dell'Europa, del papato; e, insieme, la fiducia
di fondo che egli conserva, nel papato, nelle sue possibilità, nella
sua capacità di confrontarsi con la 'nuova' Europa; nel rapporto
con la Germania e con l'impero.
E proprio questa sensibilità, questa attenzione ai problemi eu

105 Ibid., pp. 1038-1039.


106 Ibid., pp. 1071-1080.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 655

ropei, questa capacità del Piccolomini di connettere fra loro pro


blemi ed esperienze diverse - la realtà tedesca, l'impero, il papato,
le nazioni europee, la Francia, l'Europa, il Turco - che vengono
emergendo nelle pagine del De Germania, costituiscono, a mio av
viso, la vera premessa per comprendere meglio il De Europa, o,
per meglio dire, le diverse parti che lo compongono.
Quando, poco dopo aver terminato il De Germania, intorno al
febbraio del 1458, il Piccolomini, spostando lo sguardo dalla real
tà tedesca, si accinge a scrivere le pagine sull'Italia che costitui
ranno poi la parte finale del De Europa - la scelta di occuparsi
dell'Italia è tutt'altro che casuale, e riflette, al fondo, l'interesse e
insieme la viva preoccupazione dell'autore per quanto, proprio in
questi stessi mesi, sta avvenendo nella penisola.
Tra il febbraio e il marzo, infatti, la repubblica di Genova, tra
vagliata dai continui contrasti interni e stremata dal prolungarsi
delle guerra contro Alfonso d'Aragona, sta per essere ceduta dal
doge Pietro Fregoso al re di Francia: «Nunc ambae partes quasi
ex integro ad bellum se parant, quamvis fama est Petrum animo
fractum Gallorum implorare auxilia, eorum regi patriae suae prin
cipatum, quem retinere non potest, pecunia venditurum».107
La realtà italiana si impone, così, con forza, all'attenzione del
Piccolomini, e, di fronte agli avvenimenti genovesi, di fronte alle
possibili conseguenze che l'inserimento della Francia potrebbe
avere sull'intero quadro politico italiano, la decisione del Piccolo
mini di iniziare la propria trattazione sull'Italia partendo proprio
da Genova appare quanto mai significativa.108 L'interesse per le vi
cende genovesi rispecchia infatti il timore del Piccolomini per il
rafforzarsi delle aspirazioni egemoniche francesi sulla penisola -
verso Genova, ma anche verso Milano, il regno di Napoli, il papa

107 De Europa cit., p. 446 [p. 192], Sulle vicende della guerra fra Alfonso d'Arago
na e Genova, e sulla cessione della repubblica ligure alla Francia si vedano in particola
re A. Ryder, Alfonso the Magnanimous, king of Aragon, Naples and Sicily. 1396-1458,
Oxford, Clarendon Press, 1990, pp. 261-266, 400-404; G. Galasso, II regno di Napoli.
Il Mezzogiorno angioino e aragonese (1266-1494), in Storia d'Italia, voi. XV, 1, Torino,
UTET, 1992, pp. 607-613. L'accordo fra il doge di Genova e Carlo VII viene concluso
ad Aix-en-Provence il 7 febbraio 1458.
108 Ibid., cap. XLIII, pp. 445-446 [pp. 190-192].

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656 Barbara Baldi

to.109 Il problema del rapporto fra la Francia e gli stati italiani è po


sto in primo piano, e, in questa prospettiva, la repubblica di Ge
nova si rivela, allora, chiaramente il punto sensibile, il tallone d'A
chille dell'intero sistema politico italiano.
La realtà italiana è così inserita, fin dalle prime righe, nel più
ampio contesto europeo, rivelando un senso indubbio, fortissimo,
delle connessioni, dei legami fra le diverse realtà europee. Tutta
via, nello stesso tempo, questa più larga prospettiva europea non
attenua l'attenzione per la varietà dell'esperienza europea, per la
specificità delle singole realtà, e, in questo senso, la penisola italia
na viene ben presto emergendo, anche in rapporto alla stessa
Francia, come una realtà ben definita, con caratteri propri.
Genova diventa così il punto di partenza per una rappresenta
zione del mondo politico italiano contemporaneo, dei suoi punti
di forza e dei suoi punti di debolezza.
Il richiamo all'esperienza politico-diplomatica concreta, diret
ta, maturata a contatto con i diversi stati italiani nel corso delle
numerose missioni diplomatiche compiute a Milano, Siena, Roma,
Napoli, costituisce senz'altro, in queste pagine, la fonte privilegia
ta del Piccolomini.110
Muovendosi da ovest verso est, e da nord verso sud, il Picco

109 II pericolo che i francesi si servissero di Genova come testa di ponte per il recu
pero del regno di Napoli e per estendere la propria egemonia in Italia era avvertito con
forza dai contemporanei: si vedano ad esempio, in questo senso, V. Ilardi, The Banker
stateman and the condottiere-prince: Cosimo de' Medici and Francesco Sforza, 1450-1464,
in Id., Studies in Italian Renaissance. Diplomatic History, Londra, Variorum Reprints,
1986, pp. 1-36, in particolare pp. 12-14; e D. Abulafia, The inception of the reign of
King Ferrante I ofNaples: the events of summer 1458 in the light of documentation from
Milan, in Id. (a cura di), The French Descent into Renaissance Italy. Antecedents and ef
fects, Aldershot, Variorum, 1995, pp. 71-89, in particolare pp. 73-74.
Sulle ambizioni egemoniche francesi sulla penisola si vedano G. PlLLININI, Il siste
ma degli stati italiani. 1454-1494, Venezia, Libreria Universitaria Editrice, 1970 (soprat
tutto pp. 60-62; 83-102); V. Ilardi, The Italian League, Francesco Sforza and Charles VII
(1454-1461), in Id., Studies in Italian Renaissance cit., pp. 129-166; Id., France and Mi
lan: the uneasy alliance, 1452-1466, ivi, pp. 415-448; R. Fubini, Lega italica e 'polìtica
dell'equilibrio' all'avvento di Lorenzo de' Medici al potere, in Id., Italia Quattrocentesca.
Politica e diplomazia nell'età di Lorenzo il Magnifico, Milano, Franco Angeli Editore,
1994, pp. 185-219; e Id., Introduzione a G. B. Picotti, La dieta di Mantova e la politica
dei veneziani, ristampa anastatica a cura di G. M. Varanini, Trento, Editrice Università
degli Studi di Trento, Dipartimento di Scienze Filologiche e Storiche, 1996, pp. vn-xx,
in particolare p. xv).
110 Si veda già qui p. 639.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 657

lomini percorre, per così dire, la penisola, soffermandosi sulle di


verse forze politiche italiane: da Genova, lo sguardo si sposta così
verso il ducato di Milano,111 la repubblica di Venezia,112 il marche
sato di Mantova;113 scendendo poi, attraverso Ferrara,1" Bologna,115
fino alle repubbliche di Firenze,116 di Siena,117 attraverso poi Piom
bino,118 Viterbo,119 Roma,120 le diverse signorie dell'Umbria,121 di
Ascoli,122 Urbino,12' le terre malatestiane,124 Fabriano,125 l'Aquila,126 e
giungendo infine al regno di Napoli.127
L'interesse del Piccolomini è rivolto tutto al presente, al dato
politico - o, più largamente, politico-culturale.128 L'evoluzione in
terna ai singoli stati; l'emergere di nuove forze politiche - in parti
colare il ducato sforzesco e il regno aragonese - e il mutare del
quadro politico italiano; i rapporti interni fra i diversi stati italiani
e con le potenze europee: sono indubbiamente al centro dell'at
tenzione del Piccolomini.129

111 De Europa, cap. XLIX, pp. 446-449 [pp. 192-203].


112 Ibid., cap. L, pp. 449-450 [pp. 203-205].
113 lbid., cap. LI, p. 450 [p. 206].
114 lbid., cap. LII, pp. 450-451 [pp. 206-209],
115 lbid., cap. LIII, pp. 452-453 [pp. 210-214],
116 lbid., cap. LIIII, pp. 452-455 [pp. 214-223].
117 lbid., cap. LV pp. 455-456 [pp. 223-226],
118 lbid., cap. LVI, pp. 456-457 [pp. 226-228],
1,9 lbid., cap, LVII, p. 457 [p. 229],
120 lbid., cap. LVIII, pp. 457-461 [pp. 229-254],
121 lbid., cap. LIX, pp. 462-464, [pp. 254-260].
122 lbid., cap. LX, pp. 464-465 [pp. 260-261],
123 lbid., cap, LXI, p. 465 [pp. 261-262],
124 lbid., cap. LXII, p. 465 [p. 262],
125 lbid., cap. LXIII, p. 465 [pp. 262-263],
126 lbid., cap. LXIIII, p. 465-466 [pp. 263-264].
127 lbid., cap. LXV, pp. 466-471 [pp. 264-275],
128 I riferimenti geografici - al territorio, al paesaggio, ai confini stessi dei diversi
stati italiani - sono totalmente assenti in queste pagine del Piccolomini, che si sofferma,
piuttosto, sulla storia politica più recente dei singoli stati; sui personaggi e sulle figura
storiche di maggior rilievo, siano essi uomini politici o, più ampiamente, uomini di cul
tura: cosi, ad esempio, Cosimo de' Medici e gli umanisti fiorentini a proposito di Firen
ze; Gregorio Lolli, Francesco Patrizi e Mariano Sozzini a proposito di Siena; e così via.
129 La storiografia, anche quando si è occupata del De Europa, ha poi trascura
to completamente queste pagine sull'Italia, che invece, a mio avviso, al di là del pri

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658 Barbara Baldi

Le vicende politiche italiane si vengono così intrecciando con


gli avvenimenti europei: la lotta fra il papato e il concilio e la crisi
dell'universalismo papale; il rapporto con l'impero e la discesa in
Italia di Federico III;li0 la rivalità fra Francia e impero e la lotta
per l'egemonia europea;131 l'Aragona, la politica mediterranea e la
rivalità con la monarchia francese;132 l'avanzata del Turco.133
La prospettiva europea resta, indubbiamente, centrale. Tutta
via, nello stesso tempo, la realtà politica italiana assume chiara
mente - come si è accennato - una propria specifica fisionomia, e,

mo esame che tento qui di proporre, meriterebbero un'analisi più attenta e specifi
ca.

In particolare, la descrizione che il Piccolomini offre della realtà politica


nisola riflette le trasformazioni politiche e culturali dell'Italia e dell'Europa de
crisi dei poteri universali, della Scolastica, in un intreccio profondo fra diplom
litica e umanesimo, e, in questa prospettiva, ad esempio, esse presentano ind
te alcuni punti in comune, pur nella diversità dell'impostazione e dell'impian
pera, con l'Italia Illustrata di Flavio Biondo: l'attenzione prevalente al present
cetto di novitates Italiae; l'idea di Italia e il nuovo concetto di nazionalità; il s
fondo dell'unità politica e culturale della realtà italiana; il richiamo all'esperie
creta e diretta come punto di riferimento principale. Tuttavia, in questo sens
fronto più diretto con Yltalia illustrata - che il Piccolomini conosceva e di cui
poi nei suoi Commentarii - resta ancora, per quanto riguarda queste pagine s
da impostare.
Sul Biondo e suV!Italia illustrata si veda in particolare R. Fubini, La geogra
rica dell'Italia illustrata di Biondo Flavio, e le tradizioni dell'etnografia, in La
umanistica a Forlì fra Biondo e Melozzo, a cura di L. Avellini e L. Michelacci,
Nove, 1997, pp. 89-112.
150 Ibid., pp. 449-450 [p. 203]; 459 [p. 237]; 470 [p. 272],
1,1 II legame fra le ambizioni francesi sulla penisola e il pericolo di un'eg
della Francia in Europa è consapevolmente avvertito dal Piccolomini.
Sul tema si cfr. R. Fubini, Aux origines de la balance des pouvoirs: le système
que en Italie au XVe siècle, in L'Europe des traités de Westphalie. Esprit de la d
et diplomatie de l'esprit, a cura di L. BéLY, Parigi, PUF, 2000, pp. 111-121, in
re p. 114; e Id., Milano tra Francia e Impero. Situazione interna, dipendenze est
XIV-XVI), in L. Arcangeli, Milano e Luigi XII: ricerche sul primo dominio fr
Lombardia, 1499-1512, Milano, Franco Angeli Editore, 2002, pp. 143-146.
152 In particolare, il regno di Alfonso d'Aragona - re di Aragona, Sicilia e
- si inserisce chiaramente per il Piccolomini in una prospettiva mediterranea
braccia non solo la penisola italiana e quella iberica, ma anche le coste african
lia, l'Albania e le isole greche. Si veda, ad esempio, p. 471 [p. 275]: Alfonso è
dal Piccolomini «Hispanicarum quoque rerum moderator et arbiter». Si cfr. a
lasso, Il regno di Napoli cit., pp. 587-599; D. Abulafia, Introduction, in Id. (a
The French Descent into Renaissance Italy cit., pp. 1-25.
135 La penisola italiana appare al Piccolomini direttamente minacciata dall'
del Turco, e, in particolare, la stessa pace di Lodi, secondo quanto scrive il
ni, viene conclusa da Venezia proprio sotto la pressione del pericolo turco
conquista di Costantinopoli da parte di Maometto II: ibid., p. 449 [p. 205].

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 659

da questo punto di vista, il dato che più colpisce, in queste pagi


ne, è senz'altro il senso, la consapevolezza fortemente avvertita
dal Piccolomini dell'unità di fondo, politica e culturale, dell'espe
rienza italiana.
Il richiamo alla cultura umanistica sembra unire idealmente
fra loro i vari stati italiani, come una sorta di 'filo rosso' che per
corre l'intera penisola: dal Filelfo e dal Crivelli - impegnati a cele
brare la nuova potenza dello Sforza134 - al mecenatismo di Borso
d'Este,135 e soprattutto di Niccolò V;136 dalle figure di Coluccio Sa
lutati, Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini, fino ad Alfonso d'A
ragona - esperto egli stesso di filosofia e di storia.137 L'umanesimo
si pone così come un elemento capace di superare il frazionamen
to politico italiano, espressione di una comune cultura politica
che, affermatasi nelle corti e nelle cancellerie dei nuovi stati italia
ni, diventa poi, essa stessa, uno strumento indispensabile di gover
no, come ben dimostra l'esempio della cancelleria fiorentina.138
Ma è soprattutto dal punto di vista politico che questa idea,
questo senso di un'unità della realtà italiana acquista maggior for
za e vigore.
Le vicende politico-diplomatiche dei singoli stati italiani si in
trecciano, si sovrappongono fra di loro, in un legame strettissimo
fra politica interna e politica esterna - sia che si tratti di Milano,
di Firenze, dello stato della Chiesa.
La realtà politica della penisola, da questo punto di vista, si
viene configurando con chiarezza, agli occhi del Piccolomini, co

154 Ibid., p. 449 [p. 202],


155 Ibid., p. 450 [p. 206].
156 Ibid., p. 459 [pp. 243-244],
157 Ibid., p. 470 [p. 275].
138 Ibid., p. 454: «Commendanda est multis in rebus Florentinorum prudentia tum
maxime, quod in legendis cancellariis non iuris scientiam, ut pleraeque civitates, sed
oratoriam spectant et quae vocant humanitatis studia; norunt enim recte scribendi di
cendique artem, non Bartholum aut Innocentium, sed Tullium Quintilianumque trade
re. Nos tres in ea urbe cognovimus graecis et latinis et conditorum operum fama illu
stres, qui cancellari[at]um alius post alium tenuere: Leonardum et Carolum Aretinos,
et Pogium eiusdem reipublicea civem (...) Illos praecesserat Colucius, cuius ea dicendi
vis fuit, ut Galeacius Mediolanensium princeps, qui patrum nostrorum memoria gravis
simum Florentinis bellum intulit, crebro auditus est dicere, non tam sibi mille Florenti
norum equites quam Colucii scripta nocere» [p. 221].

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660 Barbara Baldi

me un 'sistema politico unitario',139 che trova i suoi punti di riferi


mento centrali nell'azione mediatrice e pacificatrice del papato e
nella Lega italica.
La conclusione della pace di Lodi fra Milano e Venezia, e poi
quella successiva della Lega italica, in particolare, assumono, in
queste pagine, un valore periodizzante molto forte, quasi a voler
segnare un punto di svolta fondamentale nei rapporti fra i diversi
stati italiani, e la fine di un periodo di guerre e di divisioni inter
ne. La nuova realtà politica delle penisola, si può dire, trova pro
prio nella Lega italica la sua sistemazione e legittimazione politi
co-diplomatica; e, in questo ambito, il papato assume una posizio
ne di primo piano.
Il papato, lo stato della Chiesa, rappresenta indubbiamente
una delle principali forze politiche della penisola. La riaffermazio
ne delle prerogative spirituali ed universali del papato procede, se
così di può dire, nelle pagine del Piccolomini, di pari passo con il
tentativo da parte dei pontefici di ristabilire la propria autorità
sullo stato della Chiesa - a sua volta compromessa dalla crisi con
ciliare. Il ritorno trionfale di Eugenio IV a Roma dopo nove anni
di esilio;140 la vittoria ottenuta contro lo Sforza ed il recupero delle
terre pontificie della Marca;141 si accompagnano così alla conclu
sione della pace e dell'alleanza politico-ecclesiastica con Alfonso
d'Aragona,142 e al rinnovato accordo con la Germania e con l'im
pero.143

159 In questo senso si vedano più in generale V. Ilardi, 'Italianità' among some Ita
lioti Intellectuals in the early sixteenth century, in Id., Studies in Italian Renaissance cit.,
pp. 339-367; G. Galasso, L'Italia come problema storiografico, voi. introduttivo a Id. (a
cura di), Storia d'Italia, Torino, UTET, 1979: in particolare cap. Vili e IX; P. Marga
ROLI, L'Italia come percezione di uno spazio politico unitario negli anni Cinquanta del XV
secolo, «Nuova Rivista Storica», LXXIV, 1990, pp. 517-36; Fubini, L'idea di Italia fra
Quattro e Cinquecento, «Geographia Antiqua», VII, 1998, pp. 53-66, in particolare pp.
53-55.

140 Ibid., p. 457: «Sed cum pluribus annis Eugenius abfuisset, intellexerant et opu
lenti cives et inopes Romam sine Pontificis cur[i]a non tam urbem quam vastam ac de
sertam speluncam videri. Quibus ex rebus missis ad eum legatis, ut in urbem suam re
diret, magnis precibus rogavere. Rediit ille nono postquam effugerat anno nec tam
ignominiose pulsus fuerat quam exceptus est gloriose (...)» [p. 230],
141 Ibid, pp. 457-458 [pp. 231-232],
142 Si veda in particolare M. Caravale, Lo stato pontificio da Martino V a Gregorio
XIII, in Lo stato pontificio: da Martino V a Pio IX, a cura di M. Caravale - A. Carac

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 661

In questa prospettiva, il papato di Niccolò V assume senz'al


tro, per il Piccolomini, un'importanza fondamentale. L'accordo
raggiunto fra Niccolò V e l'antipapa Felice V; lo scioglimento de
finitivo del concilio;144 il rafforzarsi del legame con l'impero, da un
lato; il consolidamento del controllo papale sulla città di Roma e
sullo stato della Chiesa, dall'altro;145 segnano infatti - o vorrebbero
segnare - la definitiva riaffermazione dell'autorità e del prestigio
del papato, rispetto all'Europa e rispetto alla stessa realtà politica
italiana.
Uscito vittorioso dalla crisi conciliare, rafforzato territorial
mente e militarmente, il papato si pone, infatti, chiaramente, co
me un punto di riferimento centrale dei sistema politico italiano.
In particolare, il Piccolomini insiste con forza sull'importanza del
l'azione pacificatrice e di mediazione svolta dal pontefice: in que
sto senso, la stessa Lega italica nasce proprio, come scrive l'auto
re, da un'iniziativa personale di Niccolò V, dopo il fallimento dei
congressi di pace del '51 e del '53, e la conclusione, per altre vie,
della pace di Lodi:146

Sed recusante Alphonso pacem, quae sibi inscio dieta erat, vanam
esse Nicolaus, quae de se habita fuerat, suspicionem ostendit misso ad
Alphonsum legato Dominico Santae Crucis cardinali, prudentia singula
ri et vitae integritate conspicuo. Qui cum Caietam, deinde Neapolim
pervenisset, intervenientibus Venetorum et aliarum partium legatis diffe
rentiisque omnibus tanquam ex integro discussis Alphonso regi non so
lum pacem suasit, sed foedus in annos quinque et viginti inter omnes

CIOLO (Storia d'Italia diretta da G. Galasso, voi. XVI), Torino, UTET, 1978, pp. 3-138,
in particolare pp. 56-60. Ma si veda anche qui più oltre pp. 662-663.
143 De Europa cit., p. 458 [p. 232],
UA Ibid., p. 459 [p. 237],
M5 Ibid., pp. 459-460 [pp. 245-246]: il Piccolomini fa riferimento in particolare al
la congiura organizzata da Stefano Porcari; e alla costruzione, da parte del pontefice,
di nuove fortezze e di nuove fortificazioni per il controllo delle terre dello stato della
Chiesa.
146 Sulla Lega Italica si vedano G. Soranzo, La Lega Italica (1454-55), Milano, So
cietà Editrice 'Vita e Pensiero', 1924; G. Nebbia, La Lega Italica del 1455: sue vicende e
sua rinnovazione del 1470, «Archivio Storico Lombardo», IV, 1939, pp. 117-135; Ilar
di, The ltalian League cit.; Pillinini, Il sistema degli stati italiani cit.; e Fubini, Lega Ita
lica e 'politica dell'equilibrio' cit., e, dello stesso autore, L'idea di Italia fra Quattro e
Cinquecento cit., pp. 55-60.

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662 Barbara Baldi

Italiae potentatus percussit, cuius romanus pontifex et conservator et iu


dex dictus est.147

La Lega italica trova, dunque, nel papato il proprio perno.


Ma accanto al papato, il sistema politico della penisola trova
poi ulteriori punti di forza nei regimi signorili di Napoli e di Mila
no. La definitiva affermazione dello Sforza a Milano, e la vittoria
conseguita da Alfonso d'Aragona nel regno di Napoli contro Re
nato d'Angiò costituiscono infatti, agli occhi del Piccolomini, ga
ranzie essenziali per il mantenimento e la stabilità dell'equilibrio
politico-diplomatico della penisola, in primo luogo proprio rispet
to alle mire espansionistiche francesi."8
L'attenzione del Piccolomini si concentra soprattutto sul re
gno di Napoli: le pagine dedicate ad Alfonso d'Aragona sono in
dubbiamente fra le più belle, le più vive dell'intero trattato, e te
stimoniano tutta la profonda ammirazione e simpatia che il Picco
lomini nutre per il sovrano.
L'autore ripercorre le alterne vicende della guerra combattuta
fra Alfonso e i francesi, e conclusasi con la fuga di Renato d'An
giò da Napoli e l'ingresso trionfale in città di Alfonso: «(...) Nea
polim rediens in triumphantis morem exultante populo magnifi
centissimis apparatibus ingressus est urbem».149
La successiva conclusione della pace con Eugenio IV contri
buisce a rafforzare la posizione di Alfonso, sia dal punto di vista
interno, sia rispetto alle stesse rivendicazioni francesi. Ma l'accor
do di Terracina diventa anche, nello stesso tempo, la base per un
possibile accordo, per una possibile alleanza fra il nuovo sovrano
e il pontefice. Eugenio IV, infatti, concede ad Alfonso l'investitu
ra formale del regno, e ne riconosce il figlio Ferrante quale legitti

147 De Europa, p. 460 [p. 247].


148 La stabilità dei regimi signorili è contrapposta dal Piccolomini all'inaffidabilità
e alle divisioni che caratterizzano invece le repubbliche cittadine. Ma la preferenza di
mostrata dal Piccolomini si lega anche, più specificatamente, ad un preciso orientamen
to ideologico e culturale dell'autore, un 'umanesimo aristocratico' o nobiliare - come la
storiografia lo ha definitivo - cresciuto nelle cancellerie delle corti signorili e negli am
bienti aristocratici, e naturalmente ostile e diffidente verso le repubbliche mercantili e i
regimi comunali. Sul tema si veda in particolare Ceserani, Pio II cit., pp. 188-189.
149 De Europa cit., p. 469 [pp. 270-271].

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 663

mo successore al trono; in cambio, il sovrano accetta di sostenere


il papato nello scontro con il concilio, e si impegna a partecipare
all'organizzazione della crociata:

Post haec de pace inter Alphonsum et Eugenium actum. Ludovicus


cardinalis aquilegiensis, et sua virtute et pontificis autoritate potens, id
circo ad regem missus eam confecit. Leges pacis in hunc modum dictae:
Eugenius pontifex Alphonsum regem neapolitanum decernat appellet
que; Ferdinando regis filio, cui rex post mortem regnum distinaverat,
potestatem succedendi faciat Terracinamque regno adiiciat. Alphonsus
contra Eugenii autoritati se subiiciat atque opituletur ad agrum pice
num, quem Sfortia occupaverat, vendicandum; si quando pontifex ad
versus Turcas aut Afros bellum suscipiat, rex cum classe adiuvet; sacer
dotes regnorum suorum sub concilii pretextu Basilaem profectos revo
cet.150

All'interno del quadro politico italiano, il regno di Napoli,


consolidato e rafforzato dalla politica del nuovo sovrano, rappre
senta così, senz'altro, agli occhi del Piccolomini, una forza positi
va, che può anzi costituire un punto di riferimento centrale per il
papato - rispetto al concilio, alle potenze europee, all'Italia, al
Turco.
Tuttavia, proprio le ambizioni di Alfonso d'Aragona sono - il
Piccolomini lo avverte chiaramente - all'origine degli squilibri e
delle principali contraddizioni dell'equilibrio italiano e della Lega
italica. Il caso di Genova, come si è visto, è significativo: ma alla
questione genovese di aggiunge poi anche il problema irrisolto del
rapporto con Sigismondo Malatesta - rimasto escluso anch'egli,
per volontà di Alfonso, dalla pace generale.151
A loro volta, le aspirazioni del sovrano al controllo dello stato
della Chiesa e del papato, l'ambiguità del rapporto fra il papato e
Alfonso, accentuano il senso di instabilità e incertezza generale:
da questo punto di vista, l'appoggio fornito dal re al condottiero
Giacomo Piccinino nella guerra contro Siena mette in luce, si di

150 Ibidp. 469 [p. 271].


151 Ibid., pp. 465 [pp. 262-263],

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664 Barbara Baldi

rebbe, tutti i limiti e le contraddizioni del rapporto fra il sovrano


e Callisto III:

Comitem Iacobum Picininum Senensibus (ut dictum est) armis in


sultantem misso milite suo repressit. Regi Alphonso quaerenti ex eo,
quo pacto invicem victuri essent, "regna sua" respondit "ipse regat,
mihi summi apostolatus gubernationem relinquat". Veras eorum multis
de rebus dissensiones magna pars Italiae [simulatasi confictas[que] esse
credidit; qui fidem dedere contentioni alii Calixtum, alii Alphonsum, alii
utrumque accusavere, quorum alter regem, sub quo natus esset, alter
su[mmlum sacerdotem, cui tanquam vicario Dei parendum est, ferre
non posset.152

I tentativi del sovrano di servirsi del Piccinino per porsi come


'protettore' dello stato della Chiesa si scontrano con il tentativo
del papato di ristabilire il proprio potere sovrano sulle terre papa
li e di ribadire, nel contempo, il proprio ruolo di signore feudale
del regno di Napoli.
La Lega italica, l'equilibrio politico-diplomatico italiano si ri
velano così una realtà, tutto sommato, fragile e contraddittoria,
resa ancora più instabile dal prevalere al suo interno di accordi e
interessi particolari. Il richiamo dell'autore ad un legame privile
giato all'interno della Lega fra i regimi signorili di Napoli e Mila
no e il papato - uniti dalla comune minaccia francese, e da affini
tà ideologiche e politiche - lascia d'altra parte in sospeso il pro
blema del rapporto più generale con Firenze e di Venezia.153
Anche per quanto riguarda più direttamente il papato, il Pic
colomini ne accentua, indubbiamente, gli elementi positivi e i
punti di forza; ma finisce per sottovalutare il problema dell'effetti
va forza, del ruolo concreto dello stato della Chiesa rispetto al si
stema italiano: la realtà dello stato pontificio è pur sempre una
realtà divisa, molteplice, sulla quale i pontefici non riescono ad
imporre la loro autorità. Ma quali sono, allora, quali possono es
sere le risorse reali dello stato della Chiesa? Che peso ha, nella

152 Ibidpp. 460-461 [p. 249]. Per quanto riguarda i rapporti fra Callisto III e Al
fonso si vedano in particolare Galasso, II regno di Napoli cit. pp. 612-618.
15' Si cfr. in particolare FuBINI, L'idea di Italia fra Quattro e Cinquecento cit., p. 59.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 665

pratica concreta dei rapporti interstatali, il ruolo del pontefice co


me «conservator» e «iudex» della Lega? 154
Il problema del rapporto fra il papato, lo stato della Chiesa, le
forze italiane, risulta, alla fin fine, un po' troppo semplificato; e la
ricostruzione del Piccolomini tiene conto solo fino ad un certo
punto delle contraddizioni legate alla duplice natura del potere
del pontefice, da un lato sovrano di uno stato italiano, e dall'altro
guida della Chiesa universale.
Da questo punto di vista, il Piccolomini rivendica con forza
l'importanza dell'impegno di Callisto III contro il Turco. E, in
questa prospettiva, malgrado tutto, il papato sembra poter trovare
proprio nella Lega, nel suo ruolo di mediatore del sistema politico
italiano, nel rapporto con alcuni degli stati italiani, un punto di ri
ferimento indispensabile della propria politica, rispetto alle forze
europee, rispetto al Turco.
La realtà italiana, al di là delle sue contraddizioni, dei suoi
squilibri più o meno evidenti, resta così una realtà positiva, forte,
che si viene anzi definendo come una delle grandi aree politiche
dell'Europa.
L'attenzione per la realtà tedesca, per l'impero, si accompagna
dunque nel Piccolomini ad un interesse, altrettanto vivo e forte,
per l'Italia. Germania e Italia appaiono anzi - se appena si guarda
alle opere scritte in questi mesi - i due poli intorno ai quali ruota
la riflessione del Piccolomini: e non è un caso che, volgendo lo
sguardo nuovamente al mondo tedesco, e in particolare alla Boe
mia, questa sia presentata proprio come parte della Germania:
«Bohemia in solo barbarico trans Danubium sita, Germanie por
tio est».155
La realtà politica ed ecclesiastica della Germania, il problema
dell'unità politica e religiosa dell'impero, l'emergere delle nuove
forze nazionali tornano al centro dell'attenzione dell'autore.
La Boemia rappresenta una delle principali forze politiche
dell'impero, della Germania; ma essa è anche - il Piccolomini lo
rileva chiaramente - una nazione forte, fiera, indipendente, domi

Sul tema si veda Id., Lega Italica e 'politica dell'equilibrio' cit., p. 204.
155 Historia Bohemica cit., p. 82.

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666 Barbara Baldi

nata da un irriducibile spirito di autonomia politica e religiosa.


Motivi antigermanici e antiimperiali si incontrano con motivi anti
romani e antipapali: la negazione del primato romano; la condan
na della corruzione della curia romana; l'aspirazione alla riforma;
l'emergere e l'affermarsi della Chiesa boema e il diffondersi dell'e
resia ussita.156
Tuttavia la ricostruzione delle vicende della storia boema fini
sce poi per accentuare il senso delle contraddizioni, delle difficol
tà del rapporto fra papato, impero, il mondo tedesco, le nuove
forze nazionali. I diversi tentativi dell'imperatore, dei pontefici di
ristabilire l'autorità imperiale e l'unità religiosa della Germania re
stano infatti privi di efficacia. Di fronte alla morte di Ladislao Po
stumo - di cui il Piccolomini era stato precettore e nel quale ripo
neva tante speranze; e alla successiva, recentissima elezione a so
vrano di Giorgio Podiebrad - sostenuto dagli ussiti; le aspirazioni
del Piccolomini, la sua fiducia nel rapporto fra il papato e la real
tà tedesca, sembrano veramente non riuscire a trovare, nella realtà
storica del momento, la via per affermarsi. La realtà boema resta
una realtà divisa, indomita: una realtà - il Piccolomini lo avverte
con forza - difficile da dominare.
Ma il senso delle difficoltà diventa poi ancora più forte di
fronte alla morte improvvisa di Alfonso d'Aragona.
Il contraccolpo è tale che lo scenario italiano irrompe infatti,
bruscamente, inaspettatamente, nella narrazione:

Dum hec scribo, Alphonsi regis Arragonum, cui presentem histo


riam dedicaveram, multis formidatus, pluribus ex precatus, mihi quidem
acerbissimus nunciatus est obitus, V. Calendae Iulii clausisse oculos tra
ditur. Hispaniae atque Italiae rebus aliam formam praebiturus (...)Uti
nam successori cura virtutis sit, minorque seculo nostro calamitas in
gruat, quam timemus. (...) Mira rerum mutatio, et novus syderum influ
xus. Duo potentissima regna eodem tempore rege orbata, ex nobilissimo
atque altissimo sanguine ad mediocris homines pervenere. Sic Deo pla
cuit, ludere fortunam dixisset antiquitas. Nos divinae providentiae cun
cta tribuimus. Utriusque regis electionem nonnulli calumniantur, vim

156 Ibid., in particolare pp. 102-103.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 667

adhibitam dicunt, neque iure valere quod metus extorserit. Nobis per
suasum est, armis acquiri regna, non legibus.157

La realtà tedesca, la realtà italiana sembrano, per così dire,


sfuggire di mano al Piccolomini, che non nasconde la propria
preoccupazione per le possibili conseguenze che la morte del so
vrano potrà avere sull'equilibrio politico-diplomatico della peni
sola, sul rapporto con la Francia. L'ostilità sempre più evidente di
Callisto III verso Alfonso e verso Ferrante; l'ambiguità della poli
tica papale;158 il rischio di un possibile insediamento a Napoli della
Francia e del rafforzarsi delle sue aspirazioni sulla penisola; ac
centuano l'incertezza del quadro italiano.
Le vicende boeme trovano così un inaspettato corrispettivo ne
gli avvenimenti italiani, e, mentre sta terminando XHistoria bohe
mica, lo sguardo del Piccolomini torna nuovamente sulla peniso
la, ad ulteriore dimostrazione dell'oscillare della sua riflessione tra
Germania e Italia, e del senso profondo e ben vivo nell'autore
delle connessioni, dei legami fra le diverse realtà.
La prospettiva europea resta indubbiamente il punto di riferi
mento centrale del Piccolomini; ma ora è l'Europa stessa, la sua
realtà geo-politica, il rapporto fra gli stati europei a divenire, nel
De Europa, oggetto dell'attenzione del Piccolomini.
Il De Europa, o, per meglio dire, la seconda parte del De Euro
pa, nasce, più di quanto la storiografia non abbia rilevato, proprio
da qui: come se il senso delle difficoltà presenti spingesse il Picco
lomini a riaffermare la sua fiducia nell'unità di fondo dell'espe
rienza europea, nei suoi valori, nelle sue possibilità, nel ruolo del
papato, dell'impero, nel rapporto con le nuove forze nazionali.
Da questo punto di vista, non è un caso che la narrazione del
Piccolomini - in modo non diverso da quanto avvenuto con Ge
nova a proposito dell'Italia - prenda ora le mosse proprio dal
l'Ungheria, punto nodale fondamentale del sistema europeo di
fronte all'avanzata della minaccia turca, ponendo così in primo
piano il problema del confronto con il Turco.

15/ Ibid., p. 143.


158 Si cfr. in particolare Galasso, Il Regno di Napoli cit., pp. 626-629.

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668 Barbara Baldi

Il tema è un tema caro al Piccolomini, un tema intorno cui


ruota la sua intera attività politica e diplomatica; ed ora, proprio
in queste pagine sull'Europa, esso viene nuovamente ripreso, in
una prospettiva che sottolinea il ruolo delle regioni orientali nella
difesa contro il Turco, e che riflette, nello stesso tempo, la consa
pevolezza profonda del Piccolomini della gravità del pericolo che
minaccia l'Europa.
La descrizione dell'Ungheria - vero e proprio baluardo della
Cristianità contro il pericolo turco;139 la rievocazione delle imprese
di Giovanni Hunyadi;160 la descrizione della Transilvania, della
Valacchia,161 e della Tracia;162 mostrano chiaramente al Piccolomini
la realtà di un'Europa sempre più premuta dall'avanzata turca, e
in parte già sottomessa al sultano. Il Turco - il Piccolomini lo af
ferma con forza - è un problema europeo. Ma proprio questa
consapevolezza, alla fin fine, giustifica l'interesse dell'autore e la
sua decisione di dedicarvi, all'interno della trattazione sull'Euro
pa, alcune pagine:16' «(...) Turcarum gens scythica et barbara est,
de cuius origine atque progressu, quamvis propositum egredi [vi
dear], dicere haud alienum existimo, quando sub aevo nostro in
tantum hoc genus hominum auctum est, ut Asiam Graeciamque
tenens latinum Christianumque nomen late perterreat».164

159 De Europa, cap. I, pp. 387-391 [pp. 27-54].


160 Ibid., pp. 390, 391-393 [pp. 51-52, 54-59],
161 Ibid., cap. II, pp. 391-393 [pp. 54-59].
162 Ibid., cap. Ili, pp. 393-394 [pp. 59-62].
163 In particolare, si tratta dei cap. IIII (Origine e costumi del popolo turco), pp.
394-396 [pp. 62-67]; cap. V (Lotte recenti tra il Turco e i cristiani), pp. 396-399 [pp.
67-76]; cap. VI (Nuovi scontri dopo la sconfitta di Varna), pp. 399-400 [pp. 76-77];
cap. VII (La caduta di Costantinopoli), pp. 400-402 [pp. 78-82]; cap. Vili (La vittoria
cristiana di Belgrado), pp. 402-403 [pp. 82-85]. Queste pagine sul Turco sono larga
mente basate, come ammette lo stesso Piccolomini, sul trattato di Nicola Sagundino,
De origine et gestis Turcarum liber-, «Ex hac gente (quemadmodum Nicolaus Sagundi
nus vir gracae ac latinae historiae peritissumus ad nos scripsit...)» (p. 395 [p. 64]). Sul
trattato del Sagundino, scritto nel 1456, si veda in particolare Pertusi, I primi studi in
Occidente sull'origine e la potenza dei Turchi, «Studi veneziani», XII, 1970, pp. 465
552, in particolare pp. 475-478: basato largamente sulla stessa esperienza personale del
l'autore, il testo, come nota Pertusi, nasceva probabilmente da una richiesta specifica
del Piccolomini, cui è dedicato. Ma si veda anche qui p. 648 nota 89.
1M De Europa, p. 394 [p. 62].

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 669

Il Piccolomini ripercorre la storia dei Turchi, dalle origini fino


agli avvenimenti più recenti, soffermandosi in particolare sugli
scontri più recenti con gli eserciti cristiani: la battaglia di Varna,165
la battaglia del Kossovo;166 la caduta di Costantinopoli, che apre la
via a Maometto II dell'Italia e della Germania (29 maggio 1453);167
la vittoria cristiana di Belgrado (22 luglio 1456).168
In questa prospettiva, l'azione del papato è posta indubbia
mente in primo piano: lo zelo e il sacrificio del cardinal Cesarini,
ucciso a Varna; l'impegno di Eugenio IV e di Callisto III; gli aiuti
inviati agli ungheresi, allo Hunyadi; confermano, agli occhi del
Piccolomini, una volta di più, il ruolo centrale che il papato ha
avuto e può avere nella difesa della Cristianità dal pericolo turco.
La vittoria cristiana di Belgrado, del resto, lo dimostra:

Calixus tertius, qui per idem tempus romanam cathedram sortitus


erat, Ioannem cardinalem Sancti Angeli (...), ad eas partes legatum misit.
Is promissa peccatorum indulgentia cunctis, qui contra Turcas militare
vellent, adiuvante Ioanne Capistrano, qui per idem tempus Hungaris
evangelizabat, cruce signatorum haud parvum congregavit exercitum,
non divitum ac nobilium, sed inopis atque incompositi vulgi.169

Il ruolo avuto dal papato è sottolineata con forza dall'autore.


Tuttavia, gli appelli crociati di Callisto III si scontrano - il Picco
lomini lo scrive chiaramente - con l'indifferenza delle principali
potenze europee e dei principi cristiani.
Il Piccolomini, così, non dimentica l'aiuto prestato dai geno
vesi al sultano in occasione della battaglia di Varna;170 ma soprat
tutto condanna duramente l'indifferenza e la cecità delle potenze

165 Ibid., pp. 398-399 [pp. 71-76],


166 Avvenuta nel 1448, è attribuita dal Piccolomini all'iniziativa di Giovanni Hu
nyadi, che, desideroso di vendicare la sconfitta subita a Varna, viene però nuovamente
sconfitto: ibidem, pp. 399-400 [pp. 76-77].
lf'7 Ibid., pp. 400-402.
168 Ibid., p. 403 [pp. 83-84],
169 Ibid., p. 403 [p. 82],
170 La vittoria turca è resa possibile infatti dal sostegno prestato ai Turchi dai geno
vesi, che con la loro flotta consentono all'esercito turco di attraversare gli stretti: si veda
in particolare Avesani, Sulla Battaglia di "Varna nel 'De Europa' di Pio II cit.

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670 barbara Baldi

cristiane di fronte al pericolo che minaccia Costantinopoli e l'inte


ra Cristianità:

Senserant eius [di Maometto] animum Graeci diffidentesque suis vi


ribus ad Latinorum opes confugerant lachrymis auxilia expectantes. Sur
dae (proh pudor) nostr[or]um principimi aures fuere, caeci oculi, qui
cadente Graecia ruituram Christianae religionis relinquam partem non
viderunt, quamvis privatis quemque aut odiis aut commoditatibus occu
patimi salutem publicam neglexisse magis crediderim.171

Dopo la conquista turca di Costantinopoli, proprio le colonie


genovesi in Oriente sono fra le prime a riconoscere il nuovo so
vrano della città: «Perenses, vetus colonia Genuensium, qui et
Galatae nuncupantur, cognita Byzantiorum clade, priusquam ro
garentur, Mahumeti deditionem fecere».172
Le rivalità politiche, gli interessi commerciali e mercantili che
dividono l'Europa cristiana sono ben presenti al Piccolomini: in
questo senso, le parole dell'autore rivelano, certo, tutta la difficol
tà di un'unione delle forze cristiane contro il nemico comune. Da
questo punto di vista, tuttavia, la scelta del Piccolomini di conclu
dere la trattazione sui Turchi proprio con la descrizione della vit
toria cristiana di Belgrado - vero e proprio riscatto morale del
l'Occidente dopo la caduta di Costantinopoli - assume un'impor
tanza particolare, quasi a voler ribadire, al di là delle difficoltà, la
fiducia dell'autore nelle possibilità dell'Europa cristiana e della ci
viltà cristiana europea di fronte al pericolo turco.
Il confronto con il Turco, infatti, si pone chiaramente come
un confronto non solo religioso, ma anche culturale, di civiltà.173
In questa prospettiva, la barbarie, la ferocia, la crudeltà turca
sono poste in primo piano, a partire proprio dalla netta afferma
zione dell'origine sciitica, asiatica - e non quindi, come alcuni so
stengono, troiana - dei Turchi:

Video complures aetatis nostrae non authores aut poétas duntaxat,


verum etiam historicos, eo errore teneri, ut Teucrorum nomine Turcas

171 De Europa cit., p. 401 [p. 78].


172 Ibid., p. 402 [p. 82],
175 Si vedano in questo senso le osservazioni già ricordate qui a pp. 638-639.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 671

appellent. (...) Turcarum gens scythica et barbara est (...) Turcae (ut
Ethicus philosophus tradit) ultra Pyrenaeos montes et Taracontas insu
las contra aquilonis ubera, id est, ad septentrionalem oceanum sedes pa
trias habuere: gens truculenta, ignominiosa, et in cunctis stupris ac lupa
naribus fornicaria. Comedit quae caeteri abominantur: iumentorum, lu
porum et vulturum carnes, nec abortivis hominum abstinet. Diem fe
stum nullum collit, nisi mense Augusto Saturnalia. Romanorum impe
rium audivit magis quam sensit.174

Il rilievo si accentua ulteriormente nella descrizione della pre


sa di Costantinopoli da parte di Maometto II, «fidei Christianae
feralis inimicus»: la città, caduta infine nelle mani del nemico, vie
ne fatta oggetto di un orribile saccheggio; uomini, donne e bambi
ni trucidati senza pietà; le chiese, la stessa Santa Sofia, depredate;
le reliquie profanate, gli oggetti sacri distrutti; il crocifisso deriso.
Nulla viene risparmiato dalla ferocia della forza distruttrice dei
Turchi:

tum subito capta urbe caesis omnibus, qui resistere ausi sunt, in rapinas
est itum. Erat victorum infinitus numerus in libidinem, in saevitiam cor
ruptior: non dignitas, non aetas, non sexus quenquam protegebat (...)
nihil illicitum toto triduo in Constantinopoli fuit (...) Simulacrum Cruci
fixi, quem colimus et verum deum esse fatemur, tubis ac tympanis pra
eeuntibus raptum ex urbe hostes ad tentoria deferunt, sputo lutoque
foedant et ad nostrae religionis irrisionem iterum cruci affigunt. Exin pi
leo, quem sartulum vocant, capiti aius imposito corona undique facta,
"hic est" (inquiunt) "Christianorum Deus". Tum lapides lutumque iac
tantes miris dehonestant modis. Sed nihil haec obsunt Deo nostro coe
lum tenenti nec maiestatem aius quoquo modo imminuere possunt:
cuius ea gloria, ea sublimitas est, ea beatitudinis perfectio, ut nec laudi
bus humanis extolli, nec humiliari vituperiis ullis possit.175

Dinnanzi alla barbarie e alla ferocia turca, il Piccolomini affer


ma dunque la superiorità della religione e della civiltà cristiana, e

174 De Europa cit., pp. 394-395 [pp. 62-63]. In questo senso si cfr. anche Pertusi, I
primi studi in Occidente sull'origine e la potenza dei Turchi cit.; e F. CARDINI, Europa e
Islam. Storia di un malinteso, Roma-Bari, Laterza, 1999, in particolare p. 213: in questo
senso, la descrizione del Turco fatta dal Piccolomini sarebbe basata, secondo Cardini,
sulle pagine di Erodoto relative ai Persiani, scelta che accentua il significato anche cul
turale, di contrasto fra barbarie e civiltà, della contrapposizione fra Cristiani e Turchi.
175 Ibid, p. 402 [pp. 80-81],

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672 Barbara Baldi

anche la crociata diventa ora, sempre più chiaramente, una lotta


contro il nemico della fede e della civiltà.
Nelle pagine che seguono, del resto, la descrizione della Gre
cia, della Macedonia, dei territori orientali ormai in mano ai Tur
chi 176 - giocata tutta sul contrasto fra il ricordo delle glorie passa
te e la miseria della condizione presente - rafforza il senso della
gravità della minaccia turca. Ma, soprattutto, in queste pagine, i
Turchi sono ora chiaramente paragonati ai Persiani:
Mira rerum mutatio et fluxa humani imperii gloria: haec est Mace
donia, quae duobus inclyta regibus, Graecia Thraciaque subacta impe
rium protendit in Asiam; Armeniam, Iberiam, Albaniam, Cappadociam,
Syriam, Aegyptum, Taurum, Caucasum subiugavit. Haec in Bactris, Me
dis, Persis dominata toto oriente possesso Indiae quoque victrix per ve
stigia Liberi patris atque Herculis signa circumtulit. Haec eadem nostra
aetate spurcissimae Turcarum genti subiecta, tributum pendere, iugum
ferre miserrimum cogitur (...) quae licet olim Xerxis impetum tenuere,
Turcarum tamen armis claudere transitum minime potuere.177

Il richiamo a Serse, alle guerre persiane accentua l'idea di una


netta contrapposizione fra l'Europa, civile e cristiana, e l'Asia,
barbara e infedele.178
L'idea di Europa, il criterio di 'civiltà occidentale', viene così
definendosi, viene emergendo, proprio nella contrapposizione con
il Turco, nel confronto con il barbaro e l'infedele. Quasi che, co
me è stato osservato, proprio la percezione di un comune nemico
favorisca l'emergere di una chiara consapevolezza dell'unità stessa
dell'Europa, un'unità che abbraccia, in questo caso, anche l'O
riente bizantino.

1,6 Si tratta, nell'ordine, della Macedonia (cap. IX, pp. 403-404) [pp. 85-87]; della
Boezia (cap. X, p. 404) [p. 87]; dell'Attica (cap. XI, pp. 404-405) [pp. 87-88]; del Pelo
ponneso (cap. XII, pp. 405-406) [pp. 88-90]; dell'Acarnania (cap. XIII, p. 406) [pp.
90-91]; e dell'Epiro (cap. XIIII, p. 406) [pp. 91-92].
17 ' Ibid., p. 404 [pp. 86-87].
178 Si cfr. in questo senso, in particolare, Cardini, Europa e Islam cit. p. 213: «Dagli
sciiti, il gusto e l'erudizione umanistici passavano immediatamente - e con naturalezza
- al popolo crudele per eccellenza dell'età antica, al nemico principale della Grecia e di
Roma: a quei persiani in qualche modo chiamati già in causa da Urbano II»; e, dello
stesso autore, Europa: le basi culturali, in Id., Dal Medioevo alla medievistica, Genova,
ECIG, 1989, pp. 11-23, soprattutto p. 21.

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 673

Di fronte al nemico comune, le differenze fra la Chiesa bizan


tina e l'Occidente cristiano vengono infatti superate dal Piccolo
mini in nome di una più profonda solidarietà e della comune ap
partenenza alla civiltà cristiana europea.179
L'Europa, certo, è una realtà divisa, molteplice, frammentaria;
ma questa consapevolezza non attenua il senso dell'unità di fon
do, religiosa e culturale, dell'Europa che resta fortissimo nel Pic
colomini: e, da questo punto di vista, la storiografia ha giustamen
te sottolineato l'importanza dell'esperienza concreta dell'autore -
i numerosi viaggi compiuti percorrendo tutta l'Europa; il contatto
diretto con le principali corti europee - come punto di riferimen
to essenziale di questa più larga prospettiva europea del Piccolo
mini.
Ma che cos'è, dunque, l'Europa per il Piccolomini?
L'Europa è, in primo luogo, come si è accennato, l'Europa
cristiana, la Cristianità, ed europei sono, appunto, i cristiani: «Eu
ropeos [et,] qui nomine christiano censentur».180
L'Europa - come aveva osservato lo Hay181 - si identifica chia
ramente con la Cristianità: la Cristianità è in Europa, e si potreb
be dire, solo in Europa, tanto che i confini religiosi coincidono
ormai con quelli europei. Il Piccolomini li traccia con sicurezza:
ad est, le regioni orientali, baluardo, come si è visto, della Cristia
nità contro il Turco, e soprattutto la Livonia, «Christianarum ulti

1/9 La fine dello Scisma d'oriente, il concilio di unione - conclusosi proprio nel
quadro di una preoccupazione crescente di fronte all'avanzare della minaccia turca ver
so Costantinopoli - da questo punto di vista, può avere favorito il senso di un'unità di
fondo fra Oriente e Occidente. Tuttavia, detto questo, resta indubbiamente molto forte
nel Piccolomini il senso dell'inferiorità di fondo dell'Oriente bizantino rispetto all'Eu
ropa occidentale. In questo senso, il problema del rapporto fra Oriente bizantino e
Chiesa romana è in realtà ridotto e semplificato dal Piccolomini ad una semplice conte
sa dottrinale e dogmatica, che verte soprattutto sul dogma della processione dello Spiri
to Santo, e che viene risolta a favore del papato e della Chiesa di Roma. A sua volta, si
può ben dire, l'inferiorità militare e morale dell'impero bizantino ormai morente trova
una rappresentazione quanto mai efficace nella ignominiosa fine dell'imperatore, calpe
stato dalla folla mentre tenta di scappare dinnanzi all'ingresso dei Turchi a Costantino
poli.
Sul tema si cfr. in particolare le osservazioni di Chabod, Storia dell'idea di Europa
cit., pp. 42-43.
180 De Europa cit., p. 387 [p. 27]. Cfr. supra p. 620 nota 5.
181 Si veda già qui pp. 636-637.

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674 Barbara Baldi

ma provinciarum»;182 ad ovest, Granata, «quod ab Evangelio Chri


sti alienum est».183
L'elemento religioso viene così posto in primo piano, ed assu
me un valore centrale nella definizione dell'identità europea.
In questa prospettiva, la storia dei vari popoli europei vede,
non a caso, un momento di svolta fondamentale proprio nella
conversione al cristianesimo dei vari sovrani: da Clodoveo,184 agli
esempi più recenti del re di Polonia, di Lituania, del despota di
Serbia: «sed anno superiore vocato ad se Iohanne cardinali Sancti
Angeli (...) ab eo baptismatis unda perfusus et sacris nostris rite
initiatus, Turcis (quibuscum foedere iunctus erat) bellum indixit».185
La conversione religiosa sembra segnare così il definitivo 'in
gresso' di queste popolazioni nella famiglia europea e cristiana,186
tanto che la stessa storia del Cristianesimo finisce per diventare,
nelle pagine del Piccolomini, una storia di conversioni.
Tuttavia, la conversione religiosa implica anche, nello stesso
tempo, la conversione culturale, la civilizzazione dei popoli, delle
regioni divenute cristiane. Il legame, fortissimo, fra religione cri
stiana e civiltà europea è affermato con forza dal Piccolomini: la
conversione al cristianesimo si accompagna all'adozione dei mores
christianorum, all'adesione ad un comune canone morale e com
portamentale - basato su riti, valori, modi di vita 'cristiani' e 'civi
li' - capace di conferire all'Occidente una certa unità interna.187

182 De Europa cit., p. 419 [p. 118].


183 Ibid., p. 444 [p. 187].
184 Ibid., p. 433 [p. 150],
185 Ibid., p. 407 [p. 93]. In questo caso, il significato della conversione è ulterior
mente accentuato dalla decisione immediatamente successiva del re di dichiarare guerra
al Turco.
186 In questo senso, si cfr. soprattutto G. Sergi, I concetti di Europa, ambiguità del
passato, «I viaggi di Erodoto», VII, 1993, pp. 93-100: «le missioni di evangelizzazione
avevano creato le condizioni per cui viene percepito come europeo chi si converte,
qualunque sia la sua origine, per il solo fatto che è così entrato nella societas Christia
na:» (p. 95); e Geremek, Vincolo e sentimento comunitario nell'Europa medievale cit.
pp. 65-67.
187 Sul tema si vedano in particolare Geremek, Vincolo e sentimento comunitario
nell'Europa medievale cit. pp. 66-69; e ORTALLI, Scenari e proposte per un medioevo eu
ropeo, in Id. (a cura di), Storia d'Europa, voi. I, Il Medioevo: secoli 5°-15°, Torino, G. Ei
naudi, 1994, pp. 5-40, in particolare pp. 33-36: «Al tempo di Benedetto XII tutta l'Eu
ropa è cristiana e la diffusione del mos christianorum tra i barbari del Nordest non ha

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 675

Il De Europa abbonda di esempi in questo senso: basti pensa


re alla Littuania e alla Polonia, o, ancor più, alla Prussia, letteral
mente 'bonificata' dall'azione evangelizzatrice e civilizzatrici dei
cavalieri Teutonici:

Barbara haec gens et idolorum cultrix usque ad Fredericum impera


torem eius nominis secundum fuit. Sub eius vero imperio cum amisis
sent christiani Ptolemaidem, Syriae civitatem, Fratres Teutones, quos
Sanctae Mariae diximus appellari, inde fugati in Germaniam rediere, viri
nobiles et rei militaris periti qui, ne per ocium mercarent, Fredericum
accedentes Prussiam Germaniae conterminam Christi cultum spernere
dixerunt; saepe illius gentis homines in Saxones caeterosque vicinos
excurrere; ingentem vim pecorum atque hominum abigere. Esset in ani
mo sibi compescere barbaram gentem. Annuat tantum imperator pro
vinciamque Fratribus perpetuo iure possidendam tradat, si eam armis
acquirant. (...) Ad extremum fortuna Fratrum imperio arridens omnem
eis Prussiam subiecit. Victae barbarae nationes, iugum subiere. Ex ilio
tempore lingua teutonica introducta est et cultus Christi gentibus impe
ratus. Ecclesiae quoque pontificales erectae (...) Nobile oppidum aedifi
catum est, quod Marieburgum vocant et arx nobilis atque amplissima.
Hic sedes magni magistri, qui cunctis Fratribus praeest Prussiam inco
lentibus.188

Per questa via, le pagine del De Europa rivelano l'apprezza


mento profondo del Piccolomini per gli elementi propri della ci
viltà occidentale, della civiltà europea: la cultura cittadina, le città,
ricche, popolose, abbellite da chiese ed edifici pubblici e privati,
protette da mura e fortificazioni; e, soprattutto, il fiorire delle let
tere e delle arti.189

significato soltanto avere chiese per il servizio divino, digiunare il venerdì, santificare la
domenica, venerare i santi come si deve, osservare la quaresima, non praticare la magia,
battezzare i figli di Sabato Santo, seppellire i defunti nei cimiteri e non nei boschi, con
fessarsi e tutto il resto, come ricordava la Vita del santo vescovo di Bamberga, Ottone
(morto nel 1139). Significava anche adeguare costumi e comportamenti a un canone
morale in cui si riconosceva quell'Occidente cristiano che sempre più assomigliava a
un'Europa meglio definita» (p. 35).
188 De Europa cit., pp. 419-420 [pp. 121-122].
189 II richiamo via via alle diverse figure di uomini illustri - uomini di cultura, ve
scovi o prelati eminenti, condottieri o uomini politici - percorre la trattazione del Pic
colomini, quasi ad individuare un punto di riferimento comune alle diverse realtà euro
pee.

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676 Barbara Baldi

L'Europa è dunque l'Europa cristiana e civile, un'Europa di


cui il Piccolomini avverte con forza l'unità religiosa e culturale,
ma rispetto alla quale, ad ogni modo, l'elemento religioso - rap
presentato dalla comune appartenenza alla Chiesa di Roma - resta
pur sempre, indubbiamente, il punto di riferimento centrale.
Tuttavia, questo richiamo all'unità si colloca poi in una pro
spettiva ben diversa da quella propria della Cristianità medievale,
dell'unità della Cristianità medievale; e la fiducia del Piccolomini
nei valori europei, nel legame religioso e culturale dell'Europa,
deve poi tener conto, si confronta, più di quanto la storiografia
non abbia rilevato, con il senso, altrettanto vivo e forte, della va
rietà, delle trasformazioni profonde del quadro europeo.
L'Europa del Piccolomini è anche, si può ben dire, l'Europa
delle nazioni, dei popoli europei.
Percorrendo l'Europa da est ad ovest, da nord a sud, il Picco
lomini si sofferma così sulle singole regioni geografiche e culturali
dell'Europa; cerca di fissarne i confini geografici; ricostruisce l'o
rigine delle diverse popolazioni; ne ripercorre la storia, ne ricorda
gli avvenimenti più recenti, in una prospettiva che pone in primo
piano l'attenzione alla specificità delle singole realtà europee, e
che mescola fra loro storia e geografia:

Quae sub Frederico, tertio eius nomin[is] imperatore, apud Euro


peos [et,] qui nomine christiano censentur, insula[res] homines gesta fe
runtur memoratu digna mihique [cognita] tradere posteris quam brevis
sime libet; commiscebimus [et] aliqua interdum altius repetita, quemad
modum locorum rerumque ratio expostulare videbitur.190

Il paesaggio, le migrazioni dei popoli, la lingue e le sue radici,


il rapporto fra storia e ambiente; i costumi e le tradizioni: tutti
questi elementi convergono nel definire i caratteri specifici, nazio
nali, delle singole realtà europee.191

190 De Europa cit., p. 387 [p. 27],


m In questo senso, ad esempio, la lingua, i rnores contribuiscono a definire con
chiarezza i popoli germanici. Si veda ad esempio la descrizione della Baviera: dopo aver
ricostruito le origini dei Bavari, il Piccolomini conclude dicendo: «Ea nunc germanica
gens est, sermone utens teutonico» (ibidp. 437 [p. 161]).

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa; umanesimo, religione e politica 677

L'attenzione ai mutamenti, alle trasformazioni dell'Europa è


centrale, e si riflette, in modo quanto mai significativo, nel rap
porto con gli autori classici, con le fonti antiche:

Non me latet difficillimam esse provinciarum descriptionem, quan


do et authores ipsi, quos imitari oportet, non solum varii, verum et inter
se contrarii ac magnopere dissentientes inveniuntur, et ipsarum provin
ciarum limites prò dominantium authoritate ac potentia saepenumero
commutati. Nam quae provincia latissima quondam fuit, aetate nostra
aut extincta est aut permodica. Contra vero quae nulla vel minima exti
tit, nunc latissimam florentissimamque videmus. Longobardiam ac Ro
mandiolam non cognovere maiores; nostra tempora Insubriam, Aemi
liam ac Flaminiam prorsus ignorant. Macedoniam [sub] Aemathione re
ge, a quo Aemathia cognominata, perangusti clauserunt termini; virtus
postea regum et gentis industria [subactis] finitimis populis longe ac late
protendit.192

Il senso della distanza che separa la 'nuova' realtà dell'Europa


da quella descritta dalle fonti antiche è fortissimo; e, in questa
prospettiva, il Piccolomini privilegia allora, piuttosto, il ricorso al
le fonti coeve, alle testimonianze dei contemporanei: il trattato del
Sagundino; o, ancora, i racconti di Gerolamo da Praga sulla Li
tuania.193 Ma, soprattutto, il punto di riferimento principale del
Piccolomini resta, indubbiamente, la sua stessa esperienza perso
nale: un'esperienza che abbraccia, si può ben dire, l'intera Euro
pa, dalla Scozia alla Boemia.194
Non è un caso che l'attenzione dell'autore si concentri soprat
tutto sulla descrizione di quelle regioni che sapeva trascurate o
ignorate dagli autori classici e che aveva visitato invece personal

192 Ibid., p. 393 [p. 58], Si veda anche a proposito della Baviera, p. 437: «(...) neque
deserta regio, ut Strabo tradit, quod suo fortasse tempore fuit. Nunc eultissima est, ma
gnas ac ambitiosas civitates habens et oppida nobilissima, quorum splendorem nesci
mus tota Europa quae vincere possint» [p. 161].
193 lbid., pp. 417-418 [pp. 114-118],
194 In molti casi, la rievocazione di eventi storici più o meno importanti legati ai
singoli paesi si basa sul ricordo personale dello stesso autore, che vi aveva partecipato o
assistito in prima persona: così, ad esempio, per quanto riguarda l'elezione di Alberto
d'Austria ad imperatore; le contese fra Venezia e Federico III per l'Istria; le recenti vi
cende austriache e la dieta di Vienna.

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678 Barbara Baldi

mente: l'Ungheria, i paesi dell'Europa orientale, la Scozia, i terri


tori tedeschi:

Excessimus scribendi modum Saxoniae civitates nominatim comme


morantes: id fecimus, quia veteres scriptores parum de Germania locuti
sunt et, tanquam extra orbem ea natio iaceret, somniantes quodammodo
res germanicas attingunt. Ob eam rem dabitur mihi venia, fortasse et ali
quis gratiam habebit, si germanicas describentes provincias, ut res oculis
subiiciamus, paulo prolixiores fuerimus, propositi nostri metas egressi.195

Il De Europa conferma tutto l'interesse dell'autore per le nuo


ve regioni dell'Europa orientale, l'Ungheria, ma anche la Boe
mia,196 la Polonia,197 la Lituania,198 la Rutenia,199 la Livonia.200 Si tratta
di terre fredde, inospitali, ancora barbare: poche le città; povere
le case; scarso il vino; nerissimo il pane. Tuttavia, anche queste re
gioni fanno ormai parte dell'Europa, della Cristianità: «Christiana
religio hanc orbis partem nostro generi aperuit, quae fortissimis
gentibus detersa barbari [e] mitioris vitae cultum ostendit».201
La Cristianità, l'Europa, si è allargata ormai verso est; ma il
Piccolomini non attenua poi la sua attenzione per le specificità,
per le diversità delle singole realtà europee, per l'emergere delle
nuove realtà nazionali.
Pur nell'unità di fondo garantita dalla comune appartenenza
alla Chiesa di Roma, la realtà europea - il Piccolomini lo avverte -
resta una realtà multiforme, divisa fra singole forze politiche, le
cui vicende appaiono però strettamente legate, intrecciate fra lo
ro, in un gioco continuo di alleanze e di rivalità, che coinvolge
l'intero scenario europeo: la Francia, l'impero, le diverse realtà te
desche, l'Inghilterra, i regni iberici, il Mediterraneo.

195 De Europa cit., p. 425 [p. 133].


196 Ibid., cap. XXXIIII, pp. 427-428 [pp. 136-140],
197 Ibid., cap. XXV, pp. 415-417 [pp. 111-114],
198 Ibid., cap. XXVI, pp. 417-419 [pp. 114-118],
199 Ibid., cap. XXVII, p. 419 [p. 118].
200 Ibid., cap. XXVIII, p. 419 [pp. 118-119],
201 Ibid, p. 419 [pp. 118-119].

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 679

Il problema del rapporto fra le diverse nazioni europee è po


sto così in primo piano; e, in questa prospettiva, l'area germanico
imperiale 202 riveste, indubbiamente, un'importanza centrale per il
Piccolomini.
Le tensioni e i conflitti che percorrono il mondo tedesco; l'e
mergere all'interno dell'impero delle nuove forze nazionali - in
particolare la Boemia; i contrasti fortissimi con l'Ungheria, e con
la Polonia; le divisioni politiche e religiose dell'impero; la forza
dell'opposizione antiimperiale: ancora una volta, il Piccolomini si
confronta con questi temi, difende l'autorità imperiale e, insieme,
il prestigio e l'autorità del pontefice; ribadisce la sua fiducia nel
rapporto fra papato e impero.
Tuttavia, l'attenzione dell'autore si concentra ora soprattutto
sul rapporto fra la Francia e l'impero.
Il problema delle aspirazioni imperiali della monarchia france
se è affrontato direttamente dal Piccolomini, in una prospettiva
che, riprendendo e sviluppando temi e motivi della pubblicistica
antifrancese della corte imperiale, sottolinea con forza il carattere
germanico dell'impero. A partire proprio dalla netta contrapposi
zione fra i Galli, vale a dire i Francigeni, e i Germani, cioè i Fran
chi veri e propri:

Hoc ergo Francorum genus, cum e Scythia in Germaniam venisset


ibique diu consedisset, germanicum effectum est [et terram ipsam, quam
primo inhabitavit, a se Franciam appellavit. Verum cum cresceret impe
rium, ita et Francia aucta est] adeo, ut tota ferme Gallia et magna Ger
maniae pars a montibus Pirenaeis usque ad Pannoniae terminos Francia
diceretur: nam quicquid Francis suberat Francia vocabatur. Ea in duas
partes divisa fuit. Nam quod est Galliae occidentalis Francia dicebatur;
quod est Germaniae orientalis, et Germaniam quidem eatenus extende
runt, [quatenus] sermo germanicus protenditur [nam quicquid est citra
Rhenum theutonice lingue, ad Franciam orientalem pertinuit], haec gens
sub Carolo Magno romanum imperium meruit, qui afflictam longobar
dico bello sedem apostolicam consulatus est (...) Ftaec praemisisse volui

202 L'area germanico-imperiale, intesa nel senso più largo, include le regioni orien
tali, l'Ungheria, la Boemia, anche la stessa Polonia, e si estende poi fino alla Danimarca
(che il Piccolomini definisce infatti «Germaniae portio» (ibid., p. 425 [p. 133]) e all'O
landa, a sua volta considerata «provincia Germaniae» (ibid., p. 429 [p. 141]).

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680 Barbara Baldi

mus, quoniam de Franconia sermo inciditi sunt enim multi qui Francos
eos solummondo esse volunt, qui circa Parrhision habitant, et illis da
tum imperium esse volunt; quos rectius Francigenas quis appellaverit.20'

La ricostruzione della storia dei Franchi - cui il Piccolomini


dedica particolare attenzione - si arricchisce così di evidenti moti
vi polemici; e alla germanizzazione dei Franchi corrisponde, a sua
volta, la germanizzazione dello stesso Carlo Magno: «Carolus
enim, quamvis Galliae potiretur imperio, Germanus tamen fuit, in
Germania natus alitusque, cuius sedes plerunque in Aquisgrano
fuit, quae civitas teutonica est, ibi palacium eius et caput ostendi
tur».204
Le pretese imperiali della monarchia francese sono, quindi,
negate con forza dal Piccolomini: l'impero è un impero tedesco, e
dopo la morte di Carlo Magno, e l'estinzione della sua discenden
za maschile, l'eredità imperiale è raccolta, legittimamente, dai Sas
soni, Germani, o, per meglio dire, Franchi orientali:

Eius posteri imperium tenentes, in Gallia et in Germania regnave


runt. Deficiente autem masculina linea imperium ad Germanos, id est
[ad] Francos orientales rediit, inter quos primus habitus est Otho. Est au
tem imperium apud Germanos [non] eo modo ut nemo imperare possit
nisi Germanus, sed quoniam [deligendi] imperator[e]m autoritas Germa
nis tradita est, plerunque Germanus eligitur. Eam od causam cum vacas
set imperium post obitum Ludovici Bosonis filii, Germani (quorum ea
potestas erat) Germanum elegerunt, et Francum ex orientali Francia.205

Il problema del ruolo dell'impero, della rivalità franco-germa


nica è posto così, ancora una volta, in primo piano: e, di fronte al

203 Ibid., p. 434 [pp. 153-154], Sul tema si vedano anche P. GlLLl, Elements pour
une histoire de la gallophobie italienne à la Renaissance: Pio II et la nation frangaise,
«Mélanges de l'Ecole frangaise de Roma-Moyen Age», CVI, 1995, pp. 275-311 in par
ticolare p. 280; J. Krynen, Ideal du prince et pouvoir royal en France à la fin du Moyen
Age (1380-1440): études de la literature politique du temps, Parigi, A. et J. Picard, 1981,
e Id., L'empire du roi: idées et croyances politiqties en France, 13e-15e siècles, Parigi, Gal
limard, 1993.
204 Ivi. Si veda anche GlLLI, Elements pour une histoire de la gallophobie italienne
cit. p. 286 e Krynen, L'empire du roi: idées et croyances politiques en Trance cit. pp.
384-390.

205 De Europa cit., p. 434 [pp. 153-154].

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Enea Silvio Piccolotnini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 681

le rivendicazioni imperiali della monarchia francese, il De Europa


conferma indubbiamente la fiducia del Piccolomini nell'impero,
nella Germania, nelle sue possibilità, nel valore della tradizione
imperiale, come punto di riferimento centrale dell'Europa, della
Cristianità, del papato stesso.
Il ruolo del papato, a sua volta, è riaffermato con forza dal
Piccolomini.
La Chiesa di Roma si pone, agli occhi del Piccolomini, come
il perno centrale della realtà europea. La religione cristiana costi
tuisce, come si è visto, la base della comune identità europea, cri
stiana e civile. E proprio nel comune senso di appartenenza a que
sta civiltà europea e cristiana, l'universalismo della Chiesa roma
na sembra poter trovare una nuova base su cui riaffermare la pro
pria autorità. Da questo punto di vista, anche quegli elementi di
contraddizione che potevano derivare dal rapporto fra Chiesa uni
versale e nuova realtà politica del papato, sembrano attenuarsi,
se non venire meno. La centralità del ruolo del papato trova, di
fronte alle nazioni europee, una sua riaffermazione proprio nel
compito assunto dal pontefice di difesa della religione cristiana e
della civiltà europea di fronte al pericolo turco, e la crociata, da
questo punto di vista, sembra poter offrire la via per conciliare le
due realtà della Chiesa, e per riaffermare, nello stesso tempo, l'au
torità e il prestigio del papato.
Tuttavia, l'esame del De Europa sembra offrire anche altre
considerazioni.
Il Piccolomini, nel De Europa, ha ridotto la portata d'alcuni
contrasti. La prospettiva, tanto più larga, par fatta apposta per ri
dare slancio e confidenza al papato, all'impero, per confermare le
possibilità che sussistono, per individuare le forze su cui contare.
Ma, da un altro punto di vista, l'allargamento della prospettiva
rende più evidenti alcune debolezze profonde, tipiche delle co
struzione 'europea' e 'italiana' che il Piccolomini ha disegnato.
La prospettiva europea è, certo, il presupposto della crociata;
accentua il senso dell'unità religiosa e culturale dell'Europa; ma
proprio questa prospettiva induce a sottolineare gli antagonismi,
le particolarità e le divisioni dei diversi stati europei.
La prospettiva europea, del resto, amplia a dismisura la realtà
del 'mondo tedesco', specie per quel che riguarda il nord e l'est
5

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682 Barbara baldi

dell'Europa; ma il rapporto con la Germania resta poi quanto mai


problematico di fronte al persistere delle divisioni religiose e poli
tiche dell'impero.
La prospettiva europea, in questo senso, par accentuare la fi
ducia del Piccolomini nell'impero; ma la ricostruzione del Picco
lomini semplifica poi l'esperienza francese, e il problema del rap
porto con la Francia resta, alla fin fine, aperto.
La prospettiva europea, d'altra parte, riduce, anche dissimula,
la portata del divario fra stato della Chiesa, curia, e Chiesa univer
sale; ma in effetti tocca ben poco la realtà dei rapporti reciproci.
L'equilibrio italiano, la Lega italica, il rapporto fra il papato e
la penisola, allo stesso modo, mostrano i molteplici legami con la
realtà europea; ma questo nasconde appena le tensioni e anche la
sproporzione di forze fra gli stati italiani, la stessa Chiesa e i pro
blemi continentali.
Il quadro europeo che ne deriva risulta così quanto mai ricco
di temi, di motivi, di connessioni, ma anche di problemi e di con
traddizioni, con cui il Piccolomini, tuttavia, tenta, via via, di con
frontarsi.
Da questo punto di vista, il De Europa rivela la partecipazione
e la cura con cui il Piccolomini segue gli avvenimenti europei, e il
senso profondo che l'autore ha delle trasformazioni, dei muta
menti che investono la realtà europea. La fiducia del Piccolomini
in alcuni valori fondamentali - nell'Europa cristiana e civile; nel
papato e nel rapporto fra quest'ultimo e la Germania, o l'Italia -
si accompagna ad un'attenzione costante e puntuale ai problemi,
alle nuove forze emergenti - le monarchie nazionali, le chiese na
zionali, in una visione che resta sospesa fra vecchio e nuovo, e che
riflette, insieme, si direbbe, anche la consapevolezza di fondo del
la difficoltà di dominare, di controllare questa realtà così viva e
ricca. Ma soprattutto, l'esame del De Europa conferma tutta la ne
cessità di tenere costantemente presente, per capire il Piccolomi
ni, il nesso fortissimo fra la sua attività, la sua iniziativa politico
diplomatica, e il contesto più generale entro cui egli si trova ad
operare.
Il De Germania, il De Europa, le altre opere di quest'anno non
rappresentano, a mio avviso, come qualche volta si è voluto crede
re, un 'programma per il papato'. Troppi elementi non corrispon

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Enea Silvio Piccolomini e il De Europa: umanesimo, religione e politica 683

dono.206 Ma queste opere, e in misura tutta particolare il De Euro


pa, possono costituire, secondo me, la via migliore per compren
dere l'azione di Pio II, i suoi criteri, i suoi successi e i suoi insuc
cessi, negli anni a venire.

Barbara Baldi

206 La storiografia, seguendo forse un po' troppo da vicino i Commentarti di Pio II,
ha insistito a lungo, in effetti, sull'immagine di un Piccolomini 'predestinato al papato',
e anche le opere qui ricordate sono state talvolta considerate in questa prospettiva: si
veda per esempio Paparelli, Enea Silvio Piccolomini cit., pp. 128, 131: il Piccolomini,
secondo il Paparelli, «era ormai inarrestabilmente avviato al successo supremo (...) Vie
ne persino il dubbio che quella villeggiatura viterbese, con tutta la progettata dedica
della Historia Bohemica al re di Napoli, fosse solo questione di fiuto. (...) Da tempo, del
resto, Enea Silvio s'andava familiarizzando con l'idea di divenire pontefice». Ma si cfr.
su questo tema anche le osservazioni di CESERANI, Note sull'attività di scrittore di Pio II,
in Enea Silvio Piccolomini. Papa Pio II cit., pp. 99-115, in particolare pp. 101-102. Tut
tavia, a mio avviso, questa interpretazione semplifica in modo eccessivo la realtà della
situazione italiana ed europea al momento della morte di Callisto III, trascurando così
alcuni elementi essenziali: in questo senso, l'esame dei dispacci diplomatici fra gli ora
tori sforzeschi presenti a Roma nell'agosto del '58 e il duca di Milano mostra chiara
mente come la candidatura del Piccolomini maturi, invece, quasi a sorpresa, inaspetta
tamente, proprio a ridosso del conclave.

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